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Socrates

Giovanni Trapattoni - Allenatore

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Sevilla make it four three-time winners | UEFA Europa League | UEFA.com.
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La Juventus di Trapattoni: Il decennio d’oro 1976-86

Il Trap scrisse un memorabile decennio nella lunga storia della Juventus. Una lunga catena di successi inziata, tra una grande diffidenza, nel 1976 e concluda nel 1986. Ecco ripercorsi tutti i suoi trionfi

 

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L’incontro fra la Juve e il Trap avvenne in sordina. Il tecnico milanese, conclusa una brillante carriera di calciatore, aveva ereditato dal Cesare Maldini la panchina del Milan nelle ultime sei giornate del campionato ’73 – ’74, era stato poi il secondo di Giagnoni (’74 – ’75) ed aveva infine guidato la squadra rossonera al 9 posto del ’75 – ’76. Era conteso da Atalanta e Varese quando Giampiero Boniperti, dopo la morte di Picchi, verificate le eccellenti referenze che aveva avute sul suo conto, lo chiamo’ e gli offrì la guida della Juve. Si incontrarono in un motel a meta’ strada fra Torino e Milano. Senza nascondere un pizzico di imbarazzo e di soggezione, Trap accetto’.

 

Fu presentato con un comunicato rimasto storico per l’ involontaria ilarita’ suscitata. Recitava, in poche parole che, “andando in pensione per raggiunti limiti di età il responsabile del settore giovanile Ugo Locatelli, questi veniva rimpiazzato da Cestmir Vycpalek, Parola passava al settore osservatori e quindi la prima squadra era affidata a Giovanni Trapattoni”. Non suscito’ ilarita’, soprattutto negli avversari, la Juve del Trap, che aveva voluto, in cambio di Capello ed Anastasi, due elementi di cui si fidava ciecamente: quel Romeo Benetti che anni prima la Juve aveva follemente ceduto alla Samp con l’aggiunta di 270 milioni per un frillino come Bob Vieri (!) e quel Boninsegna da anni considerato alla frutta ma che continuava a non trovare eredi altrettanto caparbi. Dai cambi la Juve aveva incassato, a conguaglio, oltre un miliardo.

 

L’esordio del Trap, malgrado gli impacci iniziali, fu eclatante: scudetto a 51 punti, dopo un esaltante testa a testa contro l’irriducibile Torino, e conquista a Bilbao della Coppa Uefa, primo trofeo internazionale della Juve. E così quel biondino accolto con una certa diffidenza per i suoi trascorsi milanisti ma che in panchina si faceva rispettare, e non solo per il caratteristico fischio che usava per richiamare l’ attenzione dei propri giocatori, divento’ presto un idolo dei tifosi. Piaceva per la sua semplicità, la disponibilità, la schiettezza che esibiva nei rapporti col mondo esterno.

 

Nella stagione successiva il Trap bisso’ il titolo e sfiorò la finale di coppa dei Campioni, preclusa da una semifinale stregata – quella col Bruges allenato da Ernst Happel – condizionata soprattutto dagli errori dell’inqualificabile arbitro svedese Eriksson. L’avvocato Agnelli, dapprima diffidente, ne resto’ conquistato. Lo chiamava quasi tutte le mattine, fra le sei e mezzo e le sette. Gli chiedeva di tutto: dall’umore dei campioni, alla crescita dei ragazzini. E parlava molto di futuro. La Juve del Trap cominciava ad assumere una propria fisionomia: accanto ai veterani (Zoff, Furino, Benetti, Boninsegna e Bettega) crescevano giovani promettenti come Scirea, Tardelli, Cuccureddu, Gentile, Cabrini. All’insegna dell’ equilibrio.

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“Una squadra e’ come un rosone – amava dire il Trap – in cui ogni elemento deve essere collocato al posto giusto: se salta l’ armonia, addio“. A quel punto il (“difensivista”) Trapattoni cullo’ un progetto ambizioso: un tridente con Roberto Bettega al centro e Paolo Rossi e Virdis ai fianchi. Causio, per la realizzazione di questo progetto, era stato gia’ promesso al Napoli, quando Boniperti si fece soffiare clamorosamente Paolo Rossi alle buste da Giussy Farina. Progetto rinviato e tutto come prima.

 

Dopo due stagioni interlocutorie anche in coppa dei Campioni, la seconda impennata. Arrivo’ lo scudetto di Liam Brady, lo scudetto della praticita’ , della concretezza, dell’ organizzazione di gioco, Tardelli ormai maturo e giovani virgulti come Fanna, Marocchino e Virdis. E bis l’anno dopo (’81 – ’82) con la crescita di Brio, Marocchino, Galderisi e Virdis.

 

Ma era l’anno della svolta. Alla vigilia dei mondiali l’Avvocato scende in campo e “arpiona” Michel Platini e Zibì Boniek. Trap si trova a gestire l’inserimento dei due campioni in una squadra che aveva dato il telaio (compreso il recuperato Paolo Rossi) all’Italia campione del mondo. La prima stagione e’ difficile, anche per i problemi (fisici e non) incontrati da Michel Platini. Lo scudetto va alla Roma inesorabile rivale dei bianconeri, ma – dopo la delusione della finale di Atene contro l’Amburgo del solito Happel – si apre un nuovo ciclo: scudetto e coppa delle Coppe nell’84, Supercoppa e coppa dei Campioni nell’85. E’ una Juve meno prepotente ma più spettacolare di quella del ’77, una Juve segnata dall’ intelligenza e l’eleganza di Platini e Scirea, dalla potenza di Boniek, dall’aggressività di Tardelli, Gentile e Cabrini, dalla generosità di Bonini. Una Juve che quando vuole fa spettacolo e risultati.

 

Per Trap sembra tutto facile, ma e’ il periodo più difficile. Deve domare le personalità di grandi campioni, la voglia di libertà di un Platini che andrebbe sempre all’attacco e di un Boniek anarchico come pochi. E deve combattere coi denigratori che contano solo quello che non vince anzichè i suoi successi, attribuendo questi ultimi all’ala protettrice di Boniperti. Trap si ribella, finalmente. “Quando si ha la possibilità di lavorare con un presidente come Boniperti – spiega – che fa parte della storia del calcio, sarebbe idiota non confrontarsi con lui. Sono stato onorato di aver potuto farlo tutti i giorni. Ma questo non ha mai tolto nulla alla mia autonomia“.
La Juve comincia a stargli stretta. Vuol dimostrare, agli altri ma anche a se stesso, che sa vincere senza la Juve. Ed emigra all’Inter nell’86, non prima di aver regalato alla Juve il 6 scudetto, uno dei più sofferti ed a divorzio ormai abbondantemente annunciato.

 

Stagione 1976/77: Scudetto e Coppa UEFA

ACQUISTI: Benetti (c) Milan, Boninsegna (a) Inter, Cabrini (d) Atalanta, Marchetti (c) Novara
CESSIONI:Anastasi (a) Inter, Capello (c) Milan, Damiani (a) Genoa, Savoldi II (c) Sampdoria, Verza (c) Vicenza

Se n’è appena andato Carlo Paro­la, timoniere dello scudetto 1974-75. Girano nomi importanti, per la sostituzione: quelli di Bersellini, Di Marzio, Angelillo. Invece, dal cilindro di Giampiero Boniperti spunta Giovanni Trapattoni, che ha appena chiuso col Milan e sem­brava a un passo dal ripartire dall’Atalanta, in Serie B. Il Trap non fa rivoluzioni, a Boniperti chiede solo due guerrieri, Boninsegna e Benetti. Il presidente è perplesso, i tifosi sono amareggiati. Trapattoni viene accontentato e i risultati gli danno ragione: la Juventus parte a razzo, duella con il Torino di Ra­dice, campione uscente e grande favorito, fino all’ultima giornata. Finisce con i bianconeri a quota 51 e i granata un punto più giù, ri­sultato storico e irripetibile. Intan­to, a primavera è sbocciato un fio­re chiamato Antonio Cabrini, e an­che grazie al suo apporto la Ju­ventus si fa largo in Coppa Uefa. Le mani sul trofeo, il primo rico­noscimento internazionale nella storia della società, l’armata del Trap le mette il 18 maggio 1977, allo stadio San Mames di Bilbao: nel ritorno della finale di Uefa, l’Atletico Bilbao vince 2-1, reti portoghesi di Irureta e Carlos, rete bianconera di Bettega. All’andata era finita 1-0 per la Juve, grazie a un gol di Tardelli. È il trionfo, e in quattro giorni la festa si completa: il 22 maggio, la Juve vince il di­ciassettesimo scudetto.

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Stagione 1977/78: Scudetto

ACQUISTI: Fanna (a) Atalanta, Verza (e) Vicenza, Virdis (a) Cagliari
CESSIONI: Marchetti (c) Cagliari, Gori (a) Verona, Schincaglia (a) Juniorcasale

Cambia poco, la seconda Juve del­l’era Trapattoni. In pratica arriva solo Pietro Paolo Virdis, dal Ca­gliari, dopo un iniziale “no” al tra­sferimento che coglie di sorpresa Boniperti e lo induce a volare per­sonalmente in Sardegna per con­vincere il giocatore. Virdis arriva, ma non cambia faccia alla squa­dra, anche perché una lunga malat­tia lo tiene lontano dal campo per due terzi della stagione. Tocca a quelli che già ci sono, crescere e convincere. Gaetano Scirea, per esempio, senza clamore sta diven­tando il miglior libero d’Italia, e a prendere il posto di Facchetti in maglia azzurra. Fatica maggior­mente il giovane Cabrini, chiuso da una difesa titolare rocciosa che Trapattoni non si sente, per il mo­mento, di rivoluzionare. Viaggia di conserva, la Juventus, e tanto basta a conquistare il secondo titolo con­secutivo dell’era-Trapattoni. L’u­nico avversario che prova a tenere il passo è il Vicenza-rivelazione di Paolo Rossi. Il sogno europeo si arresta alle semifinali della Coppa dei Campioni, con l’eliminazione subita ad opera del Bruges.

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Stagione 1978/79: Coppa Italia

ACQUISTI: Brio (d) Pistoiese
CESSIONI: Spinosi (d) Roma

Forse la peggior stagione dell’era del Trap. I bianconeri che hanno partecipato al Mondiale d’Argen­tina tornano svuotati. Doveva arri­vare Paolo Rossi, cresciuto nel vi­vaio bianconero, ma Farina brucia Boniperti alle buste per una cifra stratosferica e il bomber resta a Vi­cenza. In campionato s’involano Milan e Perugia, in Coppa Cam­pioni la Juve salta al primo turno, eliminata dai Rangers. Resta solo la Coppa Italia, e Trapattoni la vuole a tutti i costi: missione com­piuta a Napoli, contro il Palermo, ma solo ai tempi supplementari.

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Stagione 1979/80: –

ACQUISTI: Bodini (p) Atalanta, Prandelli (c) Atalanta, Tavola (c) Atalanta, Marocchino (a) Atalanta
CESSIONI: Benetti (c) Roma, Alessandrelli (p) Atalanta, Boninsegna (a) Verona

Ripartire da quel terzo posto che, dopo due scudetti, sembra una mezza disfatta. Trapattoni si mette all’opera pescando nella rosa dell’Atalanta: da Bergamo arrivano Tavola, Prandelli, Marocchino e Bodini. Stavolta, però, la Juve par­te ancora peggio, e a metà campio­nato è quint’ultima, con 14 punti in 15 partite. Mentre l’Inter s’invo­la verso lo scudetto, i bianconeri si risvegliano e con un girone di ri­torno ad alto livello (24 punti) rag­giungono il secondo posto. In Coppa delle Coppe e in Coppa Ita­lia, la Juve si ferma alle semifina­li: la mettono fuori gioco, rispetti­vamente, l’Arsenal e il Torino.

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Stagione 1980/81: Scudetto

ACQUISTI: Brady (c) Arsenal, Osti (d) Udinese
CESSIONI: Tavola (c) Cagliari, Virdis (a) Cagliari, Koetting (c) Udinese

Liam Brady, irlandese di 24 anni, è la stella dell’Arsenal. Il presidente Boniperti lo sceglie come primo straniero della Juventus dopo la riapertura delle frontiere. Brady ha fisico esile e piedi fatati, Trapatto­ni gli mette sulle spalle il numero 10 e lui prende per mano la squa­dra e la riporta in alto: parte piano, ma cammin facendo trova il ritmo e infila la strada giusta, quella che porta verso il diciannovesimo scu­detto. Brady è anche il primo marcatore di una sorta di “cooperativa del gol”: segna otto reti, Cabrini e Tardelli ne fanno sette, Bettega, Fanna e Marocchino cinque, Scirea quattro. La Juve gira a quota 18, poi azzecca un girone di ritor­no esaltante, che vale 26 punti, ag­gancia Roma e Napoli e le supera. Trapattoni si esalta, parla di nuovo ciclo bianconero. In Europa va male, al secondo turno di Uefa la Juventus viene eliminata dal Widzew Lodz, guidato dal giovane ta­lento polacco Boniek.

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Stagione 1981/82: Scudetto

ACQUISTI:Virdis (a) Cagliari, Bonini (c) Cesena, Rossi (a) Vicenza, Koetting (e) Udinese
CESSIONI: Causio (c) Udinese, Cuccureddu (d) Fiorentina, Verza (c) Cesena, Storgato (d) Cesena, Koetting (c) Spal, Pin (c) Sanremese

Lo scudetto numero venti, quello della seconda stella, arriva a un quarto d’ora dalla fine dell’ultima giornata di campionato, dopo un lungo testa a testa con la Fiorenti­na. A Catanzaro il tricolore è nelle mani di un campione che sa già che il suo destino sarà lontano da Torino. Brady ha appena saputo che gli stranieri della Juve, nella prossima stagione, saranno Platini e Boniek. Eppure, minuto settan­tacinque di Catanzaro-Juventus, batte con imperturbabile freddez­za il rigore decisivo che consegna all’armata del Trap vittoria e scu­detto. La sua corsa, la Juventus l’ha fatta senza Bettega, fuori dal­la settima giornata per un grave irrfortunio al legamento collaterale del ginocchio sinistro, rimediato in uno scontro con Munaron nel­l’andata degli ottavi di Coppa Campioni contro l’Anderlecht, sfida sfortunata anche perché i belgi buttano la Signora fuori dal­l’Europa. Paolo Rossi rientra, do­po due anni di inattività, solo nel­le ultime due partite. Sorprende e incanta il giovanissimo Giuseppe “Nanù” Galderisi, che segna sei gol, tutti decisivi.

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Stagione 1982/83: Coppa Italia

ACQUISTI: Platini (c) Saint-Etienne, Boniek (a) Widzew Lodz, Storgato (d) Cesena, Koetting (c) Spal
CESSIONI: Fanna (a) Verona, Virdis (a) Udinese, Brady (c) Sampdoria, Tavola (c) Lazio

Parte con i riflettori puntati ad­dosso, la nuova Juve di Trapatto­ni, impreziosita dai gioielli Plati­ni e Boniek. Tutti la danno come favorita, un attacco con Rossi, Bettega, Platini e Boniek sulla carta è da urlo. Invece, come suc­cede spesso, i profeti hanno vita difficile. Proprio come la Signo­ra, che parte male e si ritrova a fare i conti con i problemi mu­scolari di Platini, che non ingra­na. È l’anno della Roma di Liedholm, di Falcao, e contro il destino non si può andare. L’idea è quella di prendersi una bella ri­vincita in Coppa dei Campioni. Il sogno infinito. Sembra fatta, quando la Juventus arriva alla fi­nalissima di Atene, il 25 maggio dell’83 contro l’Amburgo. Sugli spalti ci sono cinquantamila ita­liani, è come giocare in casa. In­vece, arriva il gol di Magath al nono minuto a raffreddare i cuo­ri. Una doccia ghiacciata, la Juve europea si spegne lì, a un passo dal grande traguardo. Trapattoni pensa seriamente ad andarsene, Boniperti lo trattiene. Lui resta, e reagisce. Porta il suo gruppo al successo in Coppa Italia e nel Mundialito per club. A fine sta­gione, Dino Zoff dice basta. È stato una bandiera della Juve e della Nazionale, ha vinto abba­stanza per chiudere, a quarant’anni, una carriera splendida.

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Stagione 1983/84: Scudetto e Coppa Coppe

ACQUISTI: Tacconi (p) Avellino, Penzo (a) Verona, Caricola (d) Bari, Vignola (c) Avellino
CESSIONI: Galderisi (a) Verona, Bettega (a) Toronto, Marocchino (a) Sampdoria, Storgato (d) Verona

Si accende il Re Michel Platini, finalmente libero dai problemi fi­sici, fa esplodere sul campionato italiano la sua classe infinita. Ri­sultato: tanto fosforo da illuminar­ci il gioco della squadra, con l’ag­giunta di un grappolo di gol im­portanti. Alla fine saranno venti, e porteranno Roi Michel dritto sulla vetta della classifica marcatori. In porta, il totem Zoff è sostituito de­gnamente dal giovane Stefano Tacconi. Insomma, la Juventus è pronta a ripartire di slancio. Arriva lo scudetto numero ventuno, ma arriva anche la Coppa delle Cop­pe, che per la prima volta finisce nella bacheca di Galleria San Fe­derico. Il re delle notti d’Europa è Zibì Boniek, molto più indecifra­bile in campionato. Finale a Basi­lea, 16 maggio dell’84: Juventus-Porto 2-1, è proprio Zibì a mettere l’impronta sul trofeo internaziona­le più importante della storia bianconera. Solo un inizio, per Trapattoni. Lui preferisce parlare di trampolino di lancio verso la cop­pa che ancora manca, quella più sognata dal popolo juventino. Lui pensa alla Coppa dei Campioni, sente che il traguardo è vicino…

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Stagione 1984/85: Coppa dei Campioni

ACQUISTI: Favero (d) Avellino, Limido (c) Avellino, Briaschi (a) Genoa, Pioli (d) Parma
CESSIONI: Gentile (d) Fiorentina, Penzo (a) Napoli

Il campionato finisce presto, per chi è partito col dovere di difen­derlo. Troppi problemi, per Tra­pattoni. La stanchezza di Platini, spremuto dalle partite dell’Euro­peo vinto con la maglia della Na­zionale francese; gli infortuni di Brio; gli addii annunciati prema­turamente da Rossi, Boniek e Tardelli. È l’anno del Verona di Ba­gnoli e dell’ariete Elkjaer, viag­giano forte anche Inter, Torino e Sampdoria. Trapattoni intuisce che il campionato è perduto e si butta sull’Europa. Nel mirino c’è un obiettivo immenso, la Coppa dei Campioni. La Juve scalda i muscoli vincendo la Supercoppa europea, contro il Liverpool, 2-0 a Torino il 16 gennaio ’85 con una doppietta di Boniek. E ritrova il Liverpool nella finale di Coppa Campioni, il 29 maggio allo sta­dio Heysel a Bruxelles. Dovrebbe essere la data di una serata di fe­sta, passerà alla storia del calcio come uno dei suoi giorni più tra­gici: sulle tribune del vecchio, ob­soleto Heysel, si scatena la follia degli hooligans inglesi. La gente fugge, tanti restano schiacciati contro le reti di recinzione. Scene apocalittiche, quando la polizia belga riesce a riportare la calma è troppo tardi, ed è una calma mor­tale: trentanove corpi restano a terra. In campo, dopo una sospen­sione, la partita riprende in un cli­ma surreale. Motivi di ordine pub­blico, si dirà poi. E la Juventus vince il trofeo a cui teneva di più nella notte insanguinata di Bruxelles, e non può far festa. Nessuno sorride, nessuno è felice. Il segno di quella notte dannata re­sterà nell’anima di tutti quelli che c’erano.

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Stagione 1985/86: Scudetto e Coppa Intercontinentale

ACQUISTI: Manfredonia (c) Lazio, Mauro (a) Udinese, Serena (a) Torino, Laudrup (a) Lazio, I. Bonetti (c) Genoa, Pin (e) Parma, Pacione (a) Atalanta CESSIONIPrandelli (c) Atalanta, Tardelli (c) Inter, Rossi (a) Milan, Boniek (a) Roma, Vignola (c) Verona, Limido (c) Atalanta
Manca ancora un trofeo, nella ba­checa bianconera. Trapattoni si mette al lavoro per portare a Tori­no la Coppa Intercontinentale. La conquista l’8 dicembre 1985 a Tokyo. È una vera battaglia, contro l’Argentinos Juniors. Finisce 2-2 dopo i supplementari, 6-4 ai rigori. Quello decisivo, guarda un po’, lo segna Michel Platini. In campiona­to la Juve parte fortissimo: otto vit­torie nelle prime otto partite, pri­mato che fino a questo momento apparteneva soltanto a un’altra Ju­ve, la prima del favoloso quin­quennio degli anni ’30, quella del­la stagione 1930-31 per intenderci. A metà campionato i bianconeri hanno 26 punti, ed è sempre re­cord, ma quando sembra che il gio­co sia più facile del previsto arriva l’affanno. C’è il ritorno della Ro­ma, c’è la strenua resistenza dei ra­gazzi del Trap, cose che danno un gusto vivo al torneo. Concentrarsi sul campionato costa caro in Cop­pa Campioni, dove i bianconeri vengono eliminati dal Barcellona. Finisce in gloria, l’ultima stagione del Trap, con il ventiduesimo scu­detto e l’impronta bianconera sul mondo. Abbastanza per crogiolar­si nell’oro della gloria, se non ci si chiamasse Giovanni Trapattoni. Il condottiero ha già deciso, il suo ci­clo bianconero è terminato. Di lì a un anno, se ne andrà anche l’ulti­mo e il più grande dei suoi guer­rieri, quel Michel Platini che quan­do arrivò in Italia era un magnifico anarchico del pallone, e che sotto le cure del Trap è diventato cuore, cervello e motore della Juventus e della Francia. Il migliore, per farla corta.

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Trap commosso per le figurine da giovane, l'affetto del web

Tutta Italia si stringe a lui: Sei sempre il numero 1!

 

Trap commosso per le figurine da giovane, l'affetto del web

 

FONTE

 

E’ stato una colonna del Milan, ha allenato e vinto con Juventus e Inter ed è stato il ct della Nazionale: Giovanni Trapattoni è di tutti, non ha bandiere. Normale quindi che un suo sfogo umano raccolga consensi bipartisan, dai tifosi di tutta Italia. Il Trap ha postato un tweet nostalgico scrivendo: “E’ stata presentata la 58/a collezione @figurinepanini. Rivedendomi giovane nelle foto delle prime edizioni capisco quanto il tempo sia volato!”. Immediata la reazione dei follower, a partire da Ezio Greggio. Il conduttore di Striscia la Notizia, grande tifoso bianconero, scrive: “Trap per te il tempo non passa, tu sei sempre giovane, un mito in campo e in panchina . W il Trap !”. Poi un fiume di dolci parole da parte dei tifosi di tutti i club: “Lei mister è un patrimonio per tutta l’Italia. Uno dei pochissimi che è riuscito ad unire un popolo in uno sport dove a volte ci si ammazza negli stadi. Grazie Trap!”.

AMORE SENZA BANDIERE – O ancora: “Caro Trap, invecchiare è l’unico modo per vivere a lungo. Con tanto affetto”. L’amore non ha confini: “Grande Trap. Da mister hai vinto con tutte le squadre e tutti i tifosi ti vogliono bene. Questo significa essere anche un grande uomo”. Commentano tifosi della Juve (“Trap, ci hai regalato i giorni più bella della nostra gioventù. Ti vogliamo bene. Forza Juventus…. “, o anche: “13anni di battaglie con noi con lui abbiamo vinto tutto tutto tutto quanto una squadra di calcio può vincere scudetto Coppa Italia Coppa campioni Coppa UEFA Supercoppa europea Coppa Delle coppe Coppa intercontinentale diventando la prima squadra del mondo a vincere tutto”) del Milan ( “Quanti anni al Milan ! Che bravo Che fortuna Che onore Certo che poi da allenatore ci fece un po’ disperare”) dell’Inter (“Sei sempre un giovanotto che ha fatto la storia del calcio italiano. Grazie da un interista che non dimenticherà mai lo scudetto ’88-’89, quello dei 58 punti! E quest’anno saranno 30 anni! Un abbraccio”) e del calcio in generale: “Tutta l’Italia le vuole bene” fino alla chiosa divertita: “Mister, ma a quei tempi lo diceva gatto quando era nel sacco ?”.

 

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File:Giovanni Trapattoni - 1979 - Juventus FC.jpg - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Trapattoni

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Cusano Milanino (Milano)
Data di nascita: 17.03.1939

Ruolo: Allenatore
Altezza: 175 cm
Peso: 73 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Trap - Giuanín

 

 

Allenatore della Juventus dal 1976 al 1986 e dal 1991 al 1994

 

596 panchine - 319 vittorie - 181 pareggi - 96 sconfitte

 

6 scudetti

2 coppe Italia

1 coppa dei campioni

1 coppa delle coppe

2 coppe Uefa

1 supercoppa Uefa

1 coppa Intercontinentale

 

 

 

Giovanni Trapattoni (Cusano Milanino, 17 marzo 1939) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista.

Noto con il diminutivo di Trap, è generalmente considerato il tecnico più rappresentativo del calcio italiano del secondo dopoguerra: è infatti l'allenatore italiano più vittorioso a livello di club nonché uno dei più titolati al mondo, avendo conquistato campionati in Italia (un record di sette), Germania, Portogallo e Austria (uno a testa), per un totale di dieci titoli nazionali, facendone uno dei cinque allenatori — assieme allo jugoslavo Tomislav Ivić, all'austriaco Ernst Happel, al portoghese José Mourinho, al belga Eric Gerets e al suo connazionale Carlo Ancelotti — capaci di vincere almeno un torneo nazionale di prima divisione in quattro paesi diversi; a questi si sommano sette titoli ufficiali a livello internazionale, che ne fanno il sesto allenatore al mondo e quarto in Europa per numero di trofei conquistati in tale categoria.

I suoi anni da calciatore trascorsero per la gran parte al Milan, dove rimase una colonna portante della squadra per quasi un quindicennio e, agli ordini di Nereo Rocco, vinse due scudetti, una Coppa Italia, due Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Coppa intercontinentale; chiuse poi la carriera agonistica nel Varese.

Divenne subito allenatore, emergendo precocemente e ottenendo la maggior parte dei successi sulla panchina della Juventus, squadra che guidò ininterrottamente dal 1976 al 1986 — il ciclo più duraturo nella storia del calcio professionistico italiano — e nuovamente dal 1991 al 1994; riuscì inoltre a inanellare sei campionati di Serie A e due Coppe Italia, diventando al contempo il primo allenatore nella storia ad aver vinto le tre principali competizioni per club organizzate dall'Unione delle Federazioni Calcistiche Europee (UEFA) con la stessa squadra e, in seguito, tutte le manifestazioni allora gestite dalla confederazione — un'impresa mai riuscita prima nel calcio europeo —, facendo assurgere la squadra bianconera tra le migliori nella storia della disciplina anche in virtù dell'innovativa zona mista. È inoltre uno dei pochi sportivi ad aver vinto la Coppa dei Campioni, la Coppa delle Coppe e la Coppa Intercontinentale sia da giocatore che da allenatore; è infine tra i tecnici plurivittoriosi in Coppa UEFA con 3 affermazioni.

Commissario tecnico della nazionale italiana dal 2000 al 2004, successivamente ricoprì il medesimo incarico per la nazionale irlandese dal 2008 al 2013, dapprima sfiorando la qualificazione al campionato del mondo 2010 al termine di una polemica sfida contro la Francia, e riuscendo poi a qualificarla al campionato d'Europa 2012, traguardo raggiunto per la prima volta dai Boys in Green dal 1988.

Nel 2007 fu inserito dal quotidiano britannico Times in una lista dei cinquanta migliori allenatori della storia del calcio e, sei anni più tardi, dall'emittente televisiva statunitense ESPN nella speciale classifica dei venti più grandi allenatori. Infine, fu introdotto nella Hall of fame del calcio italiano nella categoria allenatore italiano nel 2012.

 

Giovanni Trapattoni
FIFA WC-qualification 2014 - Austria vs Ireland 2013-09-10 - Giovanni Trapattoni 03 (cropped).JPG
Trapattoni nel 2013 alla guida dell'Irlanda
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 175 cm
Peso 73 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1972 - giocatore
2013 - allenatore
Carriera
Giovanili
19??-1956   Cusano Milanino  
1956-1957   Milan Juniores
Squadre di club
1957-1971   Milan 274 (3)
1971-1972   Varese 10 (0)
Nazionale
1960-1964 Italia Italia 17 (1)
Carriera da allenatore
1972-1974   Milan Coll. tecnico / Giovanili
1974   Milan Interim
1974-1975   Milan Vice
1975-1976   Milan  
1976-1986   Juventus  
1986-1991   Inter  
1991-1994   Juventus  
1994-1995   Bayern Monaco  
1995-1996   Cagliari  
1996-1998   Bayern Monaco  
1998-2000   Fiorentina  
2000-2004 Italia Italia  
2004-2005   Benfica  
2005-2006   Stoccarda  
2006-2008   Salisburgo  
2008-2013 Irlanda Irlanda

 

Biografia

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La cascina Guarnazzola ("La Bernasciola" in dialetto) a Cusano Milanino, dove nacque e visse il giovane Trapattoni

 

È il quinto figlio di Francesco, operaio, emigrato nell'hinterland milanese da Barbata, piccolo paese della Bassa Bergamasca, e di Romilde Bassani, contadina. È cresciuto durante il secondo conflitto mondiale e nelle difficoltà dell'immediato dopoguerra; a Cusano Milanino la sua famiglia abitava in una porzione della Cascina Guarnazzola (in dialetto chiamata anche "Bernasciola") insieme ad altre undici famiglie. Nel 1945 cominciò a frequentare le scuole elementari a Milanino, lavorando come garzone nelle vacanze estive e, intanto, iniziando a giocare a calcio all'oratorio San Martino di Cusano.

Desideroso di costruirsi un futuro solido, in questi anni alternava gli allenamenti — prima alla polisportiva Frassati di Niguarda e poi alla rinnovata società dell'U.S. Cusano Milanino — con il lavoro da apprendista tipografo. Il presidente del Cusano Milanino, l'ingegnere Romano Augusti, cedette al Milan alla fine della stagione 1955-1956 i suoi due migliori giocatori della squadra Juniores regionale, lo stesso Trapattoni e Gilberto Noletti.

Durante il torneo olimpico di Roma 1960 incontrò Paola Miceli, che poi continuò a frequentare grazie al servizio militare che gli diede la possibilità di trasferirsi proprio nella Capitale. La coppia convolò a nozze nel 1964 a Grottaferrata e testimone dello sposo fu l'ex ministro Alberto Folchi. La coppia ebbe due figli, Alberto e Alessandra.

Nel settembre 2015 è uscito il suo libro autobiografico Non dire gatto, scritto in collaborazione con Bruno Longhi. Nell'estate del 2018 è stato nominato presidente onorario del San Venanzo, formazione dilettantistica dell'eponimo comune umbro.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

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Trapattoni (a destra) al Milan nel 1970, in marcatura sull'interista Mazzola durante un derby di Milano.

 

Impiegato prettamente nel ruolo di centrocampista difensivo, Trapattoni ha giocato sia come mediano sia come difensore, all'occorrenza come terzino. Abile marcatore, da calciatore lo si ricorda per efficaci tenute a uomo su alcuni dei maggiori fuoriclasse dell'epoca: su tutte quella che annullò Eusébio durante la finale di Coppa dei Campioni 1962-1963 a Wembley, che valse al Milan — e al calcio italiano — la sua prima Coppa dei Campioni.

Allenatore

Una volta intrapresa la carriera di allenatore, diventò uno dei teorici e massimi interpreti della zona mista, schema tattico che coniugò al meglio le caratteristiche di due filosofie calcistiche agli antipodi, il catenaccio italiano e il calcio totale olandese. Con questo gioco "all'italiana" i difensori, durante la fase di copertura, preservavano una stretta marcatura a uomo, mantenendo la presenza del libero a impostare l'azione, mentre nei reparti avanzati i giocatori venivano disposti a zona, riuscendo così a muoversi e interscambiarsi: fu così che le squadre allenate da Trapattoni tra gli anni 1970 e 1990 mostravano come fiore all'occhiello il proprio centrocampo, di difficile lettura da parte degli avversari, in cui veniva esaltato il ruolo del regista, libero di spaziare dalla zona difensiva per impostare il gioco a quella offensiva per finalizzare l'azione; prova di ciò fu l'elevato numero di gol messi a segno da fantasisti quali Michel Platini e Roberto Baggio, per quanto riguarda il primo e il secondo periodo del Trap alla Juventus, o da elementi box-to-box come Lothar Matthäus durante il quinquennio sulla panchina dell'Inter.

 

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Trapattoni (a sinistra) allenatore della Juventus nel campionato 1976-1977, mentre saluta il collega Luigi Radice in occasione di un derby di Torino: i due tecnici, già compagni di squadra a Milano, furono i massimi fautori della zona mista.

 

Ispirato in primis da Nereo Rocco, il quale l'aveva allenato in tre periodi diversi durante la sua quasi quindicennale esperienza milanista, in panchina Trapattoni si distinse inoltre sia per la sua conoscenza strategica superiore sia per la meticolosità nei dettagli, per l'abilità nella lettura delle partite e nell'utilizzo dei cambi nonché per le notevoli abilità motivazionali verso i suoi giocatori.

Memore dei suoi trascorsi da centrocampista, ha affermato come ciò lo abbia facilitato nel diventare poi un bravo allenatore, sostenendo che «giocando in mezzo capisci meglio le dinamiche di tutti i reparti».

Carriera

Giocatore

Club

Gli inizi, gli anni al Milan
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Trapattoni (accosciato, secondo da sinistra) nel Milan campione d'Italia 1961-1962

 

Mosse i primi passi nel vivaio del Cusano Milanino, squadra del paese natale. Nel 1956, durante un incontro con i giovani del Milan, balzò all'occhio del tecnico ed ex calciatore rossonero Mario Malatesta, il quale gli diede subito la possibilità di mettersi in luce con un provino, superato il quale, Giuanìn intraprese il suo primo viaggio all'estero per un torneo a Strasburgo, vestito di rossonero. La formazione di Malatesta, potendo contare su altri futuri campioni come Trebbi, Noletti e Salvadore, vinse il Torneo di Viareggio nel 1959, per poi ripetersi nel 1960.

Con l'attività agonistica divenuta sempre più pressante, lasciò il posto in tipografia al fratello Antonio. Aggregato dalle giovanili inizialmente per le sole gare di Coppa Italia, Trapattoni fu lanciato da Luigi Bonizzoni, debuttando in prima squadra il 29 giugno 1958, all'età di diciannove anni, in un Milan-Como finito 4-1. Qualche giorno più tardi morì il padre per infarto: Giovanni era intenzionato a smettere con il calcio per prendersi cura della madre, ma Malatesta gli assicurò uno stipendio sufficiente a mantenere la famiglia. Per l'esordio in Serie A dovette attendere il 24 gennaio 1960, in occasione della vittoria rossonera 3-0 sul campo della SPAL, in cui venne schierato come terzino destro. Il primo gol con la maglia del Diavolo arrivò il 16 aprile 1961, durante il match vinto a San Siro contro la Roma per 2-1.

 

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Trapattoni (in primo piano) festeggia con Lodetti, il tecnico Rocco e Cudicini la vittoria rossonera nella Coppa delle Coppe 1967-1968

 

Lo stesso anno ritrovò come allenatore Nereo Rocco, con cui già aveva collaborato per il torneo olimpico di Roma 1960; il paròn lo fece diventare una colonna portante del suo Milan, con cui il tecnico e il centrocampista vinsero in due periodi differenti due scudetti (1961-62, 1967-68), altrettante Coppe dei Campioni (1962-63, 1968-69), una Coppa delle Coppe (1967-68) e una Coppa intercontinentale (1969). Con l'addìo di Rocco, negli anni seguenti il Trap venne usato con meno frequenza dagli altri tecnici rossoneri; nonostante ciò riuscì comunque a vincere la Coppa Italia 1966-67, non facendo così mancare alcun titolo nel proprio palmarès.

La sua avventura da giocatore milanista terminò nel 1971, dopo avere collezionato 14 stagioni, 274 partite di campionato e 351 presenze totali che lo posizionano al diciassettesimo posto nella classifica all-time del club rossonero; segnò in totale 6 gol, uno dei quali nella partita valida per l'andata della Coppa Intercontinentale 1963 contro il Santos, che si aggiudicò però infine il trofeo.

Varese

Lasciati i rossoneri, nell'estate 1971 si accasò al Varese. Con i Bosini riuscì a collezionare altre 10 presenze in Serie A, arrivando a 284 totali, e 3 presenze in Coppa Italia. Terminata la stagione 1971-1972, all'età di 33 anni, decise di appendere gli scarpini al chiodo.

Nazionale

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Trapattoni (a sinistra) in nazionale, in marcatura su Pelé in Italia-Brasile (3-0) del 12 maggio 1963.

Prese parte con la nazionale ai Giochi di Roma 1960.

Con gli azzurri ha disputato 17 partite (l'ultima contro la Danimarca nel 1964) segnando un gol in amichevole contro l'Austria. Prese parte anche alla spedizione del campionato del mondo 1962 in Cile, indossando la maglia numero sei; molto atteso a questa competizione in cui sarebbe stato il mediano titolare, dovette invece fare da spettatore a causa di un grave infortunio al legamento tibiale.

L'episodio più rappresentativo della sua carriera azzurra è probabilmente quello relativo a un'amichevole tra Italia e Brasile giocata allo stadio San Siro a Milano il 12 maggio 1963, occasione in cui Trapattoni sarebbe riuscito ad annullare il gioco di Pelé; il fuoriclasse brasiliano chiese il cambio al 26' e al suo posto entrò Quarentinha, al quale Trapattoni si attaccò con ancor più foga. L'Italia alla fine vinse la partita 3-0 e Trapattoni si consacrò ancora di più come difensore. In realtà, ritornando su questo fatto, Pelé nel 2000 affermò che a impedirgli di giocare bene era stato un forte mal di pancia e che quel giorno era sceso in campo solo per questioni di contratto. Lo stesso Trapattoni non ha mai voluto vantarsi di quell'episodio e anzi, prima ancora delle dichiarazioni di Pelé, aveva affermato: «La verità di quel giorno è che lui era mezzo infortunato. Stanco. Io sono stato un buon calciatore, ma lasciamo stare Pelé. Quello era un marziano».

Allenatore

Milan

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Trapattoni (a destra) nel 1974, alla sua prima esperienza sulla panchina del Milan, esce da San Siro con il capitano ed ex compagno di squadra rossonero Rivera.

La sua carriera di allenatore cominciò immediatamente chiusa quella agonistica. Nell'estate 1972 tornò in seno al club di cui era stato bandiera da calciatore, il Milan, dividendosi tra le giovanili e lo staff della prima squadra, qui agli ordini del tandem formato da Nereo Rocco — già suo allenatore nel decennio precedente, e tra i primi a intuirne le future potenzialità in panchina — e da Cesare Maldini. Per via di un'indisposizione che colpì proprio Maldini, negli ultimi quattro turni di campionato Trapattoni cominciò ad affiancare ufficiosamente Rocco in partita: stante un'ulteriore squalifica comminata al paròn, toccò al giovane assistente guidare la squadra da bordocampo il 20 maggio 1973, nella domenica della "fatal Verona", nella quale l'Hellas, battendo a sorpresa il Milan per 5-3, negò ai rossoneri uno scudetto che sembrava già cucito al petto.

Nella stagione seguente, molto tribolata per la panchina dei lombardi, inizialmente Trapattoni venne mandato all'estero a studiare gli avversari di coppa oltreché seguire i giovani del vivaio. Con le dimissioni prima di Rocco e poi di Maldini del quale era il secondo, l'8 aprile 1974, appena trentacinquenne e di ritorno da Mönchengladbach dove aveva visionato la squadra locale, Trapattoni subentrò ad interim alla guida del Milan, esordendo due giorni dopo in occasione della vittoriosa semifinale di Coppa delle Coppe proprio contro il Borussia M'gladbach (2-0); traghettò i rossoneri sino alla finale della competizione, persa contro il Magdeburgo. Nonostante la speranza di essere confermato in pianta stabile, il 21 maggio passò le redini al nuovo allenatore Gustavo Giagnoni, andando contestualmente a ricoprire il ruolo di vice dello stesso per la stagione 1974-1975.

Il 2 ottobre 1975 venne nuovamente richiamato alla guida del Milan, nel mezzo di un riassetto societario che aveva visto la fuoriuscita di Giagnoni e il ritorno di Rocco come direttore tecnico:con Maldini frattanto impegnato al Foggia, per il resto della stagione 1975-1976 il paròn volle proprio Trapattoni al suo fianco, in quella che l'allenatore cusanese considerò la sua prima, vera esperienza da responsabile tecnico, portando la formazione meneghina a chiudere il campionato al terzo posto. Al termine della stagione, tuttavia, anche stavolta non venne riconfermato dalla dirigenza rossonera, che, desiderosa di abbracciare la filosofia zonista all'epoca in ascesa, gli preferì un altro emergente, Giuseppe Marchioro. Il capitano rossonero Gianni Rivera gli chiese di rimanere comunque nello staff del club, ma Trapattoni rifiutò poiché ormai intenzionato a guidare una prima squadra.

Juventus: il Decennio d'oro

Le vittorie autarchiche (1976-1980)
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La prima Juventus targata Trapattoni (in piedi, primo da sinistra), artefice del double continentale nella stagione 1976-1977.

 

Non avendo fin qui conseguito risultati di rilievo, nell'immediato Trapattoni sembrava destinato a maturare esperienza in piazze meno ambiziose. Sicché nel maggio 1976, mentre era a un passo dal firmare con l'Atalanta, destò una certa sorpresa quando Giampiero Boniperti, «conquistato dalle sue idee chiare e dalla sua concretezza», gli offrì la panchina della Juventus. Il tecnico resterà in Piemonte per le successive dieci stagioni, in un periodo calcistico della storia bianconera che prenderà il nome di Decennio d'oro data la quantità di titoli che arriveranno a Torino in questo lasso di tempo; questo ciclo diverrà il più duraturo nella storia del calcio professionistico italiana la squadra juventina tra le migliori nella storia della disciplina anche in virtù di un innovativo schema tattico che ebbe nel Trap uno dei massimi fautori, la cosiddetta zona mista, che influirà peraltro nei successi della nazionale italiana condotta da Enzo Bearzot.

Il Trap portò con sé dal Milan il pupillo Benetti, con l'obiettivo di avere a disposizione un uomo di nerbo a centrocampo, mentre per alzare la qualità dell'attacco fece clamore l'acquisto del rivale interista Boninsegna; ma il colpo rivelazione fu a posteriori quello del giovane terzino Cabrini, il quale iniziò a farsi notare proprio durante la stagione 1976-1977, nel corso della quale lo stesso Giuanìn fece presto ricredere i numerosi scettici. Sotto la sua guida, il 22 maggio 1977 la Juventus vinse un'entusiasmante corsa-scudetto con i concittadini del Torino, vendicando in qualche modo la cocente sconfitta patita la stagione precedente, regalandosi il diciassettesimo scudetto: toccando i 51 punti sui 60 disponibili, stabilì un record tuttora in essere nei campionati italiani a 16 squadre, con 2 punti a vittoria. Fu gloria anche in Europa poiché, quattro giorni prima, la sconfitta subita al San Mamès per 2-1 dall'Athletic Bilbao non impedì alla Vecchia Signora, grazie alla regola dei gol in trasferta, di aggiudicarsi il primo titolo confederale della propria storia, la Coppa UEFA, avendo vinto per 1-0 a Torino l'andata del doppio confronto finale.

 

Un anno più tardi la Juventus di Trapattoni bissò il titolo di campione d'Italia, battendo la concorrenza della rivelazione Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi, mentre in ambito europeo sfiorò la finale di Coppa dei Campioni, preclusa dalla sconfitta in semifinale contro il Club Bruges di Ernst Happel. Frattanto la squadra del Trap cominciava ad assumere una propria fisionomia all'insegna dell'equilibrio: accanto a giocatori di esperienza come Zoff, Cuccureddu, Furino, Benetti, Boninsegna e Bettega, crescevano promettenti elementi come Scirea, Tardelli, Gentile e Cabrini.

Il successivo biennio rappresentò una frenata nel ciclo trapattoniano in riva al Po. La stagione 1978-1979, con i nazionali juventini reduci dalle fatiche del mundial argentino, vide l'unico acuto della Coppa Italia, la sesta nella storia del club nonché la prima per il tecnico di Cusano Milanino, vinta battendo per 2-1 nei tempi supplementari i cadetti del Palermo, nella finale di Napoli del 29 giugno 1979. Peggiore in termini di palmarès si rivelò l'annata 1979-1980, in cui a metà campionato la Juventus si ritrovò addirittura impantanata in zona retrocessione; Trapattoni riuscì a ribaltare la drastica situazione grazie a un ottimo girone di ritorno che valse un insperato secondo posto, alle spalle dell'Inter scudettata, ma l'esito avverso delle semifinali di Coppa Italia e Coppa delle Coppe, rispettivamente contro Torino e Arsenal, condannarono l'allenatore a quella che sarà l'unica stagione del Decennio d'oro chiusa senza trofei.

Verso la seconda stella (1980-1982)
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Trapattoni nel 1981, tra il presidente Boniperti (a sinistra) e il portiere Zoff (a destra), durante una puntata della Domenica Sportiva celebrativa del 19º scudetto juventino.

Dopo che nell'estate 1980 il calcio italiano riaprì le frontiere ai giocatori stranieri, proprio dall'Arsenal che poche settimane prima aveva eliminato Madama in Coppa delle Coppe, Boniperti acquistò la stella irlandese Liam Brady, a cui il Trap assegnò subito la maglia numero dieci. L'esile fantasista dai buoni piedi ricambierà trascinando la squadra torinese sul tetto d'Italia con la vittoria del diciannovesimo scudetto.

L'annata 1981-1982 non sembrò iniziare nei migliore dei modi per l'allenatore cusanese: nella sfida degli ottavi di finale della Coppa dei Campioni contro l'Anderlecht, oltre a una precoce eliminazione, uno scontro tra il portiere belga Munaron e Bettega sancì la fine della stagione per quest'ultimo. Pur se privata del suo centravanti titolare, in campionato la squadra piemontese si confermò comunque protagonista di una serrata lotta al vertice con la Fiorentina, che terminò con la conquista della seconda stella da cucire sul petto delle maglie bianconere. In un finale al cardiopalma, il ventesimo scudetto juventino arrivò appena a un quarto d'ora dalla fine del torneo, quando, nella trasferta di Catanzaro, Brady batté con freddezza il rigore decisivo; questo, nonostante l'irlandese sapesse che il suo destino l'anno seguente sarebbe stato lontano da Torino, poiché i due unici stranieri ammessi per regolamento sarebbero stati i neoacquisti Michel Platini e Zbigniew Boniek.

Le ultime due partite di quel campionato videro inoltre il rientro, dopo due anni di squalifica imposti per il calcioscommesse, dell'attaccante Paolo Rossi il quale, con il francese e il polacco, andrà a formare un trio fondamentale per i successi del Trap nelle stagioni a seguire.

I successi di Platini (1982-1986)
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Trapattoni (a sinistra) alla Juventus a metà degli anni 1980, a colloquio con il suo numéro dix Platini.

La rinnovata Juventus di Trapattoni partì come la favorita per la vittoria finale del campionato 1982-1983, potendo contare su un reparto d'attacco composto da Rossi, Bettega, Platini e Boniek. Contro ogni aspettativa, però, la Signora partì male, causa un Platini incappato in vari problemi fisici; ne approfittò la Roma di Liedholm e Falcão, che vinse lo scudetto battendo la concorrenza torinese. Il Trap cercò di prendersi una rivincita in Coppa dei Campioni, avendo conquistato la finale di Atene, ma il 25 maggio 1983 fu ancora Happel, nel frattempo passato sulla panchina dell'Amburgo, ad avere la meglio: la cocente sconfitta lo portò a meditare circa un possibile abbandono della panchina bianconera, ma successivamente Boniperti riuscì a farlo desistere dall'intento. Reagì alla disfatta portando il proprio gruppo al successo in Coppa Italia, la sua seconda personale nonché la settima nella storia del club, ribaltando la sconfitta per 0-2 subita sul campo del Verona con un secco 3-0 nella gara di ritorno al Comunale. A fine stagione l'allenatore e l'intera società dovettero affrontare il ritiro di Dino Zoff, bandiera della Juventus e della nazionale, il quale si ritirò all'età di 41 anni dopo una carriera esemplare e plurivittoriosa.

 

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Trapattoni tiene tra le mani la prima Coppa dei Campioni della storia juventina, al ritorno a Torino dopo la tragica finale dell'Heysel: nei volti del tecnico e dei giocatori, l'amarezza per la tragedia che ha anticipato la partita.

Il tecnico si vide sostituito degnamente l'ex numero uno con il giovane Stefano Tacconi, e, alla sua seconda stagione nel campionato italiano, si accese Le Roi Platini il quale, finalmente libero dai problemi fisici, illuminò con la sua classe il gioco della squadra e, di riflesso, il campionato italiano. Gli schemi del tecnico, che mettevano in luce il ruolo del regista, portarono Platoche a vincere la classifica marcatori con 20 reti, fondamentali per la conquista del ventunesimo scudetto juventino; fu il quinto campionato per il Trap, un successo che ne fece il primatista nella massima serie nazionale. Nella stessa annata, Trapattoni riuscì a conquistare anche la Coppa delle Coppe, battendo per 2-1 il Porto nella finale di Basilea giocatasi il 16 maggio 1984.

I differenti problemi che il coach dovette affrontare durante la stagione 1984-1985, tra cui spiccarono la stanchezza post-europeo di Platini e i diversi infortuni dello stopper titolare Brio, fecero sì che la Juventus abdicasse anticipatamente nella difesa del titolo nazionale, che si aggiudicò a sorpresa l'outsider Verona. Con lo scudetto presto svanito, il Trap puntò tutto sull'Europa: il 16 gennaio 1985 conquistò la prima Supercoppa UEFA nella storia bianconera, battendo il Liverpool 2-0 nella gara secca di Torino; regolando 1-0 gli stessi Reds nella finale del successivo 29 maggio all'Heysel di Bruxelles, si aggiudicò la sua prima Coppa dei Campioni, un trionfo tuttavia oscurato dagli incidenti prepartita ad opera degli hooligan inglesi che sfociarono nella morte di 39 spettatori, per la maggior parte italiani.

 

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Trapattoni (a sinistra) nel campionato 1985-1986, quello conclusivo del Decennio d'oro juventino, mentre discute con Cabrini, assurto sotto la sua gestione tra i migliori terzini dell'epoca.

Nell'ultima stagione del Decennio d'oro, Trapattoni portò a Torino anche la Coppa Intercontinentale, vinta l'8 dicembre 1985 a Tokyo contro l'Argentinos Juniors (2-2 dopo i supplementari e 6-4 ai rigori), diventando il primo e tuttora unico allenatore capace di conquistare tutte le maggiori competizioni confederali per club. Contrariamente alla stagione passata, il Trap si concentrò molto più sulla riconquista del titolo nazionale, partendo a spron battuto in campionato tanto da stabilire un record di otto vittorie iniziali oltreché il primato di 26 punti totalizzati a metà campionato; il forte ritorno della Roma nella tornata conclusiva incontrò la strenua resistenza degli uomini di Trapattoni, dando vita a un finale thrilling che terminò con la Juventus conquistare il suo ventiduesimo scudetto, il sesto personale per il tecnico nonché l'ultimo del suo primo ciclo bianconero, chiuso con 13 trofei in 10 stagioni.

Inter

Le difficoltà (1986-1988)

Già sul finire della stagione 1985-1986, Trapattoni aveva annunciato l'imminente separazione dalla Juventus. Ad approfittarne fu il presidente dell'Inter Ernesto Pellegrini, il quale bruciò sul tempo il patron milanista Silvio Berlusconi e si assicurò la firma dell'allenatore a partire dal campionato seguente: il Trap divenne così il secondo tecnico, dopo József Viola, a essersi seduto sulle panchine di tutte e tre le grandi del calcio italiano. La stagione 1986-1987, la prima sulla panchina nerazzurra, fu segnata dall'infortunio di Rummenigge che impedì ai milanesi di tener testa al Napoli di Maradona, laureatosi campione d'Italia, con la squadra interista a concludere al terzo posto. Quasi identica fu la sorte in Coppa UEFA, con l'eliminazione ai quarti di finale per mano del IFK Göteborg che andrà poi ad aggiudicarsi la vittoria del torneo.

 

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Trapattoni (a sinistra) guida un allenamento dell'Inter nel precampionato 1986-1987.

La sua seconda stagione a Milano si rivelò addirittura peggiore, con uno scialbo piazzamento in campionato e una precoce eliminazione dalla Coppa UEFA contro i futuri finalisti dell'Espanyol. I deludenti risultati ottenuti fin qui portarono i tifosi a rumoreggiare, e lo stesso Pellegrini cominciò a manifestare i propri dubbi nei confronti dell'allenatore. Nonostante Trapattoni avesse avuto a disposizione giocatori di caratura in ogni ruolo — come Zenga tra i pali, Bergomi e Ferri in difesa, Passarella e Mandorlini in mezzo al campo e Altobelli, Scifo e Serena nel reparto avanzato —, il gioco era risultato fino a quel momento poco e mal assortito, con una carenza di risultati come seguente causa; sicché Pellegrini decise di confermare il tecnico alla guida della squadra, ma cercando di rimediare alla situazione investendo pesantemente sul mercato.

Lo scudetto dei record (1988-1989)

Il calciomercato dell'estate 1988 per rilanciare l'Inter fu di primo livello. I rinforzi principali per Trapattoni furono il terzino Brehme e il centrocampista Matthäus, seguiti da nomi come Berti, Díaz e Bianchi; con questi elementi, la formazione che il Trap andò a disegnare per la stagione 1988-1989 palesò una solidità impressionante. In campionato, dopo avere presto estromesso dalla lotta per il titolo i concittadini del Milan, l'unica squadra in grado di sostenere il ritmo nerazzurro parve il Napoli; una resistenza tuttavia fiaccata nella tornata conclusiva grazie a un successo dietro l'altro inanellato dalla formazione meneghina, culminato nel 2-1 inflitto nello scontro diretto di San Siro del 28 maggio 1989, che regalò matematicamente ai padroni di casa il tredicesimo scudetto della loro storia, a nove anni dal precedente, e a Trapattoni il settimo della sua carriera.

 

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Trapattoni viene portato in trionfo dai giocatori nerazzurri dopo la vittoria dello scudetto dei record nella stagione 1988-1989: fu il settimo e ultimo tricolore per il tecnico cusanese, tuttora il più vincente nella storia del campionato italiano.

La squadra costruita dal tecnico in questa stagione passò agli annali come l'Inter dei record poiché capace di battere un primato dopo l'altro, assicurandosi un campionato a senso unico con ben cinque giornate di anticipo, e ottenendo 58 dei 68 punti disponibili, un record nell'era dei due punti a vittoria. Il ritorno dello scudetto sul petto pareva prospettare l'inizio di un ciclo vincente per i meneghini; sarà così solo in parte, ma fu comunque un periodo che, tra le altre cose, vide la definitiva affermazione ad alti livelli di Matthäus sotto le direttive del Trap.

I trionfi nelle coppe (1989-1991)

La stagione 1989-1990, nonostante l'arrivo di Klinsmann il quale andò a formare, coi connazionali Matthäus e Brehme, un trio tedesco che voleva rispondere al più celebre olandese dei concittadini milanisti, deragliò presto per via della clamorosa eliminazione dalla Coppa dei Campioni avvenuta per mano di un non irresistibile Malmö FF. Proprio la débâcle europea contro gli svedesi si rivelerà un pesante fardello per il morale degli uomini di Trapattoni che, nelle settimane seguenti, finirono per abdicare anticipatamente nella difesa del campionato. Tuttavia la formazione nerazzurra ebbe un moto d'orgoglio il 29 novembre 1989, nella gara valida per la seconda edizione della Supercoppa italiana, imponendosi per 2-0 sulla Sampdoria; era l'ultimo trofeo italiano che ancora mancava nella bacheca del tecnico cusanese.

 

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Uno scambio di vedute fra Trapattoni (a sinistra) e Matthäus, punto fermo nei suoi successi interisti, qui durante l'annata 1989-1990.

Il mondiale di campionato del mondo 1990 restituì al tecnico giocatori in condizioni dubbie per diversi motivi: gli italiani erano ancora frustrati per il deludente terzo posto conquistato da favoriti, mentre i tedeschi tornarono euforici per il trionfo, ma nonostante ciò l'ultima stagione per Trapattoni da allenatore interista si rivelò avvincente e combattuta su tutti i fronti. In campionato andò in scena un acceso dualismo con la Sampdoria: pur perdendo 3-1 lo scontro diretto dicembrino a Marassi, la formazione di Giuanìn fece suo il simbolico titolo d'inverno, ma nel rush finale furono i blucerchiati a mostrare una verve migliore, riacciuffando i meneghini e spezzando di fatto i loro sogni tricolori nel decisivo big match del maggio 1991, rifilando un 2-0 a domicilio ai nerazzurri che, oltre a rompere lo storico gemellaggio tra le tifoserie, sarà il preludio al primo scudetto doriano.

L'Inter del Trap trovò riscatto in Coppa UEFA dove, al culmine di un esaltante cammino — in cui spiccò su tutti il doppio confronto ai sedicesimi di finale con l'Aston Villa dove, dopo essere usciti sconfitti dal Villa Park per 2-0, i nerazzurri furono capaci di ribaltare le sorti della qualificazione grazie a uno spettacolare 3-0 nel retour match di Milano —, approdò in finale dove ad attenderli c'era, in una sfida tutta italiana, la Roma: il 2-0 della gara di andata a San Siro fu sufficiente ai nerazzurri per uscire indenni dalla sfida di ritorno all'Olimpico di Roma, dove una sconfitta 1-0 non impedì ai meneghini di mettere in bacheca la prima Coppa UEFA della loro storia. Fu la seconda affermazione personale per Trapattoni nella manifestazione (dopo quella risalente a quattordici anni prima sulla panchina della Juventus), riportando al contempo la Milano nerazzurra a trionfare in Europa dopo ventisei anni. Con questo vittorioso epilogo, il tecnico lasciò la panchina interista al termine della stagione.

Ritorno alla Juventus

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Trapattoni (a sinistra), di ritorno alla Juventus nella stagione 1991-1992, accoglie il neoacquisto Conte, il quale una volta intrapresa la carriera da allenatore sarà tra i maggiori debitori nei confronti del tecnico cusanese.

 

Nella stagione 1991-1992, a cinque anni dal suo primo ciclo sotto la Mole, Trapattoni venne richiamato alla guida della Juventus, con il compito di risollevare l'ambiente dopo la fallimentare annata di Luigi Maifredi. Il tecnico riuscì subito a dare una scossa alla squadra, raggiungendo il secondo posto in campionato, dietro al Milan imbattuto di Fabio Capello, e la finale di Coppa Italia, dove la nuova Juve del Trap vinse l'andata a Torino per 1-0 contro il Parma, ma cadde poi 2-0 nel ritorno al Tardini, regalando agli uomini di Nevio Scala il loro primo successo in coppa nazionale.

L'annata seguente, con la Vecchia Signora nel frattempo rinforzata dagli arrivi di Möller, Vialli e Ravanelli, culminò nel trionfo in Coppa UEFA, dove nella doppia finale i bianconeri, trascinati da un Roberto Baggio in stato di grazia, rifilarono al Borussia Dortmund dapprima un 3-1 a domicilio nell'andata al Westfalenstadion, e poi un secco 3-0 nel ritorno al Delle Alpi, regalando all'allenatore di Cusano Milanino il suo terzo successo nel torneo: un primato che resisterà per i successivi 28 anni prima di essere battuto da Unai Emery. La stagione del club piemontese registrò un alto numero di reti messe a segno (106), 32 delle quali durante il cammino verso la conquista della terza Coppa UEFA nella storia bianconera.

 

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Trapattoni (a sinistra) e il centravanti bianconero Vialli posano con il trofeo della Coppa UEFA 1992-1993, la terza e ultima per il tecnico.

 

L'ultima stagione di Trapattoni sulla panchina juventina gli riconobbe il merito di mandare al debutto il suo pupillo Angelo Di Livio, ma soprattutto di lanciare in Serie A il giovane Alessandro Del Piero, che diverrà poi capitano e bandiera della Juventus per il ventennio a seguire. Nonostante ciò, quella del 1993-1994 fu un'annata amara per il tecnico cusanese il quale si sentì criticato e attaccato dagli stessi tifosi bianconeri, per via di una proposta di calcio da loro giudicata ormai troppo difensivista e noiosa. Così, pur chiudendo al secondo posto in campionato, a tre lunghezze dal Milan campione per la terza volta di fila, Giuanìn fu costretto a salutare definitivamente la società sabauda, assieme allo storico dirigente Boniperti, dopo aver conquistato 14 trofei in 13 stagioni complessive a Torino, che ne fanno ancora il tecnico più vincente nella storia della Juventus.

Bayern Monaco

La stagione 1994-1995 segnò la prima esperienza al di fuori dell'Italia per Trapattoni, il quale accettò l'offerta della squadra campione uscente di Germania, il Bayern Monaco. L'ambientamento in Baviera pareva facile, complici la determinazione e il rispetto verso l'autorità del mister messi in atto dai giocatori del club, reputati dal tecnico come di gran lunga più professionali rispetto a quelli di Serie A, anche riconoscendo il buon lavoro fatto in questo senso dal suo predecessore Franz Beckenbauer. Tuttavia i buoni propositi del Trap fecero ben presto i conti con la realtà: la squadra steccò immediatamente in Supercoppa tedesca contro il Werder Brema di Otto Rehhagel e, nonostante il successivo arrivo di rinforzi come Kahn, Sutter e Papin, i bavaresi andarono incontro a una clamorosa eliminazione al primo turno della Coppa di Germania per mani dei dilettanti del Vestenbergsgreuth.

Alle prime e inevitabili critiche da parte della stampa si aggiunsero gli screzi con il leader della squadra, Lothar Matthäus, già allenato da Trapattoni a Milano, che nel frattempo si era reinventato con successo come difensore centrale ma che, secondo il tecnico cusanese, avrebbe reso maggiormente nel suo ruolo originario a centrocampo. Persa presto la rotta in Bundesliga, anche complice una formazione titolare decimata dagli infortuni, il Bayern Monaco tentò di riscattarsi in Champions League dove fu autore di un buon cammino tuttavia conclusosi in semifinale, venendo estromesso dall'Ajax futuro vincitore dell'edizione. L'andamento altalenante della stagione aveva fatto sì che fin da febbraio fosse stato de facto anticipato il mancato rinnovo di Trapattoni con la società tedesca, motivato anche da ragioni familiari.

Cagliari

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Trapattoni durante un allenamento del Cagliari nella stagione 1995-1996

Nell'estate 1995 il tecnico tornò in Italia, accettando una sfida insolita nella sua carriera: per la prima volta scese infatti nel calcio di provincia, ripartendo dal Cagliari. L'arrivo in Sardegna del plurititolato Trap, chiamato a raccogliere l'eredità di Óscar Tabárez, il quale nell'annata precedente aveva trascinato la squadra a lottare per la zona UEFA, portò entusiasmo in tutta l'isola e aumentò le aspettative verso i rossoblù dell'ambizioso patron Massimo Cellino, chiamati a un ulteriore salto di qualità. Le premesse estive parvero trovare un iniziale riscontro in campo, con i sardi che, nonostante un avvio difficile, arrivarono al giro di boa del campionato in linea con gli obiettivi di inizio stagione; nel girone di ritorno, tuttavia, un netto calo di rendimento mise presto in bilico la panchina del tecnico. La sconfitta per 4-1 a Torino contro la Juventus fu l'ultimo atto della breve esperienza di Trapattoni a Cagliari, trascorsa all'insegna dei saliscendi: l'allenatore si dimise accusando pesantemente Cellino di averlo preso in giro, pur assumendosi le responsabilità per avere illuso i tifosi puntando dichiaratamente alla qualificazione europea.

Ritorno al Bayern Monaco

Dopo un tentativo di Silvio Berlusconi di riportarlo sulla panchina del Milan, per Trapattoni arrivò una seconda chiamata da parte del Bayern Monaco per la stagione 1996-1997. Deciso a riscattare la sua prima e scialba esperienza in Baviera, e con a disposizione una rinnovata rosa che, accanto al solito Matthäus, vedeva ora anche l'altro ex interista Klinsmann più nomi come Basler e Rizzitelli, il Trap costruì una squadra capace di imporre l'andatura in Bundesliga per tutto l'arco del torneo. Con il Borussia Dortmund di Ottmar Hitzfeld, campione uscente, distratto dal cammino in Champions League, il tecnico italiano si ritrovò a duellare con un solido Bayer Leverkusen che diede filo da torcere sino alle battute conclusive, prima di venire infine domato alla penultima giornata, quando il 4-2 sullo Stoccarda diede ai bavaresi la certezza del titolo.

Vinto per la prima volta il Meisterschale, a cui seguirà nel luglio seguente la Coppa di Lega tedesca, nell'estate 1997 il Trap pensò di lasciare, date le pressioni attuate da mesi dal presidente della Roma, Franco Sensi, il quale, deluso dall'esperienza con Carlos Bianchi, aveva messo sul piatto un'offerta miliardaria affinché Trapattoni andasse a sedersi sulla panchina della squadra giallorossa; l'allenatore fu tentato dall'offerta, più che altro per la possibilità di riportare la moglie Paola nella natìa Roma, ma alla fine decise di rispettare il proprio contratto con il club tedesco.

L'annata 1997-1998 si rivelò presto uno shock per i tifosi bavaresi, poiché nessuno poteva immaginare che il neopromosso Kaiserslautern, passato nelle mani di Otto Rehhagel e, a sorpresa, vittorioso al debutto in campionato proprio contro l'undici di Trapattoni, potesse poi contendere ai detentori anche il titolo nazionale. Il testa a testa, invece, durò per tutta la stagione, con il Trap che, una volta perso lo scontro diretto nel girone di ritorno, non riuscì più a ritrovare il bandolo della matassa; anzi, tre sconfitte consecutive contro Hertha Berlino, Colonia e Schalke 04 causarono le ire del tecnico, che, trovatosi nel momento più complicato dell'annata, il 10 marzo 1998 si sfogò in una a posteriori celebre conferenza stampa, nella quale, in un tedesco piuttosto maccheronico, attaccò a più riprese i suoi calciatori Strunz, Basler e Scholl, accusandoli di scarso impegno e mancanza di professionalità.

Rimarrà questo, mediaticamente parlando, l'episodio più famoso del suo secondo ciclo bavarese, alla luce di una stagione che vedrà la squadra perdere in volata la Bundesliga contro la rivelazione Kaiserslautern, e venire eliminata nei quarti di finale della Champions League, ai supplementari, dai connazionali e detentori del Borussia Dortmund. Al Trap restò la consolazione della Coppa di Germania, vinta in finale contro il Duisburg: fu il ventesimo alloro nella titolata carriera del tecnico, che, a fine stagione, lasciò definitivamente Monaco di Baviera.

Fiorentina

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Trapattoni accolto come nuovo allenatore della Fiorentina nella stagione 1998-1999

Nell'estate del 1998 Trapattoni tornò in Italia per sedersi sulla panchina della Fiorentina. Arrivato a Firenze sulla scia di un forte ostracismo da parte del tifo viola, visto il suo lungo passato con gli storici rivali juventini, il Trap fece ben presto ricredere i più e, ottenendo il meglio dal tridente offensivo Rui Costa-Edmundo-Batistuta, fu autore di un fulmineo avvio di stagione. La precoce e controversa eliminazione dalla Coppa UEFA — nella gara del 3 novembre 1998 contro il Grasshoppers, giocata sul campo neutro di Salerno, alcuni tifosi locali, volendo arrecare danno alla Viola, lanciarono in campo una bomba carta che portò alla sospensione della partita e successiva squalifica a tavolino, per responsabilità oggettiva, della squadra toscana — non inficiò sul percorso in campionato che vide la Fiorentina svoltare la stagione da campione d'inverno e legittimare, dopo oltre un quindicennio, rinnovate ambizioni da scudetto. Nel girone di ritorno, tuttavia, il serio infortunio che colpì il cannoniere, capitano e leader gigliato Batistuta fu la pietra tombale sui sogni tricolori della squadra; alle prese anche con la saudade di Edmundo, che lasciò Firenze nel momento clou del campionato, Trapattoni riuscì comunque a condurre la formazione viola al terzo posto in campionato, raggiungendo la qualificazione in Champions League. Come epilogo di una stagione dolceamara, arrivò la sconfitta nella finale di Coppa Italia, per mano del Parma, solo per la discriminante dei gol in trasferta.

Nell'annata 1999-2000 gli uomini di Trapattoni furono artefici di un buon cammino in Champions League, spingendosi fino alla seconda fase a gironi, chiusa dietro il Manchester Utd di Alex Ferguson, allora campione in carica, e il Valencia di Héctor Cúper, futuro finalista dell'edizione. Meno entusiasmanti furono le prestazioni in campionato, concluso con l'obiettivo minimo della qualificazione in Coppa UEFA, ma lasciando generalmente insoddisfatto l'ambiente gigliato. Sul finire della seconda stagione in riva all'Arno il Trap decise così per l'addìo al club, causa soprattutto i mai sopiti dissidi con la tifoseria, sfociati addirittura in aggressioni e minacce nella sfera privata, il tutto sommato all'imminente ridimensionamento tecnico prospettato dalla società.

Nazionale italiana

A seguito delle polemiche dimissioni presentate dal commissario tecnico della nazionale italiana, Dino Zoff, all'indomani delle critiche ricevute da Silvio Berlusconi per l'epilogo della finale del campionato d'Europa 2000, il 6 luglio seguente la FIGC chiamò Trapattoni alla guida degli Azzurri. Esordì a Budapest il 3 settembre 2000, pareggiando per 2-2 contro l'Ungheria nella prima partita delle qualificazioni al campionato del mondo 2002, che l'Italia supererà da imbattuta. Nella fase finale del mondiale, tuttavia, la nazionale deluse le aspettative: nonostante la scaramanzia del Trap — sorpreso, tra le altre cose, a gettare acquasanta sul terreno di gioco —, l'Italia superò a fatica la fase a gironi, per poi venire clamorosamente eliminata dalla Corea del Sud negli ottavi di finale, in una gara segnata da numerose polemiche e contestazioni relative all'operato dell'arbitro ecuadoriano Byron Moreno. Già prima del torneo, peraltro, il citì era stato oggetto di critiche per la scelta di non convocare Roberto Baggio.

Confermato in panchina, portò gli Azzurri a superare le qualificazioni al campionato d'Europa 2004, ma anche stavolta la fase finale si rivelò un fallimento per via della prematura eliminazione nei gironi, favorita da un discusso pareggio tra le scandinave Svezia e Danimarca. Al termine della deludente spedizione lusitana il tecnico decise di lasciare la nazionale, venendo sostituito da Marcello Lippi.

Benfica, Stoccarda e Salisburgo

Lasciata la nazionale italiana, nella stessa estate del 2004 si accordò con i portoghesi del Benfica. Anche se l'eliminazione dalla Coppa UEFA rischiò di fargli lasciare prematuramente la panchina lusitana, Trapattoni portò immediatamente le Aquile a conquistare la Primeira Liga, la trentunesima nella storia del club di Lisbona, a undici anni dal precedente successo. La squadra del Trap raggiunse anche la finale di Taça de Portugal, nella quale però a imporsi 2-1 fu il Vitória Setúbal, negando così al tecnico un possibile double. Desideroso di cambiare aria, al termine della stagione Trapattoni risolse anticipatamente il contratto che lo legava al Benfica.

Nonostante avesse motivato l'addìo ai portoghesi con il voler tornare in Italia, nel giugno del 2005 optò nuovamente per la Germania, chiamato da un ambizioso Stoccarda, deciso a lottare ai vertici. Stavolta l'avventura i terra tedesca non fu memorabile come la precedente a Monaco di Baviera, concludendosi prematuramente 9 febbraio 2006 con l'esonero di Trapattoni dalla guida della squadra, relegata a centro classifica.

Nell'estate 2006 il Trap fu chiamato dagli austriaci del Salisburgo a ricoprire il doppio ruolo di allenatore e direttore tecnico; portò con sé l'ex allievo Lothar Matthäus in veste di vice. Complice anche una rosa composta da giocatori di qualità come Linke, Kovač e l'ex conoscenza bavarese Zickler, quest'ultimo capace di assurgere a capocannoniere del campionato, già alla stagione d'esordio il tecnico italiano portò la squadra a vincere la Bundesliga d'Austria, vinta con ben cinque giornate di anticipo, dopo un 2-2 casalingo contro i detentori dell'Austria Vienna, toccando quota 75 punti (record per l'epoca); per Trapattoni fu il decimo campionato vinto in quattro paesi diversi (Italia, Germania, Portogallo ed Austria), un primato tutt'ora condiviso assieme a Tomislav Ivić, Ernst Happel, José Mourinho, Eric Gerets e Carlo Ancelotti. Nella seconda e ultima stagione a Salisburgo l'allenatore non riuscì a ripetere il successo, fermandosi al secondo posto in campionato dietro al Rapid Vienna.

Nazionale irlandese

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Trapattoni (a destra) nel 2013 sulla panchina della nazionale irlandese con il suo vice Tardelli, già ex numero otto del tecnico cusanese a Torino e Milano.

 

Nel maggio 2008 venne nominato commissario tecnico della nazionale irlandese; scelse come vice Marco Tardelli e come ulteriore assistente Liam Brady, entrambi suoi ex giocatori nella Juventus dei primi anni 1980.

Nelle qualificazioni al campionato del mondo 2010, la nazionale irlandese si trovò nello stesso girone dell'Italia, dunque il 1º aprile 2009, allo Stadio San Nicola di Bari, Trapattoni incontrò da avversario la squadra azzurra allenata da Marcello Lippi (partita finita 1-1); il 10 ottobre 2009, al Croke Park di Dublino, fermò nuovamente l'Italia sul 2-2 acquisendo matematicamente il secondo posto nel girone che valse gli spareggi. Ai play-off l'Irlanda perse contro la Francia in casa per 0-1 e venne eliminata nella gara di ritorno ai supplementari (1-1) con un gol irregolare di William Gallas su assist di Thierry Henry, il quale aveva controllato il pallone con la mano (ciò comporterà forti polemiche e una squalifica per Henry).

Nel dicembre 2010 accettò, insieme al suo staff, una decurtazione dello stipendio, necessaria per non pesare sul bilancio della federazione, ridottosi a seguito della crisi economica.

L'11 ottobre 2011 l'Irlanda si piazzò al secondo posto nel gruppo B con 21 punti, dietro alla Russia, grazie all'ultima partita vinta contro l'Armenia per 2-1. I Boys in Green furono così costretti ad affrontare nuovamente i play-off, questa volta contro l'Estonia, per poter accedere alla fase finale del campionato d'Europa 2012; stavolta però gli irlandesi si imposero nettamente a Tallinn per poi pareggiare a Dublino, conquistando così, dopo 24 anni, la qualificazione all'Europeo. Nel 2011 vinsero inoltre il torneo della Nations Cup battendo Galles, Irlanda del Nord e Scozia. Nella fase finale della competizione l'Irlanda fu sorteggiata nel gruppo C insieme a Spagna, Italia e Croazia. Qui venne però sconfitta da tutte e tre le squadre. Nonostante l'eliminazione, Trapattoni fu riconfermato per altri due anni sulla panchina della nazionale.

L'11 settembre 2013, dopo due sconfitte rimediate dall'Irlanda nel girone di qualificazione al campionato del mondo 2014 contro Svezia e Austria, che compromisero il passaggio del turno, risolse consensualmente il contratto che lo legava alla federazione irlandese.

Dopo il ritiro

Già opinionista di Mediaset Premium per le partite di Champions League, per la stagione 2015-2016 è stato in Rai come opinionista alla Domenica Sportiva oltreché commentatore tecnico, al fianco di Alberto Rimedio, delle partite della nazionale italiana, venendo tuttavia sostituito da Walter Zenga prima del campionato d'Europa 2016.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni giovanili
Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Allenatore

Club

Competizioni nazionali
Juventus: 1976-1977, 1977-1978, 1980-1981, 1981-1982, 1983-1984, 1985-1986
Inter: 1988-1989
Competizioni internazionali

Individuale

  • Allenatore europeo della stagione dall'Union européenne de la presse sportive (UEPS): 2 - 1984-1985, 1992-1993
  • Allenatore europeo dell'anno dall'Union européenne de la presse sportive (UEPS): 2 - 1985, 1991
  • Champions of Europe plaque per aver vinto le tre competizioni UEFA stagionali - 2006
  • Philips Sports Manager of the Year - 2011

 

 

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L’incontro fra la Juve e il Trap avviene in sordina. Il tecnico milanese, conclusa una brillante carriera di calciatore, aveva ereditato dal Cesare Maldini la panchina del Milan nelle ultime sei giornate del campionato 1973-74, era stato poi il secondo di Giagnoni l’anno successivo e aveva infine guidato la squadra rossonera al 9° posto del 1975-76. Decide di chiudere, al Milan pensano a Marchioro e non insistono più di tanto.

Si fanno avanti Atalanta e Pescara, Giovanni è lusingato ma qualcuno lo ferma. È Piercesare Baretti, vicedirettore di Tuttosport: «Aspetta a dire sì, la Juve sta pensando a te». La Juve? Sì, dopo il sorpasso subito dal Torino campione, Parola ha il futuro segnato, tornerà alle giovanili. Agnelli e Boniperti hanno scelto. Il futuro è Trapattoni.
È presentato con un comunicato rimasto storico per l’involontaria ilarità suscitata. Recita, in poche parole che, «andando in pensione per raggiunti limiti di età il responsabile del settore giovanile Ugo Locatelli, questi veniva rimpiazzato da Cestmír Vycpálek, Parola passava al settore osservatori e quindi la prima squadra era affidata a Giovanni Trapattoni». Non suscita ilarità, soprattutto negli avversari, la Juve del Trap, che ha voluto, in cambio di Capello e Anastasi, due elementi di cui si fida ciecamente: quel Romeo Benetti che anni prima la Juve aveva follemente ceduto alla Samp con l’aggiunta di 270 milioni per Bob Vieri e quel Boninsegna da anni considerato alla frutta ma che continua a non trovare eredi altrettanto caparbi. Dai cambi la Juve incassa, a conguaglio, oltre un miliardo.
«È la condizione fisica che conta non i numeri scritti sulla carta di identità, e da questo punto di vista Boninsegna promette altre due o tre stagioni ad alto livello. Quanto al resto, si sapeva benissimo che erano cose riparabili. Boninsegna è un uomo intelligente. Da noi ha ritrovato stimoli, buon senso, slancio. Abbiamo avuto un Boninsegna all’altezza delle sue annate migliori. Benetti? È l’uomo ad hoc per un certo tipo di calcio. Quel calcio che andiamo tutti predicando, ma che a tutti non riesce di realizzare».
Il talento di Cabrini gli esplode tra le mani. Il duello col Torino, stavolta, è vinto. Allo sprint, 51 punti contro 50, una sfida a ritmi indiavolati. Scudetto numero 17, alla faccia della cabala, e in più c’è l’Europa che chiama. Coppa Uefa, la finale contro l’Atletico Bilbao finisce in gloria. «Dodici minuti senza uscire dalla nostra area. Ma vincemmo la Coppa Uefa, per differenza reti. La prima Coppa europea della Juve». Che inizio, l’inizio del Trap.
«Due innesti, quelli di Boninsegna e Benetti appunto e qualche accorgimento tattico. Tardelli interno, per esempio. Lo seguivo da almeno un anno. Mi avevano impressionato il suo eccezionale dinamismo, la sua straordinaria versatilità a inserirsi sulla fascia destra e a destra noi avevamo un Causio che spesso usciva di zona per andare a “lavorare” al centro o alla sinistra. Tardelli poteva essere l’uomo giusto per coprire questa fascia in complemento a Causio. La soluzione non venne subito. All’inizio anzi facemmo esperimenti diversi, in quella zona feci giocare anche Cuccureddu, ma poi l’incarico fu affidato in… pianta stabile a Tardelli. Il tutto “condito” da una certa accentuazione del movimento collettivo. Cabrini? Gli abbiamo dato spazio in campo nazionale e internazionale. Ovunque ha fatto quel che doveva fare con disinvoltura, naturalezza, sicurezza. Sarà una colonna della Juventus del domani».
L’irlandese tranquillo. Si chiama Liam Brady, è il primo straniero della Juve dopo la riapertura delle frontiere. Porta classe e due scudetti, il 3° e il 4° del l’era Trapattoni. Nel 1980-81 il Trap gli consegna la maglia numero 10 di una squadra senza acuti, una sorta di cooperativa del gol di cui alla fine l’irlandese sarà il miglior realizzatore, a quota 8o. Quello del 1981-82 è il tricolore della seconda stella. Si risolve a 15 minuti dal fischio finale dell’ultima sfida, a Catanzaro. L’irlandese sa già che dovrà andarsene, per fare spazio a Platini e Boniek, ma ha un cuore grande come la sua terra, e un’anima nobile: esce di scena realizzando il rigore che vale il campionato.
Re Michel parte in salita, arriva a Torino malato in una stagione, il 1982-83, che dovrebbe essere di gloria assoluta: «Nessuno ha mai avuto il nostro potenziale, in attacco» assicura il Trap. Pensa a Platini, Boniek, Rossi, Bettega. In campo l’alchimia non funziona, sullo scudetto mette le mani la Roma. Resta la Coppa dei Campioni, il sogno mai realizzato. Ci arriva a un passo, la Juve. Ma la lascia nelle mani dell’Amburgo, ad Atene, il 25 maggio del 1983. La delusione è forte, Trapattoni è a un passo dall’abbandono. «Non dormii tutta la notte. L’Avvocato mi chiamò alle 7 e mezza, perché la leggenda delle telefonate antelucane non è vera, era troppo educato, e mi disse: i tedeschi ci hanno insegnato a leggere e a scrivere».
La società lo ferma, e non sbaglia. Arrivano Coppa Italia e Mundialito per club, re Michel si risveglia. L’anno dopo segna a raffica e guida il gruppo che mette le mani su campionato e Coppa delle Coppe. Bel tipo, Platini. Idee calcistiche praticamente opposte a quelle del Trap, lingua abbastanza lunga per discuterne: «Mister, andiamo avanti, perché se teniamo la palla lontana dalla nostra area rischiamo meno». «Bravo, Michel. Ma intanto fammi vedere chi ce l’ha, la palla». Bel tipo, Platini. Inimitabile, Trap. Così diversi, così uguali nella voglia di arrivare, di vincere.
Nemmeno un’ombra di sorriso, in fondo a una stagione arricchita dal successo più grande, quello che ancora mancava in bacheca. Una stagione in salita, dopo l’addio di Boniek, di Rossi, di Tardelli, con Platini che si lecca le ferite di un Europeo vissuto da trionfatore. Quel 29 maggio 1985, allora, è l’appuntamento con la gloria. Da non perdere per niente al mondo. E dovrebbe finire in festa, dovrebbe. Invece ci sono quegli attimi di follia, ci sono le facce rabbiose dei teppisti inglesi, c’è il disorientamento della polizia belga. Heysel, Bruxelles: Juventus batte Liverpool 1-0, e 39 vite spezzate, 39 corpi portati via in fretta dagli spalti. Si gioca, si vince. Ma come si fa a sorridere? «Questa ferita resterà sempre aperta» sussurra Giovanni Trapattoni. Che entra nella storia nel giorno in cui la storia ha altro a cui pensare.
L’ultima sfida. L’anno del commiato, appunto. Finisce tutto lì, a Lecce. Con il 6° scudetto in 10 anni, e un bilancio da far paura: 462 partite a dirigere la Juventus, signora del calcio, dalla panchina. Con quei 6 tricolori, con 2 Coppe Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa, un Mundialito. Ricordi, per uno come il Trap. Che certo affiorano, sulla panchina di Lecce, ma subito tornano al loro posto. Non c’è tempo, per i ricordi. Bisogna pensare al futuro: nerazzurro.
«Lo scudetto più bello? Difficile dirlo. Il primo non lo dimentichi più, ti affascina e ti frastorna. Poi ricordo con soddisfazione quello vinto con la Juve dei Fanna e dei Marocchino, una squadra tutta grinta e volontà. Ma importante è stato anche il 6°, l’ultimo in bianconero. Segnava il passaggio da un’epoca all’altra, i superstiti del primo titolo erano ormai pochi. Gli juventini del 1977 erano ragazzi che Boniperti si era scelto e allevato uno per uno. In una giornata definiva il contratto di tutti. Sapeva essere duro, sapeva essere generoso. Poi c’era l’Avvocato. Arrivava negli spogliatoi e trattava allo stesso modo Platini e il magazziniere. Amava la Juve, ma quando gli chiesi di comprare Paolo Rossi rispose di no: “Costa troppo e noi abbiamo migliaia di cassintegrati. Potrebbe fare un altro nome?”. Non mi ha mai dato un ordine, credo non ne abbia mai dati in vita sua, i suoi ordini erano domande: “Ma perché quell’ala sinistra non gioca mai?”».
L’altra Juve è un capitolo amaro. Tre stagioni. Accolto come la salvezza dopo la caduta di Maifredi, sulle braci adesso, insieme all’amico Boniperti, bollato anche lui come retaggio di un calcio antico e superato. I discorsi di sempre: difensivista, noioso, bollito. E il mito del Vincente che si appanna per colpa di una squadra che appare sfibrata e stanca, di un gruppo che sta perdendo la sua forza. Non è servita neppure la Coppa Uefa vinta l’anno precedente, stagione 1992-93, mettendo in fila Benfica, Paris St. Germain e Borussia. Con quel trio d’attacco, Baggio-Vialli-Möller, su cui contava per rinverdire i fasti dell’altra Juve, quella di Boniek-Rossi-Platini prima, di Laudrup-Platini-Serena poi.
Invece è un’altra storia. Non serve sapere che dopo il Milan dell’era Capello, comunque, ci sono i suoi ragazzi. Non serve evidenziare l’irresistibile ascesa di Moreno Torricelli, un giocatore (l’ultimo dei tanti) su cui ha scommesso, signor Nessuno che è diventato un piccolo re. Basta, si chiude e questa volta è per sempre: «Ho dovuto sentire troppe volgarità, a un certo punto avevo pensato anche di lasciare il calcio, di cambiare vita».
Forse è proprio vero, i luoghi della gloria non andrebbero mai rivisitati. Nemmeno se ci hai vissuto i tuoi giorni migliori. Non è mai stato facile, d’accordo, neanche quando vinceva quello che nessun altro aveva vinto. Nemmeno ad Atene, era stato facile. Ma questa Juve, la sua seconda Juve, è una macchia sul vestito buono. «Trapattoni, vattene» recita lo striscione della curva. È il 2 aprile 1994, è il tempo degli addii. E in fondo quella frase secca, ingrata, se l’aspettava. Lo attaccano tutti, mica solo la gente dagli spalti. I giocatori si difendono dalle critiche confidando, nemmeno troppo sottovoce, i loro malesseri. Non tutti, ma quelli che bastano per far saltare gli equilibri. Lo scaricano, gli dicono che è vecchio, per questo calcio. E Giovanni Trapattoni, abituato a lottare e a incuriosirti di tutto, non ci sta. «Non è serio, questo mondo. Non mi preoccupa aver ricevuto il benservito, ma avrei voluto che arrivasse a maggio, se non altro per la serenità di tutti».
Lo ha capito anche lui che è un altro mondo. Ma non per questo rinuncia a lottare. «Anche l’Avvocato mi ha telefonato. Mi ha spiegato, con pacatezza, che bisogna dar spazio ai giovani. Anche io sono vecchio, mi ha detto. D’accordo, largo al nuovo che avanza, ma io non mi arrendo. Perché ho ancora l’entusiasmo di un ventenne».
 
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21 ore fa, Socrates ha scritto:

Juventus Logo 3D" Poster by StepupDesign | RedbubbleGIOVANNI TRAPATTONI

 

Trapattoni.Platini.1984.Juventus.storie.di.calcio.1080x648.jpg

 

 

 

L’incontro fra la Juve e il Trap avviene in sordina. Il tecnico milanese, conclusa una brillante carriera di calciatore, aveva ereditato dal Cesare Maldini la panchina del Milan nelle ultime sei giornate del campionato 1973-74, era stato poi il secondo di Giagnoni l’anno successivo e aveva infine guidato la squadra rossonera al 9° posto del 1975-76. Decide di chiudere, al Milan pensano a Marchioro e non insistono più di tanto.

Si fanno avanti Atalanta e Pescara, Giovanni è lusingato ma qualcuno lo ferma. È Piercesare Baretti, vicedirettore di Tuttosport: «Aspetta a dire sì, la Juve sta pensando a te». La Juve? Sì, dopo il sorpasso subito dal Torino campione, Parola ha il futuro segnato, tornerà alle giovanili. Agnelli e Boniperti hanno scelto. Il futuro è Trapattoni.
È presentato con un comunicato rimasto storico per l’involontaria ilarità suscitata. Recita, in poche parole che, «andando in pensione per raggiunti limiti di età il responsabile del settore giovanile Ugo Locatelli, questi veniva rimpiazzato da Cestmír Vycpálek, Parola passava al settore osservatori e quindi la prima squadra era affidata a Giovanni Trapattoni». Non suscita ilarità, soprattutto negli avversari, la Juve del Trap, che ha voluto, in cambio di Capello e Anastasi, due elementi di cui si fida ciecamente: quel Romeo Benetti che anni prima la Juve aveva follemente ceduto alla Samp con l’aggiunta di 270 milioni per Bob Vieri e quel Boninsegna da anni considerato alla frutta ma che continua a non trovare eredi altrettanto caparbi. Dai cambi la Juve incassa, a conguaglio, oltre un miliardo.
«È la condizione fisica che conta non i numeri scritti sulla carta di identità, e da questo punto di vista Boninsegna promette altre due o tre stagioni ad alto livello. Quanto al resto, si sapeva benissimo che erano cose riparabili. Boninsegna è un uomo intelligente. Da noi ha ritrovato stimoli, buon senso, slancio. Abbiamo avuto un Boninsegna all’altezza delle sue annate migliori. Benetti? È l’uomo ad hoc per un certo tipo di calcio. Quel calcio che andiamo tutti predicando, ma che a tutti non riesce di realizzare».
Il talento di Cabrini gli esplode tra le mani. Il duello col Torino, stavolta, è vinto. Allo sprint, 51 punti contro 50, una sfida a ritmi indiavolati. Scudetto numero 17, alla faccia della cabala, e in più c’è l’Europa che chiama. Coppa Uefa, la finale contro l’Atletico Bilbao finisce in gloria. «Dodici minuti senza uscire dalla nostra area. Ma vincemmo la Coppa Uefa, per differenza reti. La prima Coppa europea della Juve». Che inizio, l’inizio del Trap.
«Due innesti, quelli di Boninsegna e Benetti appunto e qualche accorgimento tattico. Tardelli interno, per esempio. Lo seguivo da almeno un anno. Mi avevano impressionato il suo eccezionale dinamismo, la sua straordinaria versatilità a inserirsi sulla fascia destra e a destra noi avevamo un Causio che spesso usciva di zona per andare a “lavorare” al centro o alla sinistra. Tardelli poteva essere l’uomo giusto per coprire questa fascia in complemento a Causio. La soluzione non venne subito. All’inizio anzi facemmo esperimenti diversi, in quella zona feci giocare anche Cuccureddu, ma poi l’incarico fu affidato in… pianta stabile a Tardelli. Il tutto “condito” da una certa accentuazione del movimento collettivo. Cabrini? Gli abbiamo dato spazio in campo nazionale e internazionale. Ovunque ha fatto quel che doveva fare con disinvoltura, naturalezza, sicurezza. Sarà una colonna della Juventus del domani».
L’irlandese tranquillo. Si chiama Liam Brady, è il primo straniero della Juve dopo la riapertura delle frontiere. Porta classe e due scudetti, il 3° e il 4° del l’era Trapattoni. Nel 1980-81 il Trap gli consegna la maglia numero 10 di una squadra senza acuti, una sorta di cooperativa del gol di cui alla fine l’irlandese sarà il miglior realizzatore, a quota 8o. Quello del 1981-82 è il tricolore della seconda stella. Si risolve a 15 minuti dal fischio finale dell’ultima sfida, a Catanzaro. L’irlandese sa già che dovrà andarsene, per fare spazio a Platini e Boniek, ma ha un cuore grande come la sua terra, e un’anima nobile: esce di scena realizzando il rigore che vale il campionato.
Re Michel parte in salita, arriva a Torino malato in una stagione, il 1982-83, che dovrebbe essere di gloria assoluta: «Nessuno ha mai avuto il nostro potenziale, in attacco» assicura il Trap. Pensa a Platini, Boniek, Rossi, Bettega. In campo l’alchimia non funziona, sullo scudetto mette le mani la Roma. Resta la Coppa dei Campioni, il sogno mai realizzato. Ci arriva a un passo, la Juve. Ma la lascia nelle mani dell’Amburgo, ad Atene, il 25 maggio del 1983. La delusione è forte, Trapattoni è a un passo dall’abbandono. «Non dormii tutta la notte. L’Avvocato mi chiamò alle 7 e mezza, perché la leggenda delle telefonate antelucane non è vera, era troppo educato, e mi disse: i tedeschi ci hanno insegnato a leggere e a scrivere».
La società lo ferma, e non sbaglia. Arrivano Coppa Italia e Mundialito per club, re Michel si risveglia. L’anno dopo segna a raffica e guida il gruppo che mette le mani su campionato e Coppa delle Coppe. Bel tipo, Platini. Idee calcistiche praticamente opposte a quelle del Trap, lingua abbastanza lunga per discuterne: «Mister, andiamo avanti, perché se teniamo la palla lontana dalla nostra area rischiamo meno». «Bravo, Michel. Ma intanto fammi vedere chi ce l’ha, la palla». Bel tipo, Platini. Inimitabile, Trap. Così diversi, così uguali nella voglia di arrivare, di vincere.
Nemmeno un’ombra di sorriso, in fondo a una stagione arricchita dal successo più grande, quello che ancora mancava in bacheca. Una stagione in salita, dopo l’addio di Boniek, di Rossi, di Tardelli, con Platini che si lecca le ferite di un Europeo vissuto da trionfatore. Quel 29 maggio 1985, allora, è l’appuntamento con la gloria. Da non perdere per niente al mondo. E dovrebbe finire in festa, dovrebbe. Invece ci sono quegli attimi di follia, ci sono le facce rabbiose dei teppisti inglesi, c’è il disorientamento della polizia belga. Heysel, Bruxelles: Juventus batte Liverpool 1-0, e 39 vite spezzate, 39 corpi portati via in fretta dagli spalti. Si gioca, si vince. Ma come si fa a sorridere? «Questa ferita resterà sempre aperta» sussurra Giovanni Trapattoni. Che entra nella storia nel giorno in cui la storia ha altro a cui pensare.
L’ultima sfida. L’anno del commiato, appunto. Finisce tutto lì, a Lecce. Con il 6° scudetto in 10 anni, e un bilancio da far paura: 462 partite a dirigere la Juventus, signora del calcio, dalla panchina. Con quei 6 tricolori, con 2 Coppe Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa, un Mundialito. Ricordi, per uno come il Trap. Che certo affiorano, sulla panchina di Lecce, ma subito tornano al loro posto. Non c’è tempo, per i ricordi. Bisogna pensare al futuro: nerazzurro.
«Lo scudetto più bello? Difficile dirlo. Il primo non lo dimentichi più, ti affascina e ti frastorna. Poi ricordo con soddisfazione quello vinto con la Juve dei Fanna e dei Marocchino, una squadra tutta grinta e volontà. Ma importante è stato anche il 6°, l’ultimo in bianconero. Segnava il passaggio da un’epoca all’altra, i superstiti del primo titolo erano ormai pochi. Gli juventini del 1977 erano ragazzi che Boniperti si era scelto e allevato uno per uno. In una giornata definiva il contratto di tutti. Sapeva essere duro, sapeva essere generoso. Poi c’era l’Avvocato. Arrivava negli spogliatoi e trattava allo stesso modo Platini e il magazziniere. Amava la Juve, ma quando gli chiesi di comprare Paolo Rossi rispose di no: “Costa troppo e noi abbiamo migliaia di cassintegrati. Potrebbe fare un altro nome?”. Non mi ha mai dato un ordine, credo non ne abbia mai dati in vita sua, i suoi ordini erano domande: “Ma perché quell’ala sinistra non gioca mai?”».
L’altra Juve è un capitolo amaro. Tre stagioni. Accolto come la salvezza dopo la caduta di Maifredi, sulle braci adesso, insieme all’amico Boniperti, bollato anche lui come retaggio di un calcio antico e superato. I discorsi di sempre: difensivista, noioso, bollito. E il mito del Vincente che si appanna per colpa di una squadra che appare sfibrata e stanca, di un gruppo che sta perdendo la sua forza. Non è servita neppure la Coppa Uefa vinta l’anno precedente, stagione 1992-93, mettendo in fila Benfica, Paris St. Germain e Borussia. Con quel trio d’attacco, Baggio-Vialli-Möller, su cui contava per rinverdire i fasti dell’altra Juve, quella di Boniek-Rossi-Platini prima, di Laudrup-Platini-Serena poi.
Invece è un’altra storia. Non serve sapere che dopo il Milan dell’era Capello, comunque, ci sono i suoi ragazzi. Non serve evidenziare l’irresistibile ascesa di Moreno Torricelli, un giocatore (l’ultimo dei tanti) su cui ha scommesso, signor Nessuno che è diventato un piccolo re. Basta, si chiude e questa volta è per sempre: «Ho dovuto sentire troppe volgarità, a un certo punto avevo pensato anche di lasciare il calcio, di cambiare vita».
Forse è proprio vero, i luoghi della gloria non andrebbero mai rivisitati. Nemmeno se ci hai vissuto i tuoi giorni migliori. Non è mai stato facile, d’accordo, neanche quando vinceva quello che nessun altro aveva vinto. Nemmeno ad Atene, era stato facile. Ma questa Juve, la sua seconda Juve, è una macchia sul vestito buono. «Trapattoni, vattene» recita lo striscione della curva. È il 2 aprile 1994, è il tempo degli addii. E in fondo quella frase secca, ingrata, se l’aspettava. Lo attaccano tutti, mica solo la gente dagli spalti. I giocatori si difendono dalle critiche confidando, nemmeno troppo sottovoce, i loro malesseri. Non tutti, ma quelli che bastano per far saltare gli equilibri. Lo scaricano, gli dicono che è vecchio, per questo calcio. E Giovanni Trapattoni, abituato a lottare e a incuriosirti di tutto, non ci sta. «Non è serio, questo mondo. Non mi preoccupa aver ricevuto il benservito, ma avrei voluto che arrivasse a maggio, se non altro per la serenità di tutti».
Lo ha capito anche lui che è un altro mondo. Ma non per questo rinuncia a lottare. «Anche l’Avvocato mi ha telefonato. Mi ha spiegato, con pacatezza, che bisogna dar spazio ai giovani. Anche io sono vecchio, mi ha detto. D’accordo, largo al nuovo che avanza, ma io non mi arrendo. Perché ho ancora l’entusiasmo di un ventenne».
 

Il Trap della primavera 1977: si gioca Toro-Juve dopo 4 0 5 sconfitte consecutive juventine nel derby. Il Trap afferma: questa volta non perderemo; non ci faremo intimidire. Fu 1-1 in rimonta se ricordo bene. Il Toro non ci prese più Marameo. Ancora gli brucia ai torinisti che non erano ancora bovini!

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AUGURI DI CUORE MISTER TRAPATTONI!

 

85 ANNI!

 

Giovanni Trapattoni wird 85: Besondere Grüße an BILD-Reporter Raimund Hinko  | Sport | BILD.de

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