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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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L’INCHIESTA 32 INDAGATI A FERMO, MA LA VICENDA SUI DOCUMENTI IRREGOLARI POTREBBE COINVOLGERE ALTRI

False cittadinanze, Bergessio è fuori

di ANDREA TOSI (GaSport 12-10-2012)

Le indagini della Procura della Repubblica di Fermo, condotte dai Carabinieri del comandante Pasquale Zacheo, sulle false cittadinanze che coinvolgono molti calciatori e altri sportivi militanti o transitati in Italia avanzano piano ma potrebbero presto assumere sviluppi eclatanti anche su altre piazze. Al momento il Sostituto procuratore Raffaele Iannella smorza i toni del caso anche se 34 indagati tra cui un funzionario dell'ufficio anagrafe e una dirigente del Pdl locale fanno comunque rumore. «Ho ereditato il fascicolo dal procuratore capo uscente Vardara ma non ne ho ancora preso visione perciò sono all'oscuro della vicenda se non per quello che ho letto sui giornali — argomenta il magistrato —. Quel fascicolo è stato depositato a giugno. Abbiamo sei mesi per esaminare il quadro. Perciò oggi qualunque conclusione è prematura». La genesi di questa inchiesta parte da lontano, come tempi e come geografia. Nel 2007 una procura penale di Buenos Aires segnalò con una rogatoria internazionale ai colleghi di Fermo che alcuni giocatori del giro della nazionale argentina si sarebbero attivati per ottenere in modo facile la cittadinanza italiana attraverso gli uffici di un agente sudamericano residente nella città marchigiana. Emersero tre nomi su tutti: Gonzalo Bergessio, Marcos Aguirre e Augustin Pellettieri. I tre dovevano sostenere un provino per Inter, Napoli e Torino, circostanza che è oggetto di accertamenti dell'Arma. Peraltro solo Aguirre ottenne il passaporto italiano e le prime indagini della Polizia Anticrimine e dei Carabinieri di Fermo si conclusero qui. Nessuno di loro risulta indagato, perciò oggi Bergessio si chiama fuori da questa storia essendo extracomunitario al Catania.

Nozze Il caso è stato riaperto a causa delle nozze di un brasiliano che aveva ottenuto la cittadinanza italiana a Fermo. Le verifiche hanno evidenziato irregolarità documentali facendo cadere il funzionario dell'ufficio anagrafe che ha confessato allargando il campo dei falsi passaporti con riguardo ai calciatori, sarebbero una ventina che militano o hanno militato in serie A, B e Lega Pro, e ad altri soggetti attivi nel calcio a 5 e nel volley femminile. Il tutto sotto la regìa di un imprenditore e di un ex vicesindaco della cintura fermana che hanno rigettato ogni addebito. Vagliata anche la posizione dell'ex milanista Roberto Ayala.

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«La mia partita contro

i cacciatori di streghe»

La battaglia di Kobéna per fermare

la mattanza delle bambine del Benin

di LUIGI GUELPA (Pubblico 12-10-201)

Da Torquemada al seme della superstizione, e nel mezzo seicento anni in cui le donne sono finite al rogo per stregoneria. In Africa è un problema di origine ancestrale e nel piccolo Benin, stato affacciato sul Golfo di Guinea, le presunte streghe sono bambine di pochi anni che vengono brutalmente assassinate. A Parakou, città di 180 mila abitanti della provincia del nord di Borgou, alcuni predicatori senza scrupoli sostengono che le bambine dei villaggi della zona siano possedute dal demonio e si adoperano per «liberarle» con pratiche violente di esorcismo. Dall ’inizio dell’anno ne sarebbero state sottoposte al trattamento più di trecento. Una cifra che fa accapponare la pelle, perché quasi tutte avrebbero perso la vita.

«Con erbe e strani intrugli sostengono di uccidere le streghe che dimorano in loro. Non si rendono conto di essere degli assassini». A denunciare i fatti non è un rappresentante del governo locale e neppure il responsabile di una qualsiasi associazione umanitaria impegnata sul territorio, bensì un calciatore beninese che, è proprio il caso di dirlo, ha fatto una scelta di campo piuttosto radicale. Sciopererà ad oltranza fino a quando il governo non metterà concretamente mano alla questione. E se in Europa i calciatori minacciano di accantonare le scarpette bullonate per ottenere privilegi e ritocchi agli ingaggi milionari, un figlio di madre Africa vuol far leva sul pallone per sensibilizzare l’opinione pubblica ben sapendo di rimetterci anche del denaro. Nouhoum Kobéna è un centrocampista di 27 anni con il fisico scolpito nel marmo. Veste da anni la maglia della nazionale, che a quelle latitudini è conosciuta come la squadra degli scoiattoli. La allena una vecchia conoscenza del calcio francese, l’ex difensore Manuel Amoros. Kobéna, che qualche mese ha trovato un ingaggio da professionista in Finlandia nel modesto Palloilijat di Kotka, è nato proprio a Parakou, la città della strage delle bambine. Una delle sue piccole cugine Ama è stata sottoposta al medesimo trattamento. «Si è salvata per miracolo, ma ha perso vista e udito. Anche per queste ragioni ho deciso di spendermi in prima persona e giocare la partita più importante della mia carriera. Non metterò più piede in Benin e non vestirò la maglia della nazionale, fino a quando le forze di polizia non interverranno per assicurare gli assassini alla giustizia. Il mio non è un gesto isolato. Sto esortando altri compagni che giocano in Benin, se è il caso fermeremo anche il campionato». In una realtà come quella del Benin, dove per altro esiste uno dei mercati dei feticci più grandi dell’Africa, la quotidianità è strettamente legata ai cicli naturali e all ’occulto. Un terreno fertile per i «cacciatori di streghe» che si aggirano nel nord del paese, di villaggio in villaggio, instillando nella mente delle persone il sospetto che i figli siano posseduti dal demonio e catalizzatori di disgrazie. «È un fenomeno diffuso da parecchio tempo - racconta Kobéna - quando ero bambino ne avevo sentito parlare, ma oggi la situazione è diventata ingestibile e drammatica. Ci sono predicatori che coltivano la credenza negli spiriti maligni e nella possessione demoniaca, e poi propongono riti di esorcismo per vincere la disperazione che essi stessi hanno suscitato». Riescono così ad estorcere denaro praticando l’esorcismo e uccidendo impunemente.

Il governo del presidente Yayi Boni non ha mai mosso un dito per debellare il fenomeno. Il problema è che la nazione - grande quanto il nord Italia - è divisa a metà. A sud, dove sorge la capitale Cotonou, le istituzioni funzionano in maniera accettabile, a nord regna invece l’anarchia. Neppure la visita pastorale di Benedetto XVI lo scorso novembre è servita a smuovere le coscienze dell’establishment locale. Del resto il Papa ha visto solo quello che il presidente Boni voleva. Una Cotonou efficiente e moderna, e soprattutto ripulita dalla cartellonistica che invita le coppie a fare uso del preservativo. Nessun accenno a streghe o a pericolose pratiche ancestrali. «Si tratta di un vero e proprio incitamento all’odio -conclude Kobéna - più questi pseudo predicatori individuano spiriti maligni, più celebrano esorcismi, e maggiormente credono di affermarsi con successo in una sorta di competizione con le altre comunità di fede».

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RIVELAZIONI

La spia che voleva

LA ROMA

L'uomo dei misteri della trattativa Stato-mafia dietro il blitz tentato nel 2008. Lo racconta un libro sul lato oscuro del calcio

di RAFFAELE CANTONE & GIANLUCA DI FEO (l'Espresso | 18 ottobre 2012)

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L'assalto delle mafie al calcio italiano. Per conquistare soldi, fama e potere. Dai campioni del Napoli avvicinati dai boss al codice Milan usato dai corleonesi. In "Football Clan" Raffaele Cantone, il magistrato che ha indagato sulla scalata criminale alla Lazio, e Gianluca Di Feo, giornalista de "l'Espresso" descrivono il lato più oscuro del pallone. A partire dall'operazione per conquistare la Roma, l'ultima prima dell'arrivo degli azionisti Usa.

La trattativa è cominciata a gennaio 2009, con la proposta di uno dei più rispettati giuristi italiani: Natalino Irti, ex presidente del Credito Italiano e titolare di uno studio affermatissimo. Tutto secondo le regole dell'alta finanza. Il professor Irti chiede all'avvocato dei Sensi di intavolare colloqui esclusivi per l'acquisto dell'intera società. Spiega di agire per conto di un cliente molto noto nell'ambiente sportivo: l'agente Vinicio Fioranelli, attivo nel calciomercato di tutta Europa. Fioranelli è nato nelle Marche ma ha fatto fortuna in Svizzera, prima come ristoratore poi come rappresentante di giocatori. Da procuratore tratta nomi di buon livello - Karl-Heinz Riedle, Thomas Doll, Dejan Stankovic e Marcelo Salas - e si impone nella cerchia della Lazio da scudetto di Sergio Cragnotti. Sa che i Sensi devono vendere e che Unicredit vuole liberarsi il prima possibile della squadra. Dice di avere pronti 200 milioni di euro. Ma quando si tratta di scoprire le carte, invece di tirare fuori i quattrini fa entrare in scena un socio tedesco con un cognome da gotha: Volker Flick. Lo presenta come un discendente della dinastia dei magnati dell'acciaio, «parente di Mick e Muck, i due fratelli che possedevano la Mercedes, e che ha già 300 milioni di euro in caldo per chiudere il contratto. Non ci credete? Eccovi le coordinate telematiche del suo conto, controllate pure».

Ma gli advisor che hanno affiancato la proprietà non si fidano di quella certificazione elettronica. Il vicedirettore di Mediobanca Maurizio Cereda vuole però andare avanti nella trattativa e organizza lunghe riunioni di avvocati tra Roma e Zurigo per concordare il pagamento: Fioranelli accetta di mettere 300 milioni di euro su un conto vincolato fino alla firma definitiva. Dice a Mediobanca che è disposto a lasciare una quota simbolica delle azioni e la presidenza a Rosella Sensi, poi il giorno dopo ci ripensa: «I tifosi non la amano, preferisco fare a meno di lei».

C'è un solo problema: i 300 milioni non si vedono. Mediobanca sollecita il bonifico concordato, ma Fioranelli si arrampica sugli specchi e prende tempo. Nemmeno i venditori vogliono staccare la spina, implorano almeno un segno di buona volontà: «Ci faccia parlare con la sua banca per trovare una soluzione». Per due settimane lui si nega, lascia il telefono al figlio. Il 22 giugno, i banchieri danno l'ultimatum: altri tre giorni, poi salta tutto. Così avviene: il sogno si chiude con un breve comunicato ufficiale. Mediobanca però, ancora non sbatte la porta. Il vicedirettore centrale Cereda dichiara: «Ho avuto contatti con il Fioranelli fino alla domenica successiva, il 28 giugno; ho fatto presente che il discorso poteva essere ripreso qualora si realizzassero le condizioni...».

Quando scade l'ultimatum dei Sensi, i finanzieri del Nucleo centrale valutario si sono già fatti un'idea precisa su chi c'è dietro quella trattativa. Anzitutto Herr Flick. Non è parente della famiglia della Mercedes: risulta avere gestito malamente un negozio di mobili, con tanti debiti da venirgli vietato di emettere assegni. Poi si è fatto notare per una fantasiosa sequela di iniziative. Nel 2007 la Deutsche Bank lo ha sorpreso mentre cercava di fare un bonifico telematico da mezzo miliardo di euro. L'anno dopo viene beccato mentre propone al premier turco Erdogan un investimento da un miliardo di dollari. Operazioni sempre virtuali, che trovano una spiegazione quando le intercettazioni captano le conversazioni tra Fioranelli e un misterioso personaggio attivo tra Italia e Svizzera, uno che si fa chiamare «generale Bruni» o «generale Rivera». Al telefono «il generale» vanta rapporti con l'intelligence americana e araba, nonché entrature nelle principali banche del pianeta, incluso lo Ior del Vaticano.

Per gli investigatori è una vecchia conoscenza: si tratta di Elio Ciolini. Un nome che ha segnato la storia delle trame italiane. Nel 1982 è nella stessa prigione ginevrina di Licio Gelli e parla di una pista internazionale per la strage di Bologna, indicando una misteriosa loggia massonica di Montecarlo. Per i magistrati è un depistaggio, con oscuri mandanti che un vero generale del Sismi identifica proprio nella P2. Dieci anni esatti dopo, mentre la Prima Repubblica viene abbattuta dalle bombe di mafia, il solito Ciolini evoca un golpe per destabilizzare il Paese. Le sue elucubrazioni trovano ascolto al ministero dell'Interno, scatenando la massima allerta. Nel 2001, alla vigilia delle elezioni Silvio Berlusconi parla ai giornalisti di un piano per assassinarlo. La questione campeggia sulle prime pagine. Poi spunta l'origine delle rivelazioni: sempre lui, sempre Ciolini.

Ascoltando i telefoni, gli investigatori si convincono che dietro Fioranelli ci sia l'uomo dei depistaggi. Lo definiscono «l'istigatore» della scalata alla Roma, che ora assume il profilo di una colossale operazione di riciclaggio. E con Ciolini c'è un altro asso di denari, sempre dietro le quinte. Si chiama Vittore Pascucci: è stato arrestato con un vecchio capo di Cosa nostra; ha avuto rapporti con lo storico cassiere della 'ndrangheta lombarda; si è mosso assieme ai riciclatori del clan camorrista Galasso. Al suo fianco sono passate generazioni di faccendieri, da Pierluigi Torri a Flavio Carboni.

Pascucci e Ciolini risorgono sempre dalla cenere delle loro imprese. Nel 2008 hanno in cassaforte una ventina di certificati di credito del governo americano «per un valore complessivo di 565 miliardi di dollari Usa», come recita testualmente l'atto d'accusa. Carte che intendono trasformare in soldi veri. Puntando sulla Roma. Il piano viene smascherato nella primavera 2010 con l'arresto di Fioranelli e Ciolini, accusati di avere ingannato le autorità di Borsa. Il maestro delle trame scompare nel nulla. Invece l'agente dei campioni finisce in manette e patteggia una condanna a un anno e dieci mesi. È stato una vittima? L'ordine di cattura lo definisce un complice. Il documento ricostruisce un altro tentativo inedito di entrare in Serie A: nel 2008 lui voleva prendere il Bologna. E lo avrebbe fatto contando su un altro stock di titoli sospetti, questa volta brasiliani. In quella occasione Fioranelli ha preteso di inserire nella bozza di accordo una clausola specialissima: «Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte».

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Abusive Twitter ‘fans’ detract from honest debate

Idiots and trolls don’t represent real football fans, thankfully

by GABBY LOGAN (The Times 12-10-2012)

Don’t open the Pandora’s box, my husband warned me. It was too late — I googled my name. The internet was only young, this was 1999, so how much abuse could there be? Lots, it transpired; people had been busy. As I was 26 years old with a decent level of vanity, my main focus was on a particular football blog that called me Lion Head (it was referring to my unruly hair) and focused on my “manly hands”. Honestly, they are not that big.

That was 13 years ago. My skin has got thicker, but so have a lot of the trolls. For all that the internet is a good thing with noble intent, it’s crueller and more brutal than ever. Let’s be clear, I would not say that I have been trolled, not as I would define it anyway. I research on the internet, buy things on it, I do business on it and I am entertained by it, but, like a brothel at 3am, I don’t need to go in the dark parts to know what’s happening.

Here’s the thing that I have noticed since Twitter came along. And this is quite specific to Twitter because you get instant feedback whether you want it or not — I am not delving masochistically into the box. My non-scientific observation is that football fans might just be the most sensitive human beings on the planet. It’s a really odd anomaly: the sport with the most money, power, status and media exposure seems to be followed by the most easily offended fans.

In the days when people used pens, they probably wouldn’t bother writing the stuff they tweet, but they don’t even have to move to send this feedback; the phone will be right next to the remote control. It’s the electronic version of shouting at the telly.

I hosted a nightly show at the Olympics for 16 days and the worst I received on Twitter was a very irate horse-loving woman wondering why I didn’t get an equestrian person in to analyse the dressage rather than ask John McEnroe about it. I tried to explain in 140 characters what the show was about, she didn’t accept it and life moved on.

When I host Six Nations rugby, I get nothing more than comments about the refereeing of the scrum and the odd bit of banter if we happen to be broadcasting in the snow or rain. People, I have discovered, love broadcasters getting wet.

I know Brian Moore, the former England hooker, had to close his account because of sickening abuse from rugby “fans” and maybe my time is coming, but I can only tell you my experience so far. I love a good bit of constructive criticism, a dissenting viewer or a tweet that points out that I have spinach in my teeth; these are helpful.

But I don’t think I have hosted a football show of any description, whether it’s live games, interviewing England players or Final Score, without someone tweeting that they want me dead or asking for sex in a very impolite way. “You are rubbish, go get back in the kitchen” doesn’t even count when put against some of the stuff that is tweeted after I host coverage of a football match.

The beauty of Twitter, of course, is that you can block and move on. Paranoia manifests itself quite often with the conviction from fans that you are biased, one-eyed and hate their team. I have been accused of being a Liverpool, Manchester United, Spurs, Arsenal and Chelsea fan in equal measure.

Last week, because I pointed out on Final Score that Rangers had been beaten by Stirling Albion, a Rangers fan mocked up a poster of me that he then tweeted, insinuating that I was only delivering the result because they, Rangers, lost. The clue is in the title of the show.

A couple of Saturdays ago, I hosted Match of the Day and started engaging in a post-show conversation with angry Manchester City fans. I will not go into what they were aggrieved by here, suffice to say it involved a penalty, Alan Hansen and Vincent Kompany.

Maybe we didn’t make the right call about what we analysed after the edit, but I am not sure that it merited the torrent of abuse that followed. Gary Lineker was in Los Angeles but could see from 4,700 miles away what was happening and tweeted, tongue in cheek, that I shouldn’t get involved in the post-MotD bashing that is obviously a weekly occurrence.

I think we understand where all of this comes from. Football fans don’t choose their clubs; they are born into them and feel as attached and possessive as if they were flesh and blood. The heritage of their club is as real as their own family tree and they would argue it’s passion that fuels this abuse.

Similar arguments were snuffed out in seconds when “fans” tried to justify fighting on the terraces in the 1980s. Genuine supporters loathed the way those thugs denigrated their sport’s reputation without ever losing their own passion for debate and discourse with their opposite numbers.

Football, thankfully, will never be a benign, acquiescent arena for the faint-hearted, but it would be a shame if abusive cowards hiding behind their Twitter monikers were allowed to drown out what most of us would consider to be the “real fan”.

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Benvenuti al curva-show

Le telecamere si spostano sugli spalti degli stadi di calcio per seguire

i tifosi più fanatici. Arrabbiati o delusi che siano, da Bari all'Olanda

«Non è vero che in curva ci sono solo ignoranti. Molti sono fin troppo intelligenti» (Dalai)

di DANIELE ASSORATI (SETTE TV | 12.10.2012)

Per alcuni essere tifosi vuol dire far parte di un vero e proprio clan. Per questa gente recarsi ogni domenica allo stadio non è più un semplice passatempo, ma una vera e propria ragione di vita. Esistono però modi differenti di interpretare l’attaccamento alla maglia. C’è la passione limpida e commovente di Danilo, protagonista e autore del documentario Non cresce l’erba (Mtv, ogni venerdì alle 22.50): il viaggio di un giovane tifoso del Bari che pretende di sentire dalla viva voce dei protagonisti del calcioscommesse le ragioni che hanno portato la sua squadra al centro dello scandalo. Ci sono poi gli uomini raccontati in Football Hooligans (DMax, ogni domenica alle 22.55), la trasmissione che ha fatto entrare le telecamere tra le curve più infuocate del mondo. Dalla Scozia all’Argentina, dall’Italia all’Olanda (location della prossima puntata) l’editore e scrittore Michele Dalai presenta i servizi che mostrano il lato più duro, violento e inammissibile dello sport.

Che tipo di tifoso sei?

«Imborghesito. Oggi frequento i distinti, ma per quindici anni sono stato in curva a tifare Inter».

Quindi conosci bene l’ambiente?

«Abbastanza, ma sono rimasto sempre indipendente dal tifo organizzato. Anche così però capitano cose pericolose...».

Football Hooligans non rischia di creare fomento anziché repulsione per la violenza?

«Non credo. Il documentario è lo strumento migliore per osteggiare il tifo violento: ne mettere a nudo i protagonisti. È peggio vedere quei genitori che portano i figli ai distinti e fanno comunque cose orrende».

Cosa pensi del «calcio come ragione di vita»?

«Non la giudico, ma non la capisco. Coloro che ne fanno una professione perdono tutto il lato sentimentale: non che ci sia niente di male, purché si rimanga sempre nella legalità».

La cosa più triste per un tifoso?

«La disillusione di chi vede il calcio con lo sguardo da innamorato e poi scopre che ha sempre meno a che fare con lo sport».

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Troppi club professionistici

ecco il piano: A a 18, B a 20

Fulvo Bianchi - Spy calcio - repubblica.it - 12-10-2012

Di questi tempi è un'autentica follia, un'anomalia tutta italiana che non ha riscontri nelle altre Nazioni: 111 club professionistici. Venti in A, ventidue in B, sessantanove in Lega Pro (che è già scesa: prima ne aveva 90!). L'ideale sarebbe arrivare a 78, così divisi: 18 in A, 20 in B, 40 in Lega Pro (o al massimo, 60, divisi in tre gironi). "Se ci mettiamo intorno ad un tavolino e ne discutiamo fra noi, possiamo farcela": Andrea Abodi, presidente della Lega B, è ottimista. "Si potrebbe partire già dal 2014". Il problema è che la A ha già venduto questo format, a 20 squadre, alle tv sino al 2015 e molti presidenti temono di incassare meno soldi: ma non è detto che sia così. A Sky, a Mediaset Premium e a chi vende i diritti tv all'estero fa comodo un campionato vivo, avvincente, equilibrato, di buon livello oppure, come adesso, gare noiose, modeste e stadi desolatamente vuoti? Bisognerebbe trattare con le tv e poi partire con il progetto: Giancarlo Abete crede in una riforma dei campionati, non per niente anni fa ne preparò una, su richiesta di Franco Carraro, che poi fu "impallinata" dai soliti veti incrociati e dagli interessi di parte. Nei cassetti della Lega di A, a Milano, c'è un progetto fermo da 10 anni. Ma adesso, sull'onda di una crisi che non sarà breve nemmeno per il calcio, ecco che se ne può, se ne deve, riparlare. O stiamo a contare le società che scompaiono, 45 negli ultimi anni? |

Nell'ultimo consiglio federale i rappresentanti del sindacato calciatori (Aic), guidati da Damiano Tommasi, si sono espressi per la prima volta a favore di un taglio anche drastico dei club di Lega Pro: per arrivare a 60, come vuole Mario Macalli, ma anche, se fosse necessario, per scendere addirittura a 40. Sì, perché la situazione è talmente grave che quest'anno, su 69 società, già una decina non pagano gli stipendi (e siamo solo ad ottobre...) e chissà quanti club riusciranno ad iscriversi la prossima stagione al campionato. Così non si può più andare avanti: Macalli e il suo staff hanno fatto sicuramente passi avanti, anche coraggiosi, cercando di imporre i giovani, controllando i flussi delle scommesse per scoraggiare i calciatori "infedeli", rilanciando la Nazionale Pro.

Ma non basta ancora: la crisi allontana gli imprenditori, bisogna ridisegnare un nuovo schema di calcio. Tutti insieme: la ritrovata sintonia delle quattro Leghe può aiutare. La serie B ha la sua tv e lunedì a Roma presenterà i suoi progetti per il futuro. Stadi e non solo: non è possibile, presidente Abodi, che il Sassuolo primo in classifica non abbia il suo impianto e sia costretto a giocare a Modena (Pro Vercelli e Lanciano invece stanno per tornare a casa). Chi non ha gli stadi non può partecipare ai campionati professionistici: impariamo dall'estero. Il tema di una riforma radicale, passando anche per la giustizia sportiva (vedi Spy Calcio dell'11 ottobre), va discusso all'inizio del 2013, passate le elezioni delle varie Leghe e della Figc (14 gennaio).

Entro ottobre il commissario ad acta, nominato dal Coni, Giulio Napolitano, finirà il suo lavoro e si conoscerà la ripartizione del nuovo consiglio federale. Il Coni vuole che al massimo sia composto di 20 membri (il presidente più 19). La Lega B, nelle sue considerazioni consegnate a Napolitano jr., propone 19 membri, e sei per i club professionistici (A 3, B 1 e Lega Pro 2). Ma la Lega Pro non ci sta e ne vuole tre. Tutti d'accordo invece a fare fuori gli arbitri dal consiglio federale: l'Aia, secondo la B, non dovrebbe nemmeno intervenire quando ci sono questioni che la riguardano. Fuori del tutto. Gli arbitri conserverebbero comunque autonomia gestionale e finanziaria. E se decidessero di scioperare? "Non scherziamo nemmeno-ci ha detto un autorevole membro del consiglio-Se ci provano, l'Aia viene immediatamente commissariata. Al nostro calcio manca solo lo sciopero degli arbitri....". Che farà Marcello Nicchi? Il 10 novembre ci sono le votazioni Aia: prima Stefano Palazzi deve chiudere l'inchiesta e stabilire se è vero quello che sostiene il candidato Robert Boggi, cioè che Nicchi ha minacciato alcuni dirigenti. Il clima è questo, per la riforma dei campionati si aspetteranno acque più tranquille.

(12 ottobre 2012)

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12/10/2012 - il caso [la stampa]

Il Tnas riduce la squalifica ad Alessio

Per la sfida contro il Napoli ci sarà

Il vice di Conte tornerà il 16 ottobre

Dopo la riduzione della squalifica ad Antonio Conte, dal Tnas arriva lo sconto anche per il suo vice Angelo Alessio. Il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport ha ridotto la squalifica inflitta al tecnico, che potrà tornare in attività dal 16 ottobre.

Il vice allenatore della Juve era stato squalificato per otto mesi, poi ridotti a sei in appello, nell’ambito dell’inchiesta sul calcioscommesse.

Il Collegio arbitrale, composto da Luigi Fumagalli, Luca Di Nella e Enrico De Giovanni, ha respinto la domanda principale formulata da Alessio, mentre in parziale accoglimento della domanda subordinata formulata ha deciso di ridurre la sanzione della squalifica fino al 15 ottobre 2012. Alessio potrà tornare in panchina già per la sfida contro il Napoli in programma il 20 ottobre.

Chiappero: Siamo scontenti. Alessio andava assolto

Il legale del vice di Conte: «Quello che volevamo era l´assoluzione piena perché le carte sono tali da dimostrare che lui è innocente e tra l´altro non è mai stato sentito. Il fatto di avere comunque già scontato di fatto la squalifica consente di valutare la sentenza del TNAS come una sorta di assoluzione postuma»

[tuttosport]

ROMA - L'avvocato Luigi Chiappero, legale di Angelo Alessio, ha commentato a Sportiva la sentenza del TNAS che ha ridotto la squalifica del vice allenatore della Juve a due mesi, con scadenza il 15 ottobre: «Quello che volevamo era l´assoluzione piena perché le carte sono tali da dimostrare che lui è innocente e tra l´altro non è mai stato sentito. Il fatto di avere comunque già scontato di fatto la squalifica consente di valutare la sentenza del TNAS come una sorta di assoluzione postuma. Gli ho comunicato la sentenza e niente di più: sicuramente non è contento perchè si è sempre proclamato innocente e sperava nell´assoluzione. È una situazione particolare perché Alessio entra nel processo all´ultimo, non viene ascoltato, non c´è un´accusa diretta nei suoi confronti: la Corte di Giustizia Federale lo ha condannato per la conoscenza della vicenda Mastronunzio che però è diversa da come è stata giudicata. Purtroppo il meccanismo della giustizia sportiva che rende subito esecutive le sentenze crea un presupposto negativo per sperare in un'assoluzione».

Modificato da totojuve

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Scommesse Gli investigatori parlano di omertà, i giocatori si difendono dietro le dinamiche dello spogliatoio

«E ora condannateci tutti»

Un calciatore indagato: «Nessuno può salvarsi dall'omessa denuncia»

Pareri opposti Cantamessa: «Riduciamo le pene».

Sandulli: «No, gli sportivi devono sottostare a norme etiche»

di ANDREA ARZILLI & ARIANNA RAVELLI (CorSera 13-10-2012)

MILANO — Un giocatore che ha collaborato con gli inquirenti nelle indagini sul calcioscommesse butta lì uno sfogo che è anche una provocazione: «Fermiamo il calcio sei mesi perché non c'è uno tra i miei colleghi che possa non essere accusato di omessa denuncia. Quindi condannateci tutti. Basta una voce nello spogliatoio, una frase riferita per essere punibili. E più hai un ruolo di leader più rischi, perché raccogli confidenze, o perché chiunque voglia combinare qualcosa sa che deve venire da te. Tu magari lo cacci, ma sei già colpevole».

Eccolo qua lo spettro che si aggira per la serie A e fa dormire preoccupati i calciatori o i dirigenti indagati nelle inchieste di Cremona, Napoli e Bari sul calcioscommesse: l'omessa denuncia. Salvo per i casi conclamati di illecito, è questa la colpa che viene più spesso contestata: essere venuti a conoscenza di una combine e non aver trovato la forza, o il coraggio, di rompere il patto dello spogliatoio e denunciare. I calciatori sostengono di essere l'anello debole. Gli investigatori invece parlano di omertà: sottolineano spesso le complicità con cui si sono scontrati quando hanno posto domande su partite truccate. Per il presidente dell'Uefa Michel Platini inasprire le pene per l'omessa denuncia è l'unica via per combattere le scommesse.

Però questo è anche un territorio grigio. Un fattorino come Angelo Iacovelli che racconta storie nate nello spogliatoio del Bari va preso sul serio e denunciato? La storia ci racconta di sì, sarebbe stato meglio. Ma, per esempio, fin dove ha senso il «non poteva non sapere»? Nel caso di Antonio Conte a Siena si è ritenuto che se il vice sapeva, doveva sapere anche il capo.

Il mondo del calcio si interroga. Una premessa è d'obbligo: la giustizia sportiva è una giustizia domestica, ed è molto più severa di quella comune. «Lo sport è ancorato a un codice etico e deontologico — il parere di Piero Sandulli, il presidente della Corte federale —, gli sportivi sono chiamati a un comportamento specchiato. Si sa che le norme sono queste. Poi, come per la responsabilità oggettiva, può essere che ci sia un'evoluzione alle nuove esigenze. Ogni pronuncia è una crescita».

Negli ultimi processi sportivi, c'è chi ha intravisto però una stortura: cioè che l'omessa denuncia sia diventata lo strumento di condanna quando non c'è la prova di un illecito. Leandro Cantamessa, avvocato del Milan, la toglierebbe dal codice: «Primo perché è nata quando gli strumenti istruttori della giustizia sportiva erano minimi: non esisteva la norma che consentiva di accedere, per esempio, alle intercettazioni dei procedimenti penali. Oggi, invece, gli strumenti ci sono. Secondo perché è la trasposizione della norma penale che obbliga i pubblici ufficiali a denunciare un reato e mi pare forzato trasferirla ad atleti. E infine c'è una terza motivazione che riguarda il disvalore sociale che si dà alla spia, a chi rompe la coesione di un gruppo». Però così si incoraggia l'omertà e la connivenza. «Vero, quindi credo che una soluzione di buon senso sia ridurre le pene, o almeno lasciare al giudice la libertà di entrare nella questione e capire caso per caso la gravità delle responsabilità personali: non ha senso ci sia un minimo obbligatorio di pena». Se ne riparlerà.

___

Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 13-10-2012)

Giustizia sportiva:

ma dov'è finita

la «svolta epocale»?

«Due soli gradi di giudizio anziché tre? Posso dare una risposta, ma non da dirigente. E' una possibilità, ma non conosco i gangli e i meccanismi così a fondo da poter dare un giudizio tecnico. Certo, con un grado in meno si rischia di togliere delle possibilità a chi si difende». Straordinario Gianni Petrucci. Una bella intervista su Tuttosport, oggetto la giustizia sportiva, per dire giovedì che «sì, il sistema deve essere riformato e al più presto». Un quesito sorge tuttavia spontaneo: chi parla è lo stesso Petrucci presidente del Coni che tra squilli di fanfare il 2 febbraio 2012 deliberò in Giunta e fece approvare in Consiglio Nazionale il varo della riforma della giustizia sportiva? Una «svolta epocale», fu definita su questo giornale (e non solo su questo). Processo breve, limite temporale per le inchieste della Procura, due soli gradi di giudizio (avete letto bene: due soli). E ancora: titoli sportivi da assegnare a cura dei Consigli federali, così da evitare futuri pasticciacci da incompetenza tipo scudetto 2006, e infine codice etico, la norma impropriamente definita anti-Lotito che vietava ai condannati anche solo in primo grado dalla giustizia penale di sedere in consigli federali et similia, e che il Coni senza dare troppo nell'occhio si è rimangiato, solo quella, nel bel mezzo dell'estate. Tutto o quasi con la firma di ben sette saggi: Capostosti, Cardia, Chieppa, Napolitano (Giulio), De Lise, Salvatore, Verde. Tutto sparito, a quanto pare. Dimenticato, cancellato, inguattato, puntando sulla scarsa memoria della collettività. Che qualche volta però la memoria se la fa tornare. Con buona pace della «svolta epocale» che per ora e a cura della Federcalcio si ridurrà a una misura nel Consiglio federale del 29: limite temporale di 15 giorni per Palazzi per deferire i rei di dichiarazioni lesive.

Roma 2020 Sempre per la serie «il passato talvolta ritorna», l'ultima Giunta Coni tra le varie ed eventuali si è dovuta occupare del defunto Comitato Promotore di Roma 2020. Che tanto defunto non deve essere, se i liquidatori per sanare le pendenze ancora in corso battono cassa per almeno un altro milione e mezzo di euro, dopo i due e mezzo complessivi già erogati da Coni (1,5) e Comune di Roma (1). In ballo c'è la spinosa questione dei dipendenti, soprattutto dell'ex Direttore generale Ernesto Albanese, che hanno «impugnato l'anticipata risoluzione del rapporto ed annunciato di voler promuovere un giudizio volto al riconoscimento delle somme dovute». Dovute secondo loro fino al 31 dicembre 2013, quasi quattro mesi dopo l'assegnazione dei Giochi, che avverrà il 7 settembre 2013 a Buenos Aires. Una pretesa che per Mario Pescante, presidente non retribuito di quel Comitato Promotore, non sta né in cielo nè in terra, con annessi pareri di studi legali e dell'avvocatura del Comune, dove Alemanno sembra pensarla proprio come Pescante, e annessi «dissapori», come li chiama Pescante, con Petrucci e Pagnozzi.

Coni-Cip Albanese, già direttore generale di Coni Servizi, era un qualificato papabile per la poltrona di segretario generale di un Coni eventualmente targato Pagnozzi, ma poi l'accordo Pagnozzi-Pancalli lo ha tagliato fuori. Il futuro segretario non intende tuttavia mollare di un centimetro il Comitato Paralimpico, a capo del quale, a scanso di equivoci, si farà rieleggere nel gennaio 2013. Il programma di Pancalli è quello di avviare, entro due anni e complice il Cio, la fusione Coni-Cip, così che tutte le federazioni, cosa che per ora avviene solo in parte, abbiano la sezione Paralimpica. Per i progetti del pur apprezzato Di Rocco, che al Cip ci stava facendo un pensierino, niente da fare, insomma.

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Calcioscommesse, pronti i deferimenti per il Napoli

Fulvio Bianchi - Spy calcio- repubblica.it -13-10-2012

Un piccolo passo avanti: Giancarlo Abete, n.1 del calcio, da Yerevan ha annunciato che in futuro i "deferimenti (o le archiviazioni, ndr) per dichiarazioni di tesserati" dovranno avvenire entro 15-20 giorni. Ora la superprocura ci ha messo 70 (settanta) giorni prima di archiviare il comunicato della Juve contro la giustizia sportiva. Un autentico record. In futuro, non potrà più succedere. E' già qualcosa: la decisione di Abete, in sintonia con Giovanni Petrucci, verrà ratificata dal prossimo consiglio federale, 29 luglio. Il giorno dopo la Giunta e il Consiglio nazionale del Coni ratificheranno invece quello che avrà stabilito il commissario ad acta, Giulio Napolitano, sui pesi del consiglio federale della Figc: verranno fatti fuori gli arbitri? Si accontenteranno dell'autonomia gestionale e finanziaria? O minaccerano uno sciopero col rischio di commissariamento? Il n.1 dell'Aia, Marcello Nicchi, è sotto inchiesta, accusato da Robert Anthony Boggi, candidato alle elezioni del 10 novembre, di minacce nei confronti di tre dirigenti (uno è l'ex arbitro Borriello). Stavolta Palazzi-Sherlock Holmes dovrà fare necessaria in fretta.

Per quanto riguarda una riforma più incisiva della giustizia sportiva, bisognerà aspettare almeno la fine delle inchieste e di processi del calcioscommesse, quelli relativi alle indagini di Cremona, Napoli e Bari. Di sicuro verrà modificata la responsabilità oggettiva: troppo penalizzante nei confronti dei club che sono (davvero) all'oscuro dei movimenti di loro calciatori o tecnici "infedeli". Le società potranno rivalersi economicamente nei confronti di chi le ha tradite, ma è chiaro che dovranno dimostrare di non aver avuto alcun tipo di coinvolgimento nella combine o nelle scommesse. Michel Platini, presidente Uefa, vuole inasprire le pene per omessa denuncia e rompere così il muro di omertà. In effetti, come si è visto, anche in Italia sono troppi gli allenatori che non si accorgevano di quello che succedeva nel loro spogliatoio, troppi i calciatori invitati a girarsi dall'altra parte magari dai loro dirigenti. Bisogna trovare un sistema per far sì che chi denuncia non venga poi emarginato: come successo a Farina costretto ad andare all'Aston Villa? Su questa storia, consentitemi di avere qualche dubbio: ci sono degli aspetti che mai sono stati chiariti. La sua è stata davvero una denuncia spontanea? Come mai Farina non ha mai voluto chiarire in una conferenza stampa?

La superprocura intanto va avanti con le sue inchieste, anche se i processi a rate hanno creato non poche polemiche. L'indagine che riguarda il Napoli ormai è chiusa e ben custodita in cassaforte in via Po. Ma i deferimenti dovrebbero arrivare solo dopo Juventus-Napoli del 20 ottobre: è stato l'ex (terzo) portiere Giannello a coinvolgere il club di Aurelio De Laurentiis. Giannello dovrebbe andare a processo per illecito (rischia la radiazione), il Napoli potrebbe avere un punto di penalizzazione, Paolo Cannavaro e Grava che dissero subito di no all'ipotesi di combine potrebbero invece essere deferiti per omessa denuncia (4 mesi in caso di patteggiamento). E qui si ritorna al discorso dell'omessa denuncia: in futuro bisognerà ragionarci con calma, per un giocatore non sempre è facile districarsi fra voci, sussurri di spogliatoio, millanterie, eccetera. E c'è il rischio di pagare caro. Il processo al Napoli (ovviamente in caso di deferimento) si dovrebbe tenere verso fine anno, quando c'è la sosta del campionato. Entro dicembre, la superprocura dovrebbe chiudere anche la pratica che riguarda Genoa e Lazio (venerdì prossimo Palazzi andrà a Cremona a parlare con Di Martino), mentre su Bari, come si vede, ogni giorno salta fuori qualcosa di sconcertante. Che società era mai quella? Che facevano i dirigenti? E gli allenatori di quell'epoca? Negli spogliatoio e in ritiro giravano fior di delinquenti. Mutti ha già patteggiato 4 mesi per omessa denuncia. Ora tocca agli altri. Intanto, ecco nuovo lavoro per Palazzi e c.: aperto un fascicolo su quanto è venuto fuori da Fermo, vale a dire le carte d'identità false che riguardano anche i calciatori. Niente di nuovo, come si vede, rispetto al passato.

Volley, un club di Bergamo sponsorizzato Scientology

Questa ci mancava: ci sono state sponsorizzazioni con ditte di imprese funebri, ma quella con il discusso movimento di Scientology, movimento religioso fondato da Ron Hubbard, non si era ancora vista. La novità arriva da Bergamo: la squadra di volley di B-1 del Cesano avrà come sponsor Scientology e sulle maglie apparirà Dianetics, il libro sacro del movimento. Per noi è uno "sponsor come un altro", fanno sapere dal club. Va bene che c'è la crisi, ma non esageriamo.

(13 ottobre 2012)

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Intervista ad Antonio Bellavista

«VI SPIEGO COME SI COMPRANO LE PARTITE»

La verità dell'ex barese: «Gli zingari mi davano i soldi che io giravo ai giocatori delle squadre awersarie per convincerli»

«SONO CADUTO IN FORTE STATO DEPRESSIVO E DA TEMPO SOFFRO DI ATTACCHI DI PANICO E ANSIA. CON I CLAN 10 NON C'ENTRO NULLA»

IL sistema Di regola tutta la squadra sapeva della combine, poi i criteri di spartizione variavano

Giulio Mola - Il Giorno -14-10-2012

Bari

APPUNTAMENTO all’ora dell’aperitivo nella hall del Victoria Park Hotel di Palese, cinque minuti d’auto dall’aeroporto di Bari, il doppio dallo stadio San Nicola, comunque sufficientemente lontano dal centro del capoluogo pugliese, zona “off limits” per Antonio Bellavista da quando il nome dell’ex capitano biancorosso è finito nel ciclone del calcioscommesse. Ma il diretto interessato, aprendo lo scrigno dei segreti, respinge subito le accuse più gravi e infamanti.

«Ho sbagliato, sto pagando e continuerò a pagare. Ma io quella fascia da capitano sul campo l’ho onorata. Purtroppo per la gente Bellavista arrestato ha solo un significato».

Riavvolgiamo il nastro. Da dove cominciamo signor Bellavista?

«Intanto dalle falsità sul mio conto. Faccio un esempio: dalle indagini emerge che Masiello sostiene di aver ricevuto da me 20mila euro una domenica sera...Falso. Ho dimostrato che in quel determinato giorno ero altrove. Sa cosa significa? Dal punto di vista penale io posso controbattere, per la giustizia sportiva no. E pago anche per certe invenzioni».

Sta mettendo in dubbio la credibilità dei pentiti?

«La verità è che i pentiti non fanno i pentiti in modo corretto. Per quello che hanno passato rimuovono certe situazioni ed è facile che possano scambiare persone o date. E poi i pentiti parlano solo per proprio interesse, per trarre benefici e sconti di pena».

A proposito: Carobbio attendibile su tutto ma sbugiardato su Conte. Come è possibile?

«Stimo Conte come allenatore e persona, gli ho pure affittato un mio appartamento quando è arrivato a Bari. Ma la sua vicenda è un’ingiustizia per tutti. Mettiamo che l’allenatore non sapesse delle combine con Novara e Albinoleffe, posso anche crederci. Ma se si fanno processi basandosi sulla credibilità di pochi pentiti come Carobbio, perché quando si parla di Conte non è più credibile? Solo perché si è toccata la Juve? Solita cosa all’italiana. Alla fine tanto scalpore e clamore ma la verità è che l’allenatore ha ricevuto la stessa pena concordata con Palazzi».

Riparleremo dopo di Conte. Piuttosto, è vero che nelle settimane scorse voleva tornare dai pm e dire cose che avrebbero «fatto tremare il mondo del calcio»?

«Era uno sfogo del momento. I magistrati e le procure andranno a fondo e scopriranno la verità. Ho tanta rabbia dentro perché è stata distrutta soprattutto la mia immagine, collegando la mia persona alla malavita locale, con l’accusa terribile di associazione a delinquere. Lo ripeto, ho sbagliato e sono il primo a dirlo. Ma le invenzioni, no, quelle non mi vanno bene. Bellavista non c’entra nulla né col Bari né coi clan..ma scherziamo? Dal punto di vista fisico e psicologico ne ho risentito di tutto ciò, è stata una mazzata, sono caduto in forte stato depressivo e da tempo soffro di attacchi di panico e di ansia».

Cosa si rimprovera?

«Pago la superficialità con cui ho affrontato tutto. Mi sono esposto troppo pensando solo ai soldi a discapito della mia persona e dei miei cari, accecato dalla voglia di denaro. Oggi non rifarei nulla di quello che ho fatto».

Ci spieghi meglio. Come funzionava il sistema scommesse?

«Sembra tutto semplice. In base a delle “soffiate” o mie sensazioni davo per scontato che le partite potessero andare in un certo modo. Poi subentravano gli zingari, ed era un gioco da ragazzi portare i soldi di questi ultimi ad alcuni calciatori, convinto che potessero accettare le condizioni degli zingari stessi. Duecentomila euro da consegnare a 4-5 giocatori, i più rappresentativi. Somme importanti che bastavano per convincere... Ma ripeto, lo facevo in modo superficiale senza pensare che con una simile condotta avrei potuto rischiare il carcere...».

Ma tutta la squadra era a conoscenza della combine?

«Di regola sì, poi i criteri di spartizione variavano. Certo, poteva succedere che non tutti fossero d’accordo. E non accettavano neppure eventuali regali al posto dei soldi. Ma a nessuno si metteva pistola alla tempia».

Gli zingari arrivavano dappertutto tramite i calciatori...

«Certo. Basta vedere quel che è accaduto a me. Sono stato accusato di essere il referente degli zingari ma non era così. Io parlavo anche con Masiello proponendogli certe cose, le indagini hanno dimostrato che lui poi prendeva accordi con Carobbio sempre per conto degli zingari e non con me. Forse perché io non volevo avvicinarmi troppo alla mia vecchia società».

Pare che nello spogliatoio del Bari dopo gli accordi ci fossero riti malavitosi, tipo bacio alla scatoletta con i soldi...

«Magari era qualcosa di dissacrante, come uno sfottò. Io non so cosa succedesse, spero che le indagini accertino tutto. Cominciai a interessarmi del Bari nella stagione 2010-2011 quando la situazione era compromessa, la prima gara fu Milan-Bari. Parlai con Masiello ma mi negò la possibilità di accordarsi...».

Torniamo a Conte. Quali erano i vostri rapporti?

«Ci conoscemmo in ritiro vicino Pisa nei pochi giorni in cui ci incrociammo prima della mia cessione nel mercato di gennaio. La società, spinta da Materazzi, aveva già deciso di mandarmi via».

L’attuale allenatore della Juve, interrogato di recente per quel che riguarda l’inchiesta bis di Bari, ha sostenuto che l’allenatore può non sapere di quel che accade nello spogliatoio fra i giocatori...

«Può darsi abbia ragione perché in partita i calciatori possono fare qualcosa di nascosto. Io però ritengo che l’allenatore non può non sapere, al massimo può far finta di non sapere. Basta guardare gli atteggiamenti in campo».

Con quale stato d’animo Conte tornerà in panchina?

«Sicuramente arrabbiato, più di prima. Però io le chiedo: quanti di quelli coinvolti nello scandalo hanno avuto lo sconto? Praticamente nessuno. Solo lui sa se la condanna è giusta o meno, così come Stellini e Alessio».

A proposito, Stellini uscendo di scena ha dato un segnale importante.

«Mi sembra strano che Stellini sapesse e facesse certe cose e Conte fosse all’oscuro di tutto. Stellini aveva così tanto potere? Comunque il suo mettersi da parte è stato un atto da uomo vero».

Lei mesi fa scrisse sulla sua pagina facebook: ora i giochini non riescono e le facce di molti allenatori e giocatori sono più tristi...Cosa voleva dire?

«Vede, la cosa che mi addolora di più oltre al carcere, è stata la bastonata ricevuta da ex calciatori. Mi hanno zittito, ci sono class action che mi hanno diffidato perché ho osato dire che certe cose almeno una volta in carriera sono successe a tutti. Oggi le scommesse, ieri i pareggi di comodo».

Insomma, chi è senza peccato...

«Gli scheletri negli armadi ce li hanno tutti, anche Di Martino a Cremona ha detto «Non posso svuotare il mare con un cucchiaino». Il marcio è radicato, a fine anno sono tante le partite strane, basta vedere le quote. Quando si abbassano troppo c’è qualcosa che non va, vuol dire che i giocatori hanno già messo in moto amici e parenti che sono in coda alle ricevitorie».

C’è un’inchiesta bis in corso a Bari. Che ne verrà fuori?

«Penso cose importanti. Mercoledì scorso mi avevano convocato, ma senza spiegarmi il motivo. E perciò non sono andato. Ma se serve mi presenterò senza problemi. E’ innegabile che siamo in vista di sviluppi importanti su vecchie partite. E all’epoca di quei fatti (fine stagione 2007-2008 e stagione 2008-2009, ndr) Bellavista giocava col Verona».

Anche Ranocchia è coinvolto?

«Un nome come tanti altri tirato in ballo in questa storia. C’è ancora un’indagine in corso...».

Lei ora si sente a posto con la sua coscienza?

«Per strategia difensiva mi sono spesso avvalso della facoltà di non rispondere. Ma se ci sarà bisogno parlerò, anche perché leggo tante invenzioni. Per esempio con Genoa-Lazio non c’entro nulla, però per i magistrati di Cremona il fatto che alloggiassi nello stesso albergo degli zingari era una prova. Così come quella volta che gli zingari erano a San Siro per Inter-Barcellona, c’ero pure io. Ma gli zingari non li conoscevo».

Con le scommesse ci ha guadagnato o perso?

«Il bello è che io ci ho rimesso un bel po’ di soldi. Persi ben 60mila euro per quell’over 3,5 mancato di Inter-Lecce, quando Paoloni, vittima del gioco per colpa dei debiti, ci diede una bufala facendoci credere che aveva parlato con Corvia ed altri calciatori giallorossi».

Quindi a volte ci si fidava delle soffiate?

«Paoloni l’aveva fatta talmente credibile che era difficile non starci dietro. Per chi voleva investire era affidabile. Gli zingari erano più diretti, volevano toccare con mano. E facevano vedere i soldi».

Che idea si è fatto della giustizia sportiva?

«Si è comportata esageratamente male. Io ho sempre detto tutto, però davanti ai pubblici ministeri magari ne uscirò con una condanna diversa o comunque leggera mentre per Palazzi e i giudici del calcio sono stato già condannato a cinque mesi più preclusione più altri quattro anni per una partita del Cesena. E se alla fine i tribunali mi assolveranno chi mi restituirà il tempo perso considerato che devo pur continuare a lavorare per vivere?».

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Pezzi di Milano in vendita, ma costano troppo

Berlusconi vuole il doppio della cifra reale, Interro rosso di 80 milioni

Investitori stranieri perplessi dalle cifre chieste per squadre poco appetibili di un calcio in crisi

LUCA PAGNI - ANDREA SORRENTINO - La Repubblica - 14-10 - 2012

MILANO — Ma quanto valgono, davvero, Inter e Milan? E siamo sicuri che gli investitori stranieri, potenzialmente interessati a entrare nei due club, ne offrano una valutazione all'altezza delle aspettative dei proprietari? Perché quando si parla di magnati cinesi, arabi o russi che non vedrebbero l'ora di inondare di denaro i club milanesi, non si considerano alcune questioni che all'estero tengono invece in gran conto. La prima è che il "sistema Italia" non attira più investimenti dall'estero, anzi li sta facendo fuggire a gambe levate: secondo il Fondo Monetario Internazionale, nell'ultimo anno sono usciti dall'Italia 235 miliardi di capitali stranieri, pari al 15% del Pil. Fuggonodall' Italia perché è un paese che, tra le altre cose, non garantisce snellezza nelle burocrazie e tempi brevi nell'amministrazione della giustizia. In più il calcio italiano va perdendo sempre più fascino, quindi anche valore. A cominciare proprio da Inter e Milan.

Pare che Silvio Berlusconi abbia dato del Milan una valutazione altissima, tra gli 800 e i 900 milioni di euro, chiedendo agli investitori qatarioti e russi di entrare nel club con una quota del 30% pari a circa 250 milioni. Cifre fuori mercato, dicono gli analisti finanziari e gli stessi investitori, dato che il valore reale del Milan potrebbe aggirarsi sui 400 milioni: considerato che i ricavi dei club italiani sono bassissimi rispetto ai principali club spagnoli e inglesi (su merchandising e sfruttamento dello stadio siamo ancora alla preistoria: fuori da San Siro impazzano decine di bancarelle del falso, ad esempio), che il calcio italiano è in paurosa crisi di credibilità per scandali e malgoverno, che la legge sugli stadi è bloccata da alcuni secoli e insomma proprio non si vede come le cose possano migliorare, i magnati stranieri diffidano assai. Neppure l'idea di cedere i migliori calciatori per erodere le perdite, e dunque rendersi più appetibili a nuovi azionisti, è una buona idea: via i calciatori più importanti, i conti migliorano (di poco) ma il club perde appeal, cioè valore. E poi perché qualcuno dovrebbe immettere capitali freschi in un club per riceverne in cambio una partecipazione azionaria che non garantisce alcun controllo, anzi lascia tutto in mano al proprietario?

Intanto le perdite continuano. Il Milan ha chiuso il bilancio 2011 con -67 milioni, l'Inter il 29 ottobre ne presenterà uno con circa 80 milioni di passivo: per il breve cammino nella Champions passata, per gli incassi insoddisfacenti nelle gare di coppa, per la campagna acquisti anticipata, per un allarmante -12 milioni nei ricavi dal settore commerciale. II monte stipendi è stato abbattuto di 40 milioni di cui beneficerà il prossimo bilancio: però mancheranno i circa 30 milioni della Champions e i 13 milioni spesi ad agosto per Alvaro Pereira, quindi anche il prossimo sarà un anno da sangue sudore e lacrime. Il dg Marco Fassone nel frattempo sta perlustrando Milano alla ricerca di una zona per il nuovo stadio, da costruire entro il 2017 con i cinesi della China Railway Constructions, con cui ad agosto è stata avviata una partnership. Ma nel frattempo è avvolto nel mistero l'ingresso dei tre nuovi componenti del Cda (due cinesi e un italiano) che avrebbero dovuto rilevare il 15% delle azioni, pan a circa 55 milioni perché la valutazione ufficiale dell'Inter è stata di 360 milioni. Sono stati firmati i documenti preliminari ma non si è ancora arrivati al closing dell'accordo. Ad agosto si era detto che i tre sarebbero stati cooptati nell'assemblea di ottobre: ma per ora non ci sono certezze.

I numeri dei club milanesi

4OO milioni

[/b]VALUTAZIONE ROSSONERA

800 milioni di euro è la valutazione che Berlusconi dà dell'Ac Milan. In realtà il valore del club non supererebbe i 400 mln

36O milioni

VALUTAZIONE NERAZZURRA

360 milioni di euro: è invece la valutazione, data alla Fc Inter. L'olandese Wesley Sneijder è il giocatore più pagato dal club: 13 milioni lordi

80 e 67 milioni

IL PASSIVO DELLE SOCIETÀ

80 milioni è il passivo evidenziato dal bilancio dell'Inter al 30 giugno 2012; quello del Milan al 3112.2011 è stato invece di 67 milioni

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Contratti e fondi neri. Il sistema Catanzaro

Tentata truffa e credito simulato: 13 giocatori indagati dopo il fallimento del club. Ma il problema è generale

Ceniti-Galdi - Gasport - 14-10-2012

Quesito semplice semplice: può un cittadino incassare un assegno posto sotto sequestro dalla magistratura? Ovviamente no. Ma se il cittadino di professione tira calci a un pallone le cose cambiano. La domanda è questa: può un giocatore farsi pagare gli stipendi previsti in un contratto prelevato dalla Finanza negli uffici della Lega Pro su mandato del pm Domenico Guarascio che lo ha indagato per tentata truffa e formazione di credito simulato? Ovviamente sì. Con tanto di decisione esecutiva di un collegio arbitrale che tira dritto nonostante sia consapevole dell'inchiesta, dimostrando che la legge italiana a volte può aspettare. Forse. Perché va bene l'autonomia del pianeta calcio, ma qui la questione è un po' più complicata.

Dalla A alla C2 - La storia di Catanzaro, infatti, unisce con un ipotetico filo rosso altre Procure e un problema che può devastare lo sport più amato dagli italiani come e forse più delle scommesse. Il sospetto, molto più di un sospetto, degli investigatori è questo: i milioni di euro pagati dalle 111 società professionistiche tra stipendi, provvigioni e diritti d'immagine, sono in realtà solo una parte di quelli spesi. Una fetta consistente sfugge a ogni controllo ed è saldata in nero attraverso contanti o bonifici su conti esteri. Al lavoro ci sono a vario titolo la Procura di Piacenza (nel mirino procuratori e dirigenti di club), quella di Milano (indagato anche Zauri, giocatore della Lazio, accusato di riciclaggio), quella di Berna (indagato Mauri per un versamento sospetto di 350 mila euro), quella di Napoli (vuole vederci chiaro su alcuni contratti, compreso quello di Lavezzi) e appunto Catanzaro. L'evasione fiscale è uno dei punti che stanno più a cuore al governo Monti: forse sarebbe il caso di dare un'occhiata ai bilanci dei club. Oppure leggere la storia dei 13 giocatori sotto accusa in Calabria. Nella sua linearità disarmante fotografa alla perfezione il problema.

Il sistema - Stagione 2009-2010: il Catanzaro Fc (non la gloriosa società defunta nel 2006 che ha disputato 7 campionati di A con i vari Palanca, Ranieri, Massimo Mauro e Carletto Mazzone in panchina) gioca nella vecchia C2 e lotta per la promozione. Ma rischia il fallimento: non paga gli stipendi da mesi, i giocatori scioperano più volte e minacciano di non scendere in campo. Gli amministratori sperano di passare la mano, ma i debiti frenano le trattative: girano strane voci su contratti nascosti. Al 30 aprile 2010 i giocatori firmano la liberatoria necessaria per la successiva iscrizione al campionato: hanno tutti stipendi in linea con la categoria (3/4 mila euro netti al mese). Il controllo della Covisoc (ha il compito di vigilare sulle questioni amministrative) si ferma a quella data. Quello che arriva dopo deve essere saldato nella stagione successiva. E guarda caso a Firenze nella sede della Lega Pro piovono contratti sottoscritti dal Catanzaro agonizzante: tutti a partire dal 3 maggio 2010. E con evidenti sproporzioni. Tipo: il centrocampista Francesco Corapi presenta un conto per meno di 60 giorni (fino al 30 giugno) di 74 mila euro più altri 57 mila per il campionato seguente; stessa cifra del difensore Giovanni Di Meglio che ottiene 37 mila per l'anno seguente, ma poi a ottobre gli riesce il capolavoro di «strappare» al club altri 96 mila mentre la sede sociale è al buio dopo il distacco della luce non pagata; va «peggio» al difensore Ivano Ciano che sottoscrive 37 mila fino al giugno 2010, ma poi intasca un bel aumento per il nuovo campionato: 91 mila euro; ancora di più è promesso al regista Alessandro Bruno: 47 mila dal 3 maggio al 30 giugno 2010 e quasi 110 mila per il 2011; e vogliamo parlare di chi come Davide Lodi al minimo di stipendio federale (circa 17 mila euro lordi) si vede riconoscere un 27 mila (nel 2010) e 72 mila (2011)? Nuovi contratti riguardano anche Antonio Montella, Alessandro Vono, Roberto Di Maio, Ciro De Franco, Stefano Di Cuonzo, Manolo Mosciaro, Roberto Mancinelli e Giuseppe Benincasa. Tutti indagati per truffa tentata e simulazione di credito (reatucci che possono portare a 7/8 anni di galera). Come mai? Basta seguire i fatti.

Ricchi e falliti - Mentre il Catanzaro firma contratti come se fosse gestito da sceicchi, nella realtà non ha i soldi per comprare i palloni. La squadra è forte, arriva alla finale promozione ma frana sul più bello perdendo 4-0 al Flaminio contro la Cisco Roma davanti a 5 mila tifosi calabresi che gridano «venduti». La gara è quantomeno strana: il Catanzaro fa un solo tiro in porta (rigore sbagliato), resta in 10 (espulso Bruno) e sembra non voglia giocare. E se ci fossero di mezzo le scommesse? Nell'attesa che Palazzi faccia luce, andiamo avanti. L'iscrizione al campionato successivo avviene solo grazi ai soldi (pubblici) del Comune. Il club è al verde: a Sorrento in Coppa Italia schiera una formazione di ragazzini e perde 6-0. Intanto molti «eroi» del Flaminio sono andati via, ma pretendono i soldi dei doppi e tripli contratti. Con i giallorossi ultimissimi i libri finiscono in tribunale. Il curatore fallimentare Giulio Nardo inizia a certificare il debito dei dipendenti. Quando s'imbatte nelle anomalie degli accordi multipli sobbalza dalla sedia. Da dove saltano fuori? E' il famoso nero che emerge? In ogni caso Nardo valuta la situazione e sforbicia di parecchio le richieste dei calciatori. Alla fine dichiara le passività verso la Figc: circa un milione di euro.

Epilogo - Soldi pagati cash da Giuseppe Cosentino che rileva all'asta il Catanzaro, sana i debiti, riporta subito la squadra (salvata dopo la retrocessione a tavolino del Pomezia per una fideiussione tarocca) in Prima divisione e punta alla B. Ma i suoi conti rischiano di saltare: la Lega Pro ritiene validi i contratti multipli e comunica al nuovo club che i debiti sono diversi da quelli certificati dal curatore. Ballano 800 mila euro in più e poco importa se sono accordi sottoscritti da una società che mai poteva onorarli. La Lega li ha ratificati: non è tenuta a controlli simili. Il presidente Cosentino è alle strette: se non paga la squadra sarà penalizzata nonostante lui sia parte lesa. Ma si ribella e sceglie una via mai intrapresa da nessuno: denunciare i giocatori per far emergere le presunte irregolarità e i pagamenti in nero. Conclusioni: al pm Guarascio basta una veloce lettura delle carte. Le ipotesi di reato considerate «lampanti». Contratti sequestrati, 4 amministratori sotto indagine per il fallimento: si potrebbe arrivare persino alla bancarotta preferenziale in concorso con i calciatori. Ma questo non li ha spaventati: spalleggiati dal loro sindacato si rivolgono a un collegio arbitrale interno alla Figc per avere i soldi in questione. La Lega Pro è in imbarazzo, un funzionario parla con il pm e capisce il pasticcio. Tanto che in una relazione invita il collegio a sospendere il giudizio aderendo alla richiesta dall'avvocato del Catanzaro, Sabrina Rondinelli. Parole al vento: «pagate i calciatori Ciano, Corapi e Bruno (gli ultimi due domani sera ritorneranno in città da avversari con la Nocerina nel posticipo in diretta tv, ndr)» è la sentenza nonostante la Lega Pro metta per iscritto che il contratto di Corapi non è stato mai ratificato. Per fortuna mercoledì scorso la frana si è fermata: lo stesso collegio (nuova stranezza) ha sospeso il giudizio sul ricorso di altri 5 calciatori. Forse Stefano Palazzi potrebbe proprio iniziare da questa storia per far emergere il fiume carsico dei soldi in nero. Un fiume che alimenta scommesse illegali e avvicina la criminalità a giocatori e club. Gli atti non mancano: come sempre la magistratura ordinaria offre buoni spunti. Per informazioni chiedere al dottor Domenico Guarascio.

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ATTIVITÀ DEGLI AMICI

1 - 0 di nullprec avanti

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Palazzi, troppi cambi di marcia

Scritto da Eurosport | Roberto Beccantini – 4 minuti 1 secondo fa

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Era il 28 settembre quando il Consiglio federale della Figc ha confermato Stefano Palazzi per altri quattro anni. A leggere il commento che Ruggiero Palombo gli dedicò sulla «giornalaccio rosa» del giorno dopo, non era una «cattiva notizia». Premesso che in giro c'è di peggio - come notizie, intendo - per me lo era e lo rimane. Nulla di personale con o contro Palazzi; e nemmeno con o contro il suo spirito di servizio. Quello che non mi va giù è l'egocentrismo che ne ha caratterizzato, e continua a marchiarne, le mosse.

Ribadisco: se si pensa che, cambiando Palazzi, cambi tutto, siamo fuori strada; e di chilometri, non di metri. Prima, bisogna cambiare lo scheletro della giustizia sportiva e la testa degli italiani, che la scoprono esclusivamente allorché entra in rotta di collisione con la squadra del cuore. Detto ciò, credo che Palazzi e il palazzismo abbiano fatto il loro tempo. Allarma, nel suo metodo di lavoro, la differenza di velocità, quella filosofia del ritardo che spesso ne coinvolge (o sconvolge) le indagini. Prendete Aurelio de Laurentiis e Antonio Conte: deferiti a ottobre per atti o sparate che risalgono ad agosto. Suvvia.

Ma questo sarebbe il meno. Il più riguarda lo zig-zag di Scommessopoli. In attesa della partitissima di sabato 20 ottobre fra Juventus e Napoli, chiuso il filone Juve rimane aperto il dossier Napoli relativo alla tentata combine di Sampdoria-Napoli 1-0 del 16 maggio 2010, con la confessione di Gianello, le ipotetiche omesse denunce di Cannavaro e Grava, l'eventuale responsabilità oggettiva del club. Per tacere del fascicolo Lazio e del caso Mauri. Se l'è chiesto Palombo, ce lo chiediamo tutti: cosa aspetta Palazzi? Siamo appena alla settima giornata, ma il calcio italiano è una polveriera, i ritardi e le omissioni sono nodi che potrebbero venire al pettine più avanti, magari in primavera, quando anche le pagliuzze peseranno come travi.

Presunzione d'innocenza per tutti, naturalmente. Occhio, però, a non seminare sospetti, a non lasciare cerini sul tavolo, i piromani non aspettano altro. Palazzi accentra troppo, lo sa ma non riesce proprio a curarsi. E' più forte di lui. Per deferire o non deferire De Laurentiis e Conte, preso atto della diserzione pechinese e della sparata torinese, sarebbe stato sufficiente il terzo o il quarto del «ranking» federale, non il numero uno. Palazzi procede per guizzi, velocissimo all'epoca di Calciopoli, e comunque non con l'Inter, tartarughesco in piena Scommessopoli.

Tranquilli: Palazzi non gode a infierire sui Pesoli che l'agenda gli consegna. Al di là dell'avanti adagio, molto adagio, delle varie procure (Bari, Cremona, Napoli), Palazzi avrebbe potuto e dovuto essere più ligio ai doveri di «contemporaneità». Sono i suoi scarti che inquietano, le sue soste ai box che imbarazzano. Collaboratore della Figc dal 1990, responsabile della procura federale dal 2005: non sarebbe ora di aprire le finestre e cambiare aria?

Modificato da gaba

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DAL CALCIOSCOMMESSE IN GIÙ

Ventinove inchieste

Il nostro sport è un romanzo criminale

Coinvolte le procure di tutta Italia per i reati più disparati. Un fenomeno senza eguali in Europa che rischia di travolgere la giustizia sportiva.

Processo allo sport

Ventinove fascicoli aperti: 19 procure di tutta Ilalia al lavoro, reati gravi dalla bancarotta allo spaccio di droga. Non solo combine e non solo calcio. Attenzione morbosa dei magistrati o è un mondo davvero malato?

LE DUE GIUSTIZIE Sportiva e ordinaria, un rapporto che aumenta il caos

DIVISI Agnelli: procedura da riformare. Moratti: «No. va bene così»

Matteo De Santis - La Stampa 15-10 2012

Quella che una volta era un’eccezione sta diventando la normalità. Le Procure della Repubblica si occupano sempre più spesso di sport. Direttamente o indirettamente, volontariamente o casualmente poco importa. Non ci sono isole felici, vere o presunte, per la magistratura ordinaria. Le coincidenze, dando per valido il parametro di Agatha Christie che a tre diventino una prova, sono già andate a farsi benedire da un pezzo. In Italia, in questo momento, sono almeno ventinove le indagini, i procedimenti penali e i processi in corso che toccano argomenti e personaggi sportivi. Troppi per pensare che sia solo un fenomeno casuale. Nell’elenco dei reati ipotizzati dalle varie Procure ce ne sono di tutti i tipi: riciclaggio, associazione a delinquere, concussione, bancarotta fraudolenta, spaccio di sostanze stupefacenti, evasione fiscale, aggiotaggio, somministrazione e uso di sostanze proibite, omicidio colposo e chi più ne ha più ne metta. Da Moggiopoli a baskettopoli, il catalogo dei neologismi e delle accuse è vasto tanto quanto quello degli accusati, in cui è rappresentata ogni componente dell’universo sportivo. Non mancano atleti di tutte le categorie, dirigenti di qualsiasi qualifica e grado (anche arbitrali), medici, massaggiatori, farmacisti e fanno capolino ovviamente i tifosi.

Benvenuti in Italia, il paese con il maggior numero di Procure alle prese con indagini che riguardano qualcuno o qualcosa che ha a che fare con lo sport. Ora sono diciotto, da Bolzano a Palermo, e qualche mese fa erano addirittura di più. A settembre la Procura di Genova ha richiesto l’archiviazione per la presunta frode sportiva nel derby Genoa-Samp del maggio 2011 e a febbraio quella di Cagliari ha prosciolto definitivamente il presidente della Federtennis Binaghi e il numero uno del comitato sardo Montaldo dall’accusa di mobbing sportivo nei confronti di due giovani tennisti. Due eccezioni che, però, confermano la regola di uno sport sempre più alle prese con il codice penale.

Spesso e volentieri ci si è ritrovato quasi per caso, scivolandoci durante indagini di tutt’altro tipo, ad esempio sulla camorra. Altre volte, invece, è andato a sbattere la testa da solo, trascinato dal vortice di interessi leciti e soprattutto illeciti. Le Procure, d’altra parte, non disdegnano la visibilità che certi fascicoli, più o meno consistenti, comportano. Ogni traccia è utile, ogni filone merita di essere approfondito.

In un simile garbuglio di situazioni totalmente differenti l’una dall’altra, a soffrirne è soprattutto la giustizia sportiva, costretta a inseguire quella ordinaria su un piano che la riguarda direttamente ma con strumenti nemmeno paragonabili. In un clima di montante diffidenza per la fuga di notizie, il rapporto è tutt’altro che agevole. Ognuno tende ad andare avanti per la propria strada. La giustizia ordinaria si è affidata completamente al pentito Carobbio, quella sportiva ha in un certo senso ridimensionato la credibilità del grande accusatore di Antonio Conte. Una non si è mai allontanata dalla linea dura, l’altra ha scelto la via dei patteggiamenti. E ora, proprio per questo motivo, il carteggio degli atti dalla Procura di Cremona alla Procura Federale si è praticamente interrotto. Tempistiche, procedure e metodiche di lavoro sono spesso inconciliabili. Le invasioni di campo della giustizia ordinaria, d’altra parte, hanno riaperto l’annoso dibattito sulla riforma di quella sportiva. Andrea Agnelli invoca cambiamenti radicali, Massimo Moratti preferisce indossare i panni del conservatore («La giustizia sportiva va bene così, quando c’è qualcosa che non funziona si invoca sempre il cambiamento»). Divisi su tutto, soprattutto su questo.

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“Gli errori esistono ma non vedo sistemi migliori”

Pasquale De Lise, garante della giustizia sportiva: “Nelle corti federali ci sono persone degne”

Colloquio

Guglielmo Buccheri - La Stampa - 15-10-2012

ROMA, 15 ottobre 2012 - Procure della Repubblica al lavoro, sport (calcio in prima fila) sotto assedio: questo è il quadro, triste, che prende in ostaggio un mondo impreparato, giocoforza, a difendersi con le proprie armi. Il pallone è in sofferenza, ma, allo stesso tempo, impegnato a cambiare gli strumenti che, oggi, appaiono unici, ma in qualche caso inadeguati. «Tutto è perfettibile, ogni cosa è migliorabile, ma non vedo al momento altri sistemi se non quelli che guidano oggi la giustizia sportiva». Pasquale De Lise, presidente emerito del Consiglio di Stato, è il presidente della Commissione di Garanzia della giustizia sportiva della Federcalcio, l’organismo più sinteticamente definito il Csm del calcio italiano: spetta a questa commissione, ad esempio avviare azioni disciplinari nei confronti dei giudici (sempre sportivi) che si mettono nelle condizioni di dover giustificare il proprio operato. «Qualche criticità è fisiologica, così come qualche errore umano, ma - continua De Lise - nel suo complesso la giustizia sportiva, che ricordiamo è una giustizia cosiddetta domestica, funziona. L’ordinamento è soggetto alla vigilanza del Coni e quindi anche del Comitato Olimpico Internazionale: all’interno della commissioni o delle corti federali si impegnano persone preparate e, soprattutto, degne moralmente. Ripeto, qualche riflessione è giusto farla, ma - ribadisce il presidente del Csm del pallone mi sentirei di dire che, seppur con qualche riforma, altri sistemi al posto di quello attuale non li vedo». Le procure della Repubblica non smettono di entrare in tackle sullo sport italiano. E lo fanno passando da una disciplina all’altra, senza confini, però con il calcio, soggetto preferito da inchieste penali o processi in aule di tribunale. Ma, lo stesso pallone, si è dato appuntamento a più livelli per cercare di rinnovare i propri strumenti per combattere preventivamente ogni tipo di sbandata. Presto una commissione ristretta di avvocati o giuristi si metterà al lavoro per far sì che il percorso della giustizia sportiva diventi più leggero, veloce, al passo con i tempi, se possibile, delle inchieste penali. Gli ultimi scandali hanno fatto capire alle istituzioni sportive che il momento per rivedere gli attuali strumenti non è più differibile.

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Veleni, liti e riforme

In campo è guerra, ma Agnelli e De Laurentiis sono alleati in Lega

I due presidenti insieme per cambiare il calcio. Però dopo Pechino niente è come prima. Mazzarri tra le polemiche e una panchina sfiorata

GUIDO VACIAGO - Tuttosport - 15-10 -2012

La temperatura della grande sfida di sabato sera si misura in modo preciso pensando alla telefonata di Aurelio De Laurentiis a Giancarlo Abete di qualche giorno fa. Non appena il presidente del Napoli ha orecchiato la possibilità che i giocatori della Juventus avessero un fantomatico trattamento di favore in Nazionale ha alzato il telefono per protestare con la Figc. Il fatto che pure il solitamente bilanciatissimo presidente federale si sia lasciato andare nel definire «ridicola» l'idea, non cancella il segnale: Juventus-Napoli nasce fra veleni e sospetti. Nella peggiore, ma storica, tradizione delle sfide scudetto italiane. D'altra parte il clima fra bianconeri e azzurri non era idilliaco neppure l'anno scorso, ma da Pechino in poi nulla potrà essere come prima.

VAFFANCINA La Super-coppa in Cina, con le furibonde polemiche arbitrali del Napoli e il discutibile gesto di non mandare la squadra a ritirare la medaglia d'argento ha marcato un nuovo confine degli attriti fra i due club, fra i quali c'erano già state scintille un anno fa per il rinvio della gara al San Paolo di campionato, l'unica partita rinviata per pioggia senza la... pioggia (anche se - va ricordato - era il periodo delle alluvioni in tutta Italia e per ragioni di sicurezza si preferì non rischiare). Anche quella volta c'era un problema di "stanchezza", quella del Napoli che veniva da una sfida di Champions League e forse ebbe qualche vantaggio a non giocare nella data fissata dal calendario.

ALL'INFERNO D'altra parte, da quando sono tornate in Serie A, nella stessa stagione e dopo aver vissuto l'inferno di Calciopoli la Juve e quello della serie C il Napoli, non c'è mai stata una sfida serena fra i due club, a partire dai tuffi in area di Marcelo Zalayeta che fecero sbroccare perfino Cobolli. Eppure, litigata dopo litigata, Juventus e Napoli un passo per volta sono arrivate ai vertici del calcio italiano. L'anno scorso si sono contese la Coppa Italia (mentre la Juve sprintava sul Milan per lo scudetto), quest'anno hanno iniziato con la Supercoppa Italiana e ora si ritrovano in testa alla classifica del campionato, pronte a una corsa che - con il possibile e intrigante inserimento dell'Inter - potrebbe andare avanti fino a maggio, fra veleni e spettacolo.

LA STORIA - Chiarnatelo il "nuovo clasico italiano", e la terminologia spagnola è un tributo a chi in questo momento storico può vantare ben altre super- sfide. E se si può discutere sul "nuovo" (Juventus e Napoli si sono già contese lo scudetto in passato), non c'è dubbio che sia un classico, perché una partita che ha messo in scena duelli fra Platini e Maradona è già di per sé uno spazio importante nella storia del calcio. Anche allora litigavano, Juventus e Napoli, ma era un altro calcio e un altro mondo

GLI AFFARI - Oggi, per esempio, si può litigare e contemporaneamente andare d'amore e d'accordo. E capita proprio a Juventus e Napoli che, fra una polemica e l'altra, si siedono spesso dalla stessa parte del tavolo quando si tratta di parlare di riforme del calcio italiano. Perché Andrea Agnelli e Aurelio De Laurentiis , alla fine, combattono le stesse battaglie, magari con stili diversi (sobriamente sabaudo il primo, pirotecnico il secondo), ma con un fine comune: traghettare il calcio italiano nel futuro con idee nuove e il coraggio di cambiare. E così, i due presidenti si ritrovano insieme a scardinare vecchi dogmi, dai contratti ai diritti tv, con un'idea fissa: il calcio italiano va venduto meglio all'estero".

IL CAMPO Insomma, non c'è solo veleno. Anzi, sotto sotto, c'è molta ammirazione reciproca, anche fra i due tecnici, dal carattere infuocato e dal modo di intendere il calcio in fondo molto simile. E, soprattutto, moderno. Tant'è che è proprio per loro che si può esportare senza vergogna il nuovo classico italiano, una fotografia ben incorniciata dallo Stadium da spendere all'estero per riguadagnare punti (non quelli del ranking Uefa, purtroppo. ma almeno quelli dell'opinione dei calciofili europei). Se i loro presidenti vogliono riportare il calcio italiano in Europa, Conte e Mazzarri hanno riportato l'Europa in Italia, proponendo un calcio più consono alla Champions e ai ritmi anglospagnoli.

LE GELOSIE E non è sicuramente un caso che Mazzarri ha sfiorato più volte la panchina della Juventus, diventando un candidato credibilissimo anche nell'estate che incoronò Conte a Torino. Un flirt, quello con i bianconeri, che per poco non costava la panchina al tecnico di San Vincenzo (De Laurentiis non gradì affatto). Chissà se dopo Pechino e quello che ne è seguito, Mazzarri potrà ancora essere un candidato forte per allenare la Juventus? Fabio Capello potrebbe testimoniare a favore, ma tanto per un po' la panchina della Juventus sembra essere occupata da Conte. Non lo sarà sabato pomeriggio, quando i due si sfideranno a distanza: uno nel box a tirare pugni contro il tavolo, l'altro libero di sfogarsi a bordo campo. Ecco, quella libertà, Conte la invidierà a Mazzarri anche più di Cavani.

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Moratti attacca Agnelli e la Juve

«Giustizia sportiva da riformare? Io penso sia difficile giudicarla negativamente. Del Piero? Zanetti resta qui...»

«Al titolo credo così ci credono pure i giocatori. Il Milan vuole Guardiola? Io uno bravo ce l'ho...»

Andrea Ramazzotti - Corsport -15-10-2012

MILANO, 15 ottobre 2012 - Massimo Moratti ha inviato ad Andrea Agnelli un sms per complimentarsi all'indomani dello scudetto conquistato dai bianconeri lo scorso maggio e da un po' i due non sono più protagonisti di accesi botta e risposta, ma difficilmente i presidenti di Inter e Juventus potranno andar daccordo sul tema degli scudetti (28 o 30 quelli juventini?) e sulla Giustizia Sportiva. La conferma è arrivata ieri attraverso un'intervista rilasciata dal patron del club di corso Vittorio Emanuele alla trasmissione della Rai 5' di recupero. Ad agosto, quando fu annunciata la squalifica di 10 mesi di Conte, Agnelli non ha mai risparmiato giustizi duri ( «La Figc e la sua giustizia operano fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale» ) e dieci giorni fa, nonostante lo sconto di 6 mesi al tecnico bianconero da parte del Tnas, ha ribadito il concetto anche se usando parole più soft ( «Le istituzioni devono provvedere a una riforma profonda del sistema della Giustizia Sportiva che eviti le pericolose asimettrie e le ingiustizie verificate negli ultimi anni. Spero che questo appello sia accolto presto» ). Moratti invece non ha intenzione di appoggiare la crociata del presidente della Juve e ieri lo ha fatto capire chiaramente: « Quando c'è una polemica, e qualcuno si sente colpito dalla Giustizia Sportiva perché ritiene di avere ragione, si comincia a voler cambiare tutto. Io però ritengo che la Giustizia Sportiva sia oberata di lavoro, anche perché ogni giorno c'è un problema serio e nuovo da affrontare. Credo sia difficile giudicarla negativamente» . Due posizioni in netto contrasto, praticamente impossibili da essere conciliate. Sul caso Del Piero, volato in Australia dopo l'addio annunciato con molto preavviso da Agnelli, nessuna stilettata, ma una sottolineatura non è comunque mancata quando a Moratti è stato chiesto di Zanetti futuro dirigente: «Non sono nella Juve e non so le ragioni delladdio di Del Piero che come Zanetti è un ragazzo fantastico. Zanetti comunque si è costruito il suo futuro da dirigente qui. Sempre che smetta come giocatore...» .

STRAMA E SCUDETTO - Moratti ha poi ribadito la sua voglia di vincere ancora ( «Le vittorie che hai ottenuto non bastano mai ai tifosi e anch'io sono sempre pronto a ripartire da capo per ottenerne di nuove, per ripetere quella strada di successi» ), ha ammesso di credere nello scudetto ( «Devo farlo, così ci credono anche i giocatori» ) e si è detto convinto di poter ottenere grandi risultati con Stramaccioni: «Quando l'ho paragonato a Mourinho era sulla base della dedizione al lavoro che entrambi hanno. Se poi riesce a ottenere anche gli stessi risultati... Il Milan vuole prendere Guardiola? Io uno bravo ce lho già! Continueremo sulla linea giovane perché il nostro vivaio è valido e ha costruito negli anni ragazzi interessanti».

MULTINAZIONALE - Riguardo alla società, con l'ingresso dei cinesi che sarà formalizzato nell'assemblea dei soci del 29 ottobre, il patron è stato chiaro: non ha escluso un futuro passaggio del club nelle mani del figlio e vicepresidente Angelomario, ma è sembrato sottintendere che la strada secondo lui più probabile da percorrere sia la cessione dell'Inter a una multinazionale: «Cedere il timone tra qualche anno a un altro Moratti? Anche se succedesse presto, sarebbe un bene perché i giovani sono sempre più bravi. Da quando ho preso l'Inter, però, penso che il passo successivo sia quello di far gestire tutto ad una grandissima società, ad una multinazionale o qualche cosa del genere. Poi vedremo quello che accadrà» .

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Così ìl «G10» ha speso 2,5 miliardi Da Moratti a Berlusconi: una pioggia di denaro per per tenere in vita il calcio In 17 anni l'interista ha sborsato oltre un miliardo, quasi il doppio del presidente milanista. Agnelli: dopo Calciopoli due ricapitalizzazioni

INCHIESTA A CURA DI MARCO IARIA - Gasport -15-10 2102

Ora che il mecenatismo italiano è andato in crisi, ora che Berlusconi e Moratti si sono convertiti all'austerity, vien da tremare a sentire questa cifra: 2,5 miliardi di euro. È quanto i dieci grandi patriarchi del calcio tricolore hanno sborsato per le rispettive società, da quando hanno messo piede in questo mondo a oggi. Il calcolo preciso fa 2.483 milioni e si riferisce a tutti gli apporti in conto capitale, sotto forma di versamenti o ricapitalizzazioni, che si sono resi necessari per tenere in vita il giocattolo. Tradotto: senza quei soldi il pallone del Belpaese, così come lo intendiamo, non ci sarebbe. Moratti nell'Inter, Berlusconi nel Milan, Agnelli nella Juventus, Garrone nella Sampdoria, Della Valle nella Fiorentina, Preziosi nel Genoa, Zamparini nel Palermo, Pozzo nell'Udinese, De Laurentiis nel Napoli, Lotito nella Lazio: la nostra ricerca si concentra su questi proprietari, in rigoroso ordine di "generosità". Domanda d'obbligo: e la Roma? Nella capitale, sponda giallorossa, il tramonto del mecenatismo all'italiana si è già consumato, con l'addio dei Sensi e il subentro degli americani fiancheggiati da UniCredit. Il ricorso a capitali stranieri non dovrebbe chiudersi qui, a giudicare dalle dichiarazioni di intenti di questo o quel presidente, sempre più fiaccato dalla crisi, sempre più stanco di un sistema squilibrato.

OLTRE OGNI LOGICA — Bravi a macinare profitti col petrolio, le tv, la moda, i giocattoli, i supermercati, i nostri dieci super-imprenditori hanno agito fuori dalle regole del business - con le dovute eccezioni - dal momento in cui si sono spinti a diversificare le loro attività includendovi il calcio. Che è uno spettacolo bellissimo, accende le passioni, vanta un giro d'affari da colosso industriale. E tuttavia dimentica troppo speso le elementari regole dell'economia (285 milioni le perdite della Serie A nel 2010-11). Certo, nessuno fa beneficenza. Quando il paperone di turno drizza le antenne verso un rettangolo verde, è mosso (quasi) sempre da un secondo fine. Perché il palcoscenico del più grande fenomeno di massa della penisola garantisce visibilità e privilegi, asseconda manie di grandezza, in alcuni casi (prendete il consolidato fiscale) consente pure qualche vantaggio pecuniario. Nessuno, per esempio, riuscirà a stabilire un saldo tra il dare e l'avere dell'avventura più lunga e insieme più emblematica, quella di Silvio Berlusconi nel Milan, le cui vicende si sono intrecciate inestricabilmente con la politica e gli affari. Ma, in fin dei conti, chi compra una squadra di calcio - in Italia soprattutto - sa bene che difficilmente ci guadagnerà.

I TRE PRIMATTORI — L'ultimo quarto di secolo ha raccontato, comunque, storie differenti. Prendete le tre big. Berlusconi, che ha acquistato la società rossonera nel 1986, in 26 anni ha sborsato quasi 600 milioni di euro per assicurare la continuità aziendale del club. Gli amministratori della stragrande maggioranza dei club avvertono sempre: "Il socio di riferimento ha espresso il consueto impegno a supportare anche per il futuro, in caso di necessità, economicamente e finanziariamente la società e su tale presupposto è stato redatto il presente bilancio d'esercizio". È così per il Milan, è così soprattutto per l'Inter: dal 1995 gli interventi dei soci sul capitale nerazzurro sono ammontati addirittura a 1.160 milioni. Massimo Moratti ha tirato fuori di tasca sua oltre un miliardo. Adesso, sia il rossonero che l'interista hanno detto basta avviando (soprattutto il primo) una pesante opera di risanamento. Per la Juventus è un po' diverso. La quotazione in Borsa del 2001 ha portato nelle casse dell'Ifi, la holding di casa Agnelli, 100 milioni, destinati a risollevare le sorti dell'allora agonizzante Fiat. Nel post-Calciopoli si è proceduto a due aumenti di capitale, per un totale di 225 milioni: 141 sono stati garantiti dalla Famiglia, il resto dal mercato e, in minima parte, dai libici. Volendo fare un confronto fra i tre grandi magnati del calcio, si scopre che, dal 1986, a fronte dei 600 milioni di Berlusconi e del miliardo di Moratti, gli Agnelli ne hanno spesi 214.

GLI ALTRI — Immediatamente sotto, due capitani d'industria come Garrone e Della Valle. In 11 anni il primo ha assecondato le ambizioni della Sampdoria al prezzo di 181 milioni, un po' di più dei 165 versati nel forziere della Fiorentina dal secondo. Non hanno mostrato il braccino corto nemmeno Enrico Preziosi (64 milioni al Genoa) e Massimo Zamparini (59 milioni al Palermo). Ma c'è pure chi va controcorrente: presidenti che sono riusciti a tenere i conti in ordine evitando di intaccare le loro risorse personali. Il primato spetta a Claudio Lotito. Per assumere il controllo della Lazio (al 67%) ha investito 21 milioni tra il 2004 e il 2006, ma i costi di acquisizione sono esclusi dai nostri calcoli. Mai il patron biancoceleste è dovuto intervenire in conto capitale per soccorrere il club. Lo ha imitato, a parte le prime difficili stagioni, Aurelio De Laurentiis. E sostanzialmente pure Gianpaolo Pozzo (20 milioni diluiti in 26 anni). Mosche bianche.

La guida Calcolati gli apporti in conto capitale. Esclusi i prestiti Per quantificare l'esborso dei mecenati italiani abbiamo preso in considerazione tutti gli apporti in conto capitale effettuati dagli azionisti nelle rispettive società (sotto forma di versamenti o aumenti di capitale), nel corso degli anni -208,2 di gestione degli attuali proprietari. Dal calcolo sono esclusi i prestiti che, per loro natura, hanno carattere temporale e presuppongono una restituzione dell'importo. Le cifre del-I inchiesta, quindi, si riferiscono esclusivamente a spese a fondo perduto, che i soci sanno di non poter recuperare, e relative alle contingenze che nel corso degli anni si sono manifestate (ripianamento perdite, rientro nei parametri del calciomercato, ecc.). Escluse, pertanto, le iniziali spese necessarie all'acquisizione del club. Tutti i dati sono stati ricavati dai bilanci delle società, fino agli ultimi disponibili.

MILAN (Berlusconi) Ora Fininvest ha ridotto la sua esposizione aa Silvio Berlusconi è il patron più longevo, assieme a Gianpaolo Pozzo. II 20 febbraio 1986, la data dell'acquisto del Milan da Giussy Farina, segna uno spartiacque per il calcio italiano. Il tycoon non bada a spese per portare i rossoneri in cima al mondo, predica la filosofia del calcio-champagne, stravolge i canoni della comunicazione. La bacheca è ricchissima di trofei ma il prezzo da pagare non è stato affatto basso: i versamenti del socio, dal 1986 a oggi, ammontano a 593 milioni di euro, col picco di 87 milioni raggiunto nel 2011. D'altronde, durante la gestione berlusconiana il Milan è riuscito a registrare profitti solo tre volte: nel 1990-91, nel 1999-2000 e nel 2006 (quando fu ceduto Shevchenko). Può darsi che ce la si faccia anche a fine anno, grazie alle vendite di Thiago Silva e Ibrahimovic e ai pesanti tagli di stipendio. Così Fininvest, che aveva staccato un assegno di 25 milioni a marzo, è dovuta intervenire solo a giugno con ulteriori 5 milioni, a copertura dell'acquisto di Acerbi. SI, il Milan ha imboccato una strada nuova.

INTER (Moratti) Mai un bilancio in utile Con Pirelli & C. si sale a 1,2 Da quando Massimo Moratti, nel febbraio 1995, ha acquistato il club da Ernesto Pellegrini, sono stati i soci (fondamentalmente lui) a tenere in vita !'Inter: tra versamenti e aumenti di capitale, il conto è arrivato a 1.160 milioni. Dagli ingaggi faraonici di Ronaldo & Co. al triplete c'è stata una costante: nella seconda era morattiana (dopo papà Angelo) !'Inter non ha mai chiuso un bilancio in utile e ha accumulato perdite per 1.326 milioni. Così i soci di minoranza si sono via via dileguati. L'attuale main sponsor Pirelli nel 2002 era arrivato a detenere il 19,5% delle azioni: da partner forte di Moratti ha contribuito a ripianare i deficit per circa 100 milioni riducendo la sua quota all'1,6% nel 2007. Nel corso degli anni hanno mollato la presa anche Interbanca e la famiglia Giulini. Adesso Moratti esercita il pieno controllo sulla società nerazzurra (98,2%): personalmente ha sborsato oltre un miliardo di euro. Aspettando l'ingresso dei cinesi, si è proceduto quest'estate a una sforbiciata sui costi: 45 milioni risparmiati nel montestipendi.

JUVENTUS (Agnelli) Dall'approdo in Borsa 141 milioni targati Ifil-Exor Calcolare quanto la Juventus sia costata alla famiglia Agnelli è un esercizio impossibile: questa lunghissima storia ha avuto inizio nel 1923, quando Edoardo Agnelli, il nonno di Andrea, divenne presidente. Nel 2001 c'è stata però una svolta epocale - la quotazione in Borsa e la cessione al mercato di un quarto delle azioni - ed è da qui che partiamo. Due volte, in seguito al terremoto di Calciopoli, si è deciso di procedere a un aumento di capitale: nel 2007 furono raccolti 104,8 milioni, con Ifil. l'azionista di riferimento, a sborsarne 63 e i partner libici della Lafico 8: nel 2011 si arrivò a quota 120. di cui 78 assicurati da Exor. Nell'era della Triade la Famiglia aveva imposto l'autosufficienza (7 bilanci di fila in utile e solo 9.6 milioni versati nel 1996-97). dopo i massicci investimenti a cavallo tra gli anni '80 e'90. Dal 1986 al 1993, infatti, quasi a rincorrere il nuovo competitor Berlusconi, furono pompati nel club 63,5 milioni di euro. Poi la svolta umbertiana e, ultimamente, la riapertura dei rubinetti. Compresi gli investimenti Immobiliari, la nuova frontiera.

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Bari indaga su Inter-Atalanta

“Per noi era una partita sicura”

Scommesse, dal teste Iacovelli rivelazioni sul 4-3 del 2009

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 16-10-2012)

L’Inter di Mourinho. L’ultima partita in campionato di Figo. Un gol di tacco di Ibrahimovic. Prego, appiccicare tutto questo nell’album delle figurine sui sospetti del calcio Italiano. A fare le foto, è stato il portantino Angelo Iacovelli, indagato e pentito nell’inchiesta delle procure di Bari e Cremona, fin qui ritenuto sempre attendibile dagli investigatori. «Dopo la partita con la Salernitana - ha raccontato in sintesi a verbale -, non so da chi, ma arrivò la dritta di scommettere forte sull’over dell’ultima giornata di campionato tra Inter e Atalanta. Giocammo e vincemmo». Over al primo tempo. Over 3,5 nel finale. Doppietta di Cristiano Doni. Un trionfo di suggestioni.

Suggestioni che ora però sono diventate sospetti, visto che i carabinieri del reparto operativo di Bari stanno partendo proprio da queste dichiarazioni di Angelo Iacovelli per costruire la seconda fase dell’inchiesta pugliese (di cui Repubblica ha dato conto la scorsa settimana). Il portantino - che per conto dei giocatori ha organizzato alcune compravendite di partite e scommetteva abitualmente per loro - ha infatti messo nero su bianco quello che sin dall’inizio era stato il sospetto del procuratore, Antonio Laudati e dei suoi sostituti, Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro: esisteva un network, composto da scommettitori e giocatori, all’interno del quale si scambiavano informazioni provenienti da tutt’Italia sulle partite accomodate alla fine del campionato.

Da Bari, ad esempio, arrivò a Bergamo la dritta che la gara con la Salernitana sarebbe finita con la vittoria dei campani e con un over finale. Da Bergamo risposero “grazie”, contraccambiando con una soffiata sulla partita della domenica successiva. Se Bari-Salernitana è ormai ricostruita in tutti i suoi dettagli (partita comprata da alcuni giocatori campani, spogliatoio compatto nell’accettare, soldi divisi nella palestra: più di 20 i giocatori indagati), sul network invece l’indagine è ancora all’inizio. Qualche spunto interessante per lavorare c’è, i carabinieri hanno appuntato sull’agendina nomi, circostanze sui possibili contatti e hanno ben chiaro che la maggior parte dei protagonisti di questa inchiesta (da Gervasoni a Carobbio, da Masiello a Stellini) hanno in comune un passato con la maglia biancorossa. Iacovelli ha parlato di Inter-Atalanta e di altre partite, alcune di A. Ha offerto però circostanze precise ma niente nomi e cognomi, visto che a lui le informazioni sulle altre gare arrivavano di seconda mano. L’inchiesta però è ancora all’inizio. Su questo punto potrà essere molto utile il calciatore, che girava attorno a quel Bari e che da qualche settimana ha deciso di collaborare con la magistratura raccontando i segreti di quegli spogliatoi.

___

L’INCHIESTA DI BARI PARTITA DEL 2009

Nuovi sospetti

di scommesse:

Inter-Atalanta 4-3

di FRANCESCO CENITI (GaSport 16-10-2012)

Inter-Atalanta 4-3 del giugno 2009. È una della partite che potrebbero entrare nell'inchiesta sul calcioscommesse della Procura di Bari. Farebbe parte di quelle sfide sulle quali gli ex biancorossi avrebbero avuto indicazioni precise da parte di altri calciatori di A e B. È il nuovo filone sul quale gli inquirenti indagano: lo scambio d'informazioni da spogliatoio a spogliatoio per alimentare il mercato delle scommesse sicure. La pista che porta a Inter-Atalanta (ultima gara di campionato, ricordata per uno strepitoso gol di Ibra di tacco) sarebbe stata imboccata dopo le rivelazioni del factotum Angelo Iacovelli, indagato e pentito a Bari e Cremona, fin qui ritenuto sempre attendibile. «Dopo la partita con la Salernitana - avrebbe fatto mettere a verbale - non so da chi arrivò la dritta di scommettere forte sull'over tra Inter e Atalanta. Giocammo e vincemmo». Per la precisione un doppio Over: nel primo tempo e Over 3,5 nel finale. Cosa che si verificò grazie anche a una doppietta di Cristiano Doni. Il sospetto dei pm sul network composto da scommettitori e giocatori, potrebbe trovare linfa da questa informazione. Anche perché la «fonte» dei calciatori del Bari porterebbe a Bergamo. E quindi andrebbe a toccare un altro fronte caldo dell'inchiesta. Al momento, però, siamo solo alle pure "sensazioni". Troppo poco.

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CALCIOSCOMMESSE IL FILONE BARESE SI ALLARGA

«RANOCCHIA NON C'ENTRA»

Marco Esposito ha deciso di collaborare e agli inquirenti ha detto: «Andrea non ha mai preso soldi»

Le «verità» di Angelino tirano dentro l'Inter

Nel mirino della Procura di Bari la sfida con l'Atalanta del 2009

GIOVANNI LONGO - La G*a*z*zetta del Mezzogiorno - 16-09-2012

BARI . Otto giorni dopo Salernitana-Bari finita 3-2 (23 maggio 2009) l'Inter campione d'Italia, nell'ultima giornata batte a San Siro l'Atalanta 43 (31 maggio 2009). Se sulla prima partita l'inchiesta è quasi chiusa, dei nuovi accertamenti sono stati avviati sulla seconda. A parlare di entrambe le gare l'ex tuttofare di alcuni ex giocatori del Bari Angelino Iacovelli, nel corso del suo ultimo interrogatorio davanti ai Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Bari. II portantino - è noto - ha svelato agli investigatori coordinati dal procuratore Antonio Laudati e dal pm Ciro Angelillis alcuni particolari su un presunto meccanismo che prevedeva una sorta di scambio sulle partite «fatte»: io dò una dritta a te, tu dai un risultato a me. Iacovelli, più nel dettaglio, ha parlato di un gruppo che aveva un respiro «nazionale» e che era in grado di fornire ai «baresi» dritte su gare di serie A. Una «gentilezza» ricambiata con risultati sulle partite della serie B combinate, secondo l'accusa, proprio da loro. Iacovelli, dunque, ha detto ai Carabinieri di avere saputo (scommettendoci su) che Inter-Atalanta del 2009, con lo scudetto già cucito sulle maglie dei padroni di casa e gli ospiti tranquilli, era «fatta». Non è chiaro se il risultato concordato fosse «X» primo tempo e «Over» con tanti gol. Oppure entrambi. Le dichiarazioni di Iacovelli, al di là della sua attendibilità al vaglio degli investigatori, devono essere riscontrate. Occorre distinguere, infatti, tra la «voce» che si rincorre all'interno della «tribù» degli scommettitori e veri e propri indizi su una combine, con il coinvolgimento di alcuni calciatori. Troppo presto per dire che la gara è stata truccata, ma gli investigatori sono al lavoro. Il verbale di Iacovelli, una volta che sarà desecretato, sarà trasmesso agli uffici inquirenti competenti per territorio (Milano, o Cremona se, come sembra probabile, dovesse essere individuata una connessione con l'inchiesta «gemella» sul calcioscommesse). Un dato è certo. In quella partita che molti tifosi dell'Inter ricorderanno per uno splendido gol di tacco segnato dal capocannoniere Ibrahimovic nel secondo tempo (la prima frazione terminò 2-2), Cristiano Doni, arrestato nell'ambito dell'inchiesta di Cremona, realizzò una doppietta. Inter-Atalanta non è l'unica gara di cui lacovelli ha parlato, riferendo agli inquirenti alcuni particolari su un'altra partita di serie A e tre di B (in cui il Bari non sarebbe coinvolto). Ma le rivelazioni di «Angelino» non sono isolate. Tornando a Salernitana-Barie Bari-Treviso (quest'ultima giocata il maggio 2008 e terminata 0-1), entrambe finite al centro del secondo filone d'indagine avviato dalla Procura di Bari sulla base delle dichiarazioni di Andrea Masiello, gli accertamenti sono quasi chiusi. Questa settimana saranno interrogati altri ex biancorossi: Manuel Benito Rivas, Raffaele Bianco e Ivan Rajcic. In programma ci sono anche gli interrogatori di ex calciatori e dirigenti della Salernitana e anche un nuovo interrogatorio di Antonio Bellavista (convocato mercoledì scorso non si è presentato per un vizio di forma) che dovrebbe riferire su quanto hanno rivelato sia Iacovelli, sia il nuovo pentito della inchiesta barese sul calcioscommesse, Marco Esposito. L'ex biancorosso che in un primo momento non aveva risposto e che poi ha deciso di collaborare con gli inquirenti, oltre a confermare l'impianto accusatorio e ad avere fornito nuovi spunti investigativi, avrebbe anche escluso ogni coinvolgimento del difensore Andrea Ranocchia (oggi calciatore dell'Inter) nelle presunte combine: «non ha mai preso soldi», avrebbe detto Esposito. Se al termine dell'indagine dovesse emergere che Ranocchia sapeva e non ha denunciato, sarà la giustizia sportiva a valutare se ci saranno gli estremi per un deferimento

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Il pm Roberto Di Martino

"Omertà, cancro del calcioscommesse"

SONNIFERO NEL TE

Adulterazione alimentare L'ipotesi del reato di Paoloni ci permise di effettuare intercettazioni. Meno male, perché altrimenti non avremmo scoperto nulla

di Paolo Ziliani - Il Fatto Quotidiano - 16-10-2012

Roberto Di Martino, il procuratore titolare dell’inchiesta “Last Bet”, quella sul calcio scommesse, ci riceve nel suo ufficio alla Procura di Cremona. “Quando partì tutto, un anno e mezzo fa, per il sospetto che Paoloni avesse messo il Minias nel tè per intontire i compagni della Cremonese e perdere la partita, non avrei mai pensato di scoprire un sottobosco di marciume così esteso e capillare. Fu importantissimo poter disporre le intercettazioni telefoniche visto che il reato contestato – l’adulterazione di sostanze alimentari – viene punito dal codice con pene altissime. Senza intercettazioni non avremmo scoperto nulla: ci tengo a dirlo, visto che fra un po’ non sarà più possibile”.

Com’è il livello di omertà nel mondo del calcio?

Altissimo. E sono sincero: non ci fossero state intercettazioni così chiare e inequivocabili – ne sono state fatte 210 mila –, non so quanti avrebbero parlato. Invece, delle 40 persone sottoposte a misure cautelari, l’80% ha ammesso. E Carobbio e Gervasoni sono diventati collaboratori importanti perché hanno deciso di raccontare più di quello che veniva loro chiesto. Si fossero limitati all’indispensabile, se la sarebbero cavata meglio. Oggi so che hanno la vita personale dilaniata, sono vittime di persecuzioni, si ri- trovano con situazioni familiari sconvolte.

Anche Farina del Gubbio – più che un pentito, un puro –, dopo tante pacche sulle spalle alla fine è rimasto senza squadra.

E io non credo che Micolucci e Carobbio troveranno un ingaggio, una volta scontata la squalifica. Chi è in squadra con te ti teme perché pensa: oddio, se faccio qualcosa che non va, questo mi denuncia. E per il 99% dei calciatori mettersi d’accordo per concordare un risultato, specie a fine campionato, non è considerato moralmente disdicevole: anche se poi un terzo danneggiato c’è sempre. Un po’ come la teoria di Buffon, quella del meglio due feriti che un morto.

Buffon voleva difendere Conte, il suo allenatore.

Ma Conte nella mia inchiesta è marginale: a me interessa l’aspetto penale, la frode sportiva che si basa sulla corruzione. Conte doveva rispondere invece di cose che avevano a che fare con l’illecito sportivo.

Illecito che Palazzi non gli ha mai contestato.

Non so che dire. Per quanto mi riguarda, sul fronte-Siena ho molto lavoro da fare perché sono tanti quelli che hanno confermato i racconti di Carobbio. Parliamo di otto partite accomodate sulle quali la giustizia sportiva ha raccolto confessioni e distribuito pene; un numero troppo alto perché si possa parlare di caso o di combinazione.

E a Bari c’è il procuratore Laudati che indaga su una serie di partite truccate dal Bari, sempre allenato da Conte, nel 2008 e nel 2009.

Ho visto che Masiello e i suoi amici hanno patteggiato; pur se resta pendente una parte di procedimento perché le partite truccate sono tante, anzi tantissime. Masiello contattò per primo il sottoscritto, disse che aveva cose da confessare con molta urgenza, lo convocai e lo ascoltai. Poi, visto che di mezzo c’era la criminalità organizzata locale, per una sorta di patto di non belligeranza tra Procure lasciai che a occuparsi di tutto fosse Bari. E non ho più interferito.

A che punto è la sua inchiesta?

Mi servono 7-8 mesi. Devo fare piena luce sul fronte-Siena, ci sarà una rogatoria in Svizzera, che è il posto dove finiscono i soldi (m’interessa soprattutto chiarire i movimenti di Mauri) e ce ne saranno in Ungheria, Finlandia e altri paesi. Poi si andrà a processo, ma siccome gli imputati sono 150, immagino ci sarà un massiccio ricorso ai riti alternativi: patteggiamenti e riti abbreviati.

Prima il “processo-Signori”, poi il “Conte-Siena”, il “Mauri-Lazio”, il “Gianello-Napoli”, il “Masiello-Bari”: si scoperchiano mille pentoloni (l’ultimo: il sospetto Livorno-Spezia 1-5), ma alla fine non cambia mai niente. Perché?

Il malaffare, nel mondo del calcio, è fisiologico: è nutrimento, non veleno. Difficile che qualcosa cambi.

Cosa si potrebbe fare?

Il primo grande problema è l’omessa denuncia. Oggi se a un tesserato viene chiesto di dire sì, un anno fa successe la tal cosa, se ammette si prende l’omessa denuncia e un anno di squalifica. E insomma non lo fa nessuno, ma così si favorisce l’omessa denuncia dell’omessa denuncia: e non ha senso. Problema due: la scommessa over, che dovrebbe essere messa al bando in tutto il mondo, e non solo in Italia; perché un conto è mettersi d’accordo per segnare tanti gol, un conto è farlo per far vincere o far perdere la tua squadra. Cambia molto. Infine, le pene inflitte alle società, che sono risibili. Le combine avvengono spesso anche per connivenze a livello dirigenziale, e questa carezza data ai club non aiuta”.

Insomma: il calcio è e resta una presa in giro?

Io sono ligure, tifo Sampdoria. Tempo fa, quando seguivo le partite e mi accaloravo, mia moglie mi diceva: perché lo fai? Non vedi che è tutto finto? Pensavo esagerasse. Invece adesso posso dirlo: aveva ragione mia moglie.

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CASO SCOMMESSE

MAFIA IN FAMIGLIA

Reghecampf, tecnico della Steaua capolista in visita al Pandurii 2°,

è accusato di essersi venduto 3 anni fa una partita di B. E chi era

a capo dell'altro club? La moglie, ex playmate e dg dell'U. Cluj...

di GABRIEL SAFTA (EXTRATIME 16-10-2012)

La settimana scorsa è stata la moglie a finire sotto i riflettori. Ora è Laurentiu Reghecampf, 37 anni, tecnico della Steaua Bucarest, a sollevare un polverone per motivi non sportivi. La signora Reghecampf, Ana Maria Prodan, 39 anni, ex playmate e figlia di una nota cantante pop, Ionela Prodan (ET 72), si era dimessa da d.g. dell'Universitatea Cluj per le minacce di morte ricevute da alcuni ultrà del club e per la mancanza di aiuto economico dal comune di Cluj Napoca. Due giorni dopo Gazeta Sporturilor ha scritto che Reghecampf fa parte della mafia delle scommesse.

Uscì un 4-2 da 41 a 1

Che cosa gli viene imputato? D'essersi venduto un match di serie B del 2009 fra Buftea e Snagov, il suo primo club da tecnico (anche se allora in panchina c'era Cristi Termure, il suo attuale vice, perché Reghecampf non aveva ancora il patentino da allenatore, dopo aver militato in campo nella Steaua, Litex, Cottbus, Aachen e Kaiserslautern). Non solo, e d'aver scommesso sul risultato esatto (4-2). Chi era allora a capo dell'altro club, il Buftea? Ana Maria Prodan, fidanzata di Reghecampf da una decina d'anni (si sono sposati nel giugno '08). La Prodan nel 2009 diventa poi vicepresidente proprio dello Snagov. A parlare della combine a Bucarest sono in tre, personaggi del calcio, ma ancora top secret. Raccontano di un Reghecampf che nel bagno dello stadio comunica ai suoi giocatori e poi a quelli avversari il risultato finale. Questo, 10 minuti prima del match, in modo da non far scommettere nessun altro e non fare così nascere sospetti per le puntate esagerate su quel match. Il 4-2 è quotato a 41. In tribuna, dicono i tre, c'era anche il presidente dello Snagov, Gabi Oprea, con un computer per puntare online. Quelli del Buftea a fine gara ricevono mille euro a testa, quelli dello Snagov 600. In campo si vede un rigore sbagliato, un'autorete dello Snagov e 20 minuti di melina dopo il 4-2. Dopo la bomba della Gazeta Sporturilor la federcalcio romena ha chiesto aiuto all'Uefa. Reghecampf ha accusato l'ex procuratore Dumitru Tudor d'essere la gola profonda, questi l'ha denunciato per minacce. La Prodan è sbottata: «Voglio la macchina della verità». Intanto i media hanno tirato fuori una storia di scommesse del '05, dalla quale Reghecampf (era all'Aaachen) uscì pulito. Tutto questo mentre domenica la Steaua, prima, fa visita al Pandurii, sorprendente 2° a -3, guidato da Petre Grigoras, cui il boss della Steaua Gigi Becali aveva offerto un contratto ad aprile… A Bucarest sembra di essere sul set di Beautiful.

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CALCIOSCOMMESSE FACCIA A FACCIA CON IL PM

L’ALLENATORE DELLA LAZIO, PETKOVIC, DIFENDE IL SUO GIOCATORE:

«SE FOSSE COLPEVOLE NON SAREBBE COSÌ TRANQUILLO»

MAURI IN SVIZZERA,

FUORI LA VERITÀ

Il giocatore, arrestato in primavera e poi rimesso

in libertà, deve fare chiarezza su un conto bancario

Venerdì Palazzi a Cremona Sono in arrivo i deferimenti per Lazio-Genoa e Lecce-Lazio ma anche per il caso Gianello

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 16-10-2012)

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«Se fosse colpevole, non sarebbe così tranquillo, avrebbe un altro atteggiamento mentale». Così Vladimir Petkovic su Stefano Mauri, una ventina di giorni fa. E in effetti, se le prestazioni sul campo fossero una prova a discarico, il giocatore biancoceleste avrebbe già chiuso il suo complesso e tortuoso percorso giudiziario. E invece.

Oggi Mauri si recherà a Berna e si ritroverà faccia a faccia con il pm Elena Catenazzi, il magistrato che sta indagando sui movimenti di danaro del giocatore provenienti dall’Italia. Il centrocampista della Lazio sarà assistito dai suoi avvocati, Amilcare Buceti e Matteo Melandri e dovrà spiegare al pm svizzero i movimenti bancari relativi al conto corrente bancario intestato ai suoi genitori, Pietro (che la prossima settimana sarà in Svizzera) e Maria.

In particolare Mauri dovrà spiegare quei bonifici che, sommati, arrivano a circa 350mila euro. Soldi che il giocatore avrebbe poi investito in titoli e altre operazioni bancarie, sulle quali la documentazione sarebbe esauriente, trapela dall’entourage del giocatore. In un primo momento si era ipotizzato che quei soldi potessero essere i proventi delle scommesse frutto delle presunti frodi sportive di Lazio-Genoa e Lecce-Lazio, partite per le quali Mauri è anche finito in carcere per cinque giorni lo scorso 28 maggio. Al punto che, nei giorni scorsi era maturata la convinzione che «Mister X», il giocatore che riciclava soldi in Svizzera fosse lui. Un’illazione smentita duramente dagli avvocati del giocatore attraverso una nota diffusa nei giorni scorsi.

Le indagini dei magistrati svizzeri, in coordinamento con la procura di Cremona, avrebbero appurato che non vi sarebbe corrispondenza di date con le presunte combine. Nel frattempo il pm del calcio Stefano Palazzi sta lavorando sulla chiusura del filone d’inchiesta che riguarda proprio Mauri, Milanetto e, in particolare, Lazio-Genoa e Lecce-Lazio. I deferimenti sono ormai imminenti e venerdì prossimo il capo della procura federale sarà a Cremona per fare il punto con il pm Di Martino sulla posizione del calciatore biancoceleste — in particolare sulla vicenda svizzera, ma anche su eventuali sviluppi dell’indagine — e degli altri tesserati coinvolti in questa parte d’inchiesta. Imminenti (questione di ore?) anche i deferimenti del filone napoletano. Per il caso Gianello rischiano, oltre all’ex portiere, Grava e Cannavaro che potrebbero esser chiamati in causa per omessa denuncia. Nell’ambito dell’inchiesta Bari bis, i pm proseguono nella fase di indagine e interrogatori, in particolare su Bari-Treviso del 2008 e Salernitana-Bari del 2009.

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Jewish football:

a religion of two halves

by ANTHONY CLAVANE (The Times 2 16-10-2012)

England play Poland tonight. As an unashamed English patriot, I am hoping we get the three points that will help us to qualify for the 2014 World Cup. But there is a small part of me that will be rooting for the Poles.

Forget Israel v England, this fixture is the real Jewish “Tebbit test”. As a boy growing up in Leeds I would be taken to the local Polish club every time one of my grandparents died. “We had been Russian or Poles or something,” Howard Jacobson once wrote. “Now we were setting about becoming English.” Ultra-religious Jews often kvetch that in becoming English we shed our Eastern European Jewishness. A Jewish Chronicle reporter once rang up the Liverpool manager to enquire whether the team’s new signing, Avi Cohen, was Orthodox. “Orthodox what?” the manager replied. “Orthodox midfielder? Orthodox defender?” If Cohen was an Orthodox Jew, the journalist explained, he couldn’t play on a Saturday. “But I’ve got half a dozen like that already,” quipped the boss.

The prospect of desecrating the Sabbath, however, has never held back the Jewish obsession with football. Perhaps, like eating bacon or sleeping with a Gentile, its illicit nature is part of the attraction. My rabbi once spotted the Leeds United manager Don Revie at a barmitzvah. “Don, you and I have something in common,” he said. “We share a congregation — I have them in the morning. You have them in the afternoon.” Many of us stared at the ground in shame.

Still, at the Selig Brodetsky Jewish Day School, my friends and I would spend our spare time kicking a football around. One morning, our headmaster, Mr Abrahamson, summoned us to his tiny, tobacco-scented office. After confiscating our ball he proceeded to lecture us on why Jews were people of the book, not people of the penalty kick. The next morning we played with a tennis ball. When he confiscated that, we switched to an apple core. When he banned that, we used a banana skin.

Finally we took to dribbling, flicking and back-heeling orange peels around the school grounds — until receiving, once again, the inevitable summons. “What chutzpah,” Abie spluttered, before announcing what he called the eleventh commandment: “Football is not for a Yiddisher boy!”

It was shmegegge (nonsense) then and it’s shmegegge now. I have always enjoyed a well-taken penalty kick as much as a good book. Torres and the Torah are, for me, subjects equally worthy of Talmudic discourse. A few wags have predictably labelled my new book about Jewish involvement in English football, Does Your Rabbi Know You’re Here?, “the shortest book in the world”. Jewish culture is, they say, cerebral not physical. We don’t do football. How many Jewish footballers, they ask, can I actually name?

And yet, today in England, as David Baddiel has observed, “it is virtually impossible to be Jewish and male and not interested in football”. The Premier League is currently celebrating its 20th anniversary, but without Jewish pioneers like David Dein and Irving Scholar we’d still be watching boring matches on muddy pitches in dilapidated stadiums; they are two of the forgotten figures who transformed the game from a working-class pursuit to a global entertainment industry.

Brian Glanville once asked Arsenal’s patrician chairman Denis Hill-Wood what had happened to the Enclosure Club, an exclusive directors’ box in the West Stand at Highbury stadium. Hill-Wood explained it had been closed down. “It’s the Jews,” he said. “They take over.” As Glanville observed: “Little could [Hill-Wood] ]realise that under his son Peter’s regime, ‘they’, in the shape of David Dein, would emerge from North London obscurity eventually to be the propulsive force of the club.”

The Jewish contribution to the beautiful game goes way beyond the traditional stereotype of rags-to-riches businessmen such as Dein, Lord Sugar and the current FA chairman David Bernstein, who left his own barmitzvah reception to watch Manchester City win the 1956 FA Cup Final. In the past 100 years, since the last of the Eastern European immigrants arrived in Britain, Jews have been deeply involved as players, coaches, journalists, intellectuals, middle men and administrators. But mostly as fans.

Superfans even. Herbert Warner was invited by Revie into the Leeds changing room to tell the players jokes before a game. The Spurs stars who won the 1967 FA Cup Final preferred Morris Keston’s lavish after-match party to the official club one. Keston invited the team to a barmitzvah. “Is there a bar at the mitzvah?” asked Jimmy Greaves. At Brisbane Road, a section of the Orient crowd used to stand on Kosher Corner, issuing Yiddish curses to underperforming players. At half-time they ate salt-beef sandwiches and chopped herring.

“I schlepped all over the country to watch one of the most mediocre teams in England,” said James Masters. “From Carlisle to Plymouth, from Torquay to Hartlepool — and how could I ever forget the exotic locations of Grimsby, Wrexham and Macclesfield? I’d wear the same pants for each game, keep ridiculous superstitions and even break up with a girlfriend if her presence coincided with a losing run.”

The TV dramatist Jack Rosenthal frequently introduced football themes into his work. I remember, as a boy, being enthralled by a character in one of his sitcoms who was a Manchester City nut. In one memorable episode, unable to get into the ground, he gave a running commentary of the match to his gang while sitting on a wall outside; from the crowd noises he was able to identify players, free-kicks, corners and, of course, goals.

It would be ridiculous to suggest that we are more obsessed than Gentiles, but, from Manchester City to Manchester United and from Leeds United to Leyton Orient, the fans I spoke to all mentioned the same reason for our obsession: a desperation to belong, to be accepted, to be part of what we once called the “host community”. Football was the way my grandparents shed their Old World yiddishness and became English. It was the way my parents’ generation became part of Leeds — rebbe in the morning, Revie in the afternoon.

Several Mancunians told me about their alternative sabbath ritual in the postwar years. A group of season-ticket holders would meet at the Grosvenor Hotel in the city centre. There, as Sydney Lea recalled, they would “have a couple of drinks and a few games of billiards” before hailing a taxi to the ground. Lea cut short his honeymoon to get to a game at Maine Road.

In the 1950s, City’s Jewish fanbase had become so large it was able to threaten the end of Bert Trautmann’s career. About 25,000 people demonstrated outside Maine Road when the club signed the goalkeeper, a former Nazi prisoner of war, but the row was defused when Rabbi Altmann appealed for calm in the Manchester Evening Chronicle. An individual German, reasoned the rabbi, could not be held responsible for the crimes of the Nazis. “I used to lie to my bubbe,” a United fan admitted. “She thought I was going to a shiva [a mourning house] on Saturday afternoon.”

These fans were typical of an increasingly secularised second generation who viewed the traditional Saturday rituals as outmoded. Many sneaked off behind their parents’ backs to play football on shabbat. “I had to throw my boots through the cellar window to somebody who was waiting, then walk out,” recalled Abraham Goldstone. “My father says to me, ‘Wo gehst du?’ [‘Where are you going?’] And I says, ‘I’m only going to the park.’ None of our parents knew that we were playing football. We used to wash our jerseys ourselves.” Ivan Cohen had his first ever fight at Hackney Downs school. “It was with an Arsenal fan and it was very bloody,” he said. “Once, for a Spurs-Arsenal match at the Lane we all tried to bunk off early, but our deputy head had anticipated the situation and was at the station, waiting to stop us.”

Keston, who also went to Hackney Downs, followed Spurs around the world. He even changed his religion temporarily to get into Egypt, which at the time banned Jews from entering; on his entry visa he wrote “C of E” in the box marked “religion”. At breakfast in his Cairo hotel, the players greeted him every morning with a loud chorus of “Shalom, Morry”, which their manager, Bill Nicholson, thought would cause a diplomatic incident. When the team returned to London, a newspaper ran the story with the headline “Jew Defies Nasser To See Spurs”. The Egyptian President might have led a revolution, nationalised the Suez Canal and given the British Government a kicking, but he was no match for Morry.

Our obsession has been stoked over the years by the occasional sight of a nice Yiddisher boy gracing our other place of worship. When QPR winger Mark Lazarus scored the winning goal in a Cup Final in the 1960s he became a cult hero at the Selig Brodetsky. We chanted his name in the playground, which resulted in another summons to the headmaster’s office. Although, in the end, the Liverpool manager didn’t play Avi Cohen on too many Saturdays, the defender scored one of the goals that brought the title back to Anfield. Cohen was so unorthodox he actually turned out for the Reds on Yom Kippur. Jewish writers invoked the concept of divine retribution to explain the goal he gifted Southampton on the Day of Atonement with a misjudged backpass.

I have always felt bad about watching football on that day. In fact, I still suffer slight pangs of guilt watching football on a Saturday. As my old headmaster once explained to me, Saturday is the day of rest, not the day of the match. Which is why I decided to launch my new book on a weekday. Tonight, many football-mad Jews, including Keston, whose parents fled Poland to escape anti-Jewish riots, will join me at it. Afterwards we will sit down to cheer on the Three Lions in Warsaw. A win will make England favourites to win the group. And when their qualification is secured, I will celebrate by taking my children to the Polish club for salt-beef sandwiches and chopped herring.

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Anthony Clavane’s Jewish World XI

Goalkeeper Dudu Aouate, born 1977

Once refused to play in La Liga for Mallorca as kick-off was 18 minutes before the end of Yom Kippur.

Right back Joe Jacobson, born 1986

Former captain of Wales Under-21s, now playing at his fifth club Shrewsbury Town.

Centre back Béla Guttmann, born 1900

A football visionary as a coach - who won 2 titles as a player with MTK Hungária.

Centre back Jeff Agoos, born 1968

American who played for West Brom and 134 times for his country.

Left back Juan Pablo Sorín, born 1976

The son of an architect who captained the 2006 Argentina World Cup side.

Right midfield Mark Lazarus, born 1938

Scored winner for QPR in 1967 League Cup Final.

Centre midfield Aron Winter, born 1967

Dutchman who won two domestic cups, the Cup Winners’ Cup, two Uefa Cups and the European Championships.

Centre midfield Johan Neeskens, born 1951

Played for Holland in the 1974 and 1978 World Cups.

Left midfield Eyal Berkovic, born 1972

Played for five British teams – renowned for his fiery temperament.

Centre forward Gottfried Fuchs, born 1889

Scored 10 goals for Germany in 16-0 defeat of Russia in 1912.

Centre forward Mordechai Spiegler, born 1944

Israel’s record goalscorer, with 33 goals in 83 caps.

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But is he kosher?

George Cohen

England only win the World Cup when there’s a Cohen in the team. This 1966 winner, nicknamed “the Rabbi”, was often assumed to be Jewish. No Peter Lorimer The 1970s Leeds United star is rumoured to have converted to Judaism when he went to Israel, but he denies the story.

No

David Beckham

Had a Jewish grandfather and claims to have “probably had more contact with Judaism than any other religion”.

No

David Pleat

Managed Spurs. Father’s original name was Plotz. The only English Jew to coach a top-flight English team. His desire not to stand out was typical of many footballing Jews in the past.

Yes

Johan Cruyff

The great Dutch legend was rumoured to be Jewish. Has a Jewish uncle and played for Ajax, a team with Jewish connections.

No

Juan Pablo Sorín

From a Ukrainian Jewish family, he crossed himself before games. Grew up during the era of a junta, when the Argentinian Jewish community was looked upon with suspicion by the Government.

Yes

Modificato da Ghost Dog

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Russia, propaganda in gol

Eto'o oscura la guerra

di NICOLA LOMBARDOZZI (la Repubblica SERA 16-10-2012)

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