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Socrates

Paolo Rossi

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Juventus Logo 3D" Poster by StepupDesign | RedbubblePAOLO ROSSI

 

Paolo Rossi Juventus de Italia | Calcio, Calciatori, Giocatori di calcio

 

 


Paolo Rossi nasce a Prato il 23 settembre 1956. A sedici anni è già juventino e sgambetta al Combi, anche se è gracilino: è un Rossi scattante, con la sua caratteristica corsa, pronto ad avventarsi su ogni pallone. Italo Allodi lo ha voluto portare a Torino, a tutti i costi, in quanto il ragazzino gli era piaciuto.

«Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo, era lestate del 1972 quando, sedicenne, giunsi alla corte della Vecchia Signora. Ero uno dei tanti ragazzini di quegli anni, con molti dubbi e poche certezze; larrivo nella società più importante dItalia mi diede una grande carica. Provenivo da Firenze, dove avevo giocato per quattro anni in una piccola società, la Cattolica Virtus; poi, il grande salto nella Juventus. Mi aveva già prenotato quando avevo quattordici anni un certo Luciano Moggi, allora responsabile del settore giovanile bianconero, dopo avermi visto giocare in un torneo a Chieti. Due anni dopo, sbarcai a Torino».

Gli osservatori della Juventus pensano che Paolo sia un buon elemento, ma che debba farsi le ossa, considerato che è così debole di gambe.

«Gli infortuni giungevano, puntuali, tutti gli anni; mi hanno tolto tre menischi in tre stagioni ed, allora, quelloperazione faceva perdere almeno sei o sette mesi di preparazione. Lultima è stata nel 1974; lallenatore della Primavera era Castano, un grandissimo personaggio nellambiente di quegli anni. Con lui sono diventato uomo e calciatore e grazie al suo aiuto ho esordito in Coppa Italia con la prima squadra. Ricordo che vincemmo a Cesena per 1-0, con goal di Musiello; lallenatore era Vycpalek ed ho avuto loccasione di giocare con giocatori del calibro di Capello ed Altafini, tanto per fare due nomi fra i più conosciuti. Fu una stagione eccezionale».

Paolo viene mandato a Como, è la stagione 1975/76, dove come allenatore cè Osvaldo Bagnoli. Gioca ala destra, disputa sei partite e segna anche una rete, ma è sempre alla prese con i menischi: gliene tolgono tre, un vero calvario senza fine, in quanto, ogni volta, bisogna riprendere con massacranti sedute dallenamento, per tonificare il tono muscolare. A Como, però, non credono in lui, puntano su un altro Rossi, Renzo, anchegli attaccante, che poi verrà ceduto allInter e che finirà presto nel dimenticatoio.

La stagione successiva viene ceduto al Lanerossi Vicenza ed ha la fortuna di trovare un presidente come Farina ed un tecnico come G.B. Fabbri. Lattaccante titolare ed autentica bandiera della società biancorossa, Vitali, è in rotta con la dirigenza: occorre un sostituto, viene buttato in mischia proprio Paolo, a suo agio col gioco dei veneti, incentrato sul contropiede. È un trionfo: gioca 36 partite, segna 21 goal, trascina il Vicenza in serie A. Linarrestabile ascesa, del non ancora Pablito, non conosce pausa, nemmeno in confronto con i grandi campioni della serie A; vince la classifica dei cannonieri con 24 reti, davanti ad uno specialista come Beppe Savoldi e porta il Lanerossi al secondo posto in classifica.

«Fabbri è stato un padre per me, il classico padre di famiglia che ti consiglia, ti prende sotto la sua protezione, è stato proprio così. Teneva le fila di tutto l'ambiente, ha fatto in modo che si creasse una grande unione tra di noi. Era un grande conoscitore e un grande amante del calcio, predicava il fatto che tutti a cominciare dai difensori dovevano giocare a pallone. Io, in particolare, gli devo molto, è stato lui che mi ha trasformato da ala a centravanti, ha visto subito che potevo avere un ruolo diverso e ha cambiato sicuramente la mia carriera. Ho avuto un grande rapporto con Farina, è stato un Presidente unico, pur con tutti i suoi difetti. Aveva una grande personalità, grande umorismo. Era uno che ci sapeva fare e con cui era estremamente piacevole passare del tempo. Sotto altri aspetti, nella gestione della società, poteva essere anche un duro, probabilmente era un Presidente d'altri tempi. Secondo me Farina era una spanna sopra gli altri, aveva delle idee innovative. Mi ricordo che il primo anno di serie A, si era inventato l'abbonamento biennale per farsi anticipare i soldi che gli servivano, erano cose che all'epoca sembrava incredibile potessero uscire dalla mente di una persona, ma lui era così, aveva queste intuizioni».

Tutti grandi club inseguono questa ragazzo ed anche a Torino non si sono dimenticati di lui; nel giugno del 1978, Boniperti e Farina vanno in Lega a misurarsi alle buste, per risolvere la comproprietà dellattaccante. La Juventus, infatti, aveva conservato la proprietà della metà del cartellino del giocatore. Boniperti si presenta con le idee abbastanza chiare: Paolo può valere, al massimo, un paio di miliardi, cifra già eccezionale per quei tempi. Farina è pronto a fare altrettanto ma è ingannato da una telefonata, che dice che la Juventus avrebbe scritto nella busta una cifra incredibile: due miliardi e mezzo. Farina, senza pensarci due volte, scrive due miliardi e 750 milioni creando un autentico caso, al punto che anche Franco Carraro, allora presidente della Lega, decide di dimettersi per protesta.

Da quel momento, la fortuna gira le spalle a Rossi: il Vicenza, infatti, precipita in serie B, accompagnata da una voragine di debiti; Paolo emigra a Perugia, in prestito, dove è travolto dallo scandalo del calcio-scommesse: sembra la fine della sua carriera, invece è la svolta positiva.

Durante la squalifica, Rossi, ritorna a Vicenza ed è contattato da alcune società e fra cui lInter di Fraizzoli. Sandro Mazzola ha molte idee sul conto di Rossi, stipula un accordo scritto fra Fraizzoli, Farina ed il giocatore, ma allultimo momento il patron nerazzurro si tira indietro ed il trasferimento salta.

Boniperti non ha mai smesso di seguire con attenzione la vicenda di Pablito: non ha mai digerito lo sgarbo di Farina e, quando torna alla carica nel marzo del 1981, trova il presidente veneto molto più disponibile, pronto a cedere il giocatore per ripianare il deficit in cui si trova la sua società. La Juventus paga quanto aveva sborsato Farina con gli interessi e così Pablito ritorna a vestire la maglia bianconera.

Il 2 maggio 1982, Rossi torna in campo a Udine a fianco di Virdis; nonostante le tre presenze nella Juventus, Rossi viene convocato ugualmente in Nazionale, gioca in Spagna, diventa Pablito, storia risaputa.

«Io non segno quasi mai di potenza, generalmente conquisto quei due metri che costano il goal allavversario. Per me, è fondamentale il gioco senza palla, lo smarcamento, quando la palla non cè, è indispensabile. Non ho avuto dalla sorte un grande fisico e mi debbo far furbo».

Al ritorno dal Mondiale, allatto di rinnovare il contratto con la juventus dice una frase infelice, a proposito della necessità di allevare i figli con lo stipendio giusto; Boniperti si imbufalisce ed il contratto non viene firmato. Con lui, a contestare il presidente juventino, ci sono Tardelli e Gentile: tutti e tre verranno ceduti. «Diventai una specie di aprivarchi, fu una scelta di Trapattoni dettata dalla necessità. Poi arrivarono Boniek, Platini, cera Bettega: qualcuno doveva restare fuori e, caso strano, toccava sempre al sottoscritto».

Nella stagione 1983/84, Rossi contribuisce con 13 goal alla conquista del titolo eppoi al trionfo in Coppa delle Coppe; il rapporto coi colori bianconeri continua, cè la Coppa dei Campioni da vincere, ma Rossi è sempre meno protagonista, più comprimario che altro. Le scelte di Trapattoni lo infastidiscono, cosicché quando Farina, che è diventato presidente del Milan, ritorna alla carica, Pablito accetta il corteggiamento a si trasferisce a Milano.

La sua carriera in bianconero finisce con la tragica serata di Bruxelles: è destino che nel cammino di questo giocatore ci sia sempre qualcosa di drammatico. La stessa cosa avviene puntualmente anche al Milan, dove Farina fa letteralmente conti falsi per assicurarsi Rossi.

Pablito costa 10 miliardi fra ingaggio e parametri, ma Farina non si arrende: vuole ricomprarlo da Boniperti a tutti i costi; inizia un lungo tira e molla che si protrae per mezza estate, finché Rossi non indossa la maglia rossonera. Lentusiasmo fra i tifosi di via Turati è incontenibile, si sognano trionfi antichi. Il Milan ha un attacco formidabile, Rossi-Hateley-Virdis, il Vi-Ro-Ha; si fanno paragoni scomodi con il famosissimo Gre-No-Li, ma saranno solo amare delusioni.

Oltre agli insuccessi sul campo, comincia a profilarsi il Caso Farina, uno scandalo che coinvolge la società rossonera, che si conclude con la fuga in Sud Africa del presidente e con larrivo di Berlusconi. Si conclude così questo insolito rapporto fra Farina e Rossi; Pablito resta al Milan, ma è unaltra grande delusione.

Termina, malinconicamente, la sua carriera a Verona, come un gregario qualsiasi. «In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. Ad un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dellingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Alla Juventus ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria».


Così lo racconta Caminiti:

Un pratese di guancia sfuggente, con quegli occhi ramificati nella malizia. Un sorriso che è sempre un sorrisino prendingiro. Qualcuno lha definito il più moderno centravanti che ci sia mai stato e forse è definizione calzante; finché va in campo fresco, è un odiable, inafferrabile come il più lesto dei ladruncoli. Ed insomma, rapina le difese sullultima parabola, sul minimo errore, sul più banale equivoco: è lì che zompa, incredibile ma vero lha già infilata.

Avevamo creduto che Anastasi, come rapidità fosse, il massimo consentito ad un terrestre. Non avevamo fatto i conti con Paolo Rossi, in grado di far goal non già su un soldino o su un millimetro, ma sul respiro appena accennato di un difensore, nella mischia più pazzesca, tramutando ogni parabola nel goal più perfetto. Di una perfezione tale da potersi definire mitica.



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/09/paolo-rossi.html

 

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E' stato il mio fan preferito!!!!!!!!!!!!!!!! Ero innamorata di lui! sefz

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Pablito @@ @@ @@

Italia-Brasile 3-2 (1982) Triplo Pablito!!!

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UN RAGAZZO CHE SI CHIAMA PAOLO ROSSI

L'ESPLOSIONE DI UN GRANDE CAMPIONE

Arriva, porta il Vicenza in A e vince la classifica dei cannonieri; l'anno dopo
sfiora lo scudetto ed è eroe in Argentina...l'inizio della leggenda!

 

I sessant'anni di Paolo Rossi - Corriere.it

 


Sono passati ormai tantissimi anni da quando lo vedevamo vincere e segnare in tutti i campi del mondo. Il suo sorriso, era la più bella firma dopo un gol realizzato. Il tempo è passato ma l’aria di ragazzino che si divertiva a giocare a pallone non lo ha affatto lasciato. Paolo Rossi è stato uno dei giocatori simbolo del nostro calcio e tuttora è fra gli italiani più conosciuti all’estero.

Nato a Prato il 23 settembre 1956, a soli sedici anni, grazie al fiuto di Italo Allodi, un quasi bambino Rossi era già nelle file delle giovanili di una Juventus che aveva già capito le potenzialità di quel ragazzino esile ma sgusciante in area. Sembrava che il suo futuro fosse bianconero, ma nel 1975, dopo aver penato per l’asportazione di tre menischi, finisce a giocare nel Como, ovviamente in prestito. Una stagione alquanto anonima, sei partite e nessuna rete e retrocessione in serie B.

La squadra comasca viene stravolta e Rossi lascia la Lombardia adocchiato da Farina, presidente di un ambizioso Lanerossi Vicenza. La Juventus cede una quota, la maglietta della giovane ala è diventata rossobianconera. L’ambiente fu molto favorevole a Paolo che trovò subito un allenatore paterno come Giambattista Fabbri. La sua stagione fu semplicemente strepitosa. Sono ventuno le reti, titolo di capocannoniere e tutti in serie A.

L’anno successivo il Lanerossi è una una squadra che vede in lui il suo punto di forza, ma ha anche altri ottimi calciatori come Filippi, autentico motore del centrocampo, Lelj mente e punta pericolosa, Faloppa super regista e Marangon gigante in difesa. Il campionato ha però un inizio stentato, le prime partite solo pareggi e sconfitte.

Poi arriva il momento di cominciare a vincere e a convincere. Ecco le vittorie con l’Atalanta, Lazio, Fiorentina, Roma, Bologna e Genoa…incomincia la scalata che porterà la squadra di Farina al secondo posto dietro la Juventus. Proprio nell’ultima giornata, con lo scudetto già bianconero, Paolo mostra a Boniperti al Comunale di che cosa è capace di fare in una partita persa per 3 a 2 ma dove mostra a tutti il suo immenso talento. La classifica dei cannonieri è sua realizzando ben 24 centri in 30 partite.

Tutto riesce facile a Rossi, un giocatore atipico per il nostro calcio. Nessun tiro potente, un fisico tutto tranne che robusto, doti acrobatiche normali, ma una intelligenza tattica unica. Sembra quasi che capisca dove la palla andrà a finire su una respinta della difesa, su una difettosa uscita del portiere, su un cross sbagliato di un compagno. Paolo è sempre presente pronto alla deviazione vincente.

La nazionale non può far finta di non vederlo e, dopo ottime partite nella nazionale under 21, arriva anche alla corte della squadra maggiore. Tutti voglio Rossi in nazionale, la stampa spende fiumi di inchiostro per convincere il nostro C.T. che è lui l’uomo nuovo del nostro calcio. Arriva anche il debutto in una non facile amichevole contro il Belgio. Sin dal primo minuto è in campo, e Antognoni segnerà il goal della vittoria di un match dominato dall’Italia. Ancora titolare nella successiva partita ma la sconfitta in Spagna per 2 a 1 appanna le virtù della punta vicentina agli occhi di Bearzot e riconsegna la maglia da titolare a Graziani.

Finisce il campionato e si apre il calcio mercato. E’ il momento che Boniperti e Farina decidano il futuro del capocannoniere e anche dei loro club. Si va alle buste. La Juventus offre solo 800 milioni, una cifra che sottostima il suo valore. Farina invece getta sul piatto verde come un giocatore di poker la cifra record di due miliardi. Paolo Rossi rimane a Vicenza.

Intanto arriva anche ai mondiali in Argentina. Bearzot, il grande vecchio, è conservatore e al centro dell’attacco azzurro vede la figura di Ciccio Graziani. Ma il granata non vive un periodo di forma esaltante e Rossi viene buttato nella mischia proprio sin dalla prima partita contro la Francia. Giocherà ad altissimo livello e con continuità in una squadra che partita alla grande, sconfitti i futuri campioni dell’Argentina, finirà un mondiale bellissimo ma in fase calante.

Paolo Rossi, già al centro dell’attenzione di tutto il Paese, entra nel vortice del ciclone! Tutto il mondo guarda con attenzione il giovane attaccante e il Vicenza punta giustamente a traguardi ambiziosi. Farina per compensare il sacrificio economico per tenerlo é costretto a vendere gli altri “gioielli” come Filippi, che non troverà fortuna nel Napoli, e Lelj. Non arriveranno sostituti e la squadra dovrà riequilibrarsi da sola.

Ma la stagione comincia male; in Coppa UEFA subito ai trentaduesimi viene eliminata dal Dukla Praga (1 a 0 e 1 a 1 a in casa). Il peso dell’attacco é sulle forti spalle di Paolo che segna gol su gol ma la difesa è assolutamente insufficiente. Alla fine del torneo realizzerà quindici reti; solo Giordano con diciannove gol avrà fatto meglio. Paolo ha segnato la metà dei gol realizzati dall’intera squadra. La difesa è però catastrofica con quarantadue centri subiti, la peggiore della massima divisione.

Il Lanerossi perde sempre piú quota e finirà tristemente al terzultimo posto a pari merito con il Bologna; ma la differenza reti lo condannerà in serie B al termine di una stagione nata con ambizioni da scudetto. Farina sarà costretto a cederlo al Perugia, dopo una serie di motivi e di interessi mai chiariti. Termina la pagina più poetica della vita di Paolo Rossi, ma la città di Vicenza non sarà mai più dimenticata.

GolCalcio.it

 

 

 

Video - Remembering Paolo Rossi's World Cup heroics on his birthday  -Juvefc.com

 

 

 

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Paolo Rossi (1965-2020) – dagelijks iets degelijks

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Football Memories on Twitter: "Paolo Rossi with the 1982 Ballon d'Or  #Juventus #Ballondor https://t.co/QbvjY3Q3ib" / Twitter

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Rossi_

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Prato
Data di nascita: 23.09.1956

Luogo di morte: Siena

Data di morte: 09.12.2020
Ruolo: Attaccante
Altezza: 174 cm
Peso: 67 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Pablito

 

 

Alla Juventus dal 1973 al 1975 e dal 1981 al 1985

Esordio: 01.05.1974 - Coppa Italia - Cesena-Juventus 0-1

Ultima partita: 29.05.1985 - Coppa dei campioni - Liverpool-Juventus 0-1

 

138 presenze - 43 reti

 

2 scudetti

1 coppa Italia

1 coppa dei campioni

1 coppa delle coppe

1 supercoppa Uefa

 

Campione del mondo 1982 con la nazionale italiana

 

 

Paolo Rossi (Prato, 23 settembre 1956  Siena, 9 dicembre 2020) è stato un calciatore italiano, di ruolo attaccante. Con la nazionale italiana si è laureato campione del mondo nel 1982.

Soprannominato Pablito dopo il suo exploit al campionato del mondo 1978 in Argentina, lo si ricorda principalmente per le sue prodezze e per i suoi gol alla successiva rassegna iridata di Spagna '82, dove si aggiudicò il titolo di capocannoniere. Nello stesso anno vinse anche il Pallone d'oro.

Insieme a Roberto Baggio e Christian Vieri detiene il record italiano di marcature nei mondiali a quota 9 gol. È stato il primo giocatore in assoluto (eguagliato dal solo Ronaldo nel 2002) ad aver vinto nello stesso anno il mondiale, il titolo di capocannoniere di tale competizione e il Pallone d'oro.

Occupa la 42ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer. Nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione del centenario della federazione. È risultato 12º nell'UEFA Golden Jubilee Poll, un sondaggio online condotto dalla UEFA per celebrare i migliori calciatori d'Europa dei cinquant'anni precedenti.

È inserito dal 2016 nella Hall of Fame del calcio italiano e dal 2021 nella Walk of Fame dello sport italiano.

 

Paolo Rossi
Paolo Rossi Pallone d'oro.jpg
Paolo Rossi solleva il Pallone d'oro 1982
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 174 cm
Peso 67 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Attaccante
Termine carriera 1987
Carriera
Giovanili
1961-1967 600px Bianco e Rosso Strisce.svg Santa Lucia
1967-1968 non conosciuta Ambrosiana
1968-1972 600px Giallo e Rosso Strisce-Flag.svg Cattolica Virtus
1972-1975   Juventus
Squadre di club
1973-1975   Juventus 3 (0)
1975-1976    Como 6 (0)
1976-1979   Lanerossi Vicenza 94 (60)
1979-1980    Perugia 28 (13)
1981-1985   Juventus 135 (43)
1985-1986   Milan 20 (2)
1986-1987   Verona 20 (4)
Nazionale
1976-1978 Italia Italia U-21 10 (5)
1977-1986 Italia Italia 48 (20)
Palmarès
 
Coppa mondiale.svg Mondiali di calcio
Oro Spagna 1982

 

Biografia

Iniziò a giocare a calcio all'età di nove anni con il Santa Lucia, squadra dell'eponima frazione pratese messa in piedi dal locale medico, il dottor Paiar; nella stessa squadra militava anche il fratello maggiore Rossano. Al padre Vittorio, ex ala destra del Prato, è oggi dedicato il campo sportivo del Santa Lucia. Dal primo matrimonio in gioventù con Simonetta nacque un figlio; dopo il divorzio, nel 1998 conobbe la giornalista Federica Cappelletti che poi sposò nel 2010 e dalla quale ebbe due figlie.

Come cantante realizzò nel 1980 un 45 giri, con la canzone Domenica, alle tre, il cui testo tratta il tema del rapporto tra i calciatori e le proprie compagne.

Nel 1999 venne candidato alle elezioni europee per Alleanza Nazionale - Patto Segni, nella circoscrizione Nord-Est ottenendo oltre 11.000 preferenze, non venendo eletto. Nel 2000 si candidò alla presidenza della Lega Pallavolo Serie A femminile, senza tuttavia essere eletto.

In televisione ricoprì il ruolo di opinionista per varie emittenti italiane quali Sky Sport, Premium Sport e Rai Sport. Nel 2011 partecipò inoltre al programma Ballando con le stelle come concorrente.

A Vicenza, città dove assurse alla notorietà e a cui rimase legato negli anni seguenti, tanto da ricevere pochi mesi prima della morte anche la cittadinanza onoraria berica, gestì per lungo tempo un'agenzia immobiliare insieme all'ex compagno di squadra Giancarlo Salvi. Nei suoi ultimi vent'anni di vita tornò a vivere nella natìa Toscana, stabilendosi in Valdambra dove dal 2003 aveva messo in piedi un complesso agrituristico a Bucine, in località Poggio Cennina.

Il rapporto con Fabbri e Bearzot

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Da sinistra: Rossi in nazionale al campionato del mondo 1978, mentre festeggia con il commissario tecnico Enzo Bearzot e Franco Causio

 

Rossi al Lanerossi Vicenza ebbe un ottimo rapporto con l'allenatore Giovan Battista Fabbri, sia dentro che fuori dal campo. Fabbri fu l'artefice della trasformazione tattica del giocatore da ala a centravanti puro. Il giocatore ricordò così il rapporto col suo mentore: «Fabbri è stato un padre per me, il classico padre di famiglia che ti consiglia, ti prende sotto la sua protezione, è stato proprio così. Teneva le fila di tutto l'ambiente, ha fatto in modo che si creasse una grande unione tra di noi. Era un grande conoscitore e un grande amante del calcio, predicava il fatto che tutti a cominciare dai difensori dovevano giocare a pallone. Io, in particolare, gli devo molto, è stato lui che mi ha trasformato da ala a centravanti, ha visto subito che potevo avere un ruolo diverso e ha cambiato sicuramente la mia carriera».

 

220px-Lanerossi_Vicenza%2C_G._B._Fabbri_
 
Rossi (a destra) e il tecnico Giovan Battista Fabbri in una pausa d'allenamento con il Lanerossi a fine anni 1970

 

Importante per la carriera di Rossi fu anche il commissario tecnico dell'Italia, Enzo Bearzot. Il tecnico lo confermò tra i convocati per il campionato del mondo 1978 e fu l'artefice del grande successo del giocatore sul campo. Bearzot, inoltre, fu anche uno dei pochi che credettero nell'innocenza di Pablito a seguito dello scandalo scommesse. Nonostante un'opposizione generale, il citì decise di convocarlo al campionato del mondo 1982; una chiamata che lo stesso Rossi reputava possibile, conoscendo la stima che Bearzot aveva nei suoi confronti: «La convocazione me l'aspettavo, Bearzot aveva fiducia in me, in Argentina ero andato bene».

Al funerale del tecnico, scomparso il 21 dicembre 2010, Rossi lo ricordò con queste parole: «Io a lui devo tutto, senza di lui non avrei fatto quel che ho fatto. Era una persona di una onestà incredibile e un tecnico di grande spessore. Incarnava la figura dell'italiano popolare, e anche se non è stato uno scienziato o un artista, rimarrà nella storia dei nostri grandi del secolo scorso».

Autobiografie

Nel 2002 pubblicò la sua autobiografia intitolata Ho fatto piangere il Brasile: «L'ho scritto perché i miei tre gol al Brasile, in quel fantastico, indimenticabile tre a due, sono il fiore all'occhiello della mia vita di calciatore. Un ricordo che non si cancellerebbe neanche a distanza di un milione di anni».

Nel 2012 scrisse il libro 1982. Il mio mitico mondiale insieme a sua moglie Federica Cappelletti, giornalista e scrittrice. Rossi spiegò che l'aiuto di sua moglie fu importante per la costruzione del libro: «Mia moglie è stata fondamentale. È lei che ha insistito. Voleva scoprire perché, dopo così tanti anni, la gente mi ferma ancora per strada ricordando l'esperienza spagnola della nostra nazionale». Rossi riuscì a raccogliere tutti i fatti della sua vita calcistica grazie all'aiuto di un suo amico di Firenze, Renzo Baldacci: «Ha rilegato, in volumi, tutti gli articoli che mi riguardavano. Tutto ciò costituisce la mia memoria storica. Per scrivere il libro abbiamo impiegato sei mesi. Senza l'aiuto di questo prezioso archivio avremmo impiegato anni».

Impegno sociale

Rossi, dopo aver concluso l'attività calcistica, ha contribuito molto all'impegno sociale. Nel 2007, insieme ai ciclisti Matteo Tosatto e Filippo Pozzato, all'avvocato Claudio Pasqualin e a Don Backy, ha preso parte alle registrazioni del disco Voci dal cuore, il cui ricavato è stato devoluto al Progetto Conca d'Oro, ONLUS di Bassano, e all'associazione Bambini cardiopatici nel mondo; l'ex attaccante ha cantato la canzone La leva calcistica della classe '68. Nel 2009 è stato testimonial italiano della FAO per sensibilizzare l'opinione pubblica e raccogliere fondi in favore della lotta globale contro la fame nel mondo.

Nel 2012 è stato testimonial della seconda edizione della manifestazione "Un mese per l'affido", organizzata allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica ad accogliere temporaneamente nelle loro case bambini e ragazzi in serie difficoltà. Il 16 maggio 2014 ha preso parte al torneo di calcio benefico "Bambini senza confini", organizzato da don Paolo De Grandi e giocato allo stadio Città di Arezzo per raccogliere fondi da destinare ai bambini palestinesi.

Morte

È morto all'ospedale di Santa Maria alle Scotte di Siena la sera del 9 dicembre 2020, all'età di 64 anni, a causa di un tumore ai polmoni che l'aveva colpito mesi addietro.

Il funerale si è svolto tre giorni dopo presso il duomo di Vicenza, dove la salma di Rossi è arrivata portata dai suoi storici compagni di nazionale; il giorno precedente, pur tra le restrizioni dettate dalla contemporanea pandemia di COVID-19, migliaia di persone gli avevano reso omaggio presso la camera ardente allestita eccezionalmente sul terreno dello stadio Romeo Menti. Dopo i funerali, il feretro è giunto a Perugia, città di origine della vedova Federica, per delle cerimonie più riservate dapprima al cimitero monumentale e poi allo stadio Renato Curi, prima di ricevere definitiva sepoltura a Bucine.

Nei giorni seguenti la scomparsa, un minuto di raccoglimento è stato osservato sia dall'UEFA sui campi dell'Europa League sia dalla FIGC su quelli di tutti i campionati italiani.

Tra le prime iniziative celebrative, le intitolazioni alla sua memoria dello stadio di Bucine (4 settembre 2021), del piazzale antistante lo stadio Menti di Vicenza (28 settembre 2021) e del centro sportivo perugino di Pian di Massiano (2 dicembre 2021), oltre a un mezzobusto nella natìa Prato, nel piazzale della Cipresseta a Santa Lucia (8 novembre 2021).

Caratteristiche tecniche

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Rossi (a sinistra) in maglia Lanerossi nel 1979, al tiro durante un derby veneto contro il Verona.

Rossi era un attaccante veloce, molto abile negli spazi stretti dell'area di rigore, dove poteva sfruttare le sue doti di tempismo e opportunismo; Giorgio Tosatti lo definì «un impasto di Nureyev e Manolete», un giocatore con «la grazia del ballerino e la spietata freddezza del torero». Rossi raccontò così le sue caratteristiche tecniche: «Io non segno quasi mai di potenza, generalmente conquisto quei due metri che costano il goal all'avversario. Per me, è fondamentale il gioco senza palla, lo smarcamento, quando la palla non c'è, è indispensabile. Non ho avuto dalla sorte un grande fisico e mi debbo far furbo».

 

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Rossi, qui durante la sua militanza alla Juventus nei primi anni 1980, controlla il pallone di testa, fondamentale in cui eccelleva.

 

Schierato inizialmente come ala destra, il suo ruolo cambiò nel Lanerossi Vicenza quando l'allenatore Giovan Battista Fabbri decise di proporlo come centravanti; questo diventerà il ruolo definitivo dell'attaccante italiano. Riguardo a questo cambio di posizione, Rossi dichiarò: «Forse sono stato il primo centrattacco rapido e svelto, che aveva nelle intuizioni la sua dote principale, unita a una tecnica sopraffina. Uno dei segreti del mio successo è stato quello di giocare intelligentemente, pensando sempre cosa fare un secondo prima che mi arrivasse il pallone, proprio per supplire alla mancanza di qualità fisiche eccelse. Giocare sull'anticipo era una mia grande prerogativa, cercavo sempre di rubare il tempo al mio avversario, sfruttando le mie doti di opportunista: in area di rigore cercavo sempre di sfruttare ogni piccolo errore dei difensori, facendomi trovare nel posto giusto al momento giusto».

Dopo il mondiale 1982, con Giovanni Trapattoni sulla panchina della Juventus, Rossi diventò invece «una specie di apri varchi» e cominciò a giocare in una posizione poco congeniale alle sue caratteristiche, anche a causa dell'arrivo in squadra di giocatori come Zbigniew Boniek e Michel Platini.

Carriera

Giocatore

Club

Gli inizi: Juventus e Como
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Un giovane Rossi supera Antonio Cabrini (sullo sfondo) in un'amichevole tra la formazione Primavera juventina e la Cremonese, nell'annata 1974-1975; pochi anni dopo, entrambi saranno titolari in azzurro al mondiale 1978

 

Cominciò a giocare a calcio nel Santa Lucia, squadra dell'eponima frazione pratese in cui è nato. Dopo aver passato una stagione nell'Ambrosiana, altra società pratese, si trasferì alla Cattolica Virtus, a livello giovanile una delle principali società di Firenze, in cui approdò dodicenne. A quell'età, però, il vero divertimento del giovane Paolo era giocare con il fratello Rossano nell'oliveto della natìa Santa Lucia.

Nel 1972, a sedici anni, passò alla Juventus nonostante in famiglia fossero contrari, come ricordò lo stesso Rossi in un'intervista: «Non è stato facile, ai miei genitori non è che l'idea andasse molto. Sono rimasti scottati dall'esperienza di mio fratello, anche lui in bianconero, che dopo un anno è stato rispedito a casa. Mia madre non ne vuole sapere di mandare a Torino un altro figlio così giovane, mio padre consiglia al dottor Nesticò, un dirigente della Cattolica, di sparare una cifra alta, per dissuadere quelli juventini, ma non c'è verso. Italo Allodi viene a casa nostra, fa opera di mediazione e alla fine per quattordici milioni e mezzo [di lire, ndr] faccio la valigia».

 

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Rossi al Como nella stagione 1975-1976, all'esordio in Serie A, in una figurina Calciatori

 

A Torino, tuttavia, il suo percorso nelle varie selezioni giovanili fu spesso interrotto da una serie impressionante di infortuni: addirittura tre operazioni al menisco nel giro di due stagioni. Nonostante ciò, il 1º maggio 1974 esordì in prima squadra in un incontro di Coppa Italia a Cesena; non ancora diciottenne, in questa gara Rossi giocò per la prima volta con nomi come Dino Zoff, Claudio Gentile e Franco Causio, con cui poi si sarebbe laureato campione del mondo.

Nella stagione successiva collezionò altre due presenze nella competizione, prima di passare nel 1975 al Como. Qui però le cose non andarono granché bene: dopo l'esordio in Serie A datato 9 novembre 1975, in occasione della sconfitta esterna contro il Perugia, Rossi scese in campo soltanto per altre cinque volte nell'arco di quel torneo, chiuso con la retrocessione dei lariani, senza riuscire ad andare a segno. La svolta della carriera era però dietro l'angolo: la Juventus convinse infatti il Lanerossi Vicenza, nell'estate 1976, a prenderlo in compartecipazione.

Lanerossi Vicenza

A Vicenza Rossi trovò nel tecnico Giovan Battista Fabbri, per sua stessa ammissione, un secondo padre che gli diede fiducia e lo aiutò a crescere; l'allenatore emiliano segnò una svolta nella carriera di Rossi, grazie anche allo spostamento in campo da ala a centravanti. Importante anche il rapporto instauratosi col patron del club vicentino, Giuseppe Farina, che Rossi ritroverà poi nel decennio seguente sulla sponda rossonera di Milano e che così ricordò: «È stato un presidente unico, pur con tutti i suoi difetti. Aveva una grande personalità, grande umorismo. Era uno che ci sapeva fare e con cui era estremamente piacevole passare del tempo. Sotto altri aspetti, nella gestione della società, poteva essere anche un duro, probabilmente era un presidente d'altri tempi. Secondo me Farina era una spanna sopra gli altri, aveva delle idee innovative. Mi ricordo che il primo anno di Serie A, si era inventato l'abbonamento biennale per farsi anticipare i soldi che gli servivano, erano cose che all'epoca sembrava incredibile potessero uscire dalla mente di una persona, ma lui era così, aveva queste intuizioni».

 

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In maglia berica Rossi si laureò nel biennio 1977-1978 miglior marcatore prima della Serie B e poi della A, primo calciatore a conseguire tale primato

 

Nella sua stagione d'esordio in biancorosso, Rossi venne subito schierato titolare, mantenendo il posto in squadra per tutta l'annata. Alla fine del campionato 1976-1977 si laureò capocannoniere della Serie B con 21 reti, che permisero al Lanerossi di conquistare la promozione in A. Il presidente Farina aumentò l'ingaggio di Rossi da 8 a 50 milioni e lo convinse a restare; infatti, nonostante l'ottima stagione, la Juventus decise di non riscattare l'idolo di Vicenza, preferendogli Pietro Paolo Virdis.

Nella stagione 1977-1978 la neopromossa squadra berica faticò all'inizio a trovare vittorie. Riuscì a riprendersi a metà del girone d'andata e Rossi segnò persino due doppiette ai danni di Fiorentina e Roma, guadagnandosi le prime pagine dei giornali. Nel girone di ritorno seguì una doppietta al Perugia e un gol alla Juventus nella sfida scudetto, finita 3-2 per i bianconeri. Il Vicenza concluse quel campionato al secondo posto, trascinato da un Rossi miglior marcatore dell'anno con 24 gol. La sua prestazione convinse Enzo Bearzot a convocarlo al campionato del mondo 1978 in Argentina.

 

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Rossi (in piedi, secondo da destra) nel cosiddetto Real Vicenza 1977-1978, neopromosso e secondo classificato in Serie A

 

Nell'estate 1978 Rossi fu protagonista di un clamoroso affare di mercato tra il Vicenza e la Juventus: le due società non trovarono l'accordo per la risoluzione della comproprietà, sicché furono costrette ad andare alle buste. L'offerta più alta fu quella di Farina che, al fine di tenere il giocatore, per metà cartellino offrì al presidente juventino Giampiero Boniperti ben 2 miliardi e 612 milioni. Quel prezzo destò scandalo in Italia, creando tutta una serie di contrastanti reazioni, anche politiche (la conseguenza più rilevante furono le dimissioni di Franco Carraro dalla FIGC). Lo stesso Farina disse in proposito: «Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent'anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l'arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio». La notizia dell'esito dell'asta fu data da Nando Martellini mentre commentava l'incontro di preparazione al mondiale sudamericano tra Italia e Jugoslavia all'Olimpico di Roma.

La stagione 1978-1979 fu negativa per Rossi. Il giocatore, infatti, subì un nuovo infortunio al ginocchio (colpito duro dallo stopper dei cecoslovacchi del Dukla Praga, Macela, durante il match d'andata di Coppa UEFA) e i suoi 15 gol non bastarono a salvare la squadra da un'incredibile retrocessione in Serie B, impronosticabile dopo il secondo posto dell'anno prima.

Pochi giorni dopo il declassamento biancorosso, i giornali annunciarono il passaggio di Rossi al Napoli, ma il giocatore negò la cosa e affermò: «Lo spiego a Giorgio Vitali, il direttore sportivo che fa di tutto per convincermi: “No grazie, per me viene prima la vita e poi la professione, il calcio. E se devo invertire l'ordine delle cose ci devo pensare non una ma cento volte. Che vengo a fare a Napoli, il salvatore della patria? Con la gente che, me lo raccontava Sivori tempo fa, mi compra le sigarette e dorme per strada sotto casa mia, per vegliarmi: sono molto cari, ma non sono la persona giusta. Io posso offrire la mia personalità in campo, posso offrire calcio, ma da voi questo non basterebbe».

Perugia
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Rossi con la casacca del Perugia nell'estate 1979

 

Col Lanerossi retrocesso, Rossi rimase in massima categoria passando al Perugia, in quegli anni rampante "provinciale" in ascesa. La formula della cessione, perfezionata tra Giussy Farina e il presidente dei grifoni Franco D'Attoma, era il prestito per due annate (500 milioni a stagione). Proprio il trasferimento del giocatore a Perugia segnò una sorta di spartiacque nel panorama calcistico nazionale: infatti, per finanziare l'oneroso arrivo in Umbria dell'attaccante, D'Attoma mise in piedi la prima sponsorizzazione di maglia. Fu un esordio assoluto, poiché mai prima d'allora, in Italia, una divisa da gioco era stata "griffata" da un marchio commerciale; Rossi e il Perugia furono i primi a rompere questo tabù.

 

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Rossi con il giubbino "griffato" del club umbro; le modalità del trasferimento a Perugia sancirono, di fatto, l'apertura del calcio italiano agli sponsor di maglia

 

L'unica stagione di Rossi coi grifoni fu fortunata per quanto riguarda le realizzazioni: 13 gol in 28 gare di campionato e una rete in quattro partite di Coppa UEFA. Il giocatore fu a lungo il capocannoniere della Serie A (chiudendo poi terzo in questa graduatoria), ma ciò nonostante la formazione perugina non riuscì a ripetere il campionato di vertice della precedente annata, anche a causa dello scoppio in primavera dello scandalo scommesse che finì per coinvolgere, tra vari dubbi mai del tutto chiariti, lo stesso Rossi.

La squalifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Scandalo italiano del calcioscommesse del 1980.

 

Accusato di aver truccato la partita Avellino-Perugia (nella quale firmò peraltro una doppietta), Rossi venne squalificato dalla CAF per due anni, perdendo così anche la possibilità di partecipare con la nazionale all'imminente campionato d'Europa 1980 casalingo. Rossi ricordò così questo evento: «Non sapevo nulla delle scommesse: pensavo al classico pareggio accettato da due squadre che non vogliono farsi male. Seguii il processo come qualcosa di irreale, come se ci fosse un altro al posto mio. Capii che era tutto vero quando tornai a casa e vidi le facce dei miei».

Raccontò così la vicenda che lo fece condannare: «Dopo cena, mentre sto giocando la solita partita a tombola, tanto per ammazzare il tempo, mi si avvicina il mio compagno Della Martira: "Paolo, vuoi venire un attimo che ci sono due amici che vogliono conoscerti?". Non sono capace di dire di no. Controvoglia affido le mie cartelle a Ceccarini e mi alzo. Nella hall vedo due tipi che non avevo mai visto, stringo loro la mano: "Piacere". Non capisco cosa vogliano da me. Improvvisamente Mauro Della Martira dice: "Paolo, questo è un mio amico che gioca alle scommesse". E l'amico dell'amico in spiccato accento romanesco: "Paolo, che fate domenica?". Rispondo genericamente: "Beh, cerchiamo di vincere". "E se invece pareggiate?". Non capisco dove voglia andare a parare, sono imbarazzato anche se non lo do a vedere. Non vedo l'ora di liberarmi dall'impiccio».

 

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Rossi in aula nel maggio 1980, imputato durante il primo processo sullo scandalo Totonero

 

«Rispondo: "Il pareggio non è un risultato da buttare. L'Avellino ha un punto in meno di noi, ha vinto con la Juve e ha perso soltanto con il Torino". "Sai, abbiamo un amico dall'altra parte che dice che un pareggio andrebbe più che bene", aggiunge l'altro... "magari fai anche due gol". La discussione non mi piace per nulla. Voglio tornare alla mia tombola, queste facce non mi ispirano fiducia, taglio corto: "Mauro, mi aspettano, ci vediamo, fai tu", giusto per non fargli fare brutta figura. E torno al mio posto e riprendo a giocare. Tutto è durato appena due minuti, quelli che diverranno i due minuti più angoscianti della mia carriera».

Il ritorno alla Juventus

Rossi pensò di lasciare il paese e di ritirarsi dal mondo del calcio giocato a seguito della squalifica: «Provavo disgusto per il calcio. Ho pensato di andar via dall'Italia, di smettere. Dissi: "Non mi vedrete più in nazionale". Mi diedi all'abbigliamento sportivo, con Thoeni. Le cose peggiori? Il sospetto della gente, quegli sguardi... e le notti del sabato, sapendo che al risveglio non c'erano partite ad aspettarmi».

 

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Rossi preso d'assalto da fotografi e televisioni per il suo secondo esordio in maglia juventina, il 2 maggio 1982 a Udine, di nuovo in campo dopo la fine della squalifica

 

Sandro Mazzola, all'epoca dirigente dell'Inter, si interessò subito a lui, ma all'ultimo momento si tirò indietro. Boniperti ritornò a interessarsi al giocatore e riuscì, stavolta, a portarlo con sé in bianconero, nonostante i dodici mesi di squalifica ancora da scontare. Rossi ricordò così la fiducia del presidente della Juventus: «Boniperti mi chiamò: "Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri". Mi sono sentito di nuovo calciatore. La lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: "Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo". Mi sono sposato a settembre. L'avrei fatto lo stesso, diciamo che sono stato un po' spinto. Comunque devo ringraziare lui, Trapattoni e Bearzot».

Il Trap puntò fortemente sulla possibilità di recuperare l'atleta ai livelli precedenti la squalifica, mentre il Vecio, che lo avrebbe poi convocato per il vittorioso mundial spagnolo, si dichiarò convinto dell'innocenza di Rossi e mostrò di apprezzare il fatto che, mentre scontava la pena, si era preparato a tornare in campo allenandosi con continuità.

 

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Il gol di Rossi che decise al 90' la semifinale di ritorno della Coppa delle Coppe 1983-1984 contro il Manchester Utd (2-1) e qualificò la Juventus alla vittoriosa finale di Basilea

 

Frattanto, in questo periodo di forzata lontananza dal calcio italiano, per Rossi parve profilarsi la possibilità di un approdo nel soccer nordamericano. Sul finire del 1980 scese infatti in campo con i Buffalo Stallions, franchigia statunitense allenata da Adolfo Gori, per un'amichevole preparatoria al locale campionato indoor; tuttavia tale scenario non si concretizzò, rimanendo questa l'unica apparizione oltreoceano del calciatore.

La pena relativa al Totonero terminò nell'aprile 1982, sicché Rossi fece in tempo a giocare le ultime tre partite di campionato coi piemontesi, realizzando anche un gol all'Udinese e conquistando così lo scudetto, il 20º nella storia del club torinese. Il suo ritorno fu commentato così dal giocatore: «Non ricordavo più l'emozione di una partita vera. Due anni di silenzio mi hanno maturato. Proprio in questo momento mi dico: non c'è solo il calcio». Alla fine dell'anno solare, dopo aver vinto il mondiale di cui fu anche capocannoniere, Rossi fu insignito del Pallone d'oro di France Football, terzo italiano a riuscirci dopo Gianni Rivera e Omar Sívori. In quell'anno si recò da Boniperti per farsi rinnovare il contratto: a proposito della necessità di allevare i figli, Rossi chiese al presidente di aumentargli lo stipendio e a questa frase Boniperti si infuriò con il giocatore, rifiutandosi di formalizzare l'accordo; alla contestazione di Rossi si unirono anche i compagni Tardelli e Gentile, motivo per cui, dopo qualche anno, Boniperti deciderà di cederli a loro volta.

 

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Da destra: Rossi con Zbigniew Boniek e Michel Platini, il reparto d'attacco della plurivittoriosa Juventus di Giovanni Trapattoni nella prima metà degli anni 1980

 

Nell'annata successiva Rossi contribuì con 13 gol alla conquista del titolo nazionale, nonché al trionfo nella Coppa delle Coppe vinta a Basilea contro i lusitani del Porto. Nella stagione 1984-1985 arrivarono poi la Supercoppa UEFA e la Coppa dei Campioni, entrambe contro gli inglesi del Liverpool. Dopo questa stagione, stanco del poco utilizzo in campo e dei dissidi con Boniperti, Rossi decise di lasciare il club torinese, che lo cedette al Milan di Farina (già suo presidente a Vicenza) per 5,3 miliardi di lire.

Il giocatore ricordò così la sua esperienza a Torino: «In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. Ad un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell'ingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Alla Juventus ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria».

Gli ultimi anni: Milan e Verona
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Il neoacquisto Rossi (a sinistra) al Milan nell'estate 1985 insieme a Giussy Farina, già suo presidente a Vicenza

 

Arrivato a Milano nel 1985, a Rossi venne affidata la maglia numero dieci che era stata della bandiera rossonera Gianni Rivera. In Lombardia andò a comporre, insieme ai confermati Hateley e Virdis, il cosiddetto Vi-Ro-Ha, un tridente d'attacco che sulla carta era tra i più attesi alla vigilia della nuova stagione, ma che poi, nel corso del campionato, non seppe confermare le previsioni estive.

La stagione rossonera con Nils Liedholm in panchina, infatti, non fu positiva per Rossi, che saltò per infortunio le prime dieci gare di campionato e trovò la rete solo in due occasioni, entrambe nel derby pareggiato 2-2 contro l'Inter: condivide con Gianni Comandini e Olivier Giroud, che lo eguaglieranno rispettivamente nel 2001 e nel 2022, il record di aver segnato una doppietta nella prima stracittadina meneghina disputata. Rossi ricordò tale exploit con grande entusiasmo, paragonandola alla vittoria contro il Brasile di tre anni prima: «Mi sembrava di essere al mundial. [...] Se l'Inter avesse avuto le maglie gialle come quelle del Brasile forse avrei fatto tre gol. Ma va bene così, non ricordo nemmeno io quando realizzai l'ultima doppietta».

Entrato nella trattativa che portò Giuseppe Galderisi a Milano, disputò la sua ultima annata da professionista in provincia, nel Verona. Con la maglia degli scaligeri giocò 20 partite in Serie A realizzando 4 gol, di cui 3 su calcio di rigore e uno solo su azione (decisivo nella vittoria in extremis sul Torino del 18 gennaio 1987), contribuendo alla qualificazione in Coppa UEFA della squadra gialloblù, quarta a fine campionato.

 

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Rossi in azione al Verona nella stagione 1986-1987, l'ultima prima dell'addio al calcio giocato

 

Al termine della stagione, preda di problemi alle ginocchia che lo tormentavano sin dagli inizi della carriera, diede l'addio definitivo all'attività agonistica, a soli trent'anni.

Nazionale

Rossi esordì in nazionale maggiore il 21 dicembre 1977, ventunenne, in una gara amichevole contro il Belgio disputata a Liegi, vinta 1-0 dagli Azzurri. Rossi ricordò così la sua prima esperienza in azzurro: «Anche se si trattava di un incontro amichevole è stata senza dubbio una delle più forti emozioni che io abbia mai provato. Vestire per la prima volta la maglia azzurra è stata una grandissima soddisfazione. Ricordo che quando è partito l'inno di Mameli mi sono sentito investito da una serie di responsabilità, prima fra tutte quella di rappresentare l'Italia intera». Il commissario tecnico Enzo Bearzot lo convocò per il campionato del mondo 1978. Nel corso della prima fase a gruppi segnò sia alla Francia, nella gara d'esordio a Mar del Plata il 2 giugno 1978, sia all'Ungheria; il 10 giugno contro l'Argentina padrone di casa, invece, fornì l'assist al compagno Bettega per il gol del definitivo 1-0. Segnò anche nella seconda fase a gruppi contro l'Austria, concludendo il mondiale con 3 gol, mentre l'Italia si aggiudicò il quarto posto dopo aver perso la finalina contro il Brasile. Al termine del manifestazione viene inserito nella squadra ideale del torneo.

La squalifica lo tenne lontano dalla nazionale per due anni, facendogli saltare il campionato d'Europa 1980, ma appena Rossi finì di scontarla venne immediatamente convocato da Bearzot per il vittorioso campionato del mondo 1982; la chiamata di Pablito creò tuttavia discussioni, in quanto costrinse a lasciare a casa un giocatore come Roberto Pruzzo, capocannoniere del campionato nelle due stagioni precedenti. Rossi sembrò essere inefficace nella prima fase, che l'Italia superò ottenendo tre pareggi. Nella partita vinta 3-2 contro il Brasile, decisiva per la qualificazione alla semifinale, Rossi si sbloccò realizzando una tripletta.

 

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Rossi in maglia azzurra al mondiale argentino, mentre batte il portiere magiaro Mészáros

 

La sfida, passata alla storia come la tragedia del Sarriá, fu ricordata così da Rossi: «Il primo gol al Brasile, lo ricordo come il più bello della mia vita. Non ho avuto il tempo di pensare a nulla: ho sentito come un senso di liberazione. È incredibile come un episodio possa cambiarti radicalmente: niente più blocchi mentali e fisici. Dopo quel gol, tutto è arrivato con naturalezza». In semifinale realizzò la doppietta che stese la Polonia. Infine, l'11 luglio 1982 realizzò la prima rete della finale vinta 3-1 contro la Germania Ovest: «Eravamo campioni del mondo. Feci solo mezzo giro di campo coi compagni: ero distrutto. Mi sedetti su un tabellone a guardare la folla entusiasta e mi emozionai. Ma dentro sentivo un fondo di amarezza. Pensavo: "Fermate il tempo, non può essere già finita, non vivrò più certi momenti". E capii che la felicità, quella vera, dura solo attimi». Grazie alle sei reti realizzate si aggiudicò il titolo di capocannoniere della manifestazione, il premio come milgior giocatore della competizone e l'inserimento nella squadra ideale del torneo. A fine anno, le sue prodezze mundial gli valsero anche il Pallone d'oro.

Dopo il vittorioso mondiale, Rossi continuò a giocare in azzurro e prese parte alle qualificazioni al campionato d'Europa 1984, nelle quali realizzò un gol in otto presenze. Il 4 febbraio 1984 segnò la sua seconda tripletta in nazionale, nella gara amichevole vinta 5-0 contro il Messico, paese ospitante della futura rassegna iridata. Nonostante una negativa stagione 1985-1986 al Milan, Rossi venne comunque convocato per il campionato del mondo 1986, nel quale però non venne mai impiegato, poiché Bearzot gli preferì il giovane Giuseppe Galderisi. La sua ultima gara in azzurro rimase quindi la partita amichevole Italia-Cina (2-0) disputata l'11 maggio 1986 a Napoli.

In nazionale realizzò complessivamente 20 gol in 48 presenze e detiene, con Roberto Baggio e Christian Vieri, il record di gol realizzati da un calciatore italiano ai mondiali (9). Insieme a Paolo Baldieri è inoltre l'unico calciatore ad aver segnato in cinque partite consecutive con la maglia dell'Italia Under-21.

Dirigente

In veste dirigenziale, è stato presidente onorario del Santa Lucia, società in cui mosse i primi passi da calciatore.

Nel 2018 tornò al L.R. Vicenza come membro indipendente del consiglio di amministrazione, oltreché ambasciatore del club.

Nella cultura di massa

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Rossi esulta durante il vittorioso campionato del mondo 1982

 

L'Italia di Enzo Bearzot del 1982, vincendo contro il titolato Brasile, scrisse una delle pagine più felici ed esaltanti del calcio italiano e mondiale, nota come la tragedia del Sarriá. La vittoria, a cui Rossi contribuì con una tripletta, è rimasta tuttora nella memoria di tutti i tifosi italiani e brasiliani, e questi ultimi non hanno mai perdonato le prodezze di Pablito. Questa partita è stata sicuramente uno dei motivi della sua grande popolarità.

Nel 1989 Rossi si recò in Brasile per partecipare alla seconda edizione della Coppa Pelé. La sua permanenza nel paese verdeoro fu accolta con profonda ostilità e Pablito veniva appellato con il soprannome di carrasco do Brasil, ovvero il boia del Brasile: «Ero andato lì con la mentalità del turista e mi sono ritrovato a giocare in uno stadio di 35 000 persone con tutti gli occhi puntati addosso: Paolo Rossi, carrasco do Brasil. Il boia del Brasile. Non potevo avvicinarmi alla linea laterale che mi pioveva addosso di tutto, bucce di banana, noccioline, perfino monete, tanto che, alla fine del primo tempo, ho deciso di non rientrare in campo e il clima sugli spalti si è subito placato. Un giorno un tassista, dopo avermi riconosciuto, s'è fermato, ha accostato e mi ha intimato di scendere. Ho dovuto discutere per un po' prima di riuscire a fargli cambiare idea: mi ha riportato in hotel. Quei tre gol del mondiale di Spagna, quelli che hanno fatto piangere un intero popolo, non erano ancora stati digeriti, forse non lo saranno mai».

 

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Rossi (a sinistra) posa con Zico nel corso del campionato di Serie A 1983-1984

 

Nel 2012 Zico, membro della nazionale brasiliana dell'82, affermò che la vittoria dell'Italia sul Brasile in quella partita cambiò completamente il modo di giocare a calcio. Zico accusò l'Italia di aver creato «un calcio fondato sulla distruzione del gioco avversario e sul fallo sistematico». Rossi, in merito a queste dichiarazioni, rispose così: «Quel 3-2 fu una lezione per la quale il Brasile ci dovrebbe ringraziare e darmi un premio. Una sconfitta dalla quale impararono molto, soprattutto a giocare più coperti. Tanto è vero che poi hanno vinto altre due edizioni del mondiale. Zico naturalmente si lancia in un paradosso e non penso che a quella vittoria si possa attribuire un peso così grande. È vero, invece, che da allora il loro approccio è cambiato, è diventato più guardingo, si sono europeizzati. Anche perché tanti brasiliani hanno conosciuto i campionati del nostro continente. Eppure vederli giocare è sempre uno spettacolo. Pur evolvendosi, il loro calcio è rimasto lo specchio di un paese dove lo spettacolo resta importante».

Antonello Venditti citò un "Paolo Rossi" nella canzone Giulio Cesare: «Era l'anno dei mondiali quelli del '66 | Paolo Rossi era un ragazzo come noi». La cultura di massa coglie generalmente il riferimento al calciatore, ma Venditti precisò successivamente che si trattava di uno studente antifascista: «In Giulio Cesare faccio riferimento a Paolo Rossi, ma non è l'eroe del Mundial di Spagna come in molti pensano ed hanno pensato. Io ricordavo uno studente morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma nel 1966. "Un ragazzo come me", appunto». Al contrario, Stefano Rosso lo cita esplicitamente in una sua canzone, L'italiano, nella strofa: «Ma la domenica problemi grossi | segna Giordano o segna Paolo Rossi?».

Nel giugno 2021 gli è stata dedicata la mostra d'arte Pablito: un mito. Da Prato alla Stratosfera nella natia Prato, curata dal collezionista Carlo Palli e per la quale oltre cento artisti hanno prodotto varie opere d'arte esposte al Teatro Politeama della città. Nel dicembre dello stesso anno, la compagnia aerea di bandiera italiana ITA Airways gli intitola il primo velivolo verniciato con la nuova livrea azzurra di compagnia, l'Airbus A320 con marche EI-DTE.

 

 

Record

Palmarès

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Rossi (a destra), in maglia vicentina, premiato come migliore marcatore della Serie B 1976-1977; posa con lui il suo storico patron Giussy Farina.
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Rossi bacia la Coppa del Mondo vinta dagli azzurri al campionato del mondo 1982, edizione di cui si laureò anche migliore marcatore con 6 gol.

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  • Miglior calciatore dell'anno secondo la rivista italiana Guerin Sportivo - 1982
  • Inserito nelle "Leggende del Calcio" del Golden Foot - 2007
 

Onorificenze

Collare d'oro al Merito Sportivo - nastrino per uniforme ordinaria Collare d'oro al Merito Sportivo
  — Roma, 19 dicembre 2017.
immagine del nastrino non ancora presente Cittadinanza onoraria di Vicenza
  — Vicenza, 18 febbraio 2020.

 

 

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«Io non segno quasi mai di potenza, generalmente conquisto quei due metri che costano il gol all’avversario. Per me, è fondamentale il gioco senza palla, lo smarcamento, quando la palla non c’è, è indispensabile. Non ho avuto dalla sorte un grande fisico e mi debbo far furbo».
 
Nato a Prato il 23 settembre 1956, a 16 anni è già juventino e sgambetta gracilino al Combi: è un Rossi scattante, con la sua caratteristica corsa, pronto ad avventarsi su ogni pallone. Italo Allodi lo ha voluto portare a Torino a tutti i costi, in quanto il ragazzino gli era piaciuto. «Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo, ero uno dei tanti ragazzini di quegli anni, con molti dubbi e poche certezze; l’arrivo nella società più importante d’Italia mi diede una grande carica. Provenivo da Firenze, dove avevo giocato per quattro anni in una piccola società, la Cattolica Virtus; poi, il grande salto nella Juventus. Mi aveva già prenotato, quando avevo 14 anni, Luciano Moggi, allora responsabile del settore giovanile bianconero, dopo avermi visto giocare in un torneo a Chieti. Due anni dopo, sbarcai a Torino».
Gli osservatori della Juventus pensano che Paolo sia un buon elemento, ma che debba farsi le ossa, poiché è così debole di gambe. «Gli infortuni giungevano, puntuali, tutti gli anni; mi hanno tolto tre menischi in tre stagioni e, allora, quell’operazione faceva perdere almeno sei o sette mesi di preparazione. L’ultima è stata nel 1974; l’allenatore della Primavera era Castano, un grandissimo personaggio nell’ambiente di quegli anni. Con lui sono diventato uomo e calciatore e grazie al suo aiuto ho esordito in Coppa Italia con la prima squadra. Ricordo che vincemmo a Cesena per 1-0, con gol di Musiello; l’allenatore era Vycpálek ed ho avuto l’occasione di giocare con giocatori del calibro di Capello e Altafini, tanto per fare due nomi fra i più conosciuti. Fu una stagione eccezionale».
Paolo viene mandato a Como, è la stagione 1975-76, dove come allenatore c’è Osvaldo Bagnoli. Gioca ala destra, disputa 6 partite e segna anche una rete, ma è sempre alle prese con i menischi: un vero calvario senza fine, in quanto, ogni volta, bisogna riprendere con massacranti sedute di allenamento, per tonificare il tono muscolare. A Como, però, non credono in lui, puntano su un altro Rossi, Renzo, anch’egli attaccante, che poi sarà ceduto all’Inter e che finirà presto nel dimenticatoio.
La stagione successiva è ceduto al Lanerossi Vicenza ed ha la fortuna di trovare un presidente come Farina e un tecnico come Giovan Battista Fabbri. L’attaccante titolare e autentica bandiera della società biancorossa, Vitali, è in rotta con la dirigenza: occorre un sostituto, viene buttato in mischia proprio Paolo, a suo agio con il gioco dei veneti, incentrato sul contropiede. È un trionfo: gioca 36 partite, segna 21 gol, trascina il Vicenza in Serie A. L’inarrestabile ascesa, del non ancora Pablito, non conosce pausa, nemmeno in confronto con i grandi campioni della Serie A: vince la classifica dei cannonieri con 24 reti, davanti a uno specialista come Beppe Savoldi e porta il Lanerossi al 2° posto in classifica.
«Fabbri è stato un padre per me, il classico padre di famiglia che ti consiglia, ti prende sotto la sua protezione, è stato proprio così. Teneva le fila di tutto l’ambiente, ha fatto in modo che si creasse una grande unione tra di noi. Era un grande conoscitore e un grande amante del calcio, predicava il fatto che tutti a cominciare dai difensori dovevano giocare a pallone. Io, in particolare, gli devo molto, è stato lui che mi ha trasformato da ala a centravanti, ha visto subito che potevo avere un ruolo diverso e ha cambiato sicuramente la mia carriera. Ho avuto un grande rapporto con Farina, è stato un presidente unico, pur con tutti i suoi difetti. Aveva una grande personalità, grande umorismo. Era uno che ci sapeva fare e con cui era estremamente piacevole passare del tempo. Sotto altri aspetti, nella gestione della società, poteva essere anche un duro, probabilmente era un presidente d’altri tempi. Secondo me Farina era una spanna sopra gli altri, aveva delle idee innovative. Mi ricordo che il primo anno di Serie A, si era inventato l’abbonamento biennale per farsi anticipare i soldi che gli servivano, erano cose che all’epoca sembrava incredibile potessero uscire dalla mente di una persona, ma lui era così, aveva queste intuizioni».
Tutti grandi club inseguono questo ragazzo e anche a Torino non si sono dimenticati di lui. Nel giugno del ‘78, Boniperti e Farina vanno in Lega a misurarsi alle buste, per risolvere la comproprietà dell’attaccante. La Juventus, infatti, aveva conservato la proprietà della metà del cartellino del giocatore. Boniperti si presenta con le idee abbastanza chiare: Paolo può valere, al massimo, un paio di miliardi, cifra già eccezionale per quei tempi. Farina è pronto a fare altrettanto ma è ingannato da una telefonata, che dice che la Juventus avrebbe scritto nella busta una cifra incredibile: due miliardi e mezzo. Farina, senza pensarci due volte, scrive due miliardi e 750 milioni creando un autentico caso, al punto che anche Franco Carraro, allora presidente della Lega, decide di dimettersi per protesta.
Da quel momento, la fortuna gira le spalle a Rossi: il Vicenza precipita in Serie B, accompagnata da una voragine di debiti. Paolo emigra a Perugia, in prestito, dove è travolto dallo scandalo del calcio scommesse. Il suo caso divide l’opinione pubblica. Il giocatore si dichiarerà sempre innocente e le circostanze del suo coinvolgimento non appaiono mai del tutto chiare.
Al riguardo, il pubblico accusatore, Corrado De Biase, racconterà in un’intervista rilasciata alcuni anni dopo i fatti: «Non avevo dubbi sulla colpevolezza di parecchi inquisiti. Solo di Rossi non ero convinto. Lui aveva sempre negato tutto. Era stato accusato di aver aderito alla proposta di fare un pareggio concordato dal Cruciani, alla presenza di un testimone. Proposi un faccia a faccia tra Rossi e Cruciani. Fu una scena drammatica. Soffrii per Rossi, che non riuscì a convincere i giudici della sua innocenza. Per la stampa, Rossi lo avevo condannato io. Ma era colpa mia se il giocatore non era riuscito a convincere della sua innocenza la Commissione Disciplinare?».
Sembra la fine della sua carriera, invece è la svolta positiva. Durante la squalifica, Rossi, torna a Vicenza ed è contattato da alcune società e fra cui l’Inter di Fraizzoli. Sandro Mazzola ha molte idee sul conto di Rossi, stipula un accordo scritto tra Fraizzoli, Farina e il giocatore, ma all’ultimo momento il patron nerazzurro si tira indietro e il trasferimento salta.
Boniperti non ha mai smesso di seguire con attenzione la vicenda di Pablito e non ha mai digerito nemmeno lo sgarbo di Farina. Quando torna alla carica nel marzo del 1981, trova il presidente veneto molto più disponibile, pronto a cedere il giocatore per ripianare il deficit in cui si trova la sua società. La Juventus paga quanto aveva sborsato Farina con gli interessi e così Pablito torna a vestire la casacca bianconera.
«Boniperti mi chiamò: “Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri”. Mi sono sentito di nuovo calciatore. La lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: “Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo”. Mi sono sposato a settembre. L’avrei fatto lo stesso, diciamo che sono stato un po’ spinto. Comunque devo ringraziare lui, Trapattoni e Bearzot. Il Trap mi ha allenato con la sua grinta, ci ha messo molta dedizione, Bearzot mi chiamava spesso. Non mi faceva promesse ma mi incoraggiava a lavorare bene, perché lui mi teneva sempre in considerazione. Fondamentale».
Il 2 maggio 1982, Rossi torna in campo a Udine a fianco di Virdis. Trapattoni dice: «È quello di un tempo». E lui: «Non ricordavo più l’emozione di una partita vera. Due anni di silenzio mi hanno maturato. Proprio in questo momento mi dico: non c’è solo il calcio».
Nonostante le 3 presenze nella Juventus, Rossi è convocato ugualmente in Nazionale, gioca in Spagna, diventa Pablito, storia risaputa. «La convocazione me l’aspettavo, Bearzot aveva fiducia in me, in Argentina ero andato bene. Ma le prime partite sono un disastro. Tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun: qualificazione per differenza reti. Non ero in forma, anzi. Un fantasma. Trovavo difficoltà a fare tutto, era anche un blocco mentale. Ma la fiducia dei compagni e di Bearzot mi hanno dato una carica eccezionale. I ragazzi scherzavano sul fatto che mi reggessi a stento in piedi. Era importante anche la presa in giro. Per lo stress ero dimagrito 5 chili. Mi facevano stimolazioni elettriche alle gambe. E ricordo che il cuoco tutte le sere mi portava in camera un bicchiere di latte e una brioche. Finita ogni gara Bearzot mi diceva: “Stai tranquillo, ora preparati per la prossima”. Anche dopo la sostituzione col Perù. Eravamo un gruppo eccellente, la prova fu il silenzio stampa di Vigo. Accettavamo le critiche tecniche, ma non le cattiverie gratuite. Si scrisse di tutto: bella vita, casinò, Graziani che aveva perso 70 milioni. Che io e Cabrini stavamo insieme. Non ne potevamo più di stupide illazioni e decidemmo di starcene zitti. La gara con l’Argentina è stata decisiva, vinta giocando bene. Io non segnai, ma stavo meglio. Non pensavamo certo di vincere il mondiale, però ci convincemmo di poter giocare alla pari con chiunque. Forse nel ‘78 eravamo più forti, io compreso, ma questa squadra era un concentrato di carattere. Il primo gol al Brasile, lo ricordo come il più bello della mia vita. Non ho avuto il tempo di pensare a nulla: ho sentito come un senso di liberazione. È incredibile come un episodio possa cambiarti radicalmente: niente più blocchi mentali e fisici. Dopo quel gol, tutto è arrivato con naturalezza. Ma non pensate che ci siamo goduti le vittorie. Una volta qualificati per la semifinale, Bearzot disse solo: “Pensiamo alla Polonia”. Sempre concentrati, sempre in apnea fino alla finale. Per questo forse il ricordo più nitido che ho è la sensazione al fischio finale contro la Germania. Eravamo campioni del mondo. Feci solo mezzo giro di campo coi compagni: ero distrutto. Mi sedetti su un tabellone a guardare la folla entusiasta e mi emozionai. Ma dentro sentivo un fondo di amarezza. Pensavo: “Fermate il tempo, non può essere già finita, non vivrò più certi momenti”. E capii che la felicità, quella vera, dura solo attimi».
Al ritorno dal Mondiale, all’atto di rinnovare il contratto con la Juventus, una frase infelice a proposito della necessità di “allevare i figli con lo stipendio giusto”, fa imbufalire Boniperti e il contratto non viene firmato. Con lui, a contestare il presidente juventino, ci sono Tardelli e Gentile. Ma le delusioni non sono finite, nonostante le sue 18 realizzazioni: lo scudetto va alla Roma e la Coppa Campioni sfugge nella serata di Atene contro l’Amburgo.
Nella stagione successiva, Rossi contribuisce con 13 gol alla conquista del titolo e poi al trionfo in Coppa delle Coppe; il rapporto con i colori bianconeri continua, c’è la Coppa dei Campioni da vincere, ma Rossi è sempre meno protagonista, più comprimario che altro. Le scelte di Trapattoni lo infastidiscono, cosicché quando Farina, che è diventato presidente del Milan, ritorna alla carica, Pablito accetta il corteggiamento a si trasferisce a Milano.
«Diventai una specie di apri varchi, fu una scelta di Trapattoni dettata dalla necessità. Poi arrivarono Boniek, Platini, c’era Bettega: qualcuno doveva restare fuori e, caso strano, toccava sempre al sottoscritto. In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. A un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell’ingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Alla Juventus ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria».
La sua carriera in bianconero finisce con la tragica serata di Bruxelles: è destino che nel cammino di questo giocatore ci sia sempre qualcosa di drammatico. La stessa cosa avviene puntualmente anche al Milan, dove Farina fa letteralmente conti falsi per assicurarsi Rossi. Pablito costa 10 miliardi fra ingaggio e parametri ma Farina non si arrende e vuole ricomprarlo da Boniperti a tutti i costi. Inizia un lungo tira e molla che si protrae per mezza estate, finché Rossi non indossa la maglia rossonera.
L’entusiasmo fra i tifosi di Via Turati è incontenibile, si sognano trionfi antichi. Il Milan ha un attacco formidabile, Rossi-Hateley-Virdis, il Vi-Ro-Ha; si fanno paragoni scomodi con il famosissimo Gre-No-Li, ma saranno solo amare delusioni. Oltre agli insuccessi sul campo, comincia a profilarsi il “Caso Farina”, uno scandalo che coinvolge la società rossonera, che si conclude con la fuga in Sud Africa del presidente e con l’arrivo di Berlusconi.
Si conclude così questo insolito rapporto fra Farina e Rossi: Pablito resta al Milan, ma è un’altra grande delusione. Termina, malinconicamente, la sua carriera a Verona, come un gregario qualsiasi.
 
VLADIMIRO CAMINITI
Un pratese di guancia sfuggente con quegli occhi ramificati nella malizia. Un sorriso che è sempre un sorrisino prendingiro. Qualcuno l’ha definito il più moderno centravanti che ci sia mai stato e forse è definizione calzante; finché va in campo fresco, è un “odiable”, inafferrabile come il più lesto dei ladruncoli. E insomma, rapina le difese sull’ultima parabola, sul minimo errore, sul più banale equivoco: è lì che zompa, incredibile ma vero l’ha già infilata. Avevamo creduto che Anastasi, come rapidità fosse, il massimo consentito a un terrestre. Non avevamo fatto i conti con Paolo Rossi, in grado di far gol non già su un soldino o su un millimetro, ma sul respiro appena accennato di un difensore, nella mischia più pazzesca, tramutando ogni parabola nel gol più perfetto. Di una perfezione tale da potersi definire mitica.
 
ITALO CUCCI, “GUERIN SPORTIVO” DEL FEBBRAIO 2021
Paolo Rossi calciatore ha vissuto molte vite. La più bella – ne sono sicuro – a Vicenza. L’armonica città del Palladio gli ha dato tempra di lavoratore, passione di viaggiatore, spirito di sacrificio (come a Robi Baggio, dopo), un parlar cantato e un sorriso goldoniano. Fu quello, il Rossi che entrò a forza nelle copertine e nelle pagine del Guerin Sportivo, lieve quanto contagioso. A metà dei Settanta, quando diventai direttore, in quel di San Lazzaro di Savona, eravamo un gruppo di reduci (o esuli) da altri mondi. Giovanni Brera, che aveva cominciato a lavorare nel Verdino ancora ragazzo – si firmava Gibigianna – ci sfotté definendoci “quelli della tentacolare San Lazzaro”, scandalizzato dal trasferimento della gloriosa testata nata a Torino e cresciuta a Milano in un angolo della provincia bolognese, neanche a Bologna che in verità ci ignorò tutta la vita. Perché eravamo bastardi: solo Stefano Germano, Roberto Guglielmi e Claudio Sabattini erano del cittadone, Elio Domeniconi genovese, Darwin Pastorin torinese, io marchignolo, Mino Allione e Serena Zambon veneti.
Fu Serena, bella e potente segretaria di Redazione, a farci scoprire Paolo Rossi. Che non era solo un calciatore del Lanerossi Vicenza ma una “invenzione” di Giussi Farina. Perfezionato, sul campo, da Gibì Fabbri da San Pietro in Casale, l’Altro Fabbri – dicevamo – per distinguerlo dal Mondino di Castel Bolognese, diventato famoso per aver trasformato il Mantova in un Brasile e l’Italia in una Corea. Non si viaggiava molto, al Guerin, ma a Vicenza ci andavo anch’io, a volte ospite della tavola tradizionale e generosa di Giussi Farina, quel che si dice un signore all’antica. Fissato sui giovani – avevo visto nascere Rivera e Bulgarelli, più tardi, per dire, anche Maradona a Baires e Baggio, pure a Vicenza – rimasi incantato dalla splendida semplicità di Rossi. Che chiamai subito Paolino per una sua certa fragilità complessiva, cominciando a narrarne le imprese. A differenza di tanti fuoriclasse, artisti del Bel Giuoco, piedi buoni o, come si diceva, poeti, Paolino era un artista del pallone mai lezioso, mai alla ricerca di giochesse fantastiche, bello nell’esecuzione del gol ma prima dell’attimo fuggente un corpo perfetto coordinato in una mossa obliqua da torre pendente nel cogliere la palla e metterla in rete. Bello, ripeto, anche se Brera lo diceva brevilineo, altri culobasso. E venne il giorno della prima copertina, la sua immagine come l’avevo voluta, il titolo banale ma significativo: “È nata una stella”.
Il resto della compagnia criticante arrivò con grave ritardo, noi Paolino l’avevamo adottato e già... incaricato di mettersi la maglia azzurra per onorare la Patria. Enzo Bearzot ci credette e lo portò al Mundial argentino, nel ‘78, contro il parere di tutti. Guerin escluso, naturalmente. Ebbi più d’una occasione di parlargli ma se ben ricordo non gli chiesi mai un’intervista.  Da quel punto di vista sembrava non aver nulla da dire. Non ne aveva voglia, semplicemente, perché non gli interessava diventare famoso. La prima volta che lo incontrai, credendolo pratese autentico, gli parlai dei “Maledetti Toscani” del suo concittadino Curzio Malaparte ma non fece una piega. E allora gli ripetei quel detto che inquadrava la singolare personalità dei suoi concittadini un po’ sbruffoni: “Son di Prào e voglio esse’ rispettào, pos’ì ssasso e mang’ì bbào”. (Sono di Prato e voglio essere rispettato, posa il sasso e mangia il verme). Insomma, come dicono i marchigiani, “magna e sta’ zitt”. Ma non fece una piega. Stette zitto, infatti. Così negli anni, sempre, quando ci si ritrovava felici nei luoghi del calcio – stadi e studi tv – senza smancerie. Non credo che si possa dire amicizia. Solo silenziosa condivisione di importanti fatti della vita.
E pensate che da questi dorati silenzi nacque una passione. M’ero fatto un’idea di Paolino, a quei tempi, ch’era professionalmente per lui negativa. Non amava atteggiarsi a divo, pratica che invece pagava; non amava le polemiche, talché prima di Baires 78 se lo filavano in pochi; giocava strano e non dava spunti per mandolinate classiche: mi accorsi, seguendolo da vicino ovunque, che fra i segreti della sua potenza di goleador c’è n’era uno appena visibile: i due secondi d’anticipo sul portiere dopo avere fatto fuori il difensore con la stessa rapidità. Bastava vedere i suoi avversari feriti dal gol: impietriti, ammutoliti. Forse ammirati. I vicentini impazzivano per lui, gli altri no – i fenomeni di provincia li celebri una volta eppoi li molli, non fanno vendere i giornali – anche perché la sua spontanea riservatezza gli toglieva punti. E mercato. Salvo poi vedere un giorno due protagonisti di vertice, Boniperti e Farina, azzuffarsi per lui a suon di centinaia di milioni che finirono per diventare scandalosi miliardi. E lui zitto. Bravo. Corretto. Discreto. 
Come dicevo, nel calcio i bravi e buoni han poco seguito, così come gli angeli sono meno popolari dei diavoli. Quando Paolino inciampò nel Calcioscommesse o Totonero, gran parte della critica fu felice di fargli pagare i silenzi (ad personam) visti come arroganza. E molto italiano accanirsi con un grande in caduta. Dicono sia coraggio, è vigliaccheria prodotta dall’invidia. E dire che Paolino non s’era mai pavoneggiato, aveva semplicemente ignorato quei personaggi che Giovanni Arpino aveva scolpito da poco in “Azzurro tenebra”: le Belle Gioie e le Iene. (Un giorno, a Valencia, chiesi all’Arp perché avesse scelto di confondere la sua immensa statura di narratore con gli scribi da stadio, si alzò da tavola, se ne andò e non ci parlammo più per anni). Io che Paolo Rossi lo conoscevo bene e lo sapevo forte di un’onestà naturale, debole di una generosità solidale, fui subito convinto che non avesse partecipato alla truffa di quei trafficanti romani di ortofrutticoli e partite di calcio. Né pensai mai a un reato così grave da spedire camionette di carabinieri il 23 marzo 1980 sui campi a prelevare gli sciagurati giocatori di pallone in diretta tivù su “90° Minuto”; mi convinsi, piuttosto, di una mossa clamorosa per distrarre il popolo da eventi politici tali da creare turbamenti governativi. Nel 1980, uno dei più importanti banchieri del mondo, Michele Sindona, era stato condannato dal tribunale di New York per frode. Fu l’inizio della fine per le attività illecite portate avanti dalla Loggia Massonica P2, importante e influente, con pesante coinvolgimento anche del mondo editoriale e dell’informazione in genere. Il nome di Pablito, già eroe di Argentina 78, si spendeva meglio di quello di Licio Gelli (lui pure molto noto e apprezzato in Argentina, per altri motivi...).
Le manette erano scattate per i giocatori Stefano Pellegrini dell’Avellino, Sergio Girardi del Genoa, Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson della Lazio, Claudio Merlo del Lecce, Enrico Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Guido Magherini del Palermo, Gianfranco Casarsa, Mauro Della Martira e Luciano Zecchini del Perugia. Altri ricevettero ordini di comparizione, tra cui, appunto, Paolo Rossi del Perugia, Giuseppe Dossena e Giuseppe Savoldi del Bologna, e Oscar Damiani del Napoli. Lo scandalo produsse solo frettolose condanne sportive: il 23 dicembre 1980 tutti gli indagati vennero penalmente prosciolti poiché il fatto non sussisteva. La sentenza arrivò a dire che l’eventuale combine costituiva per il Totocalcio solo un ulteriore elemento di imprevedibilità.
Il Guerin innocentista dava fastidio all’esercito di giustizialisti scesi in campo per massacrare i pedatori. Ma noi non mollammo la presa, finché i reprobi riacquistarono il diritto a riprendere la loro attività. Pubblicai una copertina significativa – HANNO AMMAZZATO PABLO, PABLO È VIVO – e proprio mentre stava infuriando la polemica sul suo ritorno in Nazionale voluto da Bearzot, parlai con il grande capo del calcio italiano, Artemio Franchi. Gli dissi d’impegnarsi a emettere un’amnistia per tutti i tesserati vittime del Totonero nel caso riuscissimo a vincere il Mundial, cosa di cui ero certo tant’è che il Guerin fu trattato da matto, come il sottoscritto. Franchi, pur essendo un amico, la pensava come la maggioranza degli italiani e rispose alla mia folle proposta con una risata: “Giuro che se vinciamo il Mondiale ci sarà la sua amnistia”. Così fu – ne rido ancor oggi – ma non fu la “mia” amnistia, il liberatore fu Paolo Rossi con i suoi gol. Tesserati condannati anche da decenni – personalmente in passato mi ero battuto inutilmente per Romeo Anconetani – riebbero la “fedina” pulita. Nei giorni dell’addio a Paolino s’è parlato solo dello scandalo, del processo e delle condanne, essendo gran parte dell’informazione ancora disturbata dal successo dell’Italia di Paolorossi e del suo Vecio sostenitore: Gibì Fabbri e Enzo Bearzot non erano stati solo i suoi maestri ma anche i suoi padri, impegnati a costruire il campione e l’uomo insieme.
A Barcellona la Nazionale soggiornava alla “Casa del Baron” e l’inappuntabile cronista Bruno Bernardi – uno dei pochi fuori della mischia degli avvelenatori quotidiani (ai quali tuttavia risparmio, la citazione, come avrebbe voluto Pablito) – riportò sulla “Stampa” la disposizione delle camere per i giocatori: Zoff-Scirea; Cabrini-Rossi; Causio-Selvaggi; Galli-Conti; Antognoni-Graziani; Dossena-Altobelli; Marini-Bergomi; Massaro-Vierchowod; Baresi-Collovati; Bordon-Oriali. Solo Tardelli e Gentile hanno una singola poiché «Schizzo» soffre di insonnia (Bearzot lo chiama affettuosamente il «coyote»). Un bischero innominato ne approfittò per creare intorno alla coppia Cabrini-Rossi l’idea che fossero gay, anzi maricones come subito li definirono spagnoli e brasiliani. La mossa idiota diede tuttavia il suo frutto: il silenzio stampa ordinato su richiesta di Bearzot dalla Federazione, gestito da Guido Vantaggiato, Carlo De Gaudio e in concreto da Dino Zoff, l’unica voce azzurra (la voce del silenzio) a disposizione dei criticonzi. Molti dei quali – nutriti di astio più che di competenza – pretendevano che al posto di Rossi ci fosse Pruzzo, capocannoniere del campionato. Bearzot, fedele alle scelte già fatte in Argentina, aveva semplicemente sostituito con Pablito “Penna Bianca” Bettega, infortunato. Ci fu anche chi prese sul serio la scelta del Vecio, un ritaglio dell’“Unità” lo certifica: “Grosso allarme, poi in parte rientrato, all’allenamento che gli azzurri hanno sostenuto nel tardo pomeriggio a Pontevedra. A un certo punto Paolino Rossi si è infatti bloccato durante gli esercizi atletici, ma il medico subito intervenuto ha fugato ogni più grossa preoccupazione e ha accertato trattarsi di una lieve forma di sciatalgia. Il malanno, trattato subito in modo energico, potrebbe essere presto assorbito ed è anzi probabile che non impedisca a Rossi di schierarsi al suo posto nella partitella prevista per oggi contro una formazione giovanile del Pontevedra”.
Un giorno potei incontrare Paolino perché a me era consentito accedere al ritiro come solitario profeta della Vittoria Azzurra; pochi altri erano infatti amichevolmente vicini a Bearzot e alla Nazionale – come Giovanni Arpino e Pier Cesare Baretti – mentre io già la “vendevo” mondiale, dunque trattato da mentecatto, tuttavia sostenuto dall’editore del Guerin, Luciano Conti, che si fidava di me e arrivò a godere il giorno delle trecentoquarantamila copie con la copertina di Dino Zoff con la Coppa imitata da Renato Gattuso. In quell’occasione un vecchio collega di Budapest mi pregò perché chiedessi a Bearzot di fargli intervistare Pablito per la tv ungherese. “Impossibile – mi disse Enzo – c’è il silenzio stampa, vero Guido?”. E Guido Vantaggiato rispose: “Il silenzio vale solo per la stampa italiana. Non possiamo negarci al mondo”. Finimmo in un salottino, il collega, l’operatore con la telecamera, io e Paolino che si presentò sicuro, con il miglior sorriso dai tempi di Baires. Rispose a tutte le domande e ogni tanto mi guardava con complicità. Alla fine lo salutai e non ci dicemmo niente, come nei tempi successivi. Potevo aspettarmi un grazie ma non lo volevo. Lo ebbi, comunque, quando Paolino, il nostro Paolino, Guerinetto ad honorem, segnò tre gol al Brasile al Sarria e sollevò la Coppa al Bernabeu. Era rinata una stella che non cadrà mai.
 
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