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Sandro Puppo - Allenatore

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605221489_juventus1931.jpg.fb68e79b6455588370e84ac32254edf0.jpg  SANDRO PUPPO

 

Sandro Puppo, il primo ed unico italiano che allenò il Barcellona!

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Puppo

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Piacenza
Data di nascita: 28.01.1918

Luogo di morte: Piacenza

Data di morte: 16.10.1986
Ruolo: Allenatore
Altezza: -
Peso: -
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1955 al 1957

 

62 panchine - 15 vittorie

 

 

Sandro Puppo (Piacenza, 28 gennaio 1918  Piacenza, 16 ottobre 1986) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo mediano.

 

 

Sandro Puppo
Juventus 1955-57, Sandro Puppo e Giampiero Boniperti.jpg
Puppo (a sinistra) alla Juventus a metà anni cinquanta, assieme a Giampiero Boniperti.
     
Nazionalità   Italia
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1950 - giocatore
1967 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1934-1937   Piacenza 73 (7)
1937-1939   Ambrosiana-Inter 8 (0)
1939-1944   Venezia 118 (5)
1945-1946    Piacenza 18 (1)
1946-1947   Venezia 37 (0)
1947-1949   Roma 15 (0)
Carriera da allenatore
1945   Piacenza  
1949-1950   Thiene  
1950-1951   Venezia Vice
1951   Venezia  
1951-1952   Rovereto  
1952-1954   Turchia  
1953-1954   Beşiktaş  
1954-1955   Barcellona  
1955-1957   Juventus  
1957-1958   Mestrina  
1959   Italia B  
1960-1961   Beşiktaş  
1960-1962   Turchia  
1962-1963   Siracusa  
1963-1964   Venezia  
1964   Triestina D.T.
1964-1966   Turchia  
1966-1967   Piacenza  
Palmarès
 
Olympic flag.svg Olimpiadi
Oro Berlino 1936

 

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Ha giocato prevalentemente nel ruolo di centromediano, sia in squadre metodiste che in squadre sistemiste, distinguendosi per senso di posizione e doti tattiche.

Allenatore

È stato tra i precursori del gioco a zona, che applicava già negli anni sessanta, escludendo l'utilizzo di un libero fisso dietro i marcatori. Puppo assegnava al libero compiti sia di copertura che di costruzione del gioco offensivo.

Carriera

Giocatore

Piacentino di nascita, trascorre gli anni dell'adolescenza a Shanghai, al seguito del padre violinista. In Cina inizia anche a giocare a calcio, nella squadra della scuola locale, e quando nel 1934 torna a Piacenza si presenta all'allenatore Carlo Corna, che inizialmente lo schiera mezzala; in seguito, tuttavia, viene schierato centromediano, ruolo che ricoprirà per il resto della carriera. Gioca da titolare nel Piacenza per tre stagioni di Serie C, e le sue prestazioni gli valgono la convocazione per le Olimpiadi di Berlino del 1936 insieme al compagno di squadra Carlo Girometta, entrambi però da riserve e senza mai giocare.

 

220px-Associazione_Fascista_Calcio_Venez
 
Puppo (in piedi, terzo da destra) nel Venezia della stagione 1940-1941, vincitore della Coppa Italia.

 

Nell'estate 1937 passa all'Ambrosiana Inter, con cui vince subito uno scudetto sia pur senza mai scendere in campo (chiuso da Renato Olmi); in maglia nerazzurra esordisce in Coppa Italia, il 6 gennaio 1938 sul campo del Napoli. Anche nella stagione successiva ha poco spazio (8 presenze in Serie A) e viene ceduto al Venezia, con cui si impone da titolare per quattro campionati consecutivi, dal 1939 al 1943, giocando alle spalle del duo Loik-Mazzola. Resta in forza ai neroverdi anche nel Campionato Alta Italia 1943-1944, nel quale la squadra approda al girone finale.

Finita la guerra viene posto in lista per il prestito: torna per una stagione al Piacenza come allenatore-giocatore (sostituito però dalla quarta giornata da Renato Bodini), prima di rientrare al Venezia per il campionato di Serie A 1946-1947. Con la retrocessione dei veneti in Serie B passa alla Roma, voluto da Imre Senkey per le sue capacità di adattamento al ruolo di centromediano sistemista. Nella Capitale, tuttavia, si procura un grave infortunio che chiude la sua carriera agonistica, chiusa in Promozione al Thiene nel 1949-1950 nel doppio ruolo di giocatore-allenatore.

Allenatore

Dopo le prime esperienze da allenatore-giocatore nel Piacenza e nel Thiene, nel 1950 diventa allenatore in seconda del Venezia, in Serie B; in seguito, tra gennaio e ottobre 1951 diventa primo allenatore, prima di essere esonerato a favore di Mario Villini. Nel prosieguo della stagione 1951-1952 passa sulla panchina del Rovereto, in Serie C. Nel 1952 arriva la chiamata della Nazionale di calcio della Turchia, che guida nelle Olimpiadi di Helsinki del 1952 e conduce alla qualificazione ai mondiali del 1954 eliminando a sorpresa la favorita Spagna. In quello stesso biennio (1952/54) allena anche il Beşiktaş, con cui vince due campionati turchi.

Siederà poi sulla panchina del Barcellona (1954-1955), conquistando un secondo posto dietro al Real Madrid e lanciando in prima squadra Luis Suárez. Tornato in Italia, allena per un biennio la Juventus, portando avanti un programma di rinnovamento e ringiovanimento della squadra: in quella squadra, soprannominata la Juve dei puppanti, inserisce tra i titolari giovani come Piero Aggradi, Flavio Emoli, Enzo Robotti e Giuseppe Vavassori.

Nel 1957 si riavvicina a Venezia per motivi di salute, allenando la Mestrina, e l'anno successivo entra nei ranghi federali chiamato da Walter Mandelli, come segretario generale del Settore Tecnico della F.I.G.C.. In occasione di un'amichevole a Budapest siede sulla panchina della Nazionale B, prima di ritornare di nuovo in Turchia, ancora alla guida di Nazionale e Beşiktaş.

Rientrato definitivamente in Italia, guida Siracusa, Venezia (dove viene sostituito in febbraio da Camillo Achilli) e Triestina, prima di concludere la carriera di allenatore nella natìa Piacenza, dal giugno 1966 all'ottobre 1967, quando si dimette dall'incarico passando al ruolo di consulente tecnico del neo allenatore Leo Zavatti.

Dopo il ritiro

Nel 1968 venne assunto dalla ditta piacentina Astra dell'ex presidente del Piacenza Enzo Bertuzzi, come corrispondente in lingue estere e segretario. Nel 1970 fu scelto dalla FIFA nel gruppo di studio tecnico dei mondiali in Messico, insieme agli inglesi Winterbottom e Greenwood e al tedesco Cramer.

Nel 1974 pubblicò a Piacenza il volume Calcio: quo vadis, un saggio in cui esponeva l'evoluzione tecnica e tattica del gioco del calcio dalle origini fino al 1970.

È scomparso a Piacenza nel 1986 all'età di 68 anni.

Riconoscimenti

Nella sua città natale gli è stato intitolato un campo da calcio, sul quale disputano le proprie partite le formazioni dilettantistiche della U.S. Turris, della A.S.D. Primogenita e della Nuova Spes. Subito dopo la sua scomparsa si era pensato di intitolargli lo stadio della Galleana, ma l'idea era stata successivamente accantonata.

Palmarès

Club

 

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14527331_juventus1931.jpg.56ef11cf59966352b745a35ca382097d.jpg SANDRO PUPPO

 

puppo%2B1956-57.jpg

 

 

 

«Puppo era un tecnico adorabile – racconta Angelo Caroli – colto e ricercato sulla parola. Il giorno prima di ogni partita portava su una 1100 Fiat i suoi “puppanti” lungo tragitti collinari. Raccontava aneddoti, spiegava segreti del calcio e della vita per tenerci al riparo da tensioni e polemiche, come un efficacissimo parafulmine».
 
ANGELO CAROLI, “STAMPASERA” DEL 17 OTTOBRE 1986
Aveva 68 anni. Si è spento in una clinica di Piacenza, dove era ricoverato da alcuni giorni Sandro Puppo, ottimo giocatore di calcio, era stato convocato perfino nella squadra azzurra nel 1936, l’anno del successo alle Olimpiadi di Berlino. Figlio di un violinista, da bambino aveva seguito i destini artistici del padre in Cina, a Shanghai, dove cominciò a dare i primi calci a un pallone.
Appena tornato in Italia, il giovane Puppo viene ingaggiato dal Piacenza, per poi essere tesserato, in successione, dall’Inter, che allora si chiamava Ambrosiana, dal Venezia e dalla Roma. Un brutto infortunio a un ginocchio ne interrompe la carriera. L’inclinazione all’insegnamento lo porta presto alla professione di tecnico. Allena infatti una squadra turca, poi la Juventus e il Barcellona, prima di rivestire il ruolo di segretario del settore tecnico federale presso Coverciano. Torna, nel 1968, al suo vecchio amore, il Piacenza, prima di partecipare ai mondiali messicani del ‘70 in qualità di consulente federale.
Sandro Puppo segna un’epoca nella Juventus, con il lancio di un gruppo di giovanissimi pieni di speranze, chiamati «Puppanti», da Garzena a Stacchini, da Emoli a Colombo, da Donino a Mattrel, da Bartolini a Dell’Omodarme. Anche il sottoscritto debutta in serie A per suo desiderio. Era un tecnico squisito, un uomo delizioso, colto, dai toni garbati e dalla parola ricercata. La sua Juventus cerca di continuare il discorso della squadra che con Boniperti, Praest, Martino, John Hansen, Manente, Viola, Corradi e Carletto Parola raccoglie nel ‘49/50 l’eredità del Grande Torino, tragicamente scomparso nel rogo di Superga.
Quando Puppo allena il club bianconero, presidente è il dottor Umberto Agnelli, un giovane molto competente che sarebbe diventato presidente della Federcalcio e che in quegli anni (55/56 e 56/57) stava gettando le basi per ricostituire quello che sarebbe diventato uno squadrone con Boniperti, Charles e Sivori.
Quello del «puppanti» è un manipolo di «boy» con tanta buona volontà e con poca esperienza, perde molte partite ma si batte al limite delle possibilità, lasciando intendere che la strada percorsa è quella giusta e che per i successori si tratterà soltanto di raccogliere quanto è stato seminato dal «filosofo». Così lo chiamavano, per quell’aria incantata e meditativa, per quello sguardo docile e buono, per la discrezione con la quale affrontava i problemi, per gli occhiali che lo facevano sembrare più un professore universitario che un allenatore di calcio. E oggi ne piangiamo la morte.
 
ANGELO CAROLI, “STAMPASERA” DEL 22 NOVEMBRE 1988
L’allegrezza con la quale i bianconeri realizzano e subiscono i gol preoccupa i tifosi e crea problemi inquantificabili a Dino Zoff. È una Juventus, concepita per lo spettacolo, con il baricentro spostato pericolosamente in avanti. I numeri parlano un linguaggio nitido: 13 gol fatti e 11 subiti in 6 partite di campionato. La statistica, filosofia dei numeri che si diverte a collegare il passato al presente, va a riesumare vecchi capitoli nella vita della Signora. E scopre che nel ‘55/56 la Juve percorre un analogo cammino. Era una squadra «colabrodo», ed io c’ero.
Il calcio viveva in pieno romanticismo, si guardava molto allo specchio e prestava poca attenzione al domani. Le formule tattiche restavano nei laboratori del pensiero degli allenatori e non erano ancora realizzate sul campo. Era un calcio spettacolare, per certi versi ingenuo e impietoso con i club meno competitivi. Quella Juve attraversava un periodo di congiuntura e poneva le fondamenta per una ricostruzione con una politica basata sui giovani, dopo gli scudetti (stagioni ‘49/50 e ‘51/52) ottenuti dalla squadra presieduta dall’avvocato Giovanni Agnelli.
Il raffronto statistico tra la Juventus di allora e quella di oggi è imposto dalle cifre, ma non è assolutamente proponibile in chiave tecnica e tattica. La Juventus di allora era una miscellanea di anziani (Viola, Nay, Oppezzo), di uomini maturi (Corradi e Boniperti, allora elemento di maggior carisma del calcio italiano), di giovani in germinazione (Garzena, Emoli, Colombo, Montico) e di bambini che uscivano dall’adolescenza e che erano tutti da svezzare (Stacchini, Dell’Omodarme. Frateschi, Donino, Mattrel e il sottoscritto). Quest’ultima era una covata di «puppanti», visto che l’allenatore si chiamava Sandro Puppo, uomo di una certa cultura, saggio e meditativo, colpevole solo di poter preparare la minestra in base agli ingredienti, non proprio piccanti, che aveva in cucina.
Gli stranieri, Colella e Vairo, non furono di alcun aiuto al collettivo e si smarrirono presto in una geografia anonima. Ma su giocatori solidi come Garzena, Emoli, Colombo, Stacchini e sulla maturità di Boniperti, il dottor Umberto Agnelli stava edificando gli scudetti degli anni 57/58, 59/60 e 60/61.
La Juventus di oggi aspira al vertice, esibisce campioni e fuoriclasse, giocatori di grosso rendimento e gente esperta, ma la sua struttura fisiologica e la spiccata melinazione offensiva la costringono spesso al rischio. E quando a certi squilibri costituzionali accoppia l’errore dei singoli le capita, come domenica contro il Napoli, di servire ai tifosi frittate dal gusto amaro. Nel ‘55/56 la Juve si tolse dalla testa certe idee scapigliate, fece leva sulla vecchia generazione, centellinò l’esibizione dei giovani in vetrina, rinforzò i cardini e ottenne la salvezza. La Juve costruita nell’estate scorsa guarda giustamente a posizioni di vertice e non è certo una sconfitta, seppur condita da cinque gol, a ridimensionarla. A patto che riveda i principi troppo spregiudicati e, soprattutto, inviti i suoi difensori a non distrarsi più.
 
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