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bidescu

Angelo Peruzzi

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Chi ricorda la parata a Napoli su (mi sembra) Aglietti che ci regal

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Auguri Angelo!!! :sventola:

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Chi ricorda la parata a Napoli su (mi sembra) Aglietti che ci regal

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uno dei migliori portieri bianconeri

un portiere essenziale,quasi mai giullare o circense.

per me il portiere pi

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Inviato (modificato)

UEFA Champions League on X: "Happy birthday, #UCL winner & former Juventus  goalkeeper Angelo Peruzzi! https://t.co/cEYqr678oa" / X

 

La saracinesca di Juventus e Lazio: la straordinaria carriera di Angelo  Peruzzi | Goal.com Italia

 

Geen fotobeschrijving beschikbaar.

 

Modificato da Socrates

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55062307_juve1989.png.0e751d8b023348d650bcfe17bd167d22.png   ANGELO PERUZZI

 

Giggs & Vieira named in Javier Zanetti's dream Champions League XI as  Cristiano Ronaldo misses out | Goal.com

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Peruzzi

 

 

Nazione: Italia 20px-Flag_of_Italy.svg.png
Luogo di nascita: Blera (Viterbo)
Data di nascita: 16.02.1970
Ruolo: Portiere
Altezza: 181 cm
Peso: 88 kg
Nazionale Italiano
Soprannome: Tyson - Cinghialone

 

 

Alla Juventus dal 1991 al 1999

Esordio: 12.02.1992 - Coppa Italia - Juventus-Inter 1-0

Ultima partita: 09.05.1999 - Serie A - Juventus-Milan 0-2

 

301 presenze - 264 reti subite

 

3 scudetti

1 coppa Italia

2 supercoppe italiane

1 champions league

1 coppa Uefa

1 supercoppa Uefa

1 coppa intercontinentale

 

Campione del mondo 2006 con la nazionale italiana

 

 

 

Angelo Peruzzi (Blera, 16 febbraio 1970) è un dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo portiere. Campione del mondo con la nazionale italiana nel 2006.

Considerato uno dei migliori portieri italiani di sempre, è stato uno dei massimi esponenti del ruolo negli anni 1990 e 2000. A livello di club ha ottenuto i maggiori successi con la maglia della Juventus, conquistando tre campionati di Serie A, due Supercoppe di Lega, una Coppa Italia, una UEFA Champions League, una Supercoppa UEFA, una Coppa Intercontinentale e una Coppa UEFA. Al suo attivo ha altre due coppe nazionali, vinte rispettivamente con Roma e Lazio, e una terza Supercoppa di Lega, vinta sempre in maglia laziale.

In nazionale ha totalizzato 31 presenze: titolare in occasione del campionato d'Europa 1996, ha partecipato da riserva al campionato d'Europa 2004 e al vittorioso campionato del mondo 2006; ha invece saltato per infortunio il campionato del mondo 1998, per il quale era stato convocato come titolare. Prima di approdare nella nazionale maggiore, ha preso parte agli Europei Under-21 del 1990 e del 1992, vincendo, da riserva, quest'ultima edizione; nello stesso anno ha partecipato ai Giochi olimpici di Barcellona.

A livello individuale si è aggiudicato per tre volte l'Oscar del calcio AIC come miglior portiere della Serie A, è stato incluso per due volte nella squadra dell'anno ESM e ha vinto un'edizione del Guerin d'oro; nel 1997 è stato inserito nella lista dei 50 candidati al Pallone d'oro, classificandosi 29º, ed è risultato 2º (primo tra gli europei) nella classifica IFFHS di miglior portiere dell'anno. La stessa IFFHS lo ha annoverato tra i più forti portieri europei del XX secolo e tra i migliori in assoluto del periodo 1987-2011, collocandolo al 30º posto in entrambe le graduatorie.

 

Angelo Peruzzi
Angelo Peruzzi - Juventus FC 1996-97.jpg
Peruzzi alla Juventus nel 1996
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 181 cm
Peso 88 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex portiere)
Termine carriera 20 maggio 2007 - giocatore
Carriera
Giovanili
19??-19??   Roma
Squadre di club
1987-1989   Roma 13 (-16)
1989-1990    Verona 29 (-38)
1990-1991   Roma 3 (-3)
1991-1999   Juventus 301 (-264)
1999-2000   Inter 33 (-31)
2000-2007   Lazio 192 (-196)
Nazionale
1989-1992 Italia Italia U-21 10 (-8)
1992 Italia Italia olimpica 2 (-1)
1995-2006 Italia Italia 31 (-17)
Carriera da allenatore
2008-2010 Italia Italia Coll. tecnico
2010-2012 Italia Italia U-21 Vice
2012   Sampdoria Vice
Palmarès
 
Transparent.png Europei di calcio Under-21
Bronzo 1990
Oro 1992
Coppa mondiale.svg Mondiali di calcio
Oro Germania 2006

 

Caratteristiche tecniche

Giocatore

«Sembra la smentita in carne (pardon, muscoli) e ossa di quel vecchio detto secondo cui per fare i portieri bisogna essere un po' svitati, se non proprio matti. Angelo Peruzzi è l'esatto contrario di tutto questo.»

(Salvatore Lo Presti, La giornalaccio rosa dello Sport, 18 ottobre 1997)

 

220px-Serie_A_1997-98_-_Roma_vs_Juventus
 
Peruzzi in maglia juventina il 14 settembre 1997, mentre si oppone al romanista Totti subito dopo avergli respinto il precedente tiro: un doppio intervento annoverato tra i più belli nella storia del calcio italiano.

 

Soprannominato Tyson o più amichevolmente Cinghialone in virtù della notevole potenza muscolare, Peruzzi era un portiere dal repertorio completo, dotato di buona presa, riflessi pronti e ottimo senso del piazzamento. Talento precoce, freddo e valido tecnicamente, dava il meglio di sé nelle uscite basse — gesto tecnico in cui aveva pochi eguali al mondo —, ma eccelleva anche tra i pali, per merito di grandi doti acrobatiche che gli valsero, in giovane età, l'accostamento al funambolico Luciano Castellini; tuttavia, in apparente contrasto con tale abilità, non era solito compiere interventi vistosi: era infatti dell'avviso che ridurre al minimo i tuffi, muovendosi molto sulla linea di porta, facesse apparire più semplici le sue parate, costituendo un vantaggio psicologico nei confronti degli attaccanti. Capace di infondere sicurezza nella retroguardia, era inoltre riconosciuto come leader dello spogliatoio dai compagni di squadra, che in diverse occasioni ne hanno elogiato le qualità caratteriali e umane; l'indole pacata ma decisa e la sobrietà dello stile di gioco — così come la preferenza per uniformi poco vistose — lo posero quindi sulla scia di Dino Zoff, suo punto di riferimento nonché predecessore nella Juventus e in nazionale.

 

220px-Serie_A_1999-2000_-_Inter_vs_Milan
 
Da sinistra: Peruzzi, riconosciuto in carriera quale leader carismatico dello spogliatoio, qui in maglia interista mentre striglia i compagni di reparto durante la stracittadina del 23 ottobre 1999; con lui, il rivale milanista Weah e l'altro nerazzurro Panucci.

 

Pur non essendo molto abile col pallone tra i piedi — «quando voglio toccare di fino, rischio di combinare guai» —, dal punto di vista tattico si mostrò particolarmente adatto alla difesa a zona e ai compiti di sweeper-keeper, producendosi all'occorrenza in tempestivi scatti fuori dall'area di rigore per fermare l'avversario lanciato a rete: ciò gli permetteva di rivelarsi decisivo con pochi, importanti interventi anche quando restava a lungo inoperoso. Per via della sua affidabilità, sul finire degli anni 1990 era ritenuto da diversi esponenti della stampa italiana il miglior portiere del mondo; il suo rendimento è rimasto costantemente elevato anche negli anni 2000. Nella prima metà della carriera mostrò una spiccata propensione a parare i calci di rigore — culminata nei due penalty respinti nell'epilogo dagli undici metri della UEFA Champions League 1995-1996 —, solo sporadicamente confermata in seguito.

La sua esecuzione delle uscite alte — di solito finalizzate alla respinta piuttosto che alla presa — è stata generalmente indicata come il suo principale punto debole: superando di poco i 180 cm, aveva una statura ridotta per il ruolo che ricopriva, motivo per cui era restìo ad affrontare in mischia attaccanti più alti di lui. Sul piano fisico è stato spesso frenato dagli infortuni, sebbene nella maggior parte dei casi sia rimasto lontano dai campi solo per brevi periodi.

Carriera

Giocatore

Club

Roma e Verona
220px-Serie_A_1987-88_-_Milan_vs_Roma_-_
 
Un giovane Peruzzi debutta in Serie A con la Roma il 13 dicembre 1987

 

Cresciuto nel vivaio della Roma, esordisce in Serie A a 17 anni, il 13 dicembre 1987, sostituendo il portiere titolare Franco Tancredi, colpito da un petardo lanciato dagli spalti. La stagione successiva, nonostante la giovane età, si propone come alternativa allo stesso Tancredi collezionando 12 presenze in campionato, 7 in Coppa Italia e una in Coppa UEFA.

Nell'annata 1989-1990, a 19 anni, passa in prestito al Verona con cui affronta il suo primo campionato da titolare. In maglia scaligera, con cui colleziona 29 presenze, il portiere sfodera prestazioni convincenti, segnalandosi tra l'altro per aver respinto un rigore a Roberto Mancini nei minuti finali della gara di ritorno contro la Sampdoria: con quella parata — da lui ritenuta tra le più belle della propria carriera — trascina il Verona a un'importante vittoria che, per la prima volta in stagione, risolleva il club dall'ultimo posto in classifica, mantenendo vive le possibilità di permanenza nella massima serie; tuttavia, nel contesto di una squadra dal basso valore tecnico e per giunta preda di problemi finanziari, Peruzzi non riesce a evitare a fine stagione la retrocessione in Serie B.

 

220px-Associazione_Calcio_Hellas_Verona_
 
Peruzzi (in piedi, primo da sinistra) nel Verona della stagione 1989-1990

 

Torna in forza alla Roma per il campionato 1990-1991, iniziato da titolare. Tuttavia, dopo tre giornate, risulta protagonista insieme ad Andrea Carnevale di un episodio di doping: trovato positivo alla fentermina, viene squalificato per dodici mesi.

Juventus
1991-1995

Scontata la squalifica, nella stagione 1991-1992 passa per 4,5 miliardi di lire alla Juventus, in cui si affermerà — dopo un periodo di assestamento — come uno dei migliori portieri della sua generazione.

Nella prima stagione è chiamato a fare da riserva a Stefano Tacconi, il capitano della squadra, venendo designato fin dal principio a futuro erede del portiere umbro. Fa il suo esordio in maglia bianconera il 12 febbraio 1992, nella gara d'andata dei quarti di finale di Coppa Italia contro l'Inter, e da lì in poi disputerà il resto del torneo da titolare, con ottimo rendimento: spiccano, fra gli altri episodi, la sua prestazione nel retour match coi nerazzurri, in cui resta in campo per tutta la gara malgrado la frattura del naso («bisogna concludere che la sua soglia del dolore è altissima», ha poi sentenziato il medico sociale), e il rigore parato a Franco Baresi durante la semifinale di ritorno contro il Milan. Giunta in finale, la Juventus viene superata dal Parma con un complessivo 2-1 nonostante la vittoria nella partita di andata.

 

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Peruzzi all'inizio della stagione 1992-1993, la sua seconda alla Juventus e la prima da titolare della porta bianconera.

 

Oltre che in Coppa Italia, Peruzzi colleziona 6 presenze anche in campionato, venendo promosso titolare a partire dalla gara contro la Roma del 18 aprile 1992, valida per la 29ª giornata: l'episodio getta le basi per il definitivo avvicendamento tra i portieri bianconeri, sfociato nell'addio di Tacconi a fine stagione.

Dall'annata successiva Peruzzi è dunque titolare fisso e, pur non disputando una grande stagione sul piano personale, ottiene il primo successo internazionale, con la vittoria in Coppa UEFA. L'anno seguente, nonostante un avvio incerto — che comunque non scalfisce la fiducia che il tecnico Trapattoni nutre nei suoi confronti — e il rischio di vedersi affibbiata l'etichetta di «eterna promessa», migliora il proprio rendimento a tal punto da candidarsi al ruolo di terzo portiere della nazionale italiana al campionato del mondo 1994, pur restando infine escluso dall'elenco dei convocati.

La stagione 1994-1995, che vede Marcello Lippi sulla panchina della squadra, è per Peruzzi quella della definitiva affermazione: sottoposto a metodi di allenamento più specifici, il portiere esperisce un miglioramento sul piano tecnico e atletico che, oltre a porre le basi per le sue eccellenti prestazioni negli anni a seguire, gli vale l'esordio in nazionale, di cui diverrà titolare fisso a partire dal settembre 1995: un risultato peraltro profetizzato da Lippi, convinto che Peruzzi sarebbe presto diventato la prima scelta in maglia azzurra. Al termine della stagione, il portiere bianconero vince inoltre il suo primo scudetto, cui fa seguito la vittoria della Coppa Italia: nuovamente opposta al Parma, questa volta la Juventus si impone con un complessivo 3-0.

1995-1999
220px-Juventus_FC_-_Champions_League_199
 
Peruzzi (a sinistra) festeggiato da Del Piero al termine della finale di UEFA Champions League 1995-1996, in cui il portiere si rivelò decisivo nel vittorioso epilogo ai rigori: «L'unica cosa che stonava era quella maglia gialla con le stelle blu. Non mi piaceva. Sono sempre stato un tradizionalista: grigio o nero, come Zoff».

 

Nella stagione 1995-1996 vince la Supercoppa italiana, battendo ancora il Parma, e soprattutto la Champions League; nella finale di Roma contro l'Ajax non appare immune da colpe in occasione del gol di Jari Litmanen, ma dopo che i tempi regolamentari e supplementari si chiudono sull'1-1, Peruzzi si riscatta ai tiri di rigore neutralizzando le conclusioni di Edgar Davids e Sonny Silooy, e risultando così decisivo per la conquista della coppa.

Nella stagione seguente diviene vicecapitano della squadra; in questa veste, complice il lungo infortunio che tiene lontano dai campi Antonio Conte, solleva con la fascia al braccio la Coppa Intercontinentale e la Supercoppa UEFA, rispettivamente contro River Plate e Paris Saint-Germain. Oltre a ciò, conquista il suo secondo scudetto e giunge nuovamente in finale di Champions League, in cui la Juventus è sconfitta dal Borussia Dortmund: autore di parate decisive nei turni precedenti — in particolar modo nella semifinale di ritorno contro l'Ajax, in cui aveva compiuto, a suo giudizio, l'intervento più difficile della sua carriera su un colpo di testa di Winston Bogarde —, nell'ultimo atto del torneo Peruzzi incappa in una prestazione poco brillante, subendo peraltro uno dei più bei gol nella storia delle finali europee, un pallonetto con cui Lars Ricken fissa il risultato sul 3-1 per i tedeschi.

 

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Peruzzi, nell'occasione capitano juventino, solleva la Supercoppa UEFA 1996.

 

Reduce comunque da un'annata di alto profilo, l'estremo difensore juventino consegue diversi riconoscimenti individuali, tra cui il premio di migliore portiere AIC, il Guerin d'oro e l'inserimento nella squadra ideale di France Football; ottiene inoltre il secondo posto (alle spalle del paraguaiano José Luis Chilavert) nella corsa al titolo di portiere dell'anno IFFHS e la candidatura al Pallone d'oro (29ª posizione).

Nella stagione 1997-1998, iniziata con la conquista della Supercoppa italiana, è campione d'Italia e finalista di Champions League per l'ultima volta in carriera: nell'atto conclusivo del torneo continentale, la Juventus si arrende al Real Madrid (0-1). Per il secondo anno consecutivo, Peruzzi viene eletto miglior portiere della Serie A e classificato fra i primi dieci al mondo.

Ormai annoverato tra i più forti numeri 1 nella storia del club torinese, nel 1998-1999 gioca il suo ultimo campionato a difesa della porta bianconera: nel corso della stagione, rivelatasi deludente sul piano dei risultati, matura infatti l'intenzione di chiudere la sua esperienza juventina, sia per ragioni economiche sia per la ricerca di nuovi stimoli. Lascia Torino dopo 301 presenze complessive tra campionato e coppe, sostituito da Edwin van der Sar tra i pali bianconeri.

Inter e Lazio

Per la stagione 1999-2000 si trasferisce all'Inter, che lo acquista dalla Juventus per 28 miliardi di lire, seguendo il suo allenatore Marcello Lippi e rimpiazzando Gianluca Pagliuca quale nuovo numero 1 del club lombardo. L'ottimo rendimento sul piano personale — finanche «straordinario» nella prima parte di campionato —, in controtendenza rispetto alla scialba annata della squadra, gli vale la più alta media della Serie A nelle pagelle della giornalaccio rosa dello Sport; ciononostante, la sua militanza in nerazzurro dura un solo anno, in cui il portiere totalizza 38 presenze.

Infatti nell'estate 2000, da una parte il ritorno a Milano dell'emergente Sébastien Frey reduce da una positivo prestito al Verona, e su cui l'Inter sceglie di puntare per motivi anagrafici ed economici, e dall'altra la volontà di Peruzzi di riavvicinarsi alla natìa Blera per ragioni familiari, determinano la sua cessione alla Lazio in cambio di 33 miliardi più il cartellino di Marco Ballotta.

 

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Peruzzi (in piedi, secondo da destra) alla Lazio nella stagione 2000-2001

 

In maglia biancoceleste prende il posto del più anziano Luca Marchegiani, il quale diviene la sua riserva, e nell'arco di sette anni colleziona 226 presenze, vincendo due trofei: la Supercoppa italiana 2000 contro l'Inter (4-3) e la Coppa Italia 2003-2004 contro la Juventus (2-0 e 2-2 nella doppia finale); il miglior risultato ottenuto in campionato è invece il terzo posto delle stagioni 2000-2001 e 2006-2007.

Autore di prestazioni di grande spessore, in qualche occasione indossa anche la fascia da capitano. Il 20 maggio 2007, un mese dopo aver annunciato il suo imminente ritiro, disputa l'ultima presenza della carriera, a 37 anni, subentrando nei minuti finali di Lazio-Parma (0-0). Si ritira dopo 620 incontri da professionista con i club (478 in Serie A). Il rendimento offerto nella sua ultima stagione da calciatore verrà premiato con la conquista del terzo Oscar del calcio AIC come miglior portiere.

Nazionale

Nazionali giovanili

Entra nel giro della nazionale Under-21 sul finire del 1988, quando viene convocato da Cesare Maldini per l'amichevole contro Malta del 21 dicembre, terminata 8-0. Esordisce con gli azzurrini il 18 gennaio 1989, sempre in amichevole, nel 2-2 contro la Turchia. Durante le successive qualificazioni al campionato d'Europa 1990, la porta azzurra è inizialmente affidata a Valerio Fiori e Giuseppe Gatta, mentre Peruzzi ottiene la titolarità in occasione della fase finale del torneo, in cui l'Italia viene eliminata dalla Jugoslavia in semifinale.

Scontata la squalifica comminatagli sul finire del 1990, è convocato anche per il vittorioso campionato d'Europa 1992, in cui fa da riserva a Francesco Antonioli. Nello stesso anno prende parte, sempre come vice di Antonioli, al torneo olimpico di Barcellona 1992, in cui l'Italia è eliminata dai padroni di casa della Spagna ai quarti di finale.

Conta 10 presenze nell'Italia Under-21 (8 le reti concesse) e 2 nella selezione olimpica (con 1 gol subìto).

Nazionale maggiore

«È un peccato che non abbia potuto giocare un Mondiale da titolare e credo lo meritasse. Ogni tanto pensavo che avere in panchina un portiere con le qualità, umane e tecniche, di Peruzzi fosse uno spreco.»

(Gianluigi Buffon)
1995-1999
220px-Italia_vs_Slovenia_-_1995_-_Udine.
 
Peruzzi (in piedi, primo da destra) agli esordi con la nazionale maggiore nel 1995

 

Escluso in extremis dall'elenco dei convocati per il campionato del mondo 1994 (gli viene preferito, come terzo portiere, Luca Bucci), esordisce in nazionale A il 25 marzo 1995, a 25 anni, in sostituzione dell'infortunato Gianluca Pagliuca: la partita è Italia-Estonia (4-1), valida per le qualificazioni al campionato d'Europa 1996. A partire dal settembre dello stesso anno, Peruzzi viene promosso titolare dal commissario tecnico Arrigo Sacchi, e difende la porta azzurra durante l'Europeo, in cui l'Italia viene eliminata al primo turno.

Con l'arrivo di Cesare Maldini sulla panchina azzurra, Peruzzi è confermato titolare e convocato in questa veste per il campionato del mondo 1998, ma uno «stiramento al gemello interno della gamba sinistra», subìto a pochi giorni dall'inizio della competizione, gli impedisce di prendervi parte; al suo posto giocherà Pagliuca.

Al termine del suddetto Mondiale, una volta ripresosi dall'infortunio, Peruzzi viene inizialmente confermato titolare dal nuovo CT Dino Zoff, ma nel giro di un anno è scavalcato dall'emergente Gianluigi Buffon, che prima lo sostituisce approfittando di alcuni suoi acciacchi, e poi viene confermato quale numero 1 dell'Italia anche dopo il completo recupero del collega: ciò determina, insieme all'ascesa di Francesco Toldo a prima riserva di Buffon, un temporaneo congedo di Peruzzi dal giro azzurro.

 

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Peruzzi in azzurro nel 1997, in azione durante le qualificazioni al campionato del mondo 1998.

 

Pur avendo la possibilità di rientrare nel gruppo per la fase finale del campionato d'Europa 2000, Peruzzi rifiuta amareggiato la convocazione, essendo destinato sulla carta al ruolo di terza scelta: una decisione che, a posteriori, gli impedirà di contendere a Toldo il posto da titolare, poiché — come rivelatogli tempo dopo da Zoff — l'improvviso forfait di Buffon per infortunio, a pochi giorni dall'inizio del torneo, avrebbe verosimilmente incrementato le sue possibilità di impiego.

2004-2006

Dopo cinque anni di assenza (l'ultima chiamata risaliva al 10 febbraio 1999), rientra in nazionale durante la gestione di Giovanni Trapattoni, scendendo in campo nell'amichevole del 28 aprile 2004 contro la Spagna e accettando, pur dopo qualche tentennamento, la convocazione come riserva per il campionato d'Europa 2004, in cui l'Italia non va oltre la fase a gironi. La scelta di affiancare un altro veterano agli esperti Buffon e Toldo — a discapito dell'emergente Ivan Pelizzoli, e in controtendenza rispetto alla prassi azzurra di affidare il ruolo di terzo portiere a «un giovane in rampa di lancio» — apparirà dovuta alla stagione sottotono di questi ultimi, da anni le prime due scelte per la difesa della porta italiana, ma ora incalzati da un concorrente in ottima forma; ciò, unitamente alla poca propensione di Peruzzi a fare da comprimario, alimenterà dubbi in merito alle gerarchie degli estremi difensori: mentre da un lato la titolarità di Buffon non sarà comunque messa in discussione, dall'altro non risulterà chiaro chi fosse il suo secondo effettivo nelle intenzioni del CT.

Un anno dopo, sotto la guida di Marcello Lippi, Peruzzi indossa la fascia da capitano nell'amichevole dell'8 giugno 2005 contro Serbia e Montenegro, e nei mesi seguenti disputa le sue ultime 3 gare in maglia azzurra, valide per le qualificazioni al campionato del mondo 2006. Convocato come vice-Buffon per la fase finale del torneo, il 9 luglio 2006 si laurea campione del mondo all'età di 36 anni; pur senza scendere in campo, nell'occasione si distingue come figura di spicco dello spogliatoio azzurro, guadagnandosi l'apprezzamento dei più giovani compagni di squadra. Conclude la sua carriera in nazionale con 31 presenze e 17 reti subite.

Dopo il ritiro

Dal 2008 al 2010 fa parte dello staff della nazionale, come collaboratore tecnico del CT Marcello Lippi. Il 22 ottobre 2010 è stato nominato vice allenatore della nazionale Under-21, all'interno dello staff guidato da Ciro Ferrara. Il 2 luglio 2012 segue il tecnico napoletano alla Sampdoria, dove diventa il vice della squadra blucerchiata; tuttavia, complici alcuni risultati negativi inanellati, il successivo 17 dicembre Ferrara viene esonerato con lo stesso Peruzzi.

Nel luglio 2016 torna alla Lazio in veste dirigenziale, andando a ricoprire il ruolo di club manager della squadra romana. Mantiene l'incarico per il successivo lustro, prima di rassegnare le proprie dimissioni nell'estate 2021 a causa di sopravvenuti attriti con il presidente biancoceleste Claudio Lotito.

Fuori dal calcio, nel 2010 è stato eletto consigliere comunale del Comune di Blera, paese in cui è nato e dove è tornato a risiedere al termine della propria carriera agonistica.

Palmarès

Giocatore

220px-Juventus_FC_-_Coppa_Italia_1994-95
 
220px-Juventus_FC_-_Champions_League_199
 
Orlando, Roberto Baggio e Peruzzi festeggiano il successo della Juventus nella Coppa Italia 1994-1995 (in alto), e Ravanelli, Peruzzi, Rampulla e Sousa con la Champions League 1995-1996 vinta dal club bianconero (in basso).

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Nazionale

Individuale

Onorificenze

Collare d'oro al Merito Sportivo - nastrino per uniforme ordinaria Collare d'oro al Merito Sportivo
  — Roma, 23 ottobre 2006.
Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana
  — 12 dicembre 2006. Di iniziativa del Presidente della Repubblica.

 

 

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55062307_juve1989.png.0e751d8b023348d650bcfe17bd167d22.png   ANGELO PERUZZI

 

Angelo Peruzzi un Tyson in Porta - Peruzzi Lazio Juventus

 

 

 

La leggenda racconta che a Blera, il paese in provincia di Viterbo dov’è nato, Angelo allenasse la presa ferrea delle mani cercando di afferrare i pesci nei ruscelli. La passione originaria, quasi genetica, è per la pesca. Ma la prodigiosa abilità delle mani trova sfogo anche altrove, per esempio nel ruolo solitamente meno amato dai ragazzini che giocano a pallone. Nasce così, quasi per scherzo, il portiere Peruzzi.
La prima squadra è quella di Blera. Il passatempo diventa, in breve tempo, una cosa più seria. Angelo è notato dagli osservatori della Roma, che convincono papà Francesco e mamma Francesca ad affidarglielo. Non è facile, perché l’idea che il figlio tredicenne trascorra lunghi periodi fuori di casa è accettata con molte riserve, ma alla fine il ragazzo si trasferisce nella foresteria giallorossa della Montagnola.
Di qui, prende l’autobus per recarsi agli allenamenti a Trigoria. I suoi maestri sono Negrisolo e Superchi. Angelo continua a frequentare la scuola fino alla terza ragioneria e intanto progredisce. Non ha quasi il tempo di farsi notare nella squadra Primavera, perché a nemmeno diciotto anni è già in campo a San Siro: 13 dicembre 1987, si gioca Milan-Roma. Alla fine del primo tempo si accascia a terra Tancredi, colpito da un petardo. In panchina c’è Angelo, che gioca la ripresa ed è battuto solo su rigore, calciato da Virdis. Poi il Giudice Sportivo assegna il 2-0 ai giallorossi. Quella rimane l’unica esperienza stagionale di Serie A.
L’anno dopo, le soddisfazioni aumentano. A diciannove anni appena compiuti, Angelo si ritrova titolare al posto di Tancredi, non più nelle grazie dell’allenatore. Dodici presenze, oltre al debutto internazionale (Roma-Norimberga di Coppa Uefa) e con l’Under 21 di Maldini (Turchia-Italia 2-2). Il tutto senza contratto. Peruzzi diventa ufficialmente professionista solo nei primi mesi del 1989. In estate, essendo chiaro che tenerlo in panchina è un lusso per la società e può risultare controproducente per l’interessato, è deciso il prestito al Verona. Lui risponde egregiamente, essendo regolarmente tra i migliori in campo pur nel contesto di un campionato finito con la retrocessione.
Il ritorno alla Roma sembra preludere al definitivo salto di qualità e, invece, coincide con la battuta d’arresto più amara. Dopo un Roma-Bari abbastanza insignificante, Angelo è trovato positivo all’esame antidoping. La sostanza proibita è la Fentermina contenuta nel Lipopill, un farmaco dimagrante.
«È stata la peggior s******a che ho fatto nel mondo del calcio: il Lipopill me lo diede un compagno, perché venivo da uno stiramento e non volevo farmi di nuovo male, ma quando la Roma mi disse di fare ricorso dissi di no. Ho sbagliato, ho pagato con un anno di squalifica ed è stato giustissimo. Poi ebbi un paio di discussioni con i dirigenti della Roma, solo il presidente Viola mi difese».
Il 13 ottobre arriva la condanna della Commissione Disciplinare, confermata poco dopo dalla CAF: un anno di squalifica, una mazzata tremenda per un ragazzo che ha peccato solo per ingenuità: «Questa esperienza mi ha trasformato. Non sono più il compagnone di prima, faccio più fatica a fidarmi della gente». Inutile aggiungere che sono mesi terribili, soprattutto i primi: «Se ho resistito, se non sono impazzito, lo devo soprattutto all’affetto dei miei familiari».
Il tempo passa lentamente, ma passa e finisce per portarlo alla Juventus: «È stata la mia salvezza. Non c’è voluto molto a capire che non potevo rimanere alla Roma. La prospettiva era la panchina, perché la società puntava ancora su Cervone. E poi, diciamo la verità: a qualcuno non interessava che io rimanessi, anzi».
Nel luglio del 1991, le amarezze cominciano a essere archiviate. In agosto, poi, il sole buca finalmente le nubi. Angelo ottiene una deroga per poter disputare le amichevoli e scende in campo a Padova: non sta nella pelle dalla gioia, è un piacere vederlo saltare fra i pali. La fine del tunnel è vicina, il 13 ottobre è salutato con un brindisi, ma le date storiche sono altre. Il 12 febbraio 1992, per esempio, giorno di Juventus-Inter di Coppa Italia, prima partita da titolare. Che la ruota della fortuna stia cambiando direzione lo dimostra anche il rigore calciato da Matthäus sul palo. E poi il 18 aprile: in Roma-Juventus, Angelo esordisce come numero uno in campionato. Un’altra prestazione da applausi, ma la conferma che Peruzzi non ha perso nessuna delle qualità durante la lunga sosta, era venuta già qualche giorno prima, nella semifinale di Coppa Italia contro il Milan. Angelo era stato il migliore in campo e aveva anche parato un rigore a Baresi.
Arriva l’annuncio ufficiale da parte dell’allenatore bianconero Trapattoni: «Mi dispiace per Tacconi, ma da oggi il numero uno della Juventus sarà Peruzzi», con la quale resterà otto stagioni, nelle quali colleziona 301 presenze e vince tre scudetti, una Coppa Italia, una Champions League, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea e due Supercoppe Italiane, entrando di diritto nella Hall of Fame dei portieri bianconeri.
«L’Avvocato ogni tanto chiamava, sempre alle sette, sette e dieci: la prima volta risponde mia moglie e mi dice: “C’è uno che vuole prenderti in giro, dice che chiama da Casa Agnelli”, ho messo giù. Ma poi richiamano e rispondo io: dopo dieci minuti di attesa, venne davvero lui al telefono. Mi domandava sempre: “Quanto pesi?”. Una volta venne a vedere un allenamento con Gorbačëv e da dietro la porta mi chiese: “Quanti rigori pareresti a Platini?”. Ed io: “Presidente, tre o quattro”. E lui mi fa: “Io penso nessuno”. Dopo un Empoli-Juve mi chiama: “Forse quella è stata la parata più bella che lei ha fatto alla Juventus”. In realtà avevo preso goal. In quel momento non me ne resi conto, io mi girai e chiesi a quelli della Croce Rossa dietro la porta: risposero che era entrata di venti centimetri. Volevo dire tutto a fine partita, non andai io in conferenza stampa».
Nel 1999 si trasferisce all’Inter, richiamato dal vecchio allenatore della Juventus, Marcello Lippi. Le cose non vanno benissimo, l’anno dopo Angelo cambia casacca, va alla Lazio.
Portiere completo sia tra i pali sia in uscita, di grandissima esperienza e di notevole forza fisica. Poderoso, compatto e con fasce muscolari larghe che gli consentono prodigiosi gesti atletici sul breve, si esalta nei tiri ravvicinati, dove fa valere la propria prontezza di riflessi e il notevole colpo di reni. Forse troppo saggio, troppo poco personaggio e, di rimbalzo, una non totale convincente capacità di guidare la difesa, ma anche la simpatia e lo scanzonato distacco con cui ha vissuto il nostro calcio isterico. Peruzzi è il padrone assoluto dell’area di rigore, è capace di stare a quindici metri dalla porta con la stessa disinvoltura con cui sta tra i pali: la sua capacità di uscire dall’area sull’avversario lanciato, permette alla squadra di giocare con grande disinvoltura, risultando perciò determinante. Unico limite: le notevoli masse muscolari che, continuamente sollecitate, sono soggette a qualche malanno di troppo.
Con la Nazionale esordisce il 25 marzo 1995, a Salerno, nella partita Italia-Lituania 4-1, con la quale, però, non raggiunge mai la consacrazione sperata, causa anche un infortunio che lo estromise alla vigilia dei Mondiali del 1998 in cui partiva come titolare. L’unica competizione importante è l’Europeo del 1996 che termina in malo modo per l’Italia, prima del trionfo Mondiale del 2006, che Angelo sente suo, nonostante non scenda mai in campo.
«Nel 2000 mi sentivo forte, avevo fatto una grande stagione all’Inter così quando Zoff mi disse che sicuramente non avrei giocato, gli disse che non mi andava di fare il terzo portiere. Poi Buffon si fece male e Toldo giocò benissimo. Finito all’Europeo, sia io che Zoff andammo alla Lazio e lui mi disse che ero stato stupido, che alla fine magari avrei giocato io. Nel 2006 a Lippi dissi di sì, perché lui mi chiamò per fare il secondo di Buffon. Finita la partita, festeggiammo come pazzi, poi siamo rientrati negli spogliatoi. Ero molto legato a Zidane, così andai a trovarlo, lui era lì che fumava una sigaretta, non abbiamo parlato dell’episodio».

NICOLA CALZARETTA, DA “HURRA JUVENTUS” DEL LUGLIO-AGOSTO 2013
Quando Gianni Agnelli lo vede per la prima volta a Villar Perosa, ha un tuffo al cuore. Il modo di parare, l’esplosività dei muscoli, la plasticità del volo gli ricordano il grande Sentimenti IV detto Cochi. Ma lui si chiama Angelo Peruzzi, ha ventuno anni e viene da Viterbo. È l’estate del 1991, in casa bianconera c’è aria di restaurazione dopo il doloroso flop della Juve champagne di Gigi Maifredi. L’Avvocato per prima cosa ha fatto tornare in tutta fretta Giampiero Boniperti, dimessosi l’anno prima, quindi ha convinto Ernesto Pellegrini, presidente dell’Inter, a restituirgli Giovanni Trapattoni, che così torna sulla panchina bianconera dopo cinque stagioni. Ritorna la premiata ditta Boni-Trap che ha segnato per un decennio la storia vincente della Juventus. La campagna acquisti punta sulla sostanza e sulla forza. Arrivano i tedeschi Reuter e Kohler, oltre a Massimo Carrera. A novembre ci sarà posto anche per Antonio Conte. Ma la novità più interessante è data dall’acquisto di Angelo Peruzzi, uno dei portieri italiani più promettenti.
Che sia un talento naturale lo dice già la sua breve ma intensa biografia. Cresce nella Roma. Negrisolo, che è il preparatore dei portieri, dice di non averne mai visto uno così esplosivo. Nils Liedholm, allenatore giallorosso, conferma, anche lui stupefatto dalle doti naturali del ragazzone e dalla sua maturità. Perché Angelo, neanche maggiorenne, dimostra una freddezza e una tranquillità che difficilmente si riscontrano a quell’età, specie per chi fa il portiere. Il Barone lo fa esordire a San Siro nel dicembre 1987, al posto di Tancredi stordito da un petardo. L’anno dopo fa una dozzina di partite, quindi una stagione a Verona da titolare con Luciano Bodini a fargli da chioccia, in un affascinante intreccio di Juventus passate e future. Il ritorno a Roma, la squalifica, e adesso la grande occasione del passaggio in bianconero.
Angelo, com’è nato il suo trasferimento alla Juventus? «Un giorno mi telefonò Montezemolo. Successe pochi mesi dopo la squalifica, a cavallo tra il 1990 e il 1991. Mi disse che mi avrebbe voluto alla Juve. Chiaro che per me quella richiesta abbia rappresentato un caldo e intenso raggio di luce in un momento buio. Prima dal punto di vista umano, perché l’interessamento significava che il giudizio sulla persona era positivo. E poi sotto l’aspetto sportivo, perché vestire la maglia della Juventus, è il massimo per un calciatore».
Faceva il tifo per i bianconeri da bambino? «A dire il vero da piccolo il calcio non lo seguivo per niente. I primi di album di figurine li ho fatti quando ero a Verona perché ce li regalavano! No, non avevo squadre del cuore, né particolari simpatie».
Com’è che si è trovato a fare il portiere? «Perché mi piaceva tuffarmi, mi divertivo. Così è stato naturale giocare in porta. Non è un caso che abbia finito per ricoprire l’unico ruolo “singolare” che c’è in una squadra di calcio, quello in cui si usano le mani al posto dei piedi».
A proposito delle mani, ma è vera la storia che era capace di pescare a mani nude? «È una tradizione del mio paese, Blera. Lo fanno tutti. E poi i pesci che nuotano nei fiumi sono più lenti rispetto a quelli marini».
Torniamo alla telefonata della Juventus. Cosa ha pensato quando, a fine stagione 1991, Montezemolo ha lasciato la società? «Ho sudato freddo. Normale che avessi paura di non andare più a Torino».
E invece? «E invece mi chiamò Boniperti e mi convocò in sede. La gioia fu immensa, anche perché il futuro alla Roma era ad alto rischio».
Si ricorda il primo incontro con Boniperti? «Ricordo tutto. All’epoca ero assistito dall’agente Beppe Bonetto. Passammo la serata precedente a studiare tutte le possibili strategie per spuntare le migliori condizioni contrattuali. Tutto inutile».
Perché? «Perché fece tutto Boniperti. Appena entrati nella sua stanza, mi chiese se ero sposato. Gli risposi di no. E lui: “Allora cerca di sposarti presto”».
Ma almeno sul contratto avrete discusso? «Macché! Mi disse: “Firma qui, vedrai che ti troverai bene”. Firmai per quattro anni».
La cifra? «La mise lui, aveva già preparato tutto. Ovviamente molto lontana da quelle pensate la notte prima con Bonetto. Comunque, quel che più contava in quel momento è che ero un giocatore della Juve».
Per lei si apriva una pagina nuova. «Ero molto soddisfatto, anche se per alcuni mesi ancora non avrei potuto prendere parte alle partite ufficiali. Ma a quel punto sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo».
Era in programma il suo lancio come titolare già in quella prima stagione? «Non lo so, anche se un po’ ci speravo di fare qualche partita, com’è normale per ogni calciatore. Ma le gerarchie erano chiare: Tacconi numero uno ed io dietro».
Com’è stato il suo rapporto con Tacconi? «Molto buono. Dividevamo la camera nei ritiri. Aveva una grande voglia di giocare».
Ma Trapattoni la pensava diversamente. «Il mister fece delle scelte in prospettiva. Tacconi aveva trentacinque anni, io ventuno. Chiaro che per me fu una magnifica sorpresa quando giocai per la prima volta con la maglia numero uno, andata dei quarti di finale di Coppa Italia contro l’Inter. Era il 1991».
Nessun segno premonitore? «I giornali ne stavano parlando, insomma un po’ nell’aria girava la notizia, ma la conferma me la dette Trapattoni solo la sera prima, durante il classico giro delle camere. Andai bene, passammo il turno e fui confermato anche nelle semifinali contro il Milan, dove parai un rigore a Franco Baresi».
La cosa che impressionava di lei era la sensazione di grande freddezza e tranquillità che dimostrava in campo. «Era tutta una finta! Mascheravo così la tensione».
Il 18 aprile 1992: arriva anche il debutto in Serie A, proprio all’Olimpico contro la Roma. «Quella fu una coincidenza curiosa. La cosa più importante fu l’annuncio pubblico di Trapattoni che annunciò la mia promozione come titolare».
Le sue sensazioni? «Ero felice, tutto stava andando benissimo, oltre le mie stesse aspettative. Ereditare la maglia di Zoff e Tacconi a ventidue anni era decisamente una cosa eccezionale».
Tanto che Tacconi, piuttosto che farle da riserva, preferì lasciare la Juve. «Lui desiderava giocare, ed era giusto che lo pensasse e che perseguisse l’obiettivo. Alla Juve le scelte a quel punto erano state fatte. Lui andò al Genoa e al suo posto arrivò Michelangelo Rampulla con il quale sono entrato subito in sintonia, diventando presto amici, anche perché con me, che ogni tanto mi rompevo, non ha fatto solo panchina». (ride)
E con Rampulla suo vice operativo è arrivata subito la Coppa Uefa nel 1993. «Uno di ricordi più intensi che ho ancora oggi, perché per me è stata la prima vittoria in assoluto in carriera. Avevamo una squadra fortissima, con Baggio, Möller e Vialli e gente tosta come Kholer, Marocchi, Conte e Dino Baggio. Purtroppo l’anno dopo andò maluccio, così la società decise di cambiare tutto».
E sulla panchina arrivò Marcello Lippi. «Non lo conoscevo direttamente, ma mi fece subito una grande impressione. Aveva idee chiare, una grande voglia di sfruttare al massimo l’occasione e una fame di vittorie che era anche la nostra. C’è stato subito feeling tra noi per un legame che si è intensificato nel corso del tempo: andai con lui all’Inter e, soprattutto, mi volle in Nazionale nel 2006. Una grande persona».
Quali sono le doti migliori di Lippi? «Sono tante. Ma a me è sempre piaciuto il suo essere franco e diretto nel faccia a faccia. Con me succedeva questo: mi chiamava nel suo spogliatoio e ci confrontavamo. Mi diceva: “Angelo, hai sbagliato questa cosa”. Ed io rispondevo per le rime, magari anche quando sapevo di non avere completa ragione. Era un modo per stimolarmi. In questo era molto bravo, sapeva capire le persone».
E sul piano tecnico-tattico? «Fu lui che ci convinse a giocare con le tre punte e che, dopo la sconfitta per 2-0 con il Foggia disse che, se proprio si doveva prendere goal, allora era meglio prenderlo in contropiede. Lippi è stato l’artefice massimo della rinascita della Juve. Lo dimostra anche il fatto che ogni anno partiva qualche big, ma la squadra rimaneva ai massimi livelli».
Con Lippi arrivò anche il nuovo preparatore atletico Ventrone. «Un torturatore (ride). Mi costringeva a fare le presse. Con lui ho fatto una quantità enorme di addominali. Ma la forza di quella Juve era anche quella. Forse non eravamo i più forti in assoluto, ma non mollavamo mai. Eravamo una squadra rognosa, dove tutti lottavano fino alla fine per lo stesso obiettivo».
A fine campionato 1994-95, bruciando tutte le tappe, arrivò lo scudetto. «Una gioia immensa. Per noi fu un’accelerazione che ci permise di fare subito il salto di qualità che, forse, avrebbe dovuto esserci qualche anno dopo. Invece eravamo già lì, pronti ad aprire un nuovo ciclo».
E, difatti, il 22 maggio 1996 ecco la Coppa dei Campioni. «Un altro di momenti indimenticabili vissuti alla Juventus, anche se alla fine del primo tempo della finale mi giravano parecchio».
Per via del goal del pareggio dell’Ajax? «Mi sentivo in colpa, avevo respinto male una punizione e Litmanen ne approfittò. Ma alla fine quell’errore mi servì moltissimo al momento dei rigori. Mi dissi: “La cazzata l’hai già fatta. Ora hai solo da guadagnare”. Riuscii a tranquillizzarmi e ne parai due!»
Certo vincere la Coppa dei Campioni nel suo stadio deve essere stato qualcosa di incredibile. «Tutto vero. L’unica cosa che stonava era quella maglia gialla con le stelle blu. Io ero un tradizionalista: grigio o nero, come Zoff».
Fu accontentato la stagione dopo: aveva proprio una bellissima divisa nera con bordi grigi a Tokyo, quel 26 novembre 1996. «Che ricordi incredibili! La prima cosa che mi colpì durante la partita era sentire il boato del pubblico con qualche secondo di ritardo dopo che era finita un’azione o c’era stato un tiro. Mi dissi: “Ma questi giapponesi so’ proprio strani!”»
E invece? «La cosa era molto semplice: loro guardavano la partita anche sul maxischermo; arrivando le immagini in ritardo, di conseguenza anche i loro ululati erano ritardati».
Temuto di non vincere quella sera? «Sarebbe stato un gran peccato. Meno male che ci pensò Del Piero con un goal fantastico. E a me, che ero capitano, non restò che alzare la Coppa».
Quella sbagliata, però! (ride) «Presi la Toyota Cup, ma per i giapponesi è quello il vero trofeo».
La sua avventura alla Juve è finita nel 1999, dopo altre vittorie e serate magiche. Cosa rimane dei suoi pro? «Tantissimi bei ricordi, grandi gioie, ma anche cocenti delusioni, ma questo è lo sport. Fuori dal campo, molti legami, qualche forte amicizia e un magnifico lunedì di Pasqua al Comunale: mega grigliata di rosticciana e bistecche con le famiglie. Una giornata meravigliosa».

 

http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/03/angelo-peruzzi.html

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Happy 45th birthday to Angelo Peruzzi. He won Serie A three times and the  Champions League once with Juventus. | Squawka | Scoopnest

 

Angelo Peruzzi, le mani sull'ultima Champions bianconera

 

Futbol tarihinin en pahalı 20 kaleci transferi - Son Dakika Spor Haberleri  | NTV Haber

 

SportMob – Top Facts About Angelo Peruzzi, The Tyson

 

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