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Moratti Saras Inter Etc Etc

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apparte il calcio, ma chi si fa i miliardi speculando sulla pelle delle persone merita di bruciare eternamente all'inferno

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Inviato (modificato)

Sussurri & Grida

Saras si finanzia e risale dell’11%

di S.AGN. (CorSera 30-06-2012)

Alla fine anche per la Saras deiMoratti la giornata di ieri si è chiusa

con un bel balzo: quasi l’11% a Piazza Affari dopo che il titolo aveva

toccato nei giorni scorsi i valori minimi di sempre. A dare ossigeno

alla quotazione (e all’intero gruppo) non sono state tanto le notizie

dal vertice europeo che hanno sostenuto indiscriminatamente tutto

il listino, quanto la firma di un contratto di finanziamento da 170 milioni

di euro con un pool di banche. Lamossa avviene proprio in coincidenza

con la partenza dell’embargo verso l’Iran, che scatterà il primo luglio.

Ma il gruppo dei Moratti ha già provveduto da tempo a sostituire

l’import di greggio da Teheran con forniture da altri Paesi (come ad

esempio l’Arabia Saudita). Sullo sfondo, però, restano sempre due

fattori negativi: la crisi strutturale dell’industria della raffinazione

europea e il calo dei consumi di carburante.

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Il Sole 24 ORE 30-06-2012

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Il processo

Udienza sulla rissa all’Hollywood

Moratti jr “Irvine?

Volevo solo salutarlo”

di S.D.R. (la Repubblica - Milano 30-06-2012)

A UN certo punto dell’udienza sono comparsi anche i bicchieri,

quelli che secondo la difesa del pilota Eddie Irvine erano sui

tavoli dell’Hollywood il 20 dicembre 2008, quando scoppiò la lite

tra l’ex pilota di Formula uno e Gabriele Moratti, figlio dell’ex

sindaco Letizia Moratti. I due si sono denunciati a vicenda per una

lite nella discoteca di corso Como finita — secondo Moratti jr —

con un bicchiere di vetro spaccatogli in faccia dal pilota. «Intendevo

salutarlo e fare due chiacchiere », ha detto Moratti ieri,

ricostruendo le fasi dell’incontro che scatenò poi la rissa.

Davanti al giudice della decima sezione penale, Moratti, 34 anni, ha

spiegato di aver visto Irvine che «in piedi sul divanetto ballava in

maniera vistosa ». Ha cercato di attirare la sua attenzione toccandolo

sulla schiena, quando sarebbe stato colpito col bicchiere. Una

ricostruzione che la difesa di Irvine ha contestato, producendo in

udienza le fatture d’acquisto dei bicchieri da parte della discoteca

che — secondo i legali del pilota — erano utilizzati nel locale. «Noi

eravamo nel privé — ha replicato il figlio dell’ex sindaco — Lì si

usano solo bicchieri in vetro ». Ora il processo riprenderà a fine

settembre quando verranno sentiti diversi testimoni presenti alla

rissa.

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il Fatto Quotidiano 27-07-2012

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PETROLIO

Sui conti in rosso della Saras pesa la crisi dell’Iran

Nel primo semestre dell'anno le perdite hanno raggiunto quota 117 milioni. Scende l’indebitamento

art.non firmato (Il Messaggero 11-08-2012)

MILANO - Conti amari per Saras, il gruppo della raffinazione e dell'energia della famiglia Moratti, che nel primo semestre dell'anno ha accusato una perdita di 117 milioni contro un utile di 82 dello stesso periodo del 2011. Colpa soprattutto del calo nel secondo trimestre del prezzo del petrolio, fattore che spesso danneggia i risultati delle compagnie petrolifere, ma anche delle incertezze legate all'embargo iraniano.

«L'Iran produce un petrolio di ottima qualità e, a differenza di altri Paesi, ha anche grande stabilità di estrazione - confermano nella conference call con gli analisti il direttore finanziario Corrado Costanzo e il direttore generale Dario Scaffardi - mentre l'Iraq, che pur sta aumentando la produzione, rimane molto instabile».

Quindi approvvigionamenti più difficili per la Saras, che però dall'embargo Ue nei confronti dell'Iran iniziato il primo luglio estrae un netto miglioramento della posizione finanziaria: l'indebitamento netto - un dato anch'esso comunque molto influenzato dal prezzo del greggio - è sceso a 82 milioni rispetto ai 653 milioni di inizio 2012 e ai 473 del 31 marzo grazie anche alle dilazioni dei pagamenti all'Iran, Paese con il quale al momento sono bloccate le transazioni finanziarie internazionali. Il 3 luglio comunque a Saras è stato erogato un finanziamento bancario per 170 milioni di euro, con scadenza a cinque anni.

Il quadro economico, visto in miglioramento per il secondo semestre grazie al previsto rialzo del prezzo del petrolio, non è piaciuto alla Borsa: il titolo, debole dall'avvio della seduta di Piazza Affari, ha ceduto il 9,04% finale a 0,85 euro, tra scambi comunque nella norma. Secondo gli operatori si tratta infatti di un calo abbastanza fisiologico, anche perchè dai minimi di fine giugno a 0,66 euro il valore dell'azione in queste settimane era salito del 40%.

A deludere gli analisti sono stati soprattutto il margine operativo lordo comparabile (33,6 milioni contro una media di 52 milioni del 'consensus') e la perdita netta destagionalizzata (29,3 milioni rispetto a una stima di 5 milioni). In completamento, anche se con un ritardo di alcuni mesi per un impianto MildHydroCracking' la manutenzione nella grande struttura sarda di Sarroch.

___

Il Sole 24ORE 11-08-2012

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Saras (Moratti)

rosso di 117 milioni

affonda in Borsa

Male il semestre a causa dell’Iran e dei ribassi del petrolio

L’azione va a picco in Piazza Affari: -9,04%

...Un finanziamento di 170 milioni alla società che

prevede conti migliori per la seconda metà dell’anno

di MARCO TEDESCHI (l'Unità 11-08-2012)

Con quello che costa la benzina, la percezione comune è che chiunque operi nel settore degli idrocarburi faccia affari d’oro. In realtà la situazione è ben più complessa, e taluni elementi della filiera, come l’attività di raffinazione, si trovano da tempo in una situazione di criticità per ragioni assortite. Una conferma la si è avuta ieri dai conti problematici della Saras, la società della famiglia Moratti. Perdite cospicue che, paradossalmente, possono essere valutate almeno come un elemento di chiarezza dai tifosi dell’Inter, altra proprietà “storica” dei Moratti, da settimane in agitazione per un calcio mercato nel quale la società nerazzurra mantiene un profilo insolitamente basso.

I conti della Saras relativi al primo semestre 2012 registrano innanzitutto un fatturato in rilevante crescita, arrivato al livello di 5.787 milioni di euro con un incremento del +9%. Ma questo, nell’esercizio in questione non ha significato affatto un aumento dei guadagni, anzi si è verificato esattamente l’opposto. Infatti, la prima metà dell’anno si è chiusa con una perdita di 117,7 milioni euro, una cifra cospicua che diventa ancor più rilevante nel confronto con il corrispondente periodo del 2011 nel quale si era registrato un utile di 82,2 milioni. Per i responsabili della Saras la colpa delle perdite è soprattutto del calo nel secondo trimestre del prezzo del petrolio, fattore che spesso danneggia i risultati delle compagnie petrolifere, ma anche delle incertezze legate all' embargo iraniano. «L'Iran produce un petrolio di ottima qualità e, a differenza di altri Paesi, ha anche grande stabilità di estrazione - hanno dichiarato nella conference call con gli analisti il direttore finanziario, Corrado Costanzo, e il direttore generale, Dario Scaffardi - mentre l'Iraq, che pur sta aumentando la produzione, rimane molto instabile».

Restando sui conti, c’è però da annotare un netto miglioramento della posizione finanziaria: l'indebitamento netto - un dato anch'esso comunque molto influenzato dal prezzo del greggio - è sceso a 82 milioni rispetto ai 653 milioni di inizio 2012 e ai 473 del 31 marzo. Un risultato al quale hanno contribuito in modo sostanziale le dilazioni dei pagamenti all'Iran, Paese con il quale al momento sono bloccate le transazioni finanziarie internazionali. Il 3 luglio Saras ha comunque ricevuto un finanziamento bancario per 170 milioni di euro, con scadenza a cinque anni. I risultati comunicati ieri, nonostante la previsione di un quadro economico in miglioramento per il secondo semestre soprattutto per il preventivato rialzo del prezzo del petrolio, non sono affatto piaciuti alla Borsa: il titolo, debole dall'avvio della seduta di Piazza Affari, ha ceduto alla fine della giornata addirittura il 9,04%, con un prezzo conclusivo dell’azione a 0, 85 euro, tra scambi comunque nella norma.

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La lettera (l'Espresso.it 16-10-2012)

'Salvate Arborea dai Moratti'

La Saras vuole perforare con un buco enorme e profondo di tre chilometri un'area protetta della Sardegna, alla ricerca di gas. Un'opera che non solo devasterà l'ambiente, ma metterà in ginocchio gli allevatori». La denuncia del comitato locale

Caro direttore,

mi chiamo Davide Rullo e scrivo da Arborea, in Provincia di Oristano, Sardegna. Le scrivo per una questione che riguarda - certo - il mio paese, ma che investe l'intera isola, per la quale riveste un'importanza enorme.

La società Saras S.p.A. di Sarroch, il cui consiglio di amministrazione è composto dalla famiglia Moratti, è in procinto di presentare agli uffici dell'assessorato regionale Ambiente uno Studio di Impatto Ambientale (Sia) denominato Progetto "Eleonora". Di che cosa si tratta?

La Saras ha ottenuto a fine 2009 dall'assessorato Industria Sardegna un permesso di "Ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi" che comprende una superficie di 443 km quadrati e abbraccia, in sostanza, tutta la provincia di Oristano. A seguito di sondaggi geo-sismici effettuati nei primi anni duemila, i consulenti Saras ritengono possa trovarsi un giacimento di gas naturale nel sottosuolo di Arborea, la cui stima è assai generica: si va dall'ipotesi 'zero' alla più ottimistica pari a 3 miliardi di metri cubi di gas.

La società di Moratti decide dunque di partire con la realizzazione di pozzi esplorativi proprio da Arborea e presenta nel 2011 all'assessorato Ambiente uno studio preliminare, intitolato "Progetto Sargas - Eleonora 01-Dir".

"Sargas" sarebbe la società a diretto controllo Saras incaricata di portare avanti la pratica in Regione Sardegna: si tratta di una S.r.l. fondata pochi mesi prima della presentazione del progetto stesso, con capitale sociale di 10 mila euro. Lascio immaginare la sproporzione esistente tra l'impatto ambientale eventuale derivante da possibili imprevisti di perforazione e il ridicolo capitale sociale di questa Società. In caso di disastro ambientale e di insolvenza patrimoniale di chi ha compiuto il disastro, la legge dice che sopperisce lo Stato.

Ma andiamo avanti.

'Eleonora 01-Dir' è invece il nome dato al primo di una serie di pozzi esplorativi che verrebbero realizzati in questo piccolo paese se l'istruttoria andasse a buon fine.

Quando lo studio preliminare diviene pubblico e consultabile i cittadini di Arborea stentano a credere ai propri occhi: si intende realizzare un pozzo della profondità di 3000 metri con scavo in direzione obliqua, e il sito prescelto per l'ubicazione del pozzo è in una zona tra le più delicate dell'intera costa centro-occidentale.

Alcune indicazioni: il cantiere avrebbe un perimetro grande (circa) quanto un campo di calcio; si trova a 400 metri dalle abitazioni più vicine, a 600 dal campeggio comunale, a poco più di 700 dalle spiagge locali e soprattutto a meno di 180 metri dallo stagno di S'Ena Arrubia, che è Sito di Interesse comunitario (SIC), Zona a Protezione Speciale (ZPS), e inserito nella Convenzione internazionale di Ramsar fin dal 1976. Il cantiere, per altro ricade interamente all'interno del perimetro IBA (Important Bird Area), altra tutela ambientale di fonte internazionale.

Questo stagno è considerato il paradiso del birdwatching: ospita 65 specie animali di cui almeno sei a rischio di estinzione, e la colonia di fenicotteri rosa è tra le più folte in circolazione nel mediterraneo.

Non solo. Arborea non è un paese 'tradizionale' sardo, non è un territorio depresso, a bassa concentrazione di abitanti, senza un'economia robusta. Arborea è una comunità di 4000 abitanti, a forte vocazione agricola e di allevamento. Si contano oltre 20 mila bovine da latte, insomma haun comparto zootecnico considerato un'eccellenza nazionale.

Nell'ottobre del 2011 nasce un comitato di cittadini che si preoccupa di studiare il caso a fondo. Si avvale del contributo di liberi professionisti nel campo della geologia, della biologia, della biotecnologia, di medici, docenti universitari e persino di uomini che hanno maturato sul campo quel che significa lavorare in un sito petrolchimico.

Si organizzano assemblee pubbliche, si pubblicano articoli, interviste, dichiarazioni. Se ne deduce, senza che fin ora nessuno abbia smentito, quanto segue: il pozzo sarà 'incamiciato', quindi diciamo messo in sicurezza, per i primi 50 metri di scavo verticale; le falde acquifere in questo territorio arrivano tranquillamente fino ai 120/150 metri di profondità. La trivellazione procede (sempre, senza eccezioni!) con l'ausilio di fanghi di perforazione: composti chimici, per lo più protetti da segreto industriale, i quali intercettando una falda possono comprometterla. Un imprevisto di tale natura comporterebbe la morte dall'oggi al domani di centinaia di aziende che abbeverano le proprie bestie esclusivamente da acqua di falda: oltre 20.000 capi, come si diceva, molti dei quali a breve distanza dal sito Saras; una risalita in superficie di gas in pressione, non controllato (anch'esso incluso tra i rischi possibili dagli stessi operatori del settore) potrebbe liberare in atmosfera una miscela di sostanze tossiche, non combuste, alcune delle quali sempre presenti in questo genere di lavorazione e di perforazione del sottosuolo: si chiama idrogeno solforato e la sua soglia di "accettabilità" si misura in ppm (parti per milione). Una dispersione in atmosfera può generare nel migliore dei casi disturbi respiratori lievi, nel peggiore dei casi la morte istantanea degli organismi viventi per inalazione.

I danni di immagine per ì per il settore zootecnico, per il comparto turistico che si fonda in gran parte sul camping in prossimità del sito prescelto da Saras, per la frequentazione della spiaggia e del litorale: tutto ciò avrebbe conseguenze drammatiche pure in assenza di danni ambientali manifesti, e ne avrebbe di portata gigantesca in caso di "imprevisti di perforazione".

Ll'habitat naturale dello stagno S'Ena Arrubia verrebbe automaticamente compromesso; non è necessario soffermarsi sui dettagli per comprendere che il pozzo esplorativo, stimato in circa 150 giorni (e notti) di trivellazione ininterrotta, con motori accesi, inquinamento acustico, odori di natura chimica e solforosa, tutto ciò decreterebbe il dissesto del compendio naturalistico. Le zone umide sono di gran lunga gli ambienti naturali più fragili e per questo se ne preclude l'avvicinamento entro certi limiti persino agli esperti avvistatori delle associazioni naturalistiche.

Il traffico di autocisterne con sostanze di tipo infiammabile all'interno del paese non è in alcun modo conciliabile con quello dei trattori o dei camper dei turisti. Finora, migliaia di cittadini firmatari di petizioni popolari non sono riusciti a imporre una riflessione su questo scempio.

Ci sarebbero tante cose da scrivere, ma temo che potrei non essere letto se vado oltre.

Se venisse realizzato "Eleonora 01-Dir" sarebbe il primo di una serie indeterminata, e magari l'avamposto per una raffineria in loco, per una nuova Sarroch in questa costa, e magari tra vent'anni i miei figli potrebbero essere i nuovi disgraziati che occupano la vetta di una ciminiera per testimoniare la propria dignità violata.

O saremo davanti a un caso che varrà come precedente, e la Sardegna non sarà in grado di opporsi ai successivi. La vertenza è storica, per questa terra.

Davide Rullo, Comitato spontaneo "No al Progetto Eleonora"

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SIGLATA UNA LETTERA DI INTENTI CON ROSNEFT PER LA COSTITUZIONE DI UNA JV PARITETICA

Saras comincia a parlare russo

L’intesa è commerciale, ma potrebbe portare a un ingresso

dei moscoviti nel capitale della società dei Moratti

di LUCIANO MONDELLINI (MF-Milano Finanza 19-12-2012)

La Saras da ieri ha cominciato a parlare russo. La società di raffinazione dei fratelli Moratti ha sottoscritto una lettera di intenti con il colosso petrolifero Rosneft per costituire una joint venture paritetica per la commercializzazione e lavorazione di petrolio greggio e la vendita di prodotti petroliferi. La nuova società, in particolare, consentirà ai due gruppi di capitalizzare le proprie potenzialità nei segmenti upstream e downstream grazie al posizionamento privilegiato di Rosneft per l’accesso a forniture di greggio e ad altri prodotti petroliferi e grazie alla raffineria Saras di Sarroch (Cagliari) sul fronte delle opportunità di lavorazione e trading. La lettera di intenti, che è stata sottoscritta a Monaco di Baviera dal presidente di Saras Gian Marco Moratti e da quello di Rosneft Igor Sechin, alla presenza anche di Massimo Moratti, amministratore delegato di Saras, punta anche a sviluppare nuovi mercati per le due società, ampliando le attività nel settore petrolifero a complemento degli esistenti canali di mercato di Saras.

Si tratta di un’intesa di grande valenza strategica per Saras e non a caso ieri la notizia ha messo le ali al titolo in borsa, che ha chiuso la seduta con un guadagno del 3,5% a 1,04 euro. Anche perché l’intesa annunciata ieri potrebbe rappresentare l’anticamera di un accordo più ampio tra le parti nel medio periodo. Infatti se è bene precisare che al momento l’intesa si limita a un accordo commerciale, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, nel medio periodo non è esclusa un’entrata del colosso russo nel capitale di Saras. I Moratti, infatti, tramite la holding di famiglia Angelo Moratti sapa, controllano la società di raffinazione sarda con oltre il 62% e ciò consentirebbe di cedere una quota di minoranza ai russi senza perdere il controllo. Va ricordato che i Moratti erano in contatto da tempo con Rosneft da tempo. A settembre i due fratelli avevano incontrato a Roma proprio Sechin gettando le basi dell’intesa annunciata ieri. Nei mesi successivi, però, la società italiana aveva ricevuto offerte anche da gruppi energetici arabi.

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Arborea avverte la Saras:

«Protesteremo in massa»

Trivellazioni del Progetto Eleonora: il comitato del no si prepara all’incontro

sulla Valutazione di impatto ambientale. «Faremo sentire tutte le nostre paure»

di CRISTIANA DIANA (LA NUOVA SARDEGNA 29-12-2012)

Il no alle trivellazioni del Progetto Eleonora, alla ricerca di gas nel territorio di Arborea, diventa sempre più forte. Gremita la sala del teatro durante l’assemblea pubblica organizzata dal comitato “No al Progetto Eleonora” per fare il punto della situazione e decidere le prossime mosse. Un “no” scritto ben chiaro sui lenzuoli esposti nelle vie del paese.

Questo pare proprio essere il momento della partecipazione, perché presto l’apporto della cittadinanza farà la differenza. «La Saras ha quasi terminato di redigere la Valutazione di impatto ambientale chiesta dalla Regione e secondo le procedure dovrà organizzare un incontro pubblico per presentare il proprio progetto ai cittadini – ha spiegato Manuela Pintus, del comitato –. Qui sarà importantissimo essere presenti in massa per far sentire la nostra contrarietà e le nostre paure, in altri luoghi è stata la reazione e l’opposizione della gente a far fare dietro front alle compagnie petrolifere ».

«È già stato ampiamente spiegato come un impianto estrattivo potrebbe danneggiare l’ambiente e la salute, ma anche ipotizzando che questi rischi non esistano, solo il danno d’immagine che deriverebbe dall’avere un’attività di tipo petrolifero nel territorio potrebbe causare la rovina del nostro sistema produttivo – ha detto Gianni Sardu, presidente della Cooperativa produttori –. Per questo abbiamo organizzato un’assemblea informativa nei giorni scorsi con tutti i soci, per sensibilizzare sul problema, e per questo anche daremo un piccolo contributo economico al comitato perché continui con la sua opera di informazione e protesta».

Tra il pubblico tanti amministratori locali e anche la parlamentare Caterina Pes, mentre gli organizzatori facevano scorrere sullo schermo le immagini di tante realtà in cui le attività estrattive di gas hanno creato seri danni all’ambiente e alla salute degli animali.

Un punto dolente per una realtà come quella di Arborea che dell’agricoltura e dell’allevamento degli animali ha fatto un volano di crescita economica, come anche del turismo e della pesca. «Nemmeno le numerose tutele a cui è sottoposto lo stagno di S’Ena Arrubia, come la convenzione di Ramsar e altre tutele di tipo internazionale, sembrano proibire alla Saras di chiedere il permesso di trivellazione – continua Pintus –. È grazie all’impegno dei cittadini, però, se la Regione li ha obbligati a presentare la Valutazione di impatto ambientale, perciò il nostro impegno deve continuare». Dopo la presentazione della Via la parola passerà alla giunta regionale, che dovrà decidere se bocciare o dare seguito al progetto di trivellazione della Saras.

«È il momento di mostrare all’esterno e con convinzione la nostra contrarietà, soprattutto per le amministrazioni le delibere non sono sufficienti, bisogna essere compatti e dimostrare con le azioni il proprio no – ha dichiarato Davide Rullo con una dose di critica verso alcuni amministratori locali considerati “tiepidi” –. Non possiamo permetterci di mostrare segni di debolezza perché è in quelle crepe che la Saras vorrà insinuarsi».

Una scossa alla politica, quindi, a cui spetterà la parola definitiva nella vicenda, visto che sarà la giunta regionale a decidere. Con tutti gli occhi di Arborea puntati addosso.

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la sardegna è morattidipendente

non è rimasto altro

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Violento sfogo di Andrea, che parla di un complotto

Cacciato dai Moratti

Il figlio di Muccioli contro «i ricconi»

di GIOVANNI BUCCHI (ItaliaOggi 04-01-2013)

Un anno e mezzo di silenzio, interrotto solo dall’intervista di agosto al settimanale Oggi della moglie Cristina Fontemaggi. Ma Andrea Muccioli, 48 anni e già responsabile della comunità per tossicodipendenti di San Patrignano fondata dal padre Vincenzo, adesso affida a Facebook il suo sfogo. Due lunghi interventi, nei giorni scorsi, che scuotono la collina di Coriano. Il principale obiettivo sono i «ricconi frustrati», cioè Gianmarco e Letizia Moratti, i principali sostenitori della comunità che Muccioli accusa senza mai nominarli: sono loro, dice, ad aver orchestrato «un complotto» per farlo fuori. Come? Con un «semplice ricatto»: «il posto dipende dai nostri soldi, o te ne vai o interrompiamo i finanziamenti». Un piano «preparato da tempo, rallentando il flusso delle donazioni per creare un bel buco e dare al momento opportuno la colpa a me», scrive. I conti della comunità da anni versavano in rosso: dai 3,9 milioni di perdita del 2009 agli oltre 4 del 2010 per un budget complessivo di 32 milioni, coperto quasi per metà dalla famiglia Moratti. Dalla morte del padre Vincenzo, Andrea aveva preso in mano la guida della comunità fino all’estate 2011 quando arrivò la sua uscita, seguita da un fiume di indiscrezioni sui suoi contrasti con i Moratti. «La scusa ideale», scrive Muccioli, «è stata la famosa casa, quella che hanno fatto vedere ai giornalisti raccontando che mi volevo costruire una reggia, ‘dimenticandosi’ che loro erano lì, a progettarla insieme a noi, ad arredarla con i loro architetti». E ancora: «Ho rifiutato soldi e favori da parte dei ricconi, perché per avere sicurezze economiche per la mia famiglia avrei dovuto rinnegare la verità e affermare davanti a tutti che non c’era stato nessun complotto, che loro, i padroni, erano i continuatori ideali dell’opera di mio padre». Per Muccioli la comunità adesso è un luogo «tradito e insudiciato nel suo spirito» perché «troppe falsità sono state dette ai ragazzi». Nell’intervento dell’1 gennaio, l’ex responsabile di Sanpa è ancora più duro contro chi «facendosi ignobile scudo con i ragazzi accolti e con i loro bisogni minaccia e ricatta me e chiunque tenti di avvicinarsi o di avere rapporto con me». Adesso, aggiunge, «senza lavoro, con un affitto da pagare e dovendo chiedere a mia madre un aiuto economico per mandare avanti la famiglia», Muccioli ha la certezza di essersi impegnato «senza mai perseguire vantaggi e interessi personali». La moglie a Oggi parlò di una liquidazione di 80mila euro e la stessa accusa ai Moratti di aver disatteso il patto con Vincenzo viene ribadita da Andrea: «Chi aveva promesso sul proprio onore a mio padre che avrebbe sempre protetto e sostenuto in ogni modo me, mio fratello (Vincenzo, uscito dalla comunità anni fa, ndr), mia madre e i nostri figli non solo non ha onorato il proprio impegno, ma ha cercato di uccidermi moralmente e psicologicamente in ogni modo possibile e ancora». La comunità ufficialmente si trincera dietro un «no comment», la linea è quella di non dare troppo peso a queste esternazioni. Lui, Andrea, prova a guardare avanti, dicendo che «ci sono tanti altri luoghi e persone su cui poggiare il nostro sguardo e la nostra umanità».

Probabile che si riferisca anche a Comunione e liberazione, movimento a cui si è avvicinato negli ultimi tempi tanto da partecipare alla tradizionale vacanza estiva della comunità di Rimini.

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Il petroliere è azionista della società tramite 77 Holding, partecipata dalla boutique dei banker che avevano curato l’ipo Saras

Moratti e soci ricapitalizzano (in parte) Electro Power

di LUCIANO MONDELLINI (MF-Milano Finanza 25-01-2013)

L’azionariato raccoglie alcuni tra i nomi più conosciuti della finanza e dell’imprenditoria italiana, ma i risultati, almeno finora, sono tutt’altro che esaltanti. Electro Power Systems è una società fondata a Torino nel 2005 attiva nella fabbricazione di trasformatori e motori elettrici con tecnologie innovative e verdi, in particolare a idrogeno. Tra i soci spiccano la società lussemburghese 360 Capital One Sicar, che fa capo a 360 Capital Partners, un gruppo di venture capital e private equity guidato da Fausto Boni, uno tra i più apprezzati manager nel settore; poi ci sono la Ersel Asset Management, una delle società di risparmio gestito più note in Italia e la 77 Holding, una società milanese il cui nome dice poco ma apparenta ancora una volta la famiglia Moratti con alcuni dei banker che avevano accompagnato Saras nella discussa quotazione in borsa poi oggetto di indagine (archiviata nel 2011) da parte della procura di Milano. La 77 infatti è controllata dalla Cmc il veicolo di investimenti personale di Massimo Moratti, presidente della Saras e dell’Inter e partecipata da Four Partners, la boutique di consulenza e di investimento guidata da Guido Tugnoli e Simone Rondelli, gli ex banker di JP Morgan advisor dell’ipo del 2006 poi indagati nel 2008 (assieme ad altri sette funzionari di banche) per falso in prospetto informativo. Infine, tra i soci illustri di Electro Power Systems figura anche con una quota molto piccola anche l’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco.

Un azionariato con tanti nomi illustri non è tuttavia ancora riuscito a raggiungere una redditività significativa. Dal 2008, infatti, Electro Power Systems presenta bilanci in perdita (oltre 2 milioni nel 2011). Non solo, ma il 21 dicembre 2012 i soci hanno approvato, come forma di ricapitalizzazione, l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile di importo massimo di 900mila euro. L’emissione, però, è stata solo parzialmente sottoscritta dai soci aventi diritto: 360 Capital One ha versato circa 314mila euro, 77 Holding si è impegnata per 125mila euro, Ersel Asset Management per 177mila euro e il socio Stefano Poli per 21mila euro). Per un totale complessivo che sfiora 638mila euro.

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“Ho indagato sulla Saras, ora vivo in India…”

di DAVIDE FARA (SARDINIApost.it 07-02-2013)

art.scoperto grazie a Francesco Caremani

Ha osato realizzare un film-inchiesta sulla Saras. Da quel momento in poi la sua vita è cambiata. Ora Massimiliano Mazzotta, salentino trapiantato a Milano, vive a Goa, in India. L’azienda dei Moratti l’ha citato in giudizio chiedendo un risarcimento per “danno d’immagine’. Ma ‘Oil, questo il titolo del film, è riuscito comunque a circolare attraverso i canali alternativi. E ha vinto premi importanti: al Festival ‘Cinema ambiente’ di Torino, e all’’Ecologico film festival’ di Nardò.

E la Saras ha continuato a far parlare di sé. Per via di “nubi” che ogni tanto compaiono sui suoi impianti, o di denunce di privati cittadini. E nonostante la prudenza dei politici e degli amministratori sardi denunciata anche di recente da Vincenzo Migaleddu, dell’Isde (International Society Doctor for Environment), l’Associazione dei medici per l’ambiente.

Abbiamo raggiunto Mazzotta a Goa. In una lunga conversazione via Skype ci ha raccontato la sua battaglia, che ancora non è finita.

Come procede la sua causa con i Moratti?

“Credo bene. Se hanno chiesto informalmente di chiudere in bonis, è certamente positivo”.

Cioè?

“E’ successo che nelle varie cause civili promosse contro di me ho avuto degli esiti in sede cautelare che definiscono la mia opera ‘lecita’. Anzi descrivono il mio lavoro come fatto secondo regole ‘deontologiche congrue’. L’udienza presso il garante della privacy ha definito il mio lavoro ‘encomiabile’, ‘d’interesse pubblico nazionale’. Insomma, il contesto si è modificato rispetto a quando la Saras ha avviato l’azione”.

Cosa chiedevano?

“Il sequestro del film e il risarcimento del “danno d’immagine” sostenendo che “Oil” era tendenzioso nella forma e nei contenuti. Hanno sollevato problemi sulle scelte della regia, dicendo che si violava la loro privacy e hanno anche sostenuto che alcune interviste erano state estorte con l’inganno. Mentre io ho sempre documentato i permessi e mi sono sempre presentato come giornalista d’inchiesta. Per cui il mio messaggio, ha detto il garante, non è stato distorto”.

E lei cosa chiede alla Saras?

“Nulla, noi ci stiamo semplicemente difendendo. Sono loro che hanno sollevato la causa. Se la abbandonano dovranno certamente pagare i danni e le spese processuali”.

Perché anche i danni?

“La mia vita è cambiata da quando ho girato ‘Oil’. Non vivo più da quando ho fatto quel film. Avevo un’attività a Porta Venezia a Milano, e sono dovuto ‘scappare’ dall’Italia. Ora vivo a Goa, in India”.

Cosa ha causato questo cambio di vita?

“Sono successe delle cose ‘strane’. Che chiaramente non posso imputare ad una connessione diretta con la mia vicenda del film ‘Oil’. Ma se ti cade il soffitto della casa, ti rompono più volte la vetrina del negozio, ti portano via lo scooter, perde il tubo del common rail della macchina con il rischio che s’incendi in corsa… credo che non sia facile per nessuno convivere con queste situazioni…”

Che difficoltà ha incontrato durante la realizzazione di ‘Oil’?

“Molte. È un film nato per caso, dopo una vacanza a S. Margherita di Pula. È lì che ho scoperto il colosso Saras e per me, milanese d’adozione, è stato naturale occuparmene. Ho trovato molta solidarietà da parte dei sardi. Il paese di Sarroch era diviso in due, tra chi voleva che se ne parlasse e chi intimava il silenzio. Una ragazza, Luisa, una barista, è stata cacciata dal lavoro perché ha promosso una visione pubblica nel locale. Il rapporto tra la politica e i dirigenti della Saras è strettissimo. Controllano la situazione a tutti i livelli in maniera trasversale. Per esempio, ricordo che un secondo prima della proiezione del film agli universitari di Cagliari, nella sala Cosseddu dell’Ersu (l’Ente regionale per il diritto alla studio universitario, ndr) il direttore ha bloccato tutto. La Saras allora spingeva sul fatto che c’era una causa in corso. Ma la cosa più difficile è stato portare il film ‘fuori’ dalla Sardegna...“.

Ha sbattuto contro una grande potenza…

“Hanno fatto una pulizia mentale per cui è davvero difficile parlare in termini obbiettivi della questione. Hanno persino fatto realizzare un fumetto indirizzato ai bambini delle scuole elementari, dal titolo ‘Gaby alla scoperta della Saras’. Gaby è un gabbiano bianco che entra nella politica di espansione e nella filosofia del gruppo Moratti che ha invaso non solo una delle più belle zone costiere della Sardegna, il Golfo degli Angeli, ma anche la testa delle persone. Ora lo dovranno fare anche in sede giudiziaria. Non so come finirà, ma è chiaro che sarò io, questa volta, a chiedere i danni”.

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Il Sole 24ORE 13-03-2013

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Inviato (modificato)

Rilanci Il vice presidente Scaffardi spiega i piani dopo l’ingresso del russo Rosneft

Famiglie Per i Moratti

una Saras formato Shell

Nuova governance. Una newco per le attività industriali. E sui distributori...

di ROBERTA SCAGLIARINI (CORRIERECONOMIA 06-05-2013)

Questione di giorni e la nuova Saras prenderà forma: da raffineria vecchio stile a player internazionale del trading petrolifero. Una svolta che si prepara da mesi nel gruppo della famiglia Moratti, con l'apporto decisivo del nuovo alleato, il colosso russo Rosneft entrato nel capitale con il 21%. Da un lato si sta definendo il business plan della nuova joint venture paritetica con Rosneft dedicata alla commercializzazione all'ingrosso dei prodotti petroliferi. Dall'altro si prepara lo scorporo di tutta l'attività industriale per conferirla in una nuova controllata: la Newco.

Opzioni

Dopo la riorganizzazione la società fondata da Angelo Moratti nel '62 diverrà una holding di partecipazioni: con il cuore nel petrolio ma aperta a nuove possibilità di investimento, come, per esempio, la distribuzione retail messa in vendita da Shell.

L'evoluzione del modello di business di Saras è stato accompagnata da un cambiamento nella governance proprietaria: Gianmarco e Massimo Moratti, rispettivamente presidente e amministratore delegato, hanno attribuito al vicepresidente esecutivo e direttore generale, Dario Scaffardi, ampie deleghe operative e mantenendo per sé i «poteri di indirizzo strategico, e supervisione di eventuali operazioni straordinarie». I Moratti hanno venduto a Rosneft le quote detenute direttamene in Saras e hanno mantenuto la maggioranza assoluta in capo all'accomandita di famiglia, la Angelo Moratti sapa.

Margini

L'aspetto rilevante dell'alleanza con il magnate russo Igor Sechin non è tanto il legame societario quanto il progetto industriale destinato a risollevare un core business da cui la famiglia milanese ha dichiarato di non voler uscire. Anche se va male. Lo scorso anno Saras ha chiuso in perdita per 90 milioni scontando proprio i margini negativi dell'attività petrolifera.

«Con Rosneft abbiamo siglato una lettera di intenti — spiega Scaffardi — e stiamo lavorando per definire tutto entro l'estate. Contiamo di riuscire a estrarre maggior valore dalle attività commerciali (trading e marketing), separando nel contempo i margini commerciali da quelli della raffinazione. La joint venture consentirà di incrementare la nostra presenza e penetrazione nei mercati che oggi offrono le maggiori opportunità di crescita, quali ad esempio il Nord Africa e la Turchia, e al contempo avrà accesso diretto al mercato russo, per l'acquisto di materie prime, anche di tipo non convenzionale».

Contestualmente sarà separata l'attività industriale da quella commerciale. «Abbiamo deliberato la costituzione di una società di raffinazione — prosegue il vicepresidente — posseduta al 100% da Saras, che sarà guidata dall'ingegner Alberto Alberti, ex manager Eni. La nuova controllata dovrà concentrarsi sugli aspetti industriali, mirando all'eccellenza operativa e tecnologica negli impianti di Sarroch. Non è escluso che Saras possa tornare alle sue origini vendendo ad altri operatori servizi di raffinazione».

Scenari

La scommessa del gruppo è anche quella di un cambiamento dello scenario del mercato. «L'industria della raffinazione europea sta attraversando una crisi molto grave dovuta a una situazione paradossale — prosegue il manager —. Da una parte vi è una riduzione dei consumi, dall'altra però proseguono le elevate importazioni di prodotti raffinati da Paesi extraeuropei, che godono di vantaggi competitivi legati a esenzioni fiscali e incentivi di Stato (India e Cina), o costi di approvvigionamento della materia prima notevolmente inferiori (Usa)».

Questi nuovi mattatori stanno tagliando fuori dallo scacchiere del Mediterraneo i petrolieri dell'ex Unione sovietica. «Le compagnie russe sono interessate a comperare impianti industriali in Europa nell'ottica di un completamento della filiera produttiva, dalla produzione fino alla commercializzazione, per trarne il maggior valore possibile».

Per la famiglia milanese invece il biglietto da visita del produttore russo significa la possibilità di partecipare a un gioco geopolitico precluso ai pesci piccoli. «Siamo ottimisti, lo scenario dovrebbe migliorare nei prossimi anni — pronostica Scaffardi —. Vediamo un'opportunità importante nel modo in cui sta mutando il mercato. Per esempio, il fatto che la produzione di grezzo negli Usa sia in continuo aumento: in pochi anni vi è stato un incremento di oltre 1 milione di barili giorno, cioè quasi l'intera produzione di un Paese come la Libia. Questo cambia radicalmente la direzione dei flussi internazionali di greggio. Ad esempio, i greggi prodotti nell'Africa occidentale adesso non trovano più sbocchi di mercato negli Usa e stanno diventando disponibili nel bacino del Mediterraneo. Ciò crea opportunità anche per le società di raffinazione come la nostra».

L'altra valutazione che si sta facendo in casa Saras è l'investimento nella distribuzione retail nazionale come hanno già fatto i competitor Erg (con Total-Erg) e Api (con Ip). L'occasione potrebbe essere la cessione della rete italiana dei distributori Shell. «Shell Retail ci interessa — conferma Scaffardi —. Merita di essere guardata sarebbe uno sviluppo complementare del nostro business». L'altro progetto cui Saras tiene molto è Eleonora, l'estrazione del gas in Sardegna che potrebbe consentire al gruppo di aprire un nuovo fronte di attività e alla regione di abbattere i costi dell'energia.

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Modificato da Ghost Dog

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I Moratti alla fiera dell’est

i capitali del Cremlino per

la saga petrolio & pallone
LA SARAS, IL GIOIELLO DI CASA, NON STACCA CEDOLE DAL 2009 E LO SCORSO ANNO

HA CHIUSO IL BILANCIO IN ROSSO PER 90 MILIONI E COSÌ LA FAMIGLIA HA DETTO

“SÌ” AL NUOVO (INGOMBRANTE) PARTNER IGOR SECHIN DELLA RUSSA ROSNEFT
di ETTORE LIVINI (Repubblica - AFFARI & Finanza 06-05-2013)

La famiglia Moratti ipoteca il suo futuro alla Fiera dell’Est. Mettendosi in tasca qualcosa di più dei due soldi di branduardiana memoria (quattrini benedetti dopo qualche anno di carestia di dividendi) ma accettando un matrimonio d’interesse destinato a cambiare per sempre la sua storia e - così almeno sperano i tifosi nerazzurri - pure quella dell’Inter.

I tempi per le nozze, va detto, erano maturi: la Saras, il gioiello di casa, non stacca cedole dal 2009 e lo scorso anno, complice la crisi della raffinazione europea, ha chiuso il bilancio in rosso per 90 milioni. La squadra di Stramaccioni, se possibile, sta ancora peggio. Specie da quando il presidente Massimo - dopo aver bruciato nelle campagne acquisti di Appiano Gentile buona parte degli 825 milioni incassati con la quotazione del gruppo - ha deciso di chiudere i rubinetti, convertendosi al credo dell’austerity calcistica.

Così, per tornare agli antichi fasti imprenditoriali e sportivi, la dinastia lombarda ha deciso di rinunciare a un pezzo della sua indipendenza. E ha detto “sì” al nuovo (ingombrante) partner arrivato direttamente dal Cremlino: la Rosneft, controllata al 70% dallo stato russo, ha firmato un accordo per rilevare il 21% della Saras. Massimo e Gianmarco si sono messi in tasca 8,2 milioni di euro a testa cedendo un po’ delle azioni che avevano in portafoglio a titolo personale. La Angelo Moratti Sapa - la cassaforte di famiglia - ha girato al neo-alleato una quota del 13,7% incassando 178,5 milioni, ossigeno per i suoi conti un po’ disastrati. E un altro 7,3% verrà rastrellato da Mosca con una mini-Opa a Piazza Affari.

Il controllo dell’impero di raffinerie e distributori messo in piedi dal patriarca Angelo, non cambia: i Moratti, alla fine di questa partita di giro milionaria, ne controlleranno ancora il 50,02%. Ma nulla, per loro, sarà più come prima. Il motivo? La Rosneft non è un socio qualsiasi. E il suo sbarco nell’azionariato - sostengono tutti coloro che hanno avuto a che fare con i russi - è destinato a lasciare un segno indelebile sul Dna del gruppo.

La metamorfosi, anche a livello antropologico, è già iniziata: il vecchio volto della Saras (e in fondo un po’ il marchio di fabbrica dello “stile Moratti”) è quello ironico, spigoloso e un po’ donchisciottesco di Massimo oppure quello riservato di Gianmarco, da anni silenzioso benefattore con la moglie Letizia della Comunità di San Patrignano. Il volto del nuovo corso è invece quello di Darth Fener, Signore oscuro dei Sith, il “cattivo” di Guerre Stellari. Il soprannome con cui è conosciuto in patria Igor Sechin, lo “zar” della Rosneft, fresco di nomina nel consiglio d’amministrazione della società italiana.

Sechin non è un manager qualsiasi: la stampa di Mosca - per dire il caratterino - l’ha soprannominato “l’uomo più spaventoso della terra”. Nel suo curriculum vitae c’è una lunga militanza nel Kgb, qualche anno come braccio destro di Vladimir Putin al municipio di San Pietroburgo e, oggi, la tessera onoraria di numero uno dei Siloviki, i falchi del Cremlino, la lobby di 007 che dopo la Perestroika ha preso le redini dell’industria di Stato. Lui - scegliendo per primo - ha messo le mani sul gigante degli idrocarburi, trasfor-mandolo in pochi anni grazie alle sue relazioni (e ai dossier che conserva in un’agenda di pelle marrone che porta sempre con sé, dicono le malelingue) nella major più aggressiva e dinamica nel risiko del petrolio mondiale.

Si tratta, è evidente a prima vista, di un identikit non proprio complementare alla storia imprenditoriale di casa Moratti. Lontano mille miglia da quella particolarissima forma di capitalismo illuminato alla meneghina in cui il senso della famiglia e i profitti (quando ci sono) si declinano assieme all’impegno sociale, alla beneficenza e a quegli Inter Campus nati come funghi nei paesi più poveri del mondo e applauditi persino nel Palazzo di vetro delle Nazioni Unite.

Pecunia però - specie quando ce n’è bisogno - non olet. L’universo del petrolio, da che mondo è mondo, non è un villaggio Valtur. E anche a Imbersago e dintorni, alla fine, si è deciso di fare di necessità virtù, tappandosi un po’ il naso ma dando l’ok a questo bizzarro matrimonio. Il do ut des è chiaro. La Rosneft porta i capitali, la materia prima - il greggio - per far lavorare gli impianti sardi e regala una boccata d’ossigeno ai conti di famiglia (Massimo è appena stato costretto a rinegoziare il debito della Cmc, la sua holding personale). In cambio incassa una base “strategica” per la raffinazione nel cuore del Mediterraneo. Un asset di vitale importanza, in un momento in cui gli impianti russi sono molto arretrati e quelli del Vecchio continente chiudono a raffica.

L’abbraccio di Mosca, ovvio, rischia di essere un po’ soffocante. La disparità di forze finanziarie dei due partner è sotto gli occhi di tutti. E la Saras rischia di fare la parte del vaso di coccio in un risiko dell’oro nero dove ballano miliardi come noccioline. La Rosneft, per dire, ha firmato intese pesanti con Bp (azionista al 29%), Exxon e persino con l’Eni.

I Moratti però non avevano molte scelte. L’era delle vacche grasse, per i figli e i nipoti del capostipite Angelo, è finita da qualche anno. E i numeri, nella loro fredda logica, raccontano la parabola discendente meglio di tante parole. Nel maggio di sette anni fa - all’epoca della quotazione - la Saras era una sorta di gallina dalle uova d’oro. Macinava utili (259 milioni nel 2005) e i piccoli risparmiatori facevano la fila agli sportelli in banca per aggiudicarsi un po’ di azioni in occasione del collocamento. Un’operazione chiusa con un tutto esaurito monstre (pari a nove miliardi di ordini, il quadruplo del quantitativo offerto) e con i Moratti pronti a raccogliere le uova d’oro: tradotto in vil denaro, gli 1,65 miliardi che Massimo e Gianmarco si sono messi in tasca vendendo un po’ della loro quota.

L’euforia è durata poco: nel giorno del debutto la Saras ha perso il 13%. E da allora ha continuato la sua lenta caduta, accompagnata da un’inchiesta, poi archiviata, della magistratura per falso in prospetto e aggiotaggio. I margini di raffinazione hanno iniziato a perdere colpi, la recessione e le crisi Lehman e subprime hanno ridotto i consumi di petrolio, gli scossoni geo-politici - come lo stop delle forniture del greggio libico dopo la rivolta contro Gheddafi - hanno dato il colpo di grazia. Risultato: il rosso di bilancio del 2012, lo stop triennale alle cedole e un titolo sprofondato da 6 euro a quota un euro.

Soldi in cassa non ce ne sono quasi più. Dei 2 miliardi ricavati dalla quotazione, nelle casse della società ne sono arrivati poco più di 300. Utilizzati per risistemare gli impianti e per una campagna di diversificazione nell’eolico che non ha dato i risultati sperati. La Angelo Moratti Sapa, a secco di dividendi, non ha i soldi né per sostenere la Saras né per remunerare gli azionisti (la terza generazione della dinastia). E anche Massimo e Gianmarco, evidentemente, hanno bruciato parte del tesoretto raccolto nel 2006. Il presidente dell’Inter per dire, non fortunatissimo nemmeno nei suoi investimenti personali a fianco della filiera di Marco Tronchetti Provera, ha staccato in 18 anni oltre 800 milioni di assegni per tappare i buchi nerazzurri.

L’arrivo del principe azzurro dal Cremlino consente ora di voltare pagina. La Saras manderà avanti senza troppi patemi il suo piano industriale 2013-2017. Un progetto fatto in buona parte di razionalizzazione dei costi che potrà ora camminare anche sulle gambe un po’ più solide della Rosneft. La Angelo Moratti dovrebbe realizzare quasi 140 milioni di plusvalenze grazie alla cessione del suo pacchetto azionario a Sechin. E potrà tornare a pompare un po’ di liquidità verso i portafogli della famiglia. Mentre per l’Inter, alle prese pure con il Fair Play della Fifa, continua la ricerca di un socio con cui condividere oneri e onori di Appiano Gentile. Alla Fiera dell’Est, al riguardo, non mancano le occasioni. Ma anche in questa partita (anche se allo stato non esistono progetti) la Rosneft potrebbe dire la sua. La Gazprom, colosso di Mosca del gas su cui, dice il tam tam russo, Rosneft avrebbe messo gli occhi per una maxifusione, sponsorizza già Chelsea, Schalke04 e Zenith. Sechin, di sicuro, non vorrà essere da meno.

Anche l’Inter adesso è sul mercato
vale almeno 400 milioni di euro

LE STIME DI QUALCHE ANNO FA ERANO ANCORA PIÙ ALTE. ORA L’INTERESSE AD ACQUISTARE VIENE DALLA CINA MA ANCHE DA INVESTITORI RUSSI, STATUNITENSI, INDONESIANI E KAZACHI. IL NUOVO STADIO COSTERÀ 250-300 MILIONI
di WALTER GALBIATI (Repubblica - AFFARI & Finanza 06-05-2013)

Non sembra esserci molto di razionale nell’investire soldi, e tanti, in una squadra di calcio. Ma quando si sente dire da chi ha speso più di un miliardo di euro in poco più di dieci anni che «quando vado all’estero per fare affari, mi chiedono prima dell’Inter e poi del petrolio », si può forse immaginare cosa voglia dire avere un club calcistico tra i propri asset. Lo hanno capito bene gli oligarchi russi, gli emiri arabi e i fondi di investimento dei Paesi offshore che non potendo pubblicizzare più di tanto le loro aziende, per lo più impegnate in business a volte imbarazzanti agli occhi dell’opinione pubblica, preferiscono guadagnare la ribalta internazionale con roboanti acquisti di squadre di calcio e di calciatori. Uno degli ultimi a intuirne il valore era stato una decina di anni fa Roman Abramovich che per far sapere di esistere al mondo aveva scelto la strada di rilevare il Chelsea.

Il presidente dell’Inter, Massimo Moratti, sembra averne avuto abbastanza di stare sotto i riflettori. E, dopo aver vinto tutto quello che mai nessun presidente italiano aveva mai vinto in un solo anno, il triplete, cioè la Coppa dei Campioni, lo Scudetto e la Coppa Italia, ha deciso di avviare la dismissione dell’Inter o di una quota della società. Forse sarà un passaggio graduale, attraverso una coabitazione con un investitore come socio di minoranza, prima del nuovo stadio e poi del club, ma di certo la procedura è avviata. Le cifre sono importanti, perché l’Inter nonostante i deludenti risultati degli ultimi due anni è ancora tra i top club mondiali, quelli per cui le valutazioni, nonostante le perdite milionarie annuali, girano intono a due volte il fatturato. Tolti i fronzoli dal valore della produzione, si tratta di 200 milioni l’anno di ricavi che moltiplicati per due fanno 400 milioni di euro per l’intero capitale. Le stime di qualche anno fa erano più scintillanti, ma se così fosse i Moratti, in particolare Massimo che attraverso la Internazionale Holding srl controlla il 98% della società, potrebbe mettersi in tasca vendendo il 49% dell’Inter più di quanto incassato dalla famiglia (178,5 milioni di euro) cedendo il 13,7% della Saras ai russi della Rosneft.

Più o meno in linea con questa valutazione era stata anche l’operazione pensata e persino “firmata” con l’azienda di Stato cinese, la China Railway Construction Corporation, una specie di gigante che in patria si occupa di infrastrutture. Per il 15% dei nerazzurri, gli emissari della società avevano messo sul tavolo 55 milioni di euro, poco per un colosso di quel calibro, ma troppo per il partito che guida il Paese, perché si trattava di un investimento al di fuori dei confini di Stato, per di più in una società privata che si occupa di divertimento. Da qui l’invito ai manager del gruppo di effettuare una repentina retromarcia. Il caso poi ha voluto che l’Inter abbia deciso di chiudere il negozio di Pechino e di Shangai e di affidare le vendite dirette nel Paese asiatico alla piattaforma di e-commerce di Amazon. E così l’amore tra la Cina e l’Inter è per il momento sfumato, anche se tra i nuovi pretendenti potrebbe profilarsi qualche altra società cinese, messa sulla strada proprio dai vecchi mancati compratori.

Una lista approssimativa, ma quanto mai ampia di interessati è stata stilata dai consulenti della Lazard, una banca che si occupa per lo più di grandi acquisizioni e di affari finanziari. Per loro chi vuole investire nell’Inter, deve tener presente tre direttive: è uno dei club più famosi del mondo, rappresenta uno strumento di comunicazione molto potente con un raggio d’azione globale e come brand ha grandi potenzialità di sviluppo. Al momento, la squadra dovrebbe contare su circa venti milioni di tifosi dichiarati, ma con qualche accorgimento se ne potrebbero raggiungerne altri 140 milioni nel mondo. Chiunque potrebbe essere interessato a un brand simile, sia che provenga dalla Russia o dall’India, dall’Asia o dal Messico, dagli Stati Uniti o dai Paesi Arabi.

Non c’è ancora niente di definitivo, ed è stato escluso l’interesse della Rosneft, ma dopo una prima scrematura attesa per fine giugno, entro l’estate potrebbe arrivare il rush finale. La trattativa si limiterà a due o tre pretendenti tra i quali, ad oggi, figurano investitori statunitensi, indonesiani e kazachi. Il primo obiettivo comune dei Moratti e del nuovo socio sarà la costruzione dello stadio da 60mila spettatori per il quale sono stati messi in preventivo investimenti tra i 250 e i 300 milioni di euro. Sorgerà a Milano, o nella zona dell’Expo o più probabilmente nel quartiere di San Donato, vicino alla sede dell’Eni, un’ubicazione che per un petroliere come Moratti non suona nemmeno tanto strana. L’inaugurazione è prevista per il 2017.

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MORTE IN FABBRICA
I MORATTI INDAGATI
PER OMICIDIO COLPOSO

UNO STUDENTE DI 23 ANNI IMPIEGATO A TEMPO COME

OPERAIO ALLO STABILIMENTO SARAS DI SARROCH MORÌ

PER UN GETTO D’ACIDO SOLFIDRICO NELLA RAFFINERIA
LE RESPONSABILITÀ Il pm attribuisce ai vertici della società il dovere

di occuparsi personalmente della sicurezza di chi lavora per loro
di GIORGIO MELETTI (il Fatto Quotidiano 24-05-2013)

Concorso in omicidio colposo: i fratelli Gianmarco e Massimo Moratti sono considerati direttamente e personalmente responsabili della morte di Pierpaolo Pulvirenti, l'operaio ucciso il 12 aprile di due anni fa da un getto di acido solfidrico all'interno della raffineria Saras di Sarroch. Il pubblico ministero Emanuele Secci, nell'avviso di conclusione delle indagini, usa parole severe per i due industriali milanesi e in vista della richiesta di rinvio a giudizio sostiene una tesi che, come suol dirsi, farà discutere. Anche se la raffineria è a centinaia di chilometri dagli uffici milanesi della Saras, anche se i fratelli Moratti hanno alle loro dipendenze, dirette e indirette, migliaia di persone, in quanto datori di lavoro essi devono occuparsi personalmente della sicurezza di chi lavora per loro.

SECCI cita l'articolo 17 del decreto legislativo n. 81 del 2008, architrave della normativa sulla sicurezza in fabbrica: dice che “il datore di lavoro non può delegare la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28”.
Gianmarco e Massimo Moratti saranno quindi chiamati a rispondere di tutti gli atti e di tutte le omissioni derivanti da “imprudenza, imperizia e negligenza” che sono costati la vita a un ragazzo di 23 anni. Cinque in particolare le colpe dei Moratti: non hanno assicurato la corretta bonifica dell'impianto che Pulvirenti era stato mandato a pulire, cosicché l'ha trovato saturo di acido solfidrico; non hanno assicurato l'isolamento dal resto dell'impianto dell'apparecchio dove Pulvirenti doveva entrare per la pulizia; “omettevano di adottare appropriate misure organizzative e di protezione e prevenzione collettiva”; hanno delegato ai capiturno (cioè a operai) le valutazioni dei rischi che la legge vieta di delegare; hanno lasciato che la vita di Pulvirenti fosse affidata a un “documento di valutazione dei rischi” privo dell'individuazione delle procedure di sicurezza.

PIERPAOLO Pulvirenti lavorava alla Saras da tre giorni e non era un operaio, bensì uno studente della facoltà di Farmacia di Catania. La storia della sua morte è per molti aspetti incredibile. Il suo compagno di studi Gabriele Serranò gli aveva segnalato che la Star Service, ditta catanese dove lavorava suo padre e fornitrice della Saras, cercava avventizi per un contratto da venti giorni nella raffineria di Sarroch. I due ragazzi sono partiti per fare due soldi per le vacanze. Prendono servizio l'8 aprile, l'11 l'acido solfidrico li travolge. Si sono arrampicati a 17 metri di altezza sulla colonna DEA3-T1, e hanno aperto il cosiddetto "passo d'uomo", una specie di tappo di lamiera che dà accesso al macchinario per ispezione e pulizia. La colonna era piena di acido solfidrico, che appena si è aperta una fessura nel passo d'uomo ha investito Pulvirenti, asfissiandolo. Il ragazzo è morto all'ospedale di Cagliari poche ore dopo, all'alba del 12 aprile. Serranò, considerato per alcune ore in pericolo di vita, se l'è poi cavata con un ginocchio rotto. Un altro operaio, Luigi Catania, anche lui della Star Service, si è arrampicato per la scala esterna alla colonne per soccorrere i due compagni in difficoltà, ma ha perso i sensi a causa del gas ed è caduto riportando diversi traumi.

INSIEME ai fratelli Moratti sono indagati altri otto dirigenti Saras, tra i quali il direttore generale Dario Scaffardi e l'allora direttore della raffineria di Sarroch, Guido Grosso. Due anni fa, poche settimane dopo la morte di Pulvirenti, i due dirigenti furono condannati per omicidio colposo per la morte dei tre operai (Bruno Muntoni, di 58 anni, Daniele Melis di 29 e Pierluigi Solinas di 27), uccisi il 26 maggio 2009 in circostanze del tutto analoghe a quelle che sono costate la vita a Pulvirenti: fermata primaverile per manutenzione e pulizia, con l'azoto puro al posto dell'acido solfidrico. In quel caso i fratelli Moratti non hanno pagato dazio.
Tra gli indagati anche i dirigenti Antioco Mario Gregu, Giulio Mureddu e Gian Luca Cadeddu, oltre agli operai e tecnici Massimo Basciu, Luciano Capasso, Francesco Casula. Sotto accusa anche il numero uno della Star Service, Adriana Zappalà, il dirigente Antonio Condorelli e il tecnico Pietro Serranò, padre di Gabriele che stava per morire con l'amico Pierpaolo.

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La Sardegna con i trattori
sfida le trivelle di Moratti

PROTESTA CONTRO LE RICHIESTE DELLA SARAS CHE CERCA
IL METANO DOPO LO STOP AL GASDOTTO TRA L’ISOLA E L’ALGERIA

di ROBERTO MORINI (il Fatto Quotidiano 31-05-2013)

Sarà dura per Gianluca Cocco tirare le fila di dieci ore di scontro sull’impatto ambientale del Progetto Eleonora, una perforazione esplorativa vicino ad Arborea alla ricerca del metano. Il dirigente del servizio Si-va (Sostenibilità Ambientale e Valutazione Impatti) della Regione Sardegna ha tentato di moderare un incontro atteso da tempo dai due schieramenti. Da una parte dirigenti ed esperti della Saras, l’azienda energetica della famiglia Moratti (i fratelli Angelo e Massimo sono indagati per omicidio colposo di un operaio nella raffineria di Sarroch). Dall’altra il grande schieramento, dalla Provincia di Oristano fino all’ultimo abitante della zona candidata alla perforazione, che dice no.

I TECNICI SARAS sono stati circondati da mille persone che hanno riempito il centro congressi del resort Horse Country, più altre centinaia che sono rimasti fuori, con i bambini a giocare intorno alla piscina mentre i genitori si davano il cambio. E con i panini pronti, preparati e offerti dalle cooperative agricole, per resistere tutta la giornata senza mollare la presa. Mentre gli agricoltori della Coldiretti hanno schierato i loro trattori ai fianchi della strada di accesso. E fra loro non si è registrata nemmeno una voce amica per l’azienda dei Moratti.

Ci ha messo la faccia Giuseppe Citterio, direttore pianificazione e sviluppo Saras. Spiegando perché è importante per l’isola (e per Saras) scoprire se il metano c’è davvero e, dopo la conferma, tirarlo fuori per abbattere i costi energetici. Ma questo lo sapevano già tutti i presenti, che hanno studiato passo dopo passo il progetto, dal via libera della Regione per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi rilasciato il 18 dicembre 2009.

Saras sembra sicura: il metano c’è, manca solo la conferma di una trivella che scenda ai diversi livelli in cui si può trovare, giù fino a 2800 metri di profondità. Giulio Casula, il geologo della Saras, padre del Progetto Eleonora, si dice sicuro anche che è praticamente puro, senza zolfo. Chiede sei mesi: due per il cantiere, 40 giorni per perforare e fare la prova di produzione, il resto per smantellare e ripristinare il prato, “che tornerà come prima”. Infine Alenia Meloni, responsabile dello studio di impatto ambientale, illustra il lavoro suo e dei suoi collaboratori accademici, secondo il quale l’impatto è praticamente nullo, i rischi quasi inesistenti. Almeno per quanto riguarda questa fase. “Poi, se il metano c’è davvero, serviranno altri permessi, altre valutazioni d’impatto ambientale”, cerca di tranquillizzare la sala, che rischia continuamente di esplodere.

Il Progetto Eleonora è più forte dopo l’annuncio che è slittato di un altro anno il via al gasdotto Galsi, che avrebbe dovuto portare il metano dall’Algeria in Sardegna, unica regione italiana che non ce l’ha. Nei fatti è cancellato: Sonatrach - la società petrolifera del governo algerino, socio di maggioranza di Galsi con il 41 per cento, insieme con Edison, Enel, Hera e Sfirs, la finanziaria della Regione – dopo lo scandalo tangenti che ha coinvolto i suoi vertici con quelli di Eni, ha annunciato martedì scorso che il calo dei consumi energetici dovuto alla crisi costringe a un ripensamento di tutta la strategia.

AD ARBOREA LO SANNO, ma non è questo il punto. Il metano non interessa. Contro Saras parlano tutti, dal presidente della commissione ambiente della Provincia ai sindaci dei Comuni della zona: sono sei i consigli comunali che hanno bocciato all’unanimità il progetto. E parlano gli esperti del comitato per il no. Il loro portavoce Paolo Piras deve spesso prendere il microfono per calmare la platea e ricondurre il dibattito alla sua funzione principale: illustrare le critiche allo studio di impatto presentato da Saras. Poi la Regione darà il responso.

L’opposizione è radicale: le donne e gli uomini che hanno riempito la sala, come hanno fatto nei mesi scorsi con le piazze, non vogliono mettere a rischio le loro certezze, un lavoro sicuro per un futuro incerto. Oggi ad Arborea ci sono aziende agricole che funzionano. Da ottant’anni, dalle bonifiche fasciste, questa è la vocazione di un territorio che è riuscito ad affrontare anche questi duri anni di crisi. Dicono che bisogna investire sull’industria di trasformazione. Non vogliono lasciare una certezza e una ipotesi di ulteriore sviluppo agricolo per qualcosa che potrebbe danneggiare l’ambiente e le persone. O quantomeno l’immagine dei loro prodotti. Qualcuno cita gli studi sulla zona di Sarroch, vicino a Cagliari, dove la Saras ha la sua raffineria sarda: ci sarebbe un alto numero di bambini il cui patrimonio genetico è stato danneggiato dall’inquinamento della fabbrica. Non c’entra niente con il metano, ma serve a ribadire: di questi signori non ci fidiamo.

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10 LUG 2013 18:26

ROSSI DI VERGOGNA – L’AVVOCATONE D’AFFARI GUIDO ROSSI RIMBORSA 150MILA EURO AL COMUNE DI SESTO INTASCATI PER UNA “CONSULENZA VERBALE”

Il superconsulente delle ex Aree Falck, Guido Rossi, restituisce una parte dei soldi ricevuti per una “consulenza verbale” finita nel mirino di opposizione e Corte dei Conti - Aveva intascato la bellezza di 1860 euro all'ora - Ora è stato costretto a mettere mano al portafogli...


Da "Libero"

Il superconsulente delle ex Aree Falck Guido Rossi, luminare e uomo di fiducia di Prodi, ha restituito al Comune di Sesto 150 mila euro, ossia parte dei soldi che aveva ricevuto per una consulenza realizzata tra il 2007 e il 2008 solo attraverso incontri verbali e che gli era valsa ben 1860 euro all'ora.

Era stato il consigliere del Pdl Lamiranda a presentare un esposto alla Corte dei Conti su questa «consulenza». Solo dopo lo scoppio del Sistema Sesto, i giudici contabili hanno deciso di condannare l'ex direttore generale Marco Bertoli a risarcire le casse pubbliche per la consulenza illegittima.

A questo punto Rossi è stato costretto a metter mano al portafogli. Soddisfatti l'accusatore e il consigliere Pdl, che tuonano: «È una vittoria dei cittadini onesti, vittime del Sistema Sesto, non certo dell'attuale amministrazione».

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/rossi-di-vergogna-lavvocatone-daffari-guido-rossi-rimborsa-150mila-euro-al-comune-di-sesto-59248.htm

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Lo schifo che si accumula

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Non ho letto il topic quindi non so se magari è stato già postato, mi servirebbe un link funzionante della prima e della seconda parte di OIL l' olio nero dei moratti, volevo comprarlo al salone del libro ma al momento non era disponibile.

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VENDERE
o non vendere

Massimo Moratti sa che prima o poi dovrà rinunciare al suo
giocattolo: è il fratello a ricordarglielo. Ma non vuole. E così
fa di tutto per scoraggiare il potenziale compratore indonesiano

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 8 agosto 2013)

Per una forma specifica di daltonismo, Massimo Moratti riconosce soltanto due colori: il nero e l'azzurro. Ahilui, è sommerso dal rosso. Deve vendere l'Inter, non può non vendere l'Inter, farà di tutto per tenersi l'Inter. La squadra è la sua vita, la sua passione. Inutile cercare di spiegarlo razionalmente. Certo è che dei soldi spesi per vincere Moratti se ne frega e lo ha dimostrato in campo.

Il 30 giugno scorso, 70 milioni di euro abbondanti sono andati ad aggiungersi a oltre 1,5 miliardi di euro di conti in passivo accumulati da quando, nel gelido febbraio del 1995, il figlio del petroliere Angelo Moratti si riprese la squadra che era stata del padre.

L'acquisto dell'Inter, oltre 18 anni fa, è stata una questione di famiglia. Esattamente come la cessione dell'Inter oggi. Il fratello maggiore Gianmarco Moratti, che condivide fifty-fifty con Massimo la quota di controllo delle raffinerie Saras e che non ha mai messo piede nella governance del club, ha sufficiente potere di moral suasion per chiedere a Massimo di non persistere in un'avventura finanziariamente disastrosa. Il rischio è di finire come un collega del ramo petroli. Si chiamava Franco Sensi, ha vinto uno scudetto con la Roma e ha dilapidato quasi tutto il patrimonio pagando ingaggi e premi partita ai giovanotti in maglia giallorossa.

Fino a oggi Gianmarco le ha tentate tutte con il fratello. Glielo ha chiesto con le buone. Gli ha piazzato i suoi uomini di fiducia in marcatura. Ha mostrato i conti in sofferenza della Angelo Moratti sapa, l'accomandita di famiglia che non distribuisce dividendi da quattro anni, e i 154 milioni di perdite della Saras nel 2012 tanto che ad aprile, per sostenere le raffinerie di Sarroch, i due fratelli hanno dovuto cedere il 21 per cento ai russi di Rosneft, colosso energetico della Federazione Russa, per 178 milioni di euro. Ma quando si parla di calcio il presidente del Fc Internazionale guizza e salta l'uomo come il Ronaldo dei tempi migliori.

La sua trattativa con l'indonesiano Erick Thohir, 43 anni, è un manuale di melina difensiva e contropiedi provocatori. Le occasioni per rinviare il pallone in tribuna sono infinite. Bisogna stabilire la quota da vendere, la governance del nuovo azionariato, quale ruolo avrà la famiglia Moratti, chi e in quale misura si farà carico dei debiti passati, degli investimenti di mercato imminenti e delle perdite future. Il saldo di questa complessità è che la firma, annunciata per domenica 28 luglio nello studio di un notaio milanese, è stata rinviata dopo un pranzo al Cafè Armani il 25 luglio. Quel giovedì di afa indonesiana il negoziato ha rischiato di saltare una volta per tutte e pare che sia stato decisivo il ruolo di collegamento svolto da Angelomario Moratti, detto Mao, uno dei tre figli di Massimo coinvolti nell'amministrazione nerazzurra insieme ai fratelli Giovanni (Gigio) e Carlotta contro un solo figlio di Gianmarco (Angelo Gino). Adesso si parla di qualche settimana per portare a termine l'affare, magari con un nuovo socio indonesiano, Rosan Perkasa Roeslani, coinvolto nella partita.

Ma se il padrone della trattativa dalla parte italiana è Massimo Moratti, resta da capire chi deciderà dalla parte asiatica. Con un décalage temporale di 25 anni, l'aspirante venditore Massimo e l'aspirante compratore Erick sono figli del fondatore dell'azienda. L'equivalente indonesiano di Angelo Moratti si chiama Mochamad Teddy Thohir e ha fatto carriera nella multinazionale farmaceutica Usa Union Carbide prima di diventare la guida di un gruppo (Astra international) da 15 miliardi di dollari di ricavi con 130 mila dipendenti.

A 78 anni il vecchio Thohir, appassionato di rivoluzionari italiani tanto da chiamare uno dei suoi figli Garibaldi, tiene salde in pugno le chiavi della cassaforte. Per adesso, non ha svolto alcun ruolo nella trattativa per il club milanese e questo ha indispettito, o riempito di segreta gioia, Moratti. Thohir senior non appare entusiasta, anche se il figlio ha già investito nello sport professionistico. Da novembre del 2012 Erick è comproprietario della squadra di soccer di Washington (Dc United), una delle peggiori della Major League, insieme a Jason Levien e a Will Chang. Inoltre è azionista dei Sixers di Philadelphia, franchigia della National basketball association che non vince un campionato dai tempi di Julius "Doctor J" Erving, giusto trent'anni fa.

L'investimento nel calcio americano è costato a Eric Thohir 25 milioni di dollari. Cioè uno scherzo rispetto all'impegno richiesto dall'Inter e dal mondo del calcio europeo, un sistema che si regge in piedi soltanto perché è perennemente assistito da colossali iniezioni di liquidità a cura di oligarchi e sceicchi, con buona pace del fair play finanziario invocato dall'Uefa di Michel Platini.

Anche ammesso che i Thohir siano disposti a intervenire nel club nerazzurro con la potenza di fuoco dei vari al Nahyan (Manchester City), al Thani (Psg, Malaga), Abramovich (Chelsea), resta il problema che le cordate all'americana nel calcio non funzionano, che il timoniere deve essere uno, possibilmente il proprietario, e che la sua presenza deve essere quotidiana. Hanno dimostrato il teorema proprio le difficoltà degli americani dell'As Roma, troppo fiduciosi sulla possibilità di esportare gli schemi dello sport statunitense nella realtà italiana.

La convivenza dei nuovi proprietari con un socio di minoranza ingombrante come la famiglia Moratti rischia di essere svantaggiosa per gli indonesiani. Alla prima contestazione popolare, si troverebbero a giocare fuori casa contro un ex presidente cresciuto negli spogliatoi di San Siro, prima come figlio di Angelo e testimone della grande Inter di Helenio Herrera, poi come vincitore del "Triplete", il trionfo in campionato, Coppa Italia e Champions League nel 2010.

Per inciso, tra tutti questi trofei soltanto la Champions è davvero redditizia. Gli scudetti sono soltanto soldi buttati in premi e, dei cinque vinti da Moratti, l'unico gratuito è stato quello di Calciopoli, assegnato a tavolino. In questo sono maestri i cugini milanisti che ormai fanno l'impossibile per non vincere un campionato purché sia garantita la qualificazione alla Champions League.

Con questo scenario, l'opzione ideale probabilmente non esiste. Il presidente dell'Inter, conti alla mano, non può tirare troppo la corda. Anche i ricchi hanno bisogno di cash, se no piangono. Da questo punto di vista, il 2012 è stato un anno complicato per i redditi di Massimo Moratti. La fame è lontana come Leo Messi in nerazzurro. Tuttavia, il problema dell'argent de poche è stato superato in zona Cesarini il 31 dicembre 2012 con un paio di operazioni straordinarie della Cmc, la holding personale che Moratti fa gestire al suo fidatissimo commercialista Rinaldo Ghelfi, vicepresidente dell'Inter. Cmc, che ha in portafoglio circa 20 milioni di euro in pacchetti azionari di Camfin-Pirelli e di Sator, la boutique finanziaria di Matteo Arpe, ha liquidato al socio di controllo Moratti 15 milioni di euro. In parte, era la restituzione di un prestito fatto dall'azionista e in parte era la liquidazione, con plusvalenza di 7 milioni di euro, di una quota in un hedge fund messo in piedi dalla stessa Sator.

Non si può vivere di operazioni straordinarie in finanza, come non si può aspettare un Triplete ogni anno. La trattativa con Thohir è un'opportunità più unica che rara, peraltro costruita dalla controllata Inter Brand con una campagna di proselitismo che ha portato a organizzarei 56 Inter club in Indonesia con 14 mila iscritti. Anche in Cina gli uomini del marketing nerazzurro avevano aperto due store dedicati a Pechino e Shanghai, ma è andata male. I negozi sono stati chiusi e le magliette sono finite in vendita sulla piattaforma e-commerce di Amazon. È finita male anche la trattativa con i nuovi soci cinesi, annunciata da un comunicato stampa con data 1 agosto 2012, sembra un secolo.

Si era parlato di quote da cedere, di nuovo stadio con i partner della Repubblica popolare. Poi, più niente. L'atroce sospetto, a questo punto, è che l'Inter indonesiana finisca come l'Inter cinese della scorsa stagione: internazionale nei giocatori, milanesissima nel capitale.

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RIASSETTO Cambia l’azionariato della società petrolifera
I fratelli Moratti si dividono Saras
Sciolta la cassaforte di famiglia: da ottobre Gian Marco e Massimo avranno il 25% ciascuno
EQUILIBRI Gli analisti: «Rosneft non si fermerà al 21%. Ora più forza nella trattativa»
di GIAN MARIA DE FRANCESCO (il Giornale 02-08-2013)

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Novità in casa Moratti. Il consiglio di amministrazione della Angelo Moratti Sapa, l’accomandita che riunisce Gian Marco e Massimo e che controlla il 50,02% di Saras, ha approvato il progetto di scissione a favore di due società di nuova costituzione che saranno interamente possedute dai due fratelli. L’operazione avrà efficacia dal prossimo primo ottobre e non avrà nessuna conseguenza sul controllo di Saras. L’intero patrimonio della Angelo Moratti Sapa, inclusa la partecipazione in Saras, sarà diviso a metà e l’accomandita sarà sciolta.

Le due newco, infatti, sottoscriveranno un patto parasociale che prevede l’esercizio congiunto dei diritti di voto sulla controllata. Ognuna delle due società, inoltre, non potrà trasferire, né totalmente né parzialmente, le azioni senza il consenso dell’altra. Insomma, a partire da ottobre il presidente Gian Marco Moratti e l’ad Massimo Moratti controlleranno direttamente il proprio 25,01 per cento.

Il cambio di strategia non è stato determinato da divergenze tra i due fratelli. Entrambi continuano ad andare d’accordo. Secondo fonti interne, la scissione sarebbe funzionale alla maggiore responsabilizzazione della terza generazione che adesso sarà direttamente coinvolta a livello proprietario oltreché gestionale. Analogamente, occorre precisare che la «questione Inter» non riguarda la decisione annunciata ieri. La squadra di calcio è gestita da Massimo Moratti con il proprio patrimonio personale e, quindi, non esistono garanzie sul debito della «Beneamata» (superiore ai 400 milioni) che coinvolgano - anche indirettamente - Saras.

La motivazione più plausibile per il cambiamento annunciato ieri è rintracciabile, sondando il mondo degli analisti finanziari. «È chiaro che, dopo l’Opa parziale, i russi di Rosneft non si accontenteranno di restare a lungo al 21% e quindi la famiglia Moratti si è in qualche modo preparata al futuro», commenta un esperto del settore. Il business petrolifero (la raffinazione in particolar modo) sta vivendo, infatti, uno dei momenti più delicati dalla guerra del Kippur. I margini di raffinazione continuano a essere sotto pressione e collocare la produzione diventa sempre più complicato per quelle società che, a differenza di Eni, di Erg o del gruppo Api, non possono contare su una rete di distribuzione dei carburanti. Un impatto molto pesante, inoltre, potrebbe derivare da uno stop agli incentivi Cip6 che minerebbe la redditività degli impianti di generazione.

Rosneft, che in Saras ha investito 270 milioni tra il 13,7% comprato dai Moratti e il 7,5% ritirato con l’Opa, intende creare una joint venture che fornirà uno sbocco ai prodotti della raffineria di Sarroch. I russi hanno messo un piede in Europa (avvalendosi di un trattamento fiscale migliore di quello che avrebbero in patria), ma di certo non si fermeranno al primo passo.


In autunno il divorzio
I fratelli Moratti separati in casa
La Saras non produce più utili né dividendi, l’Inter divora soldi che non ci sono più e tratta con l’indonesiano
Gian Marco e Massimo smontano la cassaforte di famiglia e si dividono il patrimonio creato dal papà Angelo

di NINO SUNSERI (Libero 02-08-2013)

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La favola della grande famiglia brianzola è finita. Il decoro meneghino che ha sempre accompagnato i fratelli Massimo e Gian Marco Moratti appartiene al passato. Rompono il loro sodalizio di affari e, a questo punto, probabilmente anche di affetti. Verrà sciolta la Angelo Moratti Sapa, la cassaforte di famiglia cui fa capo il 50,02% della Saras, la raffineria alle porte di Cagliari che rappresenta il tesoro della dinastia. Le azioni della scatola verranno assegnate in forma paritetica ai due fratelli che a questo punto potranno decidere del loro futuro. È vero che alcuni legami restano come un patto di sindacato e l’obbligo, nel caso che uno dei due rami voglia vendere di offrire le quote al fratello. Ma si tratta di orpelli giuridici. La realtà è quella della rottura in famiglia. Per adesso separati in casa. Poi si arriverà al divorzio. Certo, per Saras, al momento non cambia nulla tant’è che il titolo non si è mosso in Borsa. Ma è solo una tregua.

Che cosa è successo? Le note ufficiali non dicono molto. Allora giocano le indiscrezioni che parlano di crescenti divergenze fra due fratelli molto diversi. Gian Marco, riservato e silenzioso che insieme alla moglie Letizia sostiene finanziariamente la Comunità di San Patrignano e, vivo Muccioli, passava da quelle parti molto del tempo libero. Dall’altro Massimo, più vulcanico ed estroverso, marito di Milly, grande animatrice dei circoli ambientalisti milanesi e spesso in conflitto con la cognata sindaco. Ma ovviamente c’è di più. Per esempio la terza generazione che spinge per prendere il timone. A cominciare da Angelo Mario, più noto come Mao, figlio di Massimo che, quarantenne, vorrebbe prendere spazio in azienda. Deve, però, dare i conti con Gabriele, il cugino di 34 anni che tuttavia ha già qualche peccatuccio da farsi perdonare. Per esempio la condanna a una multa di 49mila euro per il “Bat appartamento” che aveva realizzato a Milano. Una ristrutturazione effettuata senza chiedere il permesso al Comune, nonostante il sindaco fosse mamma Letizia.

Gelosie, conflitti, ripicche, come sempre accade nella grandi dinastie che perdono il collante di affari e affetti. E su questo fronte i problemi non mancano. A cominciare da quelli di Massimo che ha dovuto ristrutturare il debito della sua holding personale spossata dalle spese per sostenere l’Inter. Così si spiegano le trattative per cedere la squadra al magnate indonesiano Erick Thohir. E probabilmente nascono proprio da qui le difficoltà di tutto l’impero, tanto da aver fatto entrare con una quota del 21% il colosso russo Roseneft incassando 178 milioni. Il primo passo verso l’abdicazione. I Moratti però non avevano molte scelte. L’era delle vacche grasse, per i figli e i nipoti del capostipite Angelo, è finita da qualche anno. I numeri raccontano la parabola discendente meglio di tante parole. Nel maggio di sette anni fa - all’epoca della quotazione - la Saras era una sorta di gallina dalle uova d’oro. Macinava utili (259 milioni nel 2005) e i piccoli risparmiatori facevano la fila agli sportelli in banca per aggiudicarsi un po’ di azioni in occasione del collocamento. Un’operazione chiusa con il tutto esaurito (pari a nove miliardi di ordini, il quadruplo del quantitativo offerto) e con i Moratti pronti a raccogliere le uova d’oro: tradotto in vil denaro, gli 1, 65 miliardi che Massimo e Gian Marco si sono messi in tasca vendendo un po’ della loro quota. L’euforia è durata poco: nel giorno del debutto la Saras ha perso il 13%. E da allora ha continuato la sua lenta caduta, accompagnata da un’inchiesta, poi archiviata, della magistratura per falso in prospetto e aggiotaggio. I margini di raffinazione hanno iniziato a perdere colpi. La recessione ha fatto il resto. Risultato: il rosso di bilancio del 2012, lo stop triennale alle cedole e un titolo sprofondato da 6 euro a quota un euro. Soldi in cassa non ce ne sono quasi più. La Angelo Moratti Sapa, a secco di dividendi, non ha i soldi né per sostenere la Saras né per remunerare gli azionisti (la terza generazione della dinastia). A questo punto non restava che il divorzio.

Il Sole 24ORE 02-08-2013
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VENDERE

o non vendere

Massimo Moratti sa che prima o poi dovrà rinunciare al suo

giocattolo: è il fratello a ricordarglielo. Ma non vuole. E così

fa di tutto per scoraggiare il potenziale compratore indonesiano

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 8 agosto 2013)

Per una forma specifica di daltonismo, Massimo Moratti riconosce soltanto due colori: il nero e l'azzurro. Ahilui, è sommerso dal rosso. Deve vendere l'Inter, non può non vendere l'Inter, farà di tutto per tenersi l'Inter. La squadra è la sua vita, la sua passione. Inutile cercare di spiegarlo razionalmente. Certo è che dei soldi spesi per vincere Moratti se ne frega e lo ha dimostrato in campo.

Il 30 giugno scorso, 70 milioni di euro abbondanti sono andati ad aggiungersi a oltre 1,5 miliardi di euro di conti in passivo accumulati da quando, nel gelido febbraio del 1995, il figlio del petroliere Angelo Moratti si riprese la squadra che era stata del padre.

L'acquisto dell'Inter, oltre 18 anni fa, è stata una questione di famiglia. Esattamente come la cessione dell'Inter oggi. Il fratello maggiore Gianmarco Moratti, che condivide fifty-fifty con Massimo la quota di controllo delle raffinerie Saras e che non ha mai messo piede nella governance del club, ha sufficiente potere di moral suasion per chiedere a Massimo di non persistere in un'avventura finanziariamente disastrosa. Il rischio è di finire come un collega del ramo petroli. Si chiamava Franco Sensi, ha vinto uno scudetto con la Roma e ha dilapidato quasi tutto il patrimonio pagando ingaggi e premi partita ai giovanotti in maglia giallorossa.

Fino a oggi Gianmarco le ha tentate tutte con il fratello. Glielo ha chiesto con le buone. Gli ha piazzato i suoi uomini di fiducia in marcatura. Ha mostrato i conti in sofferenza della Angelo Moratti sapa, l'accomandita di famiglia che non distribuisce dividendi da quattro anni, e i 154 milioni di perdite della Saras nel 2012 tanto che ad aprile, per sostenere le raffinerie di Sarroch, i due fratelli hanno dovuto cedere il 21 per cento ai russi di Rosneft, colosso energetico della Federazione Russa, per 178 milioni di euro. Ma quando si parla di calcio il presidente del Fc Internazionale guizza e salta l'uomo come il Ronaldo dei tempi migliori.

La sua trattativa con l'indonesiano Erick Thohir, 43 anni, è un manuale di melina difensiva e contropiedi provocatori. Le occasioni per rinviare il pallone in tribuna sono infinite. Bisogna stabilire la quota da vendere, la governance del nuovo azionariato, quale ruolo avrà la famiglia Moratti, chi e in quale misura si farà carico dei debiti passati, degli investimenti di mercato imminenti e delle perdite future. Il saldo di questa complessità è che la firma, annunciata per domenica 28 luglio nello studio di un notaio milanese, è stata rinviata dopo un pranzo al Cafè Armani il 25 luglio. Quel giovedì di afa indonesiana il negoziato ha rischiato di saltare una volta per tutte e pare che sia stato decisivo il ruolo di collegamento svolto da Angelomario Moratti, detto Mao, uno dei tre figli di Massimo coinvolti nell'amministrazione nerazzurra insieme ai fratelli Giovanni (Gigio) e Carlotta contro un solo figlio di Gianmarco (Angelo Gino). Adesso si parla di qualche settimana per portare a termine l'affare, magari con un nuovo socio indonesiano, Rosan Perkasa Roeslani, coinvolto nella partita.

Ma se il padrone della trattativa dalla parte italiana è Massimo Moratti, resta da capire chi deciderà dalla parte asiatica. Con un décalage temporale di 25 anni, l'aspirante venditore Massimo e l'aspirante compratore Erick sono figli del fondatore dell'azienda. L'equivalente indonesiano di Angelo Moratti si chiama Mochamad Teddy Thohir e ha fatto carriera nella multinazionale farmaceutica Usa Union Carbide prima di diventare la guida di un gruppo (Astra international) da 15 miliardi di dollari di ricavi con 130 mila dipendenti.

A 78 anni il vecchio Thohir, appassionato di rivoluzionari italiani tanto da chiamare uno dei suoi figli Garibaldi, tiene salde in pugno le chiavi della cassaforte. Per adesso, non ha svolto alcun ruolo nella trattativa per il club milanese e questo ha indispettito, o riempito di segreta gioia, Moratti. Thohir senior non appare entusiasta, anche se il figlio ha già investito nello sport professionistico. Da novembre del 2012 Erick è comproprietario della squadra di soccer di Washington (Dc United), una delle peggiori della Major League, insieme a Jason Levien e a Will Chang. Inoltre è azionista dei Sixers di Philadelphia, franchigia della National basketball association che non vince un campionato dai tempi di Julius "Doctor J" Erving, giusto trent'anni fa.

L'investimento nel calcio americano è costato a Eric Thohir 25 milioni di dollari. Cioè uno scherzo rispetto all'impegno richiesto dall'Inter e dal mondo del calcio europeo, un sistema che si regge in piedi soltanto perché è perennemente assistito da colossali iniezioni di liquidità a cura di oligarchi e sceicchi, con buona pace del fair play finanziario invocato dall'Uefa di Michel Platini.

Anche ammesso che i Thohir siano disposti a intervenire nel club nerazzurro con la potenza di fuoco dei vari al Nahyan (Manchester City), al Thani (Psg, Malaga), Abramovich (Chelsea), resta il problema che le cordate all'americana nel calcio non funzionano, che il timoniere deve essere uno, possibilmente il proprietario, e che la sua presenza deve essere quotidiana. Hanno dimostrato il teorema proprio le difficoltà degli americani dell'As Roma, troppo fiduciosi sulla possibilità di esportare gli schemi dello sport statunitense nella realtà italiana.

La convivenza dei nuovi proprietari con un socio di minoranza ingombrante come la famiglia Moratti rischia di essere svantaggiosa per gli indonesiani. Alla prima contestazione popolare, si troverebbero a giocare fuori casa contro un ex presidente cresciuto negli spogliatoi di San Siro, prima come figlio di Angelo e testimone della grande Inter di Helenio Herrera, poi come vincitore del "Triplete", il trionfo in campionato, Coppa Italia e Champions League nel 2010.

Per inciso, tra tutti questi trofei soltanto la Champions è davvero redditizia. Gli scudetti sono soltanto soldi buttati in premi e, dei cinque vinti da Moratti, l'unico gratuito è stato quello di Calciopoli, assegnato a tavolino. In questo sono maestri i cugini milanisti che ormai fanno l'impossibile per non vincere un campionato purché sia garantita la qualificazione alla Champions League.

Con questo scenario, l'opzione ideale probabilmente non esiste. Il presidente dell'Inter, conti alla mano, non può tirare troppo la corda. Anche i ricchi hanno bisogno di cash, se no piangono. Da questo punto di vista, il 2012 è stato un anno complicato per i redditi di Massimo Moratti. La fame è lontana come Leo Messi in nerazzurro. Tuttavia, il problema dell'argent de poche è stato superato in zona Cesarini il 31 dicembre 2012 con un paio di operazioni straordinarie della Cmc, la holding personale che Moratti fa gestire al suo fidatissimo commercialista Rinaldo Ghelfi, vicepresidente dell'Inter. Cmc, che ha in portafoglio circa 20 milioni di euro in pacchetti azionari di Camfin-Pirelli e di Sator, la boutique finanziaria di Matteo Arpe, ha liquidato al socio di controllo Moratti 15 milioni di euro. In parte, era la restituzione di un prestito fatto dall'azionista e in parte era la liquidazione, con plusvalenza di 7 milioni di euro, di una quota in un hedge fund messo in piedi dalla stessa Sator.

Non si può vivere di operazioni straordinarie in finanza, come non si può aspettare un Triplete ogni anno. La trattativa con Thohir è un'opportunità più unica che rara, peraltro costruita dalla controllata Inter Brand con una campagna di proselitismo che ha portato a organizzarei 56 Inter club in Indonesia con 14 mila iscritti. Anche in Cina gli uomini del marketing nerazzurro avevano aperto due store dedicati a Pechino e Shanghai, ma è andata male. I negozi sono stati chiusi e le magliette sono finite in vendita sulla piattaforma e-commerce di Amazon. È finita male anche la trattativa con i nuovi soci cinesi, annunciata da un comunicato stampa con data 1 agosto 2012, sembra un secolo.

Si era parlato di quote da cedere, di nuovo stadio con i partner della Repubblica popolare. Poi, più niente. L'atroce sospetto, a questo punto, è che l'Inter indonesiana finisca come l'Inter cinese della scorsa stagione: internazionale nei giocatori, milanesissima nel capitale.

acnQ3zpa.jpg

RIASSETTO Cambia l’azionariato della società petrolifera

I fratelli Moratti si dividono Saras

Sciolta la cassaforte di famiglia: da ottobre Gian Marco e Massimo avranno il 25% ciascuno

EQUILIBRI Gli analisti: «Rosneft non si fermerà al 21%. Ora più forza nella trattativa»

di GIAN MARIA DE FRANCESCO (il Giornale 02-08-2013)

acvy9rqm.jpg

Novità in casa Moratti. Il consiglio di amministrazione della Angelo Moratti Sapa, l’accomandita che riunisce Gian Marco e Massimo e che controlla il 50,02% di Saras, ha approvato il progetto di scissione a favore di due società di nuova costituzione che saranno interamente possedute dai due fratelli. L’operazione avrà efficacia dal prossimo primo ottobre e non avrà nessuna conseguenza sul controllo di Saras. L’intero patrimonio della Angelo Moratti Sapa, inclusa la partecipazione in Saras, sarà diviso a metà e l’accomandita sarà sciolta.

Le due newco, infatti, sottoscriveranno un patto parasociale che prevede l’esercizio congiunto dei diritti di voto sulla controllata. Ognuna delle due società, inoltre, non potrà trasferire, né totalmente né parzialmente, le azioni senza il consenso dell’altra. Insomma, a partire da ottobre il presidente Gian Marco Moratti e l’ad Massimo Moratti controlleranno direttamente il proprio 25,01 per cento.

Il cambio di strategia non è stato determinato da divergenze tra i due fratelli. Entrambi continuano ad andare d’accordo. Secondo fonti interne, la scissione sarebbe funzionale alla maggiore responsabilizzazione della terza generazione che adesso sarà direttamente coinvolta a livello proprietario oltreché gestionale. Analogamente, occorre precisare che la «questione Inter» non riguarda la decisione annunciata ieri. La squadra di calcio è gestita da Massimo Moratti con il proprio patrimonio personale e, quindi, non esistono garanzie sul debito della «Beneamata» (superiore ai 400 milioni) che coinvolgano - anche indirettamente - Saras.

La motivazione più plausibile per il cambiamento annunciato ieri è rintracciabile, sondando il mondo degli analisti finanziari. «È chiaro che, dopo l’Opa parziale, i russi di Rosneft non si accontenteranno di restare a lungo al 21% e quindi la famiglia Moratti si è in qualche modo preparata al futuro», commenta un esperto del settore. Il business petrolifero (la raffinazione in particolar modo) sta vivendo, infatti, uno dei momenti più delicati dalla guerra del Kippur. I margini di raffinazione continuano a essere sotto pressione e collocare la produzione diventa sempre più complicato per quelle società che, a differenza di Eni, di Erg o del gruppo Api, non possono contare su una rete di distribuzione dei carburanti. Un impatto molto pesante, inoltre, potrebbe derivare da uno stop agli incentivi Cip6 che minerebbe la redditività degli impianti di generazione.

Rosneft, che in Saras ha investito 270 milioni tra il 13,7% comprato dai Moratti e il 7,5% ritirato con l’Opa, intende creare una joint venture che fornirà uno sbocco ai prodotti della raffineria di Sarroch. I russi hanno messo un piede in Europa (avvalendosi di un trattamento fiscale migliore di quello che avrebbero in patria), ma di certo non si fermeranno al primo passo.

In autunno il divorzio

I fratelli Moratti separati in casa

La Saras non produce più utili né dividendi, l’Inter divora soldi che non ci sono più e tratta con l’indonesiano

Gian Marco e Massimo smontano la cassaforte di famiglia e si dividono il patrimonio creato dal papà Angelo

di NINO SUNSERI (Libero 02-08-2013)

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La favola della grande famiglia brianzola è finita. Il decoro meneghino che ha sempre accompagnato i fratelli Massimo e Gian Marco Moratti appartiene al passato. Rompono il loro sodalizio di affari e, a questo punto, probabilmente anche di affetti. Verrà sciolta la Angelo Moratti Sapa, la cassaforte di famiglia cui fa capo il 50,02% della Saras, la raffineria alle porte di Cagliari che rappresenta il tesoro della dinastia. Le azioni della scatola verranno assegnate in forma paritetica ai due fratelli che a questo punto potranno decidere del loro futuro. È vero che alcuni legami restano come un patto di sindacato e l’obbligo, nel caso che uno dei due rami voglia vendere di offrire le quote al fratello. Ma si tratta di orpelli giuridici. La realtà è quella della rottura in famiglia. Per adesso separati in casa. Poi si arriverà al divorzio. Certo, per Saras, al momento non cambia nulla tant’è che il titolo non si è mosso in Borsa. Ma è solo una tregua.

Che cosa è successo? Le note ufficiali non dicono molto. Allora giocano le indiscrezioni che parlano di crescenti divergenze fra due fratelli molto diversi. Gian Marco, riservato e silenzioso che insieme alla moglie Letizia sostiene finanziariamente la Comunità di San Patrignano e, vivo Muccioli, passava da quelle parti molto del tempo libero. Dall’altro Massimo, più vulcanico ed estroverso, marito di Milly, grande animatrice dei circoli ambientalisti milanesi e spesso in conflitto con la cognata sindaco. Ma ovviamente c’è di più. Per esempio la terza generazione che spinge per prendere il timone. A cominciare da Angelo Mario, più noto come Mao, figlio di Massimo che, quarantenne, vorrebbe prendere spazio in azienda. Deve, però, dare i conti con Gabriele, il cugino di 34 anni che tuttavia ha già qualche peccatuccio da farsi perdonare. Per esempio la condanna a una multa di 49mila euro per il “Bat appartamento” che aveva realizzato a Milano. Una ristrutturazione effettuata senza chiedere il permesso al Comune, nonostante il sindaco fosse mamma Letizia.

Gelosie, conflitti, ripicche, come sempre accade nella grandi dinastie che perdono il collante di affari e affetti. E su questo fronte i problemi non mancano. A cominciare da quelli di Massimo che ha dovuto ristrutturare il debito della sua holding personale spossata dalle spese per sostenere l’Inter. Così si spiegano le trattative per cedere la squadra al magnate indonesiano Erick Thohir. E probabilmente nascono proprio da qui le difficoltà di tutto l’impero, tanto da aver fatto entrare con una quota del 21% il colosso russo Roseneft incassando 178 milioni. Il primo passo verso l’abdicazione. I Moratti però non avevano molte scelte. L’era delle vacche grasse, per i figli e i nipoti del capostipite Angelo, è finita da qualche anno. I numeri raccontano la parabola discendente meglio di tante parole. Nel maggio di sette anni fa - all’epoca della quotazione - la Saras era una sorta di gallina dalle uova d’oro. Macinava utili (259 milioni nel 2005) e i piccoli risparmiatori facevano la fila agli sportelli in banca per aggiudicarsi un po’ di azioni in occasione del collocamento. Un’operazione chiusa con il tutto esaurito (pari a nove miliardi di ordini, il quadruplo del quantitativo offerto) e con i Moratti pronti a raccogliere le uova d’oro: tradotto in vil denaro, gli 1, 65 miliardi che Massimo e Gian Marco si sono messi in tasca vendendo un po’ della loro quota. L’euforia è durata poco: nel giorno del debutto la Saras ha perso il 13%. E da allora ha continuato la sua lenta caduta, accompagnata da un’inchiesta, poi archiviata, della magistratura per falso in prospetto e aggiotaggio. I margini di raffinazione hanno iniziato a perdere colpi. La recessione ha fatto il resto. Risultato: il rosso di bilancio del 2012, lo stop triennale alle cedole e un titolo sprofondato da 6 euro a quota un euro. Soldi in cassa non ce ne sono quasi più. La Angelo Moratti Sapa, a secco di dividendi, non ha i soldi né per sostenere la Saras né per remunerare gli azionisti (la terza generazione della dinastia). A questo punto non restava che il divorzio.

Il Sole 24ORE 02-08-2013

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Che bello speriamo implodano ;)

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Che bello speriamo implodano ;)

loro non implodono

vendono l'inter e va pari

vendono saras e due soldi in tansca rimangono

usciranno dai riflettori

usciranno di scena

ricchi pensionati

non è il massimo ma .........per ora bisogna contentarsi

poi ..................chissà..............

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40693 messaggi
Inviato (modificato)

loro non implodono

vendono l'inter e va pari

vendono saras e due soldi in tansca rimangono

usciranno dai riflettori

usciranno di scena

ricchi pensionati

non è il massimo ma .........per ora bisogna contentarsi

poi ..................chissà..............

Ma magari cio' avvenisse subito, forse tanti giornalisti leccaculo scomparirebbero con loro

Modificato da ClaudioGentile

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