Vai al contenuto
pinobici

Moratti Saras Inter Etc Etc

Recommended Posts

Joined: 24-Oct-2006
10590 messaggi

.penso

Speriamo che Tohir sia disposto a farsi la serie C e a farsi togliere 5 scudetti, allora. :Io:sefz

Avremo vendetta.

JE è già al lavoro, ci vendicherà egli stesso. .seg

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 20-Apr-2009
40693 messaggi

.penso

Speriamo che Tohir sia disposto a farsi la serie C e a farsi togliere 5 scudetti, allora. :Io:sefz

Avremo vendetta.

JE è già al lavoro, ci vendicherà egli stesso. .seg

Logicamente non avverra' quasi nulla di tutto questo, proprio in questi giorni ci stavo pensando: sarebbe il caso non appena e se Thohir acquistera' il 70% della prescrittese fc di andarci sotto e reclamare i due scudetti ;) Tanto i Thohir stanno nel business delle auto, non si sa mai, tra colleghi...

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 21-Jul-2006
26 messaggi
Inviato (modificato)

Ma come e' possibile lasciare una squadra con un debito lordo di 450 milioni (netto: 298) iscriversi al campionato ?!!!... In parole povere, sono le banche o gli altri creditori, che pagano gli stipendi dei giocatori.

A Malta siamo una realta molto piccole nel mondi del calcio... Ma se una societa e' indebidata, vienne automaticamente retrocessa ....

L articolo dice anche che l'Inter e' la terza squadra pui indebitata dietro al Milan che e' seconda? Quale squadra ha pui debiti in Italia? Forse la Roma?

Se ricordo bene, in passato Perugia, Fiorentina e Napoli furono retrocesse....

Modificato da mariojuve

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 08-Jul-2006
20998 messaggi

Ma come e' possibile lasciare una squadra con un debito lordo di 450 milioni (netto: 298) iscriversi al campionato ?!!!... In parole povere, sono le banche o gli altri creditori, che pagano gli stipendi dei giocatori.

A Malta siamo una realta molto piccole nel mondi del calcio... Ma se una societa e' indebidata, vienne automaticamente retrocessa ....

L articolo dice anche che l'Inter e' la terza squadra pui indebitata dietro al Milan che e' seconda? Quale squadra ha pui debiti in Italia? Forse la Roma?

Se ricordo bene, in passato Perugia, Fiorentina e Napoli furono retrocesse....

la divina provvidenza vede e provvede

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 25-Aug-2009
236 messaggi

Ma magari cio' avvenisse subito, forse tanti giornalisti leccaculo scomparirebbero con loro

Non credo un servo rimane sempre un servo,si troveranno nuovi padroni e nuove chiappe in cui infilare la lingua!

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

L’AFFANNO DEI MORATTI
Il petrolio, come l’Inter, non dà più soddisfazioni:

i due fratelli separati in casa con i russi alle porte
Sono tra gli uomini più ricchi d’Italia, hanno resistito al ciclone Berlusconi, ora sembrano canne al vento piegate dai nuovi potenti
Il papà Angelo, un fulmine nel cercare le occasioni. Dalla miniera alle raffinerie, sempre in crescita. Nel ’55 la rivoluzione nel calcio
Gian Marco è stato il miglior partito degli anni Sessanta. Si dedica senza distrazioni agli affari e alle opere benefiche
La Saras soffre la crisi. Da ottobre patrimonio diviso: i fratelli controlleranno direttamente il proprio 25,01 per cento

di STEFANO CINGOLANI (IL FOGLIO 17-08-2013)

La squadra di calcio in mano a un magnate indonesiano, la compagnia petrolifera insidiata dal Cremlino, i fratelli Gian Marco e Massimo che chiudono la cassaforte e si separano: a ciascuno il suo. Tutto sembra sossopra in casa Moratti.

La famiglia più influente e trasversale della borghesia milanese nel secondo Dopoguerra, è in difficoltà e sembra avviata lungo una parabola che rimanda a tante altre storie eccellenti del capitalismo italiano. Milano non è Torino, monarchica in ogni sua fibra; i Moratti non sono gli Agnelli e l’élite lombarda è sempre stata policentrica, meritocratica, multinazionale persino. Eppure, volendo cercare una dinastia degli affari che aspiri a possedere tutti i crismi dinastici, dopo la scomparsa dei Pirelli, il tramonto dei Falck e la metamorfosi dei Feltrinelli, non restano che loro, i Moratti. Hanno resistito al ciclone Berlusconi, sono tra gli uomini più ricchi d’Italia, adesso però sembrano canne al vento piegate dai nuovi potenti che arrivano dall’altra parte del mondo.

Persino il teatro e il cinema sono una dolce rimembranza per Bedy la trasgressiva, anche se la passione non muore mai. E i Moratti trasudano insolite e divoranti passioni. Letizia, moglie di Gian Marco, è ancora ammaliata dalla politica e dall’ebbrezza del successo ottenuto in sella alla destra: presidente della Rai, ministro della Pubblica istruzione, sindaco di Milano. Difficile che tornino gli antichi fasti, ma lei non molla e si dichiara pronta per l’Expo: “Se mi chiamano, ci sono”. Emilia Bossi detta Milly, sposa di Massimo, è pervasa da sacro furore gauchiste: ha animato da par suo una lista radical chic che ha aiutato la vittoria di Giuliano Pisapia e l’ha portata in consiglio comunale sugli scranni della sinistra ecologista. Ancor più bruciante il tormento che ha spinto suo marito a consumare il patrimonio per eguagliare, con l’Inter, i successi del padre, fino ad arrivare, anche lui, sull’orlo del precipizio.

La loro fortuna si fonda sul petrolio, ma non come i Rockefeller. L’Italia, del resto, priva di giacimenti, sfortunata e miope nelle sue proiezioni coloniali (l’oro nero venne scoperto in Libia, ma nessuno capì che andava sfruttato su grande scala), si dedica al commercio del greggio e alla raffinazione. Benzine e gasoli soppiantano presto il cherosene come prodotto principale al posto del carbone per lo più importato a caro prezzo. Gli idrocarburi saranno la fonte principale anche per produrre elettricità, sostituendo l’acqua che dalle Alpi ha alimentato le centrali dei Feltrinelli, dei Valerio, i potentissimi “elettrici” benefattori di Mussolini, espropriati nel 1962 con la nazionalizzazione. Il petrolio e il gas, ormai in mano all’Eni, hanno sepolto il nucleare rifiutato dal popolo nel 1987, ma osteggiato fin dagli anni Sessanta da una lobby più potente di quella atomica.

In questo snodo di potere, campo di mille battaglie che hanno fatto e disfatto l’Italia industriale, Angelo Moratti è stato un personaggio chiave. Nato nel 1909, figlio di un farmacista, orfano di madre, ha cominciato a fare tutti i mestieri fin dall’età di 16 anni. Durante il servizio militare a Civitavecchia, nel 1927, allestisce una propria rete di distribuzione che rifornisce i pescatori locali di petrolio per alimentare le lampare. Il salto avviene quando trova lavoro nella Società anonima permanente olio (Permolio), proprietà dei conti Miani. A 26 anni si sposta a Genova, principale punto d’ingresso di greggio e prodotti raffinati. Qui diventa uomo di fiducia del finanziere Cerutti che sarà il mentore del giovane imprenditore. Ormai è abbastanza sistemato per potersi sposare e nel 1932 impalma Erminia Cremonesi una ex operaia. Avranno sei figli: Adriana (1932), Gian Marco (1936), Maria Rosa detta Bedy (1942), Massimo (1945), Gioia e Natalino, adottivo.

Angelo è un fulmine nel cercare le occasioni. Rientrato a Milano nel 1937, si vede offrire una partecipazione nella Società mineraria del Trasimeno (SMT o Somintra), che sfrutta una miniera di lignite vicino a Pietrafitta (Perugia). Il paese è in piena autarchia, colpito dalle sanzioni dopo la conquista dell’Etiopia, il regime fascista favorisce ogni risorsa nazionale soprattutto nei combustibili perché il mercato petrolifero è bloccato. La miniera, dunque, diventa il centro delle attività in vertiginosa crescita, compresa l’occupazione. Dopo il 1943 la manodopera aumenta in modo smisurato soprattutto per evitare la deportazione in Germania. L’impianto verrà sabotato nel 1944 dalle truppe tedesche in ritirata. Angelo, arrivata la liberazione, rischia l’esproprio della miniera da parte dei lavoratori, ma riesce a evitarlo grazie a un accordo basato sulla promessa di realizzare una fabbrica di mattoni e un impianto di produzione di vetro.

I vincitori americani favoriscono il petrolio e Moratti capisce che bisogna seguire la bandiera a stelle e strisce; nel suo interesse, ma anche in quello di un paese che non può restare dipendente dalle fortune minerarie della Francia, del Belgio, tanto meno della Germania in ricostruzione. Convince Giorgio Enrico Falck, con il quale si associa nel 1948, dando vita alla Raffinerie siciliane oli minerali (Rasiom). Ma trovare i clienti non è facile: l’Agip ricostruita da Enrico Mattei non possiede quantitativi di greggio eccedenti da trattare ed è comunque più orientata a una strategia di completa integrazione, dalla estrazione alla pompa di benzina, mentre la Società italo americana del petrolio (Siap), guidata da Vincenzo Cazzaniga, non vuole sostenere in via preventiva un’iniziativa che ritiene azzardata. Moratti, privo di esperienza nella gestione di grandi impianti, compra un’intera raffineria in Texas, obsoleta per i nuovi standard Usa, ma di buon livello tecnologico rispetto all’Italia, la smonta e la trasporta pezzo dopo pezzo in Sicilia ad Augusta convinto che le nuove rotte sarebbero passate per il Mediterraneo. Una previsione azzeccata ancor più dopo che nel 1954 l’Iran nazionalizza l’industria petrolifera e blocca di fatto Abadan, la maggiore raffineria del medio oriente.

Il principale cliente è la Esso dei Rockefeller, la maggiore delle sette sorelle tanto odiate da Enrico Mattei. A poco a poco assorbe l’80 per cento della produzione. Nel 1960 la Rasiom è la numero uno in Italia e deve crescere ancora. Gli americani offrono il loro sostegno, ma vogliono la maggioranza. Angelo coglie rapido anche questa chance, vende al massimo e si sposta in Sardegna. Nel 1962 a Sarroch, nei pressi di Cagliari, fonda la Saras raffinerie sarde che, con 15 milioni di tonnellate di petrolio lavorate annualmente, diventa il più grande impianto del Mediterraneo e copre un quarto della produzione italiana.

Angelo Moratti è nell’empireo dell’oro nero. Siede nei consigli di amministrazione di Mobil, Esso e Texaco. Ed è pronto al balzo nella popolarità. Dove? Nei mass media e nello sport, naturalmente. Il giornalismo non gli dà grandi soddisfazioni. Entra al Corriere della Sera con Gianni Agnelli, ma per fare un favore a Giulia Maria Crespi, la zarina innamorata del movimento studentesco e rimasta senza quattrini. Tenterà anche con il Globo. Nessuna delle due iniziative va bene. Con il calcio, invece, è un successo clamoroso. Sulle orme di quel che hanno fatto gli Agnelli con la Juventus, prende l’Inter (la vecchia Ambrosiana Internazionale) e crea il primo club gestito in grande e con grandeur, ma anche con spirito industriale, moderno si dovrebbe dire. Arriva quasi in punta di piedi nel 1955 e cambia tutto. Introduce una gestione industriale, quota in Borsa la società, assume a prezzo carissimo, soprattutto per i suoi tempi, un allenatore carismatico come Helenio Herrera che può contare su un parco giocatori di primissimo livello: Sandro Mazzola, Giacinto Facchetti, Tarcisio Burgnich, Armando Picchi e gli altri gladiatori. Crea un centro sportivo ad Appiano Gentile, compra persino una squadra di hockey sul ghiaccio con l’idea di creare una filiera polisportiva, modello al quale si ispirerà poi Silvio Berlusconi con il Milan. Tre scudetti, due coppe dei campioni, due coppe intercontinentali, tanti allori e altrettanti debiti. Lascia la presidenza nel 1968 a Ivanoe Fraizzoli, un industriale che ha fatto i soldi confezionando divise.

Come già Agnelli e la maggior parte dei capitalisti del suo tempo, anche Angelo costruisce la successione lungo una linea dinastica maschile. Del resto, Maria Rosa, detta Bedy, sembra a lungo perduta nella trasgressione: recita al cinema (esordio nel 1969 in “Una storia d’amore” di Michele Lupo) anche in pellicole come “Diario segreto da un carcere femminile”, viene fotografata in pose ammiccanti, si fa maltrattare da Klaus Kinski, compra un locale per creare il teatro dell’Angelo, infine passa il testimone alla nipote Celeste che recita a New York e ha sposato un attore giamaicano, Dualee A. Robinson. Restano in ombra Gioia, Adriana e Natalino. Lo scettro passa a Gian Marco e a Massimo. E tuttavia sembra quasi che Angelo debba sdoppiarsi lasciando a ciascuno dei suoi due eredi una delle proprie passioni e dei propri talenti.

A Gian Marco spetta la Saras. Massimo fin da bambino è vissuto con l’Inter. La vendita del club è per lui una doccia fredda e la riconquista diventerà una missione. Ci riesce solo nel 1995 ma è una delusione dopo l’altra: scarsi i successi e ingenti le spese per campioni e allenatori mediocri o sfortunati. Il ciclo d’oro comincia solo nel 2004 con Roberto Mancini, prosegue con José Mourinho nel 2010 quando, 46 anni dopo il primo successo paterno in Europa, Massimo dimostra di non essere da meno e conquista la Champions League. Complessivamente si stima che la società abbia accumulato perdite per un miliardo e mezzo e debiti per oltre 460 milioni di euro. Massimo Moratti ha dovuto provvedere personalmente a circa 735 milioni di euro, cifra molto vicina ai 750 milioni incassati con il collocamento in Borsa della Saras nel 2006.

Nell’operazione Inter, gioca un ruolo importante Marco Tronchetti Provera: la Pirelli fa da sponsor, compra una quota di minoranza, intanto Moratti entra come socio di minoranza nella Camfin, la finanziaria che a sua volta controlla Pirelli. Ed è sempre Tronchetti a trovare una via d’uscita per se stesso e il suo amico, scovando Erick Thohir il magnate di Giakarta disposto a comprare il 75 per cento della società e a pagare parte dei debiti (Pirelli sta trattando con il padre Teddy, che guida la conglomerata Astra, una fabbrica di pneumatici in Indonesia).

Se Massimo fa il creativo nel calcio, Gian Marco non cresce esattamente come un nerd. Di nove anni più anziano (è nato nel 1936), è stato il miglior partito degli anni Sessanta, lo ricordano ancora in sella alla Vespa sulle strade della Versilia, nemmeno fosse in un film di Dino Risi. Di lui s’innamora Lina Sotis, appena diciottenne, una delle più chic tra le ragazze bene di Milano, ironica maestra di bon ton. Dopo due figli, Angelo e Francesco, e appena cinque anni di vita in comune, si separano. Poi arriva, alta e diritta come un fuso, Letizia che sa mettere a frutto l’abilità dei broker genovesi (i Bricchetto) e l’aplomb nobiliare degli Arnaboldi. Silenzioso quanto Massimo è ciarliero, Gian Marco si dedica senza distrazioni agli affari e a opere benefiche. Finanzia Vincenzo Muccioli e la comunità di San Patrignano. Dal 2011, dopo l’allontanamento di Andrea, il figlio del guru dei tossicodipendenti, che l’aveva trasformata producendo vino e alimenti di alta gamma, Letizia ne prende il pieno controllo.

Dalla Saras, intanto, giungono brutte notizie. Nell’ultimo decennio la compagnia petrolifera usufruisce di sostegni pubblici (circa 200 milioni di euro), attraverso tre contratti di programma varati dal Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) presieduto di volta in volta da ministri di centro, di destra e di sinistra. I Moratti d’altronde, sono trasversali fino in fondo. Ciò consente un risanamento finanziario che apre la strada alla quotazione in Borsa nel 2006. Una decisione sofferta, alla quale i fratelli sono costretti dalla necessità di raccogliere risorse. Incassano oltre due miliardi di euro. E scoppiano le polemiche. Il titolo viene quotato a 6 euro, ma chi lo compera perde il 12 per cento in un solo giorno. “E’ vitale che davanti ci sia un sei”, scriveva ai suoi collaboratori Federico Imbert, allora capo di JP Morgan. Secondo Gerardo Braggiotti, di Banca Leonardo, consulente dei Moratti, “i fratelli chiesero se non era il caso di arrivare a 6,2 euro”. Altri tempi. Poi è arrivata la grande crisi. Adesso, un’azione non vale nemmeno un euro. L’azienda capitalizzava oltre cinque miliardi, oggi appena 870 milioni.

Ombre su ombre, compresa l’ombra della morte. Tre operai perdono la vita per un incidente nella raffineria, morti asfissiati dall’azoto nel pulire una cisterna. La drammatica vicenda offre l’occasione al giornalista Giorgio Meletti per raccontare in un libro “Nel paese dei Moratti”, la contro-storia del “capitalismo buono”. I fratelli si sentono diffamati e ricorrono in tribunale.

Ombre su ombre, anche sulla grande Inter, secondo Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, anche lui calciatore, ma con scarsa fortuna. Nel 2004 scrive “Il terzo incomodo” e denuncia l’uso di sostanze dopanti nello squadrone di Herrera: per questo Picchi e altri si sarebbero spenti giovani e di cancro. Facchetti, allora presidente del club, querela. L’accusatore viene assolto. Ferruccio Mazzola è stato consumato da un tumore il 7 maggio scorso a 68 anni.

Ombre su ombre, scudetti “rubati”, arbitri comprati, Calciopoli e il sistema di Luciano Moggi: è guerra aperta con la Juventus. C’è pure una spy story un po’ grottesca come il pedinamento del calciatore Bobo Vieri da parte della sicurezza Telecom (quando il patron era Tronchetti) per conto dell’Inter. Adesso Moggi si vanta di aver previsto il fallimento sportivo ed economico degli arcinemici.

Il calcio, ancora una volta, si rivela una fornace che brucia passione e denaro. Gian Marco, dice chi lo conosce bene, le ha tentate tutte con il fratello. Glielo ha chiesto con le buone, gli ha piazzato i suoi uomini di fiducia, ha mostrato i conti in sofferenza della Angelo Moratti sapa, l’accomandita di famiglia che da quattro anni non paga dividendi, e le perdite della Saras: un tempo fonte di lauti profitti, oggi soffre la crisi strutturale delle raffinerie insidiate dai colossi che integrano anche la distribuzione, tanto che nel 2012 i fratelli hanno dovuto cedere il 21 per cento a Rosneft, colosso energetico controllato dal governo russo, per 178 milioni di euro. Per l’Inter è spuntato l’indonesiano Thohir, anche se alla vigilia della firma ha puntato i piedi Angelomario Moratti, detto Mao, uno dei tre figli di Massimo coinvolti nell’amministrazione nerazzurra insieme ai fratelli Giovanni (Gigio) e Carlotta contro un solo figlio di Gian Marco (Angelo Gino).

Il tira e molla sul futuro, accelera anche la spartizione dei beni. L’intero patrimonio, inclusa la partecipazione in Saras, sarà diviso a metà e l’accomandita verrà sciolta. Le nuove società sottoscriveranno un patto che prevede l’esercizio congiunto dei diritti di voto sulla controllata. Nessuna delle due potrà trasferire le azioni senza il consenso dell’altra. A partire da ottobre, i fratelli controlleranno direttamente il proprio 25,01 per cento insieme ai rispettivi figli maschi. Pronti all’offensiva russa sul petrolio: chi può resiste, chi non ce la fa esce con la sua quota. L’Inter resta fuori – viene fatto sapere per evitare equivoci e illusioni – perché la squadra di calcio è gestita da Massimo con i propri denari. Prima della caduta sentenziava: “La ricchezza serve a comprare una passione”. Finché la passione non consuma la ricchezza. I Moratti, capitalisti venuti dal niente che hanno vinto quasi tutto, ora passano il testimone.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 08-Jul-2006
20998 messaggi

L’AFFANNO DEI MORATTI

amen

riposa in pace massimo

che iddio ti perdoni

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

CAGLIARI · L’infortunio in una raffineria

Morì ucciso dal gas,

i Moratti a giudizio

Il rinvio a processo per i due fratelli e altri

tredici dirigenti. «Mancata prevenzione»

di COSTANTINO COSSU (il manifesto 27-09-2013)

Massimo e Gianmario Moratti, amministratore delegato e presidente della Saras, sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Nei giorni scorsi il pubblico ministero Emanuele Secci, magistrato della procura di Cagliari, ha inoltrato al giudice dell’udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio per i due fratelli Moratti e per altre 13 persone. Secondo il magistrato sono tutti responsabili della morte di Pierpaolo Pulvirenti, un operaio che la sera dell’11 aprile del 2011 perse la vita mentre era impegnato in lavori di manutenzione degli impianti della raffineria Saras di Sarroch, sulla costa meridionale della Sardegna, a pochi chilometri da Cagliari.

Pulvirenti era dipendente a tempo indeterminato di una ditta di Catania alla quale la Saras aveva appaltato le manutenzioni. La condotta alla quale lavorava l’operaio doveva essere libera da gas; questo almeno era quanto sarebbe stato detto a Pulvirenti e agli altri della sua squadra. Invece nelle condutture gas ce n’era ancora tanto.

L’operaio venne investito da un getto molto forte di idrogeno solforato, che lo stordì facendolo cadere da un’altezza di 17 metri. Venne subito trasportato in ospedale, ma tutti i tentativi dei medici di strapparlo alla morte risultarono vani. Con Pulvirenti rimase gravemente intossicato un suo compagno, Gabriele Serrano, che però riuscì a salvarsi. Un terzo operaio, Luigi Catania, nel tentativo di aiutare i colleghi, cadde da una scala, senza gravi conseguenze.

Secondo quanto si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio, la responsabilità dei Moratti consisterebbe nella «violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro». Più precisamente, non si sarebbero messe in atto le misure necessarie per impedire il «formarsi, negli impianti, di concentrazioni letali di idrogeno solforato». L’ordinanza parla inoltre di «inefficace e incompleta azione di bonifica», di «sottovalutazione del rischio» e di «assenza di sistemi di controllo efficaci». Come tutte le raffinerie, anche la Saras aveva un suo protocollo di valutazione dei rischi. Secondo il magistrato, quello della raffineria dei Moratti è stato predisposto «senza individuare le procedure per attuare le misure di sicurezza».

Tra gli altri rinviati a giudizio per omicidio colposo ci sono Dario Scafardi, direttore generale della Saras, Guido Grosso, direttore dello stabilimento, Giulio Mureddu, responsabile operation e Gianluca Cadeddu, responsabile dell’area distillazioni e solforazioni. Più altri 7 quadri, titolari di varie aree operative. Secondo il magistrato, Grosso, Mureddu e Cadeddu non hanno informato gli operai «sulle misure di prevenzione, sul divieto di proseguire l’attività in presenza del gas e sui suoi rischi mortali». E non hanno nemmeno fornito ai manutentori «i necessari dispositivi di protezione individuale».

Quando è morto, a 23 anni, Pierpaolo Pulvirenti lavorava alla Saras da 3 giorni. Prima studiava alla facoltà di Farmacia di Catania. Con Gabriele Serrano, suo compagno di corso, aveva saputo che una ditta catanese, dove lavorava il padre di Serrano e fornitrice della Saras, cercava avventizi per un contratto da 20 giorni nella raffineria di Sarroch. Era quindi un lavoro a termine, che ai due ragazzi serviva giusto per farsi un po’ di soldi per le vacanze e gli studi. Non avevano alcuna esperienza di impianti industriali, tantomeno di impianti pericolosi come quelli delle raffinerie. Avevano preso servizio l'8 aprile 2011. L’11, tre giorni dopo, la tragedia.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
ItaliaOggi 28-09-2013

acrtqgUB.jpg

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Corriere della Sera 03-10-2013

adxTEXmN.jpg

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 24-Oct-2006
10590 messaggi

22 OTT 2013 18:56
PIRELLI COLTELLI - SCIOLTO IL “PATTO”: GENERALI, MEDIOBANCA E FONSAI LASCIANO CAMPO LIBERO A SPOSITO E UNICREDIT
Il patto di sindacato di Pirelli (31,54% del capitale) si scioglie in anticipo - Soddisfatti Mediobanca, Generali e FonSai, in consiglio entrano Sposito per Clessidra e Fiorentino per UniCredit (Lauro 61 la fa da padrone) - Il socio forte ora è Camfin - Che faranno i Malacalza?...


Laura Galvagni per il "Sole 24 Ore"


Il patto di sindacato che governa Pirelli e che, ad oggi, detiene il 31,54% del capitale della Bicocca, con ogni probabilità verrà sciolto anticipatamente rispetto alla naturale scadenza del prossimo 15 aprile. La svolta è stata suggerita dallo stesso Marco Tronchetti Provera a compimento di quella razionalizzazione che sta avvenendo a monte della catena di controllo con la presa da parte di Lauro Sessantuno delle redini di Camfin.

Al punto che è stato dato mandato all'avvocato Alessandro Pedersoli di avviare un veloce sondaggio tra i soci per capire se tutti sono dell'idea di estinguere il vincolo prima della scadenza. La risposta sarà probabilmente affermativa e a quel punto partirà la macchina burocratica per provare a dare a Pirelli un assetto simile a quello di una public company, magari già a partire dall'anno nuovo. Certo, il capitale del gruppo degli pneumatici non sarà così frammentato come la tradizione anglosassone prescrive, tuttavia la svolta sul piano della corporate governance sarà rilevante.

La società oggi è gestita da un patto che governa oltre il 30% del capitale mentre, a valle dello scioglimento del sindacato, la compagnia degli pneumatici avrà un unico socio forte: Camfin. La holding metterà sul piatto la quota oggi legata al patto (13,32%) e quella fuori dall'accordo (12,87%) il che varrà complessivamente un 26,19% di Pirelli. Abbastanza per tenere le redini di una società che a Piazza Affari capitalizza poco meno di 5 miliardi? Si vedrà. Certo, in parte dipenderà dalle scelte che compiranno gli altri soci legati al patto.

LE PROSSIME USCITE
L'addio anticipato all'intesa di sicuro verrà accolto con favore da quegli azionisti che da tempo hanno messo in agenda una prossima dismissione del pacchetto detenuto in Pirelli. Tra questi, evidentemente, Mediobanca, Generali e Fondiaria Sai. Lo scorso giugno, in occasione della presentazione del piano strategico, il vertice di Piazzetta Cuccia è stato piuttosto netto: «Se il patto non verrà rinnovato per noi sarà l'opportunità per avere i titoli disponibili per la vendita», aveva dichiarato l'amministratore delegato Alberto Nagel.

Il ceo sarò quindi pronto a cogliere l'occasione anche se, quasi sicuramente, le azioni non saranno scaricate sul mercato alla prima finestra utile ma secondo un percorso che valorizzi al meglio la partecipazione. Anche per evitare che sul mercato venga riversato un eccesso di carta che zavorri le quotazioni di Pirelli.

D'altra parte, tra Mediobanca (4,61%), Generali (4,41%) e Fondiaria Sai (1,85%), passerà di mano, con tempi e modi da stabilire, un 10,8% del gruppo. Al contempo ci sono azionisti, come Edizione della famiglia Benetton (4,61%), Intesa Sanpaolo (presente anche a monte della catena con una quota importante in Lauro 61) e Massimo Moratti (0,49%), che resteranno ancora a lungo soci della compagnia.
Assieme valgono quasi un 7% di Pirelli. Quota di un certo peso in vista delle future dinamiche di governance. Che non potranno prescindere, peraltro, dalla presenza nel capitale Pirelli della famiglia Malacalza con poco meno del 7% della società. Intanto, però, ieri il riassetto a monte ha avuto i suoi primi effetti sul board della Bicocca.

IL NUOVO CDA PIRELLI
Ieri è stato annunciato l'ingresso di Claudio Sposito, presidente e amministratore delegato di Clessidra, e Paolo Fiorentino, direttore generale di UniCredit, nel consiglio di amministrazione della Bicocca. Sposito è stato nominato anche componente del comitato strategie. La nomina è avvenuta in sostituzione dei dimissionari Vittorio Malacalza e Giulia Maria Ligresti ma soprattutto ricalca le operazioni di riassetto Camfin con Piazza Cordusio e il fondo di Sposito diventati azionisti chiave, tramite Lauro 61, della catena che controlla Pirelli. Al momento resta vacante solo il posto lasciato da Carlo Salvatori.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/pirelli-coltelli-sciolto-il-patto-generali-mediobanca-e-fonsai-lasciano-campo-libero-a-sposito-65078.htm

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 24-Oct-2006
10590 messaggi

05 NOV 2013 18:40
TRONCHETTI REPLICA ALLE ACCUSE DI EU-GENIO SCALFARI: NON SONO UN INTERCETTATORE. NON LO DICO IO, MA GUIDO ROSSI NEL 2006 E I MAGISTRATI NEL 2008”
L'ex patron di Telecom allontana da sè l'ombra pesante di Tavaroli e del Tiger Team. E Scalfari, a denti stretti, deve ammettere: “Bene, ne prendo atto e gli riconosco il diritto di tentare di scucirsi di dosso quella che definisce una “falsa verità”, il vero obiettivo che, più di una risposta al mio articolo, sembra essere nelle intenzioni della sua lettera”… - -


Lettera a "la Repubblica" di Marco Tronchetti Provera

Gentile dottor Scalfari, nel commento, "Se vince Grillo il paese va a rotoli", lei ha scritto: "... il capo di un'agenzia di informazioni che aveva ottenuto un contratto operativo dalla Telecom di Tronchetti se ne avvalse per ascoltare alcune utenze private che potevano interessare uno dei dirigenti dei Servizi segreti italiani... Ci fu un processo che durò alcuni anni arrivando ad una sentenza di condanna per Tavaroli (titolare dell'agenzia) e la sua squadra. Tronchetti fu condannato per la ricettazione di un dossier...".

Affermazione non troppo diversa proprio da quella rilasciata da Beppe Grillo il 28 ottobre scorso in Senato: "siamo intercettati, non è mica una novità. Già ai tempi di Tronchetti Provera lo eravamo, c'era un palazzo intero.... Noi siamo sempre stati intercettati, ma andiamo verso qualcosa che ci coglie impreparati, una realtà che ti viene cucita addosso e un po' ne ho paura".

Piaccia o no Telecom Italia, dove Tavaroli lavorava come dipendente, le intercettazioni non le ha mai fatte. Non lo dico io, ma Guido Rossi nel 2006 e i magistrati fin dal 2008. Eppure la falsa verità del "Tronchetti intercettatore" mi è stata "cucita addosso". Non basta che il pm Napoleone abbia dichiarato: "... la notizia dell'esistenza di una centrale interna a Telecom Italia dedita a intercettare illegalmente numerosissime persone..., pur non sorretta da accertamenti giudiziari, risulta essere stata diffusa dai media in modo così capillare e reiterato da generare in tutta l'opinione pubblica il convincimento della sua veridicità al punto da coinvolgere in simile suggestione collettiva anche molti settori delle istituzioni che... hanno confuso in atti ufficiali la raccolta illegale di dossier con l'attività di intercettazione illecita".

Non serve neppure quanto affermato nel 2013 dal pm Civardi in merito ai "dossier illegali": "Bisognava mettere a fuoco un significativo bersaglio (Mtp, ndr) che consentisse di distrarre il pubblico dalla duplice miracolosa operazione: recupero dei soldi e liberazione di uno dei vertici del Sismi.... Nessuno ignora che la difesa in processi... come questo si prepara dentro e fuori dalle aule giudiziarie... È un processo, mi si consenta il termine, di spie ed è precipuo delle spie non solo trafficare con il potere delle informazioni riservate, ma influenzare l'opinione pubblica tramite i mezzi di informazione...".

Sempre il dottor Civardi, già nel 2010 e in merito alla stessa vicenda, aveva dichiarato: "È proprio delle spie avere rapporti privilegiati con gli organi di informazione per dare informazioni strumentali agli obiettivi e fare disinformazione. In questo processo di spie, le versioni che quattro dei principali indagati hanno dato agli organi di stampa con numerosissime interviste e addirittura pubblicazioni di libri... non sempre hanno combaciato con gli atti processuali, ma spesso hanno introdotto al grande pubblico le strategie difensive che avrebbero assunto davanti al giudice. Basarsi sulle suggestioni degli imputati, preparate da ampio battage pubblicitario e sposate da gruppi editoriali, piuttosto che sugli atti del processo, comporta inevitabili errori...".

Questo è quanto dichiarato nel tempo dai magistrati che hanno indagato per oltre quattro anni, che hanno ottenuto la condanna dei veri colpevoli per la vicenda dei "dossier illegali" (dove non sono mai stato processualmente coinvolto) e il cui operato è stato interamente avallato dall'allora capo della Procura di Milano, dottor Minale.

Queste dichiarazioni non hanno quasi mai trovato spazio sui giornali. Il perché lo ha spiegato lei in questi giorni descrivendo come i media, esattamente come denunciato dai magistrati citati, "influenzano nel bene e nel male la formazione e l'evoluzione dell'opinione pubblica". Lo scorso 20 ottobre lei scriveva: "...i rumors- a volte condivisi in buona fede, a volte guidati da interessi... - possono causare ferite profonde. Il circuito mediatico che da almeno mezzo secolo determina la pubblica opinione... spinge, spesso inconsapevolmente, in quella direzione. Il circuito mediatico vive di cattive notizie, di sensazionalismo, di rumors.

Li amplifica, li trasforma in (immaginarie) realtà, influisce sulle aspettative. Tanto peggio tanto meglio se acquista più ascoltatori, più operatori in rete, più lettori... si tratta di una forza inerente la modernità. Questa forza... ha svelato le verità e al tempo stesso ha accreditato bugie...". Ecco, continuare ad accreditare l'idea che Telecom Italia abbia fatto intercettazioni è un'enorme bugia.

L'unico procedimento che mi riguarda, come lei in questo caso correttamente riporta, è quello relativo alla presunta ricettazione di un cd nell'ambito della "vicenda Kroll", che nulla ha a che vedere con il dossieraggio illegale né con le fantomatiche intercettazioni. Sulla "vicenda Kroll", come già detto dal mio avvocato, le motivazioni depositate dal giudice confermano che non esiste alcuna prova in merito alla mia consapevolezza circa l'origine illecita del materiale acquisito dagli uomini di Tavaroli, se non la ricostruzione di Tavaroli stesso.

Il cd pervenuto nella sede Pirelli, comprovante lo spionaggio della Kroll ai danni di Telecom Italia, della mia famiglia e miei, fu immediatamente inviato su mio ordine all'Autorità giudiziaria. Contro la sentenza di condanna in primo grado ho annunciato ricorso in appello e sono fiducioso che la verità sarà ristabilita.

Magari anche grazie al suo contributo nel chiarire certi punti e dare spazio al fatto che un'altra verità, in questa storia, esiste. Sperò comprenderà il perché di quella che in tanti, anche persone a me vicine, definiscono un'ostinazione inutile. Contrariamente ai loro suggerimenti, su questi temi sento il dovere di continuare a far sentire la mia voce. Per la mia famiglia, per la storia della Pirelli e per me. Magari sarà tutto inutile, ma tra i tanti errori che avrò commesso almeno non ci sarà quello di essermi arreso.

Risposta di Eugenio Scalfari

Non sono un intercettatore, ribadisce il dottor Tronchetti Provera. E aggiunge: "Non lo dico io, ma Guido Rossi nel 2006 e i magistrati nel 2008". Bene, ne prendo atto e gli riconosco il diritto di tentare di scucirsi di dosso quella che definisce una "falsa verità", il vero obiettivo che, più di una risposta al mio articolo, sembra essere nelle intenzioni della sua lettera.
Per quanto mi riguarda restano fermi i fatti da me riferiti sulla posizione giudiziaria di Tronchetti, cioè la condanna in primo grado per ricettazione che, com'egli sottolinea, si riferisce alla "cosiddetta vicenda Kroll". In ossequio alla presunzione d'innocenza e al ricorso in appello del dottor Tronchetti aspettiamo il seguito del giudizio.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/tronchetti-replica-alle-accuse-di-eu-genio-scalfari-non-sono-un-intercettatore-non-lo-65922.htm

.penso

doom.gif

E ho detto tutto. :sisi:

Modificato da CRAZEOLOGY

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 20-Apr-2009
40693 messaggi

05 NOV 2013 18:40

TRONCHETTI REPLICA ALLE ACCUSE DI EU-GENIO SCALFARI: NON SONO UN INTERCETTATORE. NON LO DICO IO, MA GUIDO ROSSI NEL 2006 E I MAGISTRATI NEL 2008”

L'ex patron di Telecom allontana da sè l'ombra pesante di Tavaroli e del Tiger Team. E Scalfari, a denti stretti, deve ammettere: “Bene, ne prendo atto e gli riconosco il diritto di tentare di scucirsi di dosso quella che definisce una “falsa verità”, il vero obiettivo che, più di una risposta al mio articolo, sembra essere nelle intenzioni della sua lettera”… - -

Lettera a "la Repubblica" di Marco Tronchetti Provera

Gentile dottor Scalfari, nel commento, "Se vince Grillo il paese va a rotoli", lei ha scritto: "... il capo di un'agenzia di informazioni che aveva ottenuto un contratto operativo dalla Telecom di Tronchetti se ne avvalse per ascoltare alcune utenze private che potevano interessare uno dei dirigenti dei Servizi segreti italiani... Ci fu un processo che durò alcuni anni arrivando ad una sentenza di condanna per Tavaroli (titolare dell'agenzia) e la sua squadra. Tronchetti fu condannato per la ricettazione di un dossier...".

Affermazione non troppo diversa proprio da quella rilasciata da Beppe Grillo il 28 ottobre scorso in Senato: "siamo intercettati, non è mica una novità. Già ai tempi di Tronchetti Provera lo eravamo, c'era un palazzo intero.... Noi siamo sempre stati intercettati, ma andiamo verso qualcosa che ci coglie impreparati, una realtà che ti viene cucita addosso e un po' ne ho paura".

Piaccia o no Telecom Italia, dove Tavaroli lavorava come dipendente, le intercettazioni non le ha mai fatte. Non lo dico io, ma Guido Rossi nel 2006 e i magistrati fin dal 2008. Eppure la falsa verità del "Tronchetti intercettatore" mi è stata "cucita addosso". Non basta che il pm Napoleone abbia dichiarato: "... la notizia dell'esistenza di una centrale interna a Telecom Italia dedita a intercettare illegalmente numerosissime persone..., pur non sorretta da accertamenti giudiziari, risulta essere stata diffusa dai media in modo così capillare e reiterato da generare in tutta l'opinione pubblica il convincimento della sua veridicità al punto da coinvolgere in simile suggestione collettiva anche molti settori delle istituzioni che... hanno confuso in atti ufficiali la raccolta illegale di dossier con l'attività di intercettazione illecita".

Non serve neppure quanto affermato nel 2013 dal pm Civardi in merito ai "dossier illegali": "Bisognava mettere a fuoco un significativo bersaglio (Mtp, ndr) che consentisse di distrarre il pubblico dalla duplice miracolosa operazione: recupero dei soldi e liberazione di uno dei vertici del Sismi.... Nessuno ignora che la difesa in processi... come questo si prepara dentro e fuori dalle aule giudiziarie... È un processo, mi si consenta il termine, di spie ed è precipuo delle spie non solo trafficare con il potere delle informazioni riservate, ma influenzare l'opinione pubblica tramite i mezzi di informazione...".

Sempre il dottor Civardi, già nel 2010 e in merito alla stessa vicenda, aveva dichiarato: "È proprio delle spie avere rapporti privilegiati con gli organi di informazione per dare informazioni strumentali agli obiettivi e fare disinformazione. In questo processo di spie, le versioni che quattro dei principali indagati hanno dato agli organi di stampa con numerosissime interviste e addirittura pubblicazioni di libri... non sempre hanno combaciato con gli atti processuali, ma spesso hanno introdotto al grande pubblico le strategie difensive che avrebbero assunto davanti al giudice. Basarsi sulle suggestioni degli imputati, preparate da ampio battage pubblicitario e sposate da gruppi editoriali, piuttosto che sugli atti del processo, comporta inevitabili errori...".

Questo è quanto dichiarato nel tempo dai magistrati che hanno indagato per oltre quattro anni, che hanno ottenuto la condanna dei veri colpevoli per la vicenda dei "dossier illegali" (dove non sono mai stato processualmente coinvolto) e il cui operato è stato interamente avallato dall'allora capo della Procura di Milano, dottor Minale.

Queste dichiarazioni non hanno quasi mai trovato spazio sui giornali. Il perché lo ha spiegato lei in questi giorni descrivendo come i media, esattamente come denunciato dai magistrati citati, "influenzano nel bene e nel male la formazione e l'evoluzione dell'opinione pubblica". Lo scorso 20 ottobre lei scriveva: "...i rumors- a volte condivisi in buona fede, a volte guidati da interessi... - possono causare ferite profonde. Il circuito mediatico che da almeno mezzo secolo determina la pubblica opinione... spinge, spesso inconsapevolmente, in quella direzione. Il circuito mediatico vive di cattive notizie, di sensazionalismo, di rumors.

Li amplifica, li trasforma in (immaginarie) realtà, influisce sulle aspettative. Tanto peggio tanto meglio se acquista più ascoltatori, più operatori in rete, più lettori... si tratta di una forza inerente la modernità. Questa forza... ha svelato le verità e al tempo stesso ha accreditato bugie...". Ecco, continuare ad accreditare l'idea che Telecom Italia abbia fatto intercettazioni è un'enorme bugia.

L'unico procedimento che mi riguarda, come lei in questo caso correttamente riporta, è quello relativo alla presunta ricettazione di un cd nell'ambito della "vicenda Kroll", che nulla ha a che vedere con il dossieraggio illegale né con le fantomatiche intercettazioni. Sulla "vicenda Kroll", come già detto dal mio avvocato, le motivazioni depositate dal giudice confermano che non esiste alcuna prova in merito alla mia consapevolezza circa l'origine illecita del materiale acquisito dagli uomini di Tavaroli, se non la ricostruzione di Tavaroli stesso.

Il cd pervenuto nella sede Pirelli, comprovante lo spionaggio della Kroll ai danni di Telecom Italia, della mia famiglia e miei, fu immediatamente inviato su mio ordine all'Autorità giudiziaria. Contro la sentenza di condanna in primo grado ho annunciato ricorso in appello e sono fiducioso che la verità sarà ristabilita.

Magari anche grazie al suo contributo nel chiarire certi punti e dare spazio al fatto che un'altra verità, in questa storia, esiste. Sperò comprenderà il perché di quella che in tanti, anche persone a me vicine, definiscono un'ostinazione inutile. Contrariamente ai loro suggerimenti, su questi temi sento il dovere di continuare a far sentire la mia voce. Per la mia famiglia, per la storia della Pirelli e per me. Magari sarà tutto inutile, ma tra i tanti errori che avrò commesso almeno non ci sarà quello di essermi arreso.

Risposta di Eugenio Scalfari

Non sono un intercettatore, ribadisce il dottor Tronchetti Provera. E aggiunge: "Non lo dico io, ma Guido Rossi nel 2006 e i magistrati nel 2008". Bene, ne prendo atto e gli riconosco il diritto di tentare di scucirsi di dosso quella che definisce una "falsa verità", il vero obiettivo che, più di una risposta al mio articolo, sembra essere nelle intenzioni della sua lettera.

Per quanto mi riguarda restano fermi i fatti da me riferiti sulla posizione giudiziaria di Tronchetti, cioè la condanna in primo grado per ricettazione che, com'egli sottolinea, si riferisce alla "cosiddetta vicenda Kroll". In ossequio alla presunzione d'innocenza e al ricorso in appello del dottor Tronchetti aspettiamo il seguito del giudizio.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/tronchetti-replica-alle-accuse-di-eu-genio-scalfari-non-sono-un-intercettatore-non-lo-65922.htm

.penso

doom.gif

E ho detto tutto. :sisi:

mi piace di piu' cio' che c'e' scritto nel bigliettino sefz

Modificato da ClaudioGentile

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Gli anni e i pensieri nerazzurri di Massimo Moratti

Pazza Inter, amala. Gioie, dolori

e ricordi di un presidente convinto

che Zanetti viene dal pianeta Krypton

«Ho sempre pensato che contassero i grandi giocatori, e non il

luogo di nascita. Credo che questo sia il vero spirito di Milano»

«L’Inter, per tutti noi, è sempre stata soltanto una passione. Era

così per papà, è stato così per me. Era diffcile rimanere indifferenti»

«Nel 2010 ho sofferto più a Siena, per lo scudetto nel giorno del mio

compleanno, che a Madrid. Ero convinto che avremmo battuto il Bayern»

di FABIO MONTI (SETTE | 08.11.2013)

C’è un filo rosso che attraversa la storia di Massimo Moratti alla guida dell’Inter: il senso della sorpresa, la voglia di far sognare i tifosi, realizzando quello che sembrava impossibile. Nessuno, al suo posto, avrebbe preso in mano la società, il 18 febbraio 1995, in un momento di profonda crisi del club, dopoché suo padre, Angelo, aveva vinto tutto in tredici anni di presidenza. La scintilla era scattata il 24 novembre di vent’anni fa, a Norwich, i nerazzurri in campo in Coppa Uefa, lui in tribuna quasi per caso, dopo essersi pagato il biglietto, senza nemmeno pensare a come sarebbe andata a finire: «Ero a Londra per lavoro, sono venuto qui, sperando di non soffrire troppo. Era tantissimo che non seguivo la squadra in trasferta». Lì era scattata la scintilla. Tredici mesi dopo, il 13 gennaio 1995, l’incontro casuale con l’avvocato Prisco, in via Pietro Verri, nel cuore di Milano. «Allora ti decidi a prendere l’Inter? Mi autorizzi a scrivere una lettera a Pellegrini?». La risposta era stata sorprendente: «Sì, proviamo a vedere, ma non oggi che è il 13». Era arrivato il via libera. Il 28 gennaio, la trattativa era formalmente chiusa. «Non è stata una decisione facile; ma era un rischio che si poteva prendere o forse io lo vedevo così, perché c’era la voglia di farlo. L’Inter, per tutti noi, è sempre stata soltanto una passione. Era così per papà, è stato così per noi e per me. Così era diffcile rimanere indifferenti di fronte a una squadra che era diventata un po’ pallida, anche con una sofferenza che va molto più in là di quella del tifoso, perché ne hai la piena responsabilità». Del resto nel 1980 il padre aveva detto a Massimo: «Dovresti vedere se si può prendere l’Inter, perché un’esperienza nel calcio va fatta. Aiuta a crescere, a soffrire, a migliorare».

Javier Zanetti è «il primo giocatore che ho visto e che ho scelto. Non avevo ancora preso l’Inter e mi era arrivata la cassetta di una partita dell’Argentina under 20, per farmi osservare Ortega. Vedo un pezzo di partita, neanche tutta, Ortega non mi aveva entusiasmato e invece, cosa stranissima, mi ero lasciato incantare da un terzino, che faceva cose che non avevo mai visto: difendeva, ripartiva, dribblava sette avversari insieme. L’abbiamo preso ed è ancora con noi; adesso ho scoperto che viene dal pianeta Krypton e che giocherà ancora per 4-5 anni». Poi è arrivato Paul Ince, dal Manchester United: «Un consigliere mi aveva sussurrato che sarebbe stato meglio evitare i giocatori di colore, perché la curva la pensava diversamente. Già lo volevo prendere perché era un grande centrocampista; così, forse non per provocare o forse sì, mi sono tolto l’ultimo dubbio ed è arrivato qui. La risposta del pubblico è stata fantastica, Ince è stato uno dei giocatori più adorati».

L’obiettivo di Moratti è sempre stato quello di trovare un giocatore che facesse la differenza anche nella fantasia dei tifosi. Pensava a Cantona, poi a Djorkaeff, che ha segnato forse il più bel gol della sua presidenza, quello contro la Roma (5 gennaio 1997), finché nel giugno 1997 arriva a Ronaldo: «L’ho preso perché era fortissimo, ma anche perché nessuno credeva che l’acquisto fosse possibile, visto che lui giocava nel Barcellona. C’era stata un’apertura; poi sembrava che il giocatore si fosse messo d’accordo con il Barcellona per continuare. Invece mentre ero in viaggio, ho ricevuto la telefonata in cui mi si diceva che desiderava venire all’Inter. Quel tratto di strada lo feci con un entusiasmo incredibile. È stato un ottimo affare, Ronaldo è arrivato a un costo alto, ma cinque anni dopo è stato rivenduto al doppio al Real e per l’Inter ha rappresentato un’immagine importantissima, perché ci ha aperto al mondo». L’estate del 1997 ha coinciso anche con l’arrivo di Recoba, forse il più amato dal presidente: «Si era presentato a San Siro con due gol alla prima di campionato con il Brescia e pensavo che venisse giù lo stadio; era un giocatore di grandissima classe, uno capace di sorprendere noi e se stesso, perché capace di realizzare qualcosa che non prepari ed è l’aspetto più bello».

C’è anche un momento in cui va in campo un’Inter tutta straniera. Succederà nella notte della vittoria in Champions League, ma accade per la prima volta il 24 novembre 2005, contro l’Artmedia. Il caso finisce in Parlamento, «ma io ho sempre pensato che contassero i grandi giocatori e non il loro luogo di nascita, perché credo che questo sia il vero spirito di Milano, una città dove aprirsi e non chiudersi, cercare spazi e non accettare limiti. Milano è spirito nuovo, progettualità vera, forza di trascinamento. Che signifca inserire nella città quelli che partecipano al lavoro. Non mi è mai interessato sapere se Cambiasso è italiano o argentino; so che è un professionista esemplare e una persona meravigliosa».

In questi 18 anni ci sono stati anche momenti molto difficili: «Abbiamo vinto tanto, ma prima c’è stata anche tanta sofferenza, perché abbiamo dovuto scavalcare le montagne». Se ne sono andati l’avvocato Prisco e Giacinto Facchetti. C’è stata Calciopoli, legata a un momento in cui «vedevo davanti a me un muro non superabile. Avevo capito che al massimo avremmo potuto concorrere per il secondo o terzo posto. Nel 2006 avrei voluto cedere la società; poi prevale il senso di responsabilità e il rispetto per l’impegno preso. Così ho deciso di andare avanti, mentre si andava precisando quanto si era intuito già nel 1998. Ho pensato: faremo una squadra così forte, che vinceremo tutto». È stato così, anche se con Mancini, le vittorie erano già arrivate nel 2005. Prendere Ibrahimovic nell’agosto 2006 è stato un po’ come ripetere la storia di Ronaldo: «Alcuni amici svedesi mi avevano raccontato che a Malmoe lui giocava con la maglia dell’Inter. Ibrahimovic era un campione da Inter, geniale e fantastico, come impongono la tradizione e la storia della società». Nell’ottobre 2006, dopo l’1-1 di Cagliari, il presidente aveva anche pensato di cambiare Mancini, prendendo Scolari. Mancini però lo aveva preso in contropiede: «Parlavamo delle diffcoltà di quel momento e lui mi ha detto: stia tranquillo, vinciamo lo scudetto alla grande, ma non cambi allenatore. Non faccia questo errore. Mi era piaciuto che parlasse dell’allenatore non in prima persona. L’ho tenuto, abbiamo vinto». Finché è arrivato Mourinho: «L’avevo cercato dopo lo sfogo di Mancini, a metà marzo 2008; gli avevo spiegato che se fosse arrivato lo scudetto, non avrei cambiato. Lui mi rispose: non prendo impegni, finché lei non ha deciso. Alla fine ho scelto lui, perché temevo che Mancini ripetesse lo sfogo dopo il Liverpool e si dimettesse». Con Mou è arrivato il triplete del 2010: «Il bello è che ho sofferto molto di più a Siena, per lo scudetto nel giorno del mio compleanno, che a Madrid. Già molto prima della finale ero convinto che avremmo battuto il Bayern. È stata una grande emozione, non una sofferenza». In questi anni ha provato anche a prendere Messi («Ma era troppo legato al Barcellona»), ha rifatto l’Inter per arrivare in cima al mondo. Poi nel 2011, dopo la Coppa Italia, «ho pensato che fosse venuto il momento di fare un passo laterale, di trovare nuove soluzioni per il club. Ho cercato una soluzione che ci aprisse nuovi mercati. È stato giusto farlo. Non ho mai pensato di essere presidente dell’Inter a vita». La storia dirà.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
LE SAPA DI GIAN MARCO E MASSIMO CHIUDONO IL PRIMO BILANCIO CON UNA PERDITA

Moratti, in rosso le nuove holding

Le due casseforti, che hanno sostituito la Angelo Moratti Sapa e nelle quali è stata spacchettata

la partecipazione del 50,02% in Saras, hanno riportato un passivo di quasi 13 milioni a testa

di ANDREA GIACOBINO (MF MILANO FINANZA 26-11-2014)

Primo bilancio amaro per le nuove casseforti dei fratelli Moratti. La Gian Marco Moratti Sapa (Gmm) e la Massimo Moratti Sapa (Mm), ossia le due accomandite che detengono congiuntamente il 50,02% della quotata Saras (raffinazione petrolifera), hanno infatti chiuso il loro primo esercizio in perdita, rispettivamente per 12,8 e 12,7 milioni di euro, passivo che in entrambi i casi è stato riportato a nuovo. Va ricordato che i due fratelli Moratti hanno deciso lo scorso anno per motivi ereditari di spacchettare in due veicoli distinti la partecipazione di controllo della società quotata, precedentemente custodita nell’unica accomandita Angelo Moratti Sapa. Il totale dell’attivo della holding di Gian Marco è di oltre 122 milioni di euro, che risulta per quasi 50 milioni dal 25% di Saras, per 8 milioni di euro dal 6,1% di Space (nuovo veicolo d’investimento) e per 6,4 milioni di euro da 26 quote del fondo immobiliare Scarlatti, in carico a un valore superiore di 1,5 milioni rispetto al net asset value del fondo stesso. Nel portafoglio della Gmm ci sono poi investimenti finanziari di vario genere per 56,6 milioni di euro complessivi e la perdita si deve a 12,3 milioni di spese per «servizi vari».

Quasi in fotocopia il primo rendiconto dell’accomandita del fratello Massimo, ex patron dell’Inter. L’attivo della Mm, pari a 122,1 milioni, comprende infatti per 50 milioni di euro la quota Saras, per 40,7 milioni il 98,1% di Internazionale Holding (che detiene il 29,5% della squadra nerazzurra oggi controllata da Erick Thohir), per 6,1 milioni di euro 25 quote del fondo Scarlatti (in carico a 14 milioni oltre il nav) e investimenti finanziari vari per 15 milioni. Massimo con la sua holding ha poi comprato un immobile a Londra sborsando 78,1 milioni. Anche nella sua accomandita il rosso è stato provocato da 12,1 milioni di spese per «consulenza aziendale e societaria».

 

Quanti bidoni avrebbe comprato per 78,1 milioni? Qualcuno in famiglia l'ha fatto rinsavire (John Philip Jacob Elkann).

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 24-Oct-2006
10590 messaggi
UN PADRONE INAFFERRABILE – UNA RAGNATELA DI FINANZIAMENTI, PEGNI INCROCIATI, HOLDING E PARADISI FISCALI AVVOLGE L’INTER DI ERICK THOHIR – UNA SOCIETÀ CON BASE ALLE CAYMAN, DAL NOME POCO SUGGESTIVO DI “*****EKA”, AL CENTRO DELLE ULTIME MANOVRE

 

http://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/padrone-inafferrabile-ragnatela-finanziamenti-pegni-incrociati-101470.htm

 

 

:interxxx:

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 08-Jul-2006
20998 messaggi

alla buonora corriere

 

fanno santo chi vogliono

poi quando non serve giù................................m***a

 

non funziona più cosi ditiglielo

.penso

 

oppure si

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Dec-2005
37577 messaggi

li vedo male...ma tranquilli, comprano jajatourette  :sisi:

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 20-Apr-2009
40693 messaggi

UN PADRONE INAFFERRABILE – UNA RAGNATELA DI FINANZIAMENTI, PEGNI INCROCIATI, HOLDING E PARADISI FISCALI AVVOLGE L’INTER DI ERICK THOHIR – UNA SOCIETÀ CON BASE ALLE CAYMAN, DAL NOME POCO SUGGESTIVO DI “*****EKA”, AL CENTRO DELLE ULTIME MANOVRE

 

http://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/padrone-inafferrabile-ragnatela-finanziamenti-pegni-incrociati-101470.htm

 

 

:interxxx:

 

Il tuo cartello forse intendeva dire: INTER MER(D)EKA :261:  :261:  :261: 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

“Operazione Ladroni”: per la Cassazione non fu l’Inter a far spiare l’arbitro De Santis

di MARCO BELLINAZZO (CALCIO & BUSINESS 04-09-2015)

Al mosaico di Calciopoli si aggiunge un altro definitivo tassello, sia pure “laterale”, con la decisione della Corte di cassazione (sentenza n. 17547 depositata il 3 settembre) nella causa per risarcimento danni intentata dall’arbitro Massimo De Santis contro l’Inter. De Santis ha accusato, infatti, la società nerazzurra, e in particolare i suoi massimi dirigenti Moratti, Facchetti e Tronchetti Provera, di aver conferito nel 2002 a Giuliano Tavaroli l’incarico di spiarlo, al fine di redigere “un dossier denominato Operazione Ladroni in relazione al cd sistema Juventus, asserita illecita organizzazione finalizzata a favorire detta squadra calcistica”, come scrivono i giudici della Cassazione. L’attività di spionaggio e dossieraggio è costata una condanna in ambito penale a Tavaroli e a Emanuele Cipriani, titolare dell’agenzia investigativa a cui il primo si era rivolto.

 

Per la Cassazione, che ha confermato quanto stabilito dal tribunale di primo grado in sede civile, però, “non vi è prova che la raccolta delle informazioni sia imputabile a Fc Internazionale, sulla base di tutte le risultanze probatorie in atti, da cui risulta che, gli accertamenti illeciti furono materialmente posti in essere dai dirigenti responsabili del cd. gruppo Pirelli-Telecom, anche attraverso strutture societarie ad essi facenti capo, e, sul piano giuridico-economico, il costo degli abusivi accertamenti fu sostenuto solo da Pirelli spa; laddove soltanto il teste Tavaroli aveva dichiarato di aver ricevuto l’incarico di spionaggio dalla società calcistica, dichiarazione, tuttavia, di scarsa rilevanza probatoria, atteso che detto incontro – di cui peraltro, a differenza degli altri, erano rimasti indefiniti tempo e luogo – sarebbe avvenuto soltanto alla presenza di Giacinto Facchetti, che tuttavia era venuto a mancare pochi giorni prima della deposizione in questione, dunque senza la possibilità di acquisirne riscontro; del resto, la situazione si palesa evidentemente diversa dalla cd vicenda Vieri, ove la fatturazione delle prestazioni volte ad acquisire illecitamente dati personali è avvenuta nei confronti della società predetta”.

 

Infine, per i giudici di legittimità, non vi è neppure la prova che l’Inter abbia utilizzato a proprio favore i dati personali di De Santis, tant’è che non ci sono state indagini penali contro i suoi dirigenti. E la “pesante condanna di De Santis da parte del Tribunale di Napoli per reati di frode sportiva non è derivata dal cd dossieraggio svolto a suo carico”.

 

Prese per il c**o a gogò.

Si sta chiudendo un'era di facili costumi.

  • Like 1

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 09-Jan-2011
22403 messaggi

Prese per il c**o a gogò.

Si sta chiudendo un'era di facili costumi.

 

non ci sono state indagini penali nei confronti dei dirigenti prescritti...non ci sono mai state nemmeno le telefonate nascoste e le trascrizioni coi baffi sui cartonati.

l'unica cosa che esiste è che moggi e giraudo siano colpevoli..non si sa di cosa..ma siano colpevoli

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 07-Jan-2014
7015 messaggi

Cioè questa notizia sarebbe da far leggere a tutti, tifosi juve in primis non solo il titolo.perché poi nella memoria del tifoso medio resterà solo il titolo..

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 24-Oct-2006
10590 messaggi

Che ci sia una palata di sabbia dopo l'altra, da anni, ormai è un fatto noto. 

Il problema grosso semmai sta sempre e solo a Torino. Tutto il resto segue...

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 16-Sep-2010
17903 messaggi

Da aprire su JF perché qua solo 4 gatti hanno letto la scandalosa notizia ieri. Vista solo adesso.

 

Vorrei capire la motivazione per cui la Pirelli avrebbe dovuto intercettare De Sanctis. A che pro? Gli avrebbe rubato le gomme?

Seguono bestemmie, invettive, auguri malefici.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora

  • Chi sta navigando   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×
×
  • Crea Nuovo...