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Socrates

Pavel Nedved - Calciatore e Vice-Presidente

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930801294_dal2020.png.da6281f7fdf1672f7debf640feddf053.png   2017-2020.png.23ba00d8a035f5b72cdc9dae164c0dfa.png  PAVEL NEDVED 55062307_juve1989.png.0e751d8b023348d650bcfe17bd167d22.png    1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg   

 

 

Afbeeldingsresultaat voor pavel nedved juventus PALLONE D'ORO

 

 

 

Pavel Nedved nasce a Cheb, vicino Praga, il 30 Agosto 1972; comincia a giocare da piccolissimo e diventa l’idolo prima di Cheb e poi di Praga, giocando in una delle più forti squadre a livello nazionale, lo Sparta Praga. Comincia come attaccante, per poi riciclarsi come centrocampista, fino a trovare la giusta posizione, che gli permette di segnare molti goals; nel frattempo, non dimentica lo studio e diventa geometra.

La sua esplosione a livello mondiale avviene al Campionato Europeo in Inghilterra nel 1996; la squadra ceca si arrende solamente in finale alla Germania Ovest, dopo aver deliziato con il suo splendido gioco. Sia la Lazio che il Psv Eindhoven vogliono ottenere il cartellino di Pavel ed è la squadra romana a vincere questo scontro di mercato; Pavel diventa, così, un giocatore biancoceleste. Durante la sua prima stagione italiana, segna 11 goals e diventa ben presto uno dei giocatori più amati dai tifosi laziali. Nella sua seconda stagione laziale, Pavel vince il suo primo trofeo, la Coppa Italia, e poi consegna nella bacheca laziale anche la Supercoppa Italiana, grazie anche ad un suo goal.

La terza stagione nella Lazio è difficoltosa; infatti, a causa di un doppio infortunio, è costretto a perdere quasi tutto il campionato per un lunghissimo recupero. Ma Nedved riesce anche questa volta a lasciare un segno indelebile alla stagione biancoceleste, siglando, con un tiro fantastico, il goal della vittoria della Coppa delle Coppe, il 19 Maggio 1999 nello stadio di Birmingham, contro il Maiorca. Nedved viene richiesto dall’Altetico Madrid, che gli ha offre un contratto di gran lunga superiore rispetto a quello della Lazio, ma Pavel rifiuta, ribadendo la sua volontà di rimanere e Roma. E, nella stagione successiva, riesce a vincere sia la Supercoppa Europea, contro il Manchester United, sia a laurearsi Campione d’Italia!
Ad agosto del 2000 riesce ad ottenere finalmente il passaporto comunitario e rifiuta una principesca offerta del Manchester United di 12 miliardi netti all’anno per quattro anni, nonostante a Roma ne guadagni meno della metà.

Quando, nell’estate del 2001, Pavel sbarca a Torino, è un ventinovenne al culmine della gloria, che ha bisogno di trovare ulteriori motivazioni per diventare ancora più grande di quanto possa esserlo in quel momento. La Juventus, nuovamente, “lippiana” ha il passo della capolista ed in mezzo al campo può contare sul più versatile dei campioni; Pavel, infatti, è capace di difendere contrastando con grinta, come di attaccare rifinendo o tentando la sorte con soluzioni balistiche sempre più ambiziose. Ci mette un po’ a rompere il ghiaccio, ma dopo un gelido Juventus-Perugia, la sera del primo dicembre 2001, la sua regolarità diventa impressionante. Fino a diventare l’uomo-scudetto, il 21 aprile 2002 a Piacenza, con una rete che lo consegna dritto agli annali; la Juventus che insegue l’Inter e quel giorno capisce che, grazie a Nedved, i giochi sono tutt’altro che chiusi. Goal fantastico, nelle battute finali, e rincorsa lanciata. Finirà, come sanno tutti, quindici giorni dopo; la Juventus, che vince a Udine, sorpassa l’Inter distrutta proprio dalla Lazio.

«Quello iniziale con la Juventus, fu un periodo difficile, perché avevo cambiato completamente preparazione e modo di giocare. Alla Lazio puntavamo sul contropiede, mentre qui dovevamo attaccare e trovavamo sempre avversari chiusi. Insomma, dovevo abituarmi, capire i movimenti ed il gioco che veniva praticato. Ci ho impiegato un po’, diciamo fino a Natale; poi, grazie anche a Lippi che mi ha spostato in una posizione più centrale, mi sono trovato molto meglio ed ho cominciato ad essere me stesso. Ricordo il giorno dello scudetto come una grande soddisfazione; ero particolarmente felice anche per la doppietta del mio amico Poborski, contro l’Inter».

Il 2002/03 è un anno magico; Nedved, è ormai il trascinatore e l’idolo della folla bianconera, che gli affibbia il soprannome di “Furia Ceka”. Il secondo scudetto della sua avventura bianconera arriva quasi senza clamori, perché i tifosi juventini, e lo stesso Pavel, sono concentrati sulla Champions League. La “Coppa dalle grandi orecchie” è un lungo, meraviglioso sogno. Nedved ha un rendimento incredibile per tutta la stagione, gioca e segna come non ha mai fatto in carriera. Ma è destino che, nella serata più bella e gloriosa, quella della semifinale di ritorno con il Real Madrid, il campione più amato non riesca a portare fino in fondo il suo meraviglioso progetto. Migliore in campo, autore dello straordinario goal che chiude la sfida, Pavel nel finale viene ammonito dall’arbitro e, diffidato, deve dare addio alla finale di Manchester. Una batosta per lui ed un gravissimo, decisivo handicap per la Juventus, che si vedrà sfuggire quella coppa ai rigori.

Ma il 2003 è comunque il suo anno; i giurati di tutta Europa lo eleggono “Pallone d’Oro”, la consacrazione di una carriera fenomenale ed, al tempo stesso, lo stimolo per programmare altri trionfi.

Torino sembra proprio essere la città adatta a chi, come lui, ha regole ferree di vita. «Per me esiste il calcio e la mia famiglia. Non ho bisogno d’altro. A Roma vivevo fuori città, a Torino pure. Sono un cultore del lavoro, anche in vacanza cerco di organizzarmi in modo da poter mantenere la forma fisica che mi serve al momento in cui ritorno al lavoro».
Terminati gli allenamenti, le partite ed i ritiri, Pavel si dedica a 360° alla sua famiglia, alla moglie Ivana e ai due figli Ivana e Pavel. «Abbiamo deciso di chiamarli così perché, quando noi non ci saremo più, esisteranno ancora un Pavel ed una Ivana che si amano».

Un pensiero profondo, speciale, per un ragazzo nato e cresciuto a Cheb, venti minuti in auto dal paese dove viveva il suo grande amore, Ivana. «Ci siamo conosciuti quando io avevo 15 anni e lei 13. Veniva a Cheb a trovare sua nonna, prima c’è stata amicizia, poi è scoppiato l’amore. Ci siamo sposati prestissimo, avevo 21 anni», racconta con un volto che lascia trasparire una dolcezza e che, in altre occasioni, viene ben mascherata da uno sguardo a volte addirittura severo. Soprattutto quando parla del calcio, uno sport, un gioco, ma anche una professione, che Pavel ha sempre preso con grande serietà.

«Sento addosso una grande responsabilità, fin da piccolo stavo male quando perdevo una partita, avevo ed ho sempre una grande voglia di migliorarmi. Sono una persona che ama prendere sul serio tutto quello che fa, mi capitava già da ragazzino e non solo in campo sportivo. Ora poi, che sono alla Juventus, sono emozionato ed onorato. So che la mia gente si aspetta molto da me e io non voglio certo deluderla».

Il popolo ceco lo considera un vero idolo. «Devo tanto alla mia Nazionale, perché mi ha permesso di mettermi in mostra a livello europeo e di arrivare fino qui».

Il vizio del goal, soprattutto con tiri da lontano, è proprio una delle sue caratteristiche. Luciano Moggi non gli ha risparmiato una battuta spiritosa. «L’abbiamo comprato, così almeno la smetterà di farci goal!»

Una predisposizione nata quando Nedved era il più piccolo dei suoi compagni di squadra e per aggirare l’ostacolo provava a segnare da fuori area. «Mio padre, e poi il mio primo allenatore, mi mettevano i palloni tutti intorno alla linea dell’area di rigore e da lì provavo a tirare».

Anche con la maglia della propria Nazionale è sempre un protagonista; dopo aver disputato il mondiale tedesco del 2006, annuncia di non voler più rispondere alle chiamate della Nazionale, dopo aver totalizzato 98 presenze e 18 goals.

La stagione successiva è avara di soddisfazioni; la Juventus è falcidiata dagli infortuni ed il campionato è molto deludente. Anche Pavel risente della stanchezza generale di una squadra che sta chiudendo il ciclo del suo grande condottiero, Marcello Lippi.

Nell’estate del 2004 arriva Fabio Capello e, con esso, una ventata d’aria nuova; Pavel ritrova lo smalto dei bei tempi e conquista altri due scudetti da protagonista assoluto, come suo solito.

Il resto è storia recente; Pavel decide di restare alla Juventus, anche in serie B. «Non ho mai avuto dubbi sul fatto di rimanere alla Juventus. Le offerte non mi mancavano, ma la mia famiglia ed io stiamo bene a Torino e poi devo molto a questa società ed alla famiglia Agnelli, che mi è sempre stata vicino».

Il centrocampista ha ancora forti motivazioni ed un obiettivo ben preciso. «Credo di poter dare ancora una mano a questa squadra e lo sento come un dovere. Finiti i Mondiali ho anche pensato di smettere, capita quando sei stanco. Dopo una settimana di vacanza, però, aveva già cambiato idea e mi sono dato un compito; se dovessimo partire dalla serie B, voglio riportare subito la Juventus in A, perché è lì che merita di stare. Anche i nostri scudetti erano meritati; noi abbiamo sempre dato tutto in campo, avevamo uno squadrone ed abbiamo battuto grandi avversari, vincendo onestamente e sono fiero di questo. La sentenza? Alla fine a pagare è solo la Juventus e questo non è giusto, soprattutto per i tifosi ed i calciatori. La società ora deciderà se andare avanti per vie legali, ma noi giocatori intanto prepariamoci come se dovessimo partire dalla B con - 17».

La decisione di Pavel di restare assume ancor più valore se si pensa a quanto il ceco abbia sempre desiderato vincere la Champions League. «Ci ho pensato, ma la mia Champions League ora è la serie B. Anche perché centrare la promozione partendo da -17 punti sarebbe come vincere la Coppa. Bisogna essere realisti ed ho cancellato il pensiero della Champions; non toccherà a me alzarla, ma ho comunque grandi motivazioni per riportare la Juventus in serie A».

Se già era un idolo per i tifosi, ora Pavel è un vero e proprio eroe. «No, non mi sento un eroe. Ho semplicemente fatto una scelta di vita; per quale motivo avrei dovuto cambiare? Sto bene a Torino, la mia famiglia è felice ed io voglio ricambiare quanto la Juventus mi ha dato in questi anni. Altri compagni hanno deciso diversamente? Beh, ognuno fa le proprie scelte, anche se credevo rimanessero più giocatori. Ora mi auguro che restino tutti gli altri campioni, perché anche se partissimo dalla B, dovremo comunque affrontare una stagione difficile; ci sono campionati all’estero molto meno duri della serie B italiana. Quello che posso dire è che, in qualsiasi categoria, il mio impegno ed il mio modo di giocare saranno gli stessi».

Chiaramente, anche nella serie cadetta è un protagonista assoluto e, grazie anche alle sue grandissime prestazioni, la squadra bianconera risale immediatamente in serie A, sicura di poter ambire a qualsiasi traguardo, fino a quando la maglia numero undici sarà indossata da Pavel Nedved, la “Furia Ceka”.

«Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco ad essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus, Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre».

Anche nella stagione che segna il ritorno in serie A, Pavel non si risparmia portando la Juventus in Champions League e ad un ottimo terzo posto. Il campionato 2008-09 è l’ultimo per Nedved in maglia bianconera; la squadra è un pochino deludente nonostante il secondo posto e l’eliminazione agli ottavi di finale da parte del Chelsea in Champions League. Pavel è, come sempre, un grande protagonista della stagione, arrivando anche a realizzare ben sette reti.

Il 31 maggio 2009, proprio contro la Lazio, Nedved gioca la sua ultima partita con la maglia della Juventus; Del Piero gli cede la fascia da capitano e lui gioca una grandissima partita, onorando quella maglia che ha tanto amato.

«Dopo otto stagioni con la Juventus è arrivato il momento di salutare tutti i tifosi, i compagni e la società e ringraziarli per il sostegno ricevuto in questi anni. A Torino ho vinto quattro scudetti e un Pallone d’Oro. Vorrei ringraziare in particolare mia moglie Ivana e i miei figli, che mi sono stati sempre molto vicini, accompagnandomi nel corso della mia carriera consentendomi di raggiungere traguardi straordinari. Alla Juventus continuerò a sentirmi legato da un rapporto di grande affetto e sono particolarmente grato alla famiglia Agnelli per avermi dato l'opportunità di giocare in questa grande squadra».

Il saluto di Del Piero: «È stato un giorno speciale. Lo è stato per Nedved e per noi, ancora non ci sembra vero di non rivederlo più nello spogliatoio, quando ci troveremo per ricominciare la stagione. Mi dispiace davvero che Pavel non sia più al mio fianco il prossimo anno, basta pensare a quello che è riuscito a fare in questa stagione: come tutti i grandi campioni ha chiuso alla grande. Mi legano a lui tanti ricordi, tante vittorie, qualche sconfitta, la scelta di restare alla Juve anche in serie B per ritornare in alto insieme. Mi legano a Pavel tutti quei momenti, anche apparentemente insignificanti, quegli attimi vissuti insieme in questi otto anni, che per me rappresentano la grandezza non solo del calciatore, ma anche dell'uomo, dell'amico. Sono orgoglioso di avere giocato con Pavel, sono orgoglioso che domenica sia stato il mio capitano».

 

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Pavel @@

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Torino-Juventus, Nedved bloccato in auto: allo stadio a piedi tra i tifosi  granata
 
Pavel Nedved - Juventus Club
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FINANCIAL TIMES WEEKEND EUROPE 04/05-07-2015

Pitch perfect life in Turin

The former Juventus player and European Footballer of the Year Pavel

Nedvěd tells Giulia Segreti about his love for the Italian way of living

‘In no other country is football lived like it is in Italy, almost to the point of overkill’

 

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Pavel Nedvěd describes the fall of the Berlin Wall in November 1989 as “perfect timing.” The former Juventus FC midfielder was then only 17 and living in Prague. The wall signified a barrier to any kind of meaningful future, even for a footballer of his talents.

“It was the right moment for me, perfect for my career,” quips Nedvěd but there is a good dose of truth in his words. Before then, players in his native Czech Republic (then Czechoslovakia) needed to be over 32 and play a consistent number of games with the national team before they could move abroad. Very few, infact, were able to do so.

Only days after the wall’s demolition, Nedvěd remembers how Czechs took to the streets for non-violent demonstrations, which eventually led to the first democratic elections in the country. “We went with our keys in our hands, shook them to make noise so that (the regime) would understand that it was time for them to go,” says Nedvěd. “We fought for liberty and freedom of expression, which are now granted but before were not allowed,” he adds.

Czechoslovakia was dissolved and a few years later, in 1996, Nedvěd and his wife, Ivana, left their years under a communist regime behind them to move to Italy, where they have stayed.

“Back then I considered the Italian field too tough. I was 23 and had never been abroad. Italy’s championship was too hard... it seemed too much for me,” he recalls. The Czech football coach, Zdeněk Zeman, who then managed Lazio in Rome, soon convinced the hesitant young footballer to take the risk and brought him into his team.

Moving to Italy was far from easy and his first experience of Rome, a very loud and bustling city, was “a real shock”. The language barrier posed a huge problem initially and every step seemed an insurmountable obstacle.

Nedvěd remembers all the bureaucracy and the endless documents needed for non-EU citizens to acquire their residency in Rome. Another vivid memory of their first months were the unintelligible doctor’s appointments for his wife, pregnant with their first daughter.

“I thought: ‘Where have we ended up?’” he says, recalling the confusion he felt and the cultural gulf between Italy and the country in which they had grown up. But Italians always offered a helping hand and were always “friendly and smiling”. Nedvěd was very struck by how different the Italians were to the Czechs. He finds his compatriots “closed and timid by nature,” where the Italians are “sunny by nature”.

In 2001, after several years in Rome, Nedvěd was invited to play for Juventus, so he moved with his family — now four in number — to Turin, in the northwest of Italy. He found the city more tranquil and better suited to his personality, and the people somehow closer in temperament to the Czechs.

Moving to Turin was much easier: his Italian was much better, and there were fewer doctor appointments to navigate.

From his home just outside the city, in the lush park of La Mandria and overlooking a golf course, Nedvěd can see the snow-capped peaks of the Alps.

Nedved has always sought out homes immersed in nature — he says it takes him back to the woods and fruit groves just outside Skalná where he grew up and used to run around and steal fruit with his best friend Tomáŝ.

“Living in the woods is part of my origins, it’s like when I was a kid,” he says.

His love of nature laid the foundation for a key friendship in his life. During his first months in Turin, he received a call from a shocked Ivana, telling him that a man had come through the back door, introduced himself and was sitting at the kitchen table. After Ivana described him to Pavel, he told his wife to welcome the stranger and make him a coffee.

The “intruder” was Umberto Agnelli, the industrialist, former chief executive of Fiat and chairman of Juventus, who lived close by. Over the years, Agnelli became an important figure in Nedvěd’s life, on a personal and professional level.

“He loved walking in the woods around here and popped in any moment after his walks. He considered us part of his family, he helped me a lot, especially in our first years here,” he remembers.

Nedvěd admits that his life is far from that of the typical footballer — he frequently stays at home and shuns the spotlight. He talks a lot about his need for a “simple and normal life” and being “anchored.” He devotes most of his time to the family, his children and their school, and to the gym and playing golf.

He says his feet are firmly on the ground, thanks to his wife Ivana, whom he describes as a real pillar of strength.

His face lights up the most when he talks about his two children. Born and raised in Italy, Ivana and Pavel (named after their parents) feel Italian and go to an Italian school — though are forced by Nedvěd to sit the Czech school system exams. The bond of the family — “a true refuge” — is as important to Nedvěd as his work ethic — “working hard and sacrifices are natural in order to improve and obtain any sort of success, whether its football or a normal job”.

And football? “In no other country is football lived like it is in Italy, almost to the point of overkill. There is too much football on TV and in the papers, there is always talk about football during the week.”

In December 2003 he was named World Soccer player of the year and also won the Ballon d’Or as the European Footballer of the Year. He retired from football in August 2009 and is now a member of the Juventus board, chaired by Andrea Agnelli (Umberto’s son) who he defines as “a friend above all”.

“In Italy I have learnt a lot, I have matured both as a man and as a player. I have lived the best years of my career here,” he explains.

He says his last day in Italy may not be too far off but his future will be determined by his children’s education.

When looking back at his years in the country, Nedvěd says: “I will never find people like the Italians... there is this spontaneity, this living life with a smile, to its fullest,” he adds. To many Italians he is still “the Czech”, but maybe the reserved, self-disciplined man from Skalná is more Italian than he admits.

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Nedved: “Ho voluto chiudere al top, senza sparire lentamente. Buffon da pallone d’oro, obiettivo Triplete”

Ronaldo, Baggio & Juventus' beste aankopen aller tijden

 

 

Lunga intervista di Pavel Nedved ai microfoni del portale ceco lidové noviny.cz. L’attuale dirigente bianconero ha affrontato vari argomenti: la sua carriera alla Juve, l’addio al calcio di Buffon e tanto altro. Ecco le parole raccolte e tradotte dalla nostra redazione:

 

Sulla mancata qualificazione dell’Italia al mondiale: “È un duro colpo. L’Italia è un paese che ha sempre avuto e sempre avrà calciatori di talento, ma se il paese non crea un sistema efficiente continuerà a soffrire. Il calcio è di gran lunga lo sport più popolare in Italia e il calcio italiano non ha un presidente della FIGC, degli stadi di proprietà, le squadre B. Finora, stiamo cercando un uomo che inizi una nuova era per il calcio italiano. Potrebbe essere Damiano Tommasi”. 

 

Sulla nostalgia per i campi da calcio: “Ho così tanto lavoro da dirigente che non so da dove iniziare. Anche se devo ammettere che mi dispiace che la mia carriera sia finita così velocemente”.

 

Sui suoi eredi: “Non bisogna guardare molto lontano. Nell’Udinese ci sono Barák e Jankto che stanno andando alla grande. Certo, lì non c’è la pressione che c’è in un grande club, ma mi congratulo per le loro prestazioni. Il mio affetto nei confronti dei calciatori cechi è comprensibile e mi fa piacere quando qualcuno alla Juve dice ‘Questo Barák è un ragazzo solido’. L’idea di portare un giocatore ceco nella Juve è sempre in me. Non sto suggerendo nulla ma è chiaro che sia Jankto che Barak possono giocare in Serie A a un livello più alto. Jankto è veloce, diretto, affamato di vittorie. Di Barak mi colpisce la struttura fisica e l’umiltà. È un giocatore che attacca, difende e percorre molti km a partita. Comunque non lo paragonerei a me stesso, non siamo uguali..”

 

Sul campionato: “Siamo solo un punto indietro ma devo ammettere che il Napoli sta facendo un campionato straordinario. Sono ben organizzati, hanno alcuni grandi calciatori e hanno grande fame perché non vincono uno scudetto dai tempi di Maradona. Vincere lo scudetto per noi sarà difficile, ma la mia priorità è trionfare in tutte e tre le competizioni. Non abbasso mai le ambizioni e apprezzo il modo con cui i ragazzi si approcciano alle partite. Alcuni possono vincere il settimo scudetto consecutivo, il che è davvero notevole quando ti accorgi che finita la stagione tutto si azzera e ricomincia da capo”. 

 

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Nedved pallone d’oro 2003

Sul ritiro di Buffon: “Non ha annunciato che si ritirerà a fine stagione. Lo deciderà con il presidente Agnelli. Le prestazioni di Gigi sono comunque sempre grandiose e siamo felici di averlo tra noi”. 

 

Sul pallone d’oro a Gigi: “Fosse per me glielo assegnerei, è un calciatore davvero speciale. Purtroppo non puoi rallentare l’età e Gigi probabilmente non avrà il suo trofeo…”.

 

Ancora sul suo addio al calcio: “Ho dato tutto al calcio. Anche se mi diverto quando indosso gli scarpini e vado a giocare con gli amici, non mi manca molto. Quando ho detto che nel 2009 sarei andato in pensione non è stata una scelta difficile, ma quasi irreversibile. 

 

Sulle offerte ricevute dopo la Juve: “Non volevo giocare per un club più piccolo. Avrei potuto, c’erano parecchie offerte dalla MLS. Ma volevo ritirarmi ancora da protagonista e non sparire lentamente. E spero di esserci riuscito”. 

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In celebration of Pavel Nedvěd, the Czech Fury

 

TURIN, ITALY - OCTOBER 19: Pavel Nedved of Juventus celebrates scoring the  only goal during the Champions League Group … | Juventus, Juventus players,  Pavel nedvěd

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la differenza tra PAVEL e un parrucchino qualunque è tutta in quelle parole.

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Nuova fidanzata per Nedved: lascia Ivana per la 23enne Lucie! 

Dalla Repubblica Ceca:

 

FONTE

 

 

Una nuova fiamma per Pavel Nedved. Un Gossip rilanciato dalla Repubblica Ceca, addirittura in prima pagina su Blesk, tabloid di Praga, secondo il quale l'ex giocatore ceco, ora vicepresidente della Juventus, sarebbe vicino al divorzio con la moglie Ivana dalla quale si è già separato. 

 

Solo pochi mesi fa i due avevano festeggiato i 25 anni di matrimonio, ma ora tutto è cambiato: Nedved, che compirà 47 anni il prossimo 30 agosto, ha cominciato a frequentare Lucie Anovcikova, e sabato scorso è stato pizzicato con Lucie a Londra, intenti ad assistere al Longines Global Champions Tour of London 2019. I cavalli sono la grande passione di Lucie, che in patria è famosa proprio come atleta e fantina.

 

Insomma, un ospite inaspettato a Londra per una nuova storia d'amore che sta già facendo discutere, spiega Blesk: sì, perché Lucie ha 23 anni, la metà di quelli di Pavel e solo un anno in più di sua figlia Ivana.

 

 

 

Raccomandiamo anche la prima pagina di http://www.blesk.cz . Presentazione della nuova fidanzata del vicepresidente Juventus Pavel Nedved! Il divorzio con Ivana è vicino.

View image on Twitter
 
 

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mah capisco che è un bel biscottino, ma Pavel hai una famiglia e figli, queste cose mi deludono sempre, anche se purtroppo ormai non mi meravigliano più.

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Classica crisi di mezza età. Qualcuno lo porti a calci in c**o da uno psicologo che non si può vedere, un anno più di sua figlia, sinceramente fa un brutto effetto

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31 maggio 2009 - Pavel Nedved gioca la sua ultima partita in bianconero. Grazie Pavel!

 

JuventusFC pe Twitter: "#OnthisDay nel 2009 ultima partita per il ...

 

 

 

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Nedved to leave Juve | Football News | Sky Sports

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Pavel_Nedvěd

 

 

Nazione: Cecoslovacchia - Repubblica Ceca Rep. Ceca
Luogo di nascita: Cheb
Data di nascita: 30.08.1972
Ruolo: Centrocampista - Vicepresidente
Altezza: 177 cm
Peso: 70 kg
Nazionale Ceco
Soprannome: Furia Ceka

 

 

Alla Juventus dal 2001 al 2009

Esordio: 26.08.2001 - Serie A - Juventus-Venezia 4-0

Ultima partita: 31.05.2009 - Serie A - Juventus-Lazio 2-0

 

327 presenze - 65 reti

 

4 scudetti

2 supercoppe italiane

1 campionato di serie B

 

Pallone d'oro 2003

 

 

Vicepresidente della Juventus dal 23 ottobre 2015 al 18 gennaio 2023

 

 

 

Pavel Nedvěd (Cheb, 30 agosto 1972) è un dirigente sportivo ed ex calciatore ceco. È stato, dal 2000 al 2006, capitano della nazionale ceca, con la quale è stato vicecampione d'Europa nel 1996.

 

Considerato uno dei migliori centrocampisti della sua generazione, nonché uno dei più forti giocatori cechi della storia, è stato tra i protagonisti, a cavallo degli anni 1990 e 2000, dei successi di Lazio prima e Juventus poi — club, quest'ultimo, di cui è il calciatore d'origine non italiana ad averne vestito più volte la maglia (327) —; in virtù delle prestazioni offerte in maglia bianconera nel 2003, è stato premiato con il Pallone d'oro conferito dalla rivista francese France Football (secondo ceco a ricevere questo riconoscimento dopo Josef Masopust), e nominato World Player of the year dalla rivista britannica World Soccer. Soprannominato Furia ceka dai tifosi italiani, nel corso della carriera ha inoltre vestito in patria le maglie di Dukla Praga e Sparta Praga.

 

È stato inserito nella formazione ideale del campionato d'Europa 2004, e sempre nello stesso anno nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi stilata da Pelé e dalla FIFA in occasione del centenario della federazione mondiale. È stato incluso per tre anni consecutivi, dal 2003 al 2005, nella squadra dell'anno UEFA. Nel 2004 l'Association of Football Statisticians, classificando i 100 più grandi calciatori di sempre secondo un criterio puramente statistico, lo ha incluso al 34º posto. È il miglior calciatore ceco del decennio 1993-2003 secondo la rivista ceca Mladá fronta DNES, e di quello 2000-2010 secondo Lidové noviny.

 

Pavel Nedvěd
Pavel Nedvěd.jpg
Nedvěd in azione con la nazionale ceca
     
Nazionalità Cecoslovacchia Cecoslovacchia
Rep. Ceca Rep. Ceca (dal 1993)
Altezza 177 cm
Peso 70 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Centrocampista
Termine carriera 31 maggio 2009
Carriera
Giovanili
1977-1985 non conosciuta Tatran Skalná
1985-1986   RH Cheb
1986-1990   Skoda Plzeň
1990-1991   Dukla Praga
Squadre di club
1991-1992   Dukla Praga 19 (3)
1992-1996   Sparta Praga 98 (23)
1996-2001   Lazio 138 (33)
2001-2009   Juventus 327 (65)
Nazionale
1992-1993 Cecoslovacchia Cecoslovacchia U-21 7 (0)
1994-2006 Rep. Ceca Rep. Ceca 91 (18)
Palmarès
 
UEFA European Cup.svg Europei di calcio
Argento Inghilterra 1996
Transparent.png Confederations Cup
Bronzo Arabia Saudita 1997

 

Biografia

È stato sposato con la connazionale Ivana, conosciuta in giovane età: la coppia ha avuto due figli a cui hanno dato i loro stessi nomi, Ivana e Pavel, perché, come ha dichiarato lo stesso Nedvěd, «quando noi non ci saremo più, nel mondo ci saranno sempre un Pavel e un'Ivana che si vorranno bene».

 

Nel 2010 è uscita la sua autobiografia, La mia vita normale. Di corsa tra rivoluzione, Europa e Pallone d'oro, scritta insieme a Michele Dalai.

 

Dal 2011 è tra i 50 calciatori juventini omaggiati nella Walk of Fame allo Juventus Stadium. Il 1º dicembre 2014 è stato omaggiato di una statua di cera dal Museo Grévin di Praga, al fianco di altre glorie sportive ceche quali Petr Cech, Dominik Hasek, Jaromir Jagr, Ivan Lendl, Martina Navratilova, Roman Sebrle e Emil Zatopek.

 

Il 28 ottobre 2015 ha ricevuto la Medaglia al Merito della Repubblica Ceca, la più alta onorificenza del suo Paese.

 

Ha preso parte a numerose iniziative benefiche.

Caratteristiche tecniche

Era un centrocampista offensivo, dotato di buona tecnica, affinata grazie alla perseveranza negli allenamenti, nonché di infaticabile costanza, grande propensione alla corsa e un'ottima inclinazione nel servire assist ai compagni. Considerato uno dei migliori centrocampisti espressi dal calcio europeo, era inizialmente un mancino naturale che tuttavia, con il tempo, imparò a calciare indifferentemente con entrambi i piedi — affermò che da piccolo imparò a tirare di destro tanto bene, da sentirsi poi un destro naturale —, caratteristica che ne fece un elemento molto pericoloso nelle conclusioni dalla lunga distanza e nei calci di punizione. Atleta dall'indole molto aggressiva, ciò lo portava a essere talvolta falloso, anche quando non strettamente necessario.

 

Poteva coprire svariati ruoli sul fronte offensivo del centrocampo, dal laterale al trequartista; la sua posizione prediletta era quella di esterno sinistro di centrocampo, dove poteva effettuare cross di sinistro o rientrare per il tiro di destro. Tuttavia, la caratteristica che più lo contraddistingueva era una tenuta atletica che gli garantiva una corsa ininterrotta sulla fascia dal primo all'ultimo minuto di gara, grazie alla quale era in grado di effettuare recuperi difensivi e ribaltare subito l'azione.

Carriera

Giocatore

Club

Gli inizi

Nato a Cheb e cresciuto poi nella vicina Skalna, Nedvěd ha iniziato la sua carriera calcistica nella natia Cecoslovacchia. Fanatico di calcio fin dalla giovane età, ha iniziato a giocare appena cinquenne per il Tatran Skalná, nel 1977. Si è poi trasferito al RH Cheb nel 1985, giocandovi per una stagione. In seguito si è accasato allo Skoda Plzen, nella quale ha militato per un lustro. Ha giocato per il Dukla Praga nel 1991, ma rimase con il club una sola stagione prima di trasferirsi allo Sparta Praga l'anno seguente. Con il club ceco vince un campionato cecoslovacco nella stagione 1992-1993, due campionati cechi nelle stagioni 1993-1994 e 1994-1995, e infine una Coppa della Repubblica Ceca nella stagione 1995-1996.

Lazio
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Nedvěd alla Lazio nel 2000

 

Al termine de campionato d'Europa 1996 che lo vede finalista con la sua nazionale, passa alla società italiana della Lazio per 9 miliardi di lire. Il 7 settembre 1996 debutta in Serie A con la maglia della Lazio contro il Bologna. In quell'annata trova 7 volte la via del gol, confermandosi uno dei punti fermi della rosa della squadra.

 

Nedvěd è diventato rapidamente un giocatore importante per la squadra laziale tanto che, all'inizio della stagione 1997-1998, segna 4 gol nelle prime tre partite di campionato. Nella seconda stagione con la Lazio vince il suo primo trofeo italiano, la Coppa Italia, battendo nella doppia finale il Milan, e perde la Coppa UEFA cadendo nella finale unica di Parigi contro l'Inter.

 

La terza stagione a Roma si apre per Nedvěd con la conquista della prima Supercoppa italiana, giocando la finale vinta per 2-1 sulla Juventus: proprio ai bianconeri Nedvěd sigla anche la sua prima rete stagionale. L'annata è caratterizzata da un infortunio che lo blocca per un lungo periodo; a fine stagione è il match winner della finale di Coppa delle Coppe UEFA, giunta alla sua ultima edizione e giocata a Birmingham il 19 maggio 1999, segnando con una girata al volo il decisivo 2-1 al Maiorca a pochi minuti dal termine (si tratta dell'ultima rete in assoluto nella storia quasi quarantennale della competizione), consegnando il primo trofeo confederale alla squadra capitolina e di riflesso al calcio romano.

 

La stagione successiva inizia con il trionfo in Supercoppa UEFA contro il Manchester Utd. Trova 5 volte la via del gol tra cui due reti fondamentali nell'ottica del campionato: una contro il Bologna nel giorno del centenario della società capitolina, che vince e si porta in testa alla classifica, e l'altro nel derby di ritorno contro la Roma, che consegna la vittoria ai biancocelesti (2-1) e riapre la rimonta sulla Juventus, in quel momento prima con 9 punti di vantaggio. Nell'ultima giornata la Lazio batte la Reggina per 3-0, e approfittando della caduta della squadra bianconera sul campo del Perugia, dopo ventisei anni torna a laurearsi campione d'Italia.

 

Nell'annata 2000-2001 il ceco realizza 13 gol, tra cui uno nella rimonta nei minuti finali della stracittadina in cui i biancocelesti, sotto 0-2, trovano prima il suo gol che accorcia le distanze, e poi al 5' di recupero quello del compagno di squadra Lucas Castroman. Da ricordare anche la doppietta contro la Juventus (4-1). Tuttavia dopo cinque anni molto positivi a Roma, sul piano sportivo (207 partite e 51 gol) e ancor più personale, Nedvěd decide di lasciare la Lazio a causa di sopravvenuti dissidi con la dirigenza e con la stessa società capitolina peraltro costretta a cederlo per far cassa.

Juventus
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Nedvěd in azione per la Juventus nel campionato 2001-2002

 

Dopo cinque stagioni con la squadra romana, viene acquistato per 75 miliardi di lire dalla Juventus. Partito Zidane, l'allenatore Marcello Lippi schiera inizialmente il nuovo arrivato come esterno sinistro, con libertà di accentrarsi. L'adattamento alla nuova realtà non è tuttavia dei più semplici, con il ceco che nei primi mesi a Torino sembra subire una pesante involuzione sul piano agonistico, tanto da divenire quasi un "caso". Lippi risolve l'impasse sul finire del 2001, posizionando Nedvěd in un ruolo mai ricoperto prima dal giocatore, dietro alle due punte, a supporto della coppia d'attacco Del Piero-Trezeguet: una collocazione tattica in cui il centrocampista ritrova quelle libertà di movimento e tiro a lui congeniali, svolgendo al contempo anche compiti in parte simili a quelli di un trequartista. Segna il suo primo gol a dicembre, in campionato, con un colpo di testa nella gara casalinga contro il Perugia; soprattutto, alla terz'ultima giornata realizza il gol decisivo per espugnare il campo del Piacenza (0-1), che contribuisce alla rimonta ai danni dell'Inter culminata con la vittoria dello Scudetto all'ultima giornata. Chiude la sua prima stagione in Piemonte a quota 4 reti.

 

Nell'annata 2002-2003 realizza 9 gol in campionato e bissa lo Scudetto, che si aggiunge alla Supercoppa italiana. In Champions League segna il suo primo gol nella competizione con la maglia bianconera con un potente tiro contro la Dinamo Kiev (5-0) e, nel prosieguo della competizione, con le sue prestazioni trascina i bianconeri in finale. Segna anche al Camp Nou con il Barcellona (1-2 dopo i tempi supplementari) e nella semifinale di ritorno al Delle Alpi contro il Tral Madrid (3-1): in quest'ultima gara, tuttavia, rimedia un'ammonizione negli ultimi minuti e, essendo diffidato, è costretto a saltate per squalifica la finale di Manchester, persa contro i rivali del Milan che si impongono ai tiri di rigore (2-3).

 

Nella stagione successiva vince un'altra Supercoppa italiana. Il 2003 si conclude con la conquista del Pallone d'oro assegnatogli dalla giuria della rivista francese France Football, succedendo dopo quarantuno anni all'unico altro calciatore ceco insignito con tale premio, Josef Masopust, e con il titolo di World Player of the Year conferitogli dalla rivista britannica World Soccer all'inizio del 2004 festeggia la consegna ufficiale del Pallone d'oro davanti ai suoi tifosi con un gol da 30 metri al Perugia (1-0).

 

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Nedvěd capitano juventino nell'estate 2007, durante un'amichevole contro la nazionale olimpica cinese.

 

Nei due anni successivi, con Fabio Capello in panchina, vince altri due campionati che, successivamente, saranno l'uno revocato e l'altro non assegnato per le vicende di Farsopoli che, nell'estate 2006, portano altresì alla retrocessione d'ufficio della Juventus in Serie B. Nedvěd è tra i senatori bianconeri che decidono di rimanere a Torino anche con la squadra relegata tra i cadetti: nella stagione 2006-2007 segna più volte gol decisivi e conclude il campionato con 33 presenze e 11 reti, che contribuiscono all'immediata risalita dei piemontesi in massima serie. Nell'annata del ritorno in Serie A, il 9 dicembre 2007, festeggia la sua partita numero 300 in bianconero siglando il gol della vittoria contro l'Atalanta.

 

Il 17 maggio 2009 tocca quota 500 presenze da professionista. Il successivo 31 maggio, dopo avere annunciato l'imminente ritiro dal calcio giocato, gioca la sua ultima partita, proprio contro la Lazio, società che lo aveva lanciato nel calcio italiano: è autore dell'assist a Vincenzo Iaquinta per la rete del 2-0 finale. Prima della fine dell'incontro, Nedvěd esce tra la standing ovation del pubblico.

Nazionale

Nedvěd ha giocato con tutte le nazionali giovanili della Rep. Ceca. Esordisce con la nazionale maggiore il 5 giugno 1994, nella vittoria per 3-1 contro l'Irlanda.

 

Nedvěd viene convocato per il campionato d'Europa 1996 in Inghilterra. Esordisce nella gara persa 2-0 contro la Germania, nella quale riceve un cartellino giallo. Nella seconda gara contro l'Italia, Nedvěd sigla il suo primo gol in nazionale maggiore e contribuisce alla vittoria della sua squadra per 2-1. Nella terza gara contro la Russia pareggiata 3-3, Nedvěd riceve il suo secondo cartellino giallo e viene, così, squalificato; ciò gli impedisce di partecipare alla sfida dei quarti di finale contro il Portogallo, vinta dai cechi per 1-0. Nella semifinale contro la Francia, i cechi vincono 6-5 ai tiri di rigore: Nedvěd realizza il secondo tentativo dal dischetto per la sua squadra, e viene nominato man of the match. Nedvěd gioca anche la finale contro la Germania, che batte in finale la Repubblica Ceca con il punteggio di 2-1 al golden goal.

 

Nel 1997 la Repubblica Ceca viene invitata a disputare la FIFA Confederations Cup 1997 come sostituta della Germania, vincitrice del campionato europeo precedente. La squadra riesce a qualificarsi per la fase a eliminazione diretta, dopo essersi classificata seconda nel suo girone dietro all'Uruguay; nella terza e ultima gara della fase a gironi, Nedvěd segna la sua prima doppietta con la maglia della nazionale, contribuendo alla vittoria per 6-1 contro gli Emirati Arabi Uniti. La nazionale ceca, dopo aver perso contro l'Australia in semifinale, sconfigge l'Uruguay per 1-0 e conquista la medaglia di bronzo.

 

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Nedvěd capitano della Repubblica Ceca al campionato del mondo 2006 

 

Dopo aver mancato la qualificazione al campionato del mondo 1998, la Repubblica Ceca partecipa al campionato d'Europa 2000 organizzato congiuntamente da Belgio e Paesi Bassi. Nedvěd non si presenta in forma alla competizione a causa di un infortunio alla caviglia. Nella prima gara della fase a gironi, persa contro i Paesi Bassi, Nedvěd prende un palo insieme al compagno di squadra Jan Koller. Le sue prestazioni contro Francia e Danimarca non bastano a raggiungere la fase a eliminazione diretta. Dopo il torneo, Nedvěd viene nominato nuovo capitano della nazionale ceca.

 

Al campionato d'Europa 2004 in Portogallo, Nedvěd gioca un buon torneo, disputando le tre gare della fase a gironi e la semifinale persa contro i futuri campioni della Grecia. Nella seconda gara della fase a gironi contro i Paesi Bassi viene nominato man of the match. Nella semifinale contro gli ellenici, persa per 1-0, Nedvěd subisce un infortunio al ginocchio ed è costretto a lasciare il campo: dopo questa sconfitta, il giocatore palesa l'intenzione di lasciare la nazionale. A fine torneo viene inserito nella formazione ideale dell'edizione insieme ai compagni Petr Cech e Milan Baros.

 

Sebbene alla fine dell'europeo lusitano avesse annunciato il suo ritiro dalla nazionale, Nedvěd viene pressato dai tifosi e dai compagni per rimanere in squadra in vista del campionato del mondo 2006 in Germania. I cechi riescono a qualificarsi alla competizione, ma vengono eliminati al primo turno dopo una vittoria sugli Stati Uniti e due sconfitte subite dal Ghana e dall'Italia.

 

Nella stessa estate, in occasione dell'amichevole contro la Serbia e Montenegro, Nedvěd annuncia il suo definitivo addìo alla nazionale: conclude la sua esperienza con 91 presenze e 18 gol. I suoi compagni di squadra tentano comunque di convincerlo a partecipare al successivo campionato d'Europa 2008, ma Nedvěd rifiuta.

Dirigente[

Il 12 ottobre 2010, Exor, in vista dell'assemblea degli azionisti, ha proposto il ceco come consigliere d'amministrazione della Juventus; il 27 dello stesso mese, a seguito dell'assemblea, Nedvěd diventa ufficialmente uno degli undici componenti del board della società bianconera. Il 23 ottobre 2015 viene eletto vicepresidente della Juventus. Durante i suoi incarichi dirigenziali in seno alla società bianconera, la squadra vive uno dei cicli più vittoriosi della propria storia compresa una striscia-record di nove Scudetti consecutivi. 

 

Rimane in carica fino al 28 novembre 2022 quando, insieme a tutti i componenti del consiglio di amministrazione con a capo il presidente Andrea Agnelli, si dimette dal proprio ruolo con la società bianconera nel frattempo interessata da un processo sportivo. Il 20 gennaio 2023, nell'ambito del summenzionato procedimento, la Corte Federale d'Appello (CFA) della FIGC lo inibisce per 8 mesi a svolgere attività in ambito federale, con richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA; il successivo 20 aprile il Collegio di Garanzia del CONI accoglie il ricorso presentato da Nedvěd, annullando l'inibizione e rinviando la decisione alla CFA. Il 22 maggio seguente, il nuovo giudizio della CFA proscioglie Nedvěd da ogni addebito.

Dopo il ritiro

Il 2 giugno 2018, per festeggiare il centenario dello Skalná, squadra in cui è cresciuto, Nedvěd è tornato a vestire i panni del calciatore, venendo tesserato dal club e scendendo in campo nella sfida casalinga contro il Baník (1-4); la circostanza l'ha visto giocare al fianco del figlio, Pavel Jr.

Statistiche

Tra club, nazionale maggiore e nazionali giovanili, Nedvěd ha totalizzato globalmente 761 presenze segnando 165 reti, alla media di 0,21 gol a partita.

Palmarès

Club

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

Individuale

  • FIFA 100: Inserito nella lista dei giocatori Cechi - 2004

Onorificenze

Medaile Za zásluhy I. stupeň (Medaglia al Merito della Repubblica Ceca in primo grado) - nastrino per uniforme ordinaria Medaile Za zásluhy I. stupeň (Medaglia al Merito della Repubblica Ceca in primo grado)
  «per i suoi servizi in favore della reputazione della Repubblica Ceca all'estero.»
— Praga, 28 ottobre 2015.

 

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Pavel Nedved Photo: Pavel Nedved smile | Juventus, Pavel nedvěd, Football

 

 

 

«Ci faceva sempre goal – ricorda Luciano Moggi – lo prendiamo noi, così risolviamo il problema, dissi nel 2001 a Bettega e Giraudo. Oltre che a rompere le scatole a noi della Juventus, Pavel Nedved era davvero un gran giocatore: centrocampista offensivo, qualità tecniche eccellenti, nessuna differenza tra destro e sinistro, super anche nel calciare le punizioni. Tutto questo associato a un fisico infaticabile. Correva sempre, ricordo che negli allenamenti bisognava fermarlo, altrimenti non smetteva più. Correva anche negli spogliatoi, mai visto nulla di simile.
Un giorno mi raccontò che quando militava nello Sparta Praga, i compagni lo chiamavano il Matto, perché si sottoponeva a dosi suppletive di allenamento, anche due ore in più. Insomma, un tipo da Juventus: tutto calcio e famiglia. Decidemmo di prenderlo, perché volevamo dar via Zidane per impostare una squadra più atletica, più veloce. Nedved era l’uomo giusto per noi. Ma portarlo a Torino non fu semplice. La trattativa con la Lazio di Sergio Cragnotti andò via liscia: stretta di mano a settanta miliardi di lire, contratto firmato a maggio 2001. Molto più difficile fu convincere Nedved. Infatti, non ne voleva sapere di venire alla Juventus. Non era questione di soldi, ma una scelta di vita. Lo chiamai diverse volte, ma non ci sentiva. “Direttore, grazie. Ma mi trovo bene alla Lazio e sto splendidamente a Roma: abito all’Olgiata, vicino ai campi da golf, il massimo. Qui io e la mia famiglia abbiamo tutto, perché andarcene?” È uno dei pochi “no” ricevuti in vita mia che non mi hanno fatto imbestialire. Perché le motivazioni di Pavel mi avevano confermato che, dietro al giocatore, c’era un uomo vero. Anche a Roma, Cragnotti e il direttore sportivo, Nello Governato, si diedero da fare per convincerlo. Senza fortuna. Tanto che strapparono il contratto con me e annunciarono, il 15 giugno, il prolungamento con il giocatore, con annessa rituale dichiarazione d’amore dell’atleta: “Felice di restare alla Lazio”. I dirigenti biancocelesti mi chiesero di cestinare anche il mio accordo. Ma la parola arrendermi non fa parte del mio vocabolario. Bisogna lottare sempre, anche quando la vittoria sembra impossibile. Perché in caso di successo, il gusto è doppio. E anche perché sapevo che la trattativa con il Real Madrid per la cessione di Zidane sarebbe andata a buon fine. Rischiavamo quindi di non avere il sostituto di Zizou. Feci il gioco dei dirigenti biancocelesti e tre-quattro giorni dopo, in conferenza stampa, dissi chiaro e tondo che Nedved non sarebbe arrivato: “Per la Lazio è incedibile”. Non era una bugia, le cose stavano esattamente così. Avevo semplicemente mentito a me stesso. Perché sapevo che la caccia a Nedved non era terminata. Ma ci volle un colpo di genio per ottenere il sì del giocatore. Gli telefonai di nuovo, mentre si trovava a Praga per le vacanze. “Pavel, fammi un piacere, fai un salto a Torino. Non ti dico di venire per forza alla Juventus, ma almeno a dare un’occhiata. Poi se decidi per il no, amici come prima. Ti mando un aereo dall’Italia, un volo privato, così non ti vede nessuno”. Pavel accettò e cadde nella trappola. Misi giù il telefono e avvisai giornali e televisioni: “Sta arrivando Nedved”. Il giorno dopo, Pavel atterrò a Torino, e quando scese la scaletta dell’aereo, si trovò davanti una folla di giornalisti. “Ma come hanno fatto a sapere del mio arrivo?” disse guardandosi intorno smarrito. Ovviamente feci finta di essere sorpreso e arrabbiato, ma dentro godevo come un matto e assaporavo già quel gusto (doppio) della vittoria. A Pavel tornò il sorriso quando lo portammo a visitare il Circolo Golf Torino, inserito nel parco regionale La Mandria, tra i più belli e affascinanti della Pianura Padana, già riserva di caccia dei Savoia, a due passi dallo splendore della Reggia di Venaria Reale. Gli occhi di Nedved luccicarono nel gustare quel paradiso. Il calciatore rimase stordito da tanta bellezza. E la Juventus era più vicina. Il resto lo fecero i tifosi della Lazio dopo quell’inaspettato blitz a Torino: trasformarono Nedved da idolo a traditore. Per lui furono giorni di contestazione a Roma. Momenti difficili, che culminarono, il 4 luglio, con la sua resa: “OK, firmo per la Juventus”. Fu la nostra, ma anche la sua, fortuna. In bianconero ha vinto quasi tutto, con la ciliegina del Pallone d’Oro 2003. Si è guadagnato la fiducia della famiglia Agnelli anche fuori dal campo, tanto che oggi è vice presidente della società bianconera».
Quando, nell’estate del 2001, Pavel sbarca a Torino, è un ventinovenne al culmine della gloria, che ha bisogno di trovare ulteriori motivazioni per diventare ancora più grande di quanto possa esserlo in quel momento. La Juventus, nuovamente, “lippiana” ha il passo della capolista e in mezzo al campo può contare sul più versatile dei campioni; Pavel, infatti, è capace di difendere contrastando con grinta, come di attaccare rifinendo o tentando la sorte con soluzioni balistiche sempre più ambiziose. Ci mette un po’ a rompere il ghiaccio, ma dopo un gelido Juventus-Perugia, la sera del primo dicembre 2001, la sua regolarità diventa impressionante. Fino a diventare l’uomo scudetto, il 21 aprile 2002 a Piacenza, con una rete che lo consegna dritto agli annali; la Juventus che insegue l’Inter quel giorno capisce che, grazie a Nedved, i giochi sono tutt’altro che chiusi. Goal fantastico, nelle battute finali, e rincorsa lanciata.
Finirà, come sanno tutti, quindici giorni dopo; la Juventus, che vince a Udine, sorpassa l’Inter distrutta proprio dalla Lazio: «Quello iniziale con la Juventus, fu un periodo difficile, perché avevo cambiato completamente preparazione e modo di giocare. Alla Lazio puntavamo sul contropiede, mentre qui dovevamo attaccare e trovavamo sempre avversari chiusi. Insomma, dovevo abituarmi, capire i movimenti e il gioco che veniva praticato. Ci ho impiegato un po’, diciamo fino a Natale; poi, grazie anche a Lippi che mi ha spostato in una posizione più centrale, mi sono trovato molto meglio ed ho cominciato a essere me stesso. Ricordo il giorno dello scudetto come una grande soddisfazione; ero particolarmente felice anche per la doppietta del mio amico Poborski, contro l’Inter».
Il 2002-03 è un anno magico; Nedved, è oramai il trascinatore e l’idolo della folla bianconera, che gli affibbia il soprannome di Furia Ceka. Il secondo scudetto della sua avventura bianconera arriva quasi senza clamori, perché i tifosi juventini, e lo stesso Pavel, sono concentrati sulla Champions League. La “Coppa dalle grandi orecchie” è un lungo, meraviglioso sogno. Nedved ha un rendimento incredibile per tutta la stagione, gioca e segna come non ha mai fatto in carriera. Ma è destino che, nella serata più bella e gloriosa, quella della semifinale di ritorno con il Real Madrid, il campione più amato non riesca a portare fino in fondo il suo meraviglioso progetto. Migliore in campo, autore dello straordinario goal che chiude la sfida, Pavel nel finale viene ammonito dall’arbitro e, diffidato, deve dare addio alla finale di Manchester. Una batosta per lui e un gravissimo, decisivo handicap per la Juventus, che si vedrà sfuggire quella coppa ai rigori. Ma il 2003 è comunque il suo anno; i giurati di tutta Europa lo eleggono Pallone d’Oro, la consacrazione di una carriera fenomenale e, al tempo stesso, lo stimolo per programmare altri trionfi. Torino sembra proprio essere la città adatta a chi, come lui, ha regole ferree di vita: «Per me esiste il calcio e la mia famiglia. Non ho bisogno di altro. A Roma vivevo fuori città, a Torino pure. Sono un cultore del lavoro, anche in vacanza cerco di organizzarmi in modo da poter mantenere la forma fisica che mi serve al momento in cui ritorno al lavoro».
Terminati gli allenamenti, le partite e i ritiri, Pavel si dedica a 360 gradi alla sua famiglia, alla moglie Ivana e ai due figli Ivana e Pavel: «Abbiamo deciso di chiamarli così perché, quando noi non ci saremo più, esisteranno ancora un Pavel e un’Ivana che si amano».
Un pensiero profondo, speciale, per un ragazzo nato e cresciuto a Cheb, venti minuti in auto dal paese dove viveva il suo grande amore, Ivana: «Ci siamo conosciuti quando io avevo quindici anni e lei tredici. Veniva a Cheb a trovare sua nonna, prima c’è stata amicizia, poi è scoppiato l’amore. Ci siamo sposati prestissimo, avevo ventuno anni». Racconta con un volto che lascia trasparire una dolcezza e che, in altre occasioni, viene ben mascherata da uno sguardo a volte addirittura severo.
Soprattutto quando parla del calcio, uno sport, un gioco, ma anche una professione, che Pavel ha sempre preso con grande serietà: «Sento addosso una grande responsabilità, fin da piccolo stavo male quando perdevo una partita, avevo ed ho sempre una grande voglia di migliorarmi. Sono una persona che ama prendere sul serio tutto quello che fa, mi capitava già da ragazzino e non solo in campo sportivo. Ora poi, che sono alla Juventus, sono emozionato e onorato. So che la mia gente si aspetta molto da me ed io non voglio certo deluderla».
Il popolo ceco lo considera un vero idolo: «Devo tanto alla mia Nazionale, perché mi ha permesso di mettermi in mostra a livello europeo e di arrivare fino qui».
Il vizio del goal, soprattutto con tiri da lontano, è proprio una delle sue caratteristiche. Una predisposizione nata quando Nedved era il più piccolo dei suoi compagni di squadra e per aggirare l’ostacolo provava a segnare da fuori area: «Mio padre, e poi il mio primo allenatore, mi mettevano i palloni tutti intorno alla linea dell’area di rigore e da lì provavo a tirare».
La stagione successiva è avara di soddisfazioni; la Juventus è falcidiata dagli infortuni e il campionato è molto deludente. Anche Pavel risente della stanchezza generale di una squadra che sta chiudendo il ciclo del suo grande condottiero, Marcello Lippi. Nell’estate del 2004 arriva Fabio Capello e, con esso, una ventata di aria nuova; Pavel ritrova lo smalto dei bei tempi e conquista altri due scudetti da protagonista assoluto, come suo solito. Dopo la bufera di Calciopoli, Pavel decide di restare alla Juventus, anche in Serie B: «Non ho mai avuto dubbi sul fatto di rimanere alla Juventus. Le offerte non mi mancavano, ma la mia famiglia ed io stiamo bene a Torino e poi devo molto a questa società e alla famiglia Agnelli, che mi è sempre stata vicino».
Il centrocampista ha ancora forti motivazioni e un obiettivo ben preciso: «Credo di poter dare ancora una mano a questa squadra e lo sento come un dovere. Finiti i Mondiali ho anche pensato di smettere, capita quando sei stanco. Dopo una settimana di vacanza, però, aveva già cambiato idea e mi sono dato un compito: voglio riportare subito la Juventus in A, perché è lì che merita di stare. Anche i nostri scudetti erano meritati; noi abbiamo sempre dato tutto in campo, avevamo uno squadrone e abbiamo battuto grandi avversari, vincendo onestamente e sono fiero di questo. La sentenza? Alla fine a pagare è solo la Juventus e questo non è giusto, soprattutto per i tifosi e i calciatori».
La decisione di Pavel di restare assume ancor più valore se si pensa a quanto il ceco abbia sempre desiderato vincere la Champions League: «Ci ho pensato, ma la mia Champions League ora è la Serie B. Anche perché centrare la promozione partendo da una penalizzazione così pesante sarebbe come vincere la Coppa. Bisogna essere realisti ed ho cancellato il pensiero della Champions; non toccherà a me alzarla, ma ho comunque grandi motivazioni per riportare la Juventus in Serie A».
Se già era un idolo per i tifosi, ora Pavel è un vero e proprio eroe: «No, non mi sento un eroe. Ho semplicemente fatto una scelta di vita; per quale motivo avrei dovuto cambiare? Sto bene a Torino, la mia famiglia è felice ed io voglio ricambiare quanto la Juventus mi ha dato in questi anni. Altri compagni hanno deciso diversamente? Beh, ognuno fa le proprie scelte, anche se credevo rimanessero più giocatori. Ora mi auguro che restino tutti gli altri campioni, perché dovremo comunque affrontare una stagione difficile; ci sono campionati all’estero molto meno duri della Serie B italiana. Quello che posso dire è che il mio impegno e il mio modo di giocare saranno gli stessi».
Chiaramente, anche nella serie cadetta è un protagonista assoluto e, grazie anche alle sue grandissime prestazioni, la squadra bianconera risale immediatamente in Serie A, sicura di poter ambire a qualsiasi traguardo, fino a quando la maglia numero undici sarà indossata da Pavel Nedved, la Furia Ceka: «Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco a essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus, Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre».
Anche nella stagione che segna il ritorno nella massima serie, Pavel non si risparmia portando la Juventus in Champions League e a un ottimo terzo posto. Il campionato 2008-09 è l’ultimo per Nedved in maglia bianconera; il rendimento della squadra è un pochino deludente nonostante il secondo posto e l’eliminazione agli ottavi di finale da parte del Chelsea in Champions League. Pavel è, come sempre, un grande protagonista della stagione, arrivando anche a realizzare ben sette reti. Il 31 maggio 2009, proprio contro la Lazio, Nedved gioca la sua ultima partita con la maglia della Juventus. Del Piero gli cede la fascia da capitano e lui gioca una grandissima partita, onorando quella maglia che ha tanto amato: «Dopo otto stagioni con la Juventus è arrivato il momento di salutare tutti i tifosi, i compagni e la società e ringraziarli per il sostegno ricevuto in questi anni. A Torino ho vinto quattro scudetti e un Pallone d’Oro. Vorrei ringraziare in particolare mia moglie Ivana e i miei figli, che mi sono stati sempre molto vicini, accompagnandomi nel corso della mia carriera consentendomi di raggiungere traguardi straordinari. Alla Juventus continuerò a sentirmi legato da un rapporto di grande affetto e sono particolarmente grato alla famiglia Agnelli per avermi dato l’opportunità di giocare in questa grande squadra».
Il saluto di Del Piero: «È stato un giorno speciale. Lo è stato per Nedved e per noi, ancora non ci sembra vero di non rivederlo più nello spogliatoio, quando ci troveremo per ricominciare la stagione. Mi dispiace davvero che Pavel non sia più al mio fianco il prossimo anno, basta pensare a quello che è riuscito a fare in questa stagione: come tutti i grandi campioni ha chiuso alla grande. Mi legano a lui tanti ricordi, tante vittorie, qualche sconfitta, la scelta di restare alla Juve anche in Serie B per ritornare in alto insieme. Mi legano a Pavel tutti quei momenti, anche apparentemente insignificanti, quegli attimi vissuti insieme in questi otto anni, che per me rappresentano la grandezza non solo del calciatore, ma anche dell’uomo, dell’amico. Sono orgoglioso di avere giocato con Pavel, sono orgoglioso che domenica sia stato il mio capitano».

FRANCESCO DENDENA, SU “I NOSTRI CAMPIONI
La sua azione classica? Strappata la palla con un contrasto o ricevutala dal compagno, Nedved si allunga verso l’esterno di centrocampo. Non c’è un tocco di suola a saltare l’uomo: quello di Nedved è una sfida brutale, un elegante sfoggio di potenza. La bellezza dell’azione tecnica del ceco è nel perfetto dispiegamento della propria forza fisica, che non è celata, trattenuta: è furia, appunto. Stoppata la palla, Pavel avanza su un terreno che sembra sempre troppo corto per la forza che lo sta attraversando. Poi, al limite dell’area grande, di fronte al difensore che lo spinge verso l’angolo, Pavel, il miglior Pavel dico, rientra passando la palla dal piede sinistro al destro, il suo piede naturale. Qualche passo, non più del necessario per distanziare il difensore, e la frangia biondissima si solleva una frazione di secondo; poi Pavel fa partire il suo tiro classico. Teso, netto, pulito. Fortissimo.

“TUTTOSPORT” DEL 7 GIUGNO 2012
Fino a un po’ di tempo fa erano in tanti a chiedermi di tornare a giocare e, vi confesso, che mi ha fatto sempre molto piacere. Adesso è diverso, ma altrettanto bello che la gente mi faccia i complimenti per la squadra, che quindi mi consideri un dirigente. E poi, logicamente, dopo i complimenti mi chiedono di aggiungere dei campioni alla squadra. Ed io cosa rispondo loro? Che abbiamo le idee chiare e non dormiremo di sicuro. Possono stare tranquilli.
Qual è il mio lavoro alla Juventus? Questa domanda la prendo un po’ più larga. Quando uno smette di giocare, deve trovare la sua dimensione e non è facile. Non è che puoi partire dicendo: ho giocato vent’anni e so tutto di questo mondo. Col cavolo! Parti da zero e devi imparare tutto. Io all’inizio non capivo dove e come posizionarmi, poi con il passare del tempo ho trovato la mia posizione. Un po’ come mi è successo il primo anno con Lippi che nei primi sei mesi non capiva dove mettermi! (ride) Poi con Marotta, Paratici e Conte ho trovato la mia giusta dimensione, nella quale sento di essere utile. Al campo cosa faccio? Innanzitutto c’è un lavoro che svolgo al campo per dare una mano ai dirigenti e all’allenatore. Seguo la squadra, parlo con Conte e con i giocatori, osservo come si allenano. Solo così puoi capire. Capire cosa? Un giocatore viene generalmente giudicato alla domenica per la partita, ma se vuoi valutarlo seriamente devi soprattutto vederlo in settimana, come si allena, come lavora. Una squadra è composta da venticinque giocatori, devi sapere tutto di tutti, perché di tutti c’è bisogno. E in sede cosa faccio? Riunioni! Tante riunioni! (ride) Dal mercato per la prima squadra alla gestione del settore giovanile ed è un gran lavoro, c’è tanto da fare.
Più difficile fare il dirigente o fare il calciatore? Cosa sia più difficile non lo so. Ho capito che vincere da dirigente provoca le stesse emozioni di quando si vince da giocatore. Perché da giocatore sei protagonista in campo, ma da dirigente sei consapevole di quanto lavoro c’è dietro ogni vittoria e di quante persone hanno contribuito, a partire dal presidente che non smette mai di lavorare. A Trieste mi sono emozionato, tanto. Non pensavo di emozionarmi così, ma giuro che mi sono commosso. È una sensazione diversa rispetto alle vittorie da giocatore, ma di uguale intensità.
Come si può evolvere il mio ruolo? Ora voglio imparare più cose possibili. Abbiamo qui un amministratore delegato e direttore generale che ha trent’anni di calcio alle spalle, gli voglio rubare più cose possibili. Vi faccio un esempio: a volte io e Paratici partiamo fortissimi con un’idea, ci gasiamo, pensiamo che sia il massimo. Poi arriviamo da Marotta che ci dice: calma ragazzi, questa situazione l’ho già passata e, come dire, ti aggiusta, ti spiega cosa si può fare e cosa no. Poi a volte capita che invece sia il primo entusiasta delle nostre idee. È bello confrontarsi con persone di esperienza, ti fa crescere.
Com’è lavorare con Agnelli? Bello. Perché lui è uno che lavora tantissimo, ha le idee chiare, per primo dà la dimostrazione che serve sacrificio e applicazione per raggiungere certi traguardi. E poi è un presidente che capisce di calcio. E da quando è un ragazzino che gioca e gioca ancora oggi, sa entrare nella testa dei calciatori. Se è un competente? Assolutamente sì. Si confronta molto con lo staff tecnico e sa sempre tutto quello noi facciamo, anche se logicamente rispetta i ruoli e lascia a noi certe decisioni. Dice: «Questo lo dovete decidere voi, perché siete più attrezzati di per farlo».
Dopo l’addio di Del Piero, io e Buffon siamo gli juventini più anziani? Significa che dobbiamo portare avanti i valori della juventinità. Quelli che ho vissuto io fin dal primo giorno. Quando sono arrivato ho sentito un profumo che non so spiegare, è qualcosa che ha a che fare con il nostro DNA e non si respira altrove. Il mio compito e quello di Gigi è spiegare questa cosa ai più giovani e a chi arriva.
La svolta di Conte è stata più tecnico-tattica o psicologica? Cinquanta e cinquanta: perché dal punto di vista tattico è stato grandioso nel cambiare quando si è reso conto di avere in rosa un giocatore di livello mondiale, Vidal, ed ha rivoluzionato tutto. Ma dal punto di vista psicologico ha svolto un lavoro pazzesco su dei ragazzi che venivano da annate negative ed ha fatto fare un salto di qualità notevole a tutti. In questo, devo dire, gli ha dato una mano lo Stadium, perché lì è tutta un’altra cosa. Io ero certo che quell’impianto ci avrebbe portato dei benefici nei risultati e tutto si è avverato.
Se ho mai pensato cosa avrebbero fatto le Juventus in cui ha giocato io nel nuovo stadio? Sì, sempre. L’ho immaginato tante volte. E penso che più che in campionato, ci avrebbe dato qualcosina in più in Champions. Penso spesso a quel pareggio con il Liverpool e a quell’altro pareggio con l’Arsenal al Delle Alpi nelle stagioni di Capello. Le avessimo giocate allo Stadium, in quell’ambiente, le avremmo vinte di sicuro. La squadra di Capello era la più forte d’Europa. Ovviamente non siamo riusciti a dimostrarlo vincendo la Champions, ma abbiamo vinto in Italia, anzi abbiamo sempre stravinto. E comunque quella rosa era la migliore. Mi dispiace per la Champions, forse giocando bene come la Juventus di Conte avremmo vinto anche la “Coppa dalle grandi orecchie”.
Nella prossima stagione ricomincia la caccia alla mia ossessione? Solo toccarla mi darebbe un’emozione. Non importa se da dirigente. Sarebbe la soddisfazione più grande.
Se la Juventus sarà competitiva in Champions? Se dovesse esprimersi ai livelli di quest’anno farebbe già una bella strada. Di questo sono convinto perché ho sempre confrontato il gioco di Conte con quello che veniva espresso in Champions ed ho sempre pensato che non ci fossero grandi differenze. Certo, l’anno prossimo ci saranno tre fronti: il campionato, la Champions, la Coppa Italia, quindi dobbiamo rinforzarci. Abbiamo una base molto solida, ma dobbiamo aggiungere dei pezzi. È un lavoro teoricamente più facile, ma in realtà è molto difficile perché stavolta dobbiamo prenderne pochi ma buoni e non possiamo permetterci di sbagliare.
Se cerchiamo giocatori con esperienza in Champions? No, non necessariamente. Stiamo cercando dei giocatori che siano forti e che stiano bene nel nostro ambiente. Non ha importanza se hanno già giocato la Champions, l’esperienza la faremo insieme. Se è vero che nella selezione stiamo scartando chi non rispetta certi parametri comportamentali? In linea di massima sì, ma credo anche che un ambiente molto sano, come il nostro, possa anche permettersi di gestire una testa calda se dovesse portare un contributo tecnico molto importante. La testa gliela aggiustiamo noi.
Se mi sono mai immaginato come allenatore? No, sinceramente non ho ancora avuto occasione di pensarci seriamente. Ho preso un anno sabbatico quando ho lasciato, poi mi sono incontrato con Agnelli ed ho deciso di iniziare questa strada.
Se è dura competere con club come il City sul mercato? Sì è dura. E non solo perché i City, i Real o il Barcellona hanno un budget molto più ampio per acquistare i giocatori, ma hanno pure un fatturato quasi doppio del nostro per pagare i loro ingaggi. Ma attenzione, non è sempre solo questione di soldi. Guardate com’è andata l’anno scorso: non è stata facile convincere dei campioni venire a Torino, eppure. Come si fa strappare un giocatore al City o al Real? Bisogna essere chiari con i giocatori, spiegare bene il progetto. Abbiamo la forza che abbiamo vinto, che partecipiamo alla Champions con la volontà di esserne protagonisti, che abbiamo il nuovo stadio. Queste sono cose che parlano a nostro favore, poi ce ne sono altre a nostro sfavore: il momento del calcio italiano, per esempio, non è facile, il campionato si gioca in stadi non adeguati. Ma io so come ragiona un giocatore, quindi riesco a entrare nella loro testa e qualche chances ce l’abbiamo. Sono fiducioso.
Posso dire che è un mercato difficile, ma ci stiamo lavorando e abbiamo fatto una valutazione complessiva per capire dove intervenire. I tifosi devono stare tranquilli, la squadra c’è. E c’è tutta la società che ha voglia di migliorarla. Nonostante le difficoltà, la miglioreremo di sicuro. Ma piuttosto che dovermi rimangiare qualcosa a fine mercato, preferisco mantenermi basso. Non voglio promettere cose che non si avverano. Io sono il primo a volere una Juventus con undici fenomeni com’era nel 2005-06, però dobbiamo stare tranquilli. Niente promesse, tranne una: tifosi, state tranquilli, sul mercato non dormiamo. Abbiamo fatto uno step e ora vogliamo migliorare. L’obiettivo ora è, inevitabilmente, la Champions.
Se io ho mai pensato di giocare negli Stati Uniti, a Dubai o in Cina? No, quando ho smesso Mino Raiola, il mio procuratore, voleva spingermi all’Inter. Era la cosa più seria e voleva chiudere lì. Si era praticamente installato a casa mia per un paio di settimane per convincermi. Alla fine l’ho cacciato! (ride) E pensate che ancora adesso mi rinfaccia i soldi che gli ho fatto perdere con quel rifiuto. Ma dai! Mi ci vedete con la maglia dell’Inter?

 

http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2015/08/pavel-nedved.html

 

Modificato da Socrates

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