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SICILIANO

Desecretate Pecoraro

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3 minutes ago, Ghost Dog said:

 

C'è sempre l'articolo del Guardian di qualche mese fa che racconta abbastanza bene i timori di Bucci, oltre che il giro attorno alle curve.

Adesso lo edito in italiano dalla versione dell'Internazionale.

Consip, indagato per falso il carabiniere stabiese Giampaolo Scafarto

http://www.metropolisweb.it/news/consip-indagato-per-falso-il-carabiniere-stabiese-giampaolo-scafarto/27929.html

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Adesso, ClaudioGentile ha scritto:

 

Ma noi non siamo complottisti. 

Praticamente c'è una massoneria campana che fa un po' c**** gli pare.

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Joined: 20-Apr-2009
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1 minute ago, Ghost Dog said:

 

Ma noi non siamo complottisti. 

Praticamente c'è una massoneria campana che fa un po' c**** gli pare.

L'hai detto finalmente. E chi kazzo deve controllarla? Mi sono dimenticato di includere il dirigente della Polstrada Toscana, Paolo Maria Pompno, che scopristi tu, che inviava lettere calcistiche di amore napolista al Mattino .oddio

 

Ma dimmi una cosa: Ma secondo te, questa nascita della massoneria campana e' stata "aiutata" durante il mandato dell'ex Presidente Napolitano? .penso

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14 minuti fa, ClaudioGentile ha scritto:

sefz

 

Auricchio = De Magistris = Genchi = Narducci = Pecoraro = Scafarto. Sai cosa hanno in comune? NAPOLI Ma qualcuno politicamente serio che controlla come mai ci sta questa associazione a delinquere LEGALE tra magistratura e forze di polizia provenienti dalla Campania, ci sta? Questi da un momento all'altro potrebbero riscrivere per via giudiziaria la storia politica, sociale, e sportiva dell'Italia. Quando kazzo qualcuno seriamente controllera'?

 

http://www.metropolisweb.it/news/consip-indagato-per-falso-il-carabiniere-stabiese-giampaolo-scafarto/27929.html

 

Aggiungici anche Di Lello, segretario dell'antimafia, e il sen. Taglialatela

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Just now, Tiger Jack said:

Aggiungici anche Di Lello, segretario dell'antimafia, e il sen. Taglialatela

Giusto, nella foga me ne ero dimenticato. Nel frattempo ho aggiunto anche il dirigente della Polstrada Toscana Pomponi, quello che disse che i due bus dei napolisti non aggredirono quello degli Juventini.

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i napoletani hanno le mani in pasta a tutti i livelli,non c'è da sorprendersi 

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
40 minuti fa, ClaudioGentile ha scritto:

L'hai detto finalmente. E chi kazzo deve controllarla? Mi sono dimenticato di includere il dirigente della Polstrada Toscana, Paolo Maria Pompno, che scopristi tu, che inviava lettere calcistiche di amore napolista al Mattino .oddio

 

Ma dimmi una cosa: Ma secondo te, questa nascita della massoneria campana e' stata "aiutata" durante il mandato dell'ex Presidente Napolitano? .penso

 

No, è di molto precedente questa garanzia. Conosco molte storie di amici o conoscenti superati a concorsi (spec. tra i carabinieri) da cittadini campani con discreti calci in c**o.

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Cosche, soldi e pallone
Tobias Jones, The Guardian, Regno Unito
La ’ndrangheta usa i tifosi per controllare il calcio? È il sospetto dei magistrati dopo la morte di un ultrà juventino. Il reportage di Tobias Jones

Spoiler

 

Il 7 luglio 2016 il corpo di Raffaello Bucci è stato ritrovato ai piedi del cosiddetto “viadotto dei suicidi”. Il giorno prima Bucci era stato interrogato dai magistrati nell’ambito di un’indagine sui legami tra il mondo del calcio e la criminalità organizzata. Il viadotto fa parte del tratto di autostrada che collega Torino e Cuneo, città che si trova un centinaio di chilometri a sud del capoluogo piemontese. Gli archi del viadotto, sotto cui passa il fiume Stura di Demonte, sono alti 45 metri e sostengono un’autostrada. È lo stesso tratto di autostrada in cui Edoardo Agnelli, unico figlio di Gianni (ex proprietario della Fiat e della Juventus), si suicidò nel 2000. Ma anche la vita di Bucci era legata alla famiglia Agnelli.

 

Nato a San Severo, una cittadina a 850 chilometri da Torino, Bucci è un grande tifoso della Juventus, cresciuto guardando i grandi della “vecchia signora” del calcio italiano: Platini, Baggio, Ravanelli, Vialli, Del Piero. La Juventus è “un’ossessione”, racconterà uno dei suoi più vecchi amici.

 

Il nome di Bucci è Raffaello, ma tutti lo chiamano Ciccio. È di origini modeste: il padre fa il bidello e la madre la casalinga. I Bucci sono una famiglia cattolica e tollerante, secondo gli amici. Per tutti Ciccio è una simpatica canaglia: allegro, divertente, un trascinatore. Frequenta un istituto tecnico commerciale, dove ha molti amici: viene eletto rappresentante degli studenti e al bar gioca al Totocalcio con i professori.

 

Una volta finita la scuola, a metà degli anni novanta, Bucci si trasferisce in Piemonte, a Torino, la città della sua amata Juventus. Torino è una città elegante, maestosa, con una rete ordinata di strade, strette tra due fiumi e le Alpi a nord. Ed è anche una città nota per i vini, i cioccolatini e aperitivi come il Campari, il Martini e il Cinzano.

 

Bucci non trova lavoro come ragioniere, ma ha voglia di fare e molta immaginazione, e riesce a entrare nel business redditizio della vendita dei biglietti per le partite. Si procura i tagliandi e li rivende agli amici e agli amici degli amici, diventando un intermediario fidato. Nelle foto di quegli anni non ha l’aria da duro tipica del bagarino ma un sorriso impertinente, e porta sempre gli occhiali da sole.

 

In Italia il pubblico che frequenta gli stadi è famoso per il suo attaccamento morboso ai colori della propria squadra. Bucci, però, è attratto dal mondo più estremo degli ultrà, i gruppi del tifo organizzato che oltre a sostenere la squadra puntano a promuovere il loro marchio e i loro interessi economici.

 

I primi gruppi ultrà sono nati alla fine degli anni sessanta, quando alcuni tifosi di Milan, Inter, Sampdoria, Torino e Verona cominciarono a riunirsi in bande chiassose e a volte violente. All’inizio i gruppi erano di estrema destra oppure si ispiravano al mito dei guerriglieri di sinistra o ai partigiani (da qui i nomi come Brigate, Fedayn e Commando). Quando nel Regno Unito il fenomeno degli hooligan prese piede, i nomi dei gruppi ultrà italiani si anglicizzarono (Fighters, Old Lions, Boys) o diventarono ancora più estremi (Teste matte, Fuori di testa). A metà degli anni settanta le principali squadre italiane avevano i loro gruppi ultrà e dieci anni dopo se ne contavano a decine.

 

I gruppi si scindono, si riformano, cambiano nome con l’unico obiettivo di conquistare il centro della curva. Questa zona dietro la porta è il luogo dove si riuniscono i tifosi più attaccati alla squadra. La territorialità della curva è paragonabile a quella della zona di uno spacciatore: gli ultrà marcano il territorio con risse, accoltellamenti, sparatorie, stringendo alleanze e facendo affari. In Italia ci sono 382 gruppi ultrà e alcuni sono dichiaratamente politicizzati (quaranta di estrema destra e venti di estrema sinistra). La Juventus attira tifosi da tutto il paese. Bucci entra nei Drughi, che si ispirano ai giovani protagonisti di Arancia meccanica. Il logo del gruppo, stampato su bandiere, striscioni, spille e cappelli, è composto da quattro silhouette con mazze e bombette. Un poster di Benito Mussolini domina la loro sede di Mirafiori, il quartiere alla periferia di Torino.

 

In un ambiente caratterizzato dalla presunta “infedeltà” dei giocatori e dei presidenti, gli ultrà si considerano l’unico elemento di continuità delle squadre. Offrono un senso di appartenenza in un mondo senza radici. E Bucci è attratto da tutto questo. Ma c’è da sempre un lato oscuro nel mondo del tifo organizzato: gli ultrà sono al centro della maggior parte degli episodi di violenza negli stadi e sono coinvolti in vari affari illeciti come bagarinaggio, contraffazione del merchandising e spaccio di droga.

 

Il derby interrotto
Ciccio Bucci non vede questo lato oscuro. Vive bene, guadagna e si è fatto molti amici nel mondo del calcio, stando sempre al confine della legalità. Per lui il bagarinaggio è un modo per realizzare un sogno: lavorare per la sua squadra. Come spesso succede in Italia, tra la Juventus e i suoi ultrà non c’è uno scontro aperto ma un rapporto fondato sul compromesso. In cambio del sostegno alla squadra e della garanzia che non ci saranno incidenti sugli spalti, la Juventus lascia che gli ultrà guadagnino milioni di euro con il bagarinaggio. Come dirà Michele Galasso, un avvocato che avrebbe difeso sia la Juventus sia i capi ultrà, “il compromesso tra la Juventus e gli ultrà è il compromesso tra le regole e la realtà dei fatti”.

 

Gli ultrà sono paragonabili ai vecchi hooligan inglesi e sotto molti aspetti hanno un’organizzazione paramilitare. Tendono agguati ai gruppi rivali per rubargli gli striscioni, come si fa con le bandiere nemiche. Annunciano il loro ingresso allo stadio con cori, bandiere, saluti, tamburi e fumogeni. Ogni gruppo ha il suo punto di ritrovo, di solito un bar o una sede privata piena di simboli, slogan e cimeli. Prima di una partita importante questi ritrovi sembrano gli unici di una banca dove uomini di mezza età con gli occhiali a mezzaluna sul naso e calcolatrici alla mano stanno tra pile di biglietti e banconote.

 

Quando, a metà degli anni novanta, Ciccio si trasferisce a Torino gli ultrà stanno diventando sempre più potenti. Mettono il loro veto all’acquisto di giocatori sgraditi (una piccola fazione antisemita degli ultrà dell’Udinese si oppone alle trattative per acquistare l’attaccante israeliano Ronnie Rosenthal) o alla vendita di altri (come nel caso del mancato trasferimento di Beppe Signori dalla Lazio al Parma) minacciando boicottaggi dello stadio che costerebbero milioni alle società di calcio.

 

Mentre l’influenza degli ultrà cresce, dal 1995 al 2000 il numero dei feriti dentro gli stadi di calcio e fuori passa da 400 a 1.200. I nomi dei “martiri” della violenza ultrà sono scritti con la vernice spray sui muri delle città italiane. Tra le vittime ci sono sia ex ultrà sia tifosi comuni: Claudio Spagnolo (accoltellato mentre va allo stadio), Vincenzo Paparelli (ucciso da un razzo segnalatore lanciato dalla curva opposta), Antonio De Falchi (un tifoso della Roma ucciso fuori dallo stadio), Antonio Currò (ucciso da una bomba rudimentale lanciata da un tifoso del Catania in mezzo a un gruppo di tifosi del Messina), Sergio Ercolano (precipitato da una tribuna dello stadio di Avellino nel 2003).

 

A volte l’etichetta di ultrà è solo la foglia di fico del neofascismo. Quando nel 1992 l’olandese Aron Winter – figlio di un musulmano e un’ebrea – viene acquistato dalla Lazio, fuori del campo d’allenamento della squadra compare la scritta “Winter raus”, chiaro riferimento allo slogan “Juden raus” della Germania nazista. Nel 1997 gli ultrà del Torino gettano nel Po Abdellah Doumi, nato in Marocco. Uno dei responsabili ha un cane di nome Adolf. Mentre l’uomo affoga gli gridano: “s****o n***o di M***A”.

 

Nel 2004 un gruppo di ultrà della Roma pretende la sospensione del derby con la Lazio perché all’interno dello stadio si è sparsa la voce che un bambino è morto schiacciato da un’auto della polizia. Le due tifoserie si uniscono nelle proteste contro le forze dell’ordine, nonostante le ripetute rassicurazioni all’altoparlante che la notizia è falsa. Le immagini di Francesco Totti, capitano della Roma, circondato dai capi ultrà che gli dicono di non giocare diventano il simbolo del potere del tifo organizzato nel calcio italiano. “Se giochiamo questi ci ammazzano”, dice Totti all’allenatore mentre torna dai compagni.

 

Alcuni esponenti della galassia ultrà non sono tifosi, ma piccoli criminali attirati dai soldi facili. In una recente intercettazione telefonica che sarà citata in un’indagine del 2016 sui legami tra gli ultrà e la criminalità organizzata, un uomo chiede a un amico ultrà se la domenica andrà allo stadio. “Se prendiamo dei soldi sì, che c**** me ne frega a me?”, gli risponde. Si racconta di ultrà che cambiano squadra come uomini d’affari qualsiasi.

 

Nessuno, però, può accusare Bucci di non essere fedele alla Juventus e ai Drughi. È talmente bravo a vendere i biglietti che si è guadagnato una stella d’oro sulla trave di legno nel club dei Drughi, con la scritta “R. Bucci”. Ogni volta che c’è una partita è allo stadio. Spesso è lui a guidare i cori con il megafono.

 

Nel 2004 Bucci conosce Gabriella, una ragazza di Cuneo. Si sposano, hanno un bambino e vanno a vivere a Beinette, un paese vicino a Cuneo, a un’ora di macchina da Torino. Il paesaggio circostante è uno strano miscuglio di campagna e industria. Tra le case pascolano le mucche e in lontananza si vedono le Alpi. Di fronte alla casa dei Bucci c’è un deposito per il riciclaggio del metallo e agli incroci delle strade, tra campi di mais, si vedono prostitute in minigonna. Bucci fa il pendolare tra Beinette e Torino, dove ha un piccolo appartamento sopra un bar vicino allo stadio della Juventus. È sempre al telefono. Ha il terrore di perderlo, racconterà la moglie. Lo chiamano a tutte le ore del giorno e della notte per chiedergli i biglietti.

 

Al centro della curva

Bucci è l’uomo dei biglietti, ma non è lui quello che conta. Il pesce grosso è Dino Mocciola, il capo dei Drughi, un pregiudicato con alle spalle vent’anni di carcere per l’omicidio di un poliziotto e per rapina. Avvicinarsi a lui è difficile: dopo la scarcerazione, nel febbraio del 2005, non può più andare allo stadio e quindi a differenza di altri capi ultrà non è stato mai fotografato sugli spalti. L’unica immagine che si ha di lui è la foto segnaletica scattata nel 1989, il giorno del suo arresto. Una fonte della squadra mobile di Torino descrive Mocciola come una persona inafferrabile: non usa il telefono e si dice che neanche i suoi avvocati sappiano come raggiungerlo. La sua fama, però, lo precede: poco dopo la scarcerazione, durante una trasferta della Roma a Torino, un gruppo rivale di ultrà giallorossi mostra uno striscione con scritto “Ciao Dino. Bentornato”.

 

Dopo l’arresto di Mocciola i Drughi erano stati emarginati, passavano dal centro ai lati della curva, con tutto ciò che questo significava in termini di prestigio e interessi economici. “Perché il predominio in curva vale oro” scrive Niccolò Zancan, su Repubblica il 2 aprile 2007. “Significa essere interlocutori della società. Dunque comporta: biglietti gratis, favori, trasferte”.

 

Con Mocciola di nuovo in libertà, i Drughi si riprendono il loro spazio. Nell’aprile del 2005 viene accoltellato un ultrà di un gruppo juventino rivale, i Fighters, probabilmente da un Drugo. Ne nasce una faida che dura più di un anno: nell’estate del 2006 vengono accoltellati due Drughi (tra cui Mocciola) e vengono arrestati 50 tifosi durante gli scontri tra le fazioni del tifo juventino. Ma ormai sotto la guida di Mocciola i rapporti di forza sono cambiati: i Drughi sono tornati a essere il gruppo dominante. I Fighters si scindono e si fondono con altri gruppi, e Mocciola ridiventa il re incontrastato della curva.

 

Non potendo entrare allo stadio, Mocciola ha bisogno di una persona fidata ai tornelli per controllare la curva e gestire i rapporti con il club. Bucci conosce tutti e avendo studiato da ragioniere è bravo con i numeri. È vicino allo staff della Juventus, tanto che a volte si ferma addirittura a dormire a casa di Stefano Merulla, il responsabile della vendita dei biglietti del club. È il candidato perfetto.

 

Bucci ormai è un uomo arrivato. È vicino alla squadra del cuore e ai tifosi. Guadagna e ha una famiglia. Ma la cosa non può durare. Dopo aver sopportato per anni gli intrallazzi del marito e le corse a Torino nel cuore della notte, la moglie di Bucci non ce la fa più. Ciccio non sta quasi mai a casa e i due litigano spesso sull’educazione del figlio, racconterà la sorella di Gabriella. A Gabriella non piace che Bucci porti il bambino nel centro di Torino e gli faccia passare la notte fuori. Nel 2011 marito e moglie si separeranno, restando in buoni rapporti. Bucci prenderà un piccolo appartamento a Margarita, un paese vicino a Torino con un castello e una chiesa di mattoni color ruggine. Nel frattempo la sua posizione di intermediario tra il mondo legale e quello criminale si fa più delicata. Nel 2007 un ispettore di polizia, Filippo Raciti, viene ucciso durante gli scontri tra le forze dell’ordine e i tifosi del Catania.

 

La morte di Raciti convince finalmente il mondo politico italiano a prendere provvedimenti contro la minaccia della violenza ultrà. Tutti i campionati si fermano per una settimana. Si prendono misure severe contro gli ultrà, tra cui il divieto di introdurre negli stadi fumogeni, megafoni e tamburi. Gli striscioni devono avere l’approvazione delle società di calcio. Su tutti i campi ci sono veicoli blindati e telecamere di sicurezza.

 

Bagarinaggio

La Juventus ha un motivo in più per contrastare la violenza. La società ha da poco acquistato lo stadio delle Alpi dal comune di Torino per costruire un nuovo impianto da 41mila posti. Sarà una delle tre squadre della serie A ad avere uno stadio di proprietà (gli altri stadi sono tutti delle amministrazioni comunali). I ricavi potenziali possono essere immensi e la sicurezza deve essere a regola d’arte. Ci sono in ballo talmente tanti soldi che l’ultima cosa che i dirigenti vogliono è che il club sia multato o penalizzato per il comportamento degli ultrà. La dirigenza juventina deve quindi scendere a compromessi con i tifosi più irriducibili. Questo compromesso diventerà oggetto di un’indagine della magistratura: interrogato, il responsabile della vendita dei biglietti della Juventus, Merulla, ammetterà che la società dava a credito centinaia di biglietti per le partite ai capi di tutti i gruppi ultrà attraverso un’agenzia di nome Akena. Una chiara violazione delle regole, perché non è ammesso vendere più di quattro biglietti alla stessa persona. In cambio, gli ultrà si impegnavano a comportarsi bene sugli spalti. La Juventus, tuttavia, nega qualsiasi irregolarità. “Nessuno dei dirigenti o dei dipendenti della Juventus è indagato, e chi è stato ascoltato dall’autorità giudiziaria è stato chiamato come testimone. Si precisa inoltre che la Juventus, come emerso dalle indagini, ha sempre pienamente collaborato con le autorità giudiziarie”, dichiarerà la società al Guardian.

 

Ma i biglietti per le partite sono solo l’antipasto. Il piatto forte sono gli abbonamenti. All’inizio di ogni stagione, un “soldato” di un gruppo ultrà va in giro per la città per farsi prestare carte di identità e passaporti da fotocopiare. Una volta fotocopiati, i documenti vengono usati per comprare centinaia di abbonamenti della Juventus. Dato che i titolari nominali non hanno alcun interesse ad andare allo stadio, partita per partita le varie sigle ultrà possono “affittare” gli abbonamenti al miglior offerente. L’unica condizione è che gli addetti alla sicurezza ai tornelli non si accorgano della diferenza tra il nome che figura nell’abbonamento e il nome della persona che sta entrando. E siccome davanti alla curva ci sono gli ultrà, non succede mai.

 

Merulla confesserà alla polizia di sapere che gli ultrà “facevano affari” con gli abbonamenti. “Il compromesso è questo: per garantire una partita sicura, cedevo sapendo che facevano business con i biglietti”, si legge nei verbali. “Ho fatto questo perché ho ritenuto che la mediazione con il tifo organizzato, nell’ambito del quale mi erano note aggressioni anche con armi, minacce ed altro, fosse comunque una soluzione buona per tutti. La gente avrebbe avuto uno stadio sicuro, i biglietti non erano regalati ma venduti”.

 

La Juventus può contare su uno stadio appassionato e allo stesso tempo sicuro, vincendo cinque scudetti consecutivi tra il 2011 e il 2016. Gli Agnelli, proprietari del quotidiano torinese La Stampa, continuano a essere riveriti come una famiglia reale. E i gruppi ultrà più importanti continuano indisturbati a macinare profitti.

 

Rivendendo circa trecento biglietti e trecento abbonamenti a un prezzo medio di 50 euro a partita, per più di trenta partite a stagione (a seconda del cammino del club nelle coppe europee), ogni gruppo ultrà arriva a guadagnare quasi un milione di euro all’anno. Sono soldi facili con un rischio minimo (per la legge italiana il bagarinaggio non è un reato ma un semplice “illecito amministrativo”, punibile con una sanzione pecuniaria). Ecco perché Bucci ha sempre soldi in tasca. Ed ecco perché i clan mafiosi cominciano a guardare con una certa invidia gli ultrà juventini.

 

Per contrastare il potere della mafia nel sud, nel dopoguerra le autorità italiane decisero di allontanare gli elementi più pericolosi dai territori di riferimento, separandoli dai loro contatti criminali, e di trapiantarli al nord, un’area considerata più rispettosa della legge. La misura, introdotta nel 1956, si chiamava soggiorno obbligato e non ha mai estirpato la mafia nel sud. L’unico effetto è stato quello di esportare la criminalità organizzata al nord.

 

L’arrivo dei Gobbi

La ’ndrangheta, la mafia calabrese, è stata la più abile a insinuarsi nell’Italia settentrionale. Partendo dalla vendita di olio di bergamotto contraffatto (l’olio originale si produce in Calabria ed è usato come aromatizzante del tè Earl Gray), la ’ndrangheta ha esportato i suoi affari al nord: usura, estorsioni, scommesse clandestine, cartelli di imprese edili e traffico di stupefacenti. Il Piemonte, un importante polo industriale al confine con la Francia e la Svizzera, per i calabresi è stato come una calamita.

 

Nel 2013 due calabresi, Saverio Dominello e suo figlio Rocco, entrano nel mirino delle procure antimafia. Sono sospettati di far parte del clan Rosarno, implicato in un giro di estorsioni in alcune città tra Torino e Milano. Secondo gli inquirenti i Dominello sono attivi anche nel giro d’affari dei locali notturni e degli stupefacenti. Il padre, Saverio, è un uomo scontroso, della vecchia scuola, mentre Rocco è spesso descritto come un tipo “garbato”.

 

Ascoltando le intercettazioni gli inquirenti capiscono che i Dominello vogliono entrare nel giro d’affari del bagarinaggio a Torino e formare un proprio gruppo ultrà, i Gobbi (come sono spregiativamente chiamati i tifosi della Juventus). “Tu vai tranquillo. Se quel piatto è rotondo”, dice in un’intercettazione Saverio Dominello, “io so che quel piatto poi si deve far a cinque spicchi”. Insomma, la vecchia spartizione dei profitti tra i diversi cartelli.

 

Vari soggetti interessati sono interpellati sulla costituzione del nuovo gruppo ultrà. Il capo dei Viking, un giocatore di poker noto per avere contatti in Sicilia, dà il suo assenso. Anche le roccaforti della ’ndrangheta al sud sono d’accordo. Il capo del nuovo gruppo ultrà, sorvegliato dalla polizia, si vanta al telefono di avere l’appoggio dei clan mafiosi: “Noi abbiamo le spalle coperte, abbiamo i cristiani che contano. Che c**** vuoi di più?”.

 

Il 20 aprile 2013 il capo dei Drughi, Dino Mocciola, incontra i Dominello e i loro compari. I Dominello arrivano ostentando sobrietà su una Fiat 500, mentre Mocciola si presenta al volante di una Bmw. Le due fazioni si fermano a parlare per quasi due ore in un bar di Montanaro, un paese vicino a Torino. Grazie a una cimice nascosta in una delle auto al seguito dei Dominello la polizia sente gli uomini del boss vantarsi del potere del nuovo gruppo ultrà dei Gobbi: “Hai avuto l’onore di sedere al tavolo con Dino… a te non ti tocca nessuno. Tu sei il numero uno, devi essere umile, però tu sappi che puoi dettare legge se gli altri si comportano male”. Il giorno dopo, il 21 aprile 2013, in una partita decisiva contro il Milan, il nuovo gruppo si presenta per la prima volta allo stadio srotolando un enorme striscione con la scritta “Gobbi”.

 

Intanto gli ultrà stanno riaffermando la loro autorità in tutta Italia. La popolarità dei gruppi ultrà all’interno delle varie tifoserie è in crescita e la mancanza di messaggi politici espliciti evita problemi con le autorità. Nel 2012 la sfida per evitare la serie B tra Genoa e Siena viene interrotta per 45 minuti dagli ultrà genoani, che sul 4 a 0 per gli avversari lanciano petardi in campo gridando ai loro giocatori di togliersi le maglie. Tutti i calciatori, tranne uno, ubbidiscono con la coda tra le gambe. Altre partite vengono annullate o fermate per le proteste dei tifosi. Nel 2013, in Lega Pro, la terza divisione italiana, una partita tra Salernitana e Nocerina viene sospesa perché cinque giocatori della Nocerina escono dal campo simulando infortuni in segno di protesta contro la decisione di vietare agli ultrà l’ingresso allo stadio. Come da regolamento, la partita viene annullata.

 

Rocco Dominello diventa subito una figura influente sia tra i dirigenti della Juventus sia tra i diversi gruppi ultrà. Viene presentato a Merulla e diventa amico di Alessandro D’Angelo, responsabile della sicurezza della Juventus, che nel giugno del 2013 è di fatto al suo servizio. Quando D’Angelo gli dice che la quota di biglietti riservati ai Viking è stata ridotta, Dominello risponde: “Come ti ho detto io”. Il calabrese comincia anche a vantarsi: “Ormai hanno paura Ale, hanno paura di me capisci?”.

 

La Juventus non fa niente per fermare l’ascesa di Dominello. A gennaio del 2014, un tifoso svizzero si lamenta con il club perché ha dovuto pagare 620 euro un biglietto che ne costava ufficialmente 140. Dai controlli interni della Juventus risulta che il biglietto è stato inizialmente dato a Dominello da D’Angelo. Merulla comincia ad avere sospetti su Dominello. “Non so che mestiere faccia, non so che influenza abbia”, dice a un altro ultrà durante una telefonata intercettata dalla polizia. Dominello, continua Merulla, è “misteriosamente potente” – insomma, un mafioso. Eppure, nonostante i sospetti, appena una settimana dopo il reclamo del tifoso svizzero, D’Angelo dice a Dominello che troverà il modo di passargli i biglietti usando “un codice diverso”.

 

Leggendo le trascrizioni delle intercettazioni, si capisce che D’Angelo sta andando ben oltre il suo ruolo. Gli piace fare pappa e ciccia con gli ultrà ed evidentemente i loro affari loschi non lo scandalizzano. Secondo una fonte della squadra mobile di Torino “si è notata una certa paura, un’eccessiva sottomissione della dirigenza della Juventus. Non basata su una vera paura, ma su un clamoroso errore di valutazione. Pensavano che affrontando così questo problema, potevano gestire queste persone”. Un magistrato scriverà poi che D’Angelo e la Juventus avevano un atteggiamento di “soggezione e sottomissione” nei confronti di Rocco Dominello. Il problema, come sempre in Italia, è un sistema nepotistico che favorisce gli amici invece dei professionisti. Il padre di D’Angelo è l’ex autista di Umberto Agnelli, e lui e Andrea Agnelli (l’attuale presidente della Juventus) sono amici d’infanzia.

 

Le volpi nel pollaio

Nel 2014 gli ultrà diventano ancora più ingestibili. In primavera, prima del derby Juventus-Torino, Mocciola ordina uno sciopero del tifo in un braccio di ferro con la dirigenza juventina: vuole che ai Drughi siano dati più biglietti e a prezzi più bassi. Per anni D’Angelo ha usato Bucci come tramite tra il club e gli ultrà. Stavolta, invece, chiama Rocco Dominello, il calabrese: “Io voglio che voi state tranquilli e che noi siamo tranquilli e che viaggiamo insieme, allora se il compromesso è questo, a me va bene. Se gli accordi saltano, allora ognuno faccia la propria strada”. È chiaro che l’influenza di Bucci sta diminuendo.

 

Il 3 maggio del 2014 la finale di Coppa Italia tra il Napoli e la Fiorentina è segnata dagli scontri prima della partita. Un fascista, ex ultrà della Roma, spara con una pistola a tre tifosi del Napoli, uno dei quali morirà poche ore dopo. Gli ultrà del Napoli sono talmente inferociti che fanno ritardare il calcio d’inizio di mezz’ora. Il capo ultrà napoletano Genny ’a Carogna indossa fiero una maglietta nera che invoca la scarcerazione dell’uomo condannato per l’omicidio dell’ispettore di polizia Raciti nel 2007.

 

Il 25 novembre 2014 gli inquirenti fanno un passo avanti importante nelle indagini sui collegamenti tra gli ultrà e la criminalità organizzata. Andrea Puntorno, 39 anni, un siciliano che vive a Torino, arrestato perché coinvolto in un traffico di eroina e cocaina dalla Sicilia e dall’Albania al Piemonte. Puntorno è il capo di un altro gruppo ultrà juventino, i Bravi Ragazzi. Tra il 2004 e il 2011 ha dichiarato un reddito di appena 2.600 euro all’anno, ma ha una casa, un’auto e una moto. I Bravi Ragazzi hanno una brutta reputazione: il 19 dicembre 2011 alcuni componenti del gruppo avevano sgomberato e incendiato il campo nomadi della Continassa, vicino al nuovo stadio della Juventus, costringendo venti famiglie ad abbandonare la zona e liberando così il terreno per le speculazioni edilizie.

 

L’arresto di Puntorno, scriverà un magistrato, è il primo segnale di “un pericoloso e inquietante legame di affari tra esponenti ultrà e soggetti appartenenti a cosche mafiose”.

 

Dopo l’arresto, la moglie di Puntorno viene minacciata dai soci in affari del marito e decide di testimoniare per l’accusa. La donna racconta che il marito arriva a guadagnare fino a 30mila euro con una sola partita, e che gran parte del denaro viene distribuita tra i parenti degli ultrà che si trovano in carcere. I profitti della vendita dei biglietti sono investiti nell’acquisto all’ingrosso di stupefacenti e viceversa. “Preciso che questi ‘affari’ vanno avanti da molti anni”, dice la moglie di Puntorno, “precisamente da quando Andrea è arrivato a Torino. Questi abbonamenti venivano forniti ad Andrea per conto del gruppo ultrà dalla Juventus ogni inizio stagione, mentre a ogni partita Andrea riusciva ad avere altri biglietti”. Il margine di profitto su ciascun biglietto va dai 30 ai 100 euro. I Bravi Ragazzi hanno inoltre il monopolio sulla vendita del merchandising contraffatto o dei gadget: spille, magliette, portachiavi, adesivi, sciarpe. Gli inquirenti non hanno più dubbi: intorno al redditizio giro d’affari del bagarinaggio gravitano diversi gruppi criminali, non uno solo.

 

Nel frattempo i Drughi hanno voltato le spalle a Ciccio Bucci. Contro di lui si è scatenata una subdola campagna diffamatoria: gira voce che venda i biglietti su internet e che sia un informatore della polizia. Quando i neonati Gobbi si fondono con i Drughi, Bucci si ritrova scavalcato da Rocco Dominello. Il suo ex garante Dino Mocciola lo molla e lo riempie di botte. Bucci, temendo per la sua vita, torna a San Severo e si ritira a vita privata per tutta la stagione calcistica 2014-2015. Già magrissimo, perde 8 chili e dice a Gabriella che c’è gente che lo vuole “far fuori”.

 

Da San Severo Ciccio prova a organizzare il suo ritorno. A novembre chiama Alessandro D’Angelo e allude, anche se in modo velato, ai legami mafiosi di Rocco Dominello: lo descrive come “quel tipo di persona”. “Ah, ok”, risponde D’Angelo. “Solo a quel punto D’Angelo sembra comprendere bene cosa intenda il suo interlocutore”, scriverà successivamente il pubblico ministero.

 

Intanto alla Juventus si sono accorti di aver fatto entrare le volpi nel pollaio e che ce ne sono altre che premono all’esterno. Esponenti del racket spingono perché il club dia l’appalto per i lavori del nuovo stadio a una ditta specifica se vuole evitare atti vandalici e fermare le intimidazioni nei confronti degli operai. La Juventus considera Bucci uno dei pochi ultrà con cui può continuare a fare affari: è un’istituzione del club da tanti anni ed è benvoluto da tutti. Secondo il direttore commerciale del club, Francesco Calvo, Bucci è una persona che “ispirava empatia”. L’anziano avvocato della società Andrea Galasso lo descrive come “solare, una persona proprio limpida, serena, semplice”.

 

L’idea è quella di dare a Bucci un ruolo ufficiale nella Juventus. Lavorerà come consulente affiancando il responsabile dei rapporti con la tifoseria. Formalmente il suo datore di lavoro sarà la Telecontrol, un’azienda torinese di servizi di sicurezza. Da San Severo, Bucci telefona a D’Angelo per spiegare come interagirà con gli ultrà: “Non era mia intenzione, a fare affondare ’sta barca(…) perché io non voglio male di nessuno, neanche del migliore nemico (…) perché se no vuol dire che sei un pezzo di M***A (…). Allora facciamo una cosa (…) non si può passare nemmeno da un estremo all’altro (…) io ti faccio il lavoro e ti faccio ancora stare in poltrona (…) e la gallina dalle uove d’oro continua a fare la gallina. Però ora deve entrare un poco di acqua (…) al momento in cui entra l’acqua (…) ti bagni i piedi e dici: ‘c****… allora è proprio una faccia di M***A’”. Non è chiaro se con questo intende che la Juventus darà meno biglietti ai gruppi ultrà. Sicuramente, però, Bucci sa che quando “la gente si bagnerà i piedi” gli volterà le spalle. “Mi daranno del pezzo di M***A”, dice.

 

Amico di tutti

All’inizio della stagione 2015-2016 Bucci è di nuovo a Torino. Sembra che il suo sogno si sia avverato: lavora per il club che adora da quando era bambino. L’ultima volta che il legale della Juventus vede Bucci, in occasione del derby Torino-Juventus del marzo 2016, riceve un caloroso abbraccio: “Sono diventato una figura ufficiale”, dice Bucci, sorridendo felice.

 

Il problema è che Bucci, come dice lui stesso, ha “il piede in due fiumi”. Fa il “doppio gioco”, tentando di rispondere alle richieste della Juventus, dei tifosi comuni, dei diversi gruppi ultrà e perfino della polizia (“Mi chiamano tutti i giorni” per avere conferma delle soffiate, si lamenta). Come quando andava a scuola, cerca di essere amico di tutti. Ma gli ultrà non accettano di ricevere meno biglietti, e Bucci viene emarginato e bollato come un traditore dei Drughi. Il suo sogno di lavorare per la Juventus è diventato realtà, ma dopo un anno il suo incarico già non gli sembra più così allettante. Nella primavera del 2016 sua madre muore. Bucci si ritrova emarginato e solo, nonostante le telefonate continue.

 

Il 1 luglio Rocco e Saverio Dominello vengono arrestati insieme ad altre tredici persone. Entrambi accusati di associazione mafiosa e tentato omicidio. Andrea Puntorno viene processato mentre si trova in carcere per spaccio di stupefacenti; successivamente gli viene concessa la libertà vigilata con una multa di 500mila euro. Bucci, invece, viene interrogato come “persona informata dei fatti”. Dalla trascrizione di quell’interrogatorio, il giorno prima della sua morte, non traspaiono segni di disperazione o paura. Secondo uno degli inquirenti, Bucci sembra “una persona equilibrata e solare”. Non fa rivelazioni clamorose, limitandosi a confermare quello che gli inquirenti sapevano già: “Non nego di avere venduto biglietti. Non è che la Juve li dava, noi chiamavamo e chiedevamo fino a trecento biglietti e li compravamo, anche se in alcune occasioni a credito”.

 

La sera stessa, però, Bucci telefona alla ex moglie e si scusa con lei e con suo figlio se “gli ha mancato di rispetto”. La donna non capisce, e lui le spiega che è “in paranoia totale”. È sicuro “al cento per cento” che lo arresteranno e che la Juventus lo licenzierà. La sua ambizione di una vita è finita ancora prima di cominciare e ha paura che dovrà vendere la casa. La richiama di nuovo la mattina dopo, alle 11.30, dicendole che sta andando a lavorare. Mezz’ora dopo si butta dal viadotto. Due operai assistono alla caduta e assicurano agli inquirenti che Ciccio non è stato “suicidato”.

 

In questa vicenda la più grande squadra italiana non ci fa una bella figura. La Juventus è stata complice di bagarinaggio su larga scala e ha fatto affari con elementi della criminalità, sia pure inconsapevolmente. Ciccio Bucci, juventino fin da bambino, è stato usato come capro espiatorio. Si è trovato stretto non solo tra la Juventus e i suoi ultrà, ma anche tra la magistratura e la mafia calabrese. E alla fine non ha trovato altra via d’uscita che il suicidio.

 

 

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L'articolo di Tobias Jones, teleguidato da mano e veline amiche, dice abbastanza se non tutto.

Si intuisce che la Juventus ad un certo punto ha cominciato a collaborare pesantemente con le forze dell'ordine, quando si è accorta che i galli erano già entrati nel pollaio, e che dal 2013 i Dominello del torinese erano attenzionati e dunque le forze dell'ordine hanno giocato con gli ultrà e la società per far emergere infine il marcio.

 

La chiusura del reportage - scritto da un giornalista britannico perché in Italia non ne sono mai stati capaci probabilmente e mai lo saranno a causa della malattia tifosa - è un'epitome.

 

In questa vicenda la più grande squadra italiana non ci fa una bella figura. La Juventus è stata complice di bagarinaggio su larga scala e ha fatto affari con elementi della criminalità, sia pure inconsapevolmente. Ciccio Bucci, juventino fin da bambino, è stato usato come capro espiatorio. Si è trovato stretto non solo tra la Juventus e i suoi ultrà, ma anche tra la magistratura e la mafia calabrese. E alla fine non ha trovato altra via d’uscita che il suicidio.

 

P.s.

In un paese civile basterebbe la bruttissima figura della Juventus e dei suoi dirigenti (anche per farne dimettere qualcuno - a dire il vero fino in fondo), invece in una repubblica delle banane bisogna esagerare e costruire uno sfogatoio per imbecilli.

 

 

Modificato da Ghost Dog

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3 ore fa, Tiger Jack ha scritto:

Aggiungici anche Di Lello, segretario dell'antimafia, e il sen. Taglialatela

e de magistris non ce lo vogliamo mettere?

 

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era già nell'elenco

Modificato da immortalex

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1 hour ago, immortalex said:

e de magistris non ce lo vogliamo mettere?

 

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era già nell'elenco

sefz

L'avevo messo in testa insieme ad Auricchio .asd

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3 hours ago, Ghost Dog said:

 

No, è di molto precedente questa garanzia. Conosco molte storie di amici o conoscenti superati a concorsi (spec. tra i carabinieri) da cittadini campani con discreti calci in c**o.

Capisco. Tu dici che non sono semplici raccomandazioni politiche allora? Ma un sistema per assicrurarsi il controllo del territorio?

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14 ore fa, Tiger Jack ha scritto:

Si, ma tanto il danno lo ha fatto

 

e direi..oltre che alla juve anche al Paese....   :(

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8 ore fa, ClaudioGentile ha scritto:

Capisco. Tu dici che non sono semplici raccomandazioni politiche allora? Ma un sistema per assicrurarsi il controllo del territorio?

Mah! più che altro la pagnotta... che altro potrebbero fare nella vita senza raccomandazioni?

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2017-04-11_FOGLIO_PILLOLA QUOTIDIANA.png

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7 minuti fa, Ghost Dog ha scritto:

2017-04-11_FOGLIO_PILLOLA QUOTIDIANA.png

Le analogie sono troppo evidenti per poterle ignorare e fossi in Pecoraro (Dio me ne scampi!) non dormirei sonni tranquilli.

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6 minuti fa, Sgranfi ha scritto:

Le analogie sono troppo evidenti per poterle ignorare e fossi in Pecoraro (Dio me ne scampi!) non dormirei sonni tranquilli.

Ma figurati!

Finirà con Scafarto promosso e spostato a qualche altro incarico e Pecoraro ben fermo e saldo al suo posto

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3 hours ago, Sgranfi said:

Le analogie sono troppo evidenti per poterle ignorare e fossi in Pecoraro (Dio me ne scampi!) non dormirei sonni tranquilli.

Speriamo succeda qualcosa di positivo per noi e negativo per questo servitore dello stato "deviato."

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3 minutes ago, PaoloL said:

Vergonnia Juve ! Prendi esempio dal napoli dove la camorra controlla le curve ma i boss prendono i biglietti da ticketone! 

 

Lo segnala Repubblica :

Ascoltata dalla commissione Antimafia, il sostituto procuratore della Dda, Enrica Parascandolo, svela i favori fatti dal pentito Antonio Lo Russo all'attaccante, con cui aveva costruito un profondo legame di amicizia. "In curva esiste una forma di controllo come in tutte le attività da parte della camorra, ma questo non vuol dire che ci siano infiltrazioni nella biglietteria, nei rapporti con la società"

No, no, non vale. Gli antijuventini Bindi e Di Lello devono chiamare il presidente De Laurentiis pure a testimoniare che lui non fa accordi con gli ultras, tipo vendita di biglietti e pagamento delle spese di trasporto e biglietti agli ultras in trasferta. Addirittura io mi dovrei fidare della parola di un camorrista, e non di quella di Andrea Agnelli per esempio? E poi cosa significa rapporto di amicizia tra pm e pentito della camorra? Che siamo arrivati di nuovo a Palazzi che instaura rapporti di amicizia con Carobbio, tanto da chiamarlo Pippo?

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Quindi quando si parla delle curve del napoli, Rosy Bindi fa questa indagine perche' le vuole difendere, quando si parla delle curve della Juve, Rosy Bindi invece lo fa per cercare di dire che il presidente Andrea Agnelli e' connivente della 'ndrangheta.

 

Leggete poi come Di Lello si "asscicura" con la complicita' del pm di Napoli, Enrica Parascandolo, che non ci siano incontri tra ultras e la societa' calcio napoli. Tutto preparato a tavolino .oddio

 

 

Modificato da ClaudioGentile

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TORINO - «Esiste una forma di controllo, come per tutte le attività, da parte della camorra, non mi sento di escluderlo. Ma questo non vuol dire che le curve siano appannaggio dei clan o che i clan condizionino la gestione o la vendita dei biglietti». Lo ha detto il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Enrica Parascandolo, ascoltata dalla Commissione Antimafia nell'ambito dei lavori del Comitato Sport e Mafia, in risposta alla domanda del presidente del Comitato, il deputato Pd Marco Di Lello, se «c'è interesse o condizionamento da parte di famiglie criminali sulle curve». «Risultano frequentazioni del vertice della società con i clan per acquietare la curva?», le è stato quindi chiesto. «Assolutamente no. E sì, ci sono state indagini», ha risposto la pm.

ROSY BINDI: APPROFONDIRE LEGAME CALCIO-CAMORRA

IL CASO - Rispondendo alle domande dei parlamentari sulla spartizione delle curve, la pm della Dda di Napoli Parascandolo ha quindi precisato che clan con «rapporti di buon vicinato se non di alleanza vanno allo stadio nella stessa curva. Clan rivali vanno in curve diverse. Che non significa avere controllo, in senso stretto, della curva. Andare in curva allo stadio non è pericoloso». Durante l'audizione la pm ha detto che «è un dato notorio la divisione della tifoseria in base al territorio e, ahimè, ai gruppi camorristicii, nonostante questo ha ricordato come anni fa «l'intervento di Antonio Lo Russo ha permesso di esporre lo striscione a tutela di Lavezzi», per trattenerlo a Napoli, «in entrambe le curve in cambio della garanzia da parte del calciatore che non sarebbe andato a giocare in squadre italiane come la Juve, ma nel caso solo all'estero». Oggi Lavezzi gioca in Cina. Interrogato come collaboratore di giustizia Lo Russo ha affermato, ha detto Parascandolo, di aver avuto un rapporto di amicizia con Lavezzi, presentatogli da un amico ristoratore, «non certo come capo clan ma come capo ultrà». Ha anche parlato dell'esistenza tra i due di «utenze telefoniche dedicate», i cosiddetti "citofoni" e «non ha mai parlato di fatti illeciti da parte di Lavezzi».

IL GIARDINIERE - «La presenza di Antonio Lo Russo», figlio di Salvatore Lo Russo, a bordo campo allo stadio San Paolo "«ra tutt'altro che occasionale» e vi accedeva con un «pass da giardiniere». Lo ha spiegato sempre Enrica Parascandolo alla Commissione Antimafia nell'ambito dei lavori del Comitato Sport e Mafia sulla presenza del boss di camorra Antonio Lo Russo, dallo scorso novembre collaboratore di giustizia, il 10 aprile 2010 per la partita Napoli-Parma. La pm ha precisato che la sua presenza è documentata in diverse partite tra febbraio e aprile: «Non era ancora latitante, la latitanza comincerà il 5 maggio». «Abbiamo riscontrato la massima collaborazione della Società Calcio Napoli, che ha messo a disposizione nostra, della Procura Federale e della Dia tutta la documentazione sulle persone che avevano accesso a bordo campo nel campionato 2009-2010. Antonio Lo Russo era presente a bordo campo con un pass con la qualifica di giardiniere, e non era l'unico. Altri figuravano come fotografi. Siamo risaliti alla ditta che aveva l'appalto per il campo, il vivaio Marrone, e sono state svolte attività investigative. Il titolare ha dichiarato di aver fatto un favore a un suo cliente, avendogli dato la possibilità di stare a bordo campo».

«Mi risulta che la Procura Federale abbia archiviato la vicenda e in particolare escluda la responsabilità della società in merito», ha precisato, «nessun rapporto diretto intercorreva tra i giardinieri e la società». Ai magistrati napoletani Lo Russo «non ha sottaciuto la sua amicizia con diversi calciatori, tra i quali Pocho Lavezzi. Nulla coinvolge la Società Calcio Napoli». Tuttosport

:261: ... .oddio.oddio.oddio

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Joined: 26-Apr-2009
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21 ore fa, Ghost Dog ha scritto:

 

Ma noi non siamo complottisti. 

Praticamente c'è una massoneria campana che fa un po' c**** gli pare.

 

21 ore fa, ClaudioGentile ha scritto:

L'hai detto finalmente. E chi kazzo deve controllarla? Mi sono dimenticato di includere il dirigente della Polstrada Toscana, Paolo Maria Pompno, che scopristi tu, che inviava lettere calcistiche di amore napolista al Mattino .oddio

 

Ma dimmi una cosa: Ma secondo te, questa nascita della massoneria campana e' stata "aiutata" durante il mandato dell'ex Presidente Napolitano? .penso

eccovi serviti:

http://www.goal.com/it/news/2/serie-a/2017/04/11/34516052/rivelazione-su-lavezzi-chiese-uno-striscione-al-boss-in

Il sostituto procuratore della DDA di Napoli svela il rapporto tra Lavezzi e il boss Lo Russo: "Chiese uno striscione e in cambio non andò alla Juve".

 

Modificato da xqaz69

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Joined: 07-May-2009
2697 messaggi

Ora per Renzo senior si parla di intercettazioni taroccate, nessuno ricorda quelle occultate, quelle tagliate e cucite ad arte in farsopoli, eppure anche  li si trattò di Napoli.

Licenziate Pecoraro!!!!!

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Joined: 03-Jun-2008
12405 messaggi

che pezzi di m....

e poi la gente se la prende con i napoletani...

ma con che c....di faccia dicono certe cose...:|

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Joined: 21-Apr-2011
10355 messaggi

Al Napoli sono degli eroi. Hanno la camorra in campo ma la società non c'entra nulla.

 

Invece Agnelli, che ha venduto dei biglietti a persone autorizzate dalla digos e per il quale si inventano intercettazioni inesistenti, é un mafioso.

 

 

Bravi, bene, bis.

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