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Ghost Dog

Ogni Maledetta Domenica

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14 06 2013

Saldi e sospetti di fine stagione
CHISSÀ SE È UN CASO CHE ABITUALMENTE I BOOKMAKERS NON PRENDONO

PIÙ IN CONSIDERAZIONE LE SCOMMESSE SULLE ULTIME PARTITE DI CAMPIONATO,

A PARTE QUALCHE ECCEZIONE: SI SA, LA CHAMPIONS GIUSTIFICA I MEZZI
L’ULTIMA ZAMPATA Se il presidente Zamparini si fosse comportato negli affari di

imprenditore come da patron pallonaro del Palermo sarebbe riuscito a non fallire?

Il bollettino bellico (non solo metaforico) del calcio italiota era ieri particolarmente esauriente: a Milano una partita sospesa, anche se solo per un centinaio di secondi, per esternazioni razziste. Due ultrà del Torino arrestati per tentato omicidio, giacché pestarono a triplo sangue un ragazzo juventino dopo il derby torinese dello scorso 1 dicembre (che mancava da anni in Serie A, ergo c’era una certa nostalgia del coltello…). Il prossimo derby di Coppa Italia tra Roma e Lazio che chiuderà questa meravigliosa stagione ancora ostaggio delle necessità di ordine pubblico. Forse basta a riassumere lo stato pietoso del nostro pallone, di una rotondolatria “smarro – nata” che sta forse definitivamente perdendo la sua natura originale. Ne accenno il motivo, subito prima di infilarmi in discorsi di cronaca tecnico-societaria. Si osserva con inarrivabile acume: è inutile lamentarsi di come è ridotto il calcio e di che sentina sono ormai diventati gli stadi italiani, dal momento che il sistema sferico è chiaramente una delle facce di un sistema-Italia terribilmente guasto.

Non è o non sarebbe osservazione peregrina. Peccato che la dimensione calcistica e calcistizzata del Paese sia nata come ricreazione del medesimo dalle nequizie di tutti i giorni: una valvola di sfogo in piena regola, ahimè ormai assurta a un business complesso e contraddittorio che di questa natura originale se ne frega, o non sa che farsene, trattando appunto il calcio come una delle facce di un prisma che nel suo insieme è l’Italia atterrente di oggi. Qui casca l’asino e caschiamo noi tutti: se un qualcosa di emotivamente coinvolgente del tipo della cocaina di Saviano (con tutte le sue variabili economiche, sociali, politiche e “culturali” – parolaccia… –) smette i suoi panni di diversivo e addirittura accresce il disagio contro cui era nato “ricreativamente”, stiamo pagando tutti un prezzo troppo alto al “caso calcio”. Intendo come Paese, non come tifosi di tizio e caio. Perché il tifo nelle sue varie declinazioni, sane, accettabili, rischiose, perverse, diventa un detonatore a miccia corta e lunga. Questo dovrebbe interessare al Viminale e al suo dominus, Angelino Alfano. Che ne dovrebbe parlare col suo superiore, ad Arcore o altrove. Il quale però non ha certo tempo né voglia per considerare la faccenda da questo punto di vista, giacché è fin troppo impegnato con le parentele dell’Africa minore, che siano nipoti di Mubarak oppure no.
Per Berlusconi il punto è il Milan, di sua proprietà, gestito benissimo (cfr. anche il “faraone” El Shaarawy per rimanere in carattere orientale con o senza la “furbizia” di quelle parti…) tanto che sta per finire in Champions League anche dopo una stagione che pareva nei primi tre mesi forse la peggiore da molti anni. Invece ora, un rigoretto qui, un acquisto lì, una riverniciatina alla squadra e un Galliani più occhiuto che mai nel conservarsi almeno finora un tecnico assai capace, eccoti il Milan che domenica “in qualche modo” evaderà la pratica. Vaglielo a spiegare ai tifosi che dalla vergogna dei “buu” razzisti o sub-razzisti degli omologhi romanisti contro Balotelli/Boateng non si esce con cori barbari di brutta matrice.

Il tifoso come è oggi o come è diventato non è certo disponibile a “tornare indietro”, a ripensare un calcio e uno stadio per famiglie. Addirittura di solito mette in preventivo che per arrivare in Champions il fine giustifica i mezzi, e dunque finge con sé che su Lamela Constant non abbia commesso un fallo da rigore come pure al contrario, ma sempre pro bonum del Milan in Fiorentina-Roma la direzione di gara non sia stata palesemente mirata: in ballo non ci sono forse alcune decine di milioni di euro? Cifre da capogiro, specie di questi tempi, cifre che si mischiano ai “soliti sospetti” non dell’omonimo film, ma delle ultime partite di stagione che abitualmente i bookmakers non prendono più in considerazione.

Sarà un caso, vero? E non sarà un caso che due pessime gestioni societarie in due ambienti molto diversi abbiano prodotto effetti disastrati simili: intendo la stagione vissuta al Palermo e all’Inter, con una retrocessione di un autolesionismo feroce e un piazzamento al di sotto di ogni livello di guardia ottenuto con un girone di ritorno poco più che da retrocessione. Di Massimo Moratti e della sua aderenza tifosa all’album di figurine dei giocatori ho già parlato spesso qui. Ne approfitto quindi solo per ricordargli un ex ragazzo appena scomparso dal cognome troppo pesante. Il compianto Ferruccio Mazzola amava l’Inter quanto lui, Moratti, solo che voleva la verità: la buona fede dello sfortunatissimo “terzo incomodo” (cercate il suo libro e leggetelo perché è una lettura significativa) sulle vicende di doping è stata ratificata anche da una sentenza assolutoria di un tribunale. Su Maurizio Zamparini, un Preziosi più sagace ma anche più virulento caratterialmente (o era Preziosi uno Zamparini apparentemente più cantilenante?), uno che ha divorato allenatori più di quanti figli non si fosse mangiato Crono, aleggia una domanda facile facile: ma se il presidente del Palermo si fosse comportato nei suoi affari imprenditoriali, tra l’altro assai diversificati, anche solo in parte minima come ha fatto da patron pallonaro, adesso avrebbe i denari per sopravvivere? Ovviamente la questione Lega insieme il calcio e il resto, come volevasi dimostrare e come non si vuole che sia: ditemi il nome di una figura italiana pubblica di qualche spessore politico o culturale o le due cose insieme che dal dopoguerra in poi si sia seriamente dedicato a questo brulicante aspetto italiano. Forza, un nome… uno solo…

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Ma il centro commerciale Conca d'Oro a Palermo non è cosa sua? ha unito l'utile al dilettevole solo che a volte queste unioni nascono come le ciambelle, senza buco.

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Ma il centro commerciale Conca d'Oro a Palermo non è cosa sua? ha unito l'utile al dilettevole solo che a volte queste unioni nascono come le ciambelle, senza buco.

Sì, il Conca d'Oro o Zampacenter è roba sua. E' ancora bloccato il progetto dello stadio nuovo con palestre, centro fisiatrico, multisala, museo e ristoranti.

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11 06 2013

Blatter, cinguettii
e igieniste dentali

È UNO STRANO MONDO QUELLO DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA CALENDARIZZATA
A FAVORE DEI CAMPIONATI E NON DELLA VERITÀ. E IL TYCOON DELLA FIFA LO SA BENE
BENVENUTI NEL CALCIO PARLATO, TWITTATO E PERFINO GIOCATO...

CALCIOPOLI Ma dove sono finiti i tempi del “bene e presto” di Borrelli se le scommesse sono proseguite senza nessun intoppo?
NAZIONALE Intanto Prandelli a un anno dai Mondiali non sembra avere le idee chiare per cercare un’identità di squadra. E per cambiarla


Era dai tempi di Nicole Minetti in tribunale per il Ruby bis (quindi giorni fa...) che non ascoltavo o leggevo dichiarazioni fantasmagoriche come quelle di Andrea Masiello e di Sepp Blatter. Ovvero di uno squalificato nel calcio-scommesse e un presidente della Fifa, cioè lo svizzero super-tycoon della politica calcistica mondiale.

Che cosa mi era rimasto impresso tra le affermazioni rese dall’incantevole igienista, tra le tante? Ma via, la nobiltà d’animo in cui l’etica incontrava l’estetica con lei che parlava ai giudici di “amore vero per Berlusconi”, nelle intercettazioni telefoniche accreditato invece di un “ċulo flaccido”. È vero, una cosa non esclude l’altra, specie di questi tempi... E che cosa ha appena detto in un’intervista (naturalmente “verità”, e in esclusiva) alla Ġazzetta l’ex difensore del Bari precipitato negli Inferi della giustizia pena-le e sportiva? Che ne ha fatte di tutti i colori “ma l’autogol nel derby con il Lecce no, quello no”. Perché no? Ma perché “uno se deve fare un autogol mica fa questo cinema”, è alla lettera la sua ultima “deposizione” giornalistica. Ma allora perché ha detto invece agli inquirenti che l’aveva fatto apposta? Perché “forse per sfinimento, non ce la facevo più”.

CAPITA L’ANTIFONA? Del resto è uno strano mondo questo del pallone, della sua giustizia calendarizzata non a favore della verità, ma dello svolgimento dei campionati, con Palazzi il Procuratore Federale Ercolino sempre in piedi che adesso ha deferito Gillet e company, in attesa – pare – di farlo con Mauri e altri, tutta gente che ha giocato (incidendo, e alcuni parecchio) sull’esito dell’ultimo campionato. Dice: ma i tempi non lo permettevano. A no? Interessante: e la giustizia sportiva dei tempi di Calciopoli, del “presto e bene” di Borrelli, dove sono finiti? Quando l’ex carabiniere Auricchio, adesso nei guai a Napoli con i De Magistris brothers, indagava sul filone Moggi di buzzo buono e brogliacci selezionati? Adesso Palazzi si muove così, di estate in estate, mentre le Procure (in primis quella di Cremona, “un pozzo senza fondo”) ci dicono che le scommesse sono continuate malgrado ogni indagine, processo, condanna, inquinando il calcio dalle falde più profonde. Quali? Ehhh, ora tocca alle dichiarazioni del capataz Blatter, sulla cui attività di altissimo dirigente pallonaro, dal ’98 in cima al mondo con l’idea di restarci ancora, potete facilmente informarvi grazie, che so, a Google. Una cliccatina su “Blatter & scandali” per esempio ci racconta di tutte le polemiche che ne hanno alonato la carriera , fino ai Mondiali del 2022 in Qatar leggermente sospetti. E quindi con autentico godimento che ho letto di Blatter non tanto e non solo che “in Italia tifo Fiorentina”, Dio ce ne scampi, ma soprattutto “il vero motivo” per il quale a Berlino nel 2006 non premiò l’Italia campione del mondo. “Per evitare uno scandalo mondiale”, dice ora con maggiori particolari che in passato, “perché avrebbero fischiato”, e tutto ciò perché “venivo accusato di aver favorito il Sudafrica come paese ospitante dell’edizione del 2010”. Nessuno che sia andato un pochino più a fondo, appunto nelle falde... Ma davvero non ha premiato per questo? E noi tutti a leggere o nel caso a seguire in tv queste “rivelazioni” (sempre “verità” e in esclusiva, of course...) abboccando senza curiosità e sempre senza la famosa “seconda domanda”, o terza, o quarta?

Caro Blatter, prima o poi qualcuno ci dirà se c’è una “vera storia” di quell’Italia-Francia, con la stranezza della testata di Zidane, preceduta da curiose occhiate interrogative e gesti conseguenti nei confronti della panchina francese (riguardiamo il video insieme?): nell’attesa almeno – se è possibile – evitare le spiegazioni a presa per i fondelli. E questo è l’attuale calcio parlato.

Poi c’è quello “twittato”, grazie al quale si dipana in queste ore il calciomercato tra procuratori, clienti e club in Italia senza soldi, e per colpa del quale Balotelli ne scrive di tutti i colori (“non tifate per l’Italia” il tweet incriminato) e poi si pente ed è pronto alla prossima avventura di personaggio ormai costretto in uno scafandro di immagine a essere quello, e non soltanto il gran calciatore che grazie a madre natura è o sarebbe. Adesso è in Brasile con la Nazionale, per la Confederation Cup, nata una ventina d’anni fa per mietere denari in Arabia Saudita e poi nobilitata dalla Fifa fino a diventare competizione quadriennale dell’anno di vigilia dei Mondiali nella nazione che li ospita. Non mi pare che calcisticamente vincerla porti bene: serve piuttosto a testare gli impianti e il clima complessivo, e quindi stadi come nel caso il Maracanà dei sogni di noi ragazzi più che dimezzato nella capienza e forse trasformato in una bomboniera qualunque. L’Italia di Prandelli vista con la Cekia era poca cosa, stanca e demotivata. Un anno dai Mondiali è un lasso troppo breve e troppo lungo insieme: si deve avere un’identità di squadra ma le idee chiare per cambiarla.

AL MOMENTO NON ABBIAMO abbastanza né dell’una né delle altre. Magari un ambiente tranquillo favorirà la crescita, ma – Zidane e Blatter a parte – l’Italia di Lippi in Germania era “made in casino”. Forse spiragli arrivano da Israele, dove l’Italia Under 21, negli Europei di un torneo chiamato così anche se mi pare che in massa abbiano più di 21 anni, sta facendo molto bene. L’ideale sarebbe che i Verratti, i Marrone, gli Insigne e i Gabbiadini mettessero quanto prima in crisi dubbiosa Prandelli: tengo i senatori o passo alle nuove leve? Ma per arrivarci non basta che i primi facciano male oppure non abbastanza bene, devono confermarsi i secondi. Chiediamo lumi a Blatter, magari è “informato sui fatti” di Brasile 2014 più di ogni altro…

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06 08 2013

Galliani e il mercato
stile Forza Italia

IL DIRIGENTE MILANISTA CORTEGGIA LJAJIC E FA INFURIARE LA FIORENTINA
MENTRE LE ITALIANE SI FANNO STRAPAZZARE NELLE AMICHEVOLI AGOSTANE

E LA GIUSTIZIA SPORTIVA COLLEZIONA L’ENNESIMA FIGURACCIA
OMERTÀ SOVRANA Il nostro pallone è la faccia malata di una società malata
Sullo scandalo scommesse tutti sanno tutto e nessuno può parlare


Stanotte a Miami si gioca un derby d’Italia un po’ scalcagnato: perché Juventus e Inter sono ancora in piena fase di preparazione, perché finora hanno fatto poco perdendo sempre, di misura o di goleada, perché come tutti i club sono in questo periodo in giro non per soldi ma per denaro, per portare a casa qualche incasso in più che rivitalizzi i conti spesso esausti dopo spese azzardate. Tra Juve, Milan, Napoli e Inter ho visto solo spezzoni di quest’ultima, troppo brutta contro il Valencia in un’amichevole alla moviola per essere vera e per corrispondere al duro Mazzarri. Sembrava piuttosto l’Inter d’album di figurine tra Moratti e Thohir… E comunque come già scritto il calcio agostano può dire poco, molto o tutto con lo stesso margine d’errore ovviamente per il discorso sui vari stadi di preparazione ma forse soprattutto perché molto più che nella “finestra di gennaio” (non è poesia, è la prosa del calciomercato invernale) adesso i giocatori non sono ancora sicuri di niente. A partire dai rischi di infortunio precoce e a finire con le antipatie del neotecnico di turno al quale magari hai rivolto un’occhiata in tralice mal assorbita. E del resto che si giochino assai più partite contemporaneamente fuori campo lo dimostra anche l’ultimo intrigo dell’estate, il “giallo Lijaic”, cromaticamente molto viola ma anche un po’rossonero.
Qui si misura tutta l’abilità e la mancanza di scrupoli di un amministratore come Galliani, quasi sprecato per il Milan e maturo per Forza Italia, in un discorso da invertire per il suo datore di lavoro, che dopo aver fatto il colpaccio con Montolivo, preso un anno fa gratis a fine contratto, sta tentando il bis per qualche milione in più con il giovane serbo, pieno di classe e di Nutella. La meccanica è semplice: dovresti a rigore contattare prima il club d’apparte - nenza e solo dopo il suo benestare il calciatore. Galliani abitualmente fa l’opposto. Dove ha sbagliato (forse) questa volta? Che ha preso la Fiorentina e i Della Valle bros. per quelli di due anni fa, quando il club era in disarmo, nella confusione più totale, e la proprietà scazzatissima, incerta se vendere per acquistare un altro club, ad esempio la Roma dopo aver pensato pubblicitariamente al Colosseo.
Adesso il Milan rischia una magra figura, è probabile che la Fiorentina possa permettersi persino il lusso di far scegliere a Liajic tra la cessione ad altro club magari all’estero e la tribuna fissa per un anno se non trovano un accordo di reciproca soddisfazione per allungare il contratto in scadenza, di certo ne esce rafforzata la credibilità del club che solo due anni fa sembrava dover piatire (con la “a”) in giro briciole dalle squadre più forti.

DUNQUE questo calcio un po’ barzotto prova a distrarci con i gol estivi fatti e subiti, e con le cifre eclatanti che giungono dalla Spagna e dall’Inghilterra: Messi, per il quale il Barcellona chiede 580 milioni, Ronaldo, contratto prolungato dal Real a 50mila euro netti al giorno, Bale che il Tottenham pare non voler vendere al solito Real neppure per una cifra come 120 milioni, che certamente nessuno vale, neppure la freccia d’Albione nato terzino, riempiono discussioni e immaginario dei calciofili o calciomani. Invece come sempre quasi totalmente distratti nei confronti dell’ennesima imbarcata della giustizia sportiva di casa nostra. Lo vado scrivendo da una vita, l’ho rimarcato per Calciopoli, sette anni fa, quando il mio banale neologismo Moggiopoli (poi immediatamente rinominato) rischiava di far fraintendere l’insieme, sono tornato alla carica due estati fa quando riscoppiò macroscopicamente (all’apparenza…) lo scandalo delle scommesse.
Detto con linearità: 1) Il calcio è una faccia malata di una società malata, ed è da un pezzo al di sotto di qualunque etica. Questo vuol dire che sono tutti d’accordo nel delinquere? No, solo qualcuno e per svariati motivi. Però vuol dire che tutti sanno tutto e se non sanno è perché non vogliono sapere: giocatori, tecnici, staff complessivi, dirigenti e naturalmente giornalisti, che a cena tra addetti ai lavori (livori) chiacchierano di scandali e poi scrivono di mammolette, “come se” fosse tutto a posto. Moggi era il più bravo a fare quello che tutti facevano, e ha pagato per tutti in un mondo in cui la giustizia sportiva collude con una realtà rimossa, eufemisticamente “elastica” in tutti i suoi aspetti; 2) Poiché la giustizia sportiva, sia nella sua veste accusatoria (il solito Palazzi della Procura federale che chiede 4 anni e 6 mesi per Mauri e 6 punti di penalizzazione per la Lazio, ad esempio) che in quella giudicante (in primo grado sei mesi a Mauri e un “salutame a sorata” da 40 mila euro di multa senza altre conseguenze alla Lazio di Lotito), dipende dal Palazzo non essendoci né Montesquieu né la divisione dei poteri, ergo il nocciolo duro di un calcio scandaloso sta lì, e non nel singolo per truffaldino che sia; 3) Il Procuratore capo di Cremona, Di Martino che ha indagato sul serio sulle scommesse accennando senza mezzi termini spesso alla putrefazione di questo mondo, non si capacita del fatto che tutto ciò che accerta finisca insabbiato nel Reame Rotondo. E grazie: in un ambiente in cui tutti perlomeno sanno tutto rischierebbero un secolo a testa per omessa denuncia. Per questo tacciono.
È l’inverno della giustizia nell’omertà sovrana, bellezza, altro che il calcio estivo…

:stima:

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27 08 2013
L’agibilità calcistica di B.

DOMANI SERA IL MILAN CON IL PSV SI GIOCA UN INGRESSO

IN CHAMPIONS CHE VALE 30 MILIONI. FALLIRE, DOPO AVER

TANTO PENATO LA SCORSA STAGIONE PER UN TERZO POSTO

GARANTITO ANCHE DA CERTI “AIUTINI”, SAREBBE UN CATACLISMA
GAMBE INCROCIATE Dalla LegaPro la prima grana: i
giocatori annunciano uno sciopero per la prima giornata
Non piacciono i nuovi regolamenti sui tesserati


Prima di qualunque decisione del Pdl sul da farsi per difendere “l’agibilità politica” del proprio leader, domani sera sarà in ballo e in Balotelli “l’agibilità calcistica” del presidente del Milan: al Meazza, contro il Psv Eindhoven, dopo il pareggio (1-1) dell’andata nei preliminari di Champions League. Se passa entrano una trentina di milioni di euro, una differenza consistente dalla prospettiva di uscire e finire in Europa League, sorella minore della competizione continentale: una beffa, dopo aver tanto penato la scorsa stagione per rimontare un terzo posto garantito anche da aiutini e aiutoni arbitrali.

DIRETE: ma non è tanto un’agibilità calcistica, dunque, bensì economica con tutti i soldi che ballano in una sola partita e quando non è neppure finito agosto. Giusto: e del resto il leader di Arcore e Milanello non ha sempre detto di essersi candidato (nel ’94, quando ancora poteva farlo) per “salvare le mie aziende dal fallimento”? E allora sempre di agibilità economica si tratta, nei due casi summenzionati e temo per quasi tutto il resto. Il segnale che arriva dall’importanza di questo preliminare, getta ombre lunghissime sul protagonista dell’insieme pallonaro planetario, e nella fattispecie nostrano, il denaro. Che ormai latita da noi, senza sceicchi né magnati russi se non un indonesiano avvenire, identico al fratello col quale probabilmente combinerà scherzetti tipo Menecmi di Plauto. Intendo il probabile nuovo proprietario dell’Inter, certo Thohir, che rileverà a breve da Massimo Moratti la gloriosa azienda di famiglia per la quale si è svenato. Prima o poi qualche valente collega, meno incline al “ciccia e pappa” abituale di cene e interviste appiccicose, magari ci racconterà se tutto questo sperpero era dovuto a incapacità o a ladrocinio di qualcuno, e magari anche di chi, numeri alla mano (prevengo l’obiezione: diccelo tu. Ho già dato, in termini di inchieste sul campo. In un’intervista di quasi trent’anni fa, su Repubblica, chiesi al neopresidente interista Pellegrini, che l’Avvocato definiva “quello delle mense a Villar Perosa”, se fosse il più grande evasore dell’epoca, oppure, almeno in parte, un prestanome. Scambi al calor bianco. Lui: “Ma come si permette? Guardi che poco tempo fa ero a cena con Brera, e certo non mi ha fatto domande del genere”. Ribadii che avevo le sue dichiarazioni dei redditi, che non combaciavano con l’acquisto contemporaneo di Inter e Rummenigge. Ammise che non era solo). E tornando all’oggi e al calcio italiano, non c’è un euro in giro anche se fanno finta che ci sia, ridotti all’osso per diritti tv in discesa e sponsor latitanti, senza reali progetti aziendali a supportare il prodotto rotondoludico e rotondolalico. Con qualche eccezione: il risorto rigore dei Della Valle a Firenze e la managerialità glabra sullo stomaco di De Laurentiis a Napoli, che deve aver capito come si fa. Faccio grande cassa con Cavani, per dire, e rifondo più che rinforzo il protoNapoli di Mazzarri con un manipolo di bei giocatori (stranieri) e in panchina un Benitez dalla fisionomia troppo impiegatizia o norcina per non essere anche bravo. Di italiano, o meglio, di napoletano verace c’è, insomma, quasi solo lo stadio, il tifo, il clima: e lo scoglio contro il quale, nella gioia del debutto, è andato a infrangersi Higuain a Capri, aggiungendo ai primi 3 altri 10 punti, ma di sutura.

NEL FRATTEMPO la critica esalta a ragione Hamsik, ma equivocando, forse nell’entusiasmo da viceJuventus: il gran gol dello slovacco è il primo, quasi cadendo e non con il suo piede, e non il secondo.
Davvero non vi sareste meritati quello che oggi, a 33 anni di distanza, El Clarin di Baires definisce il più bel gol di tutti i tempi, meglio di quello favoloso di Diego Armando Maradona all’Inghilterra, Mondiali di Messico ’86, seguito alla “mano de Dios”: un video in un bianco e nero assai ingrigito ci fa, più che vedere, immaginare un dribbling infinito sempre suo, del Diego diciannovenne, nelle file dell’Argentinos Juniors, naturalmente con gol incorporato. Vogliamo almeno chiederci se una vita di Cristo fa (misura mirata per il principale tifoso del San Lorenzo de Almagro, in Vaticano) il denaro contava meno di oggi, nel calcio e nel resto? E quindi se stiamo andando avanti o indietro? Di sicuro non stiamo fermi, come invece accadrà alla prima giornata di Lega Pro, nel fine settimana: contrasti con il sindacato calciatori su numeri e denari per il minutaggio dei giovani e dunque subito un com movente sciopero. E pensare che domenica scorsa, su Radio Rai, il presidente della Lega Pro, il longevo Macalli, aveva elogiato solo la sua Lega sparando bordate contro “tutte le altre componenti del sistema”... Anche qui, più o meno camuffata, una questione di “agibilità economica”, di soldi che non ci sono o meglio non ci sono più. Dove sono finiti negli ultimi trent’anni, dall’avvento delle televisioni commerciali con il quale il nostro solito Caimano ha, come con tutto, qualcosa a che vedere? Prendiamo la Roma, che fa sorridere agli esordi con Garcia già graduato dalla vittoria in trasferta: secondo voi, se il direttore sportivo del club pseudo italo-americano vende al Direttore generale del Tottenham Lamela per 30 milioni, davvero è tutto lineare? E qualcuno ricorda che fino a 70 giorni fa, Sabatini romano e Baldini (ora) londinese lavoravano insieme? E il progetto dei giovani campioni (cfr. Marquinhos, ma anche Osvaldo prima di Lamela) era proprio questo, sicuri? Ma quale?

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24 09 2013

Fuga dagli stadi
Non sono i cervelli

SOLITA GUERRIGLIA URBANA DOPO IL DERBY DI ROMA. GRAVI INCIDENTI ANCHE
A MILANO, DOPO MILAN-NAPOLI. LA CURVA SUD ROSSONERA CHIUSA PER CORI
RAZZISTI CONTRO I PARTENOPEI. INTANTO BALOTELLI SI BECCA TRE GIORNATE

SEMPRE ARBITRI Dopo aver derubato la Fiorentina di un rigore sette giorni fa, il

signor De Marco, giudice di porta, fa lo stesso con il Milan. E domani arbitra la Juve

La compagnia spagnola Telefonica non è una concorrente del Real o del Barcellona, ma si vuol “pappare” le spoglie di Telecom (ex sponsor Inter come Pirelli) in saldo. E grandi appetiti multinazionali solleva lo “spezzatino” Finmeccanica. Entrambe, Telecom e Finmeccanica, sono state forzieri diretti e indiretti anche di soldi nostri. Eppure l’attenzione del momento è di gran lunga più mirata all’acquisto dell’Inter di Moratti da parte del magnate (non del mecenate) indonesiano Thohir.

Curioso, questo binario di denaro a montagne in settori diversi. Delle vicende finanziarie di due holding di quel livello si sa poco e comunque mai abbastanza, e riguarderebbero tutti i cittadini, meglio intesi anche come elettori. Delle vicende calcistiche dell’Inter sembra che si sappia tutto, anche se riguardano essenzialmente il tifo, un tifo che come è stranoto sta abbandonando da tempo eppure precipitosamente gli stadi. In comune i due settori hanno sia l’arrivo dei soldi stranieri sia una serie di domande che almeno qui, in questa pagina, riservo solo all’Inter. Allora: ma se uno sbarca in Italia a colpi di centinaia di milioni, come il summenzionato magnate, per fare business, evidentemente ce ne sono le condizioni. Thohir non è né vuole sembrare un benefattore.

E PERCHÉ LO FA e come conta di estrarre sangue dalle rape pallonare, o almeno quelle che ci fanno passare per tali da mezzo secolo, dai famosi “ricchi scemi”, i presidenti di allora secondo l’immortale Giulio Onesti “Salvator Coni”? E perché Moratti non lo sa fare (fin qui domande identiche per Telecom e Finmeccanica con alcune leggerissime aggravanti sul ciglio delle Procure e anche oltre), dico di cavar denaro da un business così attraente per un indonesiano? E quale forma dovrebbe assumere questo business se, appunto, si assiste a questa fuga dagli stadi che rimarrebbero molto più degli studi (televisivi) il set dove abitualmente ci figuriamo una partita di calcio?
Sono solo alcune delle domande che mi suggeriva una giornata calcistica piena di movimento, anche fuori degli stadi, more solito. A Roma una sintetica guerriglia a Ponte Milvio, nel dopo-derby, per non farci mancare quell’afrore di inciviltà nel quale sembriamo tanto a nostro agio, con fermi e arresti confermati, attacchi alla polizia, oltre mille agenti più i vigili a disposizione mentre servirebbero come il pane in altri frangenti. A Milano due accoltellati tra i tifosi del Napoli, tanto per garantire la continuità all’arma bianca. A Reggio, dove il Sassuolo di Squinzi apre le porte, i portoni, il tetto all’Inter indonesiana, con cori anti-napoletani dei tifosi interisti (italianissimi, eh, non ancora indonesiani...) che già giovedì si ritroveranno con la Curva Nord del Meazza chiusa per precedenti analoghi, e ci sarebbe un’Inter-Fiorentina d’alto bordo. E dunque, perché uno dovrebbe andare a mischiarsi con la paura e la tensione negli stadi italiani?
Dov’è il business? Nell’incertezza livellata del nostro campionato a (ri)prova di scommesse e “biscotti”, quest’anno all’apparenza più ondulato che mai? Con i Campioni tra i rinnovi e l’appagamento e il Napoli che sembra la Juve a colpi di “Don Rafaè”, il Mister norcino o del catasto che invece evidentemente conosce bene il suo mestiere e se continua così avrà in dote la canzone a lui dedicata senza necessariamente fare il verso a Cutolo il camorrista come fece il sublime De André. E poi con un’Inter provinciale che non prende (quasi) mai gol, una Roma ripulita almeno per ora da un tecnico “sano”, intonso dai veleni e in grado (forse) di mitridatizzarsi, una Fiorentina che fa di necessità virtù e scopre i suoi vicecampioni in erba al-l’ombra di Pepito Rossi tornato quel fenomeno che era. E poi ci sarebbe anche il Milan. Obietterete, se seguite il filo che porta da Finmeccanica ad Allegri... che è già a otto punti dal duo di testa. Vero. Ma non realistico.

IL MILAN di domenica è valso quasi quanto il Napoli ammazzasette a cui oggi gira – meritatamente – tutto bene. È pieno di difetti, ma anche di valori a partire da Balotelli che certamente è un fuoriclasse “straniero”, tanto è lontano dalla mentalità casareccia asfittica (anche il Rossi della Viola è a suo diverso modo “straniero”), uno che riempie il campo e a volte anche il fuoricampo.
Espulso per proteste, si è beccato tre giornate di squalifica, come Natali del Bologna. Abitualmente lo massacrano di falli e lui non porge nessuna guancia. Si aggiunga al tutto la questione arbitrale, che sarà decisiva anche se non se ne vuole parlare per tedio o per saturazione o per impotenza o per interesse del momento. Basti un solo episodio per prevedere che il livellamento in alto genererà “fischietti sospetti”. Dopo aver derubato da direttore di gara la Fiorentina di un rigore netto contro il Cagliari, il signor De Marco, stavolta giudice di porta, ha ignorato ier l’altro a Milano una strapazzata di Zuniga a Poli (sullo 0-1) in area, a un passo da lui. Domani arbitra la Juve a Verona contro il Chievo: che ci dobbiamo aspettare? Di tutto, di meno.
In un mondo rotondo che è un’altra faccia del solito prisma avariato che è il nostro sistema-Paese, tra un telefono, un elicottero e un pallone. Quest’ultimo con sempre meno spettatori.

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18 02 2014

Il coro ultrà all’ultima crociata
CURVE CHIUSE A ROMA, LE URLA DI “DISCRIMINAZIONE TERRITORIALE” PARTONO
DALLA TRIBUNA. LA SANZIONE ANTIRAZZISMO È SEMPRE PIÙ UNA BARZELLETTA
FALLITA COME LA TESSERA DEL TIFOSO. BASTERANNO “NUOVI” STADI? TEMO DI NO...

COSA NON VA Non bastano impianti moderni. Senza un vero

ricambio dirigenziale e culturale, farebbero certamente la fine dei vecchi

Sono passati oltre quattro anni da quando l’allora ministro degli Interni, Maroni, varò la tessera del tifoso: doveva essere il talismano per “guarire” gli stadi. Dall’estate 2009 il Paese è precipitato, insieme ai suoi stadi, e la tessera del tifoso è stata di recente rinfoderata con qualche lacrimuccia ipocrita, genere “hanno vinto i teppisti”. Mah... Nel frattempo il nuovo presidente del Coni, che ha rottamato parte della vecchia nomenklatura nel solito simpatico modo gattopardesco, chiede “le celle negli stadi” giacché al momento sembra arduo ipotizzare gli stadi nelle celle. La cultura sportiva evolve velocemente e adesso l’ultimo grido negli stadi è appunto un grido, un coro, un affiato canoro di gruppo. Cori e coristi per i quali gli stessi pensatori delle altre misure hanno da tempo escogitato una misura punitiva che va sotto la formula di “discriminazione territoriale”.

È successo per esempio alla Roma per la curva chiusa con la Samp due giorni fa, quando però i cori sono stati intonati dalla tribuna; non dispero che presto, visto il livello spesso raggiunto da tribune vip, la moda si trasferisca anche lì, nel qual caso la Lega invece che chiudere singoli settori completerebbe l’opera. Preciso che non è un problema del singolo club e dei suoi tifosi. Infatti non è un problema bensì una questione: la questione “stadi”. Che cos’è oggi, come viene utilizzato, che partita si gioca sugli spalti e che interrelazione ha con quella che si gioca in campo, che ipotesi sono possibili o probabili per il futuro, in un range che va dalla ritrasformazione dello stadio nel teatro del calcio alla sua chiusura per raggiunti limiti di pericolosità e inutilità, essendo la tv da un pezzo il nuovo set cinematografico del pallone. Ogni tanto qualcuno ne parla, soprattutto invocando “nuovi stadi” e leggi per costruirli, meglio se pretesto per enormi speculazioni immobiliari. Peccato che i “nuovi stadi” senza nuovi dirigenti e una differente consapevolezza di che cosa rappresenti oggi la Rotondomania applicata farebbero certamente la fine dei vecchi.

Pensate che i cori su romani o milanesi, napoletani o veronesi ecc. smetterebbero solo perché il luogo dove avverrebbero essendo “nuovo” farebbe da deterrente? Pare il discorso sul Rottamatore Renzi e la politica nostrana, a dimostrazione che tutto si tiene. Ovviamente giunti fin qui ci si chiede: che proponi? In attesa di seminare per raccogliere (è vero che la faccenda richiede tempo ma prima si comincia meglio è), almeno si pesino le ordinanze e le parole, specie se chi parla ha delle consistenti responsabilità pubbliche.

La penalizzazione dei cori presumibilmente non porterà a nulla per la difficoltà a restringere settori e senso dei cori stessi in una “discriminazione territoriale” che già nella dizione ha un che di Totò. Proprio come la tessera del tifoso. Invece infittire i controlli per non far entrare nulla di estraneo negli stadi, in tutti gli stadi, ha un valore evidente a condizione che valga erga omnes. E non è così oggi. Manca solo la discriminazione territoriale degli ingressi. Altra cosa che una classe politico-sportiva meno raffazzonata e incolta potrebbe e dovrebbe evitare, sono le palesi incongruenze del giudice sportivo.

Si è visto nelle due semifinali di ritorno di Coppa Italia, in cui la Fiorentina avviata su un percorso virtuoso ha pagato una ammenda consistente per il ritardo nel far arrivare i palloni in campo, e niente è toccato allo stadio di Napoli in un acre odore di tregenda evitata e di bombe carta. Si parta da qui, da un minimo di raziocinio opposto all'imbarbarimento magari ricordando che non si possono mettere sullo stesso piano i coristi da stadio e coloro che, deputati a garantire sport e spettacolo sportivo decenti, invece straparlano.

Dici “straparlano” e per il campo pensi a Conte, divampato in polemiche tv con Capello sul tasso di juventinità smaltata e vincente delle squadre allenate da due a dieci anni di distanza o giù di lì. Ebbene, sul piano della parola e dell’esagitazione dopo Crozza non resta molto da dire sul pluridecorato Mister degli Agnelli: una camomilla, e contare fino a dieci prima di parlare. Celentano insegna che, specie in tv, a saperlo gestire il silenzio è d’oro. Delle scommesse di Conte, absit. Ma come tecnico io credo che sia straordinario, alla lettera, che cavi dai campioni o dalle rape tutto quello che può cavare. Credo insomma che questa Juventus immatura in Champions sia dominatrice in Italia soprattutto perché in panchina cioè in piedi c’è lui. Non che Garcia sia male, anzi, e si vede e probabilmente può solo migliorare se l’ambiente non lo scarnifica, né Benitez, né il Montella solitamente sornione e con l’Inter supponente (l’ha rivitalizzata anche psicologicamente senza punte di ruolo). Ma Conte oggi se sta zitto e non cade in tentazione è fenomenale.

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04 03 2014

Juve, scudetto per ko tecnico
CAMPIONATO ORMAI SENZA STORIA. L’UNICA SCINTILLA È LA LITE TRA ANTONIO CONTE E IL CT DELLA NAZIONALE PRANDELLI, CHE CONVOCA CHIELLINI, REDUCE DA UN INFORTUNIO, PER L’AMICHEVOLE CON LA SPAGNA E FA INFURIARE I BIANCONERI
CHI LI ALLENA? Chissà perché in Inghilterra (e non solo) si gioca ogni tre giorni senza patire e senza tante storie. Qui da noi, invece, sono sempre stanchi

Detto che assai difficilmente Maradona avrebbe dedicato un suo Oscar a Sorrentino, resta la questione dei due delitti commessi purtroppo sempre dal maggiordomo inteso come categoria, per il quale non c’è quota al betting dei giallisti. Chi ha ucciso il campionato? E chi doveva essere se non la Juventus, macchina da punti che raccoglie risultati, sempre o quasi anche quando a lungo dà l’impressione di poter soccombere? Né c’è bisogno di occasioni nobili per tradizione come l’ultima del Meazza: se il Milan gioca meglio del solito e non segna contro una squadra comunque sotto pressione dall’inizio del torneo, prima per la necessità di ben figurare in Champions e poi adesso per la necessità di “vincere almeno” il suo terzo scudetto di fila con Europa League incorporata, bè, chi deve vincere è chiaro.
Ammetto che gli stessi pensieri mi sono venuti in circostanze più di routine, che so, quando in casa con l’Udinese giocava certo peggio ma si capiva che avrebbe vinto, come poi è accaduto, e con merito perché “se non ci sono episodi sospetti” saper segnare fa la differenza. Quindi l’assassino era fin dall’inizio la Juventus e bisogna ringraziare l’annata strepitosa della Roma che ha fatto da sparring per sei mesi.

Adesso sono tutte stanche in un calcio di livello poco più che mediocre, e come nelle gare di mezzo fondo allo sprint non vince chi scatta più veloce ma chi cede meno sul ritmo e “sembra” stia facendo la volata. È esattamente quello che accade atleticamente, tecnicamente e tatticamente alla Juve: cede meno delle altre. Quanto al confronto con i campionati migliori, aspetto ancora la spiegazione sul perché – poniamo – in Inghilterra giochino e corrano ogni tre giorni, e da noi no: lo stress psicologico, la pressione, la stanchezza… Qui casca l’asino, o meglio una mandria di asini. Mi piacerebbe che due pensatori esimi del settore come Conte “panchina d’oro” e Prandelli, oggi in polemica sulla convocazione di Chiellini in Nazionale (prematura per Conte che lo vorrebbe risparmiare al rientro dopo l’infortunio, tempestiva per il ct perché “se sta bene per il medico della Juve starà bene anche per quello della Nazionale e quindi per me”), si confrontassero piuttosto su questo: da che dipende che non reggano tre partite a settimana e a ritmi solitamente più bassi che in Europa? Da come si allenano? E chi li allena, se non loro? Dalla mentalità? E Conte non è un fenomenale motivatore, tanto da vincere appunto il “motivatore d’oro”?
Insomma, siamo anche in questo campo così popolare pienamente in riserva. Anche perché se c’è un assassino che circola sui campi italiani latitando al massimo livello su quelli continentali, c’è un altro assassino che fuori campo compie una serie ininterrotta di delitti. Il reato è quello solito, di condizionamento delle partite da parte degli arbitri solitamente a favore dei più forti. Su questo è cresciuto il cosiddetto “scandalo più grande della storia del calcio”, appunto Calciopoli (e non Moggiopoli, attenzione): ma se oggi con gli arbitri succede come prima, forse c’è qualche aspetto della faccenda di malaffare che è rimasto in penombra…
Avevamo trovato l’assassino, l’Al Capone della Juve, e i delitti continuano ogni domenica? Perché? Come mai? Proviamo sinteticamente a rielencare per punti le nefandezze di questo assassino, chiamandolo per nome come quell’altro, summenzionato: il delitto arbitrale viene commesso da una Casta inferiore che fischia, che dipende da un’altra Casta superiore, l’Aia con annesso designatore ed effetti dirigenziali collaterali, che a sua volta dipende dal potere politico calcistico, ossia la treccia di Federcalcio e Lega di Serie A, a loro volta ostaggi dei club maggiori, quelli che vincono più spesso e contano di più, sia economicamente (cfr. pubblico, pubblico tv, diritti ecc.) che politicamente essendo l’anello di congiunzione tra i poteri extrasportivi e quelli sportivi.

Tutto banale e risaputo, ma trascurato quando si è ragionato malamente di Calciopoli e ancora oggi, quando si ulula per i rigori negati o concessi secondo parametri stranoti. Il punto è che questo sistema sta bene a tutti, altrimenti si sarebbe catturato l’assassino, e a coloro che invece ne sono vittime e lo cambierebbero volentieri spetta un ruolo da comprimario, in campo e fuori. Domanda, come per il livello di allenamento per il primo dei due assassini: e se cominciassimo a separare gli arbitri (leggi terminali del potere giudiziario) dal potere esecutivo e da quello legislativo del sistema pallonaro? Lo so è Montesquieu in calzoncini e lo scrivo da anni, cioè da decadi: ovviamente nessuno se ne dà per inteso, e la casta ben preservata continua a far danni risultando a volte decisiva. Ma non s’è sempre detto che l’arbitro migliore non si deve notare? Da noi non succede mai perché la Casta “interessatissima” funziona da paracadute un po’ per tutti. È la traduzione pallonara del “familismo mafioso” tanto in auge nel Paese. È insomma nient’altro che il calcio, bellezza, da cui è partito Sorrentino con Un uomo in più per arrivare a Los Angeles...

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22 07 2014

Conte, il coperchio
e la pentola esplosa

IL TECNICO ARGINAVA LE FRIZIONI E I DISSAPORI DI UNA SQUADRA CON TROPPE
TESTE ORA CHE È ARRIVATO ALLEGRI, LA JUVE ASSOMIGLIA SEMPRE PIÙ AL
MILAN

(E CI MANCAVA PURE NEDVED CONTRO CHIELLINI, FUORI TEMPO MASSIMO)
PARENTI SERPENTI Andrea si considera l’erede del notabilato famigliare, i due
Elkann non gli vogliono lasciare spazio e soldi, lady Agnelli polemizza su Twitter


Il Diavolo fa le pentole e non i coperchi, famoso detto che Barbara Berlusconi, fresca di notturni e specifici studi, fa risalire a Niccolò Tommaseo. Comunque sia, è esattamente il detto che fa per noi. E per l’attuale situazione della Juventus, gloriosa tricampeon d’Italia sotto la guida del tricofilo Antonio Conte. Non solo perché il Diavolo richiama il Milan, e sulla panchina tricolore è finito d’urgenza ambulatoriale l’ex Allegri, sbolognato dal Milan stesso della Berlusconi family. Ma soprattutto perché il gran casino nel pentolone juventino lo fa sembrare una fattispecie del Milan (quello però perdente, non era estate e non si giocava per i 3 punti...) degli ultimi due anni (tre anni fa ci fu una inopinata marcia a gambero che donò lo scudetto ai miracolati del trio Agnelli Andrea, Marotta e naturalmente Conte).

Il problema, più del pentolone ribollente, sembra proprio il rapporto del medesimo con il suo coperchio. Un rapporto davvero interessante, quasi di scuola. La Juve riemerge da Calciopoli, in cui era finita per l’uso strumentale di generale capro espiatorio del trio Moggi-Giraudo-Bettega da parte degli eredi Elkann, e dopo qualche stagione tremebonda aveva trovato nell’assai discusso Conte (come figura di parecchio interesse per la Procura federale non certamente come tecnico, un caimano di valore assoluto) il mentore per tre stagioni fenomenali in Italia, ahimé senza risucchio in Europa.
Il problema è che Conte aveva fatto non solo da Mister di training e di partita, ma anche da coperchio alla famosa pentola nel fondo della quale nessuno va d’accordo con nessuno: Andrea si considera l’erede calcistico-mediatico-politico (in senso lato) per eccellenza del notabilato famigliare, i due Elkann non gli vogliono lasciare spazio perché entrambi con Montezemolo hanno f***** il non irreprensibile Lucky Luciano e dunque non vogliono – né l’artista né il manager o sedicenti tali – aver pasticciato tutto ciò per nulla, per far sì che il palcoscenico rimanga ad Andrea. Marotta ha mediato finché ha potuto tra Agnelli e Conte, ma non è il suo mestiere, non sa farlo e pendeva fin dall’inizio e pende per l’azienda più della Torre di Pisa.
Conte è un fulminato dalla grazia professionale e dalla totale mancanza di autoironia a tal punto d’aver creduto di “essere semplicemente lui la Juventus” e non soprattutto un pretesto “coperchiale”. Così il SuperMister, vinto matematicamente anche il terzo titolo consecutivo a colpi di 100 punti, avendo tatticamente le idee chiarissime si precipita a Barcellona a contattare direttamente prima dei Mondiali Alexis Sanchez, l’ex udinese nino maravilla, il primo indispensabile tassello per la nuova Juventus.
Com’è come non è, conclude meglio e più lui di un dirigente e trovano l’accordo. Felicissimo, Conte lo comunica in società cosicché Marotta spedito da A.A. va a Barcellona a chiudere. Chiedendo però a Sanchez uno sconto milionario. Il “nino”, già d’accordo, prima si “maravilla” e poi si incazza e a quel punto dice a Marotta che non andrà più alla Juve. Basta come esempio dell’andazzo? Oppure devo ricordare anche quello che trovate già in giro (non tutto è uno scoop de il Fatto, rassegnatevi...), e cioè Nedved, figura importante almeno all’apparenza carismatica che dice di Chiellini ma ora, a quasi un mese di distanza, quando davvero non serve a nulla, “sono furioso per la sua reazione dopo il morso” del vampiro Suarez, o anche dell’Agnelli Lady, Emma Winter in Twitter, che se ne esce con un “Andrea non sta sul divano a girarsi i pollici, fa del suo meglio per risolvere un problema che qualcun altro ha creato”...?

Voglio dire complessivamente ciò che non interessa il tifoso, che pensa Conte sì/Allegri no, ma di solito ignora anche le briciole di ciò che davvero accade. E che accade? Sta scoppiando la pentola, il pentolone di un grande club con le sue brave contraddizioni che ha avuto bisogno di un coperchio in ferro battuto e poi lo ha fatto saltare perché non ne poteva più. Conte ha la colpa imperdonabile di aver fatto da coperchio, lasciando ossidare il suo metallo mentre nella pentola bolliva di tutto o quasi. Per carità, niente di straordinariamente inedito, come diceva quello (il Tommaseo?) “È il pallone, bellezza!!!”, ma certo tutto possiamo fare meno che stupirci. È una questione di cucina, di temperatura, di pentole, di MasterChef: chi dopo Allegri, Cracco?
P.S. Poi ci chiediamo perché facciamo sorridere in Europa e ridere ai Mondiali...

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bisogna cominciare a catalogare le versioni dell'addio di conte

dividerle per tempistica causa colpevolezza fine

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25 11 2014

La Juventus perdona solo Moggi
LIQUIDARE TUTTO LIQUIDANDO BIG LUCIANO COME FA AGNELLI È EQUIVOCO.
E POI È DA DIMOSTRARE CHE IL POTERE SPORTIVO-CALCISTICO DI OGGI SIA PIÙ
TRASPARENTE DEL PRECEDENTE. E LE TRAME DI IERI NON SONO ANCORA CHIARITE

METAFORA- DERBY Spalti ricolmi, milioni davanti la tv e spot su spot, un
sovrapprezzo che pesa sui clienti. E in campo uno spettacolo men che decente


Perfetta metafora del calcio, magari non solo nostrano, quella offerta domenica sera al Meazza dal derby di Milano: spalti ricolmi, milioni davanti alla tv per la gioia delle emittenti pay e la valorizzazione degli investimenti pubblicitari, cioè un sovrapprezzo ai prodotti che pesa sui clienti, sempre noi... E sul terreno di gioco uno spettacolo men che decente, di quelli che fanno sospirare gli ex campioni commentatori in studio come a dire “ai tempi nostri questa gente non avrebbe mai visto il campo”. Perché tutto ciò metaforizza Rotondolandia? Perché un po’ dappertutto la bomboniera pallonara acquista valore e i confetti sono sempre più rancidi, essendo la qualità del calcio giocato in trend inversamente proporzionale al movimento che genera intorno a sé. La Rotondomania sta colonizzando il pianeta, andando in cerca di aree finora arate da altri sport (cfr. il pallone in India, per dire), e il business cresce per un prodotto che peggiora.

Il derby tra il vecchionuovo Mancini e Superpippo telecomandato da Berlusconi ne è stata la esemplare dimostrazione. Sì, nella giornata dominata soprattutto dalla Juve e dalla Roma di conserva, segnalasi il gol n. 200 in serie A di un ragazzotto oramai di oltre mezz’età dantesca che da bambino palleggiava per ore con un’arancia e adesso lo fa senza scomporsi di nulla nelle aree pallonare urbane più affollate, Totò Di Natale. Ma sono chicche in un contesto deplorevole, in cui il fuoricampo la fa da padrone su quello che si vede in campo. Del resto ormai da anni i registi fanno inquadrare la smorfia di tizio o le dita nel naso di caio, in panchina o in tribuna, dando loro assai più risalto che non alle sgiocate che ci propinano i nostri eroi decadenti. E i media garriscono certamente per Pogba e Tevez, capitani di ventura della squadra attualmente migliore d’Italia ma sempre a rischio in Europa, ma smaltano assai di più le dichiarazioni - che so - di un Andrea Agnelli che parla di Moggi. Sembra passato un secolo da Calciopoli, quando il rampollo non esisteva ancora sotto i riflettori, ma sono solo otto anni, pochi “per la storia centenaria della Vecchia Signora”, e nel frattempo è passata la B per la Juve, le stagioni incerte in A e da Conte in poi la completa resurrezione scudettata degli ultimi tre anni. Adesso il tempo pare sopire e troncare, quindi per Agnelli “Moggi è una parte importante della nostra storia e visto che siamo in un Paese cattolico lo si può perdonare”. Tradotto per gli stenti logografi dell’ambiente, se ne deduce una sorta di “riabilitazione” per il Barbablù del pallone d’antan, che avrebbe fatto le stesse cose fatte anche da altri, leggi l’Inter, che si è attribuito scudetti a tavolino. Moggi, piccato, ha risposto di “non aver bisogno di alcun perdono, semmai di un elogio”.

È un modo per riesumare una vicenda che malgrado la radiazione sportiva dell’ex Direttore Generale del club plurititolato e la sua condanna in due gradi di giudizio in attesa della Cassazione, il prossimo 22 gennaio, a parer mio rimane ancora fondamentalmente oscura. Liquidare tutto liquidando Moggi o additandolo al perdono come fa Agnelli è perlomeno equivoco. Intanto, perché è tutto da dimostrare che negli ultimi otto anni, scommesse a ripetizione comprese, il calcio e la sua Rotondocrazia siano rimasti indenni da macchie e condizionamenti, che gli arbitri improvvisamente abbiano sbagliato sì come prima ma “in buona fede”, che il potere sportivo-calcistico sia più trasparente di quello precedente. Chi ci metterebbe la mano sul fuoco, tra i tanti Muzio Scevola che ne discettano? Poi perché nulla ci dice il nipotino Agnelli delle trame famigliari e d’impre - sa intorno alla Juventus di quegli anni, con incontri indebiti assai prima della deflagrazione di Calciopoli, nel 2004, morto l’Avvocato e Umberto, tra John Elkann e Jean Claude Blanc per ingaggiare quest’ultimo volendo eliminare Moggi. Infine perché in Appello a Napoli si è sentenziato che tutte le partite dei campionati incriminati nel relativo processo “sono risultate regolari”, il che ci lascia ritenere che Moggi e company abbiano tramato per hobby, senza costrutto. Ma per tramare forse avevano bisogno di un ambiente adatto, nel quale tutti sapevano e nessuno parlava. Anzi tra club e media di Moggi e Giraudo erano stati fatti degli idola tribus: la conclusione potrebbe essere, fuori dai brocardi, che nel marciume dilagante pallonaro guizzavano tutti, e Moggi lo faceva semplicemente meglio.

E tra quei tutti c’è posto oltre che per i presidenti di club anche per le dirigenze istituzionali, la giustizia sportiva e insomma tutto il Palazzo straintercettato nelle conversazioni di allora eppure uscito lindo e pinto, rigenerato dalla “cattura del capobanda”. E ci credo che se alla Craxi del “chi non c’entra scagli la prima pietra” Moggi non vuol sentir parlare di perdono, è perché in un mondo in cui guidavano tutti contromano hanno beccato solo lui. E questo Agnelli lo sa benissimo. Ma parla impropriamente di “perdono”. Per parte mia mi accontenterei di una confessione generale, ma si sa, sono all’antica...

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27 01 2015

Tutto cominciò con Zaza. Michele
LE PROCURE SCOPRONO OGGI CHE IL CALCIO NOSTRANO È SENSIBILE ALLE INFILTRAZIONI
CRIMINALI: MA È DAI TEMPI DEL MUNDIAL CHE GLI AFFARI SI FANNO IN CAMPO
INTANTO LA JUVE CONFERMA LA REGOLA: FILIERA SANA = SCUDETTO VINTO (IL QUARTO)

IL CONTRAPPASSO Il contrario di quanto sta accadendo a Milan

e Inter: acquisti da figurine e sfoggio delle porte girevoli

Con l’inaugurazione dell’anno giudiziario sono fioccati gli interventi su “calcio & criminalità”, modello “s’ode a destra uno squillo di tromba...”. Da Roma il Procuratore generale, Antonio Marini, ha affermato che “crea forte preoccupazione l’infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo del calcio come emerge da una serie di episodi e di inchieste giudiziarie avviate di recente”. E da Lecce il presidente di Corte d’appello, Marcello Dell’Anna, ci ha fatto sapere che “i gruppi criminali acquisiscono, attraverso una modifica del rapporto con la società, una sorta di legittimazione sostitutiva degli organi dello Stato. In tal senso vanno interpretati i segnali di infiltrazioni della criminalità in squadre di calcio che si pongono come canali di riciclaggio dei proventi di attività illecite. Si spiega così, ad esempio, l’acquisizione da parte delle associazioni criminali del ruolo di recupero crediti...”.
Bah... se dovessi dirvi che tali esternazioni mi hanno lasciato sbalordito, mentirei per la gola. E c’è un motivo per questo, che ha un cognome preciso: Zaza. Lo so, specie l’anagrafe recente vi fa immediatamente pensare al centravanti del Sassuolo oggi così desiderato dalla Juventus, un talento già nel giro della Nazionale di Conte che fa di nome di battesimo Simone. Trattasi però di pura omonimia. Lo Zaza a cui mi riferisco è o meglio era perché defunto da vent’anni in carcere per il cuore debole è Michele, boss camorrista degli anni 70 e 80, che giocò un ruolo decisivo nell’“affaire Camerun” dei Mondiali di Spagna 82. Quando andai a intervistarlo a Regina Coeli, quattro anni dopo, mi disse testualmente davanti a un testimone allora segretario di un partito politico: “Pertini doveva fare cavaliere a me, non a Sordillo, ho fatto tutto io”.

Nota per chi non sa o non vuol sapere o semplicemente preferisce non ricordare: l’avvocato Federico Sordillo cui si riferisce Zaza, detto “Michele o’ pazzo” per il cuore e tutto il resto, era il suo legale e per una meravigliosa coincidenza astrale anche l’allora presidente della Federcalcio. Sul pasticcio-Camerun, che permise all’Italia di passare il primo turno di quel “favoloso Mundial”, poi vinto, rinvio ad articoli e libri dell’epoca, con abbondanza di mistificazioni da parte di quasi tutto il sistema massmediatico, rintracciabili via Internet. Ma almeno concedetemi di dirvi che dopo quello scandalo, di corruzione e scommesse già all’epoca, adesso avrei tanta voglia di sedermi a un tavolo con i Marini e i Dell’Anna nell’anno di grazia 2015 per chiedere loro dove fossero trent’anni e più fa. Tutto quello che è successo dopo, intendo la miriade di scandali che sembra sempre travolgere un pallone che invece, in mancanza d’altro nel nostro meraviglioso sistema-Paese, si flette soltanto ma non si spezza mai, è una conseguenza di allora, e di prima di allora. Alla faccia del binomio “calcio & criminalità” periodicamente resuscitato.
Il nodo vero è che di Zaza Michele nessuno voleva né vuol sentir parlare, saturo com’è di cattive notizie. Mentre di Zaza Simone, di calciomercato e calcio giocato, tutti sembrano sentire il bisogno, in una tossicità rotondolatrica che commuove. Dunque Simone, e non Michele… La volontà di acquisirlo già ora da parte della Juventus permette e invoglia a parlare di club, della loro salute, del loro modus operandi. Ebbene, la Juventus in questo senso, tifo a parte che non mi pertiene, è indubitabilmente un modello almeno tra le mura di casa.

Non si vincono tre scudetti dopo la tempesta di Calciopoli (fidatevi, tutta interna alla Juventus stessa in un pro e contro Moggi che si è tradotto in un’inchiesta colabrodo, sia sportiva che ordinaria), non ci si avvia a vincere il quarto senza una società fondamentalmente sana, base di una filiera che porta allo staff tecnico e poi ai singoli giocatori. Certo, lo stadio proprio, certo, i soldi investiti... ma che non fosse solo Conte oggi è una realtà e ne devono prendere atto tutti. Il discorso sugli arbitraggi lo lascio da parte perché viene a noia. Si aiuta il potere, cioè chi guida in politica sportiva societaria, per sudditanza logica e non psicologica, e ovviamente chi vince ha più occasioni per essere favorito essendo più forte. Tornando ai club, credo che la Juve domini per la qualità dei campioni cfr. Pogba ma solo come componente della filiera che ho richiamato, perché si allena di più e magari meglio, perché ha una base di giocatori italiani, perché non si stanca di primeggiare ecc.
È esattamente il contrario di due club che le contendono i palmares nazionali e la sopravanzano in quelli internazionali, Milan e Inter: è inutile attaccarsi a Inzaghi o alla sfortuna, è quella benedetta filiera di una società coesa e forte che trasmette sicurezza e non si inventa campagne acquisti da figurine come sta accadendo al Milan di Cesano Boscone/Milanello e all’Inter indonesian-morattiana, in cui tecnici e giocatori fanno sfoggio di “sliding doors”. Il bello e la fortuna del pallone è ancora la sua fondamentale semplicità: se funziona l’azienda, si va in gol, tutti. Naturalmente a parte le parentesi con gli Zaza Michele...
 

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10 08 2015

Una pioggia di milioni sul calcio malandrino

 

L’impresa “agonistica” più impressionante di questi ultimi giorni ha il nome di un quarantenne sudanese, Abdul Rahman Haroun: è vero, la sua è una “disciplina” molto particolare, di un’infinita tragicità, ma se agonismo e agonia hanno la stessa radice greca e ciò che ha fatto Haroun è anche fisicamente qualcosa di eccezionale, vale la pena di rimarcarlo. L’uomo è un migrante che si è fatto al buio, in un giorno, a piedi, nei 90 cm tra la parete e il binario su cui corrono i treni ad Alta Velocità tra Calais e  il Kent, gli oltre 50 km del Tunnel della Manica, per poi essere arrestato dalla polizia inglese. Se questa è una misura della disperazione, possiamo regolarci di conseguenza.

 

Per tornare ai nostri montoni di tutti i giorni, l’evento più grottesco è rappresentato invece dalla telecronaca di Juventus-Lazio da Shanghai per la Supercoppa italiana. Per una pura questione di soldi si è giocato lì come già in passato (dai cinesi sono arrivati 1,5 milione di euro a club più 300mila alla Lega Calcio), in uno stadio pieno, su un terreno miserando e con riprese cinesi in mondovisione. Orrende, al limite del ridicolo, come sapete: affidate a una produzione cinese da Infront, la società che gestisce per conto della Lega suddetta gli eventi e ha un passato e un presente contigui a Mediaset. Curioso, le altre partite amichevoli arrivate dalla Cina nell’ultimo mese sui canali Mediaset erano di buona fattura televisiva, quella dell’altro ieri su Rai 1 invece un disastro… E davanti ai teleschermi c’erano oltre 4 milioni e 600 mila telespettatori, un italiano su tre tra quelli con la tv accesa. Ma tutto questo in buona parte già lo sapete, o almeno lo avete letto ieri su queste pagine. Ho cercato la versione dei fatti nel principale quotidiano sportivo de’ noantri, la _Gazzetta_ dello Sport, che ha dedicato le prime sette pagine intieramente all’evento, a partire dal titolone ovvio sulla Juve vincente in prima.

 

Ebbene, sull’aspetto televisivo, che giocandosi a Shangai ha riguardato pressoché tutti gli italiani interessati, c’era solo un pezzetto, troppo scarno e impaginato con troppo poca evidenza per rendere l’idea di che cosa fosse successo e del giro di interessi bianconeri (non nel senso juventino…) da ricostruire dietro quelle riprese. Cito l’esempio perché in questo caso o ci fanno o ci sono: o preferiscono lasciare i tifolettori nell’ignoranza o sottovalutano di gran lunga il peso di una tale vicenda. E poi ci si domanda perché il mondo del calcio e più in generale la società italiana affondano vieppiù nel becerume. C’è un forte contributo mediatico a spingere in questa direzione. Si obietta che allo “sportivo” (virgolettato, perché ahimé temo sia una specie quasi estinta) interessa piuttosto sapere come hanno giocato le due squadre, gli acquisti che fanno ecc. ecc. E’ esattamente il criterio con cui in politica, in economia e nei vari generi di cronaca ci si ferma in superficie e tutti credono di sapere mentre non si sa quasi niente.

 

Quello che si sa è, a proposito di calciomercato a due settimane dal campionato, che la Juventus ha cambiato pelle tattica ma resta la più forte, avendo investito bene i suoi denari, tra l’altro italiani: per un Tevez, un Vidal o un Pirlo che vanno, c’è un Mandzukic e un Dybala (e un Khedira, e uno Zaza) che vengono. Dietro hanno speso frotte di milioni (italo-americani, indonesiani e thailandesi…) la Roma, l’Inter e il Milan, che adesso debbono vendere non tanto o solo per una questione di bilancio ma di truppe di giocatori da smaltire, né più né meno che se fossero figurine. Più oculate la terza e la quinta dello scorso torneo, la Lazio e il Napoli, la prima contando su un organico soddisfacente e rinforzato, il secondo su una rivisitazione completa a partire dal tecnico.

 

L’impressione generale, comunque, è che a parte la lungimirante Juventus le altre non coltivino progetti a lungo metraggio, giacché si privano di giovani propri come Bertolacci, forse Romagnoli, El Shaarawy  (è italiano…) ecc. Fa eccezione la Fiorentina, che conserva i Bernardeschi e i Babacar ma risente del braccino corto della proprietà. Il fratello sportivo dellavallesco, Andrea, vorrebbe potenziare la squadra per difendere o migliorare il quarto posto degli anni scorsi, ma l’astuto Diego pensa solo allo stadio e casomai a vendere (anche la società, se se ne presentasse l’occasione?), non a comprare. Così nelle trattative la Fiorentina o esce perdente o sembra sempre che le manchi un euro per completarle. Peccato.

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