Vai al contenuto
Accedi per seguire   
bidescu

Luigi Bertolini - Calciatore E Allenatore

Recommended Posts

Joined: 31-May-2005
141 messaggi

juventus.pngLUIGI BERTOLINI



bertolini.jpg


http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Bertolini



Raccontava: «Sono nato a Busalla, nel 1904, per caso. La mamma, prossima allevento, abitava ad Alessandria, dovera nata. Mio padre, Aristide, era di Caprino Veronese; un tipo strambo, per come posso rammentarlo. Simbarcò per lAmerica che ero ancora bambino. Faceva il pittore e saggiustava a suonare la chitarra. Un fratello di mamma aveva un negozio di frutta e verdura. Come ebbi letà e la forza di lavorare mi volle con sé. Vita dura, mica scherzi. Mi alzavo di mattino presto, verso le quattro, per andare al mercato generale, con il carretto. Ne tornavo tre ore dopo e facevo il garzone di bottega. Dopo la sfaticata giornaliera, a sera, andava a scuola. Diploma di arti e mestieri, licenza commerciale, medaglia doro per il disegno meccanico. Nei pochi momenti di svago, via in piazzetta a giocare alla palla. Di stracci, mica col pallone vero. Ci davo dentro un paio dore, poi la fame ed il sonno minducevano a smetterla. Mi ero fatto, con gli anni, lungo e secco. Abile comunque per il servizio di leva nel 22° Fanteria. Si era nel 1924 ed il football cominciava davvero a fare strada. Si disputò persino un torneo militare ed ebbi, con la squadra reggimentale, il mio primo titolo italiano: campione militare di calcio. Da notare che giocavo centravanti, segnando fior di goals con la testa, già ricoperta dalla benda bianca che poi mi fu quasi demblema per il resto della carriera. Finito il servizio di leva raggiunsi a Savona un amico dei tempi passati. Faceva il manovale in ferrovia lavorando di notte. Dividemmo in due il lavoro ed in due la sua paga settimanale. Faticavamo a turni di due ore, dormendo con lo stesso ritmo. Un giorno lamico mi avvertì di aver parlato di me ai dirigenti del Savona, che a quel tempo militava in serie B. Gli chiesi se era impazzito. Mi rispose di non preoccuparmi. Sapeva il fatto suo, mi aveva visto tante volte giocare ad Alessandria sulle piazze o nella Borsalino che era convinto di non sbagliare. Piuttosto incerto mi recai alla prova. Unora dopo firmavo un contratto per giocare nel Savona. Stipendio di calciatore: 25 lire al mese, oltre ad un lavoro allIlva, acciaierie dItalia. Finii il torneo come capocannoniere».

Proprio i suoi goals lo resero famoso ed i dirigenti dellAlessandria, che se lo erano lasciato scappare nel 1925, lo riebbero per la cifra di mille lire, con lintenzione di farne il centravanti di riserva. Gli avevano anche promesso un lavoro, ma questa promessa non venne mai mantenuta; così, per tirare avanti, il nostro Luigi si adattò a molti umili espedienti di modestissimo guadagno, come vendere giornali od aggiustare biciclette. Una vita di sacrifici. Numerose volte, forse per dare una dimostrazione non necessaria della sua forza danimo, Bertolini raccontò incredibili avventure legate al tempo della sua giovinezza.

«Allenatore dellAlessandria era Carcano. Vedendomi allopera nelle riserve si chiedeva perché mai giocassi bene il primo tempo e nel secondo non facessi altro che cadere a terra. Venne finalmente a domandarmelo e gli risposi che con 25 lire alla settimana non riuscivo a mangiare altro che caffelatte e brioches. Il giorno dopo venivo messo a pensione allalbergo Croce Verde dove iniziai un duello (che mi vide sempre vittorioso) contro le più grosse bistecche che mi fosse dato di vedere. Con il nutrimento giusto ripresi vigore ed in pochi mesi passai alla prima squadra».

Non avendo il posto di titolare in prima squadra, Bertolini doveva provvedere alla propria attrezzatura di gioco; lo faceva abitualmente, acquistando scarponi militari alla Cittadella e sostituendo i bulloni ai chiodi, in modo da essere a posto con il regolamento calcistico. Ma quando, imponendosi con le armi della tecnica e del coraggio, conquistò il posto in prima squadra, le scarpe cominciò a riceverle dal magazziniere. Lesordio avvenne presto: «Era di scena ad Alessandria il fortissimo Torino, quando si ammalò il mediano Papa. Carcano mi cercò (era di sabato) e mi avvertì che il giorno seguente avrei esordito in serie A. Giocherai mediano mi disse svelto e se ne andò. Gli corsi appresso: Come mediano ??? Ma se sono il centravanti delle riserve. Il mediano non lo so fare. E poi, proprio contro il Torino. Non ti preoccupare fu la risposta gioca come sai e andrà tutto bene. Vincemmo per 3 a 1 su di un campo più fango che prato. Feci una gara spettacolosa. Vezzani e Baloncieri toccarono pochi palloni ed impararono a conoscermi. Divenni, in unora e mezzo, lidolo di Alessandria. Mi pareva di sognare. Un anno prima dormivo destate sotto il ponte del Tanaro, in una specie di capanna con un letto di paglia e di fieno».

In campo, Bertolini, dava limpressione di spendere allinizio tutte le energie che aveva in corpo. Spesso, a metà partita, sembrava già in riserva sfiancato e sfiatato; ma non era che una impressione. Il giocatore alessandrino era come un motore con il compressore che gira più del suo regime normale e Bertolini recuperava sempre: allultimo minuto era ancora quello del primo tempo, sempre con laspetto di un atleta sfinito che, miracolosamente, era arrivato alla fine della partita. Dove giocava lui, la zona risultava effettivamente coperta, lì non cerano falle o buchi, né vuoti improvvisi. Sembrava che catturasse palloni facendoseli calamitare sulla fascia bianca che gli legava la fronte.

Quando si trasferì alla Juventus, lAlessandria mise nelle casse sociali la bellezza di 150 mila lire. A Bertolini non andò neppure una lira. Ma il barone Mazzonis, con esemplare magnanimità, gli pagò in anticipo lo stipendio di agosto, mese che di norma restava fuori dal contratto, dal momento che la paga correva da settembre a luglio, quando, cioè, si giocava. E Bertolini, nelleuforia del recentissimo ingaggio, si precipitò ad Alassio, a quei tempi rinomatissimo luogo di villeggiatura, spiaggia mondana e tentatrice, dove pullulavano le belle donne. Il neo bianconero ad Alassio dovette folleggiare non poco, perché era giovane, bello e felice. Ma il vice presidente Mazzonis, inevitabilmente, lo venne a sapere e nel giro di pochi giorni lo richiamò in sede con un telegramma, per rispedirlo di volata a finire le ferie a Forte dei Marmi, dove già cerano Carlo Carcano e Giovanni Ferrari: al riparo, dunque, da ogni follia. Ed il buon Bertolini sorrideva, nostalgicamente, ogni qual volta rievocava queste cose.


Da unintervista del 1966:

«Lanno 1928 mi portò davvero fortuna. Fu per me una stagione meravigliosa che coronai con lesordio in maglia azzurra contro il Portogallo. Vincemmo per 6 a 1, grazie anche allapporto superbo della prima linea che contava sul fantastico Orsi, oltre che sul centravanti Sallustro. In due anni ero passato dai prati di piazza dArmi agli stadi che ospitavano le vedette del calcio mondiale. Nel 1929 affrontai vittorioso la Juventus. Una gara memorabile. LAlessandria schierò: Curti; Viviano, Casta; Lauro, Gandini, Bertolini; Cattaneo, Avalle, Canchero, Ferrari, Chierico. Vincemmo 1 a 0 con un goal di Chierico. Al termine del campionato lAlessandria iniziò la smobilitazione. Se ne andò lallenatore Carcano (alla Juventus) portandosi appresso Ferrari. E fu proprio Gioanin a caldeggiare con Carcano il mio acquisto lanno successiva. La cifra di cessione fu di 150.000 lire. Il mio stipendio passò di colpo da 100 lire a 5.000 lire mensili. Quando lessi il contratto mi parve di diventare matto. Di, cifre del genere ne avevo, fino a quel momento, solo sentito parlare. E poi cerano i premi di partita: 500 lire per ogni confronto vinto, 250 per i pareggi. Nelle file bianconere assaporai davvero lebbrezza della fama. Fu una specie di girotondo quasi fiabesco. Alberghi di lusso, viaggi in vagone letto, schiere di tifosi in ogni parte dItalia. Erano anni dorati. Vinsi in bianconero quattro scudetti consecutivi, dal 1931 al 1935. Ricordo con particolare emozione un campionato conquistato alla spasimo, dopo un estenuante inseguimento allAmbrosiana che pareva irraggiungibile. A sette domeniche dalla conclusione eravamo cinque punti dietro i nerazzurri. Allultima giornata il vantaggio dei milanesi era ridotto ad un solo punto. Entrambe le squadre giocavano in trasferta: la Juventus a Firenze, lInter a Roma contro la Lazio. I nerazzurri vennero sconfitti, noi vincemmo per 1 a 0 con un goal di Giovanni Ferrari. Due incidenti piuttosto seri mi capitarono nel periodo juventino. La frattura di una tibia contro la Triestina. per un violento colpo subito ad opera dellala giuliana Mian; la frattura di due costole in un match internazionale contro lUngheria, da noi vinto. Lala magiara Markos, un tracagnotto veloce e grintoso, per difendersi da una mia carica mi piazzò il gomito dritto nel petto. Sentii un dolore acutissimo, credetti di svenire. Mi ripresi subita ma finii la gara piegato in due per il dolore.

Tra i miei ricordi più belli, la gara ormai famosa di Londra, quando lInghilterra ci sconfisse per 3 a 2 dopo averci inflitto tre reti (a zero) nel primo tempo. Lo stadio di Higbury ribolliva come un vulcano. Poco prima dellinizio Pozzo mi ordinò di togliermi la benda bianca che mi cingeva la fronte, alla quale era abituato armai da anni. Gli inglesi, mi spiegò Pozzo, non accettavano quella piccola mania, definendola esibizionistica. Me la tolsi a malincuore. Senza quella benda candida sulla fronte mi pareva desser nudo di fronte a 100.000 spettatori. Nel clima rovente della battaglia di Higbury scordai benda ed ogni altra cosa. Monti si fece male, frattura ad un piede, dopo pochi minuti. Gli inglesi, che volevano ad ogni costo travolgere gli azzurri appena reduci dallalloro mondiale di Roma, attaccarono con una violenza impressionante: Ridotti in dieci replicammo colpo su colpo e nella ripresa, con il pubblico che man mano sazzittiva, cominciammo la rimonta. Due volte Meazza fece centro ed a 30 secondi dalla fine Guaita, solo davanti ai portiere britannico, colpì il palo con un tiro irresistibile.

Persi una sola partita, in maglia azzurra, e la triste storia mi toccò proprio a Torino, davanti al mio pubblico. Si giocava contro lAustria dei Sindelar e dei Jenisalem. Andai completamente in barca, insieme a Combi e Caligaris. Perdemmo per 3 a 4 ed il mio diretto rivale, lala destra Svoboda, fece centro due volte. Promisi solennemente ai miei compagni di squadra che se avessi incontrato altre volte Svoboda e quegli fosse riuscito ancora a segnare, io avrei abbandonato il football. Il duello si ripeté altre due volte, a Milano ed a Roma nei mondiali. Svoboda non riuscì più a segnare. Io, continuai a giocare.

Nel 1938 (avevo 34 anni) un dirigente juventino che aveva grossi interessi in riviera mi fece una proposta allettante: alle stesse condizioni della Juventus, dove ormai mi veniva rinnovato il contratto di anno in anno, mi avrebbe assunto come giocatore/allenatore del Rapallo per tre anni. Restai in Liguria anche dopo lo scoppio della guerra e ripresi lattività sportiva come allenatore dellAcireale nel 1946. Lanno seguente passai alla Reggina quindi, ritornai a Torino. anzi a Torre Pellice, dove avevo acquistato, a rate, un albergo. Con la Juventus ripresi i rapporti accettando di dirigere la preparazione delle squadre minori e vidi crescere sotto i miei occhi atleti notevoli come Umberto Colombo, Flavio Emoli, Tortonese, Bruno Garzena. Nel 1952 divenni, insieme a Combi, responsabile della prima squadra dopo lallontanamento di Carver. Nel 1953 Pietro Beretta mi volle a Brescia, ma fu un esperimento non troppo fortunato che mindusse a piantarla definitivamente con lo sport attivo.

Inizia così, ancora una volta, una carriera. Assunsi una rappresentanza di sofà-letto. poi unaltra di mobili svedesi e danesi. Il giro seguì la corrente giusta ed ora la mia azienda commerciale di corso Giulio Cesare è solida ed efficiente. La mia vita scorre quieta, serena. Ho una figlia di quattordici anni che pratica tutti gli sport. Per me cè ogni tanto un tuffo nel passato quando corro ai raduni degli ex azzurri. Mi resta in fondo ai cuore un desiderio grande e struggente. Vorrei riabbracciare Luisito Monti, luomo tutto dun pezzo che tanta parte ebbe nelle glorie juventine e della nazionale. Di lui serbo un ricordo incancellabile. Forse in quegli anni ruggenti ero lunico che fosse riuscito a conquistarne lamicizia. Monti era un tipo speciale: da una parte lattività professionale come calciatore (ed alla società, come alla Nazionale m dava il meglio di sé), dallaltra la vita privata, dove non tollerava intrusioni. Io gli fui amico. nel senso più profondo della parola. Ora lo so lontano, sempre arcigno come un tempo, sempre uomo-roccia, come se gli anni non fossero passati anche per lui. A Luisito Monti dedico queste mie brevi note di vita vissuta, i miei ricordi di calciatore. A Luisito Monti, tenace come la mia Juventus».



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/09/luigi-bertolini.html Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130734 messaggi
Inviato (modificato)

Luigi Bertolini | World Champion in 1934 For the Azzurri | Biographical  Summary - YouTube

 

image.jpeg.d3774c9479d2fe9dc9410ed053494e57.jpeg

 

 

 

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 31-May-2005
141 messaggi

luigibertolini.jpgnezvwj.jpg


Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130734 messaggi

1492866031_juventus1931.jpg.192c9314a204b1c1df6333ad279ac54e.jpg LUIGI BERTOLINI   

 

Luigi Bertolini

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Bertolini

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Busalla (Genova)
Data di nascita: 13.11.1904

Luogo di morte: Torino

Data di morte: 11.02.1977
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 178 cm
Peso: 72 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1931 al 1937

Esordio: 12.07.1931 - Coppa Europa Centrale - Juventus-Sparta Praga 2-1

Ultima partita: 14.03.1937 - Serie A - Roma-Juventus 3-1

 

161 presenze - 5 reti

 

4 scudetti

 

Campione del mondo 1934 con la nazionale italiana

 

Allenatore della Juventus dal 1951 al 1952

 

 

Luigi Bertolini (Busalla, 13 novembre 1904  Torino, 11 febbraio 1977) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo centrocampista.

Carlo Felice Chiesa lo ha definito «uno degli uomini chiave della leggenda del quinquennio juventino e del periodo d'oro della nazionale di Pozzo», con cui ha vinto il campionato del mondo 1934.

 

Luigi Bertolini
Luigi Bertolini, Italia.jpg
Bertolini con la maglia dell'Italia
     
Nazionalità   Italia
Altezza 178 cm
Peso 72 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1940 - giocatore
1955 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1924-1925   Borsalino Alessandria ? (?)
1925-1926   Savona 19 (9)
1926-1931   Alessandria 119 (6)
1931-1937   Juventus 161 (5)
1937-1940   Tigullia 36+ (8+)
Nazionale
1929-1935   Italia 26 (0)
1930   Italia B 3 (0)
Carriera da allenatore
1937-1940   Tigullia  
1946-1947   Acireale  
1947-1948   Reggina  
1951   Juventus  
1952   Brescia  
1952-1953   Cuneo  
1953-1955   Cenisia  
1965-1966   Chieri  
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Italia 1934

 

Biografia

Nato in Liguria da madre originaria di Bardonecchia e padre veronese, crebbe ad Alessandria e iniziò a giocare a calcio con la squadra dilettantistica del quartiere San Michele; si diplomò in arti e mestieri.

Lavorò dapprima come fruttivendolo nel negozio di uno zio, poi come meccanico specializzato presso la fabbrica di cappelli G.B. Borsalino fu Lazzaro. Nel 1924 si trasferì a Savona, dove venne ingaggiato dalla squadra di calcio locale che gli garantì anche un lavoro all'Ilva.

Tornò due anni dopo nella sua città, tra le riserve dell'Alessandria, e scalò le gerarchie, passando infine a giocare ai più alti livelli con Juventus e nazionale. Dopo alcune esperienze da allenatore (una con la Juventus campione d'Italia nel 1952), si ritirò a vita privata e si dedicò al commercio di mobili.

Morì a 72 anni per un aneurisma aortico, all'ospedale Martini di Torino; lasciò la moglie e una figlia. Bertolini oggi riposa nel cimitero Parco di Torino.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Disse di lui il compagno di squadra Felice Borel: «Era idolatrato dagli inglesi: era il calciatore inglese, forte, deciso, generoso». Abile soprattutto nel colpo di testa, salì alla ribalta come prolifico centravanti, e fu per ricoprire questo ruolo che l'Alessandria lo ingaggiò dal Savona; osservandolo, l'allenatore dei grigi Carlo Carcano pensò invece di utilizzare la sua peculiarità in fase difensiva e lo schierò dunque in mediana, sulla sinistra, ruolo in cui raggiunse la fama. Era riconoscibile poiché, per proteggersi dai colpi del pallone, indossava un fazzoletto bianco sulla fronte.

Carlo Felice Chiesa lo descrive come un «formidabile difensore, dalla tipica benda sulla fronte, con la quale pareva calamitare i palloni, tanto facile e perentorio gli riusciva il colpo di testa», e ne ricorda la «grande pulizia negli interventi in chiusura» e l'abilità «nella fase di rilancio». Carlo Moriondo lo ricorda «lungo, dinoccolato, il fazzoletto bianco attorno ai capelli ricciuti, imbattibile nei colpi di testa, con un eccezionale compasso di gambe che gli permetteva di garantire spazi enormi; un compendio di volontà e di tecnica [...] meno forte sulla struttura fisica».

Carriera

Giocatore

Club

Gli esordi ad Alessandria e Savona

Tra le prime formazioni dilettantistiche alessandrine in cui militò sono annoverati il San Michele e il G.S.O. G.B. Borsalino. Nel 1924, dopo il servizio di leva, fu segnalato ai dirigenti del Savona da un amico; passò le selezioni e giocò tra gli striscioni biancoblù come centravanti, per una stagione. Carlo Felice Chiesa indica anche una sua temporanea militanza nel Vado.

Ritorno ad Alessandria

La sua prolificità attirò l'attenzione dei dirigenti dell'Alessandria, che lo acquistarono dal Savona per 1 000 lire, assicurandogli inizialmente anche un lavoro che tuttavia non arrivò; all'attività di calciatore, tra le riserve dei grigi, affiancò quelle precarie e mal retribuite di riparatore di biciclette e di venditore di giornali.

 

220px-Alessandria_Calcio_-_Div._Nazional
 
Bertolini (al centro, primo da destra) all'Alessandria nella stagione 1927-1928.

 

Fu notato dal tecnico Carlo Carcano, il quale segnalò ai vertici della squadra i problemi di malnutrizione del calciatore — il quale, per ragioni economiche, si limitava a dei «robusti caffelatte» — e chiese di garantirgli il vitto; ristabilitosi, il 13 febbraio 1927 debuttò in prima squadra, a Genova, nella gara persa contro la Sampierdarenese (1-2). A partire da quel momento fu schierato con regolarità nel ruolo di mediano sinistro, e contribuì nel 1927 alla vittoria della Coppa CONI. Ricordò come momento di svolta per la sua carriera la gara contro il Torino del 30 ottobre 1927: «Vincemmo per 3-1 su di un campo più fango che prato. Feci una gara spettacolosa. Vezzani e Baloncieri toccarono pochi palloni ed impararono a conoscermi. Divenni, in un'ora e mezzo, l'idolo di Alessandria. Mi pareva di sognare. Un anno prima dormivo d'estate sotto il ponte del Tanaro, in una specie di capanna con un letto di paglia e di fieno».

Sotto la guida di Carcano andò a comporre una robusta mediana al fianco di Avalle e Gandini, dando un importante contribuito ad alcuni dei migliori campionati tra quelli disputati dalla squadra cinerina in massima serie. Giocò la sua ultima partita in maglia grigia il 14 giugno 1931, contro il Bologna: la gara terminò con una pesante sconfitta (1-6) e Bertolini, già in trattative con la Juventus, venne escluso dal direttore tecnico Amilcare Savojardo per le ultime due gare.

La Juventus e gli ultimi anni
220px-Luigi_Bertolini_-_FBC_Juventus.png
 
Bertolini con la maglia della Juventus negli anni 1930.

 

Secondo Mario Pennacchia, Bertolini era già da tempo affascinato dalla prospettiva di giocare nella Juventus, ed era rimasto amareggiato quando Carcano, passato ad allenare i bianconeri nel 1930, aveva portato con sé il solo Giovanni Ferrari; fu però proprio l'interno a richiedere, nell'estate 1931, l'acquisto di Bertolini, il quale gli avrebbe così garantito più copertura, considerata anche una scarsa attitudine di Virginio Rosetta al gioco aereo. Intervenne dunque il dirigente Giovanni Mazzonis il quale, forte della sua volontà, si assicurò il giocatore offrendo ai dirigenti grigi 180 000 lire.

Con la squadra bianconera vinse da titolare quattro dei cinque scudetti del Quinquennio d'oro, andando a comporre la cosiddetta «mediana d'acciaio» con Luis Monti e Mario Varglien. Rimase alla Juventus per sei campionati, fino al 1937, quando divenne per tre stagioni giocatore e allenatore del Tigullia, compagine appena nata dalla fusione tra il Rapallo e il locale Gruppo Sportivo Littorio; con la squadra ligure vinse la Prima Divisione 1937-1938.

Nazionale

Debuttò in nazionale il 1º dicembre 1929, a San Siro, in Italia-Portogallo (6-1), nella prima da commissario unico di Vittorio Pozzo; inizialmente non fu confermato tra i titolari, andando a figurarvi stabilmente solo a partire dal febbraio 1931. Andò a formare una celebre linea mediana con Monti, già suo compagno di squadra alla Juventus, e Attilio Ferraris.

 

220px-Nazionale_di_calcio_dell%27Italia_
 
I festeggiamenti della nazionale italiana dopo la vittoria al Mondiale 1934: Bertolini è riconoscibile per il fazzoletto legato in fronte.

 

Con gli azzurri vinse nel 1934 la Coppa Rimet disputando da titolare quattro gare su cinque (mancò il primo quarto di finale). Fu inoltre tra i protagonisti della cosiddetta Battaglia di Highbury, nella quale raddoppiò i suoi sforzi in difesa per sopperire all'infortunio che aveva neutralizzato il compagno di reparto Monti all'inizio della partita, del quale peraltro, nella foga, non si era accorto (secondo le testimonianze, nella frenetica opera di contenimento, chiedeva insistentemente al terzino Luigi Allemandi: «Dov'è Luis?»).

In totale ha disputato 26 gare indossando la maglia azzurra della nazionale A, e 3 con quella della nazionale B.

Allenatore

Giocatore-allenatore del Tigullia di Rapallo, con cui ottenne una promozione in Serie C nel 1938, proseguì nel secondo dopoguerra guidando ancora compagini di serie minori: nel 1946 divenne il primo allenatore nella storia dell'Acireale, mentre nell'annata 1947-1948 passò alla Reggina, in Serie C, venendo sostituito a campionato in corso da Guido Dossena.

Divenuto osservatore della Juventus, fu promosso allenatore da Gianni Agnelli all'inizio della stagione 1951-1952, in seguito alle dimissioni che Jesse Carver presentò in polemica con la dirigenza. Nell'impossibilità d'ingaggiare subito György Sárosi per ragioni burocratiche, Bertolini, coadiuvato da Gianpiero Combi, guidò la squadra per dieci giornate, fino al mese di dicembre. Il campionato si chiuse con la vittoria dello scudetto, il nono nella storia della squadra torinese.

Nella stagione successiva venne ingaggiato dal Brescia, in Serie B; fu sollevato dall'incarico dopo le prime otto giornate e negli anni a venire proseguì l'attività a livello dilettantistico con il Cuneo e il Cenisia di Torino.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

 

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130734 messaggi

1492866031_juventus1931.jpg.192c9314a204b1c1df6333ad279ac54e.jpg LUIGI BERTOLINI   

 

\bertolini%2B1933%2Broma%2B1-0.jpg

 

 

 

«Sono nato a Busalla, nel 1904, per caso. La mamma, prossima all’evento, abitava ad Alessandria, dov’era nata. Mio padre, Aristide, era di Caprino Veronese; un tipo strambo, per come posso rammentarlo. S’imbarcò per l’America che ero ancora bambino. Faceva il pittore e si aggiustava a suonare la chitarra. Un fratello di mamma aveva un negozio di frutta e verdura. Come ebbi l’età e la forza di lavorare mi volle con sé. Vita dura, mica scherzi. Mi alzavo di mattino presto, verso le 4, per andare al mercato generale, con il carretto. Ne tornavo tre ore dopo e facevo il garzone di bottega. Dopo la sfaticata giornaliera, a sera, andava a scuola. Diploma di Arti e mestieri, licenza commerciale, medaglia d’oro per il disegno meccanico. Nei pochi momenti di svago, via in piazzetta a giocare alla palla. Di stracci, mica con il pallone vero. Ci davo dentro un paio di ore, poi la fame e il sonno mi inducevano a smetterla.Mi ero fatto, con gli anni, lungo e secco. Abile comunque per il servizio di leva nel 22° Fanteria. Si era nel 1924 e il football cominciava davvero a fare strada. Si disputò persino un torneo militare ed ebbi, con la squadra reggimentale, il mio primo titolo italiano: campione militare di calcio. Da notare che giocavo centravanti, segnando fior di goal con la testa, già ricoperta dalla benda bianca che poi mi fu quasi d’emblema per il resto della carriera.
Finito il servizio di leva raggiunsi a Savona un amico dei tempi passati. Faceva il manovale in ferrovia lavorando di notte. Dividemmo in due il lavoro e in due la sua paga settimanale. Faticavamo a turni di due ore, dormendo con lo stesso ritmo.
Un giorno l’amico mi avvertì di aver parlato di me ai dirigenti del Savona, che a quel tempo militava in Serie B. Gli chiesi se era impazzito. Mi rispose di non preoccuparmi. Sapeva il fatto suo, mi aveva visto tante volte giocare ad Alessandria sulle piazze o nella Borsalino che era convinto di non sbagliare.
Piuttosto incerto mi recai alla prova. Un’ora dopo firmavo un contratto per giocare nel Savona. Stipendio di calciatore: 25 lire al mese, oltre ad un lavoro all’Ilva acciaierie d’Italia. Finii il torneo come capocannoniere».
Proprio i suoi goal lo resero famoso e i dirigenti dell’Alessandria, che se lo erano lasciato scappare nel 1925, lo riebbero per la cifra di 1.000 lire, con l’intenzione di farne il centravanti di riserva.
Gli avevano anche promesso un lavoro, ma questa promessa non fu mai mantenuta; così, per tirare avanti, il nostro Luigi si adattò a molti umili espedienti di modestissimo guadagno, come vendere giornali o aggiustare biciclette. Una vita di sacrifici.
Numerose volte, forse per dare una dimostrazione non necessaria della sua forza d’animo, Bertolini raccontò incredibili avventure legate al tempo della sua giovinezza.
«Allenatore dell’Alessandria era Carcano. Vedendomi all’opera nelle riserve si chiedeva perché mai giocassi bene il primo tempo e nel secondo non facessi altro che cadere a terra. Venne finalmente a domandarmelo e gli risposi che con 25 lire alla settimana non riuscivo a mangiare altro che caffelatte e brioche.
Il giorno dopo venivo messo a pensione all’albergo Croce Verde dove iniziai un duello (che mi vide sempre vittorioso) contro le più grosse bistecche che mi fosse dato di vedere. Con il nutrimento giusto ripresi vigore e in pochi mesi passai alla prima squadra».
Non avendo il posto di titolare in prima squadra, Bertolini doveva provvedere alla propria attrezzatura di gioco; lo faceva abitualmente, acquistando scarponi militari alla Cittadella e sostituendo i bulloni ai chiodi, in modo da essere a posto con il regolamento calcistico.
Ma quando, imponendosi con le armi della tecnica e del coraggio, conquistò il posto in prima squadra, le scarpe cominciò a riceverle dal magazziniere.
L’esordio avvenne presto. «Era di scena ad Alessandria il fortissimo Torino, quando si ammalò il mediano Papa. Carcano mi cercò (era di sabato) e mi avvertì che il giorno seguente avrei esordito in serie A. “Giocherai mediano” mi disse svelto e se ne andò.
Gli corsi appresso: “Come mediano? Ma se sono il centravanti delle riserve. Il mediano non lo so fare. E poi, proprio contro il Torino”.
“Non ti preoccupare” fu la risposta “gioca come sai e andrà tutto bene”. Vincemmo per 3–1 su di un campo più fango che prato.
Feci una gara spettacolosa. Vezzani e Baloncieri toccarono pochi palloni e impararono a conoscermi. Divenni, in un’ora e mezzo, l’idolo di Alessandria.
Mi pareva di sognare. Un anno prima dormivo d’estate sotto il ponte del Tanaro, in una specie di capanna con un letto di paglia e di fieno».
In campo, Bertolini, dava l’impressione di spendere all’inizio tutte le energie che aveva in corpo. Spesso, a metà partita, sembrava già in riserva sfiancato e sfiatato; ma non era che un’impressione. Il giocatore alessandrino era come un motore con il compressore che gira più del suo regime normale e Bertolini recuperava sempre.
All’ultimo minuto era ancora quello del primo tempo, sempre con l’aspetto di un atleta sfinito che, miracolosamente, era arrivato alla fine della partita. Dove giocava lui, la zona risultava effettivamente coperta, lì non c’erano falle o buchi, né vuoti improvvisi. Sembrava che catturasse palloni facendoseli calamitare sulla fascia bianca che gli legava la fronte.
Quando si trasferì alla Juventus, l’Alessandria mise nelle casse sociali la bellezza di 150.000 lire. A Bertolini non andò neppure una lira. Ma il barone Mazzonis, con esemplare magnanimità, gli pagò in anticipo lo stipendio di agosto, mese che di norma restava fuori dal contratto, poiché la paga correva da settembre a luglio, quando, cioè, si giocava.
E Bertolini, nell’euforia del recentissimo ingaggio, si precipitò ad Alassio, a quei tempi rinomatissimo luogo di villeggiatura, spiaggia mondana e tentatrice, dove pullulavano le belle donne.
Il neo bianconero ad Alassio dovette folleggiare non poco, perché era giovane, bello e felice. Ma il vice presidente Mazzonis, inevitabilmente, lo venne a sapere e nel giro di pochi giorni lo richiamò in sede con un telegramma, per rispedirlo di volata a finire le ferie a Forte dei Marmi, dove già c’erano Carlo Carcano e Giovanni Ferrari: al riparo, dunque, da ogni follia.
E il buon Bertolini sorrideva, nostalgicamente, ogni qual volta rievocava queste cose.

INTERVISTATO NEL 1966
L’anno 1928 mi portò davvero fortuna. Fu per me una stagione meravigliosa che coronai con l’esordio in maglia azzurra contro il Portogallo. Vincemmo per 6–1, grazie anche all’apporto superbo della prima linea che contava sul fantastico Orsi, oltre che sul centravanti Sallustro.
In due anni ero passato dai prati di Piazza d’Armi agli stadi che ospitavano le vedette del calcio mondiale.
Nel 1929 affrontai vittorioso la Juventus. Una gara memorabile. L’Alessandria schierò: Curti; Viviano e Casta; Lauro, Gandini e Bertolini; Cattaneo, Avalle, Canchero, Ferrari e Chierico. Vincemmo 1-0 con un goal di Chierico.
Al termine del campionato l’Alessandria iniziò la smobilitazione. Se ne andò l’allenatore Carcano (alla Juventus) portandosi appresso Ferrari. E fu proprio Gioanin a caldeggiare con Carcano il mio acquisto l’anno successiva. La cifra di cessione fu di 150.000 lire. Il mio stipendio passò di colpo da 100 lire a 5.000 lire mensili.
Quando lessi il contratto mi parve di diventare matto. Di, cifre del genere ne avevo, fino a quel momento, solo sentito parlare. E poi c’erano i premi di partita: 500 lire per ogni confronto vinto, 250 per i pareggi.
Nelle file bianconere assaporai davvero l’ebbrezza della fama. Fu una specie di girotondo quasi fiabesco. Alberghi di lusso, viaggi in vagone letto, schiere di tifosi in ogni parte d’Italia. Erano anni dorati. Vinsi in bianconero quattro scudetti consecutivi, dal 1931 al 1935.
Ricordo con particolare emozione un campionato conquistato allo spasimo, dopo un estenuante inseguimento all’Ambrosiana che pareva irraggiungibile. A sette domeniche dalla conclusione eravamo 5 punti dietro i nerazzurri. All’ultima giornata il vantaggio dei milanesi era ridotto a un solo punto. Entrambe le squadre giocavano in trasferta: la Juventus a Firenze, l’Inter a Roma contro la Lazio. I nerazzurri furono sconfitti, noi vincemmo per 1–0 con un goal di Giovanni Ferrari.
Due incidenti piuttosto seri mi capitarono nel periodo juventino. La frattura di una tibia contro la Triestina per un violento colpo subito ad opera dell’ala giuliana Mian.
La frattura di due costole in un match internazionale contro l’Ungheria, da noi vinto. L’ala magiara Markos, un tracagnotto veloce e grintoso, per difendersi da una mia carica mi piazzò il gomito dritto nel petto. Sentii un dolore acutissimo, credetti di svenire. Mi ripresi subito, ma finii la gara piegato in due per il dolore.
Tra i miei ricordi più belli, la gara ormai famosa di Londra, quando l’Inghilterra ci sconfisse per 3-2 dopo averci inflitto tre reti (a zero) nel primo tempo.
Lo stadio di Highbury ribolliva come un vulcano. Poco prima dell’inizio Pozzo mi ordinò di togliermi la benda bianca che mi cingeva la fronte, alla quale era abituato oramai da anni. Gli inglesi, mi spiegò Pozzo, non accettavano quella piccola mania, definendola esibizionistica. Me la tolsi a malincuore. Senza quella benda candida sulla fronte mi pareva d’esser nudo di fronte a 100.000 spettatori.
Nel clima rovente della battaglia di Highbury scordai benda e ogni altra cosa. Monti si fece male, frattura a un piede, dopo pochi minuti. Gli inglesi, che volevano ad ogni costo travolgere gli azzurri appena reduci dall’alloro mondiale di Roma, attaccarono con una violenza impressionante.
Ridotti in 10 replicammo colpo su colpo e nella ripresa, con il pubblico che man mano si azzittiva, cominciammo la rimonta. Due volte Meazza fece centro e a 30 secondi dalla fine Guaita, solo davanti al portiere britannico, colpì il palo con un tiro irresistibile.
Persi una sola partita, in maglia azzurra, e la triste storia mi toccò proprio a Torino, davanti al mio pubblico. Si giocava contro l’Austria dei Sindelar e dei Jenisalem. Andai completamente in barca, assieme a Combi e Caligaris. Perdemmo per 3–4 e il mio diretto rivale, l’ala destra Svoboda, fece centro due volte.
Promisi solennemente ai miei compagni di squadra che se avessi incontrato altre volte Svoboda e quegli fosse riuscito ancora a segnare, io avrei abbandonato il football. Il duello si ripeté altre due volte, a Milano e a Roma nei mondiali. Svoboda non riuscì più a segnare. Io, continuai a giocare.
Nel 1938 (avevo 34 anni) un dirigente juventino che aveva grossi interessi in riviera mi fece una proposta allettante: alle stesse condizioni della Juventus, dove ormai mi veniva rinnovato il contratto di anno in anno, mi avrebbe assunto come giocatore-allenatore del Rapallo per tre anni.
Restai in Liguria anche dopo lo scoppio della guerra e ripresi l’attività sportiva come allenatore dell’Acireale nel 1946. L’anno seguente passai alla Reggina quindi, ritornai a Torino, anzi a Torre Pellice, dove avevo acquistato, a rate, un albergo.
Con la Juventus ripresi i rapporti accettando di dirigere la preparazione delle squadre minori e vidi crescere sotto i miei occhi atleti notevoli come Umberto Colombo, Flavio Emoli, Tortonese, Bruno Garzena.
Nel 1952 divenni, assieme a Combi, responsabile della prima squadra dopo l’allontanamento di Carver.
Nel 1953 Pietro Beretta mi volle a Brescia, ma fu un esperimento non troppo fortunato che m’indusse a piantarla definitivamente con lo sport attivo.
Inizia così, ancora una volta, una carriera. Assunsi una rappresentanza di sofà-letto, poi un’altra di mobili svedesi e danesi. Il giro seguì la corrente giusta e ora la mia azienda commerciale di Corso Giulio Cesare è solida ed efficiente.
La mia vita scorre quieta, serena. Ho una figlia di 14 anni che pratica tutti gli sport. Per me c’è ogni tanto un tuffo nel passato quando corro ai raduni degli ex azzurri.
Mi resta in fondo al cuore un desiderio grande e struggente. Vorrei riabbracciare Luisito Monti, l’uomo tutto di un pezzo che tanta parte ebbe nelle glorie juventine e della Nazionale. Di lui serbo un ricordo incancellabile. Forse in quegli anni ruggenti ero l’unico che fosse riuscito a conquistarne l’amicizia.
Monti era un tipo speciale: da una parte l’attività professionale come calciatore (e alla società, come alla Nazionale dava il meglio di sé), dall’altra la vita privata, dove non tollerava intrusioni. Io gli fui amico, nel senso più profondo della parola.
Ora lo so lontano, sempre arcigno come un tempo, sempre Uomo Roccia, come se gli anni non fossero passati anche per lui. A Luisito Monti dedico queste mie brevi note di vita vissuta, i miei ricordi di calciatore. A Luisito Monti, tenace come la mia Juventus.

VLADIMIRO CAMINITI
Nasce centravanti quest’half “anema e core”, amicissimo di Luisito Monti, e bello per destinazione. Nasce a Busalla, ed ha per destino di sgobbare, anche all’attacco. L’Alessandria l’acquistò per 1.000 lire, che in quei giorni erano quasi mille milioni di oggi, e insomma rappresentavano una fortuna.
La Juventus che andava a svecchiarsi, vinto già il primo scudetto, assoldò così quest’alessandrino lungo e biondo, dagli occhi azzurrissimi, e non se ne dovette mai pentire. Lo squadrone assoluto diveniva realtà con Luisito Monti, Varglien II e lui, al posto di Barale II, Rier e Vollono, e gli scudetti fioccarono.
Due, tre, quattro, cinque, e Bertolini spicca nella mischia con il suo fazzoletto imbrattato di sudore attorno alla fronte, sempre in procinto di cedere e di nuovo alla rincorsa con “anema e core”, nonostante da centrocampista sia stato proprio inventato da un giorno all’altro, in un’amichevole contro il Torino, nei giorni in cui giocava nell’Alessandria, chiamato all’ultimo momento a sostituire Papa II che si era acciaccato.
La Juventus degli anni ‘30, grande programmatrice, non lasciava nulla al caso. Non era un caso che Bertolini colpisse i palloni sui traversoni anche al posto di Viri Rosetta e Caligaris, e di dovere spaziare e battersi là dove cuoce la frittata, nella padella ardente del centrocampo, era il suo compito, quasi la sua missione.
Anche in Nazionale per questo, dentro gare di proverbiale rudezza, che ne tramandarono la scorza di podista eccezionale, sempre in procinto di cedere e indistruttibile.
Aveva esordito il primo dicembre 1929, ancora alessandrino, in Nazionale, nell’amichevole giocata a San Siro contro il Portogallo, con quell’altro alessandrino doc di Baloncieri capitano, Combi, Rosetta e Caligaris trio difensivo, e all’ala sinistra un altro juventino, il prodigioso oriundo Orsi.
Dire che avrebbe giocato il suo capolavoro, il 10 giugno 1934 a Roma, stadio nazionale del PNF, contro la Cecoslovacchia di Plánicka e Puc, è sommamente restrittivo. Certo, non si tirava indietro nemmeno nella vita quotidiana, lui il bello per antonomasia.
Monti camminava, Rosetta intercettava con eleganza, Caligaris irrompeva bersaglieresco, Varglien I eseguiva in velocità, Sernagiotto si faceva fotografare accanto ad arbitri e guardalinee tre volte più grossi del mollichino che era, Cesarini dribblava facendo arrabbiare Orsi, ma nelle fasi stracche toccava a Bertolini togliere le castagne dal fuoco, come si suol dire, correndo per tutti, a costo di arrancare, salvando situazioni disperate. E quei suoi colpi di testa che sfioravano il sole!
«La mia Juventus era maestra del contrattacco», mi raccontò pochi mesi prima di morire.
Io lo avevo scovato in un’angusta stanzetta, l’ufficio di segreteria nel mobilificio di Corso Giulio Cesare a Torino gestito dalla moglie giunonica e severa, e lo pensavo, ascoltando quel vecchio dalle occhiaie grinzose e la testa bianca, col fazzoletto attorno alla fronte, fulgente come un dio vichingo, nei giorni fugaci della gloria.
Non è che anche lui avesse guadagnato tanto da una carriera di sovrumane rincorse. E mi parve ne avesse ereditato stanchezze e nevrastenie, lo rivedo ciondolare per Corso Giulio Cesare, le guance rubizze e cascanti, gli occhi azzurri smemorati. Nessuno lo riconosceva più, nessuno si ricordava in quell’amaro tramonto di Bertolini il bello.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2012/09/luigi-bertolini.html

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
Accedi per seguire   

  • Chi sta navigando   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×
×
  • Crea Nuovo...