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Lucidio Sentimenti (IV) - Giocatore E Allenatore Giovanili

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99p8qv.jpgLUCIDIO SENTIMENTI IV

 

sentimenti-IV.jpg

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Lucidio_Sentimenti


Lucidio Sentimenti, detto “Cochi”, nasce nell’estate del 1920 a Bomporto, in provincia di Modena, in una famiglia che eguagliava i fasti calcistici di un’altra mitica dinastia, quella dei Cevenini. Tutto cominciò, si dice, con una lettera: «Ho quasi quindici anni, faccio il garzone calzolaio a 15 lire la settimana, vorrei giocare. Va bene qualsiasi ruolo. Anche portiere».
Lucidio è tifoso della Juventus e grande ammiratore di Combi; vanta qualità atletiche per riuscire bene in qualsiasi ruolo, un bel tiro anche se la statura non è eccezionale ma, a quei tempi, nessuno ci faceva troppo caso. Così si trova nel Modena, in serie B, a solo sedici anni, senza un ruolo ben definito, a volte portiere altre attaccante. Sbalordisce tutti: in due stagioni segna 22 goals, risultando uno dei migliori cannonieri della squadra.
La Juventus è alla ricerca di un portiere affidabile; nell’ultimo campionato, quello del 1941, si sono alternati in cinque, un vero record, Goffi e Peruchetti, Ceresoli e Micheloni e, per una sola domenica, un certo Bulgheri, mai più visto né sentito. “Cochi” aveva già disputato circa cinquanta partite in serie A quando debuttò nella Juventus, a Venezia: i terzini sono Foni e Varglien II, gioca anche suo fratello, Vittorio, ovvero Sentimenti III, arrivato alla Juventus un anno prima. Dopo aver subito cinque goals in un derby, viene messo da parte, ma qualche domenica dopo viene ripresentato in mezzo ai pali che non lascia più per altre quattro stagioni.
Conquista anche la maglia azzurra e, nel maggio 1947, contro l’Ungheria è l’unico giocatore “straniero” in un formazione composta da dieci giocatori del “Grande Torino”.
Gianni Brera lo descrive «freddissimo determinista, dotato di una astuzia luciferina». Il suo gesto atletico più famoso è rimasto l’uscita, a piedi uniti, un intervento che sembra disperato ed invece è calcolato al millesimo e, secondo alcuni, al limite del lecito. Molto abile anche sulle palle alte: stupisce vederlo arrivare lassù, con tanta sicurezza, a bloccare o spingere lontano il pallone con pugni decisi, nonostante la bassa statura. Tra i pali è agile e dotato di presa ferrea, non ha bisogno di volare, ha un grande senso della posizione ed un notevole colpo d’occhio. Qualche volta se ne fidava troppo e magari prendeva goal balordi su tiri da lontano.
“Cochi” Sentimenti IV difende la rete juventina durante quei campionati resi proibitivi dal dominio del “Grande Torino”. Nel 1949, a ventinove anni, viene ceduto alla Lazio, dove ritrova una seconda giovinezza. Riconquista anche il posto in Nazionale ed ha l’onore di disputare la sua ultima partita nel 1953, contro la “grande Ungheria”; si mise perfino a parare rigori, cosa che prima non gli riusciva mai, come se una legge non scritta lo volesse punire per la sicurezza che aveva nel tirarli. Diventa uno specialista, quasi al pari del mitico Bepi Moro e, nel febbraio 1954 proprio su un rigore ottiene una piccola rivincita nei confronti della Juventus: a Torino, infatti, para un tiro di Boniperti dal dischetto, facendo finire la partita 0 a 0. La Juventus perde proprio per un punto quel campionato, a favore dell’Inter.
Gioca fino a 39 anni, chiudendo la carriera con il Vicenza, senza vincere mai niente: nonostante avesse già appeso gli scarpini al chiodo, torna in campo per difendere la rete del Torino che, in piena zona retrocessione, si trova di colpo senza portieri.
Un giorno gli chiesero quale fosse stato il goal che gli avesse provocato più dolore: disse che molti anni prima, quando era ancora al Modena in serie A, gli era capitato di tirare un rigore contro suo fratello più grande, Arnaldo Sentimenti II, portiere del Napoli, realizzandolo. Ecco, quello era stato il goal che gli aveva fatto più dispiacere.
Racconta: «Ecco un bel ricordo. 1946, a Torino: Juventus-Bologna. Ha vinto la Juventus per 1 a 0. Ad un certo momento Gritti, del Bologna, in posizione di ala sinistra, mi fa un tiro violentissimo, io sono piazzato sul palo giusto, ma Parola interviene e mi fa la carambola con la coscia, poveraccio lui ha fatto il possibile per salvarmi. Così io mi trovo improvvisamente sul palo sbagliato, un po’ fuori porta, con la palla che mi va dentro nel “sette” più lontano, alle spalle. Balzo indietro stringendo i denti e chiudendo gli occhi, mi distendo quanto sono lungo, do la manata e, quando credo d”esser fregato, incontro qualcosa. Dico: sarà un giocatore. Cado a terra, sento un urlo, apro gli occhi e vedo il pallone che è andato in corner: io l’avevo portato via dal “sette”, l’urlo l’avevano fatto per questo. Hanno fatto anche una bella fotografia, che conservo.
Eh sì; mi sentivo forte, mi sentivo come un leone, ero padrone dei miei pali e della mia area, avevo un rinvio lungo e preciso e non avevo paura di uscire. Mi buttavo giù con i piedi, mai di faccia o di braccia, perché con i piedi si arriva prima e difatti precedevo un sacco di attaccanti proprio per questo. E non ho mai avuto incidenti anche per questo».
Il portiere che tirava i rigori: era il primo, forse, e tutti si meravigliavano. In seguito avrebbe avuto ottimi imitatori, ma nessuno è riuscito a giocare in modo non saltuario ed in una vera partita di campionato, con la maglia di attaccante.


Intervistato da Maurizio Ternavaso, su “Hurrà Juventus” dell’agosto 1988:

Era dal 1975 che non lo incontravo. Esattamente da quel giorno di giugno in cui terminò la mia carriera di pulcino bianconero della squadra riserve, con grande rimpianto di diverse zolle d’erba del “Combi” alle quali talvolta non pareva vero di potersi staccare dal loro habitat naturale per volteggiare in aria colpite da qualche calcio maldestro del sottoscritto.
In quel triste giorno terminarono di colpo i miei rapporti bisettimanali con il mio allenatore Lucidio Sentimenti, meglio noto come Sentimenti IV; e ad ulteriore dimostrazione della labile impronta che lasciai quale giovane calciatore sta il fatto che, ripresentatomi a lui per l’intervista, sono stato riconosciuto con fatica. E mentre io da allora sono sicuramente cambiato (qualche pelo di barba e mezzo metro in più), il personaggio di questo mese è rimasto quasi del tutto immutato nel fisico e nell’aspetto, dal momento che lo ricordavo completamente canuto fin dai tempi in cui lo vidi corricchiare in tuta nel glorioso campo “Combi”.

- Signor Sentimenti, sono quasi sicuro che ancor oggi le capita spesso di infilarsi una tenuta sportiva per insegnare qualche prezioso rudimento ai giovani calciatori: è proprio così? «Certo, ci mancherebbe altro! Attualmente curo i ragazzini della “Sisport”, l’organizzazione sportiva gestita dalla Fiat, ma soltanto fino ad un paio di anni fa lavoravo per la Juventus, fino a quando non è purtroppo giunta l’età della pensione».
- Quali sono state le tappe della sua attività di allenatore? «La tappa è stata unica, ma molto felice: una volta conseguito infatti il patentino di allenatore di prima categoria, entrai nel settore giovanile della Juventus dove lavorai quasi trenta anni, con lunghe parentesi come allenatore dei portieri della prima squadra e come allenatore in seconda quando titolari della panchina erano Rabitti prima e Vycpalek poi. E giuro di non aver mai provato alcun rimpianto per non aver arricchito la mia esperienza altrove».
- Come si è svolta invece la sua carriera agonistica? «Iniziai nella stagione 1937-38 in serie A con il Modena, la squadra della mia città natale, e dopo altre due stagioni con la stessa maglia approdai nel 1940 alla Juventus ove ho disputato nove campionati; dal 1949 al 1954 giocai nella Lazio, poi fu la volta di Vicenza, dove nel 1957 terminai l’attività. In totale 443 presenze nella massima serie e 68 gettoni in serie B; al mio attivo anche nove maglie azzurre, con la partecipazione ai Campionati Mondiali nel 1950 in Brasile».
- Il fatto che lei sia conosciuto come Sentimenti IV implica ovviamente che non sia stato l’unico della sue dinastia a calcare i palcoscenici calcistici: mi racconterebbe la storia agonistica della sua famiglia? «I miei genitori misero al mondo nove figli, di cui cinque maschi. Il primo, Ennio, arrivò a giocare in serie C; il secondo era Arnaldo, classe 1914, il quale disputò come portiere ben sedici campionati di A con il Napoli; fu quindi la volta di “Ciccio” che giocò fino al 1949 come mezzala nella Juventus; l’ultimo fu Sentimenti V, il fratello più giovane che militò nel Modena, nel Bari, Lazio, Udinese e Parma».
- Come spiega il fatto che cinque fratelli su cinque abbiano giocato a calcio a certi livelli? Ed i rispettivi figli hanno continuato a seguire le orme dei padri? «La risposta alla prima domanda non è per nulla agevole, e posso soltanto dire che siamo stati aiutati da una grande, enorme passione per il gioco del calcio; per quanto riguarda invece il suo secondo quesito, le sembrerà incredibile, ma soltanto mio figlio ha giocato qualche anno, arrivando al massimo alla serie C, mentre tutti gli altri miei nipoti non si sono praticamente neppure cimentati in questo meraviglioso sport».
- Se non sbaglio lei fu il primo portiere rigorista, e si rivelò un cecchino infallibile: qual è il motivo per cui questa tendenza da lei lanciata non è stata proseguita con una certa continuità? Io credo che il numero uno di una squadra sia colui il quale meglio conosce la tecnica del rigorista, e perciò potrebbe sfruttare al meglio la sua esperienza diciamo così passiva per proporsi come soggetto attivo del calcio di rigore. «Quanto lei dice è vero: io infatti, oltre a segnare in campionato quattro massime punizioni, ne parai parecchie senza mai muovermi prima del tiro. E se al giorno d’oggi è così raro vedere un portiere calciare un rigore, ritengo che ciò sia dovuto al fatto che non tutti i numeri uno hanno i piedi buoni e sono avvezzi ad affrontare un momento così delicato quale è in fondo quello in cui ci si appresta a calciare dagli undici metri; per di più vi è il timore diffuso di affrontare con la porta sguarnita il contropiede degli avversari nel caso in cui il tentativo si rivelasse maldestro».
- Tutti sanno che ai suoi tempi il modulo di gioco non prevedeva l’esistenza del libero: ciò rendeva più difficile o quanto meno delicato il ruolo del portiere rispetto a quanto accade invece ora? «Indubbiamente allora toccava a me fungere da libero, dal momento che almeno dieci volte ad incontro dovevo uscire di piede dai pali, e talvolta mi spingevo persino fuori area per bloccare le punte avversarie che si erano liberate del loro marcatore; da tutto ciò ne derivava che quando la mia squadra attaccava, la posizione del portiere era quella di attesa al limite dell’area, sempre pronto ad intervenire. In definitiva il ruolo era forse più impegnativo, soprattutto perché in un modo o nell’altro si toccavano molti più palloni».
- Adesso sia così gentile da raccontarmi qualche episodio che abbia fatto cronaca quando lei era protagonista in campo e che io, per motivi di età, non posso conoscere. «Gliene racconterò un paio, in quanto mi sembrano entrambi meritevoli di essere rivisitati. Il primo: primissimi anni Cinquanta, incontro Lazio-Milan, terminato 1 a 1. Passò in vantaggio il Milan grazie ad un autogol di mio fratello nonché compagno di squadra Sentimenti III, quindi su rigore pareggiò Sentimenti V (anch’egli giocava al mio fianco) ed a pochi minuti dalla fine il sottoscritto parò un rigore dei rossoneri: ed il giorno dopo quasi tutti i giornali portavano un titolo del tipo “Lazio-Milan: tutto fatto in famiglia”. Il secondo: lei forse non sa che io vanto un record piuttosto curioso, essendo l’unico portiere d’Italia che abbia giocato in due incontri di campionato fuori dalla porta, e più precisamente come ala destra: e nel primo (stagione 1947-48, Juventus-Atalanta 2 a 0) segnai addirittura una rete!»
- E che sensazioni provava quando negli incontri immediatamente successivi era costretto a tornare tra i pali? Delusione, rammarico oppure gioia? «Senza dubbio mi divertivo di più in porta, sicché ero ben contento di riprendere il mio posto d’origine; e ciò nonostante alcuni tecnici mi vedessero meglio nel ruolo di attaccante».



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/06/lucidio-sentimenti.html

 

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Intervistato nell'88, mi pare, Gianni Agnelli ebbe a dire che il pi

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1195395700_juventus1931.jpg.8c03b4b4c250902faea38cc51a7d63bb.jpg LUCIDIO SENTIMENTI

 

Gli eroi in bianconero: Lucidio SENTIMENTI IV

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Lucidio_Sentimenti

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Bomporto (Modena)
Data di nascita: 01.07.1920

Luogo di morte: Torino

Data di morte: 28.11.2014
Ruolo: Portiere
Altezza: 170 cm
Peso: 80 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Cochi

 

 

Alla Juventus dal 1942 al 1949

Esordio: 19.09.1942 - Coppa Italia - Mater Roma-Juventus 1-6

Ultima partita: 05.06.1949 - Serie A - Padova-Juventus 3-0

 

188 presenze - 5 reti - 210 reti subite

 

 

Lucidio Sentimenti (Bomporto, 1º luglio 1920  Torino, 28 novembre 2014) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano.

Detto Cochi, era il quarto di cinque fratelli calciatori: Ennio (I), Arnaldo (II), Vittorio (III) e Primo (V), pertanto era noto anche come Sentimenti IV.

La leggenda narra che tutto iniziò con una lettera che recitava «Ho quasi quindici anni, faccio il garzone calzolaio a 15 lire la settimana, vorrei giocare. Va bene qualsiasi ruolo. Anche portiere». Gianni Brera lo descrive «freddissimo determinista, dotato di una astuzia luciferina».

L'8 settembre 2011 è il più anziano calciatore vivente a cui la Juventus abbia assegnato una stella celebrativa nella Walk of Fame dello Juventus Stadium; il suo ingresso in campo, a novantuno anni compiuti, è salutato da un'ovazione dei 41 000 spettatori presenti.

 

Lucidio Sentimenti
Lucidio Sentimenti (IV).jpg
Sentimenti IV nel 1946 alla Juventus
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 170 cm
Peso 80 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex portiere)
Termine carriera 1960 - giocatore
1971 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1938-1942   Modena 86 (-?; 1)
1942-1949   Juventus 188 (5; -210)
1949-1954   Lazio 170 (-?; 3)
1954-1957   Lanerossi Vicenza 82 (-?)
1957-1959   Cenisia 61 (-?)
1959   Talmone Torino 3 (-5)
1959-1960   Cenisia 13 (-?)
Nazionale
1945-1953 Italia Italia 9 (-21)
Carriera da allenatore
1960-1961   Cenisia Giovanili
19??   Juventus Giovanili
1970-1971   Juventus Vice

 

Biografia

La famiglia Sentimenti

La famiglia Sentimenti comprendeva diversi giocatori di calcio:

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arturo Sentimenti
 
 
 
Augusta Sentimenti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ennio Sentimenti
 
Arnaldo Sentimenti
(24 maggio 1914 - 12 giugno 1997)
 
Vittorio Sentimenti
(18 agosto 1918 - 27 settembre 2004)
 
Lucidio Sentimenti
(1º luglio 1920 - 28 novembre 2014)
 
Primo Sentimenti
(28 dicembre 1926 - 13 ottobre 2016)
 
Lino Sentimenti
(25 giugno 1929 - 9 luglio 2020)

 

Suo fratello Arnaldo, conosciuto come para-rigori, nella stagione 1941-42 collezionò ben 9 rigori parati consecutivi. Per ironia della sorte, fu proprio Lucidio a interrompere quella serie, realizzando dal dischetto in un Napoli-Modena 2-1.

Nella cultura di massa

Sentimenti IV venne anche citato nel film comico La famiglia Passaguai, nell'immedesimazione che ne fece Carlo Delle Piane giocando a calcio in spiaggia insieme ad Aldo Fabrizi nel ruolo del padre. L'album La estinzione naturale di tutte le cose, della rock band italiana Valentina Dorme contiene la canzone "Lucidio Sentimenti IV" dedicata al calciatore.

Caratteristiche tecniche

220px-Sentimenti_IV_-_Juventus_FC.jpg
 
Sentimenti IV alla Juventus negli anni 1940, in uscita in presa alta.

 

Non alto, ma molto forte fisicamente, era un elemento eclettico: nel periodo bianconero, a causa di una frattura alle dita, venne utilizzato anche come ala destra nel campionato di guerra 1943-1944 (realizzó anche una doppietta al Casale e un gol sia all'Asti che al Varese).

Portiere non appariscente, tra i pali era dotato di agilità e capacità di leggere le intenzioni degli avversari; in uscita si buttava con coraggio sugli attaccanti con il corpo indietro e le gambe protese avanti: le "uscite di piede" per cui passò alla storia del calcio. Abile nel gioco con i piedi, talvolta si incaricava della battuta dei rigori: con la Juventus ne realizzò uno per il pareggio contro l'Atalanta, sbagliandone qualche domenica dopo un altro contro il Milan (2-2 il risultato finale), poi tre nel periodo laziale. Ne calciò perfino uno, quando vestiva la maglia del Modena, contro il fratello Arnaldo portiere del Napoli nella sfida in casa dei partenopei del 17 maggio 1942.

Aveva l'abitudine, mentre non era impegnato, di stare in movimento tra i pali "per tenere i muscoli caldi". Per eccesso di sicurezza spesso subiva gol da fuori area, tanto che i tifosi laziali lo accusarono di essere miope e convinsero la società a fargli sostenere una visita oculistica.

Carriera

Giocatore

Club

Inizia la carriera nelle file del Modena, con cui conquista da titolare la promozione in Serie A al termine della stagione 1940-1941. Nella stagione successiva è inizialmente riserva di Bruno Monti, ma nella seconda parte della stagione si impone come titolare, esordendo in massima serie il 1º febbraio 1942 in occasione del pareggio interno contro la Roma, e disputando complessivamente 16 incontri, non riuscendo tuttavia a evitare l'ultimo posto finale.

Nell'estate del 1942 viene acquistato dalla Juventus, dove già militava il fratello Vittorio. In bianconero rimarrà fino al 1949, disputando 4 campionati di Serie A a girone unico, più l'anomalo campionato 1945-1946 disputato a due gironi. Ha la particolarità di avere disputato due incontri del campionato misto 1945-46 come giocatore di movimento, in particolare nel ruolo di ala, segnando una rete.

 

220px-Fratelli_Sentimenti.jpg
 
Cochi Sentimenti fra i due fratelli, Vittorio e Primo, ai tempi della loro militanza nella Lazio.

 

Per età e successi ottenuti viene considerato in fase discendente al momento di trasferirsi alla Lazio nel 1949. Nella capitale (affiancato anche dai fratelli Vittorio e Primo) disputa invece cinque campionati da titolare e finisce per rivelarsi un leader. Con l'aquila sul petto disputa 170 partite mettendo a segno 3 gol su rigore.

Lascia la Lazio nel 1954 per andare al L.R. Vicenza, un trasferimento accettato di malavoglia dalla dirigenza biancoceleste che libera il portiere soltanto nell'ultimo giorno utile per la cessione. In maglia biancorossa milita tra il 1954 e il 1957 collezionando 82 presenze, aggiudicandosi il campionato di Serie B 1954-1955.

Passa i suoi ultimi anni da calciatore a Torino. Nel 1957 è portiere del Cenisia (la terza squadra del capoluogo piemontese), in IV Serie, mentre nel 1959 viene acquistato dal Talmone Torino nella seconda parte di campionato, tornando a giocare in Serie A per 3 partite e subendo 5 reti. La stagione seguente torna al Cenisia, dove termina la sua carriera.

In carriera ha totalizzato complessivamente 366 presenze e 3 reti (tutte su calcio di rigore) nella Serie A a girone unico e 67 presenze in Serie B.

Nazionale

Nella sua carriera colleziona anche 9 presenze con la Nazionale Italiana, tra cui quella dell'11 maggio 1947 (Italia-Ungheria 3-2), durante la gestione di Vittorio Pozzo, in cui risulta l'unico azzurro non militante nel Grande Torino.

Con Ferruccio Novo, invece, parteciperà ai Mondiali del 1950, scendendo in campo in occasione della sconfitta con la Svezia, mentre contro il Paraguay è sostituito da Giuseppe Moro.

Allenatore

Allena le giovanili del Cenisia nel 1961, dove nelle finali Allievi la sua squadra batte la Juventus 4-1, dopo aver eliminato il Torino per 3-1. Successivamente allena anche le giovanili della Juventus.

 

Palmarès

Giocatore

Club

 

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233413383_juventus1931.jpg.d1da3435cdcaddca34c0efd1c8f5643f.jpg LUCIDIO SENTIMENTI

 

sentimenti%2Blucidio%2B2.jpg

 

 

 

Detto Cochi, nasce nell’estate del 1920 a Bomporto, in provincia di Modena, in una famiglia che eguagliava i fasti calcistici di un’altra mitica dinastia, quella dei Cevenini. Tutto cominciò, si dice, con una lettera: «Ho quasi quindici anni, faccio il garzone calzolaio a quindici lire la settimana, vorrei giocare. Va bene qualsiasi ruolo. Anche portiere». Lucidio è tifoso della Juventus e grande ammiratore di Combi; vanta qualità atletiche per riuscire bene in qualsiasi ruolo, un bel tiro, anche se la statura non è eccezionale, ma, a quei tempi, nessuno ci faceva troppo caso. Così si trova nel Modena, in Serie B, a solo sedici anni, senza un ruolo ben definito, a volte portiere altre attaccante. Sbalordisce tutti: in due stagioni segna ventidue goal, risultando uno dei migliori cannonieri della squadra.La Juventus è alla ricerca di un portiere affidabile; nell’ultimo campionato, quello del 1941, si sono alternati in cinque, un vero record: Goffi e Peruchetti, Ceresoli e Micheloni e, per una sola domenica, un certo Bulgheri, mai più visto né sentito. Cochi aveva già disputato circa cinquanta partite in Serie A quando debuttò nella Juventus, a Venezia: i terzini sono Foni e Varglien II, gioca anche suo fratello, Vittorio, ovvero Sentimenti III, arrivato alla Juventus un anno prima. Dopo aver subito cinque goal in un derby, è messo da parte ma qualche domenica dopo è ripresentato in mezzo ai pali che non lascia più per altre quattro stagioni.
Conquista anche la maglia azzurra e, nel maggio 1947, contro l’Ungheria è l’unico giocatore “straniero” in una formazione composta da dieci giocatori del Grande Torino. Gianni Brera lo descrive freddissimo determinista, dotato di un’astuzia luciferina.
Il suo gesto atletico più famoso è rimasto l’uscita, a piedi uniti, un intervento che sembra disperato e invece è calcolato al millesimo e, secondo alcuni, al limite del lecito. Molto abile anche sulle palle alte: stupisce vederlo arrivare lassù, con tanta sicurezza, a bloccare o spingere lontano il pallone con pugni decisi, nonostante la bassa statura. Tra i pali è agile e dotato di presa ferrea, non ha bisogno di volare, ha un grande senso della posizione e un notevole colpo d’occhio. Qualche volta se ne fida troppo e prende goal balordi su tiri da lontano.
Cochi Sentimenti difende la rete juventina durante quei campionati resi proibitivi dal dominio del Grande Torino. Nel 1949, a ventinove anni, è ceduto alla Lazio, dove ritrova una seconda giovinezza. Riconquista anche il posto in Nazionale e ha l’onore di disputare la sua ultima partita nel 1953, contro la Grande Ungheria. Si mette perfino a parare rigori, cosa che prima non gli riusciva mai, come se una legge non scritta lo volesse punire per la sicurezza che aveva nel tirarli. Diventa uno specialista, quasi al pari del mitico Bepi Moro e, nel febbraio 1954 proprio su un rigore ottiene una piccola rivincita nei confronti della Juventus: a Torino, infatti, para un tiro di Boniperti dal dischetto, facendo finire la partita 0-0. La Juventus perde proprio per un punto quel campionato, a favore dell’Inter.
Gioca fino a trentanove anni, chiudendo la carriera con il Vicenza, senza vincere mai niente: nonostante avesse già appeso gli scarpini al chiodo, torna in campo per difendere la rete del Torino che, in piena zona retrocessione, si trova di colpo senza portieri.
Un giorno gli chiesero quale fosse stato il goal che gli avesse provocato più dolore: disse che molti anni prima, quando era ancora al Modena in Serie A, gli era capitato di tirare un rigore contro suo fratello più grande, Arnaldo Sentimenti II, portiere del Napoli, realizzandolo. Ecco, quello era stato il goal che gli aveva fatto più dispiacere.
«Ecco un bel ricordo. 1946, a Torino: Juventus-Bologna. Ha vinto la Juventus per 1-0. A un certo momento Gritti, del Bologna, in posizione di ala sinistra, mi fa un tiro violentissimo, io sono piazzato sul palo giusto ma Parola interviene e mi fa la carambola con la coscia, poveraccio lui ha fatto il possibile per salvarmi. Così io mi trovo improvvisamente sul palo sbagliato, un po’ fuori porta, con la palla che mi va dentro nel sette più lontano, alle spalle. Balzo indietro stringendo i denti e chiudendo gli occhi, mi distendo quanto sono lungo, do la manata e, quando credo di esser fregato, incontro qualcosa. Dico: sarà un giocatore. Cado a terra, sento un urlo, apro gli occhi e vedo il pallone che è andato in corner: io l’avevo portato via dal sette, l’urlo l’avevano fatto per questo. Hanno fatto anche una bella fotografia, che conservo. Eh sì; mi sentivo forte, mi sentivo come un leone, ero padrone dei miei pali e della mia area, avevo un rinvio lungo e preciso e non avevo paura di uscire. Mi buttavo giù con i piedi, mai di faccia o di braccia, perché con i piedi si arriva prima e difatti precedevo un sacco di attaccanti proprio per questo. E non ho mai avuto incidenti anche per questo».
Il portiere che tirava i rigori: era il primo, forse, e tutti si meravigliavano. In seguito avrebbe avuto ottimi imitatori, ma nessuno è riuscito a giocare in modo non saltuario e in una vera partita di campionato, con la maglia di attaccante.

VLADIMIRO CAMINITI
Nei giorni dopo la guerra, che sono di atavica fame, portieri di ogni formato si esibiscono in Italia. Nella Juventus si alternano, ancora per poco, Micheloni e il vecchio Perucchetti, mezzo clown e mezzo artista, che ha trentaquattro anni, ma già si affaccia il giovane Lucidio Sentimenti, quarto di una famiglia modenese di Bomporto dedita a sane bevute e a interminabili partite di calcio, destinato a giocare in porta, perché il meno appariscente fisicamente dei fratelli, e anzi, a dire il vero, di figura un tantino tozza. Il fatto è che a Cochi, questo è il soprannome con cui lo indicano e strapazzano specialmente i fratelli Arnaldo e Vittorio (Primo è ancora piccolino), va di contraggenio a fare il portiere e, quando può, viene fuori e molla le sue sacramentali legnate di destro con le quali segna al fratello maggiore Arnaldo goal irresistibili.
Rimane che il ruolo di portiere a poco a poco entra nello spirito del giovanotto, che ha uno sviluppo orizzontale pari alle manone e sfoggia nel colpo di reni la sua qualità migliore. Il nano, in campo, diventa un gigante, anche in questo caso, come dire che nelle parate alte Sentimenti IV è formidabile come nelle parate a terra, e va a giocare un campionato entusiasmante nel Modena, quando la Juventus lo ingaggia, lasciandolo ancora un anno nella città emiliana, perché completi il servizio militare.
Sono i giorni ruggenti del Torino, quando Sentimenti IV si trasferisce definitivamente nella Juventus. Il derby è il derby, le parate di Cochi impediscono in più di una circostanza al Grande Toro punteggi straripanti. Nasce il mito di questo portiere tarchiato e flessuoso, brevilineo dal portentoso colpo d’occhio, quasi imbattibile nell’area piccola, che domina con pugni che sono autentiche mazzate, specialista nelle uscite contro l’attaccante solo, che risolve con una tecnica personale (le gambe avanti e il busto all’indietro) micidiale all’impatto per giocatori come Fabbri, e cui solo gli estrosi Lorenzi e Gabetto trovano, ma non sempre, contromisure.
Si parlerà solo negli anni Ottanta di portieri con la somma di qualità che Sentimenti IV mostra già negli anni Quaranta, il primo portiere calciatore d’Italia e d’Europa; perfetto rigorista, egli indossa la divisa addirittura con grazia, ma forse una natura troppo sempliciotta lo porta a vivere con eccessiva emotività le partite in Nazionale. Il giorno dell’esordio, nebbia e vento gelido al vecchio Prater, becca cinque goal, e Carosio urla al microfono che Sentimenti IV non ci vede. Una fandonia, ma l’Italia è terra di pregiudizi. L’Avvocato, che di calcio se ne intende, intervistato nel 1988, dirà che Sentimenti IV è stato il portiere più grande che egli abbia visto giocare nella sua Juventus. Potentissima macchina atletica, Cochi si allenava come gli ostacolisti, per esercitare i suoi magici lombi, e Bacigalupo aveva nel portafogli, restituite dalla lurida fiammata che distrusse il Grande Torino, la sua fotografia. Nella tradizione del ruolo, in Italia almeno nessun portiere è mai stato altresì calciatore come Cochi Sentimenti, dalle rimesse in gioco che erano un vero lancio per il centrattacco e diedero l’avvio a tanti goal di Boniperti ventenne. I suoi fondamentali tecnici (presa, piazzamento, colpo di reni, uscita alta) sono forse tuttora irripetibili.

MAURIZIO TERNAVASO, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’AGOSTO 1988
Era dal 1975 che non lo incontravo. Esattamente da quel giorno di giugno in cui terminò la mia carriera di pulcino bianconero della squadra riserve, con grande rimpianto di diverse zolle d’erba del Combi alle quali talvolta non pareva vero di potersi staccare dal loro habitat naturale per volteggiare in aria colpite da qualche calcio maldestro del sottoscritto.
In quel triste giorno terminarono di colpo i miei rapporti bisettimanali con il mio allenatore Lucidio Sentimenti, meglio noto come Sentimenti IV; e a ulteriore dimostrazione della labile impronta che lasciai quale giovane calciatore sta il fatto che, ripresentatomi a lui per l’intervista, sono stato riconosciuto con fatica. E mentre io da allora sono sicuramente cambiato (qualche pelo di barba e mezzo metro in più), il personaggio è rimasto quasi del tutto immutato nel fisico e nell’aspetto, dal momento che lo ricordavo completamente canuto fin dai tempi in cui lo vidi corricchiare in tuta nel glorioso campo Combi.
Signor Sentimenti, sono quasi sicuro che ancor oggi le capita spesso di infilarsi una tenuta sportiva per insegnare qualche prezioso rudimento ai giovani calciatori: è proprio così? «Certo, ci mancherebbe altro! Attualmente curo i ragazzini della Sisport, l’organizzazione sportiva gestita dalla Fiat, ma soltanto fino a un paio di anni fa lavoravo per la Juventus, fino a quando non è purtroppo giunta l’età della pensione».
Quali sono state le tappe della sua attività di allenatore?  «La tappa è stata unica, ma molto felice: una volta conseguito, infatti, il patentino di allenatore di prima categoria, entrai nel settore giovanile della Juventus, dove lavorai quasi trent’anni, con lunghe parentesi come allenatore dei portieri della prima squadra e come allenatore in seconda quando titolari della panchina erano Rabitti prima e Vycpálek poi. E giuro di non aver mai provato alcun rimpianto per non aver arricchito la mia esperienza altrove».
Come si è svolta invece la sua carriera agonistica? «Iniziai nella stagione 1937-38 in Serie A con il Modena, la squadra della mia città natale, e dopo altre due stagioni con la stessa maglia approdai nel 1940 alla Juventus ove ho disputato nove campionati; dal 1949 al 1954 giocai nella Lazio, poi fu la volta di Vicenza, dove nel 1957 terminai l’attività. In totale 443 presenze nella massima serie e sessantotto gettoni in Serie B; al mio attivo anche nove maglie azzurre, con la partecipazione ai Campionati Mondiali nel 1950 in Brasile».
Il fatto che lei sia conosciuto come Sentimenti IV implica ovviamente che non sia stato l’unico della sua dinastia a calcare i palcoscenici calcistici: mi racconterebbe la storia agonistica della sua famiglia? «I miei genitori misero al mondo nove figli, di cui cinque maschi. Il primo, Ennio, arrivò a giocare in Serie C; il secondo era Arnaldo, classe 1914, il quale disputò come portiere ben sedici campionati di A con il Napoli; fu quindi la volta di Ciccio che giocò fino al 1949 come mezzala nella Juventus; l’ultimo fu Sentimenti V, il fratello più giovane che militò nel Modena, nel Bari, Lazio, Udinese e Parma».
Come spiega il fatto che cinque fratelli su cinque abbiano giocato a calcio a certi livelli? E i rispettivi figli hanno continuato a seguire le orme dei padri? «La risposta alla prima domanda non è per nulla agevole, e posso soltanto dire che siamo stati aiutati da una grande, enorme passione per il gioco del calcio; per quanto riguarda invece il suo secondo quesito, le sembrerà incredibile, ma soltanto mio figlio ha giocato qualche anno, arrivando al massimo alla Serie C, mentre tutti gli altri miei nipoti non si sono praticamente neppure cimentati in questo meraviglioso sport».
Se non sbaglio lei fu il primo portiere rigorista e si rivelò un cecchino infallibile: qual è il motivo per cui questa tendenza da lei lanciata non è stata proseguita con una certa continuità? Io credo che il numero uno di una squadra sia colui il quale meglio conosce la tecnica del rigorista, e perciò potrebbe sfruttare al meglio la sua esperienza, diciamo così passiva per proporsi come soggetto attivo del calcio di rigore: «Quanto lei dice è vero: io, infatti, oltre a segnare in campionato quattro massime punizioni, ne parai parecchie senza mai muovermi prima del tiro. E se al giorno d’oggi è così raro vedere un portiere calciare un rigore, ritengo che ciò sia dovuto al fatto che non tutti i numeri uno hanno i piedi buoni e sono avvezzi ad affrontare un momento così delicato qual è in fondo quello in cui ci si appresta a calciare dagli undici metri; per di più vi è il timore diffuso di affrontare con la porta sguarnita il contropiede degli avversari nel caso in cui il tentativo si rivelasse maldestro».
Tutti sanno che ai suoi tempi il modulo di gioco non prevedeva l’esistenza del libero: ciò rendeva  più difficile o quanto meno delicato il ruolo del portiere rispetto a quanto accade invece ora? «Indubbiamente allora toccava a me fungere da libero, dal momento che almeno dieci volte a incontro dovevo uscire di piede dai pali, e talvolta mi spingevo persino fuori area per bloccare le punte avversarie che si erano liberate del loro marcatore; da tutto ciò ne derivava che quando la mia squadra attaccava, la posizione del portiere era quella di attesa al limite dell’area, sempre pronto a intervenire. In definitiva il ruolo era forse più impegnativo, soprattutto perché in un modo o nell’altro si toccavano molti più palloni».
Adesso sia così gentile da raccontarmi qualche episodio che abbia fatto cronaca quando lei era protagonista in campo e che io, per motivi di età, non posso conoscere: «Gliene racconterò un paio, in quanto mi sembrano entrambi meritevoli di essere rivisitati. Il primo: primissimi anni cinquanta, incontro Lazio-Milan, terminato 1-1. Passò in vantaggio il Milan grazie a un autogoal di mio fratello nonché compagno di squadra Sentimenti III, quindi su rigore pareggiò Sentimenti V (anch’egli giocava al mio fianco) e a pochi minuti dalla fine il sottoscritto parò un rigore dei rossoneri: e il giorno dopo quasi tutti i giornali portavano un titolo del tipo “Lazio-Milan: tutto fatto in famiglia”. Il secondo: lei forse non sa che io vanto un record piuttosto curioso, essendo l’unico portiere d’Italia che abbia giocato in due incontri di campionato fuori dalla porta, e più precisamente come ala destra: e nel primo (stagione 1947-48: Juventus-Atalanta 2-0) segnai addirittura una rete!»
E che sensazioni provava quando negli incontri immediatamente successivi era costretto a tornare tra i pali? Delusione, rammarico oppure gioia? «Senza dubbio mi divertivo di più in porta, sicché ero ben contento di riprendere il mio posto di origine; e ciò nonostante alcuni tecnici mi vedessero meglio nel ruolo di attaccante».

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/06/lucidio-sentimenti.html

 

Sentimenti IV passes away - Juventus

Modificato da Socrates

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Lucidio Sentimenti - Wikipedia, la enciclopedia libre

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