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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Dagli ultras a Rossi, le follie del calcio italiano: in venti giorni svanito l'effetto Morosini

Gigi Garanzini - sole 24ore.it - 3-05-2012

Vedete un po' voi a che servono in questo povero Paese le pause di riflessione. Era sabato 14 aprile, nemmeno 20 giorni fa, quando il calcio scelse di fermarsi perché davanti alla morte di Morosini non aveva senso continuare. Ci farà bene, fu l'opinione generale espressa – e conclamata - dagli attori protagonisti e non (calciatori, allenatori, dirigenti, tifosi), queste sono le occasioni in cui da una tragedia può nascere un calcio migliore, una catarsi.

Detto fatto. Sette giorni più tardi si ricomincia. I primi a riprendersi la scena sono gli ultras, genoani nella fattispecie. Lo spogliarello a distanza cui sottopongono i loro giocatori sotto gli occhi di dirigenti, forze di polizia e, soprattutto, telespettatori di ogni ordine, grado e latitudine, non ha precedenti nella storia del nostro calcio.

Passa un'altra settimana. E scoppia a Udine da parte di giocatori e dirigenti della Lazio un parapiglia che di precedenti ne ha, per la verità. Ma che a due settimane di distanza da quella domenica di silenzio, di rispetto e di buoni propositi il suo effetto comunque lo fa.

Arriviamo così a ieri sera. Essendosi ormai coperti di gloria ultras, giocatori e dirigenti tocca alla categoria degli allenatori rispondere all'appello. Si immola Delio Rossi, con un inedito assoluto, l'aggressione tanto violenta quanto patetica di un tecnico verso un giocatore per quanto indisciplinato e villano. Un esperto in psicologia dello sport ci direbbe, con tutta probabilità, che questi sono i frutti avvelenati di una partita ogni tre giorni, di stress non compensati da un corretto periodo di smaltimento. Ed è certamente vero che rimetter mano a un calendario follemente ipercompresso sarebbe buono e giusto. Ma anche un'occhiatina alla legge Basaglia potrebbe non guastare.

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Atalanta e Novara:

pronti i deferimenti

Slitta quello del Lecce

I provvedimenti della settimana prossima riguardano la B

della stagione scorsa. Palazzi aspetta il dossier Masiello

di MAURIZIO GALDI (GaSport 04-05-2012)

In attesa delle ultime novità da Cremona e dei faldoni di chiusa inchiesta da

Bari e Napoli, il Procuratore federale Stefano Palazzi è al lavoro con i più

stretti collaboratori per scrivere i deferimenti del primo troncone

dell’inchiesta di quest’anno. Gli uomini della Procura stanno leggendo i

verbali che la parte investigativa ha raccolto dal 29 febbraio al 26 aprile

con una piccola appendice oggi (Tomas Locatelli già sentito il 19 aprile).

Lunedì o martedì arriveranno i deferimenti che riguardano club e tesserati di

B e Lega Pro. Anche in questo caso c’è un’«appendice » e riguarderà due

società che quest’anno sono in A, ma quando si sono svolti i fatti erano in B:

Atalanta (ci sarebbero le gare con l’Ascoli e il Padova, oltre a quella col

Piacenza già punita con Doni) e Novara (partite con Chievo, Ascoli e Siena)

secondo Gervasoni «imputabili» a Bertani.

Stralcio È rinviata alla seconda parte del procedimento sportivo la parte più

«calda», quella che riguarda la serie A. In questo filone viene «rinviata» la

definizione della posizione del Lecce che, secondo le dichiarazioni raccolte

dalla magistratura cremonese (Brescia-Lecce e Lazio-Lecce), Palazzi aspetta

anche le carte da Bari e il verbale di Masiello che coinvolgerebbe i salentini

anche per il derby Bari-Lecce. Proprio per lo «slittamento» della serie A, la

Procura federale non si è affrettata a riconvocare il presidente del Siena

Massimo Mezzaroma e l’allora tecnico dei toscani Antonio Conte, si aspetta la

fine del campionato per cominciare la seconda e serrata tornata di audizioni.

Serie B AlbinoLeffe, Ascoli, Bari e Grosseto sono le società che maggiormente

sono state chiamate in ballo dai «pentiti» Gervasoni e Carobbio, ma

ultimamente grazie alle audizioni di Narciso e Tamburini, le luci della

Procura federale si sono focalizzate anche sulla Reggina (di cui è stato

sentito l’ex d. s. Rosati) per una presunta combine in Grosseto-Reggina.

Purtroppo proprio per la serie B il lavoro degli uomini di Palazzi è molto

complesso. Oltre alle società già citate, nei verbali di Gervasoni e Carobbio

emergono anche partite del Modena, del Piacenza, del Padova, del Mantova.

Sempre nei verbali ci sono gare di Brescia, Crotone, Empoli, Livorno, Pescara,

Sassuolo e Varese, ma con responsabilità sfumate o nulle. Infine un discorso a

parte merita il Verona (sempre da Gervasoni), per partite del 2006 e 2007.

-------

TIFOSI, GIOCATORI E TECNICI (GIORNALISTI NO?, ndt):

IL CALCIO E' CONTAGIATO DALLO SPIRITO ULTRA'

di ANDREA sfiduciato MONTI (GaSport 04-05-2012)

Benvenuti all'ultimo stadio. Ci mancava solo Delio Rossi versione toro

scatenato che suona come un tamburo il riottoso talentino Ljajic per

completare un catalogo di follie che sta facendo il giro del mondo. In soli

venti giorni, il calcio italiano è riuscito nella memorabile impresa: ha

mostrato senza filtri né vergogna la profondità delle sue patologie,

illuminando in modo solare il male oscuro che rischia di divorarlo. Le

immagini si rincorrono di fronte ai nostri occhi, solidificano nello

sbalordimento, ci ipnotizzano più dei gol di Messi. Inedite pazzie di tifosi,

giocatori e tecnici si aggiungono alle consuete baruffe tra presidenti. Tutti

uniti nel contagio. Come accade a ogni consorzio umano senza governo, la

società del pallone si allinea allegramente al minimo livello comportamentale,

si accomoda in curva, confida nella legge del più forte. O vi soggiace, che è

lo stesso. Puntare il dito contro i soliti dissennati, e solo loro, è pura

ipocrisia. L'intero nostro calcio sta diventando ultrà. Urge riportarlo alla

ragione.

Domani, ne sono certo, qualcuno ci accuserà di procurato allarme. E allora

conviene allineare i fatti, le date, i colori. 22 aprile, Genoa-Siena: un

gruppo di scatenati festeggia la ripresa del campionato dopo la tragedia di

Morosini imponendo ai rossoblù sconfitti di togliersi la maglia in mezzo al

campo, versione aggiornata della gogna medievale. Preziosi e la polizia

acconsentono nel timore del peggio. 28 aprile, Roma-Napoli: i giallorossi sono

convocati sotto la curva sud e duramente insultati, Totti li ascolta poi

risponde un immortale "E che ce posso fà?". 29 aprile, Udinese-Lazio: cinque

minuti di delirio biancoceleste per un gol inutile convalidato all'ultimo

secondo, cazzotti, improperi, arbitro spintonato, ma niente fulmini, solo una

pioggerellina di squalifiche. 2 maggio: il quarto uomo finge di non vedere la

rissa sulla panchina viola, Rossi si riassetta la giacca e fa cenno che tutto

va bene. Tocca a Della Valle esonerarlo giustamente mentre la giustizia

sportiva gli infligge tre mesi di squalifica, pena assai mite.

La maggioranza dei tifosi, invece, lo assolve con formula piena. Strano?

Mannò, in fondo va bene così. La crocifissione di un allenatore che conosciamo

come professionista serio e competente, sebbene colto da insolito raptus

omicida, servirebbe solo a scaricare le coscienze di fronte a un panorama

desolante e molto più vasto. Mentre già inizia la stagione dei deferimenti, lo

scandalo delle scommesse non ha aperto alcun serio dibattito tra i presidenti,

le istituzioni e l'associazione dei calciatori. Eppure l'enormità di ciò che

emerge dalle procure, più di altre questioni, avrebbe meritato un bel "tavolo"

chiarificatore. Meglio continuare ad accapigliarsi sui quattrini e sulle

moviole: tutto sommato è un rito rassicurante. Ci siamo abituati. O no?

Non proprio. Lo rivela un sondaggio pubblicato dalla giornalaccio rosa qualche

giorno fa: otto appassionati su dieci ritengono che il nostro calcio non sia

più credibile. E che per raddrizzarlo servano punizioni severe. L'esperienza -

rafforzata dal caso di Delio Rossi - ci rende scettici nei confronti del

giustizialismo demoscopico, parente strettissimo del moralismo politico. Più

concretamente servirebbe ristabilire l'ordine e il senso delle gerarchie

restituendo ai valori il primato sul valore, come lo sport impone. Per una

volta Petrucci, Abete e Beretta sono concordi sul punto. Bene, ora agiscano.

Nel calcio, l'etica è il presidio più solido del business. Un brutto

spettacolo o uno spettacolo falsato, alla lunga, non interessa a nessuno. Più

che la Provvidenza, speriamo sia la convenienza a salvarci.

___

LA BOTTEGA di SERGIO NERI (CorSport 04-05-2012)

LA FRUSTATA DI AUGIAS

E IL FIGLIOLETTO DI TOTTI

L' altro giorno ha fatto capolino da qualche parte sui giornali la foto del

piccolo Totti. Sei anni e un faccino raggiante d’innocente felicità (detto tra

noi più somigliante alla mamma che al papà e per questo bellissimo). Indossava

una maglietta da calciatore e infatti quella maglietta era la divisa del club

o scuola calcio della quale faceva parte. Un bel gioco per accendere una

passione destinata probabilmente ad infiammarsi strada facendo. Ma se anche il

piccolo Cristian non diventerà un campione e magari neppure un calciatore, la

strada sulla quale i genitori l'hanno incamminato sarà sicuramente una

preziosa palestra per la sua vita.

E' la strada sulla quale tutti i genitori dovrebbero indirizzare i loro

piccoli e che la scuola dovrebbe poi proporre infondendo così nei più giovani

non solo una passione sportiva che di certo non guasta, ma anche uno spirito

che renderà in futuro un grande servizio alla società. Una società formata da

persone che in gioventù hanno catturato lo spirito che alberga nello sport

sarà più ricca di valori e più rispettosa delle regole che sostengono la

comunità.

Purtroppo in queste ultime settimane son successe cose molto sgradevoli negli

stadi ed è stato molto triste doverle subire dopo un lungo periodo di

apparente tranquillità. Non che ci fossimo dimenticati di passate prove di

violenza ma era fiorita in tutti una piccola speranza. Che il teppismo del

quale la nostra società è infarcita avesse quanto meno fatto vela verso altri

orizzonti o, meglio ancora, si fosse affievolito. Gli ultimi episodi hanno di

nuovo mostrato la faccia vulnerabile del calcio e degli stadi ed hanno

alimentato molte critiche alcune delle quali francamente non condivisibili.

Ha scritto Corrado Augias, illuminato e colto osservatore del costume e quasi

sempre puntuale censore dei nostri peccati, che "il calcio italiano è in buona

parte putrido, da qualunque lato lo si guardi, con corruzione e violenza

diffuse. Avendone il coraggio andrebbe chiuso per un certo periodo, per poi

ripartire da zero".

Alle parole di Augias, hanno fatto eco i messaggi della signora Tymoshenko,

imprigionata in Ucraina, la quale di fronte alla solidale reazione di

un’Europa disposta a togliere al suo Paese i prossimi campionati d'Europa, pur

denunciando il suo dolore per i patimenti che le impongono, ha chiesto che non

si rinunci al calcio, dato il messaggio che questo sport può diffondere tra i

popoli e la bellezza dei suoi valori proposti ai ragazzi.

Fermare il calcio, come suggerirebbe Augias, vorrebbe dire darla di vinta ai

violenti, ai corrotti, a tutti coloro che nello splendido mondo della passione

dei ragazzi, speculano travolgendo regole e cancellando sogni. Non è forse il

mondo dello sport quello che ancora accende nei più giovani (anche il

figlioletto di Totti) un sogno sostenendo la loro passione e aiutandoli a

crescere nel rispetto degli altri, compagni di gioco o rivali sul campo? E non

è questa una grande scuola di vita della quale la nostra società ha bisogno?

Hanno ragione coloro (il capo della polizia Manganelli e la Cancellieri,

ministro degli Interni) che invocano stadi più adeguati, moderni e strutturati

per garantire alle famiglie una serena partecipazione agli eventi. In Germania

il progetto lo hanno realizzato e lassù il calcio è una splendida occupazione

del tempo libero, un tema che coinvolge padri e figli, amici e nemici, in un

piacevole dibattito fatto anche di sentimenti. Questo sì è il punto di

partenza d'un progetto che deve sostenere il calcio, bene prezioso di tutti e

soprattutto dei ragazzi, liberandoli dal morso di una violenza che purtroppo

alberga dovunque. Non è violenza anche l'appropriazione dei beni pubblici da

parte di molti politici e non è istigazione alla violenza il dibattito cruento

che da anni le televisioni ci impongono per mostrarci, ahimè, come chi ci

dirige affronta e dipana (male) i nostri problemi?

___

Arbitri reticenti, uno spreco

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 04-05-2012)

MONTI ci ha chiesto di avvisare il Governo se ci dovessimo accorgere di

sprechi nelle pubbliche amministrazioni. Bene, noi segnaliamo l’inutilità e il

danno di pagare 4 arbitri e in futuro anche sei se poi si comportano come

Tagliavento in Genoa-Siena, Bergonzi in Udinese-Lazio e la quaterna di Firenze

(arbitri Giannoccaro e quarto Tommasi) tutti assai reticenti nei loro referti,

spesso richiamati dal Giudice sportivo a descrizioni più puntuali di quanto

avvenuto in circostanze clamorose, solari o acusticamente intellegibili. Fosse

stato per loro non sarebbero arrivate le maxi squalifiche per il Genoa e Delio

Rossi. Stando a quanto riferisce Bergonzi, invece, il fischio della discordia

a Udine non c’è stato. Roba da tre scimmiette: se poi ti deve risolvere tutto

la prova tv, Monti eviti lo spreco e ad arbitrare ce ne mandi uno solo, munito

di occhi, orecchi e penna pronti. Senza bisogno della solita telefonata del

Giudice che chiede chiarimenti di ciò che è chiaro.

___

Retrocessione del pallone italiota

di OLIVIERO BEHA (il Fatto Quotidiano 04-05-2012)

Retrocessione generale La brutta storia di un signore col più anonimo dei

cognomi è in realtà la storia di una retrocessione. Non parlo di quella della

Fiorentina, per carità, solo paventata, anche se nel calcio la parola

“retrocessione” viene immediatamente ed esclusivamente collegata a un

passaggio alla categoria inferiore. Per lo meno non parlo della retrocessione

in B come se ne parla nel giornalismo sportivo. Perché, vedete, il punto è che

in realtà con quel gesto manesco eppure grandemente simbolico Delio Rossi è

già retrocesso. È già retrocesso il serbetto viziato Liajic che l’ha provocato,

è retrocesso il club che è stato ormai da tempo guidato in modo disastroso.

È retrocesso tutto il sistema di vigilanza “giudiziaria” in campo, perché

arbitro, assistenti, quarti e quindicesimi uomini in campo hanno “tollerato”

una scena da lite di strada, alla faccia di tutto quello che si dice e scrive

retoricamente sulla necessità del “fair play” del calcio nostrano, e

internazionale. È retrocesso il clima ambientale, sociale, economico,

culturale se l’aggettivo non vi sembra troppo azzardato, in cui il nostro

pallone rotondocratico e rotondolalico galleggia sconsolato, sempre più

appesantito dagli scandali. È retrocesso qualunque rapporto interpersonale e

interprofessionale decente, in un habitat in cui conta solo il denaro anche se

qualcuno si ostina con pervicacia intellettualmente truffaldina a chiamarlo

ancora “gioco” se non addirittura “sport”. È retrocesso quel minimo sentore

pedagogico intrinseco nel rapporto tra giocatori e allenatore, in una deriva

che trascinandosi dietro il crollo di qualunque autorità e autorevolezza ha

travolto una persona capace, preparata, umana, “mite” (cfr. la definizione del

Della Valle jr) come Delio Rossi, assurto da mite a “mito” negativo.

È RETROCESSA una filiera sana che porterebbe dalla dirigenza societaria allo

staff tecnico ai calciatori, filiera spezzata ormai da tempo dalla gestione

monopolista e penalmente dubbia dei procuratori, che incamerano ormai

calciatorini già di dodici-tredici anni, in una dittatura del soldo che

sbiadisce qualunque valore. E questa retrocessione complessiva pallonara

naturalmente è una faccia importante, macroscopica, popolare con tutto il

segno negativo che dobbiamo oggi a questo aggettivo, del prisma di un degrado

italiano più generalizzato: la stessa domanda “come poteva sfuggire il mondo

del pallone al precipizio del sistema-Paese” cui assistiamo quotidianamente è

una domanda retorica con inutile risposta assertiva. Quello che accade al tifo,

nato lo ricordo come malattia…, con gli episodi che si rincorrono negli stadi

ci dice molto del baratro, e ce lo dice in diretta tv. Se lo spettacolo è

questo, certo non mi viene in mente di giustificare il signor Delio con la sua

scucchia alla Totò e il suo ostinato chewing-gum trasformatosi in pugilatore

d’accatto, ma di capirlo sì. È uno tsunami, ragazzi, non una pioggerella di

stagione.

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Inviato (modificato)

IL «SIGNOR» ROSSI

I pugni di un uomo perbene all’ipocrisia

Il calcio marcio e pieno di stronzetti cerca un capro espiatorio: Delio ha sbagliato ma merita il perdono

di GIAMPIERO MUGHINI (Libero 04-05-2012)

Mercoledì scorso, a poco più di trenta minuti dall’avvio della 36° giornata

del torneo di calcio di serie A, un uomo di 52 anni che di mestiere fa

l’allenatore di calcio e che tutti dipingono come persona solitamente perbene

e a modo, Delio Rossi, ha perso la testa e dunque la misura dei suoi

atteggiamenti e delle sue reazioni. Sfottuto e irriso da un suo giocatore che

aveva appena sostituito, Rossi si è avventato contro di lui, letteralmente

avventato. A mani nude lo ha colpito, più ancora ha tentato di colpirlo. Con

ferocia, completamente dimentico che il suo avversario era solo uno stronzetto

di vent’anni. La società di calcio che a Rossi pagava lo stipendio, la

Fiorentina di proprietà dei fratelli Della Valle, lo ha subito licenziato e

già sostituito con un altro allenatore, Vincenzo Guerini. Anche il giocatore

che ha irriso il mister, uno che sino al momento della sua sostituzione non

aveva letteralmente toccato palla, sarà punito e multato. I giornali di ieri

erano compatti nel deprecare il comportamento del mister, e figuriamoci se non

siamo d’accordo nel deprecare chi usa le maniere forti: chi pensa di vedere

meglio rappresentate le sue ragioni dai cazzotti e dai calci.

E a proposito di calci, resta memorabile nella storia del football moderno

l’episodio di quel grande giocatore francese che militava in una squadra

inglese, Eric Cantona, il quale all’uscita di una partita dove forse non aveva

brillato, si trovò di fronte un tifoso esasperato che insultò e Cantona e sua

madre. Al che il grande giocatore francese (squisito protagonista più tardi di

un film che gli è stato dedicato) gli sferrò un gran calcione al petto al modo

delle arti marziali giapponesi. Un gesto acrobatico e superplateale che gli

costò non ricordo più quante giornate di squalifica. Tante. Fossi stato al

posto di Cantona, che cosa avrei fatto? Esattamente quel che fece lui e anche

se non so nulla di arti marziali giapponesi.

Voglio dire con questo che ogni volta è giustificato e giustificabile un

“eccesso di legittima difesa”? Ma certo che no. Per questa strada si finirebbe

col giustificare l’automobilista che alcuni anni fa uccise con un punterolo un

altro automobilista reo di averlo sorpassato. Ma certo che Delio Rossi non

doveva mettere le mani addosso allo stronzetto, e per quanto si fosse

comportato da stronzetto. No, non doveva assolutamente. Epperò il discorso non

finisce lì, se vogliamo capire a fondo e i personaggi e le situazioni di cui

ci stiamo occupando.

In fatto di reazioni di giocatori sostituiti, noi che amiamo il calcio

abbiamo a disposizione un intero album di ricordi e di immagini. Le tante

volte che Fabio Capello sostituì Alex Del Piero, e da quest’ultimo mai una

parola, mai un ghigno. La volta che il mister della nazionale italiana

sostituì Giorgio Chinaglia durante una partita in cui era stato pressocché

nullo, e lui subito si esibì nel gestaccio. (E basterebbe questo a dire la

distanza fra due giocatori come Del Piero e Chinaglia).

La faccia attonita di Roberto Baggio la volta che Arrigo Sacchi lo mise fuori

perché la nazionale era rimasta in dieci e a lui occorrevano guerrieri prima

che poeti: Baggio fece la faccia stupita ma nient’altro che questo. Il

giocatorino della Fiorentina di mercoledì sera, è invece andato molto oltre. A

quanto mi riferiscono gli amici che curano le pagine sportive di Libero, prima

ha irriso Rossi e poi lo ha insultato “pesantemente”. E non che Rossi avesse

fatto qualcosa di personale contro di lui, solo aveva reputato che alla

squadra occorresse uno migliore al posto di Ljajic, il giocatore congedato. Ha

agito da mister, non da kapo in un lager. Ha fatto quel che fanno Allegri o

Conte, sostituire ora Pato ora Vucinic. Che succederebbe in quei casi se Pato

o Vucinic o chiunque altro si mettessero a fare gestacci e pernacchie e

allusioni alla famiglia dei mister in questione? E poi, come dimenticare che

stiamo parlando di un ambientino che non somiglia all’Accademia dei Lincei ma

molto di più a un circo o a una corrida dove tutto è esasperato e fuori misura?

Dalle curve di tutti gli stadi dove sono pronunciati ogni ora e ogni minuto

gli insulti più belluini ai giocatori di pelle nera, a quello stadio di Genova

dove orde di tifosi si sono precipitati giù in campo a minacciare e ricattare

i giocatori che in quel momento indossavano la maglia del Genoa. Squisitezze

su squisitezze, e chi più ne ha più ne metta.

-------

Mi pare che...

Caro Gigi rialza subito la testa

Un errore non macchia la leggenda

di LUCIANO MOGGI (Libero 04-05-2012)

C’è quel detto anche abusato che dice di “dimenticare Venezia” e di andare

avanti. Più facile a dirsi che a farsi, ma è la medicina da assumere,

prendendo il buono che resta. La Juve è sempre prima, un punto che vale due:

il colpo è stato duro, ma è solo l’effetto della botta per come è avvenuta.

L’intontimento deve però svanire: la situazione è cambiata, l’avversario è in

solluchero, occorre vincere le due partite che restano. Ma la Juve attuale è

in condizione di far suo questo ragionamento. Probabilmente alla fine resterà

solo la paprika che questo scenario ha dato al campionato.

Certo chissà ora come reagirà Buffon. Sul campo è apparso impietrito, non

diversamente dovette sentirsi Giuliano Sarti nel ’67 dopo aver subito a

Mantova un gol che fece perdere lo scudetto all’Inter, a favore indiretto

della Juve. Ma quella era una strada senza ritorno, diversa la situazione di

oggi, che lascia ampi spazi di recupero e può e anzi deve indurre Buffon a

ritrovare sorriso e ottimismo.

Tra tante parate leggendarie resterà una sola sbagliata da mettere da parte.

L’ha rincuorato lo stesso Cosmi, sorpreso da tanta grazia e forse perché

presago che il punto gli servirà a poco.

È comunque un campionato da luna storta che fa perdere la testa anche a chi

proprio non ti aspetteresti. Non sappiamo che cosa sia passato per la mente a

Delio Rossi, ma qualunque cosa sia stata, è stata sbagliata. Un allenatore non

può prendere a pugni un proprio giocatore. L’atteggiamento di Ljajic dopo la

sostituzione deve essere stato più di una provocazione, ma andava affrontato

con le sanzioni previste e nelle sedi giuste, non a pugni sul campo e sotto

gli occhi delle telecamere. La Fiorentina ha reagito con prontezza pari al

clamore dell’evento, ma noi dobbiamo anche chiederci che cosa stia accadendo

nel calcio: il senso della misura si è perso e ciò che sembrava appartenere

solo a tifosi esagitati prende ora anche i protagonisti, come accaduto con la

rissa finale di Udinese-Lazio. Il pesce di solito puzza dalla testa. Qualcuno

s’inalbera se dico che c’entra il deficit di autorità di Lega e Figc?

La lotta per il terzo posto ha sorriso al Napoli e all’Udinese, poco alla

Lazio, per niente all’Inter, sotto 3-1 con ilParma. L’effetto Stramaccioni si

è dissolto davanti al piccolo gigante Giovinco: all’Inter restano le ortiche,

più o meno come alla Roma, incapace di andare a rete nel pantano di Verona.

Luis Enrique dice che non è stata una partita di calcio, ma di pallanuoto:

avesse visto quella di Perugia! Lucho in fuga, Baldini tenta di fermarlo: se

non riesce nell’intento dice che andrà via pure lui (ma chi ci crede?).

Intanto però il fallimento del progetto c’è già tutto.

Napoli in brodo di giuggiole per il 2-0 sul Palermo e in vantaggio per la

classifica avulsa, ma Zamparini accusa l’arbitro (rigore inventato per il

Napoli e uno non dato al Palermo) e tuona: «Ora è peggio di Calciopoli ».

Meglio tardi che mai, aggiungiamo noi, tanto più che si è fatto sentire anche

Beccantini in un’intervista a un sito abruzzese: «Calciopoli una guerra di

bande, con troppo Moggi», nel senso di Moggi indicato sempre come capro

espiatorio. «Tutti - aggiunge Beccantini - lamentavano il diritto alla difesa,

tutti si difendevano da tutti con vari sistemi e a vari livelli. Giraudo e

Moggi sono stati puniti, la Juve ovviamente anche. Altri molto meno». No, caro

Beck, altri niente affatto. Ma se era guerra di bande, e i dirigenti della

Juve sono stati fatti fuori per volontà pervicace di Abete, quale banda opera

attualmente, se oggi è peggio di ieri?

Modificato da Ghost Dog

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Delio Rossi or Mario Sconcerti?

That is the question

di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA (l'Espresso.it 04-05-2012)

Pare che un tizio anni fa, tale Sciarra Colonna, abbia preso a schiaffi il

papa. Non è dato sapere se il pontefice in questione (Bonifacio numero otto,

ai tempi era il numero della mezzala destra) avesse ironicamente applaudito o

magari ingiuriato il Colonna. E neppure del ceffone vi è certezza, in assenza

di telecamere. Ma, insomma, se si può tirare una piña (vedi alla voce Paolo

Montero) al rappresentante della Ss Triade sulla terra, figuriamoci che sarà

strapazzare un calciatorino serbo di scarso rendimento a nome Adem Ljajic, di

anni 20.

La vox populi di internet pare avere sentenziato che lo schiaffeggiatore

Delio Rossi sia dalla parte della ragione e che Ljajic se la sia cercata con

il lanternino.

Poche volte si può assistere a una frattura così completa tra opinione web e

opinione su carta stampata. Sui giornali l’ex mister della Fiorentina dei

Della Valle è stato condannato in modo unanime. Lui stesso, poveraccio, si è

scusato senza invocare attenuanti. Dopo il fattaccio, ignorato sul momento da

arbitro e quarto uomo nonché negato da Rossi a bordo campo con un’espressione

degna di un alunno delle elementari (non c’è problema, fa segno all’arbitro,

non è successo niente), l’allenatore ha incassato un doloroso licenziamento

per giusta causa (niente più stipendio da subito) e una ridicola squalifica a

tre mesi coincidente con il periodo estivo.

La Rete ha reagito alla presunta ingiustizia con un appoggio generalizzato al

gesto di Rossi. Tra i pochi a ribellarsi all’andazzo c’è stato il giornalista

e tifoso viola Mario Sconcerti. L’anchorman di Sky ha continuato a ripetere in

ogni sede un’ovvietà assoluta. Nulla giustifica il pestaggio di un ragazzo di

20 anni che, peraltro, neppure si difendeva e che, forse, non è il maggiore

responsabile della stagione penosa della Fiorentina.

Nei dintorni dello stadio, sulle gradinate, negli spogliatoi, nei tunnel e su

un campo di calcio, sono successe cose enormemente più gravi di quello che si

è visto in Fiorentina-Novara. La giustizia sommaria da parte dei tifosi, le

risse di fine partita tra compagni di squadra, la leggendaria scarpata tirata

da sir Alex Ferguson a un Beckham fuori forma, fanno parte del gioco più amato

del mondo.

Di solito, i misfatti vengono condannati in forma ufficiale e lievemente

ipocrita in attesa del misfatto successivo.

Ma oggi finalmente, grazie alla libertà di espressione che il web garantisce,

si può esprimere una verità alternativa e dire che è arrivato il momento di

finirla con questi stronzetti di calciatori capricciosi e strapagati, che i

giornalisti sono pennivendoli nemici del calcio e del tifo, che i giudici di

Calciopoli sono gli esecutori di un complotto o, cambiando argomento, che le

Torri Gemelle sono cadute perché i vetri erano puliti male.

Allora, se bisogna scegliere fra Sconcerti e Rossi, questo blog lo fa

dichiarandosi ipocrita. Un ceffone al ragazzino si poteva dare, soprattutto se

ha insultato. Ma se proprio si doveva (e non si doveva), bisognava darglielo

secondo le regole non scritte del football, tra le mura dello spogliatoio.

Questa ipocrisia avrebbe almeno evitato il disprezzo pubblico e ostentato

delle regole che è lo sport più alla moda dalle nostre parti, e non solo negli

stadi.

Quindi, senza rancore per il mister licenziato, questa volta vince Sconcerti.

A Delio Rossi l’augurio di un pronto ritorno in panca.

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CONTROMANO di CURZIO MALTESE (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012)

VIOLENZA E CORRUZIONE

INTORNO AL CALCIO?

C’È POCO DA STUPIRSI

Il calcio è sempre stato circondato di violenza, in passato più di adesso, e

l’elogio del buon tempo andato è anche in questo settore, come in quasi tutti,

un puro esercizio retorico. I tifosi del Genoa che hanno costretto i

calciatori della squadra a togliersi le maglie sono pronipoti dei genoani che

nel ’25, alla stazione di Torino, spararono colpi di pistola ad altezza uomo

per salutare l’arrivo del treno con i tifosi del Bologna, rivale per lo

scudetto. Comunque la si pensi, fra le revolverate e la sceneggiata dell’altra

settimana, si può constatare un’evoluzione positiva della specie.

I gruppi di ultras che popolano il Paese sono incomparabilmente meno violenti

di quelli degli anni 70 o 80, drogati di cattiva politica. Però sono molto più

numerosi, visto che ormai non c’è una squadra di terza categoria senza gruppi

di tifo organizzato, pronti alla battaglia contro gli ultras del borgo vicino.

Per la banale considerazione da antropologi di strada che le guerre vere sono

sempre più lontane, grazie al cielo, e ogni nuova generazione ha bisogno di

sfogarsi con guerre simulate. Certo, sarebbe meglio risolvere con la

vituperata playstation...

Non è cambiato neppure l’atteggiamento di complicità delle classi dirigenti

con la delinquenza delle tifoserie. Il regime fascista interveniva ovunque, ma

non nelle curve degli stadi. E per anni, quando facevo il giornalista sportivo,

mi sono chiesto come mai in un spazio chiuso come uno stadio, con duemila

poliziotti e carabinieri – in servizio o in borghese e con biglietto gratis –

si potesse assistere alle imprese criminali di poche centinaia, a volte poche

decine, di facinorosi.

La verità è che la polizia ha l’ordine di non reprimere. E la magistratura

usa i guanti di velluto. Le condanne ai tifosi sono rare, soprattutto se

confrontate con quelle di altri Paesi, e i divieti di andare allo stadio

vengono aggirati. La stessa magistratura sportiva, davanti a scandali

clamorosi, al massimo dà qualche punto di penalizzazione. Eppure tutto il

mondo sa che molte partite italiane sono truccate. Ogni anno cresce la lista

di quelle che i bookmaker stranieri si rifiutano di quotare per il sospetto di

imbrogli. Del resto, siamo un Paese molto tollerante con la corruzione a tutti

i livelli, perché nel calcio dovremmo essere diversi?

La sorpresa è semmai che, in un ambiente così incoraggiato a dare il peggio,

resistano belle storie. Il Pescara di Zeman che dà spettacolo in B. La

Juventus rinata dagli scandali dell’epoca Moggi che vince con un gioco bello e

onesto (detto da un milanista). Speriamo anche la nazionale di Prandelli,

altra figura esemplare. Per ripulire il resto, occorre una volontà politica

che non esiste in alto e forse neppure fra i cittadini della repubblica del

pallone.

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IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012

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IL CALCIO? LO SALVERANNO

SOLTANTO I BAMBINI.

PAROLA DI PRANDELLI

IL CT AZZURRO SCRIVE UN LIBRO SULL’ETICA E LO SPORT. ALLA VIGILIA DEGLI EUROPEI, IN MEZZO

ALLO SCANDALO SCOMMESSE E TRA LE VIOLENZE DEGLI ULTRAS. E PROPONE UNA SOLUZIONE

di MAURIZIO CROSETTI (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012)

BRESCIA. Contro un calcio allo sbando, il ct della nazionale ci spiega che

l’unica salvezza è ricominciare dai bambini. Anzi, dalle mamme e dai papà. Ed

è proprio per i genitori di tanti ragazzini alle prese col sogno del calcio

che Cesare Prandelli ha scritto, insieme con il giornalista Giuseppe Calabrese,

un libretto agile e profondo, una bibbia portatile con i comandamenti per non

smarrire strada e sentimento in quella terra di confine che si colloca tra

allenare ed educare: verbi simili, purtroppo non sinonimi.

In un momento di gravissima crisi morale, tra scommesse illegali e violenza

ultrà, Prandelli comincia la sua analisi dal rispetto delle regole: «Credo sia

il cuore del problema. Senza le regole, tutto diventa possibile. Gli

incredibili e recenti fatti di Marassi, a Genova, con un intero stadio in

ostaggio di pochi violenti, lo dimostrano. Lo sport non può essere terra di

nessuno».

Il libro si intitola Il calcio fa bene: ma cosa, invece, gli fa male?

Quanto, di questo male, siamo tutti costretti a sopportare?

«Gli fanno male i fanatismi, gli eccessi, la perdita totale

dell’autocontrollo. E io credo che si debba guardare il problema dalle radici.

Porto sempre l’esempio di una partita tra “pulcini”, a Firenze, qualche temo

fa: a un certo punto, i genitori cominciano a insultarsi e litigare. Allora i

loro figli smettono di giocare e li guardano. Ma siamo impazziti? Quando si

diventa ultras dei propri ragazzi, non stupiamoci se poi accadono cose

tremende».

Perché l’allenatore della nazionale ha deciso di scrivere un libro così?

«Me lo chiedevano le mamme. Mi dicevano: cosa dobbiamo dire ai nostri figli

che praticano lo sport? Sono partito, innanzi tutto, dalla mia esperienza di

genitore: anch’io ho provato la frustrazione per un insuccesso, un’esclusione

o una sconfitta dei miei ragazzi e, siccome ci stavo troppo male, non sono più

andato a vederli. Hanno fatto da soli, con la libertà di sbagliare. Ed è stato

meglio».

Qual è il primo consiglio che si sentirebbe di dare alle famiglie?

«Lasciate divertire i vostri figli, non soffocateli con egoismi travestiti da

amore. Non caricateli delle vostre frustrazioni. E sappiate che tra i loro

diritti c’è anche quello di non essere campioni».

Come si educa alla sconfitta?

«Ricordando che fa parte del gioco, e che è più frequente della vittoria,

perché vince uno solo».

Questo vale solo per un istruttore dei ragazzi, o anche per un

commissario tecnico?

«Sono stato per tanti anni al settore giovanile dell’Atalanta, e non ho

cambiato di una virgola il mio approccio. Le regole sono indispensabili: per i

bambini come per i professionisti. Quando abbiamo varato il codice etico, i

giocatori mi hanno seguito».

Nel libro lei parla di due valori molto spesso trascurati: la pazienza

e la fantasia.

«Perché bisogna avere il diritto di sbagliare, provando e riprovando finché

non si migliora. La fretta non ha mai educato nessuno. E la fantasia non va

soffocata nella culla, va accudita, accompagnata».

Le regole, dunque, cominciano da cose in apparenza minime?

«Cominciano dall’ordine e dal rispetto delle proprie cose, dalla pulizia degli

scarpini: io, da bambino, me li portavo addirittura a letto. Rispetto vuol

dire che se il giardiniere del campo ha bagnato l’erba, e chiede ai ragazzi di

non calpestarla, loro lo ascoltano: perché giudicano quell’erba un bene

comune».

C’è una regola, una sola, che i genitori non dovrebbero dimenticare?

«Norma numero uno: non si commentano mai, e sottolineo mai, le scelte di

allenatore e arbitro. In Paesi più evoluti del nostro, come quelli scandinavi,

i ragazzi che fanno sport firmano una specie di patto nel quale c’è scritto

che se un genitore attacca l’arbitro, verrà espulso il figlio».

Nel libro, lei si sofferma sull’importanza del calcio a dimensione

famigliare: stupisce, nell’epoca della globalizzazione.

«Una società sportiva è davvero la seconda famiglia per tanti ragazzi. Ma

quando certe figure vengono a mancare – penso al dirigente sempre presente al

campo: Boniperti, per esempio, era così – gli atleti rischiano di smarrirsi. E

possono dar retta a brutti personaggi. In Italia esiste forse la migliore

scuola al mondo per allenatori, però manca qualcosa di simile per i dirigenti».

Forse, le calcio-scommesse hanno attecchito anche perché hanno trovato

terreno fertile.

«Ho sempre ripetuto ai miei giocatori di stare bene attenti alle cattive

compagnie, un po’ come deve fare un padre con i figli. Io consiglio di pensare

ai veri amici, quelli di gioventù, quando nessuno era ricco e famoso. Ci

volevano bene per noi stessi, non per interesse».

Il calcio italiano è alla deriva: si potrà evitare il peggio?

«La prevenzione è sempre un ottimo metodo. In cinque anni a Firenze l’ho

imparato. Quella piazza era da anni considerata a rischio, ma noi cercammo

subito il dialogo con tutti, anche con gli ultras, nel rispetto di ruoli e

regole. Quando si parla con le persone, il primo passo è compiuto. Ma parlare

non significa farsi ricattare: bisogna capire che il calcio è roba nostra e va

rispettata».

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La sacrosanta lezione di quattro cazzotti: un calcio alle ipocrisie

Tutti a criticare Delio Rossi. Che ha sbagliato, ma forse così Ljajic avrà imparato l'educazione: il tecnico della Fiorentina che ha picchiato il suo calciatore

di Vittorio Feltri - ilGiornale.it - 4-05-2012

Adesso però non esageriamo con reboanti concioni e stucchevoli discorsi sulla violenza, che va sempre e comunque condannata, per cui Delio Rossi, allenatore della Fiorentina, reo di aver menato un suo giocatore, Adem Ljajic, passerebbe alla storia sportiva non come un eccellente tecnico, fin troppo paziente, ma come un uomo manesco.

Siamo d’accordo. Il buon esempio deve venire dall’alto, nel caso specifico dalla panchina dove siede la massima autorità di una équipe deputata a tirare calci e non pugni. Rossi ha sbagliato e non vale la pena di tenerla tanto lunga. Però, per favore, non trasformiamolo in un mostro, lui che è persona civile, tutt’altro che aggressiva, un maestro di football. Vogliamo dirlo che è stato trascinato per i capelli a improvvisarsi pugile, per giunta di una certa efficacia? Massì, diciamolo chiaro e tondo come il pallone: è inammissibile che un ragazzino,all’incirca ventenne, solo perché calza scarpe bullonate e indossa la maglia importante della Fiorentina, si senta autorizzato a insolentire il trainer che, per motivi insindacabili, lo sostituisce in campo con un collega considerato più adatto alla «pugna» in quel momento della partita.

Ljajic, nonostante la verde età, si è già costruito una solida fama di rompicoglioni. Ci sarà pure un motivo. Presuntuoso, indisciplinato, spocchiosetto: questo si dice di lui, ma non si trascura di precisare che ha talento da vendere. Immaginiamo che Rossi, durante il campionato in corso, sia stato costrettoa sopportare i capricci e le negligenze del campioncino. Un allenatore, d’altronde, ha il dovere di pensare, oltre ai risultati, alle risorse umane che gli sono state affidate; quindi, supponiamo che per il bene del club egli abbia spesso chiuso un occhio sulle intemperanze dell’atleta.

Ma tutto ha un limite. Anche gli allenatori nel loro piccolo s’incazzano. E Delio mercoledì sera ha perso le staffe. Dinanzi agli sberleffi dell’attaccante, offeso perché invitato ad accomodarsi negli spogliatoi per cedere il posto a un compagno più meritevole, gli ha dato una lezione pesantuccia: quattro sganassoni che vanno intesi come punizione cumulativa per le birichinate dell’intera stagione, non soltanto per l’ultima in ordine di tempo.

Siamo sicuri che il metodo pedagogico adottato da Rossi nei confronti dell’allievo impertinente avrà effetti miracolosi: Adam Ljajic, sorpreso dalle telecamere con gli occhi lucidi dopo il kappaò, difficilmente in futuro userà espressioni cafonesche verso qualunque allenatore, riconoscendo in lui come da contratto-il comandante supremo. Legerarchiesono gerarchie e vanno rispettate. Vero, un dirigente non ha facoltà di prendere a cazzotti i propri dipendenti, anch’essi degni di riguardo, ma è altrettanto vero che la buona creanza è meglio insegnarla con le maniere forti, in soggetti dalla testa dura, piuttosto che non insegnarla affatto.

Dispiace che l’allenatore sia stato esonerato a causa del descritto incidente, provocato, secondo i vertici della società, dallo stress. Sul piano logico, non si comprende perché Rossi sia stato messo alla porta, mentre il calciatore sia stato soltanto messo fuori rosa. Sul piano economico invece si capisce benissimo: l’allenatore è uno stipendiato e, quindi, un costo; il giocatore, ancorché ben pagato, è un patrimonio del club.

Più che il principio, poté il denaro. Come sempre.

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Inter i tifosi: "Perdiamo il derby", alla faccia della sportività

Alessandro Pignatelli - Sportemotori.blogosfere.it - wonder Juve - 4-05-2012

I tifosi dell'Inter hanno già deciso il segno in schedina per il derby di domenica sera a San Siro: vittoria del Milan. E tutti felici e contenti. Quello che il popolo juventino temeva, si sta puntualmente avverando: la stracittadina milanese decisiva per lo scudetto.

Qualcuno dirà: ma come, i nerazzurri preferiscono vedere i cugini rossoneri fare il bis? Ebbene sì. Alla faccia della sportività, aggiungo io. Se Massimo Moratti ha fatto orecchie da mercante: "Favore a Juventus o Milan? E' lo stesso", per tutti gli altri il quesito non si pone.

Troppo odiata la Juve, troppe baruffe su Farsopoli. Troppe chiacchiere su quell'ipotesi terza stella. Così, il tifoso medio nerazzurro preferisce venire sbeffeggiato ancora una volta da Ambrosini e compagni.

Ce ne facciamo una ragione a Torino, sperando che proprio la stracittadina finisca per non incidere sul finale di campionato. Perché sappiamo come il volere dei tifosi venga ascoltato il 99 per cento delle volte qui in Italia. Che sia imposto con la forza (vedi Genoa e Roma), o con la scanzonata ironia (vedi Lazio e lo scansiamoci esibito proprio contro l'Inter nel duello scudetto con i giallorossi).

"La più grande soddisfazione - si legge in un gruppo di tifosi interisti con ampio consenso - sarebbe vedere la Juve perdere lo scudetto. E' l'unico modo per salvare questa stagione". Volendo, l'Inter qualche speranza di Champions League ce l'avrebbe ancora, ma i tifosi paiono non crederci più dopo l'1-3 di Parma.

"Per salvare la stagione regaliamo il derby al Milan, preferisco non andare in Europa che vedere la Juve festeggiare. Piuttosto che battere il Milan preferisco non consegnare lo scudetto ai gobbi".

Per carità, c'è anche ci si dissocia dalla massa. "Preferisco la Juve perché quel 5 maggio i tifosi milanisti festeggiarono con i bianconeri in piazza", oppure, "vinciamo il derby, delle altre due non mi interessa qualsiasi cosa accada". Simpatico il commento del comico Enrico Bertolino, sollecitato sul suo Twitter: "Meglio perdere il derby o vedere la Juve trionfare già domenica? E' come chiedere se preferisco un tifone o a un tornado".

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19:17 04 MAG 2012

(AGI) - Belgrado, 4 mag. - Adem Ljajic si e' scusato ieri, oggi e' toccato a Delio Rossi fare mea culpa ma gli strascichi di quanto accaduto mercoledi' al "Franchi" non si sono esauriti.

Satmir Ljajic, padre del giocatore viola, e' in viaggio per Firenze assieme alla moglie e all'altro figlio per incontrare la societa' e dalle pagine del quotidiano "Blic" annuncia di voler adire le vie legali contro l'ormai ex allenatore della Fiorentina. "Siamo tutti sotto shock - confessa - Viviamo a Firenze con Adem ma eravamo andati a Belgrado per una breve vacanza. Ora stiamo tornando in anticipo, incontreremo l'avvocato e poi il club". Su quali azioni intraprendere papa' Ljajic non si sbilancia ("prima vogliamo parlare con il nostro legale") ma assicura che "denunceremo Rossi. E' oltraggioso quanto e' accaduto, non so perche' si sia cosi' arrabbiato ma fortunatamente Adem non ha reagito contro quest'uomo di trent'anni piu' vecchio di lui". (AGI) .

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Inter i tifosi: "Perdiamo il derby", alla faccia della sportività

Alessandro Pignatelli - Sportemotori.blogosfere.it - wonder Juve - 4-05-2012

I tifosi dell'Inter hanno già deciso il segno in schedina per il derby di domenica sera a San Siro: vittoria del Milan. E tutti felici e contenti. Quello che il popolo juventino temeva, si sta puntualmente avverando: la stracittadina milanese decisiva per lo scudetto.

Qualcuno dirà: ma come, i nerazzurri preferiscono vedere i cugini rossoneri fare il bis? Ebbene sì. Alla faccia della sportività, aggiungo io. Se Massimo Moratti ha fatto orecchie da mercante: "Favore a Juventus o Milan? E' lo stesso", per tutti gli altri il quesito non si pone.

Troppo odiata la Juve, troppe baruffe su Farsopoli. Troppe chiacchiere su quell'ipotesi terza stella. Così, il tifoso medio nerazzurro preferisce venire sbeffeggiato ancora una volta da Ambrosini e compagni.

Ce ne facciamo una ragione a Torino, sperando che proprio la stracittadina finisca per non incidere sul finale di campionato. Perché sappiamo come il volere dei tifosi venga ascoltato il 99 per cento delle volte qui in Italia. Che sia imposto con la forza (vedi Genoa e Roma), o con la scanzonata ironia (vedi Lazio e lo scansiamoci esibito proprio contro l'Inter nel duello scudetto con i giallorossi).

"La più grande soddisfazione - si legge in un gruppo di tifosi interisti con ampio consenso - sarebbe vedere la Juve perdere lo scudetto. E' l'unico modo per salvare questa stagione". Volendo, l'Inter qualche speranza di Champions League ce l'avrebbe ancora, ma i tifosi paiono non crederci più dopo l'1-3 di Parma.

"Per salvare la stagione regaliamo il derby al Milan, preferisco non andare in Europa che vedere la Juve festeggiare. Piuttosto che battere il Milan preferisco non consegnare lo scudetto ai gobbi".

Per carità, c'è anche ci si dissocia dalla massa. "Preferisco la Juve perché quel 5 maggio i tifosi milanisti festeggiarono con i bianconeri in piazza", oppure, "vinciamo il derby, delle altre due non mi interessa qualsiasi cosa accada". Simpatico il commento del comico Enrico Bertolino, sollecitato sul suo Twitter: "Meglio perdere il derby o vedere la Juve trionfare già domenica? E' come chiedere se preferisco un tifone o a un tornado".

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Milito, vincere derby per nostri tifosi

04 Maggio 2012 17:09

(ANSA) - MILANO - 'Vogliamo vincere le 2 ultime partite. L'arrivo di Stramaccioni ha portato grande entusiasmo in questa squadra e spero che resti': cosi' a Sky il bomber dell'Inter Diego Milito.'In questo momento - dice - non pensiamo al 3/o posto, faremo i conti a fine stagione. Sappiamo che il derby e' importante per il Milan in chiave scudetto, vogliamo vincere per gli interisti. Spero di restare anche il prossimo anno ma dipende dalla societa'. Moratti? Fa il bene dell'Inter, torneremo presto competitivi'.

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Inviato (modificato)

Locatelli in Procura

"Basta, denuncio tutti"

ROMA, 4 maggio 2012

L'ex di Milan, Udinese e Mantova accusa: "Come credere a Gervasoni? Se alcuni giocatori del Mantova avessero venduto delle partite, con la squadra retrocessa e fallita, a chi dovrei chiedere i soldi che ho perso col fallimento?"

In attesa che il procuratore federale Stefano Palazzi faccia partire i primi deferimenti per lo scaldalo del calcioscommesse, in Procura federale in questo venerdì è stata la volta di Tomas Locatelli, ex di Milan, Bologna, Udinese, Siena e Mantova. Un Locatelli duro, che si è difeso contrattaccando: "Chi abbina il nome di Locatelli al calcioscommesse non si deve permettere di farlo perchè il calcioscommesse mi ha portato via un milione e 700mila euro. Ho esternato questa problematica al procuratore". Così, al termine delle due ore di audizione, che fanno seguito all'interrogatorio già subito il 18 aprile di fronte al pool del procuratore Stefano Palazzi. Locatelli ha spiegato: "Sembrerebbe che alcuni giocatori del Mantova potrebbero aver venduto delle partite e il Mantova è retrocesso e fallito. Se veramente tutto questo fosse vero, questi soldi è giusto chiederli al presidente Lori o a qualcun altro?". In sostanza un contropiede in piena regola. Carlo Gervasoni ha tirato in ballo Locatelli nella presunta combine della partita Mantova-Ancona 2-2 del 30 maggio 2010. Gervasoni ha parlato di due incontri tra alcuni calciatori del Mantova (Bellodi e Nassi, oltre a Locatelli e se stesso) e dell'Ancona (il solo Mastronunzio nel primo colloquio, poi anche Cristante, De Falco e Colacone) per cercare un accordo sulla vittoria del club lombardo.

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PARTE LESA — Locatelli, ora tesserato per l'Atletico Arezzo in serie D ha chiesto di essere riascoltato va giù duro: "In questo calcioscommesse mi sento parte lesa. Per me se tutto sarà confermato sarebbe una pugnalata da ragazzi con i quali ho condiviso tutto. Ma di Gervasoni ho una brutta idea. Lui ha fatto tanti nomi e non posso pensare che siano tutti coinvolti nel calcioscommesse. E poi ha avuto il coraggio di pugnalare i suoi ex compagni, ragazzi che non prendevano lo stipendio da mesi e non avevano i soldi per fare la spesa. La partita con l'Ancona non è stata combinata anche perché non era neppure quotata: tra l'altro Mastronunzio fece gol e ci mandò in serie C: sono tornato qui in Procura per alcune precisazioni".

VIA AI DEFERIMENTI — Con l'interrogatorio di Locatelli si è conclusa la prima parte dell'inchiesta sportiva sul calcioscommesse. Nel weekend il procuratore federale Palazzi chiuderà il primo fascicolo della seconda inchiesta sportiva sul calcioscommesse. All'inizio della prossima settimana, come annunciato, sono attesi i deferimenti: aspettando le carte in arrivo dalle procure di Bari e Napoli, Palazzi non dovrebbe per ora occuparsi della serie A. Le uniche eccezioni dovrebbero riguardare Atalanta, Novara e Siena (va ascoltato ancora il presidente Massimo Mezzaroma, citato da Gervasoni), per partite della passata stagione in serie B. Il primo processo dovrebbe concludersi entro il 10 giugno, poi ce ne sarà un altro (a luglio?) con molti club di serie A.Gasport

Modificato da totojuve

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"Scommesse, calciatori da punire

come si fa con i politici corrotti"

Laudati, procuratore di Bari: "Leggi superate, cambiamole"

Le lire

I criminali investono nel calcio più che nella droga.

I nostri strumenti sono quelli dei tempi del Totocalcio: multe in lire

I calci d’angolo

Se puntano su calci d´angolo o falli, non viene neppure

alterato il risultato: uno sport romantico trasformato

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 05-05-2012)

«Noi pubblici ministeri quando abbiamo a che fare con il calcio siamo come

elefanti in cristalleria. La situazione a tratti è sfuggita di mano, i

criminali sono stati più veloci del legislatore: il codice sulla materia è

così antico che punisce un calciatore che vende una partita, magari un derby,

a un´ammenda massima di due milioni di lire. La stessa legge, per esempio, che

condanna a cinque anni per corruzione un usciere che prende 20 euro per far

saltare una fila in un ufficio pubblico. È giusto?».

Ecco, appunto, è giusto? Antonio Laudati è procuratore di Bari: dopo una

carriera passata a inseguire e catturare mafiosi e i loro soldi, in Puglia si

è trovato sulla scrivania un´inchiesta sul calcioscommesse. Sembrava uno

spiffero. È´ diventato un ciclone.

Di cosa si tratta, procuratore?

«Siamo partiti da una gara di coppa Italia, Bari-Livorno e da una

segnalazione di un bookmaker su scommesse anomale. Siamo arrivati a una

situazione davvero incredibile, della quale per ovvie ragioni non posso

parlare nel dettaglio perché le indagini sono in corso: scommettitori che

comprano giocatori, calciatori che vendono partite, la criminalità organizzata

che si muove, società coinvolte, c´era chi vendeva persino l´autore del primo

fallo o della prima punizione. Abbiamo in pratica assistito a una

trasformazione di uno sport romantico in una società per azioni che fattura

quanto una Finanziaria: in Italia il giro d´affari solo sul calcioscommesse lo

scorso anno è stato di 12 miliardi di euro. Il vero problema è che le leggi

non sono al passo con la criminalità».

Perché?

«La legge sulla frode sportiva è del 1989 e prevede la frode come alterazione

del risultato. A parte che se scommettono su un calcio d´angolo o su altro non

viene alterato alcun risultato, la frode viene punita con un anno e con una

multa massima di due milioni di lire, perché è ancora in lire. Ora: come può

essere dissuasiva una pena del genere davanti a giocatori che guadagnano

milioni di euro e a organizzazioni criminali che ne investono altrettante? Per

questo spesso preferiscono investire sul calcio piuttosto che sulla droga:

guadagni simili, rischi infinitamente minori».

Cosa si potrebbe fare?

«Io penso che il disvalore sociale di un calciatore che vende un derby sia

maggiore di quello di un usciere, e sia paragonabile a quello di un politico

che si fa corrompere. Si sta discutendo della legge sulla corruzione anche tra

privati oppure del traffico di influenze. Forse si potrebbe inserire in questo

discorso anche il calcio. Se si vuole combattere il fenomeno bisogna avere

norme all´avanguardia: oggi si scommette, dicono i criminali, «anywhere,

anytime, anything». E noi li combattiamo con gli stessi strumenti che avevamo

ai tempi del Totocalcio, quando le schedine si chiudevano il sabato alle 13».

E il mondo dello sport?

«I due mondi avrebbero forse bisogno di un coordinamento. Faccio un esempio:

l´attuale normativa sulla responsabilità oggettiva delle società e sulle

omesse denunce dei giocatori non aiuta, anzi a volte intralcia la giustizia

penale. Da noi nessuno verrà a raccontare di aver subito il tentativo di una

combine perché altrimenti rischia la squalifica. Questo tipo di organizzazione

non favorisce l´accertamento della responsabilità penale».

Qual è la cosa che l´ha più impressionata di questa inchiesta?

«I tifosi che agiscono contro la propria squadra. È inverecondo. Gli arbitri

ne escono benissimo, così come non sono tante, e non sono le big, le squadre

che risultano in qualche maniera compromesse. Però è davvero incredibile

violare la sacralità di un derby. Ho visto il Bari di Ventura giocare con un

4-2-4 meraviglioso, era uno spettacolo andare allo stadio. Così come la mia

prima volta all´Olimpico, con lo speaker che leggeva i nomi dei calciatori, mi

ha fatto pensare alle parole della Cassazione quando parla della "suggestione

della folla in tumulto". Ora, io penso che tutti ci meritiamo quel calcio».

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SW SPORTWEEK 05 MAGGIO 2012

RELAZIONI

PERICOLOSE

PERCHÉ GLI ULTRAS HANNO TANTO POTERE? PERCHÉ

I GIOCATORI HANNO PAURA DI LORO? CHE RAPPORTI

HANNO CON LE SOCIETÀ? SIAMO ANDATI A SCOPRIRLO...

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SPYCALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 05-05-2012)

Delio Rossi si è salvato

Ma per chi vale il Daspo?

Quei tifosi viola, e non solo viola, che hanno "applaudito" il comportamento

del tecnico Delio Rossi dovrebbero sapere che se quella rissa vergognosa

l'avessero provocata loro, avrebbero avuto il Daspo. Rossi se l'è cavata

invece perché secondo il questore di Firenze, Francesco Zonno, si è trattato

di una "questione" avvenuta "sul campo di gioco fra due tesserati", lui

appunto e il calciatore Ljajic, e non ha "inciso sull'ordine pubblico". Di

conseguenza, è intervenuto (solo) il giudice sportivo, che ha dato tre mesi di

squalifica a Rossi (pochini), mentre è incredibile come né l'arbitro

(Giannoccaro) né il quarto uomo (Tommasi) non abbiano visto nulla e non siano

quindi intervenuti per cacciare subito Rossi dal campo. Il Daspo vale per i

tifosi (basta accendere un fumogeno e addio stadio) ma non solo per loro: in

qualche caso è stato applicato anche nel calcio minore, per giocatori e

tecnici. E non sempre hanno potuto continuare la loro attività lavorativa

(giocare a calcio od allenare). Lo scorso anno era stato punito col Daspo

anche un giovane calciatore siciliano, di 18 anni, incensurato, accusato

(erroneamente) di aver spintonato l'arbitro all'interno degli spogliatoi. Un

anno di Daspo, con obbligo di firma. Nessun attenuante per lui, dal questore

di Agrigento. Nessuna possibilità di poter seguire la sua squadra! Poi, era

stato accolto il ricorso al Tar. Ma da come si vede, in questo caso (e in

altri, del calcio minore) non era stato tenuto conto che si trattava di

episodi su cui interveniva la giustizia sportiva. Delio Rossi invece se l'è

cavata, merito di essere famoso. Chi invece resta sotto tiro è soprattutto il

tifoso. Guai se sgarra.

L'Osservatorio del Viminale adesso si è "inventato" l'albo degli striscioni,

valido (solo) per le trasferte. Per carità, conoscendo le persone che dirigono

l'Osservatorio va apprezzata la buona volontà e il tentativo di agevolare le

tifoserie. Ma lo scopo, secondo noi, non è stato certo raggiunto. E' un

sistema per burocratizzare le cose ancora di più, per soffocare la fantasia,

per complicare la vita al tifoso. Il calcio deve essere divertimento, sfottò,

ma anche semplicità. Era tanto difficile stabilire che gli striscioni dovevano

passare al vaglio del responsabile dell'ordine pubblico? Un esempio: i tifosi

che vanno in trasferta li mostrano prima di entrare allo stadio; se ve bene

passano, altrimenti vengono messi da parte. Stabilire a priori un albo è

semplicemente assurdo: e se uno volesse inventarsi uno striscione all'ultimo

momento? E poi chi stabilisce quali frasi vanno bene e quali no? Che facciamo,

una commissione etica? Per carità. Idea, come detto, lodevole. Risultato

fallito in pieno. Buon segno invece che all'ultima riunione dell'Osservatorio

siano state invitate per la prima volta alcune rappresentative dei tifosi: un

(piccolo) passo avanti rispetto al passato quando c'era una chiusura totale.

Anche se il mondo dei tifosi è molto variegato. Ma ora ci vuole un intervento

più forte, più attento, da parte della Lega di serie A anche perché, nelle

intenzioni, dovrebbero davvero essere i club a gestire, dalla prossima

stagione, il progetto della tessera del tifoso o tessera fedeltà (fidelity

card) come vogliamo chiamarla. Cosa vogliono fare? Cosa cambia? Le campagne

abbonamenti vanno stabilite in questo periodo ed è giusto che i tifosi

sappiano nel dettaglio, e con la massima trasparenza, a cosa vanno incontro. A

fine campionato sarà necessaria quindi una riunione. Il Viminale, giustamente,

vuole che siano i club a farsi carico di un progetto che, tranne rare

eccezioni, hanno subito più che assecondato. Ma anche i politici, che sovente

si divertono a parlare di calcio e non disdegnano un invito in tribuna vip,

dovrebbero davvero mettere mano all'articolo 9, quello che proibisce al tifoso

di avere la tessera (quindi di poter abbonarsi e andare in trasferta) se ha

subito una condanna per reati da stadio o ha avuto un Daspo nei cinque anni

precedenti. Non importa se la condanna è stata ampiamente scontata. Una norma

assurda, lo stesso Osservatorio è d'accordo nel cancellarla: ma tolti i

Radicali, che hanno fatto qualche (timido) sondaggio, gli altri partiti non se

ne interessano assolutamente.

Lotta alle frodi sportive, la Lega Pro va avanti

Dalle parole, ai fatti. La Lega Pro continua la sua battaglia contro le frodi

sportive. E' uno dei punti fermi dell'attività quotidiana dell'ex serie C,

guidata da vulcano-Macalli. Si è costituito adesso il Comitato Etico. E'

formato da sei componenti, scelti fra personalità di alto profilo morale, "che

abbiano svolto attività e funzioni di prestigio nazionale in ambito

universitario, professionale, sportivo, culturale o religioso". La

presentazione del Comitato Etico è in programma lunedì 7 maggio alle ore 11

presso la Sala Conferenze De Gasperi della Scuola Superiore di Polizia a Roma.

Nell'occasione verrà presentata anche la nuova veste grafica e i contenuti del

sito ufficiale della Lega Pro.

Interverranno: Giancarlo Abete, presidente Figc, Mario Macalli, presidente

della Lega Pro, Archimede Pitrolo, vicepresidente della Lega Pro, Salvatore

Lombardo, vicepresidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli, direttore della

Lega Pro e i componenti del Comitato Etico.

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Rapporti club-agenti

Ghirardi, stop di tre mesi

100.000 euro di ammenda a Preziosi

Gasport -5-05-2012 pag. 17

La Disciplinare, presieduta dall'avvocato Sergio Artico, ha disposto una serie di ammende nei confronti di Parma (60.000 euro), Genoa ed Empoli (30.000), Palermo (20.000) e Inter (10.000) per alcune violazioni del codice di giustizia sportiva e del regolamento Agenti di calciatori. La Commissione ha anche inflitto ammende e inibizioni nei confronti di tesserati e Agenti di calciatori. Tra i dirigenti sanzionati, il presidente del Genoa Enrico preziosi (ammenda di 100.000 euro), quello del Parma Tommaso Ghirardi (inibizione di 3 mesi e 5 giorni, ammenda di 5.000 euro) e quello del Livorno Aldo Spinelli (inibizione di 45 giorni). Tra gli agenti dei calciatori Federico pastorello ha avuto sei mesi di sospensione della licenza e 30.000 euro di ammenda, Oscar Damiani due mesi e 40 mila euro. Anche un ex calciaore è stato multato: a Christian Pamucci un'ammenda di 30.000 euro.

********************************************

comunicato Figc

http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/44.$plit/C_2_ContenutoGenerico_31947_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_Allegato_0_upfAllegato.pdf

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Palazzo di vetro

PETRUCCI IN CORSA A SAN FELICE CIRCEO

IL CONI AVRA' UN PRESIDENTE SINDACO?

Ruggiero Palombo - Gasport - 5-05-2012

Lo sport italiano è vivamente pregato di non far casino nelle prossime 48 ore. Il motivo di questo appello è presto detto: domani e dopodomani ci sono le elezioni dei sindaci di oltre 700 Comuni italiani. Voi direte, e che c'azzezza? C'azzecca eccome. A San Felice Circeo, provincia di latina, ridente comune situato sull'omonimo promontorio, un centinaio di chilometri a sud di Roma, il candidato sindaco è nientemeno che Gianni Petrucci. Sì, proprio lui, per un altro po' di tempo, fino a maggio 2013, numero uno dello sport italiano. La notizia non è nuova, e la giornalaccio rosa dello sport ne diede conto in anteprima il 25 ottobre 2011: una proposta di "nicchia" targata Pierferdinando Casini (Udc) che di Petrucci è amico di vecchia data, una carica non incompatibile con la presidenza del Coni, un modo di scendere in politica in punta di piedi, dettato più che altro dall'amore di Petrucci per il Cieceo, dove ha da diversi anni una bella casa vista mare e isola di Ponza.

Unica inesattezza di quelle anticipazione, Petrucci veniva dato come candidato di una lista di centrodestra. In realtà le cose non stanno proprio così: la Lista Gianni Petrucci Sindaco (un bel logo mare, promontorio e tricolore, che non guasta mai) è, a quanto si legge sulle cronache locali, una lista civica appoggiata da Udc, Pd e associazioni varie, ma non solo. Nel segno di una trasversalità che è propria dell'uomo abituato a navigare nelle acque tempestose della politica, a sostenere Petrucci c'è anche il Governatore della Regione Lazio Renata Polverini (Pdl), che lo ha accompagnato ieri sera sul palco di Borgo Montenero, dove il presidente del Coni ha concluso la sua campagna elettorale. Due gli avversari: Giuseppe Schiboni, candidato de La Destra e del Pdl (ma evidentemente non della Polverini) e Emiliano Ciotti, candidato di Forza Nuova e Fiamma Tricolore. L’eventuale ballottaggio è previsto per il 20 e 21 maggio, ma lo sport italiano non dovrebbe correre il rischio di una nuova due giorni di “vacanza presidenziale”: le ultime proiezioni assicurano infatti a Petrucci una maggioranza tra il 58% e il 64%.

PS La questione non può alimentare ricorsi di sorta (sono scaduti i termini) e l’avvocato Gianfranco Valente è senz’altro ottima persona, al di sopra di ogni sospetto. Ma è sposato con la cugina di primo grado del presidente del Torino Urbano Cairo. E per questo, codici di giustizia sportiva e di procedura civile alla mano, non può fare il giudice sportivo della serie B. Ruolo che ha invece rivestito per tutto il campionato. Inclusi, beato lui, lunedì e mercoledì scorsi, subito dopo che il ricorso del Padova per Padova-Torni aveva svelato l’arcano. La Figc ha segnalato alla Commissione di Garanzia presieduta da Pasquale De Lise il caso, che si chiuderà con la non riconferma di Valente allo scadere del mandato. Se tuttavia l’81enne avvocato volesse autosospendersi per le ultime 4 giornate dell’attuale stagione, nessuno si offenderebbe.

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Calcio

05/05/2012 - IL CASO

L'insospettabile popolarità di Rossi

Sono tempi duri per i calciatori

Delio Rossi saluta fuori dal "Franchi" i tifosi viola che, dopo l’aggressione a Ljajic, lo difendono

Gli scandali hanno minato

la loro immagine, la crisi ne accentua i capricci. Molti tifosi

della Fiorentina rivorrebbero

il tecnico in panchina

GUGLIELMO BUCCHERI

inviato a firenze

C'è un tecnico, Delio Rossi, C’ pentito, ma non troppo. E c’è una tifoseria, quella della Fiorentina, in campo a difesa del suo ex allenatore. Firenze ascolta, annota e rilancia: da qualche ora, sui siti del tifo, è aperta una petizione perché la famiglia Della Valle riabiliti il condottiero salito sul ring per mettere al tappeto il giovane Ljajic e gli riconsegni il timone della squadra dal prossimo 3 agosto quando Delio Rossi avrà scontato la sua squalifica.

Tifo con il tecnico, in questo caso. Ma anche tifosi contro i traditori del calcioscommesse o ultrà - sponda genoana messi in condizione di imporre incredibilmente ai propri (ex) beniamini un penoso strip tease. E, ancora, tifoserie in ebollizione nella Capitale dove (per ora) si salva il solo capitano della Roma, Francesco Totti, e, nel caso della Lazio, è cominciato l’attacco ad una truppa disarcionata dal terzo posto. Perché fare il calciatore, di questi tempi, è cosa non proprio giusta agli occhi delle curve d’Italia? Perché in tempi di crisi, i fuoriclasse del pallone vengono percepiti con maggiore disincanto, facendo accentuare la loro natura di portatori di interessi (privati). Al primo accenno di ribellione come nel caso del serbo della Fiorentina, ogni punizione può apparire giusta, anche un’aggressione da ring.

Il salto di qualità più evidente in questa divaricazione fra calciatore e chi dovrebbe sostenerlo arriva, dunque, da Firenze. «Mercenario...», è immediatamente diventato Ljajic per gli ultrà. «Uno di noi...», è invece Delio Rossi, inseguito da cori e applausi, ieri, mentre raccontava la sua notte alla rovescia nella piccola sala stampa dello stadio Franchi.

Con la divisa del club, giacca e cravatta, l’ex guida della Fiorentina ha messo in scena un monologo di 22 minuti, qualche pausa per riprendere fiato e, poi, le scuse con un po’ di distinguo. «Mi dispiace per quanto accaduto, lo dico senza fraintendimenti e, per questo, chiedo scusa alla città, alla famiglia Della Valle, ai tifosi e anche a Ljajic, ma...», si interrompe Delio Rossi. «Ma in queste ore mi hanno dato fastidio tutti quei perbenisti o moralisti che, senza aver vissuto la situazione, danno giudizi: non ho mai detto di essere Padre Pio, eppure io, nella mia vita, non mi sono mai permesso di dare consigli o giudicare qualcuno. Chi conosce Delio Rossi? Chi sa che ho allenato i bambini a Foggia togliendoli dalla strada o che, la sera, allenavo gli operai dopo il lavoro? Ci sono quattro aspetti generali su cui non transigo: la persona, il lavoro, la squadra e soprattutto la famiglia. Io sto pagando e pagherò per quello che ho fatto, ma se vengo attaccato su queste quattro cose...». L’ex allenatore viola parla senza seguire un copione; fuori, davanti ai cancelli, il tifo è tutto per lui. «Ho sbagliato, ma - continua il grande accusato - umanamente penso di essere giustificabile. Ho sentito dire di tutto, il mio è stato un gesto deprecabile, ma l’ipocrisia quella proprio no, mi dà altrettanto fastidio: se fossi stato più furbo e avessi fatto la stessa cosa dentro lo spogliatoio, oggi, magari si parlerebbe di un tecnico capace di gesti virili, da uomo. Io l’ho fatto davanti alle telecamere e allora... I tifosi sono con me? Non bisogna dividerci, conta la squadra, la società». Delio Rossi saluta senza svelare quello che Ljajic gli ha detto in faccia uscendo dal campo perché «adesso darebbe la sensazione che da parte mia c’è la volontà di cercare giustificazioni...». Ljajic, bersaglio dei gruppi organizzati della curva viola, è a casa, a due passi dal Franchi, nel momento in cui il tecnico si congeda dalla piazza. Il padre del serbo ci ha ripensato: non presenterà più denuncia penale.

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Dieci anni fa lo scudetto del sorpasso all'Inter, intervista esclusiva

Big Luciano: "Bravissimo Zeman con il Pescara, quei tre sono da serie A"

CALCIO: PARLA MOGGI, "NON MI FERMERO'..."

LA JUVE, LO SCANDALO E LA FARSA

Roberto Santilli - Abruzzoweb.it - 5-05-2012

A distanza di sei anni da quel momento tragicomico dell'Italia non solo pallonara denominato Calciopoli, il nome di Luciano Moggi sui media di solito viene fatto quando c'è da dargli addosso a prescindere da ciò che succede con o senza di lui, o malgrado lui.

Dopo anni di bello e cattivo tempo da uomo di calcio, Moggi è stato servito come lupo (più che agnello) da sacrificare per la causa della finta pulizia della sporcizia del calcio nostrano del 2006. Un classico caso di convergenza parallele sempre in voga nei sistemi di potere, con buona pace degli italioti che dormono tranquilli visto che il colpevole per eccellenza è ormai cotto sulla graticola. Poco male se nel dimenticatoio cade tutto ciò che l'utilizzo a orologeria del perfetto colpevole ha coperto in Calciopoli, dalla faida familiare Elkann-Agnelli senza i vecchi Gianni e Umberto, allo spionaggio industrile targato Telecom, vedi Inter, Pirelli e Marco Tronchetti Provera.

All'indomani del verdetto sportivo su Calciopoli che mandò la Juventus in serie B e salvò le altree squadre, mentre tutta l'Italia anti-juventina esultava, lo scomparso Enzo Biagi fu uno dei pochi giornalisti a non credere in un processo sommario da qualsiasi angolazione o curva da stadio lo si osservi.

Arrivando a definirtlo una "riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna", vuoi vedere, - si chiese Biagi lucidissimo - che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche, hanno individuato in Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?":

Moggi di mestiere non faceva l'eroe che a piedi nudi salva le popolazioni dalla fame e dalla guerra, ma il Direttore generale della Juventus Football Club. "Sempre troppo vicino agli arbitri", per dirla alla Beccantini, (quasi) sempre troppo più bravo degli altri, intrallazzatore, "stalliere del re che conosce tutti i ladri di cavalli", ma usato come Belzebù di turno al si là delle sue colpe da chi ha messo a credere agli italiani che nel calcio tricolore l'unico a non rispettare i dettami del Mahatma Gandhi fosse proprio Lucianone, il mostro sbattuto in prima pagina èerché la pancia del popolo e il potere così vollero.

Sei anni dopo il polverone, dieci anni dopo lo scudetto juventino del sorpasso all'Inter all'ultima giornata, il celebre 5 maggio 2002, Abruzzoweb ha intervistato Big Luciano.

Che a questo giornale parla di Juve, di processo penale, di sentenze, of course, ma anche del Pescara dei miracoli del suo acerrimo nemico Zeman e dei talenti biancazzurri.

Moggi, Lei è stato radiato dalla Federazione Italiana gioco calcio e condannato in primo grado al processo penale di Napoli con cinque anni e quattro mesi di reclusione per associazione a delinquere. I suoi legali continuano a lavorare.

Abbiamo già fatto appello, per la radiazione andremo alla Corte di Giustizia europea. Non mi fermerò, questo è certo. Continuerò a difendermi.

Tutti dicevano che con la cacciata della Triade che gestiva la Juventus, ossia eliminando Lei, Antonio Giraudo e Roberto Bettega, il calcio italiano sarebbe finalmente cambiato. Sei anni dopo Calciopoli, le cose non sembramo molto diverse.

Mi limito a guardare quello che succede. Vedo un campionato scombinato, ultrà che fanno togliere la maglia ai giocatori per punirli, Sculli e Totti sotto la curva per farsi processare, un allenatore che picchia un suo giocatore, lo scandalo calcioscommesse a livelli mai visti. Mi limito a riflettere, a guardare la realtà così com'è. Fino al 2006 non c'è mai stato questo caos. E il calcio italiano era vincente.

Sì, ma come la mettiamo con i campionati falsati per le ingerenze dei dirigenti come Lei nel mondo arbitrale?

Fino al 2006 il campionato era vero. Per cambaire veramente le cose, il presidente della Figc Giancarlo Abete e il presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta dovrebbero dare le dimissioni. Hanno dimostrato di non essere capaci di gestire il calcio italiano.

Il giornalista Roberto Beccantini su questo giornale ha definito Calciopoli 'una gurrra tra bande' e ha affermato che le sentenze sportive del 2006 reggono ancora nonostante siano venute fuori altre intercettazioni, come quelle sull'Inter.

Beccantini dovrebbe dirci quale è la banda che comandava e che ancora comanda nel calcio italiano, su questo non ci sono dubbi. E la giustizia sportiva andava e va a modo suo. Una giustizia domestica, non c'è altro modo per definirla, che colpisce a orologeria determinate persone e ne lascia fuori altre. Franco Carraro, ex presidente Figc, chiamava l'ex designatore Paolo Bergamo per ordinargli di aiutare la Lazio contro la Juventus alla vigilia delle elezioni in Lega. Questo era il potere mio e della Juventus? Scherziamo? Carraro alla fine se l'è cavata come voleva, uscendo da qualsiasi procedimento. Se questa non è giustizia domestica...

Intanto, Antonio Conte può vincere lo scudetto che manca ai bianconeri da quando Lei è stato cacciato insieme a Roberto Bettega e Antonio Giraudo.

La Juventus di Conte non ha mai smesso di correre, ha espresso un ritmo eccezionale frenando un pochettino nel pareggio di mercoledì contro il Lecce, ma è normale. Sta combattendo contro una squadra più talentuosa, il Milan, che però ha avuto contro parecchi infortuni, ma ciò non toglie le grandi cose fatte dal mister e dai ragazzi.

Il Pescara del suo acerrimo nemico Zdenek Zeman, il quale al processo penale di Napoli L'ha accusata di avergli rovinato la carriera, rischia di andare in serie A.

Zeman sta facendo cose straordinarie a Pescara e se dovesse centrare la serie A gli farò i complimenti. Io riconosco sempre la bravura degli altri quando c'è. Lui no.

Chi Le piace di più dei talenti biancazzurri?

Senza dubbio Verratti, Immobile e Insigne.

Possono giocare in serie A secondo Lei?

Se continuano a fare bene. sicuramente avranno un avvenire anche nella massima serie.

Oggi è il 5 maggio. Dieci anni fa la Sua Juventus vinceva uno scudetto incredibile sorpassando l'Inter all'ultima giornata. Anche quella è una vittoria considerata rubata da interisti e anti-juventini.

La verità è che la mia Juventus era la squadra più forte. Le hanno provate tutte per farla fuori, attaccandola sui media ogni giorno e portandola in tribunale. Niente, noi continuavamo a vincere. Nel 2006 una squadra già fortissima stava diventando imbattibile. Io, Giraudo e Fabio Capello, con Andrea Agnelli futuro presidente, avevamo messo in piedi una schiacciasassi unica nel panorama calcistico mondiale.

Calciopoli, anzi, Farsopoli, l'ha distrutta in un'estate. Con la complicità di troppe persone che oggi si godono i frutti di quella farsa.

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DERBY DELL’ANIMA

Quando tifare diventa un dramma

POVERO INTERISTA,

AMLETO ERA

UN DILETTANTE

Tra regalare lo scudetto alla Juve o dare una mano al

Milan fa capolino lo spettro peggiore: gufare se stessi

di NANNI DELBECCHI (il Fatto Quotidiano 06-05-2012)

E’ un classico caso di double bind mi dice il mio amico, esibendo la

familiarità con la nevrosi tipica di ogni interista. Stupito della mia

ignoranza, spiega che con questo concetto psicologico, reso celebre dalla

Scuola di Palo Alto, si intende un “doppio vincolo” devastante, il primo dei

quali esclude il secondo. Ti ordino di disobbedire, per intenderci. Come

Amleto, che non sa se gli risulti più insopportabile continuare o smettere di

vivere. Come l'asino di Buridano, che muore non sapendo verso quale mangiatoia

muoversi. O come l'interista come me, che di fronte al derby di questa sera

non sa a quale santo votarsi. E, pur esperto di torture, ne scopre una nuova

di zecca. Se batte i milanisti, consegna il titolo agli juventini. Se pareggia,

pure. Solo se perde, può sognare di toglierlo agli odiati gobbi; ma per

cucirlo personalmente sul petto degli orridi cugini. Senza contare che in quel

caso il derby lo perdiamo noi.

PALO ALTO dovrebbe rivedere la sua teoria; qui il vincolo è perlomeno triplo,

una ciabatta multipresa. Qui si schiudono nuovi orizzonti della psicosi.

Credevamo di esserci vaccinati a tutto, quest'anno. Ma l'interista è l'uomo

che non dovrebbe credere mai. Credevamo che nessuna data funesta avrebbe mai

potuto battere il 5 maggio 2002. Credevamo che nessun incubo avrebbe potuto

battere quella finale di Champions del 27 maggio 2007 (ancora loro, Milan e

Juventus). Credevamo. E ci sbagliavamo. Perché oggi, 6 maggio 2012, il derby

Milan-Inter polverizza il muro del masochismo.

Fino a oggi, perfino a noi interisti era rimasta almeno la facoltà di gufare,

essendo il gufaggio l'estremo baluardo del calcio, oltre che della vita

medesima. La squadra del cuore ti può gabbare (come l'amico, la fidanzata e

tutto quello che il cuore crede di conoscere); ma la squadra da gufare resta

comunque una certezza, capace di dare un senso alla tua domenica da qui

all’eternità. Anche perché la squadra del cuore è una, ma quelle del fegato

sono potenzialmente innumerevoli (all'inizio di stagione, quando dopo la

cacciata di Gasperini l'Inter annaspava in zona retrocessione mi sono trovato

a gufare anche il Novara).

Credevamo. Ma credevamo male. Quest'anno anche la sfiga, ultima dea del

pallone, fugge i sepolcri di un annata cimiteriale. Per questo, per cercare

consiglio e trovare conforto, ho iniziato a consultarmi con i compagni di fede

nerazzurra, dei quali tutto si potrà dire, ma non che non abbiano affinato le

più sofisticate tecniche di sopravvivenza.

QUELLO CHE ha evocato la teoria del double bind, ha proseguito così: “Ogni

interista, me compreso, in uno stato di natura nasce antimilanista. Però

l'uomo è un animale sociale e vent'anni di moggiopoli hanno fatto prevalere in

me lo schifo per la Juve”. Attenti però alle conclusioni affrettate. Il guaio

del “doppio vincolo” è che, appena pensi alla padella, cerchi istintivo

rifugio nella brace. “Meglio non vedere sventolare le bandiere berlusconiane”,

argomenta un altro amico, “anche se quando penso a quella faccia di tolla del

presidente dei ladroni...”. E si ferma qui, impaurito dalle sue stesse parole,

che condannano al moto perpetuo ed evocano uno spettro contronatura: dover

gufare se stessi. Un terzo amico, più ottimista, dice che bisogna soppesare

bene il pro (ossia il contro) e il contro (ovvero il pro): “Da una parte,

l'idea che Andrea Agnelli veda sfumare la terza stella; dall'altra, immaginati

il gruppo degli ibradipendenti che arrivando secondo potrebbe sfasciarsi”. Un

altro, più sconsolato, per prima cosa mi dice che all'Inter chiamerebbe Delio

Rossi per fargli dare un pugno a Lucio. “Solo a lui?” chiedo. “Giusto, ora che

mi ci fai pensare, vorrei che li picchiasse tutti”. Ma quando insisto per un

consiglio, sfodera a sorpresa un risvolto esistenzialista: “Non so che dirti.

Dopo un anno così non so più per chi gufare”. Per fortuna c’è chi mi fa

concludere che, come quello di Gordio, certi nodi si possono sciogliere solo

con la spada. “Stasera io tengo per l'Inter”, taglia corto l’ennesimo amico.

Bravo, anch’io farò così. Non so come faremo a riconoscere e separare la gioia,

la sofferenza, la vendetta, la rabbia, l'euforia e la depressione; ma so che

ci riusciremo, se no non saremmo nerazzurri. Forse, oltre ad Amleto, anche

Pirandello era interista; e se non lo era, certo oggi lo sarebbe diventato.

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Il pallone di Luciano

Solo un ostacolo per la Signora:

la sindrome del ribaltone

di LUCIANO MOGGI (Libero 06-05-2012)

Tensione a mille sul campionato, inevitabile e con un paio di vecchie sindromi

che hanno contribuito ad agitare la vigilia. Quella di Perugia, anzitutto, che

la Juve ha vissuto sulla sua pelle nel 2000: stessa classifica, Juve con un

punto di vantaggio sul Milan, identico distacco allora sulla Lazio. In questa

occasione mancherà però Collina che imperterrito volle riprendere una gara

oltre ogni limite di interruzione - 74 minuti record mondiale - e mancherà

probabilmente anche il diluvio che trasformò in piscina lo stadio Curi. Allora

nessuno parlò di rispetto di regole, si voleva che la Juve fosse battuta e

così accadde mandando in paradiso una Lazio incredula.

Due anni dopo la Juve si prese la rivincita, scavalcando l’ Inter suicida

davanti alla Lazio all’Olimpico. Era il 5 maggio, Cuper collassò “siccome

immobile”, eppure ci fu chi volle intravedere dietro le sue debolezze chissà

quali marchingegni.

La seconda sindrome evocata richiama la stagione di Van der Sar in bianconero,

con riferimento all’errore di Buffon. Non vediamo parallelismi, perché

l’infortunio di Gigi resterà isolato, e perché il portiere olandese passato

ingiustamente dalle parti di Torino come un’ acchiappa farfalle ha poi

dimostrato tutto il suo valore a con la sua Nazionale e con lo United. Il

nostro suggerimento è lasciar perdere queste somiglianze improbabili e andare

alla sostanza.

Per la prima volta contro il Lecce la Juve è stata sotto ritmo, incapace di

superare un avversario in dieci, palesando più di altre volte la mancanza di

un vero uomo gol. Il club farà bene a muoversi su questo fronte.

Il Milan si è ringalluzzito, tenta di mettere pressione ai bianconeri,

pensando di trovarne molti non allenati a questo duello sul filo del rasoio.

Il biscione avverte in questo momento meno tensione rispetto alla Juve, appare

più sereno non avendo niente da perdere. E la serenità è un elemento

importante, più della sicurezza, che ti può far distrarre e sbagliare, come

capitato alla Juve contro il Lecce. Stando così le cose i bianconeri

potrebbero sentirsi in condizione di disagio, ma pensiamo che Conte abbia

insistito su questo tema facendosi aiutare dai bianconeri che hanno già

vissuto mille battaglie, come Del Piero e Buffon anzitutto. Sì, anche Buffon,

che avrà avuto terribili incubi in questi giorni, ma ha anche sicuramente la

voglia di un riscatto immediato.

È curioso che per raggiungere lo scudetto la Juve si trovi a sperare che sia

l’Inter a darle aiuto, in due match (a Milano e a Trieste col Cagliari) che si

giocano alla stessa ora diversamente dal Lecce-Fiorentina di ieri, in anticipo

di un giorno (!) su Udinese-Genoa. Due pesi e due misure, con Lega e Figc che

giocano a farsi del male a discapito della immagine del nostro Calcio. Non se

ne cura il Napoli, saldissimo al terzo posto (insieme con l’Udinese, ma i

friulani sono peggio nella classifica avulsa): sul campo di Bologna, nel 1990,

i partenopei blindarono lo scudetto, oggi potrebbe accadere qualcosa di simile

per il terzo posto.

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La sentenza Le indagini illegali della security di Tavaroli «nell' interesse effettivo delle società»

Dossier Telecom, la Cassazione dà torto ai pm

Luigi Ferrarella - Corsera - 5-05-2012 - pag.25

MILANO - Sui «dossier illegali» Telecom-Pirelli, stabilisce ora la Cassazione, nel 2010 aveva torto la Procura e ragione la giudice Mariolina Panasiti: i dossier prodotti nel 2001/2005 dalla Security di Giuliano Tavaroli, con gli 007 privati Cipriani e Bernardini, per la Suprema Corte erano «tutti volti a tutelare interessi effettivi, quand' anche potenziali, delle due società. Vale anche per le operazioni relative alla persona del presidente Tronchetti, perché proteggevano interessi aziendali attraverso la tutela della sua sicurezza fisica e della sua immagine pubblica»: capitolo in cui la Cassazione iscrive «ad esempio le operazioni dettate dalla personale acrimonia del presidente; il giornalista Mucchetti, vicedirettore del Corriere; la sindaco Casiraghi, sospettata di scarsa fedeltà agli interessi del management; le attività lobbistiche della consulente Fancello». La «meticolosa motivazione» rende la sentenza Panasiti «persuasiva soprattutto nelle parti in cui precisa come la sostanziale illiceità» dei dossier «corrispondesse a precise scelte aziendali, cui è difficile considerare estranei i vertici». La Cassazione lo scrive ieri nel motivare in 76 pagine perché il 20 settembre 2011 respinse il ricorso di Procura e società contro il proscioglimento di Cipriani dall' appropriazione indebita di 20 milioni di compensi di Telecom e Pirelli, deciso nel 2010 da Panasiti oltre a 16 patteggiamenti, 12 rinvii a giudizio e l' assoluzione del commercialista Gualtieri. La Cassazione censura gli «accenti di non pertinente polemica» dei pm contro le «valutazioni di inaffidabilità» fatte dalla giudice, in base a «dati di sicuro peso e difficilmente contestabili», «sui modesti coefficienti di credibilità» delle «elusive dichiarazioni» rese «dal presidente Tronchetti allorché assume in buona sostanza di aver ignorato le attività della Security». E neanche è vero, come sostenuto dai pm, che l' eventuale «estensione dell' iniziativa penale nei confronti di un presidente, supposto complice silente, non varrebbe certo a determinare l' impunità dei coimputati di appropriazione indebita»: per la Cassazione questa tesi del pm «è infondata perché l' ipotesi del coinvolgimento penale del presidente Tronchetti, dando origine a un suo conflitto di interessi, implicherebbe l' attribuzione del diverso reato di infedeltà patrimoniale».

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Juventus, terza stella sì o no?

di MARIO SCONCERTI dal blog Lo sconcerto quotidiano (Corriere.it 07-05-2012)

Vi informo di quello che so sul problema Juventus-terza stella. Non c’è

regolamento che lo vieti. La stella non è un’istituzione ufficiale, è l’idea,

pensa un po’, di Umberto Agnelli quando la Juve, nel ’58, vinse il decimo

scudetto. Allora parve una buona idea, ma non era prevista ufficialmente. Fu

un ottima trovata di marketing.

Niente di male mettersi la terza stella se però se ne ha completo diritto. Se

cioè si sono vinti a tutti gli effetti, trenta scudetti. Non cambia lo spirito

rispetto a quando se ne sono vinti dieci o venti. Il punto è: la Juventus ha

vinto trenta scudetti?

La risposta è no. E’ vero che la Juve ha vinto trenta scudetti, ma è anche

vero che per slealtà sportiva e illecito strutturale, due le sono stati tolti

con sentenza definitiva emessa da tutti i gradi della giustizia sportiva

Quindi la Juve ne ha certamente vinti trenta, ma ne può esibire pubblicamente

28. I due che mancano non potranno mai essere riconosciuti. E’ come non li

avesse vinti, tanto che uno è stato assegnato a un’altra squadra.

Cosa succede allora se la Juve mette la terza stella? Essendo un titolo

auto-onorifico che non esiste ufficialmente si può perfino pensare non succeda

niente. Tutti possono mettere a vario titolo una, due, cinque stelle sulla

maglia. Uno festeggia il decimo anno di presidenza, uno le coppe Italia vinte,

uno gli anni di sua figlia. Se c’è libertà, perchè non usarla?

Tutto risolto allora? No, perchè tutto quello che va sulle maglie ufficiali

deve essere concordato con la Lega. E’ la Lega, cioè le venti società di serie

A, a dover dare la vera risposta. Il regolamento infatti spiega che tutto

quello che di scritto sulla maglia non è concordato, va ritenuto proibito.

Altrimenti l’Inter potrebbe mettere sulla maglia le sue Coppe dei Campioni, il

Milan anche, ognuno, come detto, qualunque altra cosa.

La federclacio non potrebbe inoltre che deferire la Juventus per il

significato eversivo dato dalla stessa Juve alla terza stella. Tre stelle,

trenta scudetti, mentre per il calcio così non è. Deferimento dunque agli

organi disciplinari italiani ed europei, perchè la maglia in Europa è ancora

più sacra e deve dire il vero al cento per cento.

Questo è il quadro regolamentare. Vediamo ora la prima mossa.

___

l'Editoriale di ANDREA Sfiduciato MONTI (GaSport 07-05-2012)

Agnelli, Fort Juve

e lo scudetto del

«pugno sul tavolo»

Tutto in una notte. E che formidabile notte! Sei anni dopo la discesa agli

inferi la Juve ritrova, con merito indiscutibile, la gloria e le chiavi del

paradiso. A consegnargliele nei panni di San Pietro è Diego Milito, lo

specialista in triplete che veste la maglia nerazzurra, quella degli

arcinemici di oggi e di sempre. Il Diavolo finisce all’inferno, il posto che

gradisce di meno, a scontare qualche peccato di presunzione e le troppe

occasioni concesse a un avversario che ha trovato la quadra con classe,

organizzazione e una tremenda voglia di vincere. Come in ogni grande libro,

l’epilogo del campionato è il capitolo migliore. Il più intenso. E più

istruttivo.

Il calcio è un rito bizzarro che in rare, preziose occasioni esonda

dall’alveo dello sport e dello spettacolo per diventare commedia umana.

Racconta storie che paiono un romanzo, imprime svolte impreviste, trova

sentieri misteriosi verso il futuro. Ieri sera è accaduto proprio questo e

neppure il più distratto degli agnostici può fingere di non vedere la mano

della Provvidenza in questa metafora beffarda: dopo la lunga tenzone

sulle ceneri non ancora spente di Calciopoli, i duellanti sorridono entrambi.

Separatamente, s’intende. Ma nello stesso identico momento: domenica 6

maggio, ore 22.41, fischio finale a San Siro e a Trieste.

La Juve porta a casa il titolo del riscatto agognato, del rientro nel grande

gioco internazionale che le appartiene, con la fondata impressione di aver

avviato un ciclo. L’Inter non si scosta, supera con grinta gli errori/orrori

di Rizzoli e onora la sua parte proprio all’ultimo appuntamento del suo annus

horribilis. Non so se il ritorno dello scudetto allo Juventus Stadium

contribuirà a bonificare il fondo limaccioso delle polemiche, dei ricordi

e dei rimpianti. Ma certo anche i più accesi tifosi bianconeri non potranno

dimenticare la notte in cui l’odiata Benamata ha procurato loro il brivido

della vittoria finale tanto attesa. Il trionfo juventino è il frutto dolce

della logica, dei numeri e della passione degli uomini. Alberto Cerruti, in

questa pagina, ne analizza gli elementi chiave. Ognuno scelga quello che

meglio soddisfa la sua fantasia. Si può parlare del lavoro di Conte,

formidabile tattico oltre che gran motivatore. Della straordinaria stagione

di Pirlo. Della maturazione di Marchisio e di Vidal. Di una difesa che ha subito

solo 19 gol in tutto il campionato, 2 nelle ultime 11 partite. Di una squadra

in cui segnano tutti, 18 giocatori in gol. E che a una giornata dalla fine è

ancora imbattuta, con uno straordinario record di 41 partite senza

sconfitte in stagione e 24 punti in più dell’anno scorso.

Ma come ogni romanzo corale questa odissea bianconera ha il suo centro epico

in una dinastia. «Non c’è Juve senza Agnelli», diceva l’Avvocato. «Nel

calcio, vincere non è importante. E' l’unica cosa che conta», gli faceva

eco Boniperti. Andrea Agnelli, il quarto Agnelli presidente, non ha dimenticato la

lezione. Con lucidità di gestione e investimenti importanti ha mantenuto la

sua promessa. Sul piano psicologico — nei confronti della squadra, dei tifosi

e degli avversari — ha giocato con abilità e durezza la carta della riscossa e

dell’orgoglio umiliato. Ha costruito Fort Juve, rivendicando giustizia e pari

trattamento sul piano delle sentenze sportive e della storia. Qualche volta,

quando ci è parso che sfiorasse la riabilitazione del passato moggiano, lo

abbiamo criticato. Eppure questo, alla fine dei giochi, è lo scudetto del

«pugno sul tavolo». Piaccia o non piaccia, il suo significato politico— e

il calcio a questi livelli è anche politica — sta tutto qui. Ora comincerà il

tormentone della terza stella. L’albo d’oro dice che questo è il 28° scudetto

assegnato ai bianconeri, e che i due contestati non torneranno. Ma la Juve di

quest’anno le tre stelle le merita come un ristorante d’eccellenza a livello

europeo e mondiale: ha giocato un calcio essenziale, gustoso, molto spesso

sopraffino.Hasoddisfatto i palati più esigenti. E il prezzo — scontate le

polemiche—è assolutamente giusto.

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Prima del trionfo Sei anni di sofferenze, di speranze e di polemiche. E alla fine del percorso di nuovo il tricolore

La ricostruzione

dopo il buco nero

chiamato Calciopoli

Dalla serie B al ritorno al vertice

di FABIO MONTI (CorSera 07-05-2012)

Sei anni di battaglie politico-istituzionali; sei anni per la ricostruzione;

sei anni in salita per tornare al 14 maggio 2006: è la domenica nella quale la

Juve conquista lo scudetto n. 29 a Bari (campo neutro), battendo la Reggina

(2-0), con 91 punti (tre in più del Milan). Ma è già esplosa Calciopoli, che

travolge il sistema calcistico italiano e soprattutto la Juve, costringendo

l’amministratore delegato bianconero, Antonio Giraudo e il d.g., Luciano Moggi

(«mi hanno ucciso l’anima»), alle dimissioni. Il 14 luglio, la Caf decide la

retrocessione in B della Juve (con una penalizzazione di 30 punti nel

campionato 2006-2007); la revoca dello scudetto 2004-2005 (non assegnazione)

e di quello 2005-2006; la squalifica di cinque anni con proposta di radiazione

per Giraudo e Moggi; tre giornate di squalifica al campo. Il 25 luglio, la

Corte federale riduce la penalizzazione a 17 punti, ridotta dall’arbitrato del

Coni a 9, con annullamento della squalifica del campo (a fine agosto la Juve

aveva rinunciato al ricorso al Tar del Lazio). Il 26 luglio, lo scudetto era

stato assegnato all’Inter a tavolino. L’inizio di una guerra sportiva che non

è ancora finita.

Prima ancora della sentenza Caf, viene sciolto e ricomposto il Consiglio di

amministrazione, con l’ingresso di alcuni uomini nuovi: Tardelli e l’ex c. t.

della nazionale di pallavolo, Montali. Il 29 giugno, viene nominato presidente

Giovanni Cobolli Gigli, con Jean-Claude Blanc amministratore delegato. Se ne

vanno Capello, Emerson e Cannavaro (Real); Thuram e Zambrotta (Barcellona);

Vieira e Ibrahimovic (Inter). In panchina viene chiamato Didier Deschamps, che

ha vinto tutto con la Juve di Lippi: è il primo allenatore straniero, dopo 33

anni (Vycpalek ’74). Il 19 maggio 2007, la Juve torna in A; il 26 maggio ha la

certezza del primo posto e Deschamps risolve il contratto. Il 4 giugno, la

società annuncia l’ingaggio di Ranieri. La squadra arriverà terza, alle spalle

di Inter e Milan e torna in Champions League (2008-2009). Nel girone di coppa,

batte due volte il Real, ma esce agli ottavi contro il Chelsea. Alla fine

dell’andata è seconda con 40 punti; il calo nel ritorno costa la panchina a

Ranieri, sostituito da Ferrara (alla fine è secondo posto), che resta anche

nel 2009-2010. Comincia bene, ma l’eliminazione dalla Champions e le troppe

sconfitte gli costano la panchina. Il 6 ottobre 2009, Cobolli Gigli lascia la

presidenza e gli succede Blanc; a fine dicembre viene richiamato Roberto

Bettega, come consigliere tecnico; arriva Zaccheroni, ma la Juve finisce

settima. C’è una novità storica in società: un Agnelli, Andrea, torna alla

presidenza del club (19 maggio 2010). Si riparte da Gigi Delneri e Beppe

Marotta. Agnelli cambia ancora.

Nel frattempo si sviluppa la battaglia legale. Al processo di Napoli su

Calciopoli, le intercettazioni recuperate dalla difesa di Moggi mettono in

luce alcune telefonate intercorse fra Moratti, Facchetti e gli ex designatori,

Bergamo e Pairetto e due arbitri (De Santis e Nucini). Telefonate giudicate

«irrilevanti» dai pm. Si apre un contenzioso «politico » di una durezza senza

precedenti fra Juve e Inter. Il 10 maggio 2010, il Cda bianconero ufficializza

l’invio di un esposto al presidente Figc, Abete, al procuratore Palazzi (che

ha già chiesto l’acquisizione delle nuove intercettazioni di Napoli) e al Coni,

per chiedere la revisione della decisione di assegnare lo scudetto 2006

all’Inter. Il 1° luglio, Palazzi presenta una relazione nella quale archivia

la posizione dell’Inter solo «per prescrizione». La richiesta di revoca del

titolo su base «etica» viene respinta il 18 luglio 2011, perché ne mancano i

presupposti giuridici. Il 5 giugno, la Disciplinare procede alla radiazione di

Giraudo eMoggi. A Napoli, il 14 dicembre 2009, l’ex a.d. bianconero era stato

condannato con «rito abbreviato » a tre anni di reclusione per «frode sportiva

e associazione a delinquere» (in corso l’appello). L’8 novembre 2011 Moggi

viene condannato in primo grado dal Tribunale di Napoli a 5 anni e 4 mesi, per

promozione dell’associazione a delinquere. Una settimana dopo, lunedì 14

novembre, la Juve deposita presso il Tar del Lazio il ricorso contro Figc e

Inter, chiedendo un risarcimento di 443. 725. 200 euro, per «illegittimo

esercizio dell’attività amministrativa e per il mancato esercizio di quella

obbligatoria», per la revoca dello scudetto 2006, assegnato poi all’Inter. Il

14 dicembre, dopo una discussione durata 4 ore e 36 minuti, fallisce il

«tavolo della pace». La Juve, tornata una squadra di vertice, resta un partito

di lotta. La pace è lontana.

-------

Il cuore Il cammino del bianconero ricomincia con «tre stelle» vinte sul campo

Per noi tifosi è finito un incubo

La magia di un nuovo inizio

Una squadra con personalità e con una prospettiva

di PIERLUIGI BATTISTA (CorSera 07-05-2012)

È finito un incubo durato sei anni. Un incubo in cui la Juventus era una

storia archiviata. L'incubo dell'inferno della serie B. Dei processi sommari.

Di una società intontita che svende i suoi gioielli. Di una squadra

smantellata. Dei mercoledì di Champions vuoti e insignificanti. Delle

ambizioni azzerate. Delle umiliazioni subite. Quell'incubo si è dissolto.

Quasi quasi non ci speravamo neanche più. Qualcuno pensava che non ne

saremmo mai usciti. Ne siamo usciti. Alla grande.

Nel 2006 la squadra diretta da Fabio Capello e formata da Buffon e Cannavaro,

Thuram e Zambrotta, Emerson e Vieira, Trezeguet e Ibrahimovic, Camoranesi e

Del Piero, una squadra di assi che accumulò novanta punti, che imbottì le

nazionali di Francia e Italia che in Germania, pochi mesi dopo, si contesero

la finale dei Mondiali, quella squadra venne demolita persino nel ricordo. Chi

controlla il passato, controlla il presente. E infatti del passato venne

divulgata una rappresentazione oltraggiosa e caricaturale. E il presente

raccontava di un calcio in cui il bianconero era diventato una combinazione

cromatica marginale, addirittura trasmesso all'Udinese (con tutto il

rispetto). Dopo anni di prove fallite, di acquisti cervellotici, di una

mentalità plasmata sempre più da una dimensione minore del calcio, ininfluente,

inesistente, lo scudetto conquistato con la grinta e la forza di Antonio

Conte e dei suoi leoni indica la rinascita, la magia di un nuovo inizio. Una

storia sembrava spezzata, annichilita. No, adesso, cacciati via gli spettri,

si ricomincia.

Ma come credevate che abbiano vissuto gli juventini in tutti questi anni

infernali? Forse pensavate a un popolo di tifosi piegati, assuefatti al rango

di minori, abituati all'idea della rinuncia? Vi sbagliavate. Nessuno ha mai

pensato che una storia gloriosa fosse una storia criminale. Nessuno si è

perduto una partita di serie B, con quegli stadi così piccoli che si vedevano

i balconi di casa da cui la gente assisteva alla partita. Nessuno ha ignorato

le altrui telefonate arbitrali che invece gli investigatori hanno

incredibilmente cancellato per anni. E quando la società ha ripreso vigore e

combattività, orgoglio e richieste di risarcimento, è stato il segno della

riscossa, anticipazione e preludio della riscossa sul campo che si è celebrata

ieri.

Mancava la squadra giusta per dare una prospettiva che non fosse solo

recriminazione e patimento di un'ingiustizia subita. E la squadra è arrivata,

con una personalità, un carattere, una classe ed una tecnica a cui molti di

noi, feriti e disillusi da anni di scelte sbagliate e di denari buttati al

vento, l'estate scorsa non avevano dato credito. È arrivata la precisione

unica al mondo di Pirlo, la potenza di Vidal, la velocità di Lichsteiner, la

puntualità di Barzagli, la raffinatezza (a singhiozzi) di Vucinic,

l'esuberanza ancora da dirozzare di Matri, il coraggio di Pepe, che si sono

uniti allo stile esemplare di capitan Del Piero, alla bravura assoluta di

Buffon, all'impeto di Chiellini, alla classe sempre crescente di Marchisio, e

così via. Tutte qualità straordinarie fuse e dirette da uno stregone dello

spogliatoio e del campo come Conte, una bandiera mai sbiadita di quella storia

che sembrava spezzata.

Ora si ricomincia, senza più i fantasmi che infestano una grande storia. Si

ricomincia con l'orgoglio, con la consapevolezza che per riconquistare una

statura europea c'è anche molto da fare, da scegliere (e da spendere).

Si ricomincia: con tre stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla

maglia bianconera.

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Juve 30: Houston, abbiamo un problema

di ALVARO MORETTI dal blog Filo spinato (TUTTOSPORT.com 07-05-2012)

Houston abbiamo un problema: la Juventus rivendica i 30 scudetti, il calcio -

continuando a far finta di niente sullo scudetto detenuto dall’Inter per

prescrizione e incapacità di rispettarsi (”l’etica non si prescrive”, disse un

giorno Abete) - non vuole che la rivendicazione di par condicio calciopolara

finisca sulle maglie dei campioni d’Italia. C’è però un fatto: se il popolo

juventino, oggi più che nel 2006, non accetta i verdetti del grandguignol

giudiziario del 2006, in cui la squadra più forte fu fatta a pezzi, il

problema se lo pongano quelli che non hanno saputo fare giustizia dopo. Non

c’è pace senza giustizia, abbiamo detto e scritto più volte in questi mesi

citando niente meno che Papa Giovanni Paolo II: ora le sedi in cui proseguire

il braccio di ferro tra Figc (e Inter) contro la Juventus è fuori dal consesso

sportivo. Sarebbe bello poter mettere un punto a tutto, ma per farlo non basta

una vittoria ottenuta dalla Juve senza aiuto di nessuno. Una parola su quanto

capitato dal 2006 in poi, su vantaggio e danni subiti per l’incompletezza

dell’operato della giustizia della Figc, la deve dire proprio la federazione.

Senza circumnavigazioni del concetto: la Juve è stata o no tratta in modo

diseguale? Ricordiamo sempre e a tutti che se si rivendicano i 30 scudetti è

anche perché la pur dura sentenza su Moggi del tribunale di Napoli, lascia la

Juventus fuori da ogni addebito e soprattutto il campionato “taroccato” lo

riconsegna al calcio come campionato vero. Di grandi giochi di lobby fuori dal

campo, ma deciso sul campo: questo lo dice un tribunale dello Stato, smentendo

la giustizia sportiva senza se e senza ma.

___

Juve con merito ma senza terza stella

di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA (l'Espresso.it 07-05-2012)

Anche Ragù di capra sale sul carro del vincitore. La Juventus ha vinto lo

scudetto e ha diritto alle celebrazioni che spettano a un trionfo meritato.

Ecco qualche elemento di analisi.

1. La Juve ha vinto per i motivi seguenti. Non ha mai perso. Non doveva fare

le coppe. Ha avuto, relativamente, meno infortuni. Ha giocato come una

squadra. Ha avuto una serie di benefit di mercato da parte di rivali, o

presunte tali. Si possono citare Vucinic e Borriello, decisivi nella fase

finale. Ma soprattutto i bianconeri hanno goduto di un clamoroso autogol di

mercato milanista con la cessione di Pirlo, il migliore centrocampista

italiano degli ultimi dieci anni. Il Milan ha meritato di perdere solo per

questo, altro che gol fantasma di Muntari.

2. La Juve ha vinto come si vince nel calcio di alto livello: disastrando il

bilancio. L’accomandita Giovanni Agnelli, che controlla il club attraverso la

Exor, si è dovuta sobbarcare un aumento di capitale pauroso (circa 90 milioni

di euro su 120 complessivi). È la strada maestra già indicata da Silvio

Berlusconi e Massimo Moratti. Si spera che proprio un ex juventino, il

presidente Uefa Michel Platini, riesca a mettere fine a questo scempio con il

fair play finanziario. Ma, a occhio, sarà più facile che mettano fine a

Platini.

3. La Juve ha vinto come vince la Juve, grazie a un’idea del calcio vagamente

paramilitare. Si può sperare che il post-scudetto sia all’insegna del fair

play, se non finanziario, almeno etico. Purtroppo i segnali sono negativi.

Ancora prima che arrivasse la certezza matematica del tricolore, è partita

l’ondata revanscista del “vinco uno, prendo tre”. Secondo l’impostazione data

dal presidente Andrea Agnelli quando lui stesso non credeva di vincere così

presto, la Juventus avrebbe appena conquistato il trentesimo titolo e dunque

la terza stella. La giustizia sportiva ha deciso altrimenti e, se non altro,

questa vittoria in campionato dimostra che si può vincere anche senza la

coppia Moggi-Giraudo.

___

IL COMMENTO di MARCO BUCCIANTINI (l'Unità 07-05-2012)

E adesso dimenticate il passato

LA JUVENTUS È CAMPIONE D’ITALIA PER LA 28ESIMA VOLTA, ANCHE SE I SUOI

DIRIGENTI SI OSTINANO A CONTARE TRENTA SCUDETTI E PRETENDERE DI

CONSEGUENZA LA TERZA STELLA DA CUCIRE SULLA MAGLIA.

Farebbero meglio a smerigliare il campionato dalle polemiche, e lasciare così

brillare questo limpido gioiello costruito d’estate, quando fu scelto Antonio

Conte e i giocatori più adatti a interpretare il suo calcio aggressivo, veloce,

corale dove Pirlo è prezioso perché tutto quell’ardore viene trasformato in

gioco. C’è tanto “presente” in questa Juventus, che merita di affrancarsi dal

passato.

Lo scudetto è meritato: una squadra senza sconfitte testimonia solidità ed

efficacia tattica. Se il Milan è rimasto in corsa, trovando perfino una vetta

che sembrava assicurata, è solo perché i vari Vucinic, Giaccherini, Pepe erano

al tempo stesso punti di forza della squadra, con il loro muoversi perpetuo

negli spazi, e anche la croce: arrivando sfiatati in zona gol, finivano per

dilapidare molte occasioni. Così, l’andatura della Juventus era frenata dai

troppi pareggi, che però lasciavano tutti la stessa impressione di forza.

L’incognita maggiore era dunque l’affievolirsi della vivacità di questi

corridori, ma Conte ha gestito benissimo un gruppo fortunatamente esente

da infortuni importanti, e risparmiato dalle coppe internazionali, che hanno

svilito le concorrenti. In questa bizzarra primavera, le gambe più veloci

erano ancora quelle bianconere. E alla concretezza hanno badato i due

cursori della squadra: Marchisio e Vidal, che si sono idealmente alternati:

il torinese mattatore dell’andata, il cileno del ritorno. Così, dopo sei anni,

Calciopoli può essere analizzato serenamente anche da Agnelli, che ieri

ha perfino avuto l’aiuto dell’Inter, alter ego di questo revanscismo. Nerazzurri

padroni di un derby dove il Milan, come troppe volte è successo, si è ridotto

a Ibrahimovic, capace quest’anno di cose sublimi, pieno come mai in passato,

abile a vedere il gioco suo e sviluppare quello dei compagni, che infatti

chiama spesso all’affondo e più ancora al duetto: manca allo svedese solo il

carisma per dare coraggio a compagni spaventati dall’occasione. La stagione

dei rossoneri è stata troppo agitata per lasciare energie da spendere in

questo derby. Allegri ha cavato poco dai giocatori messi attorno al faro:

nell’azione di Boateng c’era volontà, non raziocinio, e in quella di Robinho

mancava senso della porta. Va detto che l’Inter è stata bella nel primo tempo

e valorosa nel secondo, quando l’arbitro l’ha espropriata della partita.

Poteva abbattersi e replicare certe recite mosce di questa stagione invece si

è armeggiata, mossa, battuta, con tiri originali (Sneijder) finché le è

rimasto fiato. Per una squadra che vale meno di quanto sta scritto nei

curricula dei suoi protagonisti, è stato un nobile addio agli obiettivi

stagionali. Anche questa è classe: chi erediterà queste maglie invecchiate, ne

sia all’altezza.

___

Beha: ‘Scudetto meritato, ma scommesso?’

di OLIVIERO BEHA da Partite & partiti (tv.ilfattoquotidiano.it 07-05-2012)

La Juventus ha vinto il campionato, evitando il ballottaggio dell’ultima

giornata. Anche stavolta la serie A non si è fatta mancare nulla: dalla rete

del vantaggio juventino in fuorigioco (che comunque non mette in discussione

la netta superiorità bianconera) al rigore inesistente regalato al Milan nel

derby, fino al gol fantasma negato all’Inter. La Juve è campione d’Italia con

merito, non ci sono dubbi. Ma sul campionato continuano ad allungarsi le ombre

minacciose del calcio scommesse.

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