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Socrates

Leonardo Bonucci

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Svolta nel futuro di Bonucci: non rientra nei piani della Juventus |  Goal.com Italia

 

 

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Leonardo Bonucci è un game changer, perché ha cambiato il
modo di essere difensore e ne ha tracciato la direzione per il
futuro. L'evoluzione passa dalla capacità di leggere in anticipo
quello che accade in campo, sia in fase di marcatura sia in quella
di impostazione. Oggi lo juventino è il benchmark del difensore:
lo abbiamo intervistato, per capire come si diventa Bonucci.

 

Leonardo Bonucci
L'arte di vivere in difesa

 

di Francesco Paolo Giordano
Ritratti di Giuliano Koren



«Chi ha bisogno di Pirlo quando c'è Bonucci?», twitta il giornalista inglese James Horncastle. Il gol di Giaccherini ha appena portato l'Italia in vantaggio contro il Belgio: è la prima partita di Euro 2016 degli azzurri ed è un momento decisivo. Fino ad allora la gara era stata bloccata, l'Italia aveva manovrato molto senza incidere negli ultimi metri. L'ennesimo fraseggio, al 31' del primo tempo, coinvolge pigramente un po' di giocatori azzurri, prima di raggiungere Bonucci all'interno del cerchio di centrocampo. Riceve palla indietreggiando leggermente. La controlla con il sinistro, guarda davanti a sé, il cuoio accarezzato con un tocco di suola, un'altra occhiata, più rapida stavolta, e poi il lancio teso con il destro. Dopo 40 metri di volo il pallone si posa sui piedi di Giaccherini, in posizione di sparo: il lancio è così preciso che potrebbe far pensare che Giaccherini aspettasse in quella precisa porzione di campo da sempre. Da quando Bonucci riceve palla a quando Giaccherini la calcia alle spalle di Courtois passano cinque secondi, meno di quanto si impiega a leggere la descrizione dell'azione. Sbircio Bonucci sul campo di allenamento. Una delle prime cose che fa è lanciare lungo dal cerchio di centrocampo, verso la porta. Sì, ancora. Ma stavolta non c'è nessuno ad aspettare la battuta: il pallone rimbalza alto all'interno dell'area piccola e s'impenna appena oltre la traversa. Bonucci si mette le mani in testa, disperandosi in maniera scherzosa. Allora capisco: cercava di colpire la traversa. Cercava di colpire la traversa da centrocampo! A vedere quanto ci sia andato vicino, devo pensare che spesso ci riesca. E che quella giocata con il Belgio, vistagli fare tante volte, non è casuale. C'è stato un tempo in cui Andrea Pirlo ha retrocesso il raggio d'azione, da trequartista a centrocampista davanti alla difesa per sfruttare meglio la sua visione di gioco. Ora il calcio impone che l'impostazione parta ancora da più dietro: ecco perché non si ha bisogno di Pirlo, quando c'è Bonucci. Gli Europei in Francia hanno fatto di Leonardo Bonucci il benchmark a livello internazionale del difensore moderno: per capacità di impostazione, tecnica e padronanza, senso dell'anticipo, lettura delle situazioni. Abilità offensive e difensive, insieme: non c'è nessuno snaturamento nel ruolo del difensore, semmai un completamento.

Bonucci fa parte di una difesa, quella della Juventus, che lo scorso campionato è rimasta imbattuta per 974 minuti, record in Serie A, e che ha eguagliato un altro primato che già le apparteneva (stagione 2011/12), i 20 gol subiti nell'arco dell'intero campionato. L'era dei difensori vecchio stampo, le marcature soffocanti, i "morsi" alle caviglie, è finita: il calcio è diventato più rapido, più collettivo, perché possa sopravvivere la vecchia concezione. Paulo Dybala, che vive il cambiamento dal punto di vista opposto, disse a Undici: «È difficile trovare difensori più veloci con la testa che con i piedi». Il futuro è dei primi, dei difensori pensanti: quando chiedo a Bonucci se si ritrova in una definizione del genere, risponde di sì. E mi viene in mente un suo intervento decisivo in Juventus-Napoli dello scorso febbraio, quando con la punta del piede devia quel tanto che basta il pallone perché Higuaín non possa colpirlo. È un prodigio cerebrale tanto quanto atletico: sorveglia contemporaneamente avversario e spazio, e quando l'argentino scatta alle sue spalle lo neutralizza non contrastandolo, ma frapponendosi sulla linea del cross. C'è il senso della posizione, il senso della lettura del gioco. Cogito, ergo difendo.

Come si gioca in difesa oggi? 
Credo che oggi il ruolo di difensore sia diventato un ruolo più completo rispetto al passato. Ci viene chiesto di giocare la palla, di impostare il gioco, non più soltanto di marcare. È ovvio che si sono andate un po' perse le caratteristiche tradizionali come la marcatura a uomo o l'uno contro uno, che pure restano importanti. Il cambiamento riguarda la fase di possesso palla, perché la volontà degli allenatori è quella di impostare l'azione da dietro.

E lei è stato tra quelli che più hanno contribuito all'evoluzione.
Tanto ha fatto il passato da centrocampista, perché mi ha aiutato a vedere il gioco in una maniera diversa, focalizzato su un assist o su una palla servita in avanti. La caratteristica di vedere prima la giocata arriva da una lettura anticipata nella testa: la verticalizzazione, il lancio lungo, la palla filtrante... mentre mi sta arrivando il pallone so già che giocata voglio fare.

Facciamo un passo indietro: lei era centrocampista, quindi.
Il salto da centrocampista a difensore un po' mi scocciava, però devo dire che è stata la mia fortuna. Quando ero alla Berretti della Viterbese, mister Perrone mi prese da parte e mi disse: "Guarda, io in te vedo grosse qualità, che però devi sfruttare da difensore centrale. Hai l'eleganza, hai il tempismo, hai il senso della posizione, hai tecnica. Secondo me puoi essere il nuovo Nesta". Mi fidai.

Nesta è un'ispirazione? 
Mi è sempre piaciuto. Quando ho cominciato a fare il difensore è stato da esempio per l'eleganza, la costanza di rendimento, la pulizia delle giocate.

Anche se qualcuno la accosta a Beckenbauer per il portamento in campo.
No (sorride, ndr). Sono paragoni importanti, anche troppo esagerati. A me piace essere Bonucci, piace essere importante per la squadra, ma sono anch'io pieno di pregi e difetti. Devo migliorare su quello che mi manca, è sempre stato il mio pensiero fisso.

Eravamo rimasti all'evoluzione del difensore. 
Sicuramente è un nuovo modo di interpretare il ruolo, anche se non mi sento un punto d'arrivo. Credo che oltre alle caratteristiche tecniche c'entri molto il mio carattere: è quasi un bisogno quello di essere utile alla squadra con una giocata importante. Mi piace prendermi delle responsabilità, questo non mi ha mai spaventato, anche a costo di rischiare oltre il consentito.

Una sicurezza che è diventata un marchio di fabbrica.
Sinceramente non so da dove nasca. È qualcosa che ha a che fare con il mio senso di sfida: la partita, l'allenamento, tutto è una sfida nella mia vita. Forse è iniziato nel primo anno di Conte: contro il Milan, a San Siro, feci un doppio errore nella stessa azione sul gol loro, prima perdendo palla e poi deviandola in porta sul tiro di Nocerino. La domenica successiva, in casa contro il Chievo, partii dalla panchina. Dopo un quarto d'ora si fece male Barzagli: appena mi alzai dalla panchina per il riscaldamento, la gente cominciò a fischiare. Dico sempre, scherzando, che mi fischiavano sull'intenzione, non sapevano nemmeno se sarei entrato in campo oppure no.

E quindi c'è un senso di rivalsa dietro la voglia di imporsi.
Già quando ero nell'Inter in Primavera, se qualcuno scendeva dalla prima squadra il primo che andava in panchina era Bonucci. Era una cosa che non mi andava giù. Il mio carattere mi ha permesso di coltivare questo senso di sfida, e l'errore, la critica, gli episodi negativi mi sono serviti per migliorare. Quando venivo messo in discussione dovevo essere più forte della discussione stessa. Dovevo far vedere agli altri che Bonucci ha gli attributi e che è un tipo di giocatore su cui poter fare affidamento.

Ma Bonucci è un duro? 
No, assolutamente (ride, ndr). Lo possono testimoniare tanti amici, tante persone che mi conoscono. Sono un ragazzo tranquillo, disponibile. Magari in campo eccedo un po' troppo in questa voglia di combattere, di far vedere il Bonucci duro. Ma forse è una maschera che mi serve per esaltarmi in alcune situazioni.

Però è un leader. 
Leader ti ci fanno diventare i compagni. Non sei tu a deciderlo, ma loro a riconoscerlo. Tu puoi semplicemente mettere a disposizione i tuoi valori: nel mio caso la personalità, il sacrificio, la voglia di combattere, il trasporto. Sono cose che mi hanno permesso di diventare un grande difensore e un punto di riferimento per la squadra all'interno dello spogliatoio.

E ha deciso di essere leader alla Juve, nonostante in estate arrivassero offerte prestigiose dall'Inghilterra.
È ovvio che facciano piacere le lusinghe di certe squadre. Ma la mia è stata una scelta consapevole, una scelta di vita, di serenità, fatta con il cuore. Rimanere alla Juventus per far sì che diventi realtà quel sogno iniziato nel 2010: vincere in Europa.

Cosa manca alla Juve per riuscirci?
In questo momento credo che manchi ancora quel pizzico di conoscenza tra compagni, perché quest'anno abbiamo cambiato tanto. Però sono sicuro che con il tempo e l'abitudine a giocare certe partite tutti insieme ci possiamo togliere grosse soddisfazioni.

Ma si vede in un altro campionato?
Mi affascina molto la Premier League. Quando posso, guardo le partite: non soltanto per i giocatori che ci sono, ma per l'ambiente, l'atmosfera. Io sono un sanguigno e mi piace la loro passione, il vedere uno stadio pieno che ti travolge appena entri in campo. Per questo nel riscaldamento sono sempre il primo a entrare e l'ultimo a uscire. Voglio assaporare le sensazioni che lo sport sa trasmettere.

Quindi non è escluso un futuro inglese.
Non mi precludo niente. Ma al momento ho fatto la mia scelta: restare alla Juventus.

E dalle parti di Manchester c'è un Guardiola che la stima tantissimo.
Ho avuto modo di ringraziarlo per le parole che ha detto su di me dopo la partita con il Bayern Monaco ("Uno dei miei giocatori preferiti", ndr). È ovvio che quando arrivano le parole di elogio da parte di un grande, quello che secondo me è il miglior allenatore al mondo, ti viene il sorriso e fai fatica a far finta di niente. Significa veramente che ho fatto un percorso di crescita importante.

Come ci è riuscito? 
Ho avuto la fortuna di avere grandi allenatori che hanno esaltato le mie caratteristiche. Oggi sono un uomo più maturo e credo di aver trovato la giusta dimensione, anche grazie a un lavoro psicologico personale che mi ha aiutato ad affrontare le difficoltà sbattendomene di quello che arrivava dall'esterno, perché consapevole della mia forza, sicuro di me stesso e positivo in ogni occasione.

E quanto è stato e continua a essere importante avere come compagni, alla Juve e in Nazionale, Barzagli e Chiellini?
È fondamentale per tutti quanti. Passando a tre in difesa, la Juve è ritornata a vincere. Conte è stato un bravo sarto in quel momento: ha trovato questa collocazione che ci ha permesso di esaltare le nostre caratteristiche, e in seguito Allegri ci ha fornito ulteriori conoscenze che ci hanno dato una forza in più. È stata una grande fortuna allenarmi, migliorarmi e crescere accanto a due grandi campioni, anche perché sono il più piccolo dei tre. Da loro ho rubato con gli occhi anche durante gli allenamenti. Andrea nell'uno contro uno è un fenomeno: giorno dopo giorno provo a rubargli questa sua dote perché sicuramente è un lato dove devo crescere.

Cosa succede senza di loro? 
Mi sento ancora più responsabilizzato. Quando giochi con giovani o compagni che non sono stati molto con te sul campo, sei spinto a dare qualcosa in più. Per aiutare loro, ma anche te stesso. È ovvio che con un Benatia, che è un signor giocatore, non può esserci la stessa intesa che c'è con Barzagli e Chiellini, perché quando giochi cinque anni di fila sempre insieme impari a conoscere a memoria i tuoi compagni.

L'italianità della BBC è un valore?
Importantissimo. Abbiamo valori ben precisi, come l'appartenenza, la voglia di sacrificarsi, l'umiltà e l'attenzione in ogni dettaglio. Chi arriva dall'estero ha un'altra cultura. La bravura della Juve è mantenere uno zoccolo duro italiano, che comprende anche Marchisio e Buffon.

A proposito di Italia: cosa sono stati gli Europei francesi?
Il dispiacere più grande non è stato uscire dall'Europeo: è stato abbandonare quell'hotel, lasciare i compagni, perché s'era creato qualcosa di magico. Quel qualcosa che ci ha permesso di battere Spagna, Belgio, di mettere in difficoltà la Germania e di essere a un passo dalla semifinale. Abbiamo la consapevolezza che se avessimo battuto la Germania avremmo vinto l'Europeo. Eravamo uniti in un modo in cui non lo siamo mai stati. Forse all'Europeo 2012... ma non era lo stesso gruppo. Non saprei neanche come descriverlo, sembrava di conoscerci e di stare insieme da anni.

In quella partita contro la Germania la ricordiamo anche per il gol dell'1-1.
Non era stato deciso chi avrebbe dovuto tirare il rigore. Quando è stato fischiato, sono andato diretto sulla palla. Florenzi è venuto a dirmi "Il mister ha detto che lo tiro io", e nel frattempo anche Pellé mi diceva "Dai, fammelo tirare". Io faccio "No, no, lo tiro io". In quel momento ho capito l'importanza di quel pallone, ma avevo già deciso che sarebbe stato gol. Anche se era il primo in carriera nei novanta minuti. Sono andato sul dischetto con la consapevolezza che Neuer non mi avesse studiato, e quindi sapevo che fermandomi lo avrei ingannato. Con quel rigore la gente ha davvero capito cos'è Bonucci al di là del calciatore.

Cosa significa giocare in Nazionale?
È bello essere protagonisti in azzurro, perché è una maglia che unisce tutti. Io l'ho provato sulla mia pelle: per il mio modo di interpretare la maglia sono stato attaccato, sono stato definito antipatico e arrogante, e invece in quel periodo sui social non vedevi traccia del tifoso napoletano o romanista o milanista che ti insultava. Dopo le partite, parlavo con i miei amici: loro erano esaltati nel vedere una squadra che cantava l'inno in quella maniera. Mi dicevano "Per noi la partita poteva finire pure 5-0 per gli altri, ma vedervi cantare l'inno con quella voglia e quella grinta ci bastava".

Invece cosa si porta dietro degli scudetti con la Juve?
Il più bello è il primo: la prima vittoria, le prime gioie, i primi festeggiamenti. Ricordo benissimo quando vincemmo a Trieste e ci fu l'invasione in campo dei tifosi: io non avevo minimamente in testa di andare negli spogliatoi, ma andai incontro ai tifosi. Forse lo feci inconsciamente, tanto ero preso dall'entusiasmo di aver vinto un campionato che nessuno si aspettava.

E il più meritato qual è?
L'ultimo, perché l'inizio difficile dello scorso anno ci ha convinto che non potevamo essere così, così brutti, così poco squadra. Ci siamo riuniti, abbiamo fatto gruppo, e abbiamo dato il via a una rincorsa strepitosa, estenuante. Una battaglia di nervi impressionante, giorno dopo giorno, partita dopo partita, perché sapevi che non potevi mollare un centimetro. È stato meritato per questo motivo, perché non abbiamo mollato mai fino alla fine, abbiamo tirato in una maniera incredibile, anche oltre le nostre possibilità.

Quali sono gli obiettivi di Leonardo Bonucci?
Migliorare, sempre. Da calciatore posso dire che i miei obiettivi sono vincere la Champions League e vincere il Pallone d'Oro, sono il massimo a cui un calciatore può ambire. Però poi fai parte di una squadra, e non sempre hai la fortuna dalla tua, come è successo contro il Bayern Monaco l'anno scorso. La mia voglia di arrivarci ci sarà sempre, però so che non dipende soltanto da me.

Può essere questo l'anno giusto per la Champions League?
La Juve è una grande squadra. Ma bisogna dimostrarlo sul campo.

201612_UNDICI_BONUCCI_00.jpg

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1947398563_Juve2017.jpg.deced29b2cf9e3431d7268c59c8dcc63.jpgLEONARDO BONUCCI  1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg    

 

Bonucci: 'Juve need pre-CR7 spirit; I could have gone to Zenit' - Football  Italia

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Leonardo_Bonucci

 

 

Nazione: Italia 20px-Flag_of_Italy.svg.png
Luogo di nascita: Viterbo
Data di nascita: 01.05.1987
Ruolo: Difensore
Altezza: 190 cm
Peso: 85 kg
Nazionale Italiano
Soprannome: Bonnie

 

 

Alla Juventus dal 2010 al 2017 e dal 2018

Esordio: 29.07.2010 - Europa League - Shamrock Rovers-Juventus 0-2

Ultima partita: 12.03.2023 - Serie A - Juventus-Sampdoria 4-2

 

497 presenze - 35 reti

 

8 scudetti

4 coppe Italia

5 supercoppe italiane

 

Campione d'Europa 2021 con la nazionale italiana

 

 

 

Leonardo Bonucci (Viterbo, 1º maggio 1987) è un calciatore italiano, difensore della Juventus e capitano della nazionale italiana, con cui si è laureato campione d'Europa nel 2021.

 

Nella sua carriera ha vinto otto campionati di Serie A con la Juventus (sei consecutivi dal 2011-2012 al 2016-2017 e altri due nelle stagioni 2018-2019 e 2019-2020), club quest'ultimo a cui ha legato la maggior parte della carriera e con cui si è aggiudicato anche quattro Coppe Italia (tre consecutive dal 2014-15 al 2016-17 e ancora nel 2020-21) e cinque Supercoppe di Lega (2012, 2013, 2015, 2018 e 2020), disputando inoltre due finali di UEFA Champions League (2015 e 2017); in precedenza, con la squadra nerazzurra aveva vinto, a livello giovanile, un Campionato Primavera (2006-07) e una Coppa Italia Primavera (2005-06).

Con la nazionale ha trionfato all'europeo itinerante di Europa 2020; tra gli altri piazzamenti, è stato finalista all'europeo di Polonia-Ucraina 2012 e terzo classificato alla Confederations Cup di Brasile 2013 e alla UEFA Nations League del 2020-2021. In azzurro ha inoltre preso parte ai mondiali di Sudafrica 2010 e Brasile 2014 e all'europeo di Francia 2016.

Considerato tra i migliori difensori della sua generazione, a livello individuale è stato nominato miglior calciatore AIC nel 2016, oltre a essere stato inserito nel 2013-14 e nel 2017-18 nella squadra della stagione della UEFA Europa League, nel 2015, 2016, 2017 e 2020 nella squadra dell'anno AIC, nel 2016 nella formazione ideale dell'Équipe e nella squadra dell'anno UEFA, nel 2016-17 nella squadra della stagione della UEFA Champions League e nell'ESM Team of the Year, nel 2017 e nel 2021 nell'undici ideale del FIFA FIFPro World XI e nel 2021 nell'XI All Star Team dell'europeo. Nel 2021, inoltre, si è classificato 14º nella graduatoria del Pallone d'oro.

 

Leonardo Bonucci
20150616 - Portugal - Italie - Genève - Leonardo Bonucci (cropped 2).jpg
Bonucci in nazionale nel 2015
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 190 cm
Peso 85 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Difensore
Squadra   Juventus
Carriera
Giovanili
1993-2000 600px vertical Blue HEX-120059 Red HEX-F4001C.svg Pianoscarano
2000-2002   Viterbese
2002-2004 600px HEX-1372AC White.svg Nuova Bagnaia
2004-2005   Viterbo
2005-2007   Inter
Squadre di club
2005-2007   Inter 1 (0)
2007-2009    Treviso 40 (4)
2009    Pisa 18 (1)
2009-2010   Bari 38 (1)
2010-2017   Juventus 319 (19)
2017-2018   Milan 35 (2)
2018-   Juventus 157 (14)
Nazionale
2010- Italia Italia 116 (8)
Palmarès
 
UEFA European Cup.svg Europei di calcio
Argento Polonia-Ucraina 2012
Oro Europa 2020
Transparent.png UEFA Nations League
Bronzo Italia 2021
Transparent.png Confederations Cup
Bronzo Brasile 2013
Transparent.png Coppa dei Campioni CONMEBOL-UEFA
Argento Finalissima 2022

 

Biografia

Secondo di due figli, cresce a Viterbo nel quartiere Pianoscarano, uno dei rioni medioevali della città. Nel 2011 sposa Martina: la coppia ha tre figli. Suo fratello Riccardo, maggiore di cinque anni, è stato giocatore in Serie C1 con la Viterbese, e a livello dilettantistico in squadre della provincia di Viterbo.

Nell'estate 2012 Bonucci viene deferito dalla Procura Federale della FIGC nell'ambito dell'inchiesta sullo scandalo Scommessopoli dell'anno precedente, col procuratore federale Stefano Palazzi che richiede per lui una squalifica di 3 anni e 6 mesi: nelle settimane seguenti il giocatore viene prosciolto dalla giustizia sportiva sia in primo sia in secondo grado. Per gli strascichi del caso nella giustizia ordinaria, nel luglio del 2013 è tra gli indagati a cui la Procura di Cremona invia un'informazione di garanzia circa un incidente probatorio atto alla ricerca di possibili combine: la posizione del calciatore viene archiviata nel febbraio 2015.

Caratteristiche tecniche

Nato come centrocampista centrale, in seguito è stato arretrato con successo da Carlo Perrone, suo tecnico nel settore giovanile della Viterbese, a difensore centrale. Nonostante l'iniziale ubicazione alla destra del blocco difensivo, in seguito è andato stabilmente a ricoprire compiti di «regista difensivo» — di fatto aggiornando lo storico ruolo di libero della squadra —; ciò principalmente in una difesa a tre, seppur abbia disponibilità a giocare anche in un reparto arretrato composto da quattro elementi.

 

220px-Leonardo_Bonucci_and_Danny_Welbeck
 
Bonucci (a sinistra) contrasta in elevazione l'inglese Welbeck nei quarti di finale del campionato d'Europa 2012: l'abilità nel gioco aereo è una delle migliori qualità del difensore.

 

Calciatore di grande personalità — caratteristica che porta estimatori e detrattori a dividersi nettamente circa il giudizio nei suoi confronti — nonché avvezzo ad assumersi responsabilità e ruoli da leader in campo, in fase difensiva eccelle nei contrasti e nel gioco aereo, mentre in fase offensiva ben si disimpegna nell'impostare l'azione, effettuare lanci lunghi per i compagni e, in seconda battuta, attaccare gli spazi delle retroguardie rivali. Dopo alcune difficoltà tecnico-tattiche in cui incappò nei primi anni in Serie A — che fecero nascere tra la stampa specializzata il neologismo di «bonucciata» per definire alcuni grossolani svarioni palla al piede, dettati spesso da troppa sicurezza e scarsa concentrazione —, ha raggiunto il suo massimo rendimento nelle stagioni alla Juventus, migliorando considerevolmente agli ordini di Antonio Conte prima e Massimiliano Allegri poi, affermandosi tra i punti fermi della rosa bianconera degli anni 2010 nonché tra i migliori difensori della sua epoca: tra gli altri, Josep Guardiola ne ha parlato come di uno dei suoi giocatori preferiti di sempre.

Nonostante il ruolo si è mostrato più volte avvezzo al gol nel corso della carriera, emergendo tra i difensori più prolifici della sua generazione; all'occorrenza si dimostra inoltre un efficace rigorista.

Assieme ad Andrea Barzagli e Giorgio Chiellini, nel corso degli anni 2010 compagni di squadra sia nella Juventus sia in nazionale, Bonucci ha formato un affiatato terzetto difensivo denominato «BBC» dalla stampa specializzata; la solidità del trio ha portato al paragone con la linea difensiva composta dai terzini Virginio Rosetta e Umberto Caligaris nonché dal centromediano Luis Monti, alla base dei successi di Juventus e nazionale negli anni 1930. Con il ritiro di Barzagli, il successivo asse Bonucci-Chiellini venutosi a creare è stato ritenuto, per longevità decennale e rendimento ad alti livelli, uno dei più solidi e complementari del calcio internazionale oltreché accostato a coppie del passato quali Beckenbauer-Schwarzenbeck, Scirea-Gentile o Baresi-Costacurta.

Carriera

Club

Gli esordi con Viterbese e Inter (2000-2007)

Tira i primi calci nel Pianoscarano, società del quartiere Carmine della natìa Viterbo, in cui compie tutta la trafila delle formazioni giovanili. Nel 2000 passa alla Viterbese disputando prima il campionato Giovanissimi Sperimentali e l'anno successivo quello Giovanissimi Nazionali. Nel 2002 si trasferisce temporaneamente alla Nuova Bagnaia, società dell'hinterland viterbese, per giocare il campionato Allievi, quindi nel 2004 torna alla base tra gli Allievi Nazionali allenati da Carlo Perrone. Durante la stagione 2004-05 colleziona qualche panchina con la prima squadra gialloblù, in Serie C2, e sostiene un provino con l'Inter; con le giovanili nerazzurre disputa in prova due tornei, ad Abu Dhabi e a Parma, al termine dei quali la società lombarda, l'11 luglio 2005, lo ingaggia per 40 000 euro inserendolo nella squadra Primavera.

La stagione 2005-06 vede Bonucci vincere con la formazione giovanile interista la Coppa Italia Primavera, agli ordini di Daniele Bernazzani (benché non scenda in campo nella doppia finale contro i concittadini del Milan). Intanto il 14 maggio 2006 Roberto Mancini, tecnico della prima squadra, lo fa esordire in Serie A, facendolo subentrare al 90' a Solari nella sfida dell'ultima giornata di campionato a San Siro contro il Cagliari (2-2): con tale presenza, a posteriori rientra ufficialmente nella rosa campione d'Italia dopo l'assegnazione d'ufficio dello scudetto ai nerazzurri, nelle settimane seguenti, per effetto delle sentenze di Calciopoli. Nell'annata seguente rimane nei ranghi della Primavera, perdendo la supercoppa di categoria contro la Juventus (in cui subentra nel corso della finale) ma emergendo poi nel corso della stagione, insieme ad altri promettenti elementi quali Balotelli e Biabiany, tra i maggiori artefici della vittoria del titolo di categoria: «già da ragazzo si intravedeva quanto fosse un vincente, tanto che fu uno dei protagonisti del nostro scudetto», ricorderà a posteriori il tecnico di quella formazione, Vincenzo Esposito. Mancini gli concede inoltre 3 nuove presenze con la prima squadra, tutte in Coppa Italia, tra cui la semifinale di ritorno giocata da titolare contro la Sampdoria (0-0).

Le esperienze a Treviso, Pisa e Bari (2007-2010)

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Bonucci in azione al Bari nel 2009

 

Nell'estate 2007, a 20 anni, è ceduto in prestito al Treviso, in Serie B, con cui rimane un anno e mezzo totalizzando 40 gare e 4 reti. La prima stagione in Veneto, agli ordini di Giuseppe Pillon, è molto positiva per Bonucci il quale, alla sua prima esperienza da professionista, riesce a diventare titolare nel corso del campionato trovando anche i primi gol: «era un ragazzo giovane, ma fin dai primi allenamenti mi fece una gran bella impressione, specialmente per la sua personalità», ricorderà in seguito lo stesso Pillon; negativo è invece l'epilogo della sua avventura in maglia biancoceleste, nel primo semestre dell'annata 2008-09, poiché il nuovo tecnico Luca Gotti gli preferisce elementi più esperti come Scurto e Šmit. Il 15 gennaio 2009 passa quindi in prestito ai pari categoria del Pisa allenati da Gian Piero Ventura, dove nella seconda parte della stagione colleziona da titolare 18 presenze e 1 gol. Nonostante la retrocessione del club toscano, il difensore inizia a emergere tra le più valide promesse italiane nel ruolo; ciò anche grazie allo stile di gioco di Ventura, volto a favorire la costruzione dell'azione fin dalle retrovie, e che ben si addice a un calciatore quale Bonucci, un «difensore che pensa come un centrocampista».

Tornato all'Inter al termine di questo biennio di prestiti, il 29 giugno 2009 è acquistato definitivamente dal Genoa nell'ambito della trattativa che porta Milito e Thiago Motta a Milano, venendo valutato 4 milioni di euro. Non ha tuttavia modo di vestire la maglia rossoblù, poiché il successivo 9 luglio è prelevato in compartecipazione dal Bari, neopromosso in Serie A e sulla cui panchina è nel frattempo arrivato proprio Ventura, il quale sollecita la società biancorossa a puntare sul giocatore.

In Puglia è titolare sin dalla prima giornata della stagione 2009-10, un pareggio 1-1 nella trasferta contro la sua ex squadra dell'Inter, e dov'è suo malgrado autore di un fallo da rigore su Milito; ciò nonostante, nel prosieguo dell'annata è protagonista di prestazioni di livello, giocando tutte le 38 partite di un campionato in cui il 30 gennaio 2010 trova il suo primo gol in massima categoria, in semirovesciata nella vittoria interna 4-2 sul Palermo, e che il 3 marzo lo portano a vestire per la prima volta la maglia azzurra. A Bari fa coppia al centro della retroguardia dei galletti con un altro promettente elemento, Ranocchia, formando un giovane ma solido e affiatato duo difensivo che presto emerge tra i migliori del campionato; seppur all'epoca, è proprio il compagno di reparto ad attirare su di sé le maggiori attenzioni degli addetti ai lavori. Al termine dell'unico suo anno in biancorosso, nel giugno 2010 la comproprietà tra Bari e Genoa è risolta prima di arrivare alle buste: il giocatore è riscattato dai pugliesi con la complicità della Juventus, che ne acquisterà successivamente il cartellino.

Juventus

Dalla crisi all'affermazione (2010-2012)
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Bonucci (a sinistra) alla Juventus nel 2010, mentre contrasta Rudņevs nella trasferta di Europa League contro il Lech Poznań

 

Il 1º luglio 2010 il difensore approda alla Juventus per una valutazione, tra contanti e contropartite, di circa 15,5 milioni di euro. Esordisce in competizioni ufficiali il 29 dello stesso mese, nella gara di andata del terzo turno preliminare di Europa League, giocata in Irlanda contro lo Shamrock Rovers e vinta 2-0 dai bianconeri; nella stessa competizione, il 19 agosto realizza il suo primo gol in maglia juventina, portando la squadra in vantaggio nella partita di andata dei play-off vinta 2-1 contro gli austriaci dello Sturm Graz. L'esordio in campionato arriva dieci giorni dopo, nella trasferta persa contro la sua ex squadra del Bari (1-0). In bianconero va ad agire ancora come centrale di difesa, formando la coppia titolare assieme a Chiellini, tuttavia nella sua prima stagione a Torino incontra varie difficoltà: da una parte per l'impostazione difensiva adottata dall'allenatore Luigi Delneri, il quale lo inquadra in un rigido 4-4-2 che finisce per svilirne le qualità in fase di costruzione del gioco, e dall'altra per «un misto di supponenza e poca concentrazione» che lo porta a cadere in vari errori tecnici, le cosiddette «bonucciate». Tutto ciò ne fa tra i calciatori più contestati della rosa juventina 2010-11 che chiude il campionato con un deludente settimo posto, fallendo dopo vent'anni la qualificazione alle coppe europee.

Una situazione che si ribalta nella stagione 2011-12, quando alla guida dei piemontesi arriva Antonio Conte. Seppur relegato in panchina durante le prime settimane della nuova gestione tecnica, a favore della coppia Barzagli-Chiellini, sul finire del 2011 Bonucci ritrova la titolarità grazie alla nuova retroguardia a tre elementi studiata da Conte, che lo vede playmaker difensivo con i due succitati compagni di squadra ai lati: è la nascita della cosiddetta «BBC», la linea difensiva alla base dei successi juventini negli anni seguenti. Il 7 aprile 2012 segna un gol nella vittoriosa trasferta al Barbera con il Palermo (2-0), contribuendo al sorpasso in testa alla classifica dei bianconeri ai danni del Milan, culminato il 6 maggio seguente nella conquista dello scudetto, il primo in maglia juventina per Bonucci, arrivato grazie al 2-0 in campo neutro a Trieste sul Cagliari.

Gli anni della «BBC» (2012-2016)
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Bonucci in maglia bianconera nell'estate 2014, in amichevole a Singapore contro una selezione locale

 

Artefice in questo periodo di una costante crescita sul piano tecnico e soprattutto mentale, la stagione 2012-13 inizia con la vittoria della Supercoppa di Lega a Pechino, grazie al 4-2 sul Napoli maturato ai supplementari. Il 2 ottobre 2012 Bonucci realizza la sua prima rete in Champions League, nel match terminato 1-1 contro gli ucraini dello Šachtar. Il 5 maggio 2013, grazie alla vittoria casalinga per 1-0 sul Palermo, vince il secondo scudetto consecutivo. Chiude la stagione da bianconero con più presenze in assoluto (48), alla pari con il collega di reparto Barzagli. Apre la stagione 2013-14 con la conquista, il 18 agosto, della sua seconda Supercoppa di Lega, battendo a Roma per 4-0 la Lazio. Il 3 aprile 2014 va a segno per la prima volta in Europa League, decidendo la sfida di andata dei quarti di finale sul campo dei francesi dell'Olympique Lione (0-1). Il 4 maggio, a seguito della sconfitta 1-4 della Roma a Catania, senza scendere in campo vince il suo terzo scudetto consecutivo con la Juventus.

Con la squadra torinese passata nell'annata 2014-15 agli ordini di Massimiliano Allegri, il 5 ottobre decide la sfida di cartello con la Roma segnando il gol del definitivo 3-2. Il 7 aprile 2015, in occasione della semifinale di ritorno di Coppa Italia, mette a segno il primo gol in carriera nella manifestazione, chiudendo le marcature nello 0-3 dell'Artemio Franchi ai danni della Fiorentina, risultato che permette alla squadra torinese di raggiungere la finale, rendendo così ininfluente la sconfitta 1-2 della gara di andata. La stagione culmina con il double composto dalla vittoria del quarto scudetto consecutivo in bianconero, arrivato il 2 maggio dopo la vittoria 1-0 sul campo della Sampdoria, assieme alla Coppa Italia, vinta il 20 dello stesso mese con un 2-1 ai supplementari sulla Lazio; il 6 giugno gioca inoltre la sua prima finale di Champions League, persa 1-3 a Berlino contro gli spagnoli del Barcellona.

 

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Da destra, in divisa nera: Barzagli, Bonucci e Chiellini, ovvero la linea difensiva «BBC» della Juventus pluriscudettata negli anni 2010, qui sul campo del Frosinone nella sfida di Serie A del 7 febbraio 2016

 

Ormai divenuto tra i leader dello spogliatoio juventino, l'8 agosto apre la nuova annata 2015-16 con la conquista della terza Supercoppa nazionale della carriera, superando per 2-0 la Lazio sul campo di Shanghai; inoltre il 23 settembre, in occasione della sfida casalinga di campionato pareggiata 1-1 con il Frosinone, per la prima volta scende in campo dal 1' con la fascia di capitano della squadra. Il 2 marzo 2016, nonostante la sconfitta 0-3 rimediata a Milano contro l'Inter, ai tiri di rigore realizza il decisivo penalty che porta i bianconeri alla seconda finale consecutiva di Coppa Italia, poi vinta il 21 maggio a Roma contro un Milan superato 1-0 al termine dei supplementari. Il 25 aprile, a coronamento di una rimonta-record, si aggiudica matematicamente il quinto scudetto consecutivo contribuendo così a far bissare al club il double dell'anno precedente.

Una stagione complicata (2016-2017)

La settima stagione a Torino, seppur globalmente positiva come risultati di squadra, è negativa sotto l'aspetto personale, con Bonucci reo di comportamenti che a lungo andare logorano il rapporto con l'ambiente bianconero: una situazione deflagrata già nel mese di febbraio e poi trascinatasi per il resto dell'annata.

Già sul piano fisico, la stagione non è tra le più fortunate della sua carriera: nel novembre 2016, pochi giorni dopo aver contribuito con un gol al Siviglia alla qualificazione alla fase a eliminazione diretta di Champions League, subisce infatti un infortunio al bicipite femorale della coscia sinistra durante la sconfitta esterna 3-1 in campionato contro il Genoa, che lo costringe a restare lontano dai campi fino all'inizio del 2017. Una volta ristabilitosi, il 17 febbraio tocca le 300 presenze con la formazione torinese, in occasione della vittoria 4-1 allo Stadium sul Palermo: nella circostanza, tuttavia, un pubblico alterco a bordocampo con Allegri gli costa l'esclusione dalla successiva trasferta di Champions League contro il Porto, prima avvisaglia dell'addìo che si consumerà a fine stagione.

Frattanto il 17 maggio mette in bacheca la Coppa Italia, primo trofeo stagionale nonché terzo consecutivo per la squadra bianconera, dopo la vittoriosa finale di Roma sulla Lazio dov'è peraltro autore del definitivo 2-0; quattro giorni dopo, con il successo 3-0 allo Stadium sul Crotone arriva anche il sesto titolo italiano di fila e settimo personale, che permette al difensore e alla squadra d'inanellare il terzo double nazionale consecutivo, e soprattutto di battere dopo 82 anni il record della Juve del Quinquennio: Bonucci, insieme ai compagni di squadra Barzagli, Buffon, Chiellini, Lichtsteiner e Marchisio, è tra i 6 esacampioni d'Italia di questo ciclo bianconero. Il 3 giugno scende in campo a Cardiff per la sua seconda finale di Champions League, persa 1-4 contro il Real Madrid. Rimarrà questa l'ultima partita del suo primo periodo torinese: infatti, nonostante quanto palesato da Bonucci giusto pochi mesi prima circa il voler diventare una «bandiera» del club, il suo rapporto con la Juventus s'interrompe bruscamente nell'estate seguente.

La parentesi al Milan (2017-2018)

Con una trattativa-lampo tra due storiche rivali che sorprende non poco addetti ai lavori e tifosi, il 20 luglio 2017 il giocatore passa al Milan per 42 milioni di euro. Su spinta della nuova proprietà rossonera appena insediatasi, viene inoltre nominato capitano della squadra, indossando la fascia fin dal suo esordio con la nuova maglia, il 17 agosto seguente a San Siro, nella vittoria contro i macedoni dello Škendija (6-0) valevole per l'andata dei play-off di Europa League.

Pur a fronte degli altisonanti intenti della vigilia, l'impatto con la realtà milanista si rivela abbastanza tribolato per Bonucci, il quale rimane coinvolto nella crisi di risultati dell'undici di Vincenzo Montella; sul piano personale si aggiungono incomprensioni tattiche nonché poca serenità dettata da un ambiente rossonero che, se da una parte ripone grandi attese nel suo ingaggio, a posteriori presentato fin troppo avventatamente come capace di «spostare gli equilibri» del campionato, dall'altra fatica ad accettare una leadership a conti fatti imposta dall'alto e non dallo spogliatoio e, ancor più, che «la fascia che fu di Baresi e Maldini» sia finita al braccio di chi, fino a poche settimane prima, era considerato un rivale per antonomasia.

 

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Una maglia milanista indossata da Bonucci nel corso della UEFA Europa League 2017-2018

 

La situazione migliora parzialmente dopo l'avvicendamento tecnico tra Montella e Gennaro Gattuso, e con l'affinamento dell'intesa tra Bonucci e il compagno di reparto Romagnoli. Il 6 gennaio 2018 il difensore segna il suo primo gol in maglia meneghina, siglando il decisivo 1-0 sul Crotone; il successivo 31 marzo, a Torino, trova anche la rete del momentaneo pareggio nella prima sfida giocata contro la sua ex squadra piemontese, che tuttavia non evita la sconfitta finale per 3-1 dei lombardi. Quella che sarà l'unica stagione in rossonero di Bonucci si chiude in negativo, non riuscendo a fare la differenza in un discontinuo Milan che finisce relegato alla lotta per l'Europa League; anche il cammino in Coppa Italia, dove la squadra raggiunge la finale, termina con una netta sconfitta 0-4, ancora per mano della Juventus.

Ritorno alla Juventus

Gli ultimi scudetti del gruppo storico (2018-2020)

La delusione per l'andamento della stagione milanista, dal punto di vista dei risultati sportivi e della stabilità societaria, nonché il pentimento per una scelta fatta in un «momento di rabbia», portano Bonucci a virare dopo soli dodici mesi verso un clamoroso dietrofront: una volta chiesta la cessione, il 2 agosto 2018 torna alla Juventus per 35 milioni di euro, nell'ambito di uno scambio di cartellini con Caldara. Sedici giorni dopo bagna il suo secondo debutto in maglia bianconera, nella vittoriosa trasferta di campionato contro il Chievo (3-2), propiziando l'autorete del clivense Bani; il 29 settembre torna invece al gol in maglia juventina, fissando sul definitivo 3-1 il vittorioso big match casalingo contro il Napoli.

In avvio di campionato il difensore è costretto ad affrontare i sentimenti contrastanti della tifoseria juventina nei suoi confronti, nettamente spaccata tra favorevoli al suo ritorno, e contrari a perdonargli la rumorosa separazione di appena un anno prima. Tale situazione non influisce tuttavia sul suo rendimento in campo, dove riprende immediatamente un ruolo centrale nelle dinamiche bianconere: presto vinta la concorrenza interna con Benatia, Bonucci torna così a formare un'affiatata coppia con Chiellini al centro della difesa torinese, ritrovando quello smalto che pareva avere smarrito a Milano. All'inizio del 2019, il 16 gennaio conquista la sua quarta Supercoppa italiana, scendendo in campo da titolare nella vittoria 1-0 contro il suo ex Milan. A tale trofeo, al termine dell'annata si aggiunge lo scudetto, arrivato matematicamente già il 20 aprile, a corollario di un campionato giocato a ritmi da record, grazie al successo 2-1 nel match casalingo contro la Fiorentina: è l'ottavo tricolore della carriera per Bonucci, il quale entra così nel gotha dei pluriscudettati, dietro solo all'ex compagno di squadra Buffon, nonché l'ottavo consecutivo per la Juventus.

Rimane tra gli inamovibili anche nella stagione 2019-2020, in cui il nuovo tecnico juventino Maurizio Sarri lo conferma al centro della retroguardia, stavolta a fianco del giovane neoacquisto De Ligt a causa del lungo infortunio che tiene Chiellini lontano dai campi per gran parte dell'annata; un'assenza, quest'ultima, che fa di Bonucci il capitano de facto della squadra per i mesi a seguire. In una stagione drammaticamente segnata dal covid-19 che dilata a dismisura i calendari, il difensore conquista il suo nono scudetto personale nonché nono consecutivo per la società piemontese — quest'ultimo, un primato assoluto nella storia della Serie A e dei maggiori campionati nazionali d'Europa —; a corollario, in occasione del vittorioso derby del 4 luglio 2020 contro il Torino (4-1), il viterbese tocca le 400 presenze in maglia bianconera.

Anni di rinnovamento (2020-)
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Da destra: Bonucci, nell'occasione capitano juventino, festeggia con Arthur, il compagno di reparto De Ligt e gli altri bianconeri il gol di Kulusevski allo Zenit San Pietroburgo, nella vittoriosa trasferta di UEFA Champions League del 20 ottobre 2021.

 

L'annata 2020-2021, trascorsa agli ordini dell'ex compagno di squadra Andrea Pirlo nel frattempo passato in panchina, non è positiva per Bonucci soprattutto nella parte iniziale, con prestazioni non all'altezza, mentre nella seconda si ritrova ulteriormente frenato dopo avere contratto il covid. Tale ruolino è sintomatico delle difficoltà stagionali della Juventus, che dopo nove anni deve abdicare nella difesa dello scudetto; nonostante ciò, nel corso del 2021 il difensore riesce comunque a rimpinguare il proprio palmarès con le affermazioni bianconere in Supercoppa italiana e Coppa Italia.

In avvio dell'annata seguente, il 20 ottobre 2021, in occasione della vittoriosa trasferta di Champions League contro lo Zenit San Pietroburgo, raggiunge le 100 presenze internazionali con le squadre di club. Un mese dopo, il 20 novembre realizza la sua prima doppietta — in entrambe le occasioni su calcio di rigore — in massima serie, nel successo esterno 2-0 sulla Lazio; ripete l'exploit il 1º maggio 2022, stavolta su azione, nel successo casalingo per 2-1 contro il Venezia, che gli permette di eguagliare il compagno di squadra Chiellini come difensore a segno, nel massimo campionato italiano, in più anni solari differenti del XXI secolo (13) oltreché di stabilire un nuovo record personale di reti in una singola stagione.

Nazionale

Gli esordi (2010)

Il 28 febbraio 2010, mentre militava nel Bari, ha ricevuto la prima convocazione in nazionale a opera del commissario tecnico Marcello Lippi, al suo secondo ciclo sulla panchina italiana. Esordisce il successivo 3 marzo, a 22 anni, scendendo in campo da titolare nell'amichevole contro il Camerun (0-0) disputata allo Stade Louis II del Principato di Monaco. Alla sua seconda presenza, il 3 giugno, realizza il suo primo gol in azzurro nella partita amichevole disputata a Bruxelles e persa 1-2 contro il Messico. Inserito nella lista dei 23 convocati al campionato del mondo 2010 in Sudafrica, non viene mai impiegato durante l'intera competizione.

Gli anni dell'Ital-Juve (2010-2014)

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Bonucci (a destra), in maglia azzurra, alle prese con lo spagnolo Fàbregas nella finale del campionato d'Europa 2012.

 

Confermato nel gruppo azzurro dal nuovo CT Cesare Prandelli, dopo l'addio di Cannavaro viene promosso titolare al fianco del compagno di club Chiellini. È convocato per il campionato d'Europa 2012 in Polonia e Ucraina, esordendo a Danzica, il 10 giugno, nella gara con la Spagna (1-1); scende in campo in tutte le 6 partite disputate dall'Italia, sino alla finale del 1º luglio dove la nazionale si ritrova contrapposta ancora alle Furie Rosse, che stavolta vincono con un netto 4-0.

Nel giugno 2013, Bonucci è confermato da Prandelli nella rosa per la Confederations Cup in Brasile. Il 27 dello stesso mese, nella semifinale con la Spagna disputata a Fortaleza, risulta fatale il suo errore ai tiri di rigore che estromette gli azzurri dalla finale; con l'Italia conquista il terzo posto nella manifestazione, arrivato dopo aver superato l'Uruguay nella finale di consolazione, risoltasi anch'essa ai rigori.

Ormai tra i punti fermi (assieme ai colleghi di reparto Buffon, Barzagli e Chiellini, e agli altri compagni di squadra Marchisio e Pirlo) della cosiddetta Ital-Juve dei primi anni 2010, è convocato al campionato del mondo 2014 in Brasile. Qui è tuttavia schierato unicamente nella terza partita del girone, persa 0-1 con l'Uruguay, che determina l'eliminazione della nazionale.

Senatore azzurro (2014-2022)

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Bonucci (a sinistra) difende la palla dalle mire del portoghese Varela nell'amichevole di Ginevra del 16 giugno 2015.

 

Sotto la nuova gestione tecnica di Antonio Conte, il 4 settembre 2014, nell'amichevole Italia-Paesi Bassi (2-0), indossa la fascia di capitano dopo l'uscita dal campo di De Rossi; il 18 novembre seguente, nell'amichevole Italia-Albania (1-0) disputata a Genova, per la prima volta scende in campo dal 1' come capitano della nazionale.

Nel maggio 2016 è inserito nella rosa dei 23 convocati per il campionato d'Europa 2016 in Francia: nell'esordio azzurro nella competizione, il 13 giugno, serve l'assist a Giaccherini per la prima rete nel successo 2-0 sul Belgio. Autore di ottime prestazioni nel corso del torneo  miglior giocatore nella sfida degli ottavi di finale vinta 2-0 sulla Spagna campione continentale in carica —, ai quarti di finale contro la Germania realizza dal dischetto il gol dell'1-1; tuttavia, nell'epilogo ai tiri di rigore, è tra gli azzurri che non riescono a mettere a segno il proprio tentativo, sancendo l'eliminazione italiana.

Con il CT Gian Piero Ventura viene impiegato in dieci partite delle qualificazioni al campionato del mondo 2018, compreso il doppio confronto del play-off del novembre 2017 contro la Svezia, che elimina clamorosamente l'Italia, a 60 anni dall'unico precedente.

 

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Da destra: Bonucci, nell'occasione capitano azzurro, canta l'inno italiano con Donnarumma, Acerbi e Barella prima della sfida contro la Bulgaria del 28 marzo 2021.

 

Nonostante la traumatica mancata qualificazione al mondiale di Russia, per la quale Bonucci ha sempre dichiarato di non incolpare unicamente Ventura, il difensore mantiene un ruolo centrale nella nazionale anche con il nuovo commissario tecnico Roberto Mancini, debuttando peraltro sotto la sua guida con i gradi di capitano, nell'amichevole del 28 maggio 2018 tra Italia e Arabia Saudita (2-1). Il successivo 7 settembre esordisce con gli azzurri nella prima edizione della UEFA Nations League, nella gara che li vede contrapposti alla Polonia (1-1).

L'8 giugno 2019 va a segno per la prima volta dall'insediamento di Mancini, siglando il definitivo 3-0 alla Grecia, nell'ambito delle qualificazioni al campionato d'Europa 2020. Il successivo 12 ottobre, nella gara di ritorno contro gli ellenici che certifica la qualificazione azzurra alla fase finale, Bonucci entra nella top ten dei più presenti in nazionale, superando l'ex compagno di squadra Del Piero con 92 apparizioni complessive. Ancora a livello statistico il 25 marzo 2021, in occasione della vittoria 2-0 sull'Irlanda del Nord valevole per le qualificazioni al campionato del mondo 2022, il calciatore raggiunge le 100 presenze in nazionale, ottavo italiano di sempre a toccare questo traguardo.

 

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Bonucci (a destra) e gli azzurri ricevuti nel luglio 2021 ai giardini del Palazzo del Quirinale dal presidente Mattarella dopo il vittorioso campionato d'Europa 2020; in secondo piano, il compagno di reparto Chiellini.

 

Convocato nell'estate 2021 per la fase finale dell'europeo itinerante del 2020, nel frattempo posticipato di un anno a causa del covid, gioca tutte le 7 partite degli azzurri durante la competizione — divenendo l'italiano più presente nella storia del torneo — e, riproponendosi ad alti livelli nell'ormai collaudata coppia centrale con Chiellini, emerge tra i protagonisti del successo italiano: l'11 luglio segna il gol dell'1-1 nella finale di Wembley contro i padroni di casa dell'Inghilterra — venendo nominato miglior giocatore della partita e diventando, a 34 anni e 71 giorni, il marcatore più anziano in una finale dell'europeo — e trasforma, poi, uno dei tiri di rigore che consegnano agli azzurri il loro secondo titolo continentale. A manifestazione conclusa viene inoltre inserito nell'XI All Star Team dell'edizione.

Nell'autunno 2021 viene inserito tra i 23 convocati per la fase finale della seconda edizione della Nations League, ospitata dall'Italia: gli azzurri chiudono la manifestazione al terzo posto, tuttavia la partecipazione di Bonucci alla Final Four dura lo spazio di un tempo, per via dell'espulsione rimediata in prossimità dell'intervallo nella semifinale di San Siro persa 1-2 contro la Spagna.

Capitano (2022-)

Convocato per il turno di spareggio delle qualificazioni al mondiale del Qatar, non scende in campo nella sconfitta del 24 marzo 2022 contro la Macedonia del Nord (0-1) che costa all'Italia la seconda eliminazione consecutiva. Il successivo 1º giugno a Wembley, in occasione della finalissima della Coppa dei Campioni CONMEBOL-UEFA persa 0-3 contro i campioni del Sudamerica dell'Argentina, Bonucci gioca per l'ultima volta insieme al compagno di una carriera, Chiellini, che nell'occasione dà l'addio all'azzurro: proprio a quest'ultimo il difensore viterbese succede quale capitano della nazionale, inizialmente in pectore poiché nell'immediato non viene impiegato nella fase a gironi della terza edizione della Nations League, per la decisione di Mancini di sfruttare la competizione come banco di prova per un nuovo gruppo di azzurrabili.

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Nazionale

Onorificenze

Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana
  «Riconoscimento dei valori sportivi e dello spirito nazionale che hanno animato la vittoria italiana al campionato europeo di calcio UEFA Euro 2020»
— Roma, 16 luglio 2021. Di iniziativa del Presidente della Repubblica.

 

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Sette anni in bianconero, sette anni da narrare l’uno all’altro per Leonardo Bonucci, detto semplicemente Leo. Approda sulle rive del Po nell’estate del 2010, proveniente dal Bari: nel capoluogo pugliese ha formato con Ranocchia una solida e affiatatissima coppia difensiva che, presto, emerge come miglior duo del campionato. Ma è proprio il futuro interista che si attira le maggiori attenzioni degli addetti ai lavori e l’arrivo di Leo a Torino è visto con diffidenza dal supporter juventino.

«Ho iniziato in una società dilettantistica – racconta – il Pianoscarano, poi sono passato alla Viterbese. Giocavo centrocampista centrale ed esterno, per un po’ ho anche fatto la punta. La svolta è arrivata l’anno della Berretti. Il mio allenatore era Carlo Perrone, ex giocatore di Lazio e Roma: il mio grande maestro, l’uomo che mi ha insegnato a stare più tranquillo in campo, senza strafare. Inoltre ha visto in me le caratteristiche del difensore centrale e questa è stata la mia fortuna. Nell’ultimo anno a Viterbo ho sfiorato l’esordio in C2. Poi sono passato all’Inter dove ho giocato due stagioni con la Primavera e ho esordito in Serie A. Il salto nei professionisti c’è stato a Treviso dove sono rimasto una stagione e mezza con mister Pillon, prima di trasferirmi a Pisa, dove ho conosciuto Giampiero Ventura, che mi ha fatto giocare tutte le partite e che poi mi ha voluto a Bari. Lo scorso campionato è stato incredibile, non ho saltato un solo minuto, nonostante abbia giocato le ultime diciotto partite in diffida. E ora sono qui per continuare a crescere. È l’inizio di una nuova entusiasmante avventura. Un punto di partenza per la mia carriera. Ma anche la realizzazione di un sogno che avevo fin da piccolo: sono sempre stato tifoso della Juventus, una sorta di “pecora nera” in una famiglia di interisti. Nella mia camera c’era il poster di Del Piero e una foto che mi avevano scattato insieme a Peruzzi. Del Piero, da idolo a compagno di squadra, mi ha fatto davvero effetto. Alessandro si è subito dimostrato un ragazzo tranquillo, simpatico e soprattutto umile. Lui, insieme a Zidane, è stato uno dei miei modelli quando, da ragazzo, giocavo in posizioni più offensive».
«Leo – scrive Sandro Scarpa su juventibus.com, il 24 novembre 2016 – entra nel romanzo decadentista della Vecchia Signora, senza appeal e senza gloria. Ai nuovi boss, Marotta e Paratici, l’idea Bonucci balena in un ennesimo surreale groviglio: devono liberarsi della metà di Criscito e sbarazzarsi di Almirón, parcheggiato proprio a Bari. Un vortice rutilante di scambi ed ecco arrivare Leo, “il meno bravo dei due”. Inizia così il romanzo horror: Leo è in una difesa zombie composta da Motta, Grygera, Traoré, Legrottaglie, Sørensen, Grosso, Rinaudo e De Ceglie con davanti Melo e Aquilani. Paura, eh? Lui e Chiellini vengono morsi dalla vampiresca spirale delneriana e la Juve viene sepolta viva da quarantasette reti. A gennaio arriva dal Wolfsburg per quindici casse di rhum anche Barzagli, e il trio comincia un lungo sodalizio dentro e fuori dal campo che li porterà poi a raccontarsi, intorno a un camino, storie di terrore come i cross di De Ceglie e le diagonali di Motta. In estate altra sliding door narrativa: la Juve punta Bruno Alves, in Russia con Criscito e Spalletti, che in cambio chiede Leo e Pepe. Potrebbe essere l’inizio di un romanzo russo, ma lo scambio salta e Bonucci diventa il soldato LeonardoBi, alter–ego immaginario, come in un poema epico.
Se nel primo anno “un misto di supponenza e poca concentrazione” lo porta a cadere nelle proverbiali “bonucciate”, ora due figure da Pigmalione plasmano caratterialmente il nuovo Bonni che scende a patti col Diavolo Conte e il numero satanico 3–5–2 e viene forgiato mentalmente dal Motivatore con mentine all’aglio e sevizie psicologiche. Leo diventa cattivo, concentrato e spietato come il reduce di un romanzo bellico post Vietnam e comincia a non commettere più errori, a spingersi più avanti, a tenere palla al piede più spesso. È l’ora del riscatto: con Conte e come il Conte di Montecristo, Leo diventa un pilastro della BBC e scrive il romanzo della terza stella, iniziando l’epopea di una difesa da leggenda. È il trionfo, Bonni è oramai un difensore completo e si gode lo scudetto, ma come nelle favole arriva l’implacabile nemico a mettere a repentaglio la vita dell’eroe. Alcuni loschi figuri di Scommessopoli, per avere sconti di pena, tirano dentro il nostro Leo. Palazzi chiede tre anni e sei mesi sia in primo grado sia in appello. È una tragicommedia avvolta in un legal–trhiller. Zero prove, accuse ridicole, eppure in tanti, nella tagliola della giustizia, patteggiano per evitare la fine di una carriera. Bonni no, come Pepe (anche lui scampato alla deportazione russa), non scende a patti e va a processo. Pensateci, tre anni e sei mesi a partire da settembre 2012, con fine pena a febbraio 2016, magari per ricominciare dalla Viterbese o dal Bari...
È l’ennesima svolta psicologica. Ciò che non ti uccide ti fortifica. Bonucci, come i bianconeri eroi del Mondiale 2006, quell’estate “non dovrebbe giocare Euro 2012”, secondo giornalisti da operette morali. Per la stampa è un criminale, feccia da cui ripulire il calcio. Bonni, Cassano e Balotelli sono i Bastardi senza Gloria della Nazionale che arriverà poi in finale con la Spagna. Ancora una volta, come figura ricorrenti di un romanzo, a rimetterci è Criscito, escluso ingiustamente da quegli Europei. La Juve non lo molla ma anzi gli consegna un’emblematica fascia di capitano in un’amichevole estiva contro il Benfica. Bonni viene assolto. Da quel momento Bonucci diventa un idolo per il popolo bianconero e l’incarnazione del male per gli altri. Arrogante, indisponente, implacabile e impunito con la Juve, deconcentrato e brocco a volte in Nazionale, come in Brasile. È quello che esulta in modo volgare, che umilia rivali e tifoserie invitandoli a sciacquarsi la bocca (esultanza frutto di scherzi con gli amici, come a dire «Visto, non sono un bidone!»). È quello che schernisce gli avversari («Noi siamo in Champions, il Napoli in Europa League!»). È il bullo spericolato che affronta un rapinatore che minaccia la sua famiglia. È l’uomo più odiato della squadra più odiata. È quello del pasticciaccio brutto di Rocchi in Juve–Roma.
L’odio nei suoi confronti lo fa bollare come rozzo e limitato, eppure viene esaltato dal migliore romanziere–esteta del calcio attuale, Guardiola, che dice di lui: «È da sempre uno dei miei calciatori preferiti». Il culmine di questo romanzo criminale Bonucci lo raggiunge con la testata (per alcuni sono le testate) a Rizzoli. In quell’occasione la natura criminale di Bonucci si fonde con poteri da supereroe fantasy: un’onda energetica parte dal suo capoccione per colpire violentemente, ma senza contatto, l’arbitro bolognese. E arriviamo al presente. Dopo la parentesi (speriamo chiusa per sempre) di un breve dramma familiare che sembra oramai risolto, Bonni si attira finalmente stima e solidarietà anche delle altre tifoserie. Le sue lacrime in TV lo rendono un eroe vulnerabile, e dopo il nuovo poemetto epico degli Europei francesi, chiuso sul più bello dai rigori di Zaza e Pellè (i quali diventano i nuovi bersagli facili), anche i tifosi avversari ne riconoscono finalmente qualità calcistica e la forza caratteriale. Stimato da Conte e Pep, chiude e imposta alla Beckenbauer (paragone non più azzardato) e soprattutto è l’uomo dei goal decisivi. I tifosi della Juve hanno smesso di considerarlo quello “buono solo nel 3–5–2”, gli altri hanno smesso di odiarlo perché arrogante e scarso ma continuano a farlo perché è arrogante e forte».
La settima stagione a Torino, seppur globalmente positiva sul lato sportivo, è negativa su quello ambientale, col calciatore reo di comportamenti che a lungo andare logorano il rapporto sia col tecnico Allegri sia con lo spogliatoio: il 17 febbraio, infatti, nella netta vittoria per 4–1 contro il Palermo, un pubblico alterco a bordocampo con Allegri gli costa l’esclusione dalla successiva trasferta di Champions League contro il Porto (che seguirà malinconicamente seduto in tribuna su uno sgabello) prima avvisaglia dell’addìo che si consumerà a fine stagione.
Intanto, però, mette in bacheca la Coppa Italia e il sesto titolo italiano di fila: Leo, insieme ai compagni di squadra Barzagli, Buffon, Chiellini, Lichtsteiner e Marchisio, è per sei volte campione d’Italia. Il 3 giugno a Cardiff gioca la sua ultima partita in maglia juventina nella finale di Champions League, persa contro il Real Madrid. Il rapporto con il sodalizio torinese si interrompe bruscamente nell’estate 2017: al termine di una trattativa–lampo tra due storiche rivali che sorprende addetti ai lavori e tifosi, il 20 luglio il giocatore passa al Milan per 42 milioni di euro.
 
 
GIANCARLO LIVIANO D’ARCANGELO, JUVENTIBUS.COM 1° MAGGIO 2017
Per quel che mi riguarda la prima volta che ho pensato davvero che Leonardo Bonucci non fosse solo un bravissimo difensore moderno, attaccato alla maglia, ma che potesse essere un vero e proprio re taumaturgo (nella definizione del celebre storico francese Ernst Bloch i re taumaturghi erano i monarchi francesi e britannici che secondo le credenze popolari avevano doti sovrannaturali da guaritori di infezioni cutanee come la scrofola o adenite tubercolare), è stata il 9 febbraio del 2013 quando, durante un Juventus–Fiorentina di campionato non era nemmeno in campo. Era in curva con i tifosi, nelle prime file subito dietro alla porta, e proprio mentre riceveva un coro in suo onore (Leo veniva già da due campionati da titolare, quattro goal, uno scudetto e tanto amore dei tifosi conquistato sul campo), sulle parole Leonardo Bonucci alé, Mirko Vučinić, uno dei centravanti più belli da vedere, più finemente schermidori, più cavalieri e al contempo più allergici al goal della recente storia juventina, insaccava proprio sotto Leo una splendida volée di destro, dai venticinque metri, una traiettoria perfetta per balistica e stile di esecuzione: stop di suola, rimbalzo, passetto rallentato di preparazione e colpo di cannone, proprio come nei sogni di bambino. Indurre al goal Vučinić, che forse senza che il nome di Leo fosse inneggiato in piena trance agonistica, avrebbe centrato in pieno la traversa: più taumaturgo di così... Ma che Leo avesse doti calcistiche sopra la media, da fuoriclasse, se non sovrannaturali, cominciava a intravvedersi anche in campo. Iniziava a lanciare a 40 metri con una precisione incredibile. Sempre nei tempi di gioco giusti per approfittare del fattore sorpresa. Dai suoi lanci nascevano goal splendidi e voluti, pensati, preparati, un unicum assoluto nel panorama calcistico mondiale. Ma non solo.
Leonardo Bonucci aveva iniziato una crescita caratteriale e tecnica da vero leader. All’improvviso, dopo un goal decisivo, splendido in demi volée e decisivo contro la Roma (che soddisfazione quando i rivali scambiano se stessi per cigni mentre poi si rivelano passerotti spelacchiati), uscì sui giornali la notizia che l’artefice principale della maturazione di Bonucci fosse il suo motivatore personale, Alberto Ferrarini, professione mental–coach che rilasciava dichiarazione come questa: «Sabato sera abbiamo lavorato tre ore in albergo per preparare la partita. Nuovi segreti? Finito il nostro lavoro ho dato a Leonardo delle caramelle all’aglio. Prodotti naturali, immangiabili. I soldati centinaia di anni fa mangiavano l’aglio per mantenersi forti, sani e lucidi in battaglia. Leo è un soldato, e mangiando quelle caramelle è come lo avessi fatto tornare alle sue origini. Gli ho detto anche di alitare in faccia a Gervinho e Totti... La cosa più importante è stato il raggiungimento dell’obiettivo: la vittoria. Mi sono arrabbiato subito con Leo non voglio sentirgli parlare di rete più importante della carriera come ha fatto nel post gara. Deve stare sul pezzo: il goal più importante sarà il prossimo e sarà sempre così. Obiettivi nuovi? Dimenticare la Roma, essere più consapevoli della propria forza e avere più fame di ieri».
Letteratura di piccolo cabotaggio? Forse. Ma negli effetti in campo, questa fame, questa volontà da marines confermata anche dal taglio di capelli militaresco, questa capacità di afferrare l’attimo che spesso per i campioni è pura ondulazione dialettica tra destino e forza di volontà, pura capacità superiore di omeostasi tra climax delle partite importanti e proprie reazioni atletiche e nervose.
Rivediamolo quel goal decisivo, il più decisivo, finora, della sua carriera. È il 91esimo di Juventus Roma, le due squadre sono sul 2–2. Rocchi è stato sfortunato. Ha concesso due rigori alla Juventus, entrambi realizzati da Tévez, e uno alla Roma, goal di Totti (mai a segno su azione contro la Juventus a Torino nella lunghissima carriera), dopo che Iturbe (che soddisfazione quando l’intera stampa nazionale racconta come uno scudetto l’acquisto per più di trenta milioni di un presunto cigno che dopo poco si rivela una rondine comune già migrata sulle coste albioniche di Bournemouth) aveva portato in vantaggio i giallorossi. Il clima è teso. Porterà alla solita interrogazione parlamentare e uno sfogo a cuore aperto del capitano avversario. Dovrebbero fare un campionato a parte, cosa poi in effetti accaduta, con diciassette punti di vantaggio in classifica finale. Ma intanto è sempre il 91°, e un pallone viene crossato in area da Marchisio, è un assedio finale in vero un po’ disordinato, la vocazione difensiva interiorizzata nei geni non è richiesta; serve di più un colpo magico, estemporaneo quanto magico. Respinge di testa Yanga Mbiwa, nemmeno troppo male, svettando aitante e concentrando potenza. La palla s’innalza e cade a palombella in posizione centrale, al limite dell’area. E lì c’è Leo, che non ha paura. Chi tira al volo sa che basta poco per fare una figuraccia, ma il re taumaturgo è defilato, per coordinarsi deve spostarsi a mezzaluna da sinistra a destra, calcola il tempo, e quando è certo dell’impatto s’avventa come un’aquila e colpisce alla perfezione, da centravanti di tecnica sopraffina, e la volée è un colpo arcuato e teso, che come una corda di violino sembra congiungere un punto all’altro di un percorso perfetto, il piede di Leo e l’angolino basso del goal, lasciando risuonare una melodia dolce.
Il re taumaturgo sforna altri campionati straordinari, cresce in Europa, segna altri goal da virtuoso del pallone, altri troneggiando di testa, altri ancora in area, sempre sfoggiando il trittico delle delizie delle sue doti principali: senso della posizione, tecnica, voglia di vincere incrollabile. E le solite, chiare doti sovrannaturali e taumaturgiche, come dimostrano le sue prove nelle ultime settimane. Da fantasma è apparso davanti a Higuaín e gli ha soffiato dalla testa un goal sicuro in Juventus Napoli; da fantasma (doveva essere squalificato a Bologna, pura meraviglia del destino) è apparso da nulla e ha segnato ancora in volée il goal del vantaggio con l’Inter, sfoggiando la più bella prestazione in maglia Juventina, fatta di un fantastico repertorio: anticipi, impostazioni, tackle scivolati, aggiramenti palla al piede, e in più una magnifica transizione da difesa a centrocampo con passaggio rischioso di Buffon, e Leo che pressato lascia scorrere la palla, supera l’uomo e avanza di venti metri a testa alta: azione degna di Beckenbauer. Infine, taumaturgo nell’ultima gara di Coppa Italia, quando il suo rigore decisivo ha guarito una squadra che sembrava composta da lebbrosi impauriti.
Guardandolo con gli occhi dell’oggi Leonardo Bonucci è a tutti gli effetti desinato a entrare con merito nella storia dei più grandi difensori della Juventus. Nella storia di quella vocazione assoluta che in bianconero è il difendere. Ma in un modo unico. Bonucci è più unico di Barzagli e Chiellini, muraglie fisiche dal temperamento indomabile, ma più in tradizione con i grandi interpreti della juventinità difensiva. Loro sono nel solco di Cannavaro, il solo marcatore puro della storia a vincere un Pallone d’Oro, ovviamente da juventino. Nel solco di Romeo Benetti, il cui nome faceva paura solo a pronunciarlo, di Spinosi, di Morini; nel solco di Sandro Salvadore la bandiera, coraggioso, potente, indomito, che nei racconti dei vecchi juventini di famiglia era l’uomo che qualsiasi soldato avrebbe voluto come compagno di trincea in guerra. Nel solco di Jürgen Kohler, indistruttibile spauracchio di Van Basten, di Ciro Ferrara e Paolo Montero, i feroci paladini di anni indimenticabili, di Brio e Carrera nobili a Torino dopo la provincia, di Claudio Gentile il mastino insuperabile anche per Maradona, di Thuram fatato e aitante anche lui, puro fuoriclasse d’ebano ma privo, vicino alla porta, del colpo da barracuda.
Se proprio si deve scegliere un filone tradizionale, Bonucci mi sembra più appartenere di diritto a quello dei grandi difensori juventini non catalogabili, sui generis. Come Carlo Parola, magnifico interprete della rovesciata, che non ho mai visto giocare e che eppure è scolpito nella mia memoria come icona del calcio italiano attraverso la Panini, mentre è sospeso in aria intento a sfidare la legge di gravità. Come Antonio Cabrini, che con la sua legge dell’estetica, del tiro al fulmicotone e della tecnica da ala sinistra ha cambiato il ruolo di terzino sinistro per sempre. E infine, come Gaetano Scirea, l’irraggiungibile. La classe pura. Il giocatore più corretto che abbia mai calcato un campo di calcio. La guida, il confessore, il consigliere, la colonna, l’amico taciturno a cui si poteva affidare la propria esistenza. Il regista tecnico che faceva dello stile un’essenza assoluta. Scirea non aveva difetti e rendeva estremamente facile il calvario della venerazione, per dirla alla Cioran».
 
 
LA MAGLIA DELLA JUVE, 14 LUGLIO 2017
D’ora in poi, parleremo della “BBC” al passato. Sapevamo che sarebbe accaduto, un giorno: non ci aspettavamo che accadesse in questi tempi, modi e termini. Ma prima o poi doveva accadere: una delle difese più’ forti della nostra storia è giunta al capolinea. Leonardo Bonucci è un calciatore del Milan, che l’ha fatto suo per 40 milioni di euro. Quando approdò all’ombra della Mole, Bonucci era un buon prospetto proveniente dal Bari: nelle fila dei galletti, aveva militato in coppia con Ranocchia, che veniva considerato più forte di lui al momento e in prospettiva. In sette anni, Leo è diventato uno dei difensori più forti al mondo. Giorno dopo giorno, con professionalità, dedizione, voglia di migliorarsi. Conte gli insegna a difendere fuori dall’area di rigore, lui si applica e ne trae i frutti. Ne trae i frutti anche la Juve, che a un certo punto si ritrova al centro della terza linea un calciatore eccezionale. Il ragazzo che aveva bisogno del motivatore personale, è diventato un leader del complesso. Guida la retroguardia non solo sul piano tecnico, tira il gruppo sotto tutti i punti di vista, ci mette sempre la faccia. La “BBC” diventa leggenda, su Leo piovono riconoscimenti da ogni dove: i migliori allenatori in circolazione (Pep Guardiola e Antonio Conte, tanto per fare due nomi) lo ritengono un punto fermo nella loro difesa ideale. Per i tifosi, bianconeri, Leonardo Bonucci diventa Leo, semplicemente: uno di quelli sui quali, in un calcio senza bandiere, puoi fare affidamento, uno di quelli che non ti fa sentire solo un “cliente”, come vorrebbe la società, ma un tifoso, come vorrebbe il bambino che risiede in ogni vero sostenitore. Uno di quelli che ti trasmette orgoglioso senso di appartenenza.
Senso della posizione, visione di gioco, capacità nel gioco aereo, fiuto del goal, grande abilità in fase di impostazione: il suo repertorio è completo. Non è velocissimo, ma supplisce a uno scatto non irresistibile con il mestiere. Quando parlano male di lui, i detrattori sono pregati di sciacquarsi la bocca: a ogni esultanza, Bonny lo ricorda con un gesto eloquente, che diventa una sua caratteristica. I tifosi delle squadre avversarie, avvelenati dal tifo anti juventino, sono sempre pronti a sminuirne le doti: perché Leo dà fastidio, è un osso duro, è uno privo di sfumature, è uno che ti ricorda sette giorni su sette che la Juve sta lassù e correte, correte pure che tanto non la prendete. In altre parole, ce lo invidiano.
Al netto dei retroscena inerenti la cessione di Leo (retroscena, specie quelli inerenti Cardiff, sui quali non stiamo a fantasticare: non eravamo presenti, la verità nella sua interezza verrà fuori col tempo) possiamo registrare l’ovvio: i rapporti fra il giocatore e il tecnico si erano deteriorati, e ricomposti solo in apparenza. A partire dalla gara col Palermo? Probabilmente da prima. Bonny aveva voglia di cambiare aria, la società ha avallato il tutto e l’ha ceduto. Siamo ai saluti, Leo. 319 partite e ventuno reti con la maglia della Juve, dodici trofei nazionali messi in bacheca nell’arco di un ciclo leggendario non te li toglierà nessuno. Nessuno ti toglierà quello che hai fatto con noi e per noi, anche se sicuramente ti sei giocato l’affetto di milioni di fan: è inevitabile, non puoi farci nulla. Sei stato grande. E non sarà facile sostituirti, perché saresti anche stato l’ideale anello di congiunzione fra i vecchi e i nuovi componenti della terza linea bianconera. È vero, i calciatori passano e la Juve resta. Resterà anche questa volta, ma sono i calciatori che hanno contribuito e contribuiscono a rendere un mito la Vecchia Signora, non solo l’ambiente, la società, il modo di pensare e lavorare seriamente. I calciatori contano, sempre. Ciao, Leo.
 
 
CATERINA BAFFONI, TUTTOJUVE.COM 16 LUGLIO 2017
Proviamo a far luce su un fatto “buio” per così dire, agli occhi di un tifoso bianconero a oggi: Bonucci, promesso eterno sposo alla Juventus, decide di svuotare l’armadietto di Vinovo per accasarsi nella dimora di una diretta concorrente, o meglio: storica rivale. E allora, proviamo a incoraggiare lui stesso, affinché il suo talento indiscusso, nato dalla caparbietà di Madama nel credere e nello scommettere su di lui sin dai suoi tempi cupi(ssimi), possa trovare la giusta collocazione nella spiegazione di un tifoso bianconero qualunque. Indipendentemente dalle varie “voci di corridoio” che inevitabilmente si inseguono alla ricerca di una valida spiegazione tra screzi o diverbi vari e quindi di malsani episodi accaduti nello spogliatoio, al caro vecchio ed ex Leo avrei suggerito di essere più paziente e quindi di riflettere. E non riconoscente, come magari molti di voi avrebbero voluto leggere, perché si sa che oggi, di riconoscenza, nel calcio, ce n’è davvero poca.
Aspettare e riflettere non si parificano a una rassegnazione passiva o a una sconfitta. La intendo come il frutto tra forza e coerenza, capace di valutare la sua azione per ciò che valeva nella sua tenacia! E sì che valeva alla Juventus. Le gerarchie non sono mai predeterminate o divine in una squadra, e questo vale ancora di più in Corso Galileo Ferraris. E allora, Leo, chi arriva ed è nuovo, sa bene che ha davanti a sé una montagna intera da scalare per raggiungere la vetta dell’accoglienza e del rispetto. E chi offre un braccio per aiutare a salire sempre più in alto, tra la bolgia delle tempeste, non può essere accantonato, così, nel dimenticatoio. 
Ti avrei consigliato, oltre alla riflessione, senza scomodare la oramai santa e ignota riconoscenza, di essere lungimirante. Sì, perché il tempo è sempre stato dalla parte di un giocatore, e allora la domanda sorge spontanea: come è stato possibile non rivolgersi a un pubblico che non ha mai smesso di credere in te? Perché se oggi rappresentiamo il prodotto di quello che siamo stati ieri, domani saremo anche ciò che siamo oggi, dell’esempio che portiamo. E quale esempio hai voluto portare? Ti avrei invitato di nuovo alla riflessione, Leo, perché a differenza di molti altri, non hai dovuto portare il solito fardello di dover dimostrare tutto il talento e subito. Il distacco è la cosa più complicata da accettare, ma il giusto distacco ragionato, calmo e cauto, avrebbe dato un altro senso. Cauto e calmo, come l’atteggiamento di chi ha sempre saputo e voluto aspettare. Cavalcare l’onda dell’entusiasmo e delle vittorie in bianconero, non è da tutti, ma è il sogno di tutti, ed è stato anche il tuo in modo tale da poter graffiare sul vetro dei ricordi e incastonarti tra i totem e “i mostri sacri” della casacca Juventina. C’eri arrivato, e pure a modo.
Quando le bandiere lasciano, il rischio e il “dolore” sportivo che si portano e trascinano dietro nei confronti dei tifosi, è inevitabilmente quello di avere rimpianti e nostalgia. Ma per questo ti ringraziamo Leo19, perché per quanto al tuo giovane animo possa sembrare banale, ti assicuro che il tifoso juventino, voltando lo sguardo a te, avrà nella sua memoria il te bianconero in un breve flash dalla durata di un battito di ciglia. Mentre l’abisso dei ricordi, l’hard disk delle emozioni indelebili, sarà un lusso riservato a pochi altri.
C’erano e forse chissà, ci saranno altre bandiere nel variopinto mondo del calcio che hanno scelto di legare la propria immagine, il proprio essere alla lealtà di una squadra. Una lealtà che va onorata e portata avanti a mo’ di esempio, come chi ha voluto perseguire il cammino intrapreso per diventare un campione, per essere un giorno il desiderio di un bambino. Ma questo privilegio, caro Leo, è riservato, come detto, ad altri e a pochi eletti. Il lieto fine, allora, è anch’esso riservato solo per le storie vere. Ed è chiaro quindi che questa, è tutta un’altra storia. In bocca al lupo per la tua nuova avventura.
 
Il suo saluto di commiato: «Allegri? Con lui ho avuto un rapporto alla luce del sole, ho giocato tanto e se è successo è perché sono stato considerato importante. Avere discussioni durante gli anni è normale: sono uno diretto che dice sempre la verità. Ma con lui non ho avuto alcun tipo di problema. Poi, è ovvio che alcune situazioni portano delle conseguenze e ognuno si prende le proprie responsabilità. Sgabello di Porto? Pare che sia stata la cosa più eclatante, ma in realtà è solo la goccia finale. Già prima c’erano state altre situazioni. Poi, comunque, la cosa si era ricomposta. Accoglienza dei tifosi bianconeri? Per quello che ho dato alla Juve, non mi sento né un traditore né un mercenario. Se dovessero fischiarmi devono sapere che, così come gli insulti che ricevevo in bianconero mi caricavano, sarà così anche nel caso mi fischiassero allo Stadium. La vita è fatta di cicli che si aprono e chiudono, e quando fai parte di un gruppo per sette anni speri di lasciare qualcosa di bello. Diciamo che nell’ultima parte della stagione il legame si è affievolito da entrambe le sponde e abbiamo deciso in accordo di allontanarci. Negli ultimi mesi si è sgretolato qualcosa. E cambiare è stata la conseguenza. Per dare il 100% io devo sentirmi importante, cosa che oramai succedeva a fasi alterne. E questo non mi andava. Anche i matrimoni più belli a volte finiscono. Ricucire? La premessa è che alla Juve ho dato tanto e dalla Juve ho ricevuto tanto. Per me non è stata una scelta facile perché sette anni sono difficili da chiudere e da dimenticare. Ma il rapporto era arrivato alla conclusione, da parte di entrambi non c’era più voglia di continuare insieme. Però devo dire che per come è finita, ne siamo usciti tutti bene: io, la Juve e il Milan».
 

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