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Socrates

Paolo Di Canio

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Di Canio: «Centrocampo Juve? Si salva Locatelli, ma serve Pjanic»
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2103581049_juve1989.png.383ac6375eb250600800fe370b18dcf1.png  PAOLO DI CANIO

 

Pin on Footie

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Di_Canio

 


Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Roma
Data di nascita: 09.07.1968
Ruolo: Attaccante
Altezza: 178 cm
Peso: 72 kg
Nazionale Italiano Under-21
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1990 al 1993

Esordio: 05.09.1990 - Coppa Italia - Juventus-Taranto 2-0

Ultima partita: 06.06.1993 - Serie A - Juventus-Lazio 4-1

 

112 presenze - 7 reti

 

1 coppa Uefa

 

 

Paolo Di Canio (Roma, 9 luglio 1968) è un commentatore televisivo ed ex calciatore italiano, di ruolo attaccante.

 

Paolo Di Canio
Paolo Di Canio Upton Park 11 September 2010 (cropped).jpg
Di Canio nel 2010 ad Upton Park
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 178 cm
Peso 72 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex attaccante)
Termine carriera 2008 - giocatore
2013 - allenatore
Carriera
Giovanili
1984-1986   Lazio
Squadre di club
1986-1987    Ternana 27 (2)
1987-1990   Lazio 54 (4)
1990-1993   Juventus 112 (7)
1993-1994    Napoli 26 (5)
1994-1996   Milan 37 (6)
1996-1997   Celtic 26 (12)
1997-1998   Sheffield Wednesday 41 (15)
1998-2003   West Ham Utd 117 (48)
2003-2004   Charlton 31 (4)
2004-2006   Lazio 50 (11)
2006-2008   Cisco Roma 46 (14)
Nazionale
1988-1990 Italia Italia U-21 9 (2)
Carriera da allenatore
2011-2013   Swindon Town
2013   Sunderland
Palmarès
 
Transparent.png Europei di calcio Under-21
Bronzo 1990

 

Biografia

È sposato con Elisabetta, dalla quale ha avuto due figlie, Ludovica e Lucrezia.

Nel settembre del 1999 ha realizzato un cortometraggio come attore dal titolo Strade Parallele. Girato in quattro settimane, è stato realizzato dal regista Luca Borri. Ha anche recitato, in Inghilterra, per uno spot della Imperial Bathtime.

Carriera

Giocatore

Calcio

Club
Gli inizi
180px-Serie_A_1988-89_-_Lazio_vs_Pisa_-_
 
Di Canio in azione con la maglia della Lazio nel 1989, alle prese con il pisano Cuoghi.

 

Trascorre l'infanzia nel quartiere romano del Quarticciolo e comincia a giocare a calcio nelle giovanili della Pro Tevere Roma. In questo periodo, durante una partita della piccola squadra romana, viene notato da Aldo Angelucci (il padre di un suo avversario in quella sfida), il quale scrive al Corriere Laziale affermando che lo stesso Di Canio è un vero e futuro talento per la Lazio. Viene quindi tesserato nelle giovanili della società biancoceleste, dove cresce sportivamente.

Dopo una stagione in prestito alla Ternana in Serie C2, con Mario Facco come allenatore e Vincenzo D'Amico come compagno di squadra (e dove rischia anche la carriera a causa di un grave infortunio), esordisce in Serie A con la maglia della Lazio, allenata da Giuseppe Materazzi, il 9 ottobre 1988, nella trasferta sul campo del Cesena (0-0).

Segna il gol decisivo nel derby contro la Roma del 15 gennaio 1989 (risultato finale 1-0), gol festeggiato correndo sfrontatamente sotto la curva giallorossa con il dito puntato (come Giorgio Chinaglia in ua stracittadina di quindici anni prima), al primo derby di Roma dopo tre anni di assenza della Lazio dalla massima serie.

Juventus, Napoli e Milan
180px-Paolo_Di_Canio_-_Juventus_1990-199
 
Di Canio alla Juventus nella stagione 1990-1991

 

Nel 1990 si trasferisce alla Juventus, ceduto dall'allora presidente laziale Gianmarco Calleri, che incassa 7,5 miliardi di lire.

Il successivo triennio a Torino, con Gigi Maifredi prima e Giovanni Trapattoni poi in panchina, non è positivo per Di Canio a causa dei suoi cattivi rapporti soprattutto con il Trap, tanto da arrivare a chiedere di essere ceduto almeno in prestito per un anno, dopo aver comunque vinto la Coppa UEFA 1992-1993 in maglia bianconera.

Va quindi a giocare nel Napoli allenato da Marcello Lippi, dove disputerà una sola stagione caratterizzata da 5 gol, di cui uno segnato allo stadio San Paolo contro il Milan.

 

180px-Serie_A_1994-95_-_Milan_vs_Inter_-
 
Di Canio (a destra) al Milan nel 1994, alle prese con l'interista Orlando.

 

Nel novembre del 1994, dopo un breve ritorno da fuorirosa alla Juventus, passa proprio al Milan per 6,38 miliardi di lire. A Milano vince il suo primo scudetto, nella stagione 1995-1996, ma un litigio con l'allenatore dei rossoneri, Fabio Capello, durante la tournée in Oriente della squadra, lo porterà a chiudere con i meneghini e ad andare in Scozia.

Le esperienze britanniche

Nell'estate del 1996 approda all'estero, precisamente a Glasgow, in Scozia. Qui gioca una stagione con il Celtic, dove viene votato giocatore dell'anno; i successi personali non corrispondono però con quelli della squadra, dato che le Hoops avranno risultati peggiori dell'altra squadra cittadina, i Rangers. Dopo un anno si sposta in Inghilterra, militando per un anno e mezzo nello Sheffield Wednesday, in Premier League: nel primo anno segna 12 gol, mentre nel secondo viene squalificato per undici giornate a causa di una spinta all'arbitro Paul Alcock.

Nel dicembre del 1998 passa al West Ham Utd, dove in quattro anni e mezzo segna 48 gol e colleziona 118 presenze, giocando con continuità anche grazie ai due allenatori di quel periodo, Harry Redknapp e Glenn Roeder. Tra le reti segnate è degna di nota quella messa a segno contro il Wimbledon FC il 26 marzo 2000, realizzata con uno spettacolare tiro al volo. Questo gol è stato premiato dal West Ham come il gol più bello siglato ad Upton Park, casa degli Hammers fino al maggio 2016. Nel corso della stagione 1999-2000 vince con gli Hammers la Coppa Intertoto, superando in finale i francesi del Metz e portando così i londinesi in Coppa UEFA; qualche mese dopo viene nominato giocatore dell'anno della squadra in Premier League, campionato in cui realizza 17 gol, suo record personale in una stagione.

Uno degli episodi più famosi della carriera di Di Canio risale al 18 dicembre 2000, durante la trasferta del West Ham Utd a Liverpool sul campo dell'Everton: il portiere dei padroni di casa, Paul Gerrard, si avventura in un'uscita al limite dell'area, ma le sue ginocchia cedono e cade su sé stesso, mentre la palla schizza verso l'ala destra, dove Trevor Sinclair mette al centro un cross per Di Canio. Pur potendo colpire il pallone prima di ogni altro giocatore, l'italiano afferra la palla con le mani, fermando il gioco. Appena la folla capisce quello che è successo, il Goodison Park prorompe in un'ovazione e in seguito, in virtù di tale gesto, Di Canio riceve il FIFA Fair Play Award, unito a lettera ufficiale di encomio firmata da Joseph Blatter. Nello stesso anno scrive e pubblica la propria autobiografia e viene inserito dai tifosi nell'undici ideale di tutti i tempi del West Ham United.

 

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Di Canio firma autografi nel 2010 ad Upton Park, stadio del West Ham United, squadra a cui è rimasto molto legato.

 

Il giocatore romano viene lasciato libero al termine della stagione 2002-2003 in seguito alla retrocessione degli Hammers. Decide di rimanere a Londra per giocare la sua ultima stagione anglosassone nel Charlton: disputa 31 incontri in Premier e segna 4 reti. In particolare si ricorda quella siglata al Leicester City, su calcio di rigore, in occasione della quale, dopo la trasformazione dal dischetto, mostra una maglia con scritto «Onore a Fabrizio eroe vero», dedicata a Fabrizio Quattrocchi, rapito e poi ucciso in Iraq in quei giorni.

Alla conclusione della stagione 2003-2004 lascia la Gran Bretagna, dove dal 1996 al 2004, tra campionato scozzese e inglese, ha collezionato 227 presenze e realizzato 90 reti, divenendo inoltre uno dei calciatori italiani più amati all'estero e venendo insignito del premio Hammer of the year nel 2000, nonché inserito nel migliore undici di tutti i tempi del club nel libro The Official West Ham United Dream Team del 2003 (risultato del sondaggio condotto tra 500 tifosi).

Ritorno alla Lazio, Cisco Roma

Torna alla Lazio per la stagione 2004-2005 (rinunciando a tre quarti del proprio stipendio in Premier League). Durante la prima parte dell'annata viene allenato da Domenico Caso; in questo periodo segnerà quattro reti. Caso viene poi esonerato e sostituito da Giuseppe Papadopulo, a causa della infelice posizione in classifica dei biancocelesti nonché dei suoi problemi con lo stesso Di Canio (il quale qualche anno più tardi racconterà di aver aggredito fisicamente il tecnico). Il calciatore termina il campionato con un bilancio di 23 presenze, 6 gol e una stagione che verrà ricordata, anche e soprattutto, per il gol nel derby del 6 gennaio 2005 (vinto dai laziali per 3-1), segnato sotto la curva romanista proprio come sedici anni prima. Un altro evento che caratterizzò l'annata fu la squalifica rimediata nella gara contro la Juventus, a causa del saluto romano rivolto ai tifosi della propria curva. Il 2005 vede anche l'uscita del suo secondo libro, da titolo Il ritorno - Un anno vissuto pericolosamente, nel quale racconta le emozioni del ritorno in maglia biancoceleste.

Nella stagione successiva è titolare pressoché stabile nella Lazio ora guidata da Delio Rossi, che raggiunge la qualificazione alla Coppa UEFA. Di Canio lascia la società dopo l'ultimo derby romano, perso per 2-0, per attriti con l'allenatore e il presidente biancoceleste Claudio Lotito, il quale non rinnova il contratto del giocatore.

Nel luglio del 2006 scende quindi in Serie C2 passando alla Cisco Roma. Il calciatore milita nel club fino al marzo del 2008 quando, a fronte di una lunga serie d'infortuni, annuncia il proprio ritiro dall'attività agonistica. L'ultima partita della sua carriera è la sfida interna contro il Benevento (persa 2-4) del 27 gennaio 2008, dove segna una doppietta, insulta l'arbitro e rimedia 4 giornate di squalifica. Durante una trasferta a Viterbo viene inoltre colpito con una bottiglia da un tifoso ospite.

Nazionale

Ha fatto parte della nazionale Under-21 dal 1988 al 1990 con 9 presenze e 2 gol su un totale di 11 convocazioni.

Beach soccer

Nel 2009 Di Canio, così come il suo ex compagno di squadra Marco Ballotta, passa al calcio a 5 su spiaggia diventando attaccante titolare della nazionale italiana.

Footgolf

Nel 2015 ha disputato alcuni tornei di footgolf, insieme ad altri ex calciatori professionisti, come Dino Baggio. Nel 2016 ha partecipato a tutte le tappe del Campionato Nazionale di Footgolf, risultando primo classificato nella categoria Over 45.

Allenatore

Swindon Town

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Di Canio esulta dopo la promozione in League One

 

Il 20 maggio 2011 lo Swindon Town, dopo essere arrivato ultimo nel campionato inglese di League One ed essere conseguentemente retrocesso in League Two, lo nomina proprio allenatore. Dopo una serie di quattro sconfitte di fila, Di Canio porta i Robins a un filotto di vittorie e risultati positivi, alla finale del Johnstone's Paint Trophy e al quarto turno di FA Cup dopo aver battuto il Wigan per 2-1 (viene poi eliminato dal Chesterfield con il risultato di 2-0). Il 21 aprile 2012 il Swindon raggiunge l'aritmetica promozione in League One con due turni d'anticipo.

Il 18 febbraio 2013, dopo i continui contrasti con la dirigenza del club, rassegna le dimissioni.

Sunderland

Il 31 marzo 2013 diviene l'allenatore del Sunderland al posto dell'esonerato Martin O'Neill. La nomina solleva alcune polemiche dopo che Di Canio è stato etichettato come «fascista» e causa le dimissioni di David Miliband, componente del consiglio di amministrazione del club. Esordisce nella sconfitta esterna per 2-1 contro il Chelsea. Nei due successivi incontri, i Black Cats ottengono due importanti vittorie per la permanenza in Premier League, nel derby contro il Newcastle Utd e nella partita contro l'Everton, e alla fine della stagione il Sunderland riesce a salvarsi.

La stagione 2013-2014 non si apre nel migliore dei modi: la squadra ottiene, infatti, un solo punto nelle prime cinque partite di campionato, subendo 11 reti e segnandone 3. Il 22 settembre 2013, in seguito a questi risultati negativi, Di Canio viene sollevato dall'incarico di allenatore dei Black Cats.

Dopo il ritiro

Dal 2009 al 2014 ha partecipato come opinionista al programma sportivo Guida al campionato, insieme con l'ex calciatore Francesco Graziani, ed è stato ospite nelle trasmissioni sportive della piattaforma televisiva Mediaset Premium. È stato spesso commentatore sportivo per le partite di UEFA Europa League.

Dalla stagione 2014-2015 è stato opinionista per Fox Sports, dove ha condotto il programma House of Football. Il 14 settembre 2016 è stato sospeso da Sky Italia perché durante una trasmissione televisiva era stato inquadrato il suo tatuaggio recante la scritta “Dux” sul braccio; il suo programma Di Canio Premier Show è tornato in onda il 15 gennaio 2017, dopo la partita Liverpool-Manchester United. Per Sky Italia è commentatore televisivo per le partite di Premier League, oltre che opinionista della trasmissione Sky Calcio Club. Ha seguito, come opinionista in studio, le partite del campionato d'Europa 2020.

Controversie

Fascismo e saluto romano

Da quando ha ricominciato a giocare in Italia dopo le esperienze calcistiche oltremanica, Di Canio ha spesso fatto discutere di sé per l'uso del saluto romano rivolto ai tifosi laziali.

Di Canio si è ripetutamente esibito in questo gesto in occasione del derby di Roma del 6 gennaio 2005, vinto dalla Lazio per 3-1. I numerosi commenti, pro e contro il giocatore, hanno generato una campagna mediatica anche all'estero, provocando l'interessamento della FIFA. In questa occasione, Di Canio ha voluto precisare di essere «un giocatore professionista», aggiungendo: «vorrei sottolineare che le mie esultanze non hanno nulla a che vedere con comportamenti politici di alcun tipo». Successivamente, non essendo stato squalificato per nessun turno in campionato, ha dato ulteriori spiegazioni sul gesto, puntualizzando che non avrebbe accettato di buon grado nessuna squalifica. Deferito alla commissione disciplinare, nel marzo del 2005 al giocatore, come alla Lazio, è stata comunque inferta una multa di 10.000 euro.

 

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Di Canio esulta in modo irriverente sotto la Curva Sud dell'Olimpico, sede della tifoseria romanista, dopo la rete segnata nel derby del 15 gennaio 1989.

 

Il saluto romano è stato ripetuto alla fine del 2005 in altre tre occasioni, nella partita contro il Siena, poi durante la trasferta sul campo del Livorno dell'11 dicembre, al momento della sostituzione. Il 17 dicembre, sempre nel momento di uscire dal campo, in occasione della partita casalinga contro la Juventus, Di Canio ha nuovamente eseguito il saluto e per questo ha subito una giornata di squalifica e una multa di 10 000 euro, mentre un'altra ammenda di pari importo è stata inflitta alla società per responsabilità oggettiva. Questi episodi ravvicinati hanno suscitato accese polemiche anche a livello internazionale; il presidente della FIFA Joseph Blatter ha anche minacciato dure sanzioni contro il giocatore.

Di Canio ha mostrato, tuttavia, di non temere le conseguenze del proprio perseverare, dichiarandosi disposto a essere messo sotto inchiesta ogni domenica per ogni saluto. Nel periodo in cui si sono succeduti questi episodi, si sono schierati dalla sua parte Silvio Berlusconi (il quale lo ha descritto come «Un ragazzo per bene, non è fascista. Lo fa solo per i tifosi, non per cattiveria. Un bravo ragazzo, ma un po' esibizionista») e Alessandra Mussolini, benché Di Canio abbia voluto prendere le distanze anche da loro, riaffermando la propria apoliticità, per lo meno in relazione al saluto romano: «il mio non è un gesto politico. Ribadisco che non voglio offendere nessuno, perché io non sono mai contro, ma a favore... Ora ci saranno altre partite, ma torneranno a strumentalizzare tutto solo quando ci sarà il ritorno di Lazio-Livorno e le elezioni saranno ancora più vicine». Il calciatore ha poi specificato cosa significhi per lui il saluto romano, ovvero non un'istigazione alla violenza, non un'apologia del fascismo, ma un semplice gesto di appartenenza che lo avvicina alla curva (e, facendo leva su queste distinzioni, ha presentato ricorso contro la decisione del giudice sportivo); tali dichiarazioni sono state poi in parte smentite, essendosi il giocatore definito «fascista sì, ma razzista no».

Quando fu scelto come allenatore del Sunderland, nel marzo 2013, a seguito delle forti proteste contro la nomina di un allenatore con un'ideologia di tipo fascista, e dietro pressione del club, Di Canio ha cercato di ritrattare le proprie posizioni riguardo al fascismo dichiarando: «non supporto l'ideologia fascista, sono solo un uomo di famiglia, con valori semplici». Ciò tuttavia non ha placato le proteste, in quanto le sue dichiarazioni sono state considerate come tardive e in contrasto con sue precedenti ammissioni. Il club è stato fatto altresì oggetto di forti pressioni per licenziare l'allenatore, in considerazione del suo passato con palesi simpatie fasciste. Le proteste hanno coinvolto anche gli sponsor, che hanno minacciato il ritiro e la rescissione dei contratti di pubblicità con il club, a meno che Di Canio non fosse stato allontanato.

Denunce

Il 23 luglio 2009 Di Canio venne fermato a Porto Santo Stefano, mentre era in procinto di prendere un traghetto, da alcuni agenti della Guardia di Finanza per un controllo, ai quali si rifiutò di obbedire, minacciando di farli trasferire. I militari, a loro volta, lo denunciarono. Di Canio disse in seguito di aver reagito quando, alla richiesta di compiere tutti gli accertamenti in fretta, poiché avrebbe potuto perdere il traghetto, si sarebbe sentito rispondere dai finanzieri che potevano trattenerlo per quanto desiderassero.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

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Di Canio (in alto a destra) esulta con i compagni di squadra del Milan (in senso orario: Donadoni, Desailly, Albertini e Panucci) dopo la vittoria nella Supercoppa UEFA 1994.

Individuale

  • Hammer of the Year: 1 - West Ham Utd: 2000
  • Inserito nell'undici ideale dei tifosi del West Ham Utd nell'anno 2003

Allenatore

Club

Individuale

 

 

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2103581049_juve1989.png.383ac6375eb250600800fe370b18dcf1.png  PAOLO DI CANIO

 

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Tutto cominciò con un polsino – scrive Francesca Sanipoli sul “Guerin Sportivo” del 18 luglio 1990 –. Fu dopo una partita col Cesena che Paolo Di Canio se lo strappò e lo lanciò in aria con rabbia: «Era soltanto un gesto di disappunto, non c’era polemica, non era indirizzato verso nessuno» ricorda «ma fu sufficiente per nascere un caso. Nel giro di poche ore si parlò di rimandarmi a giocare nella Primavera della Lazio, di farmi una multa di dieci milioni... È stato allora che ho capito che era venuto il momento di cambiare aria».
Ventidue anni appena compiuti (è nato luglio, come Adriano Panatta e Gianluca Vialli), Paolo Di Canio si ritrova alla Juve, la stessa squadra nella quale giocheranno Baggio e Schillaci, due nomi carichi di significato. Una fortuna o una disgrazia? «Certamente una fortuna, anche se ci sarà da faticare per trovare un posto in squadra. Ma io sono uno che a tennis si sceglie sempre l’avversario più forte, altrimenti non mi diverto. E poi, con tutti i campioni che ci saranno nella mia nuova squadra, finalmente non sarò più il principale oggetto delle pressioni dei tifosi, della stampa e della società».
La decisione era nell’aria da molto tempo, ma lui ha aspettato a lungo prima di comunicarla ufficialmente: «È stato un periodo durissimo. Stavano succedendo cose più grosse di me e non sapevo come gestirle. La gente voleva sapere, ed io non riuscivo a ragionare freddamente. Finalmente ho deciso di andarmene da Roma, per tanti motivi. Ho amato la Lazio, la amo e l’amerò sempre. Ma come calciatore ho anche bisogno di giocare in una squadra nella quale potenzialmente posso togliermi delle soddisfazioni. Se la Juve mi ha voluto, credo di avere dei meriti anch’io: forse non sono soltanto il ragazzino immaturo su cui gravavano, negli ultimi tempi in biancazzurro, tante pressioni e responsabilità. Se una società così seria prende un giocatore, deve aver avuto delle buone referenze. Ed io, in questo momento, ho un enorme bisogno di credibilità, di fiducia, di stimoli. Tutte cose che la Juve può darmi. Oltre, beninteso, a qualche vittoria: con Baggio, Schillaci, De Agostini, Tacconi e tutti gli altri campioni che ci sono, spero di vincere subito uno scudetto. Anche se dovrò rinunciare a essere considerato una bandiera...».
Già: non molto tempo prima dell’addio aveva dichiarato che sarebbe andato via dalla Lazio soltanto se fosse stata la società a cederlo: «Dopo il famoso gesto del polsino, in effetti, lo stesso presidente Calleri mi disse che mi considerava ancora immaturo per essere la bandiera di una squadra. Ho commesso degli errori, è vero. Mi sono troppo spesso lasciato guidare dall’istinto, in mancanza dell’esperienza. Ma tutto sommato credo di aver fatto anche qualcosa di buono. Essere il primo della classe è molto gratificante, ma non è sempre facile. A volte può essere estremamente scomodo, e anche pericoloso, soprattutto per un giovane come me. E allora voglio godermi fino in fondo questa nuova sfida, una sfida importantissima, una grande fortuna che mi è capitata e che spero di non bruciare».
Secondo i maligni, Di Canio – pallino di Montezemolo – avrebbe preso, oltre all’ingaggio, una sorta di «sottobanco» per dire di sì alla Juve: «È chiaro che un giocatore professionista, quando cambia squadra, cerchi di fare soprattutto un salto di qualità. Ma, come in tutti i mestieri del mondo, credo che sia importante anche ottenere dei vantaggi economici. Non nego che alla Juve vado a guadagnare di più: il mio ingaggio in bianconero sarà circa il quadruplo di quello che percepivo alla Lazio. Francamente non credo ci fosse bisogno di “sottobanco” per convincermi».
Aveva detto, però, che pur di restare alla Lazio sarebbe stato disposto a guadagnare di meno rispetto alle sue potenzialità: «Quando lo dissi ero in assoluta buona fede: fu subito dopo il derby, un momento molto particolare, per me. Poi, però, ho capito che se fossi rimasto avrei rischiato di darmi la zappa sui piedi. Giocare con la maglia della Juve è la massima aspirazione per un campione, figuriamoci per un ragazzino come me. Lascio un ruolo di leader, ma ho la possibilità di guadagnarmi un posto in una delle squadre più prestigiose del mondo».
E come pensa di vivere il passaggio dallo stile-Lazio allo stile-Juve? «La Lazio è una squadra giovanissima: questa presidenza esiste da quattro anni ma è soltanto al terzo di Serie A. Un paragone con la tradizione e la storia della Juve non è proponibile: sarà tutta un’altra cosa. Spero soltanto di esserne all’altezza».
Con i vecchi e nuovi acquisti, la Juventus è tra le favorite del prossimo campionato: «Sono d’accordo, ma ci andrei piano: ricordo ancora quando si diceva che Sacchi non sarebbe arrivato a mangiare il panettone e poi, invece, il Milan fece un recupero strabiliante. Sulla carta la Juve è la favorita, è vero. Ma ci sono Inter, Milan, Napoli, Sampdoria che possono fare qualunque cosa. Con la Juve ho un contratto quadriennale, ma a essere sincero spero di rimanerci molto più a lungo: dopo la Lazio, per la quale ho fatto il tifo in curva, da bambino, la Juve è sempre stata la mia squadra del cuore. Le ho sempre invidiato i campioni come Platini, la classe, tutti gli scudetti che ha vinto...».
Ma non c’è proprio nulla, di quella che a suo tempo ha definito «una scelta di vita», a spaventarlo? «No: sono un tipo estroverso, è difficile che possa avere problemi di inserimento, almeno per quanto riguarda l’aspetto umano. Certo, mi mancheranno le ottobrate romane, avrò nostalgia della mia famiglia e della mia ragazza, Elisabetta, che vive a Terni. Ma per fortuna esistono gli aerei...».
E gli mancherà il derby, un derby vissuto anche in famiglia, con suo fratello Antonio che gioca nel Quarticciolo e tifa Roma, da sempre: «Malgrado sia passato al nemico per eccellenza, però, mio fratello è stato felicissimo per me. Per il mio compleanno mi ha regalato un cuscino con su scritto: “complimenti, ce l’hai fatta”. Sapeva quanto fosse importante, per me, una svolta del genere a questo punto della carriera».
Del derby vissuto in campo ricorda quel famoso 26° del primo tempo quando, il 19 gennaio del 1989, infilò il pallone nella rete della Roma: «Vedevo realizzarsi un sogno coltivato fin da piccolissimo. Prima di quel derby, che a Roma tornava dopo tre anni di esilio laziale, mi ero chiuso in bagno a riflettere».
Si era anche fatto crescere il «pizzetto», come aveva fatto Borg per cinque anni consecutivi a Wimbledon: «Dopo quel gol persi la testa dalla felicità. Avevo giurato a Rizzolo che, se avessi segnato, sarei andato sotto la curva Nord».
Ma poi, in uno scarico di adrenalina, aveva cambiato direzione, precipitandosi verso quella della Roma, l’indice della mano destra puntato verso l’alto. Come Chinaglia. Come Mennea. «Gestacci? No, soltanto la gioia di un ragazzino che tocca il cielo, è proprio il caso di dirlo, con un dito. E poi, non può essere fatta di gestacci la rivincita di uno che tre anni prima aveva rischiato di perdere l’uso di un piede».
Una tallonite mal curata, quand’era alla Ternana: «Quando avevo 15 anni nessuno mi prendeva sul serio. Dopo l’allenamento schizzavo subito in piazzetta, al Quarticciolo. A casa ci andavo soltanto per mangiare. Ho cominciato a capire qualcosa quando ho visto piangere mia madre, in ospedale: il problema non era tanto tornare a giocare, quanto salvare il piede. Quando sentii mamma dire sottovoce che del pallone non le importava, che la sola cosa che contasse era che non rimanessi zoppo, improvvisamente diventai grande. Quel ricordo me lo porterò sempre dentro, mi aiuterà a rimanere umile, mi darà la forza per lottare. Anche se si trattasse di combattere per ottenere un posticino in una grande squadra. Come la Juve».
 
Racconta il giorno del raduno: «Mi sono detto che se la società bianconera continuava a seguirmi, credeva in me non solo dal punto di vista tecnico, capivano il Di Canio ragazzo più che giocatore, allora dovevo tentare. Che emozione il giorno in cui strinsi la mano dell’avvocato Agnelli! Ora so che rischio in prima persona, non sarà facile trovare un posto in una squadra di grandi campioni. Ma nell’ultimo campionato con la Lazio ho dimostrato di poter giocare non solo da tornante ma pure da seconda punta, mi sono divertito molto, segnando anche tre gol, uno proprio alla Juve. Abbandono la mia città, Roma, lascio una ragazza a Terni per vivere da solo a Torino. Mi sembra che la dica lunga sulle mie intenzioni. Vivo un momento bellissimo, vorrei giocare molto, so che naturalmente non dipenderà solo da me. Non mi sento un raccomandato di Maifredi, perché il tecnico continua a elogiarmi. Sono contento della sua stima così come di quella della società. Ho ritrovato fiducia e serenità, al punto che tornerò a Roma tranquillo. Contro i giallorossi no, non sarà derby, anzi finalmente potrò dormire la notte prima della partita e sperare di segnare un gol, un ultimo regalo alla curva biancoceleste. E contro la Lazio, beh, mi sembrerà strano non indossare quei colori, ma l’unica cosa che potrebbe farmi star male sono i fischi, non credo di essere un traditore».
Ma nella rosa oltre a Paolo, ci sono Hässler, Baggio, Schillaci, tutti giocatori troppo individualisti per poter coesistere. Amano ricevere la palla al piede per poi lanciarsi in azioni personali e ci vorrebbero quattro o cinque palloni contemporaneamente per poterli accontentare tutti. Senza dimenticare che la squadra è molto sbilanciata e Tacconi è costretto a passare parecchi brutti momenti. Va da sé che la stagione non può finire bene e anche Di Canio finisce nell’occhio del ciclone.
L’anno successivo, con Trapattoni, malgrado qualche iniziale mugugno, Di Canio ritrova entusiasmi e stimoli. Della curva juventina, quella dedicata al fuoriclasse del calcio e della vita Gaetano Scirea, è un beniamino. I sostenitori bianconeri si riconoscono in lui, nella sua genuinità, in quel suo essere privo di maschere e reticenze. E lui ricambia tanto affetto piroettando sul campo, con quel suo modo sudamericaneggiante di intendere e interpretare il football. «In me è cambiato tutto, sono cresciuto e ci sono riuscito, perché nessuno mi ha messo fretta. Si trattava solo di aspettare, di avere pazienza e con me ne hanno sempre avuta poca».
 
VITTORIO OREGGIA, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL NOVEMBRE 1992
C’è una cosa che lo fa arrabbiare: sentirsi descrivere come una testa matta. Se la prende, Paolo Di Canio, perché questa etichetta appartiene al passato e, in un certo senso, non è mai stata aderente alla realtà. In assoluto, comunque, l’ex ragazzino terribile del Quarticciolo, nemico dichiarato della Roma giallorossa, amico ritrovato della Juventus, ha cambiato pelle. Il merito è di due donne, le sue donne: la moglie Elisabetta e la piccola Ludovica. Così, stregato dal fascino delle sue signore, Paolo il caldo ha raffreddato certi entusiasmi per la vita spericolata. Ma questa metamorfosi non gli impedisce di andare al massimo: «Sono sempre me stesso. Chiedetelo a quei poveretti dei miei compagni, vittime di scherzi terribili». Sacrosanta verità.
Non a caso, Di Canio ha legato subito con Vialli, l’altro mattacchione dello spogliatoio juventino. Luca crapa pelata ha fatto proseliti, tanto che anche Paoletto ha deciso di tagliarsi i capelli a zero. Uno skinhead in piena regola, ma solo nel look un po’ trasgressivo. Perché dietro la voglia di scherzare e il desiderio di sdrammatizzare ci sono consapevolezze importanti. I famosi valori, per esempio: «Strada facendo, sbagliando e correggendomi, ho imparato a prendere la vita per il verso giusto. Ho capito che la famiglia è tutto. Perché in famiglia c’è armonia e con l’armonia c’è la tranquillità. Ingredienti fondamentali per emergere».
Ecco, Elisabetta e Ludovica, le sue donne. Di Canio è stato a lungo sull’orlo di una crisi di nervi. Era persino arrivato al punto di pensare al divorzio, alla rottura del rapporto con la Juve. Una storia vecchia, passata. Anzi, sorpassata: «Non diamo a una situazione delicata i contorni di un dramma. Non ero soddisfatto di star fuori, a guardare gli altri. Ma chiunque lo sarebbe stato. Trapattoni mi raccomandava di avere pazienza e non riuscivo a capirlo. Invece sbagliavo. Me ne sono reso conto dopo. Il fatto è che la mia carriera è sempre stata esagerata. A diciannove anni ero titolare della Lazio, un perenne osservato speciale. Ed io non avevo pazienza per aspettare ma neppure gli altri ne avevano per aspettare me. Quando si è giovani si sbaglia. Ed ho sbagliato. Ma mi sono ripreso».
Si è ripreso la maglia titolare, soprattutto. Le ultime prestazioni della scorsa stagione e il convincente inizio di campionato hanno spinto il Trap a confermarlo sul fronte offensivo. Di Canio è rinato poco a poco, anche se nessuno gli ha regalato nulla: «Quest’estate, mentre gli altri compagni si divertivano in spiaggia, sono andato in Calabria a lavorare con il dottor Bergamo. Ogni giorno mi sottoponevo a una cura intensiva di sudore. Il potenziamento muscolare, comunque, ha dato i suoi frutti. Ho messo qualche chilo, non sono più una piuma: per buttarmi a terra ci vuole una spallata. E l’arbitro fischia il fallo. Dettagli, la cura dei dettagli. Trapattoni sembra un maniaco, ma se insiste sui dettagli una ragione deve pur esserci, no?».
Non è più quello di una volta, Di Canio. Ha accantonato le inutili leziosità che tanto facevano infuriare il Trap ed ha messo la sua classe al servizio della squadra. Un’evoluzione tecnica, tattica, personale. Adesso Paolo il caldo è un freddo ragionatore: «Ho conservato qualche tocco, il gusto per il dribbling, la passione per le fughe inebrianti sulla fascia destra. Nel contempo ho capito che non bisogna esagerare. E devo confessare che Trapattoni ha svolto un ruolo fondamentale nella mia maturazione».
Con la Curva Scirea ha stretto un legame basato sulla reciproca simpatia. Non c’è partita in cui la frangia più accesa dei sostenitori bianconeri non scandisca semplicemente il nome o non componga un coro in favore di Di Canio. Retaggio di una passione lontana: «Ero un ultrà della Lazio. Andavo in trasferta con poche lire in tasca e non avevo paura di nulla. Ho provato cosa significa soffrire per una sconfitta o vivere una partita in curva: ecco perché, forse, oggi i tifosi juventini mi vogliono bene. In fondo, io sono uno di loro. Un innamorato della Signora».
Dicono che sia un bisbetico domato. Dice che il suo peggior difetto è l’istintività e il suo miglior pregio è la disponibilità. Dice che ha quasi pianto quando ha saputo che avrebbe giocato la prima finale di Coppa Italia con il Parma. Insomma, un ragazzo semplice a cui piacciono le cose semplici. E non dite che è una testa matta. Al massimo lo era.
 
Comincia la terza stagione juventina con buoni propositi, nonostante gli spazi si restringano con l’arrivo di Vialli e Ravanelli. «Eravamo a Villar Perosa una domenica mattina – racconterà anni dopo – era una novità per me che ero giovane e appena arrivato alla Juventus. Una villa enorme, un posto magnifico. Ci fecero restare per più di mezzora in quel cortile e vedevo attorno a me una certa tensione anche sul volto di grandissimi campioni come Baggio. A quel punto mi preoccupai, perché volevo far bella figura davanti a un personaggio così importante. A un certo punto si sentì il rumore delle pale dell’elicottero e atterrò tra noi l’Avvocato. Parlò molto con Trapattoni ed io, che ero lì vicino, ascoltai alcune parole. “Lo farai giocare Di Canio?” chiese al Trap. Il nostro allenatore rispose negativamente “Abbiamo bisogno di più copertura a centrocampo contro i mediani dell’Udinese”. Allora l’Avvocato fece una delle sue meravigliose battute “Di Canio è come lo champagne, tutti vogliono le bollicine alla fine di un pasto”. Allora mi sentì ringalluzzito da tanta considerazione. Ma l’Avvocato andò oltre: “Quando Di Canio entra in area e c’è un difensore avversario sono contento, perché molto probabilmente per fermarlo saranno costretti a fargli un fallo da rigore”. Ero tanto sorridente in quel momento, a sentire queste parole, ma ecco che l’ultima parte del suo discorso mi distrusse: “Quando invece entra in area e non ci sono difensori avversari mi preoccupo, perché chissà dove manderà quel pallone”. Su questa battuta i compagni mi presero in giro per un anno intero. Effettivamente era il fantastico stile dell’avvocato, ironico e dissacrante. È qualcosa che mi manca tantissimo in questo calcio di oggi, qualcuno col suo acume. In mezzo ai dirigenti sciatti di oggi servirebbe così tanto uno come lui».
Ma Di Canio è un personaggio irrequieto ed ha qualche incomprensione di troppo con l’allenatore di Cusano Milanino. Così, dopo aver vinto la Coppa Uefa edizione 1992-93, chiede di essere ceduto e si trasferisce a Napoli. «È da un mese che ho deciso di andar via. Io qui non ci posso più stare», afferma il giorno dell’addio.
 

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