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Roberto Baggio

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Joined: 31-May-2005
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Afbeeldingsresultaat voor juventus   ROBERTO BAGGIO

 

 

Afbeeldingsresultaat voor roberto baggio juventus

 

 

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Baggio

 


Nato a Caldogno, in provincia di Vicenza, il 18 febbraio del 1967, Roberto Baggio inizia a tirare calci ad un pallone nella squadra del suo paese, per poi trasferirsi al Vicenza in Serie C1, a quindici anni; con la maglia biancorossa dimostra di essere un potenziale fuoriclasse, mettendo a segno, con la squadra Primavera 46 goal in 48 partite. Queste ottime prestazioni gli permettono di debuttare in prima squadra nel 1983; nella stagione 1984/85 mette a segno 12 reti in 29 partite, consentendo così, alla squadra vicentina, di essere promossa in serie B. In una delle ultime giornate di campionato, si rompe il ginocchio destro; la Fiorentina, che lo ha già acquistato, ha la possibilità di recedere dal contratto, ma il presidente viola, Piercesare Baretti, decide di credere nel suo recupero.

Dopo due anni di calvario esordisce in serie A il 21 settembre 1986 e realizza il suo primo goal nella massima divisione il 10 maggio 1987, contro il Napoli di Maradona. Proprio contro i partenopei, il 17 settembre 1989, Roberto segna uno dei suoi goal più belli, partendo dalla propria metà campo, saltando tutta la difesa partenopea, compreso il portiere Galli e depositando il pallone in rete.

Rimarrà in Toscana fino al 1990, quando si trasferisce alla Juventus, tra le furiose e violente proteste della tifoseria fiorentina, conscia di perdere un grande giocatore, già diventato un idolo.

Le grandi giocate di Baggio gli fanno guadagnare la convocazione dal Commissario Tecnico della Nazionale, Azeglio Vicini, e la partecipazione ai mondiali italiani del 1990. Sono le notti magiche di Toto Schillaci; Baggio non parte titolare, ma presto conquista il posto in squadra, rispondendo sempre con grandi prestazioni. Mette a segno un goal memorabile nella sfida contro la Cecoslovacchia ed un ulteriore goal nella finale per il terzo posto contro l'Inghilterra.

Terminati i mondiali, Baggio inizia la sua avventura nella Juventus che durerà 5 anni: saranno 200 presente e 115 reti. Sono gli anni della consacrazione del Codino, che vincerà coi colori bianconeri uno scudetto, una Coppa Italia ed una Coppa Uefa. Verrà inoltre premiato con il Pallone d'oro nel 1993 e col premio FIFA World Player nel 1994. Nonostante tutti questi successi, non riesce ad entrare nel cuore dei dirigenti bianconeri (celebre è rimasto lappellativo di Coniglio bagnato, coniato dallAvvocato) e nemmeno in quello dei tifosi, che non gli hanno mai perdonato il gesto di togliersi la sciarpa bianconera alla sua presentazione alla stampa e, soprattutto, quando, il 6 aprile 1991, ritorna per la prima volta a Firenze con la maglia della Juventus. Baggio gioca male e si rifiuta di tirare il rigore che potrebbe dare il pareggio alla squadra bianconera; sostituito dopo unora, uscendo dal campo raccoglie una sciarpa viola lanciata da una ragazza dei distinti. Il boato di gioia della gente di Firenze è pari soltanto alluragano di fischi dei tifosi bianconeri.

Nell'estate del 1994 è convocato per i mondiali negli Stai Uniti. Baggio è considerato da molti il calciatore che può far sognare lItalia, ma l'inizio è stentato: gli azzurri passano a fatica la prima fase, ripescati tra le migliori terze dei gironi di qualificazione, ed il rapporto tra Baggio ed il Commissario Tecnico Arrigo Sacchi non sembra essere dei migliori, a causa del gesto di disappunto del Codino dopo la sostituzione nei primi minuti del match contro la Norvegia, in seguito all'espulsione del portiere Gianluca Pagliuca. Le immagini televisive sono chiarissime: «questo è matto, questo è matto!», continua a ripetere Roberto, quando esce dal campo.

Gli ottavi di finale vedono l'Italia opposta alla Nigeria: gli azzurri, sotto di un goal e con un uomo in meno a causa dellespulsione di Zola, pareggiano al 88° proprio grazie ad una prodezza di Baggio; nei tempi supplementari, è ancora Baggio, al 102°, stavolta su rigore, a mettere il suggello alla partita. Roberto continua a segnare anche nei turni successivi, contro la Spagna nei quarti di finale e contro la Bulgaria (2 goal) in semifinale. Ma proprio contro i bulgari si infortuna; dovrebbe riposarsi, ma come si può rinunciare alla finalissima contro il Brasile? Si gioca alluna di pomeriggio a Pasadena, sobborgo di Los Angeles, con un caldo torrido; i rigori daranno la vittoria ai sudamericani per 3-2, con ultimo rigore sbagliato proprio da Baggio che tira alto sopra la traversa, dopo gli errori di capitan Baresi e di Massaro.

Baggio, che fatica sempre più a trovar posto nella Juventus decisa a puntare sullastro nascente Del Piero, si trasferisce nell'estate del 1995 al Milan, guidato da Fabio Capello, rimanendovi per due anni; nonostante le vittorie della squadra milanese, Baggio non trova spazio diventando una riserva di lusso. Chiaramente, non viene convocato per gli Europei inglesi del 1996; la maglia numero 10 della Nazionale è indossata da Zola e proprio il giocatore sardo fallisce il rigore decisivo contro la Germania e gli azzurri vengono eliminati al primo turno. Arrigo Sacchi viene esonerato e ritorna sulla panchina del Milan, convincendo Roberto ad abbandonare la squadra rossonera, l'estate successiva.

Baggio decide di ripartire dal Bologna: sarà la stagione del rilancio e del record personale di marcature, ben 22 reti segnate in 30 partite. Il Commissario Tecnico della Nazionale Cesare Maldini è costretto, a furor di popolo, a convocarlo per il mondiale del 1998 in Francia.

La decisione di Maldini non si rivelerà felice ed il mondiale francese vivrà tutto sul dualismo tra Baggio e Del Piero, minando gli equilibri interni della squadra. Baggio segnerà due reti, diventando così l'unico giocatore italiano ad aver segnato in tre mondiali diversi. L'eliminazione arriva ai quarti di finale, per mano della Francia, futura campione del mondo, ancora ai calci di rigore ma, questa volta, Baggio realizza il suo tiro dagli undici metri.

Quella stessa estate si trasferisce nuovamente ed approda all'Inter, guidata per quella stagione da Gigi Simoni. È una delle stagioni più controverse della squadra meneghina, con numerosi cambi d'allenatore (Simoni, Lucescu, Hodgson ed infine Castellini) che impediscono a Baggio di esprimersi al meglio. Nella seconda stagione arriva Marcello Lippi, ma anche con lallenatore toscano i rapporti non sono buoni, tanto che, al termine dei due anni di contratto, Baggio si congeda dall'Inter, con una doppietta nello spareggio contro il Parma, che regala ai nerazzurri l'ammissione alla Champions League.

Baggio decide di ritornare ad una squadra provinciale, trasferendosi al Brescia, sotto la guida di Carlo Mazzone, con l'obiettivo dichiarato di partecipare ai mondiali del 2002. Obiettivo mancato, anche a causa di un brutto infortunio al ginocchio sinistro che a più riprese ne condiziona la stagione decisiva, dissuadendo il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana, Giovanni Trapattoni, dal convocarlo.

Il 14 marzo 2004, durante il match contro il Parma, Roberto Baggio mette a segno il suo duecentesimo goal in serie A, traguardo raggiunto solo da quattro altri mostri sacri del campionato italiano: Silvio Piola, Gunnar Nordhal, Giuseppe Meazza e José Altafini.

Qualità tecniche superlative, nessuno può metterlo in dubbio, da fuoriclasse assoluto ma che, onestamente, non lo è stato per limiti fisici e caratteriali. La vittoria al Mondiale americano gli avrebbe insegnato a vincere, invece, quel rigore sbagliato lo consacrò definitivamente come Coniglio bagnato. Linfortunio dellanno dopo, che gli fa saltare praticamente tutto il girone dandata, e lesplosione di Del Piero, lo relegano di nuovo al ruolo di ciliegina sulla torta, come accadrà in seguito al Milan.

Il palmares è troppo esiguo per includerlo nellOlimpo ed, a ben vedere, in nessuno dei due scudetti fu veramente decisivo, anche se non solo per colpa sua. Pochi, infatti, ricordano che, per lunghi anni, è stato loggetto delle polemiche di chi lo considerava un raccomandato, sullaltare del quale veniva sacrificato Zola. Poi, piano piano, è diventato lidolo del circo televisivo, per assurgere a vittima di Del Piero; la bellezza del nostro sistema giornalistico.

Con la Juventus, oggettivamente, ha fatto il massimo; aveva contro un Milan inavvicinabile e, quel poco che ha vinto (tranne lo scudetto), lo ha fatto da protagonista quasi assoluto (la Coppa Uefa la vinse da solo, finale a parte).

Unico lo è stato sicuramente per la capacità di dividere lopinione pubblica. Gli ultimi anni era diventato insopportabile per laura di santità che circondava qualsiasi cosa dicesse o facesse. A suo favore, il fatto che lasciato il calcio sia sparito, senza lucrare sulla sua popolarità immensa. Davvero un personaggio controverso che, però, ci ha lasciato almeno una trentina di goal indimenticabili.

Roberto Baggio disputa lultima partita della sua lunga carriera il 16 maggio 2004 (Milan - Brescia 4-2, ultima giornata della stagione), non prima tuttavia di essere convocato, il 28 aprile 2004, per unultima volta in Nazionale, in occasione di una partita amichevole contro la Spagna. Al termine della stagione, in suo onore, il Brescia (che con lui in cabina di regia si salva per quattro anni di seguito) ritira la maglia numero 10 da lui indossata per 5 stagioni.


IL RACCONTO DI ADALBERTO SCEMMA, SU HURRÀ JUVENTUS DEL FEBBRAIO 1994:

«Macché signor Baggio! Chiamatemi Roberto. Non fatemi sentire il peso di un premio che ho vinto per merito mio, ma anche di altri. Perché io sono sempre io, Baggio è rimasto Baggio. E rimarrà così».

Eccolo qui, parola per parola, il primo commento di Roby allesito della votazione di France Football. Un inno allumiltà persino eccessivo, in un giocatore che proprio la conquista del Pallone doro ha consegnato, non soltanto alla storia, ma addirittura alla leggenda del calcio.

Roberto Baggio non ha perso una virgola della semplicità di un tempo, quella semplicità che è diventata (anche sul piano delle connotazioni calcistiche) unarma supplementare. «Ma sono proprio le cose semplici, che ti permettono di divertirti. Da professionista capisci che il divertimento cè salo quando vinci. Lultima volta che mi sono divertito è stato la scorsa estate, giocando sulla spiaggia».

Può darsi, ipotizza qualcuno, che limmagine di calciatore un po fuori dalle righe (il codino, ladesione al buddismo e così via) lo abbia aiutato ad imporsi. Proprio vero? Roberto fila in dribbling saltando i se ed i ma come birilli. «Quando a vincere erano gli altri mi limitavo a pensare: beati loro. Oggi non lo so proprio. Qualcosa di importante lho fatto, se in tanti mi hanno scelto deve esserci una buona ragione. Eppoi un premio non è mai lespressione di un giudizio definitivo su un calciatore: sono i risultati che decidono. Se fossi arrivato secondo in Coppa Uefa, se non avessi realizzato cinque goals tra le semifinali e le finali, non parleremmo di queste cose».

Limmagine, insomma, conta ben poco. Roberto Baggio ha il pregio di essere se stesso anche e soprattutto quando porta avanti scelte non tradizionali. I dettami di casa Juve impongono un certo stile di vita ed il rispetto di regole non codificate, e tuttavia quasi mai disattese, anche a proposito del look. Linvito di Boniperti a passare dal barbiere, in passato, veniva accolto alla stregua di un ordine. Di qui quel minimo di difficoltà (soprattutto psicologiche) che Roberto ha già dovuto superare per imporre anche allinterno dellambiente juventino la propria personalità. Ma il codino, più che un vezzo narcisistico, è diventato un emblema. Di serenità, però, non di trasgressione.

Che cosa rappresenta, per Roberto Baggio, la conquista del Pallone dOro? Ogni medaglia ha sempre due facce: «Da un lato il Pallone è un meraviglioso compagno di viaggio e di avventura; dallaltro, rappresenta un peso, anche se questa mia valutazione può apparire scontata. Le responsabilità sono aumentate. Ora la gente si aspetta che io giochi sempre al massimo e che dia spettacolo. Il sempre, però, non è possibile. Paura? No di certo. A farmi compagnia cè sempre il gusto della sfida, la voglia di dimostrare a tutti, anche a me stesso, che sono allaltezza».

Proprio il gusto della sfida, non a caso, ha scandito la prima fase della carriera di Baggio, quando linfortunio al ginocchio, con la lunghissima assenza dai campi di gioco, aveva lasciato presumere addirittura un addio al calcio. Per riemergere, Roberto si era affidato ad un grande professionista come il professore Carlo Vittori, il maestro di Pietro Mennea, nella fase di rieducazione; eppoi a sé stesso, alla propria straordinaria motivazione. «In effetti sono uscito da un vero e proprio labirinto di dubbi, di confusione, di perplessità. Allenarsi per due anni da solo è unesperienza terribile: una volta superato quel trauma, nulla fa più paura. Nei momenti di sconforto mi ha aiutato questa straordinaria voglia di riprovarci, a costo di qualsiasi sacrificio».

È proprio di fronte alle difficoltà che si rafforza il carattere. Roberto è uscito temperato dai sacrifici che ha dovuto affrontare, al punto da affinare anche il proprio bagaglio di calciatore non votato soltanto alla purezza del gesto tecnico. «Molti dicono che cerco maggiormente il contrasto, che lotto con più determinazione rispetto al passato. Forse è soltanto perché mi sento padrone della situazione e rischio cose che una volta neppure mi venivano in mente. Faccio un esempio: mi capita spesso di entrare in scivolata per guadagnare quella frazione di secondo che può essere determinante. Eppure proprio in una situazione di gioco analoga riuscii, da ragazzo, a farmi a pezzi il ginocchio».

Qual è stato il momento più difficile, fatta eccezione per gli anni giovanili, della carriera Baggio? Cè stato un momento, due anni fa, in cui tutto sembrava girare dalla parte sbagliata. «Stavo male e durante la settimana non mi allenavo, ma alla domenica ero costretto ad andare in campo, conciato in quel modo. Alla fine del girone dandata avevo collezionato due goal soltanto, entrambi su rigore. Quando ci penso ho limpressione di aver vissuto un incubo. Uscii dal tunnel soltanto grazie al goal segnato in azione contro Malta. Senza quel guizzo, probabilmente non sarei qui a parlare, oggi, del Pallone dOro».

Nelle dichiarazioni di Roberto Raggio, prima e dopo il riconoscimento di France Football, cè una costante che innesca la curiosità di approfondire. Ci riferiamo al significato del goal, capace spesso di assumere unimportanza determinante. «I goal sono la chiave del successo, e senza successo nel calcio non sei nessuno. Ci sono giocatori bravissimi, serissimi, fondamentali per leconomia delle loro squadre, che trovano posto, una volta finita la carriera, soltanto in qualche ricordo sbiadito. La gente ti ricorda soprattutto per le reti che hai messo a segno, non per quelle che hai impedito di realizzare, e neppure gli assist, magari stupendi, che sei riuscito a inventare. Io cerco il goal come un fatto naturale. E continuo a pensare che i miei goal in Coppa siano alla base del successo».

Sul nome di Roberto Baggio vincitore del Pallone dOro sembravano daccordo i critici sin dallautunno scorso, quando proprio da Parigi cominciavano ad arrivare le prime indiscrezioni sullesito del referendum. E tuttavia Roberto aveva palesato le proprie perplessità. Questione, ovviamente, di scaramanzia. «Anche quando tutti sparavano titoli a nove colonne, io pensavo: Roby, attento, è in arrivo una fregatura. Spesso mi è tornata in mente la notte della finale-bis contro il Borussia Dortmund: pioveva a dirotto, ricordate? Beh, anche in quella circostanza ho temuto che saltasse tutto. Cera una vocina dentro me che non stava mai zitta: per una volta che ti capita di vincere rinviano la partita. Le foto con il Pallone dOro le ho fatte con la speranza che il grande sogno si avverasse. Si è avverato, grazie al cielo».

Da un lato la speranza di vedere finalmente riconosciuta una leadership indiscussa a livello europeo; dallaltro la possibilità che la bilancia dei voti si mettesse improvvisamente a pendere dalla parte di altre tre eccellenti B del calcio: Baresi, Bergkamp e Bokic. Quale sarebbe stata la reazione di Roberto Baggio? «Al massimo mi sarebbe scappato un beati loro del tutto sincero. Non ho mai provato invidia nei confronti di nessuno. Eppoi il meccanismo del Pallone dOro è davvero tutto particolare. Questanno ho ricevuto 142 voti, lo scorso anno neppure uno: sono proprio questi eccessi, nel bene o nel male, a farmi accettare con estrema serenità ciò che la vita mi riserva giorno dopo giorno. Linvidia, naturalmente, non la conosco».

Senza le prodezze realizzate in azzurro durante le qualificazioni per i Mondiali americani (incontri di Coppa Uefa a parte), difficilmente Baggio sarebbe arrivato a conquistare il Pallone dOro. Anche per questo la riconoscenza nei confronti di Arrigo Sacchi, che gli ha manifestato fiducia in un momento particolarmente delicato della carriera, è esplicita. «Sacchi mi è stato vicino in un periodo nero. Per tre mesi ho giocato con uno stiramento. Non mi riconoscevo più. Poi a Foggia, contro Cipro, cè stata la partita della svolta. Lì sono uscito dal tunnel».

Undici anni fa il Pallone dOro di Paolo Rossi, ora quello di Roberto Baggio. Due fuoriclasse accomunati, oltre che dal colore bianconero, anche dal biancorosso della maglia vicentina. Una scuola calcistica che porta buono sia quando si tratta, come nel caso di Baggio, di insegnare i primi rudimenti, sia quando (ecco il caso di Pablito) si presenta la necessità di un riciclaggio. E proprio la storia del Vicenza è del resto infittita di personaggi capaci di vivere qui una seconda od addirittura una terza giovinezza: basterebbe citare Sormani, oltre al leggendario Vinicio. «A Vicenza», ride Baggio, «hanno brevettato una specialità: quella di gonfiare i Palloni dOro. Guai a chi ha il coraggio, comunque, di parlare di me e di Paolo Rossi paragonandoci a due palloni gonfiati!»

La milizia nel Vicenza, con il debutto in Serie C a 16 anni appena compiuti, ha permesso a Roberto, che giocava allora senza avvertire il peso delle responsabilità, di esprimersi in punta di fantasia. La stessa fantasia, peraltro, che Roberto ha avuto come compagna nella Fiorentina, durante cinque scoppiettanti stagioni, e che qualcuno sostiene abbia in parte smarrito dopo il passaggio alla Juventus. Ha ragione Sivori, dunque, quando critica la decisione di France Football di assegnare a Baggio il massimo riconoscimento? «A Sivori non rispondo, ma devo ammettere che in parte ha ragione. È vero: quando giocavo nella Fiorentina mi esprimevo con maggiore fantasia, ma va tenuto conto che a Firenze potevo permettermi tutto o quasi tutto, la pressione non era massiccia come a Torino. Nella Juventus ogni partita è decisiva, bisogna giocarla con grande raziocinio. La creatività da sola non basta».

Il giudizio maligno di Omar Sivori è stato accolto da Baggio con molta serenità. La giornata di lunedì 27 dicembre, tuttavia, è stata ricca soprattutto di elogi. A chiamare Roberto (la sua casa di Caldogno è stata tempestata di telefonate) hanno provveduto amici, conoscenti ed anche semplici tifosi, entusiasti per lassegnazione di un premio così prestigioso.

Tra le tante chiamate («Tutte gratificanti, non è vero che si tratta di un copione banale»), Roberto ha gradito in particolare quella tradizionalmente mattutina dellavvocato Agnelli: «Non ci siamo detti nulla di particolare e soprattutto non ci sono stati confronti con Platini. Si è trattato di un dialogo tra due appassionati di calcio. Felici, naturalmente».

Da quando Andreina e Roberto (in attesa del secondogenito) hanno trasferito la base familiare nella villetta di Caldogno appena restaurata, le visite ai parenti ed ai vecchi amici si sono natural-mente infittite. In paese non cè proprio bisogno di dire chiamatemi Roberto. Quel nome è familiare, quasi che il Baggio fosse uninutile appendice. Cè il senso delle radici più profonde ma anche, e soprattutto, di una naturalezza nei rapporti umani che Roberto si è poi ritrovato in dote anche nel momento più alto, e più difficile, della carriera.

«Sono contenta per lui», ha detto Andreina, «perché il Pallone dOro ha dato un senso a tanti sacrifici. Ma la cosa che maggiormente ho apprezzato è stata la serenità che Roberto è riuscito a trasmettere un po a tutti. E rimasto, insomma, con i piedi per terra. Come era giusto che fosse».
Anche il papà e la mamma di Roberto hanno gioito, ma senza esagerare. A Caldogno è di casa il realismo.
«Gioie e dolori», questo è il commento, «vanno vissute in punta di piedi».

Ed è un modo molto veneto di filosofar di vita. «In paese», dice mamma Matilde, «ricordano Roberto proprio perché aveva sempre il pallone tra i piedi. Correva come un matto. Il calcio per lui è sempre stato come una malattia. Sarebbe stato disposto a sacrificare qualsiasi cosa. Seguiva suo fratello Walter, quando andava al campo ad allenarsi, e non lo mollava più. Il premio che ha vinto ha fatto piacere a tutti anche perché tutti, credo, hanno partecipato, tanti anni fa, alla formazione di quello che oggi viene considerato un campione».

Diego Ceola, uno degli amici più cari di Roberto, ha vissuto con lui, sui banchi di scuola e sui campi di calcio, tutta linfanzia e ladolescenza. «Lunico rammarico», dice, «è che la gloria sportiva ha privato Roberto di tutte le gioie che vivono i ragazzi normali. A quindici anni era già famoso, non ha più potuto evitare i riflettori. Per questo avrei preferito che il Pallone dOro fosse andato a Maldini. La difficoltà per Roberto, oggi come oggi, è quella di inventarsi nuovi stimoli».

Sotto questo profilo, invece, ha ben pochi dubbi Giulio Savoini, il responsabile del settore giovanile del Vicenza, una leggenda del calcio biancorosso dopo essere stato per numerose stagioni protagonista sia in attacco che in difesa, come terzino fluidificante. «Il segreto di Roberto è soprattutto quello di amare il calcio. Una volta finiti gli allenamenti, invece di prendere la corriera e di tornare a casa, rimaneva sul campo a guardare i più grandi. Era sempre lultimo ad andare via. Ha una passione straordinaria».


COSÌ LO RACCONTA DA VLADIMIRO CAMINITI, NEL 1991:

La vita è alimentata anche da pregiudizi, che guastano la natura degli uomini. In Italia a qualsiasi livello di occupazione e di ruolo, essi si materializzano in etichette, il calcio non può fare eccezione, pochi campioni sfuggono a catalogazioni preconcette. Che si diceva di Roberto Baggio di Caldogno in quel di Vicenza, prima che si trasferisse definitivamente a Torino? Si diceva per lappunto che era il classico mezzo fuoriclasse, il giocatore virtuoso del pezzo dautore, breviter il campione degli scampoli. Detto più crudamente: la ciliegina sulla torta. Ci vuole la squadra, poi cè lui. Io penso che questa etichetta ha rappresentato tutto il Baggio fiorentino, delizia impareggiabile di quei tifosi. I cinque anni viola non ne mutarono il destino. Baggio non vinse nulla, ma fece scrivere di tutto. Ed incantò puntualmente la Juventus, e lAvvocato, nei confronti diretti. Salvo lui per primo negare anche la più remota possibilità a potersi trasferire un giorno nella società bianconera.

Non dire mai nel calcio che cosa è impossibile. Niente è vietato alla Juventus. Nellestate 1990, il trasferimento choc fu realtà. La Juventus andò in campionato a miracol mostrare col suo fiore allocchiello. I ricordi sono nitidi, la stagione non fu esemplare, anche per il giocatore. Nel campionato di Maifredi bianconero, la Juventus finì ingloriosamente settima, furono sorbole, furono polemiche, furono lacrime amare. E Baggio? Non aveva colpe specifiche, aveva come sempre fatto il dover suo, 14 goal alla pari con quel certo centravanti tutto istinto di Klinsmann, la dicono lunga.

Poi il recupero delle entità irrinunciabili, il ritorno di Boniperti e Trapattoni, e per Baggio linizio di una nuova storia. Anzi linizio della storia, la Juventus della normalità seconda in campionato cioè di nuovo degna della sua tradizione, superata soltanto dal Milan delle sinergie televisive, e Baggio rapace nel goal (ben 18) e soprattutto in grado di smentire certe affermazioni gratuite e per niente simpatiche: altro che ciliegina sulla torta!

Questo si deve scrivere, dopo avergli visto giocare alcune inobliabili partite per la Signora con un impegno smeraldino, non più solamente il rifinitore impeccabile, il finalizzatore strabiliante, anche il giocatore al servizio degli schemi, rapace nel goal ma anche capace di una spola virtuosa, luomo chiave della manovra, il punto di riferimento.

Baggio è cresciuto con la Juventus, e Trapattoni detto Trap ha avuto ben ragione di esultare. Rivedo la sua magica prestazione del Meazza contro lInter, sublimata da un goal dautore che ha consentito ai soliti di vestire le piume del pavone. lavevano detto o no che soltanto Meazza si poteva comparare allasso di Caldogno?

Baggio si inserisce tra i più grandi della storia juventina col diritto della classe. Vi sono campioni che superano le mode. che valicano gli oceani. che caratterizzano unepoca ed al contempo sono la naturale e perenne espressione di un gioco, di uno sport, di unarte.

È il caso di Baggio. La sua finezza interpretativa, il tocco davvero araldico sui calci piazzati che lo accosta a Maradona, il suo dribbling di possesso irresistibile e la sua capacità di goleare da vicino e da lontano con inflessibile lucidità e freddezza, lo pongono allo stesso livello degli assi più straordinari di ogni tempo.

Cera da affezionarsi alla maglia bianconera, bisognava che la magia del gioco di Baggio creasse nuovi incantesimi. La cosa è puntualmente avvenuta. Ora Baggio si collega a Vialli perché la favola prosegua verso nuovi irrinunciabili traguardi. Un asso irripetibile adorna il diadema di nostra signora di Torino, che è la signora di tutti gli sportivi italiani dai cinque ai novanta anni, la squadra che coi suoi assi, da Giacone a Peruzzi, da Goccione a Kohler, da Hirzer a Baggio, unisce gli italiani dal mare alle Alpi.



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/02/roberto-baggio.html

 

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Dertig jaar na pijnlijk vertrek Baggio zijn Fiorentina-supporters weer  woedend | NOS

Modificato da Socrates

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Giocatore enorme, uno dei più grandi 10 della storia, senza infortuni forse si potrebbe parlare di un top 3 di tutti i tempi

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uno dei miei idoli calcistici di sempre

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Il giocatore che ho venerato come un santo. Cameretta tappezzata da poster, ritagli, foto, prime pagine di giornali a lui dedicate.....

Non l'ho mai fatto più per nessuno.....ne amavo l'immensita' ed anche le fragilita'....lui è stato il mio mito  @@

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Roberto Baggio alza il Pallone d’Oro: era il 28 dicembre 1993

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FONTE

 

 

Quello del 28 dicembre 1993 è un giorno importante in casa bianconera. Roberto Baggio, in questo giorno, vinse il Pallone d’Oro. L’attaccante ottenne 142 punti. Al secondo posto finì Dennis Bergkamp e al terzo Eric Cantona.

 

In quell’anno, il Divid Codino fu protagonista di una grande stagione e soprattutto di una cavalcata in Coppa Uefa, che poi la Juve vinse contro il Borussia Dortmund.

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Baggio, la sciarpa della Fiorentina come le parole di Sarri post-Napoli: l'avesse fatto oggi...

Baggio, la sciarpa della Fiorentina come le parole di Sarri post-Napoli: l'avesse fatto oggi...

 

FONTE

 

 

Oggi non è un giorno normale per il calcio italiano. Oggi è il compleanno di Roberto Baggio, uno dei più grandi, forse il più grande calciatore italiano mai esistito e che anche i tifosi della Juve hanno avuto l'opportunità di ammirare e tifare con la loro maglia. Lui più di ogni altro appartiene ad un calcio di altri tempi e non è un caso che da questo carrozzone che è il pallone di oggi, lui se ne sia tirato fuori. Concede un'intervista all'anno, al massimo. Ha ridotto le sue apparizione pubbliche anche se offerte ed opportunità, ovviamente, non gli sono mai mancate, né gli mancheranno mai. Un fenomeno con la F maiuscola, anche per le sue debolezze e fragilità.

SCIARPA - C'è un gesto che più di ogni altro spiega il Baggio uomo e non calciatore. Era il giorno del suo ritorno a Firenze, il 6 marzo 1991,  dopo il discusso trasferimento estivo alla Juventus. Non calciò un rigore concesso nella ripresa, lasciandolo a De Agostini. Ufficialmente perché conosceva Mareggini, portiere della Fiorentina, con cui aveva giocato a Firenze. De Agostini quel rigore lo sbagliò. Poi venne sostituito, al 19' della ripresa, e i fischi che aveva preso per tutta la partita si trasformarono in applausi quando arrivò ai suoi piedi una sciarpa della Fiorentina che si chinò per raccogliere portandola con sé negli spogliatoi. Un'immagine che a quasi 30 anni di distanza è ancora potentissima. L'immagine di un uomo ed un calciatore che non dimentica la squadra e la città che gli ha dato tanto, anche se poi ha fatto scelte diverse.

 

POLEMICHE - Ci furono discussioni, certo, anche perché la Juve perse quella partita al Franchi. Ma l'immagine di Baggio che si china con il giaccone della Juve per raccogliere la sciarpa viola è un classico del nostro calcio, visto ancora con un pizzico di nostalgia anche perché nel calcio di oggi, tutto o quasi è diventato polemica. Viene subito da pensare alle parole di Sarri dopo la partita contro il Napoli. Parole di affetto verso una città che, come Firenze per Baggio, gli ha dato tanto. Parole che tanti tifosi juventini non hanno gradito, a dir poco. Per giorni Sarri è stato bersagliato sui social, accusato di essere anti-juventino o addirittura di remare contro, solo perché mostrava affetto verso i suoi vecchi colori. Si può discutere sulla scelta delle parole, ma non sulla bontà e la genuinità del pensiero di Sarri che in fondo ricorda un pò quella sciarpa raccolta da Baggio a Firenze. Perché quel gesto è quasi poesia e le parole del tecnico sono quasi una bestemmia? E perché Sarri verrà per sempre fischiato a Napoli mentre Baggio uscì tra gli applausi del Franchi già in quella partita? Sono cambiate le persone ed è cambiato il calcio. Di certo Baggio ha avuto la fortuna di fare quel gesto in un mondo ancora non social.

 

 

 

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55062307_juve1989.png.0e751d8b023348d650bcfe17bd167d22.png   ROBERTO BAGGIO

 

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https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Baggio

 

 

Nazione: Italia 20px-Flag_of_Italy.svg.png
Luogo di nascita: Caldogno (Vicenza)
Data di nascita: 18.02.1967
Ruolo: Attaccante
Altezza: 174 cm
Peso: 73 kg
Nazionale Italiano
Soprannome: Divin codino - Coniglio bagnato - Raffaello

 

 

Alla Juventus dal 1990 al 1995

Esordio: 01.09.1990 - Supercoppa italiana - Napoli-Juventus 5-1

Ultima partita: 21.05.1995 - Serie A - Juventus-Parma 4-0

 

200 presenze - 115 reti

 

1 scudetto

1 coppa Italia

1 coppa Uefa

 

Pallone d'oro 1993

 

 

 

Roberto Baggio (Caldogno, 18 febbraio 1967) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo attaccante o centrocampista, vicecampione del mondo con la nazionale italiana nel 1994.

Soprannominato Raffaello per l'eleganza dello stile di gioco e Divin Codino per la caratteristica acconciatura, è ritenuto uno dei migliori giocatori nella storia del calcio.

Con le squadre di club ha conquistato due scudetti (1994-1995 e 1995-1996), una Coppa Italia (1994-1995) e una Coppa UEFA (1992-1993). In nazionale ha preso parte a tre Mondiali (Italia 1990, Stati Uniti 1994 e Francia 1998), sfiorando la vittoria dell'edizione 1994: dopo avere trascinato l'Italia in finale con cinque gol decisivi, fu uno dei tre azzurri a sbagliare il proprio tiro di rigore nella partita conclusiva del torneo persa contro il Brasile.

Pur non avendo mai vinto la classifica dei marcatori, è il settimo realizzatore del campionato di Serie A con 205 gol. Prolifico anche in nazionale, con 27 reti in 56 partite, è quarto tra i migliori realizzatori in maglia azzurra, a pari merito con Alessandro Del Piero; inoltre, con nove gol realizzati nei Mondiali, è il miglior marcatore italiano nella competizione iridata (a pari merito con Paolo Rossi e Christian Vieri), nonché l'unico ad avere segnato in tre diverse edizioni.

A livello individuale ha conseguito numerosi riconoscimenti, tra cui il FIFA World Player e il Pallone d'oro nel 1993 e l'edizione inaugurale del Golden Foot nel 2003. Occupa la 16ª posizione (primo italiano) nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata da World Soccer nel 1999, ed è stato inserito da Pelé nel FIFA 100, la lista dei 125 più grandi calciatori viventi divulgata nel 2004. Oltre a ciò, è stato introdotto nella Hall of Fame del calcio italiano nel 2011 e nella Walk of Fame dello sport italiano nel 2015.

Durante la carriera ha diviso a metà la critica tra ammiratori e oppositori.

 

Roberto Baggio
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Baggio con la nazionale italiana nel 1990
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 174 cm
Peso 73 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Attaccante, centrocampista
Termine carriera 16 maggio 2004
Carriera
Giovanili
1974-1980 600px Rosso e Granata.png Caldogno
1980-1983   Lanerossi Vicenza
Squadre di club
1982-1985   Lanerossi Vicenza 36 (13)
1985-1990   Fiorentina 94 (39)
1990-1995   Juventus 200 (115)
1995-1997   Milan 51 (12)
1997-1998   Bologna 30 (22)
1998-2000   Inter 41 (9)
2000-2004   Brescia 95 (45)
Nazionale
1984 Italia Italia U-16 4 (3)
1988-2004 Italia Italia 56 (27)
Palmarès
 
Coppa mondiale.svg Mondiali di calcio
Bronzo Italia 1990
Argento Stati Uniti 1994

 

Biografia

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Baggio nel 2013

 

È il sesto degli otto figli di Florindo Baggio (1931-2020) e Matilde Rizzotto; tra questi vi è Eddy (1974), anche lui ex calciatore pur senza avere raggiunto i livelli del più noto fratello maggiore, con una carriera trascorsa prettamente nelle serie minori italiane. Il padre, appassionato di calcio e di ciclismo, lo chiamò Roberto in onore di Boninsegna.

Avvicinatosi al calcio fin da piccolo, il suo idolo era Zico. A due mesi dalla fine degli studi decide di andare in ritiro con il L.R. Vicenza e per questo non consegue il diploma. Dalla sua unione con Andreina, sposata nel 1989, sono nati tre figli.

Dapprima cattolico, si è in seguito avvicinato al buddhismo, aderendo alla Soka Gakkai dal 1º gennaio 1988. In seguito ha aperto un centro della Soka Gakkai in un locale di sua proprietà e una sala di riunione a Thiene; nell'ottobre 2014 ha inoltre inaugurato a Corsico il più grande centro culturale buddista d'Europa.

È proprietario di un'azienda agricola in Argentina e dal novembre 1991 al settembre 2012 ha gestito un negozio di articoli sportivi a Thiene, chiamato Roberto Baggio Sport, chiuso per la crisi economica.

 

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Eddy Baggio, fratello minore di Roberto, divenuto anche lui calciatore con una discreta carriera nelle serie minori.

 

Nel dicembre 1994, con un guadagno annuo di circa 8,6 miliardi di lire (5,3 di contratto e 3,3 di entrate pubblicitarie), fu il primo calciatore a entrare tra i quaranta sportivi più pagati del mondo secondo Forbes.

Nel febbraio 1997 fu convocato come testimone dalla Guardia di Finanza a seguito di una truffa internazionale ai suoi danni, e nella quale perse circa 7 miliardi, in un investimento su una miniera in Perù gestita da una banca caraibica e da promotori italiani.

Ha scritto un'autobiografia, pubblicata nel 2001, col titolo Una porta nel cielo, nella quale ripercorre la carriera, il rapporto con la fede buddhista, e approfondisce i complicati rapporti avuti con alcuni allenatori (Arrigo Sacchi, Renzo Ulivieri e Marcello Lippi), spendendo parole di elogio per altri (Giovanni Trapattoni, Luigi Simoni, Luigi Maifredi, Óscar Tabárez e Carlo Mazzone).

Impegno nel sociale

Ambasciatore FAO, ha preso parte a numerose iniziative benefiche.

Il 9 novembre 2010 gli è stato assegnato il Peace Summit Award 2010, riconoscimento assegnato annualmente da una commissione composta dai Premi Nobel per la pace alla personalità più impegnata verso i più bisognosi, per «il suo impegno forte e costante alla pace nel mondo e le relative attività internazionali».

Popolarità

Molto popolare sia in Italia che all'estero, Baggio è stato protagonista di diversi spot pubblicitari: si ricordano in particolare quelli del 2000 per Wind e del 2001 per Johnnie Walker, entrambi incentrati sul tiro di rigore fallito nella finale del campionato del mondo 1994.

Gli sono state dedicate poesie, canzoni e opere teatrali, inoltre parte della sua vita viene raccontata nel film Il Divin Codino del 2021. È possibile trovare riferimenti alla sua figura anche in fumetti e cartoni animati; in quest'ultimo caso, è stato omaggiato in episodi di Che campioni Holly e Benji!!! e Sailor Moon. È stato inoltre oggetto di imitazioni satiriche.

Controversie

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Il rapporto tra Baggio (a sinistra) e l'allenatore Marcello Lippi (a destra) ha avuto vari dissidi, nati alla Juventus e poi deflagrati all'Inter.

 

Baggio ha avuto dissapori con quasi tutti i suoi allenatori. Tra i primi, quello con Sven-Göran Eriksson alla Fiorentina, perché il tecnico svedese voleva cederlo in prestito al Cesena per fargli fare esperienza, e perché voleva schierarlo ala destra, e quello con Giovanni Trapattoni, suo tecnico dapprima nella Juventus (1991-1994) e poi nell'Italia (2000-2004), il quale era solito richiamarlo a fischi quando Baggio non tornava a centrocampo e che, inoltre, aveva accusato il calciatore di «non giocare per la squadra» dopo averlo sostituito in un Inter-Juve (3-1) dell'ottobre 1992. Cesare Maldini lo mandò più volte in panchina nell'Under-21.

Alla Juventus ebbe forti contrasti con la dirigenza, formata dal trio Giraudo-Moggi-Bettega, oltre che con Marcello Lippi, che lo ha allenato sia in bianconero sia successivamente all'Inter. Nell'autobiografia, Baggio accusa Lippi d'avergli chiesto di fargli i nomi dei calciatori a lui contrari. Dinanzi al rifiuto di Baggio, il tecnico aveva reagito con un atteggiamento ostile. L'allenatore rispose affermando di non avere mai chiesto aiuto a Baggio «perché è una persona di cui non ho stima e che non reputo importante dal punto di vista umano» e dando mandato ai propri avvocati di avviare un'azione legale contro il giocatore, contro le «cattiverie e falsità» raccontate e minacciando di querelarlo.

Al Milan, Baggio ebbe rapporti negativi sia con Fabio Capello, di cui, in seguito al suo passaggio al Real Madrid, disse che «nello spogliatoio non lo sopportava più nessuno», e che al suo ritorno al Milan disse a Baggio che «per lui non c'era più posto», sia con Arrigo Sacchi — che lo ha allenato sia in nazionale sia al Milan —, un tempo suo amico, che l'aveva fatto giocare in azzurro quando la Juventus era intenzionata a cederlo, reo d'averlo fatto allenare solo per «farlo entrare nel suo schema tattico». Al termine del rapporto con la società rossonera, sarebbe dovuto passare al Parma, ma l'attaccante Enrico Chiesa si oppose, inoltre il giocatore non rientrava nei piani tattici del tecnico degli emiliani Carlo Ancelotti: nonostante la volontà della famiglia Tanzi, proprietaria del club, l'affare non si concluse e il caso Baggio portò al licenziamento del direttore sportivo Riccardo Sogliano.

Baggio passò allora al Bologna, dove cominciò un rapporto conflittuale con l'allenatore Renzo Ulivieri, che lo pose allo stesso livello di tutti gli altri calciatori. L'apice fu raggiunto nel gennaio 1998 quando il tecnico non lo schierò titolare contro la Juventus, comunicando la decisione al giocatore il giorno prima: Baggio lasciò il ritiro e non andò in panchina. Poco prima di questo incontro Ulivieri, in seguito agli scontri con Baggio, diede per la seconda volta le dimissioni (la prima volta, nell'agosto 1997, in seguito a un'amichevole persa contro l'Inter, l'allenatore aveva rassegnato le dimissioni sempre per dissapori con il calciatore), che però, come nel primo caso, vennero rifiutate.

Caratteristiche tecniche

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Un giovane Baggio in acrobazia al Lanerossi nella stagione 1982-1983

 

Riconosciuto fin da giovane come «fuoriclasse», Baggio era un fantasista in grado di ricoprire più ruoli: ha giocato prevalentemente da seconda punta o trequartista, ma è stato talvolta schierato come prima punta (nel 4-3-3), come centravanti di manovra (nel 4-4-2) o come attaccante esterno (nel 4-3-3 e nel 3-4-3). Michel Platini, di cui Baggio raccolse l'eredità alla Juventus, lo descrisse come un «nove e mezzo» poiché lo considerava a metà strada tra un attaccante e un rifinitore, caratteristica che non di rado rese difficoltosa la sua collocazione tattica.

Eccelso dal punto di vista tecnico, in particolar modo nel tocco di palla e nella precisione d'esecuzione, fu paragonato in tal senso a diversi numeri dieci del passato: il giornalista Gianni Brera propose spesso il confronto con Giuseppe Meazza, mentre Giovanni Trapattoni accostò il suo stile di gioco a quello di Zico, riscontrando inoltre affinità tecniche con il sopracitato Platini e con Juan Alberto Schiaffino.

Era capace di impostare la manovra di gioco e di fornire assist ai compagni grazie alla sua visione di gioco e alla sua abilità nel fraseggio. Era inoltre rapido sia nello smarcarsi che nell'esecuzione dei tiri; possedeva infatti un tiro preciso e un innato fiuto del gol, doti che gli permisero di contribuire molto anche in fase realizzativa durante la carriera, peraltro condizionata da vari e gravi infortuni.

In grado di calciare con entrambi i piedi, era più incline a usare il destro, ma si avvaleva spesso del sinistro per iniziare il dribbling, di cui era uno specialista. Era un calciatore agile, elegante e veloce, dalla fantasia e dalla qualità tecnica brillante, insolita per il calcio italiano, abituato a essere più fisico, tattico e meno tecnico; lo stesso Baggio ha affermato di non avere ricevuto alcun insegnamento tattico da giovane, muovendosi in campo secondo il proprio istinto.

 

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Baggio (n. 10) alla Juventus nel 1994, esultante dopo una rete di tacco siglata all'Udinese.

 

Abile esecutore di calci piazzati (al punto da ispirare futuri specialisti come Andrea Pirlo), in Serie A è secondo solo a Francesco Totti per numero di reti segnate su rigore (68 su 83); è invece 4º, a pari merito con Totti, per quanto riguarda i gol realizzati su punizione, con 21 centri, dietro Siniša Mihajlović (28), Pirlo (27) e Alessandro Del Piero (22).

Calciatore dal carattere controverso, sul campo gli è stata contestata una scarsa attitudine alla fase difensiva e la tendenza a comportarsi più da gregario che da leader, sebbene con le maglie di Juventus e Brescia si fosse conquistato questo ruolo. Fuori dal campo è introverso e mite.

Carriera

Giocatore

Club

Lanerossi Vicenza
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Baggio al Lanerossi nella stagione 1984-1985

 

Dopo avere iniziato nella squadra del suo paese, il Caldogno, dove si fa notare, all'età di 13 anni si trasferisce al Lanerossi Vicenza, a quel tempo in Serie C1, in cambio di 500 000 lire. Si mette subito in luce nelle formazioni giovanili, segnando negli anni 110 gol in 120 presenze. A causa di alcune defezioni, è portato ad allenarsi con la prima squadra. Ritornato nelle giovanili, la squadra dei Beretti è seguita da circa 1000 spettatori durante gli incontri. Debutta quindi in prima squadra a 16 anni, il 5 giugno 1983, all'ultima giornata del campionato di Serie C1, L.R. Vicenza-Piacenza (0-1), entrando nel secondo tempo. Nella stagione seguente, il 30 novembre 1983, segna il primo gol in carriera nella partita di Coppa Italia Serie C contro il Legnano, vinta 4-1 in trasferta; il 3 giugno 1984 va a segno per la prima volta in campionato, realizzando su rigore il gol del definitivo 3-0 contro il Brescia.

Nella stagione 1984-1985, inserito in prima squadra dall'allenatore Bruno Giorgi, chiude la sua esperienza vicentina con 12 reti in 29 incontri di campionato, diventando uno dei calciatori più amati dai tifosi e consentendo alla sua squadra la risalita in Serie B. In una delle ultime partite di campionato, il 5 maggio 1985 allo stadio Romeo Neri contro i padroni di casa del Rimini — guidato da Arrigo Sacchi, futuro allenatore di Baggio in nazionale e nel Milan —, subisce un grave infortunio al ginocchio destro (compromessi legamento crociato anteriore e menisco), il primo di una lunga serie, che lo costringe a un periodo di oltre un anno di assenza dai campi di gioco. I suoi muscoli vengono affidati a Carlo Vittori ed Elio Locatelli, due dottori specializzati nel potenziamento muscolare in atletica leggera.

Durante questa fase di riposo forzato e quindi di incertezza sulla propria carriera di calciatore vive una profonda crisi personale e spirituale, che lo convince ad abbracciare definitivamente la fede buddhista.

Fiorentina
1985-1988
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Baggio al debutto in Serie A nel 1986, con la divisa della Fiorentina.

 

Questo infortunio arriva a due giorni dalla firma del contratto con la Fiorentina, che lo ha ingaggiato per 2,7 miliardi di lire. La Fiorentina ha la possibilità di recedere dal contratto ma il presidente del club decide di tenerlo. Viene operato a Saint-Étienne, in Francia, dal professor Bousquet, che è costretto a mettere 220 punti di sutura per rimettere a posto la sua gamba. A causa del periodo di stop dopo l'operazione, perde 12 kg, arrivando a pesarne 56, e vive così isolato dal resto della squadra che si dimentica di incassare lo stipendio per cinque mesi. Ripresosi dall'infortunio, colleziona cinque presenze in Coppa Italia e disputa, nel febbraio 1986, il Torneo di Viareggio.

Esordisce in Serie A il 21 settembre 1986, grazie all'allenatore Eugenio Bersellini, nella sfida casalinga di Firenze contro la Sampdoria. Il successivo 28 settembre subisce una lesione al menisco del ginocchio destro che lo costringe a una nuova operazione. Rientra in campo a fine stagione, a distanza di quasi due anni dal primo infortunio. Il suo primo gol nella massima divisione arriva su punizione il 10 maggio 1987 contro il Napoli (1-1); il pareggio finale regala la salvezza matematica alla squadra viola.

A partire dalla stagione 1987-1988, di cui è la rivelazione, può finalmente essere impiegato con buona frequenza, totalizzando 34 presenze e 9 reti fra tutte le competizioni: memorabile quella messa a segno il 20 settembre 1987 contro il Milan di Sacchi, dopo avere superato in dribbling tutta la retroguardia avversaria.

1988-1990
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Baggio (a sinistra) assieme a Stefano Borgonovo, con cui formò in maglia viola la coppia d'attacco B2 nella stagione 1988-1989.

 

Nella stagione 1988-1989, con l'arrivo di Sven-Göran Eriksson, mette a segno 15 gol, andando a formare con Stefano Borgonovo un affiatato tandem d'attacco detto B2, dalle iniziali dei loro cognomi: i due realizzano 29 dei 44 gol totali messi a segno dalla formazione viola, trascinando la squadra a un settimo posto in campionato. Nello spareggio per la Coppa UEFA contro la Roma, Baggio fornisce l'assist per il gol della vittoria di Pruzzo che regala la qualificazione ai viola.

Nell'annata seguente sigla 17 reti, arrivando in seconda posizione nella classifica marcatori, davanti a Diego Armando Maradona (16) e dietro al solo Marco van Basten (19). Il campionato è chiuso a metà classifica, ma i viola giungono in finale di Coppa UEFA, dove si arrendono alla Juventus: lo 0-0 nella gara di ritorno, giocata sul campo neutro di Avellino, non permette loro di ribaltare l'1-3 patito all'andata a Torino. Nel torneo continentale Baggio segna un solo gol, seppur decisivo: un rigore che consente alla Fiorentina di sconfiggere la Dinamo Kiev agli ottavi di finale (1-0). Alla fine dell'anno riceve il Trofeo Bravo, premio assegnato dalla rivista Guerin Sportivo al miglior giovane sotto i 23 anni partecipante alle coppe europee, unico riconoscimento personale vinto con la Fiorentina.

La finale di ritorno di Coppa UEFA (16 maggio 1990) è l'ultima gara di Baggio con la Fiorentina: nello stesso mese il giocatore viene infatti acquistato dalla Juventus per la cifra-record, a quei tempi, di circa 25 miliardi di lire più il cartellino di Renato Buso, valutato 2 miliardi. La tifoseria viola, consapevole di perdere il proprio simbolo e perdipiù in favore del club a loro più inviso, scende in piazza protestando con violenza contro la dirigenza e il presidente Pontello; i disordini causano anche diversi feriti e arrivano fino a Coverciano, creando non pochi problemi al ritiro degli Azzurri in preparazione per il campionato del mondo 1990 e al giocatore stesso, che arriva a ricevere sputi da alcuni esagitati. L'allora procuratore Caliendo ha in seguito narrato un fatto singolare al riguardo:

 

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Baggio nell'aprile 1991, in quel momento giocatore juventino, raccoglie una sciarpa viola durante la prima sfida a Firenze contro la sua ex squadra.

 

«Mi ricordo ancora la scena: quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juventus, in conferenza stampa, davanti ai giornalisti gli misero al collo la sciarpa bianconera e lui la gettò via. Fu un gesto imbarazzante. Io dissi che il ragazzo andava compreso: era come se avessero strappato un figlio alla madre. Ammetto che, quella volta, rimasi molto colpito anch'io.»

(Antonio Caliendo)

 

Il giocatore resta molto legato a Firenze e ai colori viola, avendo già mostrato nei mesi precedenti la sua volontà di non accasarsi alla società torinese, suscitando non pochi malumori tra i suoi nuovi tifosi. Su tutte, rimane celebre la sua prima sfida in maglia bianconera contro la Fiorentina a Firenze, il 6 aprile 1991, nella vittoria viola per 1-0: Baggio si rifiuta di calciare un rigore contro la sua ex squadra, motivando il gesto con il fatto che il portiere avversario, Gianmatteo Mareggini, «lo conosceva bene», e una volta sostituito, uscendo dal campo va poi a salutare i suoi ex tifosi raccogliendo una sciarpa viola che gli è stata lanciata dagli spalti, in un alternarsi di applausi e fischi.

Juventus
1990-1993
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Baggio nella stagione 1990-1991, la prima con la casacca della Juventus.

 

Esordisce con la maglia della Juventus il 1º settembre 1990, in Supercoppa italiana, realizzando l'unico gol dei torinesi nella sconfitta per 5-1 contro il Napoli. Nel primo anno in bianconero, sotto la guida di Luigi Maifredi, segna 27 gol, di cui 9 in Coppa delle Coppe che gli valgono il titolo di capocannoniere dell'edizione; ne sigla uno anche nella semifinale di ritorno contro il Barcellona, ma l'1-0 non è sufficiente a ribaltare l'1-3 degli spagnoli dell'andata. A fine campionato la Juventus, nonostante il bottino di 14 reti di Baggio, rimane esclusa dalle coppe europee.

L'anno successivo sulla panchina del club torna Giovanni Trapattoni. Nel settembre 1991, dopo la sfida casalinga contro il Bari, Baggio rimedia il primo dei vari infortuni che influenzeranno la sua carriera in bianconero negli anni a seguire, uno stiramento che lo tiene fuori tre settimane e dal quale recupera a fatica. Ristabilitosi, incrementa notevolmente il proprio rendimento, disputando un'ottima seconda parte di stagione e attirando paragoni sempre più frequenti con Giuseppe Meazza, mentre Trapattoni lo accosta a Zico. La squadra torinese arriva seconda in campionato dietro al Milan e raggiunge la finale di Coppa Italia; nella partita d'andata della finale poi persa contro il Parma, Baggio segna il gol della vittoria su rigore.

 

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Baggio, divenuto capitano del club bianconero, bacia la Coppa UEFA 1992-1993.

 

Nella stagione 1992-1993 subisce la frattura della costola contro la Scozia nel novembre 1992, restando lontano dai campi per oltre un mese; durante questo periodo ha degli screzi con Trapattoni e con la dirigenza bianconera. Tra le tante marcature di Baggio in quest'annata, va ricordato il poker rifilato all'Udinese (5-1) l'8 novembre 1992, sua prima quaterna in carriera. In Coppa UEFA, in semifinale contro il Paris Saint-Germain, il fantasista realizza una doppietta nella gara di andata finita 2-1 per i bianconeri, terminando la serata come migliore in campo, e quindici giorni dopo, a Parigi, è ancora il numero dieci a siglare il successo per 0-1 che vale la finale, dove mette poi a referto un'altra doppietta nella sfida d'andata, stavolta contro il Borussia Dortmund; al ritorno la Juventus vince per 3-0 e si aggiudica il trofeo, il primo della carriera per un Baggio che, grande protagonista del trionfo continentale, alla fine dell'anno solare è insignito del Pallone d'oro e del FIFA World Player, vincendo anche l'Onze d'or. Chiude la stagione con 21 gol in campionato (secondo nella classifica marcatori alle spalle di Giuseppe Signori), 6 in Coppa UEFA, 2 in Coppa Italia e con la fascia di capitano al braccio.

1993-1995

Nel torneo 1993-1994, Trapattoni è solito schierarlo da mezzapunta, alternandolo con la giovane promessa Alessandro Del Piero, entrambi dietro a Gianluca Vialli. Nel precampionato, l'allenatore lo prova anche come trequartista arretrato dietro a Vialli e a Fabrizio Ravanelli, ma la squadra riesce a esprimersi al meglio solo quando Baggio avanza di posizione. Nel marzo 1994 è operato al menisco. A fine campionato la Juventus si piazza di nuovo al secondo posto dietro al Milan, che ottiene il terzo successo italiano consecutivo, e nel dicembre 1994 Baggio si classifica secondo nella graduatoria del Pallone d'oro, alle spalle di Hristo Stoičkov, e terzo in quella del FIFA World Player, dietro allo stesso giocatore bulgaro e al brasiliano Romário; nello stesso mese, la rivista Don Balón lo elegge «miglior giocatore della Cee». In questa stagione, Baggio sigla 17 marcature, chiudendo la graduatoria dei migliori realizzatori al terzo posto.

 

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Baggio mostra alla tifoseria juventina il Pallone d'oro 1993

 

Nella stagione seguente, Marcello Lippi è chiamato a sostituire Trapattoni: il nuovo tecnico predilige il 4-3-3, modulo che costringe Baggio a ripiegare su un ruolo, quello di ala, poco adatto alle sue caratteristiche, tanto che a lui sono sovente preferiti Vialli, Ravanelli e un Del Piero sempre più lanciato in squadra. Dopo l'infortunio patito a Padova il 27 novembre 1994 al ginocchio destro, nel febbraio 1995 Baggio torna ad allenarsi con la squadra, ma la società piemontese decide di farlo sottoporre a operazione, rimandando così un rientro in campo che avviene solo dopo quasi cinque mesi, l'8 marzo 1995, nella semifinale di Coppa Italia contro la Lazio in cui, peraltro, fornisce l'assist per il decisivo gol di Ravanelli. Pur essendosi ristabilito e rientrato a pieno regime nell'organico titolare, la sua prolungata lontananza dai terreni di gioco favorisce la definitiva esplosione in casa juventina del ventenne Del Piero — sul quale la dirigenza bianconera e Lippi, per ragioni anagrafiche ed economiche, scelgono di puntare —, riducendo le possibilità di un rinnovo del contratto di Baggio, in scadenza a giugno.

Da qui alla fine della stagione, il fantasista segna comunque alcuni gol decisivi per la conquista del double scudetto-coppa nazionale: tra di essi anche un rigore sul campo della sua ex Fiorentina, stavolta (a differenza di quattro anni prima) calciato, realizzato e festeggiato. Da notare anche la sua prestazione nella sfida decisiva contro il Parma, giocata a Torino il 21 maggio 1995 e vinta per 4-0, che permette ai bianconeri di rivincere il titolo italiano dopo nove anni: durante la partita, Baggio fornisce tre assist. Risulta decisivo anche in Coppa UEFA, competizione in cui segna 4 gol: nella semifinale di ritorno contro il Borussia Dortmund, giocata a Dortmund, sforna l'assist per la prima rete juventina da calcio d'angolo, e segna poi il gol-vittoria su calcio di punizione, portando la squadra bianconera in finale di coppa. La squadra torinese sarà poi sconfitta per 2-1 dal Parma nella doppia finale.

 

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Da sinistra: Baggio con Fabrizio Ravanelli e Gianluca Vialli, il tridente d'attacco della Juventus campione d'Italia 1994-1995: il club torinese tornò allo scudetto dopo nove anni, mentre il Divin Codino colse il primo tricolore della carriera.

 

Nel giugno 1995, già in contrasto con Umberto Agnelli, Baggio non trova l'accordo con la società per il prolungamento: durante un ultimo colloquio con la dirigenza il giocatore chiede ai capi ultras bianconeri di assistere alla riunione per firmare un nuovo contratto, tuttavia il meeting fallisce non solo per questioni economiche (Baggio chiedeva 4 miliardi di ingaggio contro i 2 proposti dalla Juventus) ma anche per forti dissapori con la dirigenza. Termina la sua esperienza a Torino con 200 presenze e 115 reti, 78 delle quali nel solo campionato. Con i colori bianconeri ha conquistato uno scudetto, una Coppa Italia e una Coppa UEFA. L'ultima stagione in maglia juventina gli vale il quinto posto nella graduatoria del FIFA World Player e l'Onze d'argent alle spalle di George Weah.

Milan

Fra le proteste degli ultras juventini, e dopo avere rifiutato una più sostanziosa offerta dell'Inter, nel luglio 1995 Baggio si accorda con il Milan che per il suo cartellino sborsa, causa i parametri UEFA che in epoca pre-Bosman regolavano il mercato degli svincolati, un indennizzo di 18 miliardi di lire. Esordisce in rossonero il 27 agosto seguente, nella vittoria esterna sul Padova per 1-2, e segna il primo gol nel successivo impegno contro l'Udinese, realizzando il definitivo 2-1. Con la maglia del Milan vince subito lo scudetto, il secondo di fila per lui, segnando anche su rigore contro la Fiorentina nella vittoria per 3-1 che regala il titolo ai milanesi: diviene il quinto dei sei giocatori a vincere due campionati italiani consecutivi con due squadre diverse, dopo Giovanni Ferrari, Riccardo Toros, Eraldo Mancin e Alessandro Orlando, e prima del futuro compagno di squadra Andrea Pirlo. Parte titolare in quasi tutte le partite, ma è spesso sostituito dal tecnico Fabio Capello — che pure ne aveva caldeggiato l'acquisto in estate —, finendo per dare un contributo più marginale rispetto ai compagni di reparto George Weah e Dejan Savićević; ciò nonostante riesce a imporsi come migliore assist-man del campionato.

 

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Baggio (a sinistra) alla stagione d'esordio nel Milan, mentre esce dal campo di San Siro con l'interista Ince in occasione di una stracittadina.

 

Nella stagione successiva sulla panchina del Milan arriva l'allenatore uruguaiano Óscar Tabárez. Baggio parte titolare e offre un buon rendimento nelle prime partite stagionali, esordendo anche in UEFA Champions League nella sconfitta casalinga contro il Porto dell'11 settembre 1996; il successivo 30 ottobre realizza contro l'IFK Göteborg la sua prima rete nella massima competizione europea. La crisi di risultati della squadra lo relega tuttavia in panchina, a favore di Marco Simone. A dicembre Tabárez si dimette, e al suo posto la società richiama l'ex Arrigo Sacchi, il quale, per accettare la proposta, rassegna a sua volta le dimissioni da commissario tecnico della nazionale italiana.

Tra Sacchi e Baggio, non ancora ambientatosi in maglia rossonera, ci sono vecchie ruggini risalenti al campionato del mondo 1994, dopo il quale le convocazioni in nazionale del giocatore erano diminuite fino a interrompersi, facendogli saltare il successivo Europeo d'Inghilterra 1996. Al Milan il rapporto tra i due sembra inizialmente migliorare, ma si deteriora nuovamente nel febbraio 1997, allorché Baggio, stanco di essere escluso dall'undici titolare, a mezzo stampa si sfoga apertamente contro il tecnico. La situazione degenera due mesi dopo, quando, durante un Milan-Juventus perso nettamente 1-6 dai padroni di casa, Baggio non raccoglie l'invito dell'allenatore a scaldarsi per entrare in campo, a punteggio già compromesso; sarà il secondo di Sacchi, Pietro Carmignani, a far desistere il calciatore dalle sue posizioni.

Nonostante le incomprensioni con l'allenatore e la concorrenza di Simone, Savićević e Jesper Blomqvist, ai quali deve spesso cedere il posto, sul finire di aprile Baggio viene inaspettatamente richiamato in nazionale dal nuovo CT Cesare Maldini, a un anno e mezzo dall'ultima convocazione ricevuta da Sacchi. A fine stagione il Milan si piazza all'undicesimo posto, fuori dalle coppe europee.

 

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Baggio supera il portiere nerazzurro Pagliuca e apre le marcature nel derby del 24 novembre 1996 (1-1).

 

Nell'estate 1997, Baggio si presenta al raduno milanista con l'intenzione di restare, ma il rientrante Capello non mostra progetti tecnici per lui; sentitosi escluso dall'ambiente, soprattutto dall'allenatore, decide di trasferirsi, dopo 67 presenze e 19 reti in rossonero.

Bologna

Il 9 luglio 1997, il Parma si accorda con il Milan per l'acquisto di Baggio per 3,5 miliardi di lire, ma l'affare non va in porto poiché il giocatore non rientra nei piani tattici dell'allenatore Carlo Ancelotti, il cui 4-4-2 non prevede l'impiego di un fantasista; inoltre l'attaccante Enrico Chiesa aveva preannunciato un suo trasferimento all'estero se Baggio fosse arrivato a Parma. A distanza di anni, Ancelotti si dichiarerà pentito di avere rinunciato al talento di Baggio.

Avendo bisogno di giocare con continuità per guadagnarsi un posto fra i 22 che avrebbero preso parte al campionato del mondo 1998, il 18 luglio passa allora al Bologna per 5,5 miliardi di lire, voluto dal presidente Giuseppe Gazzoni Frascara, ma non dall'allenatore Renzo Ulivieri; nel contratto è presente una clausola che permette al calciatore di lasciare la società pagando una penale di 5 miliardi di lire.

 

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Baggio (a destra) al Bologna nell'estate 1997, in posa per i fotografi insieme all'interista Ronaldo.

 

Esordisce il 31 agosto 1997 nella sconfitta esterna con l'Atalanta (4-2), segnando su rigore il secondo gol dei felsinei. Quella nel Bologna è la stagione del record personale di marcature per Baggio, con 22 gol segnati in 30 partite: un bottino che contribuisce alla qualificazione del Bologna alla Coppa Intertoto e che vale al giocatore la convocazione per il Mondiale di Francia. Baggio viene inoltre nominato capitano della squadra, indossando la fascia per qualche incontro prima di cederla a Giancarlo Marocchi.

Anche in questa stagione si verificano alcune incomprensioni con l'allenatore di turno, Ulivieri, tanto che nel gennaio 1998 Baggio lascia il ritiro della squadra quando il tecnico gli comunica che non avrebbe giocato dall'inizio nella partita con la Juventus. Schierati dalla parte del calciatore, i tifosi chiedono anche l'esonero di Ulivieri tramite una petizione su internet. Nella sua autobiografia, Baggio accusa Ulivieri di essere stato invidioso della sua fama, in quanto la stampa attribuiva le vittorie del Bologna al suo talento, mettendo in ombra il lavoro dell'allenatore.

Inter

Nell'estate 1998 si trasferisce per circa 3,5 miliardi di lire all'Inter, che punta con decisione alla vittoria dello scudetto dopo il secondo posto dell'anno precedente. Il giocatore si inserisce in un reparto offensivo già piuttosto nutrito e composto, tra gli altri, dal Pallone d'oro in carica Ronaldo e dagli esperti Iván Zamorano e Youri Djorkaeff.

Esordisce con la nuova maglia il 12 agosto contro lo Skonto, nella gara di andata del secondo turno preliminare di Champions League, contribuendo al 4-0 finale con un gol e tre assist. Pur frenato da problemi alle ginocchia — che comportano spesso la sua esclusione dall'undici titolare, per indisponibilità o scelta tecnica —, nella prima parte di stagione Baggio offre buone prestazioni e risulta determinante per la qualificazione dell'Inter ai quarti di finale di Champions League: nella penultima gara della fase a gironi, il 25 novembre 1998, realizza una doppietta nei minuti finali della sfida contro i campioni in carica del Real Madrid, fissando il risultato sul 3-1 per l'Inter, che ipoteca il passaggio del turno.

 

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Baggio in azione all'Inter, mentre dribbla il portiere madridista Illgner e segna la personale doppietta nella vittoriosa sfida di Champions League del 25 novembre 1998 (3-1).

 

Il prosieguo dell'annata si rivela, tuttavia, negativo. Un avvio incerto in campionato e un gioco ritenuto poco convincente causano l'esonero di Luigi Simoni, estimatore di Baggio, a pochi giorni dalla succitata vittoria sul Real Madrid; guidata, in successione, da altri tre allenatori (Mircea Lucescu, Luciano Castellini e Roy Hodgson), la squadra incappa in una lunga crisi che si ripercuote, oltre che sulla classifica, sulla serenità del gruppo, finendo per condizionare anche il rendimento di Baggio: «Se non avessimo vinto 5-4 all'Olimpico contro la Roma, saremmo andati in B. Non c'era più una squadra, men che meno uno spogliatoio», ricorderà il fantasista. Il deludente ottavo posto finale viene in parte compensato dallo status di semifinalista di Coppa Italia, grazie al quale l'Inter può contendere al Bologna un approdo in extremis alla successiva edizione della Coppa UEFA: nel doppio spareggio contro gli emiliani, però, i nerazzurri vengono sconfitti nonostante un gol di Baggio nella gara di andata, mancando dunque l'accesso alle coppe europee.

Nella stagione 1999-2000, sulla panchina dell'Inter siede Marcello Lippi, e l'impiego di Baggio diminuisce ulteriormente, al punto che il giocatore polemizzerà col tecnico viareggino, smentendo pubblicamente le voci su presunti guai fisici e affermando di essere spesso tenuto fuori per scelte personali dell'allenatore. In poco meno di sei mesi diviene la sesta (e ultima) scelta nel reparto offensivo, realizzando la prima rete stagionale solo sul finire di gennaio. Prossimo alla scadenza del contratto, il giocatore contribuirà comunque alla qualificazione dell'Inter in Champions League: nell'ultima giornata di campionato va a segno su rigore nel 2-0 contro il Cagliari, una vittoria che consente all'Inter di ottenere il quarto posto a pari merito con il Parma; nel successivo spareggio contro gli emiliani, vinto 3-1, sigla due reti — peraltro di pregevole fattura — che permettono ai milanesi di accedere ai preliminari della massima competizione europea per club, un successo che segue di cinque giorni la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Lazio.

Sveste la maglia nerazzurra dopo avere totalizzato 59 presenze e 17 reti.

Brescia
2000-2002
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Baggio (a destra) al Brescia nel 2000 con il presidente Luigi Corioni

 

Svincolatosi dall'Inter, e dopo un'estate 2000 trascorsa da «disoccupato», il successivo 14 settembre si accorda con il Brescia — di cui diviene subito capitano —, con l'obiettivo dichiarato di partecipare al campionato del mondo 2002. Per contratto, se il presidente Luigi Corioni avesse esonerato l'allenatore Carlo Mazzone, Baggio sarebbe stato svincolato.

Debutta con il nuovo club il 16 settembre 2000 in Coppa Italia, in occasione del pareggio casalingo (0-0) contro la Juventus. Il 24 febbraio 2001, in campionato, realizza le prime reti con il Brescia nel 2-2 esterno contro la Fiorentina. Il successivo 1º aprile, contro la Juventus, segna uno dei suoi gol più belli: Andrea Pirlo lo lancia con un preciso passaggio da centrocampo, e lui salta Edwin van der Sar con uno stop a seguire per poi insaccare a porta vuota, fissando il punteggio sul definitivo 1-1; il risultato allontanerà i torinesi dal vertice della classifica, guidata fino alla fine dalla Roma. Con 10 reti in campionato Baggio conduce la sua squadra all'8º posto — il miglior piazzamento mai ottenuto dal Brescia in Serie A — e alla qualificazione alla Coppa Intertoto, poi persa in finale contro il Paris Saint-Germain l'estate seguente, nonostante un doppio pareggio (0-0 al Parco dei Principi, 1-1 al Rigamonti), in virtù del gol siglato fuori casa dai parigini nella gara di ritorno (inutile il pari di Baggio su rigore). Inserito fra i 50 pretendenti per il Pallone d'oro 2001, giunge 25º nella classifica finale.

All'inizio della stagione 2001-2002 Baggio mostra un'ottima vena realizzativa, ritrovandosi capocannoniere con 8 gol dopo 7 giornate. Tuttavia, il 21 ottobre 2001 rimedia una distorsione al ginocchio sinistro in seguito a un contrasto con Filippo Cristante nella sfida contro il Piacenza: ripresosi rapidamente, rimedia un'altra distorsione una settimana più tardi, dopo un contrasto col centrocampista del Venezia Antonio Marasco, a cui segue la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro con lesione del menisco interno rimediata durante Parma-Brescia, nella semifinale di Coppa Italia. È operato a Bologna il 4 febbraio 2002 e riesce a rientrare in campo a 81 giorni dall'infortunio grazie a un pesante lavoro di rieducazione, a tre giornate dalla fine del campionato in casa contro la Fiorentina, gara del 21 aprile nella quale segna due gol. Nell'ultima di campionato contribuisce a salvare ancora il Brescia dalla retrocessione con un gol contro il Bologna (gara finita poi 3-0). La stagione si conclude con un bottino di 11 gol segnati in 12 partite, non sufficienti a garantirgli la convocazione per il Mondiale: il commissario tecnico della nazionale Giovanni Trapattoni, infatti, non lo ritiene in forma ottimale per via del recente infortunio.

2002-2004

Il 15 dicembre 2002, Baggio segna su rigore la rete numero 300 in carriera, contribuendo alla vittoria sul Perugia per 3-1. Alla fine della stagione 2002-2003, grazie anche al contributo sottorete del Divin Codino, il Brescia si qualifica per la seconda volta nella sua storia alla Coppa Intertoto, in cui si ferma al terzo turno contro il Villarreal.

Prossimo al ritiro, annunciato nel dicembre 2003, il 14 marzo 2004 segna al Parma la 200ª rete in Serie A, diventando il quinto giocatore a raggiungere tale soglia dopo Meazza, Piola, Nordahl e Altafini; il successivo 9 maggio, alla penultima giornata, realizza il suo 205º e ultimo gol in A, nella vittoria casalinga per 2-1 contro la Lazio. Infine, il 16 maggio, disputa a 37 anni l'ultima partita della sua carriera, un Milan-Brescia (4-2) valevole per il turno conclusivo della stagione 2003-2004, fornendo l'assist per il gol di Matuzalém: alla sua uscita, cinque minuti prima della fine dell'incontro, viene abbracciato da Paolo Maldini e tutto il pubblico di San Siro gli tributa una lunga standing ovation. Al termine della stagione, il Brescia ritira in suo onore la maglia numero dieci, da lui indossata per un quadriennio.

Dopo avere sempre centrato la salvezza durante la permanenza di Baggio, alla fine della stagione 2004-2005, successiva al suo ritiro, il Brescia retrocederà in Serie B.

Nazionale

Nazionali giovanili

Nel 1984 ha giocato 4 incontri segnando 3 gol con l'Italia Under-16.

Conta anche una convocazione nella rappresentativa Under-21 guidata da Cesare Maldini, in occasione della vittoria contro la Svizzera del 16 ottobre 1987: la gara, valida per le qualificazioni al campionato d'Europa 1988 e vinta 3-0 dagli azzurrini, non lo vede però scendere in campo.

Nazionale maggiore
1988-1990
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Baggio e Aldo Serena (sulla sinistra) lasciano il campo del Bentegodi di Verona al termine dell'amichevole contro l'Uruguay (1-1) del 22 aprile 1989, in cui il Divin Codino trovò la sua prima rete con la nazionale maggiore.

 

«Mi ricorda Peppìn Meazza: non credo si possa fare elogio più alto di un giovane attaccante al giorno d'oggi!»

(Gianni Brera su la Repubblica del 21 settembre 1989, all'indomani dei due gol realizzati da Baggio in un'amichevole con la Bulgaria)

 

Convocato dal commissario tecnico Azeglio Vicini, esordisce in nazionale A il 16 novembre 1988, a 21 anni, in occasione della partita amichevole contro i Paesi Bassi (1-0), organizzata in ricorrenza del 90º anniversario dell'istituzione della FIGC. In questa gara di esordio Baggio fornisce l'assist per il gol decisivo di Vialli. Segna il suo primo gol in nazionale il 22 aprile 1989, su calcio di punizione, nella partita amichevole contro l'Uruguay (1-1) disputata a Verona; nella successiva amichevole con la Bulgaria realizza la prima doppietta in maglia azzurra.

Partecipa al campionato del mondo 1990, durante il quale gioca con il numero 15. Nelle prime due partite è lasciato in panchina da Vicini ma, alla sua prima presenza, contro la Cecoslovacchia, mette a segno un gol memorabile, considerato il più bello di quel Mondiale e settimo nella classifica del più grande gol nella storia della Coppa del Mondo FIFA, partendo da metà campo dopo uno scambio con Giuseppe Giannini e superando in dribbling quattro avversari.

Così nelle due successive partite della fase a eliminazione diretta è schierato titolare al fianco di Salvatore Schillaci, contribuendo con giocate decisive alle reti realizzate dal compagno di reparto contro Uruguay e Irlanda (peraltro, segna egli stesso due gol, entrambi annullati). Nonostante le buone prestazioni, nella decisiva semifinale di Napoli contro l'Argentina campione in carica di Diego Armando Maradona, l'allenatore punta su un poco convincente Gianluca Vialli; Baggio entra in campo al posto di Giannini solo al 73', arrivando vicino al gol con una punizione all'incrocio dei pali, che però viene parata da Sergio Goycochea. Baggio segna il suo tiro dal dischetto nella serie di rigori che premia l'Argentina, dopo gli errori di Roberto Donadoni e Aldo Serena.

 

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Baggio, vanamente contrastato da Kadlec, sigla il definitivo 2-0 alla Cecoslovacchia nella fase a gironi del campionato del mondo 1990; la rete dell'azzurro sarà eletta quale la più bella dell'edizione nonché, nel 2002, la settima nella fin lì storia dei Mondiali.

 

Nella finale per il terzo posto, disputata a Bari, contro l'Inghilterra, mette a segno un altro gol e lascia calciare a Schillaci il rigore del definitivo 2-1 per l'Italia, in modo da permettere al compagno di vincere la classifica dei marcatori del torneo.

1990-1994

«I rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di tirarli.»

(Roberto Baggio)

 

Dopo il mancato accesso al campionato d'Europa 1992 e il conseguente esonero di Vicini, sostituito da Arrigo Sacchi, Baggio segna 5 gol nelle fasi di qualificazione al campionato del mondo 1994 (durante la quale rimedia una costola incrinata, infortunio che lo tiene lontano dal campo per un mese), risultando il miglior marcatore italiano e aiutando la squadra azzurra ad arrivare prima nel proprio girone. Frattanto, il 18 novembre 1992 scende in campo da capitano nello 0-0 contro la Scozia, unica occasione in cui ha indossato la fascia dal primo minuto.

Reduce da una stagione condizionata da lievi ma fastidiosi acciacchi, nelle prime tre partite del Mondiale Baggio non offre prestazioni convincenti, anzi è ritenuto tra le grandi delusioni del torneo. Nel secondo incontro con la Norvegia, è sostituito per far posto al secondo portiere Luca Marchegiani, dopo l'espulsione di Gianluca Pagliuca. Sacchi decide di far uscire proprio lui: restano famose le immagini televisive quando il CT decide per il cambio, seguite dai gesti e dall'espressione basita di Baggio, e soprattutto dal suo labiale «ma questo è matto!». Alla fine della partita contro il Messico, rimedia un lieve infortunio che però non gli impedisce di continuare a giocare la competizione. Riferendosi al suo sguardo prima dell'incontro, il presidente Gianni Agnelli lo definisce un «coniglio bagnato», espressione che rimarrà celebre negli anni a seguire.

 

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Baggio in azione nella sfida tra Italia e Portogallo (1-0) valevole per le qualificazioni al campionato del mondo 1994.

 

È solo agli ottavi (conquistati dagli azzurri grazie al ripescaggio) che inizia il "vero" Mondiale di Roberto Baggio, che ne è protagonista. Di fronte a una Nigeria campione d'Africa in carica e passata presto in vantaggio, l'Italia si ritrova nuovamente in inferiorità per un cartellino rosso dato a Gianfranco Zola. A due minuti dal termine, con gli azzurri vicini all'eliminazione, Baggio riceve un pallone sul limite dell'area da Roberto Mussi e lascia partire un tiro rasoterra e angolato che entra alla destra del portiere Rufai, passando fra una selva di gambe e portando l'Italia al pareggio; nel primo tempo supplementare è ancora decisivo, realizzando il rigore del 2-1 definitivo.

Ai quarti, contro la Spagna, è sempre Baggio a chiudere la gara negli ultimi minuti di gioco su assist di Giuseppe Signori, segnando quasi allo scadere la rete del 2-1 finale.

La semifinale con la Bulgaria vede nuovamente un 2-1 per gli azzurri, grazie a una nuova doppietta di Baggio. Baggio sale a 5 reti nel Mondiale statunitense e porta l'Italia in finale dopo dodici anni, ma nell'ultima frazione rimane vittima di uno stiramento, complici il caldo e la fatica.

Nella finale al Rose Bowl di Pasadena con il Brasile, Arrigo Sacchi decide ugualmente di rischiare il suo numero dieci, che non ha recuperato a pieno dopo lo stiramento nella precedente partita. Baggio paga l'infortunio e non riesce a essere decisivo come nelle partite precedenti. Il match rimane bloccato sullo 0-0 sino alla fine dei tempi supplementari, e così sono i rigori a dare la vittoria ai sudamericani per 3-2, con l'ultimo tiro sbagliato proprio da Baggio, che manda la palla alta sopra la traversa.

 

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La maglia azzurra n. 10 autografata da Baggio

 

Baggio viene premiato col Pallone d'argento dei Mondiali, risultando il secondo miglior giocatore del torneo dopo il brasiliano Romário, che si laureó campione del mondo. Con 5 gol, Baggio si laurea inoltre vice capocannoniere del torneo, assieme a Romário, Kennet Andersson e Jürgen Klinsmann, superato solamente da Hristo Stoičkov e Oleg Salenko. Nel 1994 Baggio si classifica secondo nella classifica del Pallone d'oro e terzo in quella del FIFA World Player, e nello stesso anno gli viene assegnato l'Onze de Bronze.

1994-1998

Terminato il Mondiale, la nazionale italiana comincia il percorso di qualificazione al campionato d'Europa 1996 con prestazioni poco convincenti, culminate in una modesta prova casalinga contro la Croazia (1-2), dopo la quale Baggio critica l'operato di Sacchi; l'Italia riesce comunque ad approdare alla fase finale del torneo senza patemi, ma Baggio, i cui rapporti col CT appaiono ormai freddi, viene impiegato solo in due occasioni e infine escluso dall'elenco dei convocati per l'Europeo, a vantaggio di Enrico Chiesa.

Dopo essere rimasto fuori dal giro azzurro per quasi due anni, a fine aprile 1997 viene riconvocato dal nuovo CT Cesare Maldini per la partita casalinga contro la Polonia, valida per le qualificazioni al campionato del mondo 1998; entrato dalla panchina, mette a segno il terzo gol nella vittoria italiana per 3-0. Al termine dell'ottima stagione 1997-1998, Baggio — che fino a un anno prima era considerato da Maldini la riserva di Gianfranco Zola — viene convocato per Francia 1998, battendo la concorrenza di Pierluigi Casiraghi nonché dei succitati Chiesa e Zola, tutti in lizza per l'ultimo posto disponibile nel settore offensivo.

 

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Baggio (a sinistra) a Coverciano nell'aprile 1997, di nuovo in azzurro dopo un biennio di esilio, insieme al commissario tecnico Cesare Maldini.

 

L'opinione pubblica si divide sul dualismo tra lo stesso Baggio e Alessandro Del Piero, più adatto agli schemi del CT ma reduce da un infortunio rimediato nella finale di Champions League. Baggio parte titolare in attacco al fianco di Vieri contro il Cile nella prima partita, rivelandosi decisivo: prima fornisce l'assist per il gol di Vieri, poi si procura e segna il rigore che riporta l'Italia sul pari dopo la rimonta cilena.

Nella seconda partita, vinta 3-0 contro il Camerun, Baggio gioca nuovamente dal primo minuto e sforna l'assist per il primo gol di Luigi Di Biagio con un cross in seguito a un calcio d'angolo. In questa occasione si consuma la prima «staffetta» con Del Piero, riproposta anche nella gara successiva contro l'Austria, ma a parti invertite: stavolta è Baggio a subentrare al fantasista della Juventus, andando poi a realizzare il gol del 2-0.

Non impiegato nella partita degli ottavi contro la Norvegia, entra nel corso della partita con la Francia, valida per i quarti di finale, al posto di Del Piero; nei supplementari, lanciato da Demetrio Albertini, sfiora il golden goal, calciando in corsa al volo un pallone che sfila rasente il palo destro della porta di Fabien Barthez. Nell'epilogo ai calci di rigore segna il primo tiro dagli 11 metri, ma l'Italia viene eliminata dopo gli errori di Albertini e Di Biagio.

Grazie ai due gol realizzati, eguaglia il record italiano di marcature nei Mondiali detenuto da Paolo Rossi a quota 9 reti (il record verrà poi raggiunto anche da Christian Vieri), e diventa l'unico giocatore italiano ad avere segnato in tre Mondiali diversi.

1998-2004
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Baggio in nazionale nel 1999, al tramonto della sua esperienza azzurra.

 

Al termine del Mondiale, disputa 3 partite sotto la guida di Dino Zoff, che tuttavia non lo include nell'elenco dei convocati per il campionato d'Europa 2000. Salta anche il successivo campionato del mondo 2002: il nuovo CT Giovanni Trapattoni, che nell'aprile 2001 si era detto favorevole a chiamare Baggio se questi fosse stato in buona forma, decide di non convocarlo perché a suo avviso non è in condizione di giocare; la mancata convocazione sarà motivo di grande amarezza per il fantasista veneto.

Due anni dopo, il 28 aprile 2004, sarà lo stesso Trapattoni a convocarlo per l'ultima volta in nazionale, in occasione di una partita amichevole contro la Spagna: per il trentasettenne Baggio si tratta di una convocazione-tributo simile a quella ricevuta da Silvio Piola nel 1952; l'ultima sua presenza risaliva alla partita di qualificazione all'Europeo 2000 contro la Bielorussia del 31 marzo 1999, col CT Zoff. Nel secondo tempo, dopo l'uscita dal campo di Fabio Cannavaro, indossa la fascia da capitano e riceve una standing ovation dal pubblico di Genova quando viene sostituito negli ultimi minuti da Fabrizio Miccoli.

Per via delle sue prestazioni, l'opinione pubblica e la stampa spingono per vederlo in campo in quello che avrebbe potuto essere il suo primo Europeo, quello di Portogallo 2004, e nel torneo olimpico dello stesso anno, ma quella di Genova resterà la sua ultima apparizione in azzurro.

In nazionale totalizza 56 presenze e 27 reti, che lo pongono al quarto posto, insieme ad Alessandro Del Piero, tra i migliori marcatori della storia azzurra, preceduto da Gigi Riva, Piola e Giuseppe Meazza.

Dirigente

Su proposta del Presidente della FIGC Giancarlo Abete, d'accordo con il Presidente dell'AIAC Renzo Ulivieri, il 4 agosto 2010 viene ufficializzata la sua nomina a Presidente del Settore tecnico della Federazione.

Il 5 luglio 2012 acquisisce a Coverciano il titolo di allenatore di Prima Categoria UEFA Pro e quindi il diritto di ricoprire il ruolo di tecnico in una squadra della massima serie.

Il 23 gennaio 2013 lascia la carica di presidente del settore tecnico della Federcalcio: «Non ci tengo alle poltrone. Il mio programma di 900 pagine, presentato a novembre 2011, è rimasto lettera morta, e ne traggo le conseguenze».

Record

Palmarès

Club

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

Individuale

Onorificenze

Cavaliere Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere Ordine al merito della Repubblica italiana
  — Roma, 30 settembre 1991. Di iniziativa del Presidente della repubblica.
immagine del nastrino non ancora presente World Peace Award
  — 12 novembre 2010.

 

Modificato da Socrates

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«Non avevo nulla contro i bianconeri, è che volevo restare a Firenze. E poi la società fece un gioco non bello. Mi vendette senza dirlo. Io dicevo ai tifosi che non sarei andato via e un bel giorno scoprii che, tenendomi all’oscuro di tutto, mi avevano ceduto. Si faceva così, allora. Poi si dava la colpa ai giocatori che volevano andar via per soldi. Balle, almeno nel mio caso. Io volevo restare per gratitudine per la gente di Firenze. Per i primi due anni non ho giocato. Mi hanno aspettato e voluto bene. Come fai a dimenticarli?».
Caldogno è un piccolo paese alle porte di Vicenza. È stato fondato da Calderico Caldogno, consigliere militare di Federico Barbarossa. Diecimila abitanti, aria buona. Qui il 18 febbraio 1967 in via Marconi nr.3, alle ore 18:15, nasce Roberto Baggio. Il papà si chiama Florindo, la mamma Matilde. Sesto di otto fratelli: Gianna, Walter, Carla, Giorgio, Anna Maria, lui, Nadia, Eddy. Una grande e bella famiglia, molto sportiva. Il papà gioca qualche anno in una squadretta di calcio dilettanti, ma diventa ciclista. Florindo ama molto la bici.
Il più piccolo dei fratelli di Roberto si chiama Eddy in onore di Merckx. Ma non è l’unico nome “dedicato” a uomini dello sport: Walter si chiama come Speggiorin, attaccante del Vicenza. Giorgio è un omaggio a Chinaglia, centravanti della Lazio e della nazionale. E poi, lui, Roberto. Perché Roberto? Papà Florindo aveva due idoli: Boninsegna dell’Inter e Bettega della Juve. Quindi Roberto, come loro.
Roberto è un bambino esile e molto sensibile. «Piangevo quando sentivo passare le ambulanze».
Un po’ timido, il giusto. Abbastanza testardo, un malato di calcio. Gioca con tutto quello che trova: palline da tennis, carta bagnata e poi indurita sul termosifone. Gioca nel corridoio della sua casa, fa gol da solo (nella porta aperta del bagno), urla e poi si fa la radiocronaca. Per i suoi amici e subito Roby. Ma anche “Guglielmo Tell”, perché si allena a tirare le punizioni mirando i lampioni della strada. E li colpisce, inseguito poi dal maresciallo dei carabinieri.
L’allenatore si chiama Zenere, è il fornaio del paese. Il vicepresidente è l’idraulico. Sul Campetto c’è una scritta a grandi caratteri: «Chi non si presenta non giocherà mai più».
Roberto si presenta quasi sempre, gioca, si diverte e diverte tutti. E già un piccolo fenomeno. A Caldogno arrivano molti osservatori, lo prendono quelli del Vicenza. Nelle giovanili fa gol e assist: 120 partite, 110 reti.
Uno dei suoi primi maestri, Giulio Savoini, lo coccola: «Tu sei il mio Zico».
Va in panchina, in serie C1, a 16 anni. L’11 giugno 1983, ultima di campionato, Vicenza-Piacenza 0-1. Entra nella ripresa al posto del centrocampista Carlo Perrone.
Nella stagione successiva Bruno Giorgi lo inserisce in prima squadra. Incanta con la sua fantasia e i suoi tocchi “brasiliani”. Lo chiamano nelle nazionali Under 16 e Juniores. Due campionati in C1. Nel primo solo 6 presenze e 1 gol. Nel secondo, anno 1984, sempre con Giorgi, è titolare. Segna, dà spettacolo, è inseguito dagli operatori del calcio mercato.
Lo vuole la Samp di Mantovani, il presidente della Juve, Boniperti, lo sta per prendere. Ma s’inserisce il Conte Pontello della Fiorentina: ecco 2 miliardi e 700 milioni di lire. E fatta. Roberto ha 18 anni. Il 3 maggio 1985 due giorni dopo la firma gioca a Rimini (allenato da Arrigo Sacchi), segna il gol del Vicenza, poi si fa male. E un infortunio molto grave: rottura del crociato e del menisco della gamba destra. Un trauma terribile, rischia di non giocare più. Lo operano in Francia, intervento delicatissimo del professor Bousquet, il chirurgo dei campioni.
Momento molto difficile, la Fiorentina lo aspetta. A Firenze trova amici e comprensione, conosce i campioni del mondo Antognoni e Oriali. Ma Roberto non gioca, ha pensieri neri e disperati. Il massaggiatore Pagni gli insegna a non avere fretta.
Campionato 1986-87: primi sorrisi, primi gol. Debutta in serie A, contro la Samp di Roberto Mancini, magico numero 10. È il 21 settembre 1986. Sette giorni dopo, in allenamento, il ginocchio operato si spacca. Ancora in Francia, ancora operazioni. Altri tre mesi fermo, dolori e sconforto. Si riprende a fatica, rientra. Ma il destino è feroce: un’altra rottura, menisco. Torna in sala operatoria. Roberto ha solo vent’anni, è disperato e pensa: è finita, smetto con il calcio. Lo assiste mamma Matilde.
Roberto racconterà: «La mamma era il mio angelo. Quanto mi è stata vicina, quanto mi ha aiutato. In ospedale, dopo le operazioni, stavo malissimo. Non potevo prendere antidolorifici e il dolore mi trapassava il cranio. Una volta mi sono girato verso di lei, che mi stava accanto, e le ho detto: “Mamma, sto malissimo. Se mi vuoi bene uccidimi perché io non ce la faccio più”. Lei mi accarezzava: “Non fare lo scemo, eh? Dai dai, tornerai come prima. Più bello e più forte”».
Una mattina Roberto dice alla mamma: «Sì, torno e spacco tutto».
Torna, ce la fa, gioca. Segna a Napoli, nella città di Maradona. Primo scudetto di Dieguito e primo gol di Roberto Baggio. Scrivono: «Una magica punizione, alla Maradona».
Arriva la svolta, cambia tutto, la vita, il futuro, forse – scrivono – anche il destino. Roberto Baggio, con il suo calcio dal sorriso tenero e semplice, entra nel cuore della Fiorentina e dei tifosi di tutta Italia. Gli vogliono bene e lui ricambia con le sue meraviglie.
La Fiorentina lo porta in Nazionale, il primo gol contro l’Uruguay. Si sposa con Andreina, che conosce da sempre. «Avevamo 15 anni, abitava vicino a casa mia, veniva nella mia scuola. Andreina all’inizio ha fatto fatica ad accettare la mia fede nel buddismo. Venivamo da famiglie cattoliche. Non era facile capire, per lei. Poi, quando ha capito che la fede per me era importante, si è avvicinata e abbiamo pregato insieme. La fede mi ha aiutato molto nella mia carriera. L’allenamento spirituale al coraggio mi ha fatto sopportare il dolore. Avevo male, sempre male. Ma non importava. Sono stato male molti anni, ma sono andato in campo. Se avessi dovuto giocare soltanto quando stavo bene, con quella gamba, con quelle ginocchia, avrei fatto due, tre partite all’anno. E invece ho resistito, mi è andata bene. Molti miei amici sono stati più sfortunati e hanno smesso subito».
Roberto avanza con la sua classe, la sua poesia, è il sogno dei bambini. E dei grandi. Piace a tutti, va nella Juve che è stata di Sivori e Platini. Roberto lascia Firenze, ma l’amore per quella città e quei colori non finirà mai.
Gli diranno: eppure te ne sei andato. Risposta: «Non me ne sono andato, mi hanno mandato via. Pontello aveva preso accordi con Agnelli, mi avevano venduto un anno prima. Quando Berlusconi provò ad acquistarmi, Agnelli gli rispose che poteva accordarsi su tutto, ma che Baggio era già bianconero…».
La sua cessione nell’anno del Mondiale di Italia ‘90 scatena la rabbia dei tifosi viola: arresti, feriti, rabbia. Baggio è in ritiro a Coverciano con la Nazionale. L’atmosfera è elettrica, i tifosi contestano, il c.t. Azeglio Vicini fa chiudere il centro federale al pubblico. Roby cerca di concentrarsi solo sul Mondiale, convinto che arriverà il suo momento. C’è dualismo con Giannini, lui è un “dodicesimo di lusso”.
L’Italia gioca due partite, Roby non c’è. La gente e i critici lo invocano. Entra, in coppia con Schillaci, nella terza gara contro la Cecoslovacchia ed è subito spettacolo. Il 19 giugno 1990, a Roma, cominciano le “Notti Magiche”. Roberto segna uno dei suoi gol più belli.
Semifinale con l’Argentina: entra sull’1-1, sfiora un gol. Supplementari e rigori, Baggio segna, Donadoni e Serena sbagliano. Argentina in finale, Germania campione.
Dopo l’estate e le notti azzurre, ecco la Juve di Gigi Maifredi, un tecnico giovane che promette calcio nuovo e spregiudicato. E, soprattutto, divertente. Baggio con il 10 di Michel Platini è l’uomo giusto. Ma c’è il Milan di Arrigo Sacchi con il suo gioco moderno ed esaltante. La Juve non decolla.
In dicembre arriva la Fiorentina, Baggio è da poco papà, è nata Valentina. L’emozione e i ricordi viola lo bloccano. Molte polemiche. La Juve precipita in classifica. E poi c’è quella storia del rigore di Firenze. Roberto si rifiuta di batterlo e questo complica ancora di più i rapporti con i tifosi bianconeri. Qualche giornale scrive: «Baggio a Firenze era di Firenze. A Torino è di nessuno».
Quel rigore e quello slogan accompagnano per molti anni il suo percorso bianconero. La Juve richiama Giovanni Trapattoni. Costruisce una buona squadra, ma il Milan è travolgente. Roberto fatica, poi si sblocca, segna 18 volte e torna in Nazionale. Adesso il c.t. è Sacchi. Il Trapattoni-bis è un secondo posto.
Il nuovo anno consacra Baggio: 4 gol all’Udinese, 3 al Foggia, doppiette a raffica. Stagione eccellente: 21 gol. Adesso è al centro di tutto. Conquista tifosi, Agnelli, Coppa Uefa, il Pallone d’oro. «Quando a vincere erano gli altri mi limitavo a pensare: beati loro. Oggi non lo so proprio. Qualcosa di importante l’ho fatto, se in tanti mi hanno scelto deve esserci una buona ragione. E poi un premio non è mai l’espressione di un giudizio definitivo su un calciatore: sono i risultati che decidono. Se fossi arrivato secondo in Coppa Uefa, se non avessi realizzato 5 goal tra le semifinali e le finali, non parleremmo di queste cose. Da un lato il Pallone d’Oro è un meraviglioso compagno di viaggio e di avventura; dall’altro, rappresenta un peso, anche se questa mia valutazione può apparire scontata. Le responsabilità sono aumentate. Ora la gente si aspetta che io giochi sempre al massimo e che dia spettacolo. Il sempre, però, non è possibile. Paura? No di certo. A farmi compagnia c’è sempre il gusto della sfida, la voglia di dimostrare a tutti, anche a me stesso, che sono all’altezza».
Sul nome di Roberto Baggio vincitore del Pallone d’Oro sembravano d’accordo i critici sin dall’autunno, quando proprio da Parigi cominciavano ad arrivare le prime indiscrezioni sull’esito del referendum. E tuttavia Roberto aveva palesato le proprie perplessità. Questione, ovviamente, di scaramanzia: «Anche quando tutti sparavano titoli a nove colonne, io pensavo: Roby, attento, è in arrivo una fregatura. Spesso mi è tornata in mente la notte della finale bis contro il Borussia Dortmund: pioveva a dirotto, ricordate? Beh, anche in quella circostanza ho temuto che saltasse tutto. C’era una vocina dentro me che non stava mai zitta: per una volta che ti capita di vincere rinviano la partita. Le foto con il Pallone d’Oro le ho fatte con la speranza che il grande sogno si avverasse. Si è avverato, grazie al cielo».
Stagione 1993-94, un’altra buona annata, regala pezzi magici agli amanti del bel gioco. Esulta e poi festeggia l’arrivo di Mattia, il secondogenito, va in America con Sacchi ai mondiali. Un sogno e un incubo. «Sacchi mi è stato vicino in un periodo nero. Per tre mesi ho giocato con uno stiramento. Non mi riconoscevo più. Poi a Foggia, contro Cipro, c’è stata la partita della svolta. Lì sono uscito dal tunnel».
Roberto ha 27 anni, porta il codino, è Pallone d’oro, è titolare indiscusso della Nazionale. È concentratissimo e si prepara in segreto prima della partenza per gli Usa. Racconterà: «Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a Sacchi».
Il c.t. gli dice: «Roberto tu, per l’Italia, sei come Maradona per l’Argentina: fondamentale».
Contro la Norvegia, il portiere Pagliuca è espulso e Sacchi fa entrare Marchegiani e toglie Roby. La reazione di Baggio è clamorosa, fa un gesto a Sacchi: «Questo è matto».
Il Mondiale americano di Baggio è un tormento. Gianni Agnelli lo stuzzica da lontano: «Sembra un coniglio bagnato».
Roby reagisce e segna con Nigeria, Spagna e Bulgaria e porta in finale l’Italia con il Brasile. Pasadena, 17 luglio, ore 12:30, caldo torrido. 0-0, supplementari, rigori. Sbagliano Franco Baresi e Roberto Baggio, i due più bravi rigoristi italiani, e il Brasile è campione. Pazzesco! Baggio dirà: «Nella mia carriera ho sbagliato dei rigori, ma non li ho mai calciati alti. Quella è stata l’unica volta che mi e successo. Ed è difficile riuscire a spiegare perché è andato là. Non lo so. Però è successo, fine. Sognavo quel giorno da bambino. E un sogno che s’infrange, che si rompe sul più bello e diventa un incubo».
Il suo maestro spirituale Daisaku Ikeda, l’aveva previsto: «Quel Mondiale lo vincerai o lo perderai all’ultimo secondo».
La stagione 1994-95 sarà la sua ultima in bianconero. C’è Marcello Lippi, Roby si fa male e va in panchina o in tribuna, avanza il giovanissimo Alessandro Del Piero. La Juve vince lo scudetto, grazie anche ai gol e agli assist di Baggio nella prima parte della stagione. Fa festa con la Juve, ma quella non è più la sua Juve.
Finisce sul mercato, lo seguono in tanti, lui sceglie il Milan (che lo aveva cercato cinque anni prima). Spiega: «È il club che mi ha voluto di più e me lo ha fatto capire meglio».
Il grande Milan di Capello vince, dopo una stagione di pausa, ancora lo scudetto. Per Fabio è il quarto in cinque anni, per Roby il secondo di fila con due squadre diverse. Una bella stagione, i tifosi rossoneri, subito in sintonia con il Divin Codino, lo eleggono giocatore dell’anno, anche se è spesso sostituito.
Il secondo anno rossonero è segnato da Oscar Washington Tabarez, uruguaiano. Tabarez fallisce, è esonerato. Al Milan torna Arrigo Sacchi. Va tutto male e Baggio soffre la panchina. A fine aprile 1997, Cesare Maldini lo riporta in Nazionale. A Napoli, Italia-Polonia, valida per le qualificazioni ai Mondiali 1998. 3-0: lui segna un gol splendido.
Arrivi e partenze al Milan. Torna Capello, lascia Baggio. Per lui non c’è più spazio. Si arriva, anche con il Milan, alla separazione consensuale. In estate, un anno prima del Mondiale in Francia, Baggio sembra finito. Non è così.
La nuova destinazione, Bologna, lo riporta in corsa. Il suo obiettivo principale è sempre la Nazionale, forse la sua unica e vera maglia. Cesare Maldini lo richiama in azzurro. Bologna è un momento positivo e importante. I rapporti con l’allenatore Renzo Ulivieri non sono semplici, ma il bilancio personale di Baggio è strepitoso: 22 gol, il suo record in A.
Prenota Francia ‘98. Il c.t. Maldini è raggiante. Con un Baggio così… Dovrebbe essere lui il titolare. Ma c’è Del Piero (21 gol in campionato) che reclama una maglia. Il Mondiale francese è segnato dal dualismo Baggio-Del Piero. Ma è una nuova delusione. Roberto segna contro il Cile e l’Austria, sfiora il Golden gol contro la Francia ai quarti. L’Italia esce ai rigori, battuta dai francesi.
E Baggio si rimette in viaggio. Nell’estate 1998, dopo una sola stagione, lascia Bologna e torna a Milano, stavolta all’Inter. Due campionati nerazzurri tormentati da molti infortuni (Ronaldo su tutti) e dai troppi cambi di panchina (Simoni, Lucescu, Hodgson, Castellini, Lippi). Roby non riesce a dare il massimo. Da ricordare i due gol in Champions al Real Madrid campione d’Europa. Poi, altri buoni colpi, emozioni ma – soprattutto – scontri con Marcello Lippi.
Nell’estate 2000, Gino Corioni, presidente del Brescia, lo convince: «Vieni da noi».
Baggio incontra Carlo Mazzone, un bellissimo rapporto di stima e amicizia. Sor Cadetto lascia Roby libero di inventare. E allora arrivano i gol in un Brescia che fa ruotare Toni, Di Biagio, Pirlo e Guardiola. Baggio si ritrova in testa alla classifica dei marcatori, con 8 gol nelle prime 9 giornate.
Sogna il Mondiale con la Nazionale (c’è Trapattoni alla guida) in Corea e Giappone. Ma il destino lo ferma: cede il ginocchio sinistro. La riabilitazione è da record, ritorno in campo dopo 76 giorni, in tempo per segnare 3 gol nelle ultime 3 partite. Ma Trapattoni non lo può più aspettare.
La delusione è grande, ma Roberto decide di andare ancora avanti. Gioca altri due anni, taglia il traguardo dei 200 gol (poi saranno 205). Un’ultima passerella azzurra a Genova con la Spagna. Il 16 maggio 2004, a San Siro, la “Scala del calcio”, si conclude la luminosa carriera del violinista Baggio: la gente canta e balla per lui. E un grande abbraccio a uno dei campioni più amati.
La giornalaccio rosa titola: «Sei stato un mito, sei stato Baggio».
Lucio Dalla, poeta e cantautore, dice: «A veder giocare Baggio ci si sente bambini… Baggio è l’impossibile che diventa possibile, una nevicata che scende giù da una porta aperta nel cielo».
Se ne va. L’anno dopo nasce Leonardo, il terzo figlio. Poi, dopo un lungo periodo di riflessione, torna. A Coverciano, dove ha vissuto una vita azzurra. Ha preso il posto di Azeglio Vicini, il suo commissario tecnico a Italia ‘90. Riparte dall’azzurro.
Baggio è stato di tutti e di nessuno. O forse è stato solo una magia azzurra, come quella porta nel cielo.

 

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