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Socrates

Alessandro Del Piero

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8 Alessandro Del Piero HD Wallpapers | Background Images - Wallpaper Abyss

 

 


È il 1993/94 ed a Torino sbarca un giovanotto di belle speranze, dalla chioma riccioluta e dal destro mirabile. Il ragazzo si è già messo in mostra nel Padova, nella "Primavera" ed anche in prima squadra, nonostante la giovane età.

«Lo sport mi è sempre piaciuto, giocavo un po' a basket, a tennis senza maestro, però lo sport era il calcio e basta. Una passione irrefrenabile. Ero a scuola e pensavo alla palla, mangiavo con la palla e poi via, fuori. I miei genitori sono stati fantastici perché non mi hanno mai forzato né gasato. È quello l'errore grande. Il comportamento dei genitori è decisivo, per i figli sportivi. Io avevo anche l'esempio di mio fratello Stefano, più grande: era alla Samp, nella "Primavera", con Lippi. Lui l'ha visto prima di me. Nel mio cortile spesso giocavo da solo: serve tanta immaginazione. Ero un campione della Juve, passavo la palla a Cabrini, a Tardelli, a Scirea, duettavo con Platini. E la mia Juve del cortile era anche piena di stranieri: oggi Maradona, domani Van Basten, dopodomani Zico o Gullit; ed io facevo goal. Il primo torneo lo gioco con una vera divisa, gialla e blu: scuola Comunale di Saccon. Il gialloblu era anche il colore del Conegliano. Le magliette tutte identiche vogliono dire squadra. Quel torneo lo perdemmo in finale ai rigori, vabbeh, succede, non sarebbe neanche stata l'unica volta.

Sono andato via di casa a tredici anni. Ero affascinato, stavo al Padova, era un'altra dimensione: necessaria, per provare ad essere davvero un calciatore. Però il primo anno è stato difficile, io sono un ragazzo timido, ancora adesso lo sono. Si viveva in quattordici dentro una stanza, il pranzo arrivava scotto dalla mensa, al ritorno dalla scuola era immangiabile: però, così cresci. Ero il più piccolo, di età e di corporatura: poi, oddio, non sono diventato Shaquille O'Neal, però mi difendo. L'inizio, devo dire, fu un po' traumatico. Mia mamma ricorda di quando andavo a prendere il treno e si raccomandava, "stai vicino alle altre persone, fai attenzione". Dovevo cambiare a Mestre, aspettavo la coincidenza anche trenta, quaranta minuti. Poi, mamma e papà vennero a trovarmi a Padova, ed io: "Occhio al cambio di binario a Mestre". Ecco, mia mamma dice che in quel momento capì che ero diventato grande. Succede quando sono i figli a preoccuparsi per i genitori, e non viceversa».

I numeri ci sono e così il presidente Giampiero Boniperti e l'allenatore Giovanni Trapattoni, decidono che quell'Alessandro Del Piero merita di far parte della Juventus. A diciannove anni, la giusta collocazione è la "Primavera" e così "Ale" entra nella rosa di mister Cuccureddu, divenendone subito un leader. Quella è una squadra che regalerà alla massima serie giocatori di tutto rispetto come Cammarata, Manfredini, Squizzi e Binotto. Il talento purissimo di quel giovanotto veneto emerge con prepotenza e guida la "Primavera" ad una doppietta irripetibile: Torneo di Viareggio e scudetto di categoria.

«È stata una bella esperienza, indimenticabile. Era una squadra forte quella Juventus "Primavera", che è riuscita ad imporsi in due manifestazioni in cui la vittoria bianconera mancava da molti anni. Anche se per la prima squadra quello non fu un grande anno, ma una stagione di transizione, a livello giovanile ci siamo tolti una bella soddisfazione».

Si allenava già con la prima squadra, però. «Diciamo che ero a metà, ma con la prima squadra mi allenavo regolarmente, andavo in ritiro e mister Trapattoni mi fece anche giocare. Alla fine ho totalizzato 14 presenze e 5 goal. Che dire? Come primo anno alla Juventus è stato meraviglioso».

Che il ragazzo avesse una marcia in più, del resto, si era già capito ad inizio stagione: se con i pari età Del Piero sembra un extraterrestre, basta una settimana d'autunno per vedere come, con i grandi, si trovi già perfettamente a suo agio. Il 12 settembre del 1993 "Ale" fa il suo esordio in serie A, a Foggia e tre giorni dopo, in Coppa Uefa, contro il Lokomotiv Mosca, ecco il debutto in Europa. Il 19 settembre poi; al "Delle Alpi", all'80' minuto di Juventus - Reggiana, Del Piero timbra il 4-0 di una partita già segnata. Sembra un goal poco importante, visto il punteggio. In realtà, a pensarci ora, è il primo capitolo di un libro che riscriverà la storia bianconera. E proprio a quell'anno si riferisce uno dei suoi primi ricordi legati all'Avvocato Agnelli, che poi ha seguito il suo percorso passo dopo passo e gli ha sempre dedicato un occhio di riguardo, soprannominandolo "Pinturicchio".

«Infatti, i miei ricordi legati all'Avvocato sono tanti, ma ce n'è uno che mi fa piacere raccontare in quest'occasione. Accadde proprio in quel mio primo anno alla Juventus. Prima della partita casalinga con il Milan, che poi perdemmo 1-0, in squadra c'erano molti giocatori infortunati e Trapattoni decise di farmi giocare. Era la mia prima partita importante, avevo solo diciannove anni. Ricordo che prima di scendere in campo per il riscaldamento pre gara, mi chiamarono perché c'era una telefonata per me. Mi avvicinai ad un telefono del "Delle Alpi" e sentii la voce dell'Avvocato. Voleva farmi un in bocca al lupo. Rimasi senza parole».

L'esordio, il 12 settembre 1993: Foggia - Juventus 1-1. «Se devo essere sincero, più che il momento in cui sono entrato in campo, ricordo di più l'emozione della gara vissuta dalla panchina. Ero davvero assorto dalla partita. Eravamo in parità contro un Foggia, che allora era forte. Diciamo che ho emozioni e ricordi più forti della settimana successiva».

In altre parole del 19 settembre 1993: al "Delle Alpi" si gioca Juventus - Reggiana. "Ale" segna il suo primo goal in maglia bianconera. «È stato un giorno davvero esaltante. Abbiamo vinto, ho segnato la mia prima rete ed era anche l'anniversario di matrimonio dei miei genitori. È stato un giorno speciale in tutti i sensi».

Il secondo anno di "Ale" alla Juventus è segnato da grandi cambiamenti, innanzi tutto al vertice: a guidare la società ora ci sono Roberto Bettega, Antonio Giraudo e Luciano Moggi, rispettivamente vice presidente, amministratore delegato e direttore generale. Il presidente è l'avvocato Vittorio Caissotti di Chiusano. La nuova dirigenza opera subito una scelta coraggiosa: la squadra è affidata a Marcello Lippi, allenatore giovane, che ha ben figurato sulle panchine di Napoli ed Atalanta. Il tecnico viareggino ama un calcio spregiudicato, votato all'attacco e nel primo anno dei tre punti a vittoria, le sue scelte si rivelano vincenti. Del Piero si è già messo in mostra nella stagione precedente, con 5 goal in 14 presenze (tra campionato e coppe), tra cui un'esaltante tripletta rifilata al Parma; le precarie condizioni fisiche di Roberto Baggio gli spalancano le porte. "Ale" ha solo vent'anni, ma ha anche personalità da vendere e segna goal pesantissimi. Un esempio? 4 dicembre 1994, al "Delle Alpi": la Fiorentina conduce per 0-2. A venti minuti dalla fine la Juventus esce dal torpore e trionfa: Vialli segna due goal in tre minuti, ma a completare la rimonta è Del Piero, con una rete da cineteca: un tocco morbido, al volo, di collo destro, che corregge alle spalle di un esterrefatto Toldo un lancio di 40 metri.

«Quel goal è stato senza dubbio uno dei miei due preferiti. È stato un goal molto bello, segnato in una giornata indimenticabile. La rimonta sulla Fiorentina, dallo 0-2 al 3-2 grazie alla doppietta di Vialli ed alla mia rete, è stata una grande dimostrazione di carattere da parte della nostra squadra che da quel momento ha iniziato la famosa serie impressionante di vittorie».

Una perla, ma non è l'unica: passa solo una settimana e la Juventus deve andare a giocare a Roma, contro la Lazio una gara difficilissima. I biancoazzurri sono una superpotenza e Lippi ha mezza squadra indisponibile. "Ale" però ha le spalle larghe e se c'è da guidare la squadra non si fa pregare; doppietta, la prima in serie A e risultato finale di 4-3 che lancia i bianconeri in vetta alla classifica. Ci resteranno sino alla fine, riportando a Torino uno scudetto che mancava da nove anni, vincendo la Coppa Italia e sfiorando la Coppa Uefa. Una squadra stellare, che ha già in Del Piero il suo astro più luminoso.

"Ale" è già un idolo dei tifosi e la società decide di puntare su di lui con convinzione; Roberto Baggio emigra a Milano e da quel momento il numero dieci non si scolla più dalle spalle di "Ale". È il numero dei fuoriclasse e Del Piero lo indossa con naturale eleganza, nobilitandolo con giocate superbe, che portano al traguardo più ambito: la Champions League. Si inizia a Dortmund, contro il Borussia ed "Ale" incanta: i tedeschi passano subito in vantaggio con l'ex Möller, la Juventus pareggia poco dopo con Padovano. La partita è difficile, ma il fenomeno di San Vendemmiano ha in serbo un colpo che passerà alla storia: dal vertice sinistro dell'area di rigore lascia partire un tiro carico di effetto che si insacca tra il palo più lontano e la traversa, preciso nel "sette". È il "Goal alla Del Piero", che in Italia aveva già mostrato l'anno precedente contro il Napoli, ma che, siglato in Europa contro i tedeschi e ripetuto contro Ranger Glasgow e Steaua Bucarest, diviene il suo marchio di fabbrica internazionale. Il goal più prezioso però arriva nei quarti di finale. La Juventus deve rimontare contro il Real Madrid l'1-0 subito al "Bernabeu" ed "Ale" ci mette sedici minuti per rimettere a posto le cose, con una punizione maligna, che il portiere spagnolo può solo guardare. Padovano chiuderà poi il conto, spianando la strada verso la semifinale col Nantes e verso il trionfo di Roma.

La Juventus è signora d'Europa ed il 26 novembre 1996 diventa padrona del mondo: La Coppa Intercontinentale manca dal 1985, dalla vittoria sull'Argentinos Junior firmata dal rigore decisivo di Michel Platini. Ancora una volta sulla strada dei bianconeri ci sono degli argentini, quelli del River Plate, del gioiellino Ortega. La stampa si esalta in duelli a distanza tra il sudamericano e Del Piero ed, a rileggerli ora, quei paragoni paiono quasi blasfemi. È "Ale" a decidere la sfida, allo scadere, trovando, con la precisione del suo destro, una fessura nella difesa argentina e portando la Juventus in cima all'Olimpo del calcio mondiale. «Quel goal è stato bello, importante, indimenticabile. E la vittoria della Coppa Intercontinentale è stata il perfetto coronamento di due anni e mezzo di cavalcate vittoriose».

Dopo soli tre anni alla Juventus, "Ale" ha già conquistato ma Champions League; uno scudetto, una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana: Ma già nei primi mesi della stagione 1996/97, il bottino aumenta in maniera consistente, con la Coppa Intercontinentale e con la Supercoppa Europea: vittima designata di una Juventus tritatutto è il Paris St. Germain; addirittura umiliato in casa per 6-1 e regolato nella gara di ritorno, giocata a Palermo, con un 3-1 al quale Del Piero partecipa con una doppietta. In campionato è una marcia trionfale: solo il Parma di Buffon, Cannavaro e Thuram prova a tenere il passo dei bianconeri, ma la Juventus macina punti e regala spettacolo ed arriva il 24° scudetto, il secondo per "Ale".

La stagione potrebbe essere indimenticabile, ma la seconda finale di Champions League consecutiva ha un epilogo inatteso. La Juventus ritrova il Borussia Dortmund; sempre schiacciato negli ultimi anni; a Monaco, però, i tedeschi giocano una partita orgogliosa ed a nulla vale il capolavoro siglato da Del Piero nella ripresa: un goal di tacco da antologia che non basta però ai bianconeri per centrare la stagione perfetta. L'anno successivo, dopo aver vinto in estate la Supercoppa Italiana ai danni del Vicenza, in campionato non ce n'è per nessuno: l'Inter cerca di contrastare l'armata bianconera, forte dell'arrivo di Ronaldo; ma il vero fenomeno è "Ale" che in 32 partite segna la bellezza di 21 reti, l'ultima delle quali proprio contro l'Inter, nella sfida decisiva del 26 aprile al "Delle Alpi". Un goal che vale uno scudetto: il secondo consecutivo, il terzo per Del Piero. Purtroppo, invece, in Champions League i bianconeri centrano la finale, ma sono sconfitti dal Real Madrid ad Amsterdam.

Nei primi quattro anni dell'accoppiata Del Piero - Lippi, la Juventus vince sempre e vince tutto ed anche la quinta stagione sembra partire con il piede giusto. I bianconeri sono saldamente in testa alla classifica ed all'ottava giornata fanno visita all'Udinese; Zidane ed Inzaghi vanno a segno, mettendo in cassaforte altri tre punti e tutto sembra andare per il verso giusto. A pochi minuti dalla fine Del Piero parte in velocità sulla sinistra, cerca il traversone, ma è contrastato e rimane a terra: Il suo ginocchio sinistro è andato: rottura del legamento crociato e collaterale; dovrà operarsi e stare fuori almeno sei mesi. La sua stagione è finita. Quella della Juventus continua, ma senza "Ale", non è più la stessa cosa: i problemi paiono moltiplicarsi e Lippi consegna le dimissioni dopo la sconfitta interna contro il Parma.

A febbraio la panchina è affidata ad Ancelotti, che trova però una squadra in difficoltà. Il campionato ormai è compromesso e l'avventura in Champions termina contro il Manchester United, capace di rimontare al "Delle Alpi" il doppio svantaggio firmato da Inzaghi. È una stagione sfortunata ed ai bianconeri sfugge anche la qualificazione alla Coppa Uefa. Per arrivarci si dovrà passare dall'Intertoto: proprio in estate, durante questo torneo, "Ale" torna in campo e torna al goal. I due anni successivi non portano i trionfi sperati. Nella stagione 1999/2000, la squadra di Ancelotti, dopo mesi in testa alla classifica, vede sfumare il sogno scudetto all'ultima giornata, nel pantano di Perugia, e l'anno dopo sarà la Roma di Capello a cucirsi il tricolore sul petto. La Juventus non vince, ma "Ale" non si ferma e raggiunge quota 99 goal in maglia bianconera.

La stagione 2001/02 presenta al via una Juventus rivoluzionata: in campo, dove partono Inzaghi e Zidane ed arrivano Buffon, Thuram e Nedved, ed in panchina, dove Ancelotti lascia posto al ritorno di Marcello Lippi. La partenza è al fulmicotone: al "Delle Alpi" arriva il Venezia, surclassato dalla doppietta di Trézéguet, promosso titolare, e da quella di "Ale" che in un sol colpo raggiunge e supera un traguardo storico: 100 goal maglia bianconera. A fine stagione le marcature di Del Piero in campionato saranno ben 16 e l'ultima avrà un sapore speciale: la Juventus all'ultima giornata di campionato va ad Udine. I bianconeri sono secondi in classifica, un punto dietro l'Inter che gioca allo stadio "Olimpico" contro la Lazio. È un pomeriggio che regala emozioni forti: ad Udine, Trézéguet va a segno dopo due minuti e Del Piero chiude il conto all'11' minuto. Allo stadio "Olimpico" termina 4-2 per la Lazio. La Juventus è campione d'Italia per la 26° volta, per "Ale" è il quarto scudetto.

Il quinto arriva l'anno successivo, dopo una cavalcata trionfale, impreziosita da altre 16 perle di "Ale". La Juventus, che in estate si era aggiudicata anche la Supercoppa Italiana, va forte anche in Europa. In Champions League è memorabile la semifinale di ritorno contro il Real Madrid: al "Bernabeu" le "Merengues" s'impongono per 2-1, ma al "Delle Alpi" i bianconeri disputano una delle loro partite più belle. Nel 3-1 che spiana la strada verso finale di Manchester, c'è anche la firma di Del Piero che timbra con una magia delle sue il momentaneo 2-0. All' "Old Trafford" contro il Milan arriva però una delusione cocente; qualche mese più tardi la Juventus si prenderà la propria rivincita nella Supercoppa Italiana giocata a New York proprio contro i rossoneri e sarà quello l'unico trofeo della stagione alle porte, l'ultima dell'era Lippi.

Sulla panchina della Juventus arriva Fabio Capello, che ha vinto ovunque, ha vinto sempre ed alla guida della squadra più titolata d'Italia non può che fare altrettanto. La Juventus prende la testa della classifica alla prima di campionato e non la molla più, al limite la divide in comproprietà con il Milan, fino alla sfida decisiva dell'8 maggio a "San Siro". Ed è in quella partita che tutto il talento ed il carisma di "Ale" vengono fuori: la Juventus vince grazie ad un goal di Trézéguet, ma proprio il capitano è il migliore in campo ed è proprio lui a pennellare con una spettacolare rovesciata l'assist che David trasforma in rete. È importante sottolineare quel gesto, perché "Ale" non è solo un goleador, ma è anche un giocatore che sa mettersi al servizio della squadra e se non è lui a segnare, spesso e volentieri è lui che manda i compagni in rete. Una qualità che non è riportata nelle statistiche, ma che è preziosa quanto lo straordinario fiuto del goal del più grande cannoniere della storia della Juventus.

«È molto importante mettersi al servizio della squadra, in tutti i sensi», conferma Del Piero, «quello di Milano è stato un assist diverso dagli altri, mi ha fatto molto piacere perché l'ho fatto in una partita particolare ed in un momento particolare, visto che eravamo appena usciti dalla Champions League».

Ha battuto il record di Giampiero Boniperti il 10 gennaio 2006, nella gara di ritorno degli ottavi di Coppa Italia, proprio contro la Fiorentina, la squadra a cui segnò uno dei suoi goal preferiti. Era un ragazzo il 4 dicembre 1994, quando realizzò quella splendida rete che ribaltò, assieme alla doppietta di Vialli, un brutto 0-2 in uno straordinario 3-2, che dimostrò che la Juventus era una squadra tutta grinta e carattere, che sarebbe andata lontano, che avrebbe aperto un ciclo, che quel giovanotto di vent'anni sarebbe diventato un campione. E così è stato. A distanza di dodici anni Del Piero ha stabilito il record assoluto di reti in maglia bianconera, e proprio contro la Fiorentina, un segno del destino. Il tanto atteso goal del record, il 183, arriva dopo appena otto minuti: Alessandro riceve palla, controlla da par suo e con un gran sinistro batte il portiere. Il capitano festeggia con i compagni, con i tifosi, mentre, attraverso lo speaker, la Juventus lo incorona primo bomber della storia. "Ale" è inarrestabile. Così, al 17', arriva il goal numero 184, su calcio di punizione, una sua specialità. E per chiudere in bellezza, al 57' fa tripletta con un calcio di rigore. E sono 185. Inizia la festa. A fine gara i complimenti si sprecano.

Dirigenti, amici, giornalisti ed il suo allenatore, Fabio Capello: «Ha vissuto una serata davvero straordinaria. Ha superato Boniperti ed è entrato nella leggenda. Ha raggiunto questo traguardo con grande merito per quello che ha fatto negli anni e per l'impegno costante che dimostra ogni giorno. È un giocatore che in campo da sempre tutto. In questo momento è in ottima forma, farà un grande girone di ritorno ed arriverà ai Mondiali in grandissima condizione».

Juventus.com, che gli dedica una splendida "splash page" ed uno speciale dedicato alla sua straordinaria carriera, fa numeri da record, il suo sito personale è tempestato di messaggi da tutto il mondo. Cresce l'entusiasmo durante l'attesa della festa, organizzata dalla società per la domenica successiva, nel pre-partita di Juventus - Reggina. Sul maxischermo dello stadio "Delle Alpi" è proiettato un video con tutti i goal del nostro capitano, la curva intanto espone uno striscione gigante: «183 Alessandro Del Piero imperatore bianconero». Alessandro esce qualche minuto prima dell'inizio del riscaldamento. È emozionato, va sotto la sua curva che anche questa volta gli dimostra tutto l'affetto con cui lo ha accompagnato in ogni momento della sua straordinaria carriera. Poi comincia la celebrazione ufficiale. Pochi minuti prima dell'inizio della partita entrano in campo undici ragazzini che indossano le maghe delle squadre a cui Alessandro ha segnato i goal più importanti, dal River Plate alla Fiorentina, passando per Milan, Inter, Real Madrid e Borussia Dortmund. Intanto è proiettata la coinvolgente "splash page" del sito ufficiale e, vicino al palco allestito a metà campo, è esposto un altro striscione: «Alessandro Del Piero 183 goal, una sola maglia, unico nella storia».

Il capitano sale sul palco accompagnato dal presidente Franzo Grande Stevens che gli consegna la targa con tutti i suoi goal. «Ringrazio la società ed i tifosi per come mi hanno festeggiato», dice Alessandro, che corona poi una giornata indimenticabile firmando la vittoria sulla Reggina con un'altra perla, un sinistro imparabile. «È per me un motivo di grande orgoglio far parte della storia della Juventus. Ringrazio la società, i miei allenatori e i compagni di oggi e di ieri che mi hanno permesso di raggiungere questo straordinario traguardo. Se devo essere sincero in questo momento non riesco neanche ancora a rendermene conto», racconta Del Piero, «con il passare del tempo questa sensazione sarà ancora più forte, ne sono certo. Oggi, infatti, sono preso dall'agonismo, dall'attualità, non è ancora il momento di ricordare goal fatti e trofei vinti, sarà qualcosa che guarderò con un occhio diverso fra qualche anno. Ora lo vivo come uno stupendo traguardo conquistato, ma al tempo stesso come una tappa importante di un lungo viaggio».

Il resto è storia recente: il secondo scudetto targato Capello, il favoloso mondiale tedesco, lo splendido goal ai padroni di casa e la grande emozione di sollevare la Coppa del Mondo, lo scandalo di calciopoli e la scelta di rimanere alla Juventus anche in serie B. Nel campionato cadetto, la Juventus ed "Ale" sono assoluti protagonisti; la squadra bianconera conquista la promozione con tre giornate di anticipo e Del Piero vince la classifica dei cannonieri, con 20 reti.

«Nel dramma (sportivo, naturalmente) di giocare in serie B, è stato un anno bellissimo. Certo, per me e per la Juventus, rappresentavano un'assurdità, rispetto alla storia che abbiamo disegnato insieme. Però, io l'ho vissuta bene, affrontandolo in maniera pulita ed entusiasta. Alla base dei risultati che abbiamo ottenuto, c'è questa disponibilità da parte di tutti; ed il bilancio sentimentale per me è positivo. L'anno di serie B ce l'ho dentro, sotto forma di orgoglio; io ed i miei compagni abbiamo compiuto un'impresa quasi gloriosa, anche appassionante nella sua dinamica, nell'aver recuperato lo svantaggio della penalizzazione».

La Juventus ritorna in serie A e conquista un ottimo terzo posto; "Ale" è nuovamente in testa alla classifica dei cannonieri, davanti al compagno di squadra Trézéguet. Solamente Paolo Rossi era riuscito nell'impresa di vincere la classifica cannonieri di Serie B e di Serie A consecutivamente.

«Io capocannoniere, per la seconda volta consecutiva, per la prima volta in serie A. Se lo avessi immaginato all'inizio della stagione avrei scommesso che, arrivato in cima alla classifica, il primo pensiero sarebbe stato: "Io ve l'avevo detto ...", rivolto a chi non ci credeva, a chi non ci ha mai creduto. Ma quando ho raggiunto davvero questo traguardo, mi sono reso conto che la prima cosa che ho pensato, in realtà, è stata: "Voi me l'avevate detto ...", rivolto a chi, invece, ha creduto in me. A chi ci ha sempre creduto. A chi non ha mai smesso di incitarmi. A chi ha tifato per me, a chi ha lavorato con me. Tutti voi me l'avevate detto, sì, e me lo sono detto anch'io. Ed, alla fine, ho segnato 21 goal in campionato, 24 complessivi nella stagione».

La nuova stagione non comincia bene per i colori bianconeri; nonostante la qualificazione per la Champions League, la squadra stenta e Ranieri è messo sotto accusa. Sarà proprio "Ale", con un patto d'acciaio con i propri compagni, a salvare l'allenatore romano ed a far rinascere la Juventus. Con due grandissime prestazioni contro il Real Madrid, Del Piero e compagni portano la compagine juventina a qualificarsi per gli ottavi di finale della massima competizione europea. Decisiva è la vittoria al "Santiago Bernabeu"; era dal 1962 che la Juventus non usciva vittoriosa dallo stadio delle "Merengues". Del Piero è assoluto protagonista di questa prestigiosissima vittoria, segnando entrambi le reti juventine; la prima con un siluro precisissimo di sinistro dal limite dell'area e la seconda con un perfetto calcio di punizione. A cinque minuti dalla fine, "Ale" è sostituito da De Ceglie e riceve la standing ovation dall'ammirato pubblico madrileno, al quale dedica un inchino.

«Giuro che non l'avevo studiato. È successo all'improvviso; vedo che Ranieri prepara un cambio e gli chiedo di uscire, perché cinque minuti prima avevo preso una botta al tendine. Mi tolgo dal braccio la fascia e sento il pubblico che comincia ad applaudirmi. Ho camminato per venti metri ad una spanna da terra per quell'omaggio, mi è venuto spontaneo inchinarmi a ringraziare come fanno gli attori, perché il "Bernabeu" è un grande teatro, il più grande del calcio. Quando ci stai dentro percepisci che ci è passata la storia».

Il 10 maggio 2009, a "San Siro" contro il Milan nella partita terminata 1-1, entra a venti minuti dalla fine, giocando così la sua seicentesima presenza con la maglia della Juventus, record assoluto. Una settimana dopo, il 17 maggio, con 397 presenze in Serie A in maglia bianconera, eguaglia il mito di Gaetano Scirea. Il 24 maggio, nella partita vinta 3-0 contro il Siena, realizza una doppietta e l'assist per Marchisio, arrivando così a quota 21 reti stagionali di cui: otto su punizione, nove su azione, quattro su rigore. Il 31 maggio gli venne consegnato allo stadio "Olimpico" di Torino il "Pallone d'argento" come riconoscimento al calciatore più corretto del 2008/09.

A causa di un infortunio muscolare alla coscia sinistra, provocato da una botta alla schiena rimediata in allenamento a metà agosto, è costretto a saltare le prime sei partite della nuova stagione. Debutta in campionato il 27 settembre 2009 in casa con il Bologna, entrando in campo nei minuti finali e tagliando il traguardo di 400 presenze in serie A. Si infortuna di nuovo il 1º ottobre provocandosi, in allenamento, una distrazione muscolare di primo/secondo grado alla coscia sinistra, la stessa del precedente infortunio. Durante l'attesa per il ritorno in campo presenta il suo nuovo sito ufficiale ed, il 12 novembre 2009, riceve il "Premio Internazionale Sport e Civiltà - Ambasciatore dello Sport". Torna in campo il 22 novembre con l'Udinese nella vittoria per 1-0 accolto da continue ovazioni dei propri tifosi. Dopo diverse panchine, torna al goal agli ottavi di Coppa Italia col Napoli il 13 gennaio 2010, segnando una doppietta decisiva per il passaggio del turno. Segna il primo gol stagionale in campionato nella sconfitta con la Roma all' "Olimpico" di Torino con un gran sinistro al volo sul palo opposto da posizione defilata. La domenica successiva la Juventus pareggia con la Lazio e Del Piero trasforma il rigore dell'1-0 procurato da lui stesso, è il primo goal con in panchina Zaccheroni.

Il 14 febbraio 2010 trascina la Juventus nella vittoria per 3-2 sul Genoa, siglando una doppietta che vale la prima vittoria per Zaccheroni; nella stessa partita totalizza la presenza numero 445, superando Giampiero Boniperti.

«Una giornata da ricordare, cominciata con l'applauso che il pubblico dell' "Olimpico" mi ha tributato quando il vicedirettore generale Roberto Bettega mi ha consegnato la maglia con il numero 445 e la targa celebrativa. Mi ha fatto molto piacere ricevere quell'applauso prima dell'inizio della partita, in un momento in cui i tifosi avevano poco da festeggiare visto il momento difficile, con la vittoria che mancava dal 6 gennaio. Sono andati oltre la delusione. Sono felice di essere riuscito a ripagarli a fine partita. Con questa partita ho superato nella classifica delle presenze in campionato Giampiero Boniperti, ecco perché è un traguardo così importante. Ancora una volta la mia carriera si intreccia con quella del Presidente che mi ha portato alla Juventus, l'uomo che ha fatto la storia di questo club in campo e poi in società. L'ho sentito poco tempo fa, abbiamo scherzato sulle partite: lui ha giocato le sue 444 tutte in serie A, io invece tra le mie 445 ne ho anche 31 in serie B. Ma a parte gli scherzi, per quello che hanno significato nella mia carriera e per la Juve, quelle presenze in B sono motivo di vanto! Sono molto soddisfatto di avere celebrato un'occasione come questa con una vittoria che abbiamo inseguito fino all'ultimo, fortemente voluta, cercata con determinazione e orgoglio, capacità di soffrire e rimontare come mai avevamo fatto in questa stagione. Ci voleva proprio. È stato bello segnare una doppietta davanti alla mia famiglia, che ha esultato con me in tribuna. Che giornata!»

Il 14 marzo 2010 segna il goal numero 300 nella sua carriera e successivamente il 301 anche se la Juventus pareggia 3-3 contro il Siena dopo essere passata in vantaggio di tre goal in dieci minuti. È così diventato il quinto italiano di sempre a raggiungere questo traguardo dopo Meazza, Piola, Roberto Baggio ed Inzaghi, tutti giocatori che in passato hanno giocato nella Juventus. Il pessimo campionato della Juventus e tutti i guai fisici che ha dovuto sopportare non gli permettono di partecipare al suo quarto Mondiale, traguardo al quale teneva in modo particolare.

Comincia la stagione numero di diciassette in maglia bianconera. Il 17 ottobre 2010 Del Piero infrange l'ennesimo record della sua leggendaria carriera: contro il Lecce, il capitano bianconero realizza un bellissimo goal di sinistro e raggiunge Giampiero Boniperti a quota 178 goal in serie A con la maglia della Juventus. Al termine della gara, "Ale" commenta questo straordinario traguardo: «È un'ulteriore soddisfazione personale, chiaramente, per il legame con questi colori e con questa squadra. È un vanto, un orgoglio. Le dediche speciali io reputo sempre che siano per le persone che comunque lavorano con me, per la mia famiglia e tutte le persone che mi stanno molto vicine. E poi che sia di buon auspicio per la nostra stagione, perché ne abbiamo bisogno».

Il significato di essere maturato in una società come la Juventus, che in tutto il mondo è presa ad esempio. «È stato più che importante, è stato fondamentale. La mia storia personale, il mio percorso di calciatore sono maturati nell'ambiente bianconero, profondamente influenzato dallo stile e dal carisma di personaggi come l'avvocato Gianni Agnelli, Chiusano, ora Grande Stevens, e poi Bettega, Giraudo e Moggi. In particolare, voglio dedicare un pensiero alla figura del Dottor Umberto, sempre molto vicino a me personalmente ed alla squadra. La sua era una presenza discreta eppure molto attenta, incisiva, un vero punto di riferimento per tutti. Ripenso spesso al gruppo fantastico della prima Juventus di Lippi. Quel gruppo era straordinario, ha permesso a noi giovani di crescere e tutti assieme abbiamo conquistato le vittorie più straordinarie. In pochi anni abbiamo fatto cose strepitose, compresa la vittoria della Champions League, finalmente, visto che prima di noi era stata vinta una volta sola, ma era stata macchiata dalla tragedia dell' "Heysel". Era come una maledizione e noi l'abbiamo sfatata. Quelli sono stati gli anni della mia vera crescita e di questo ringrazio Marcello Lippi ed i compagni di allora».

Il cambiamento rispetto al giovanissimo Del Piero. «Cambiato poco, maturato tanto. Ritengo, infatti, che tutto quello che ero prima dei diciotto anni sia stato una base fondamentale per creare la persona che sono adesso».

C'è un goal che ha un significato particolare. «Quello che ho segnato a Bari il 18 febbraio 2001, pochi giorni dopo la scomparsa di mio padre; è stato il momento peggiore della mia vita, come un risveglio che non capivo, sentirsi ancora profondamente figlio e non capire il motivo per cui doverci rinunciare. Ma tutti i goal sono emozionanti, anche se sono le punizioni che mi danno maggiore soddisfazione. Poi, ricordo con piacere anche i tre goal di tacco; uno, purtroppo, inutile nella finale contro il Borussia Dortmund, uno in casa con il Siena ed uno con il Torino. Ma, ce n'è uno che ricordo con piacere, perché fu proprio un bel goal, anche se fu annullato, perché ci diedero la partita vinta a tavolino. Era la stagione 1994/95, giocavamo a Sofia, in Coppa Uefa contro il Cska. Perdemmo 3-2, ma i bulgari mandarono in campo un giocatore squalificato, quindi il risultato fu invalidato. Lo ricordo benissimo; su un lancio in profondità, mi porto avanti il pallone di tacco destro, evitando l'avversario e faccio un pallonetto che scavalca il portiere in uscita».

Ma non sono soltanto i goal che fanno di un calciatore un mito. Ci sono tante altre cose, compreso l'aspetto umano. Lasciare il segno, dunque, come ha fatto e come sta facendo, sempre con quel qualcosa in più degli altri, che è privilegio di pochi.

«Non è solo la quantità di reti o di presenze che lascia il segno, queste sono cose importanti e significative, ma non sono le uniche. Si lascia il segno in tanti modi, anche per quello che dai a livello umano. Faccio un esempio; Gianluca Vialli è stato pochi anni in bianconero, ma ha fatto cose eccezionali, ha vissuto un momento esaltante ed è ricordato con grandissimo affetto. I tifosi hanno sempre visto in me il giocatore che non molla; la faccia l'ho sempre messa e questo alla gente piace. Per me, è stata una scelta naturale, molto juventina; io gioco per vincere, per divertirmi e per fare divertire. Senza il sostegno di chi ti vuole bene, tutto ciò non sarebbe possibile. È pesante essere una star in certe occasioni: quando arriva uno all'aeroporto e ti fa il ganascino. O quando sei al ristorante e ti tirano una foto sul piatto per l'autografo dicendo "dai, firma che non è neanche per me". Poi, viene il giorno in cui capisci che c'è sempre qualcuno più Del Piero di te: a me è successo quando ho conosciuto Bono. Ero paralizzato dall'emozione, non riuscii neanche a parlargli. Poi siamo diventati amici. Dopo Chelsea - Juve è sceso negli spogliatoi insieme agli "U2": Tiago e Molinaro erano impietriti. Se non intervengo io, non gli stringono neppure la mano».

Rimanere attaccato alle proprie origini. «Credo sia rimasto molto del mio essere veneto, nonostante siano tanti anni che vivo a Torino. Noi di Conegliano siamo timidi, concreti, rispettosi, molto lavoratori, abbastanza silenziosi, comunque non ciarlieri; tendiamo a lavorare a testa bassa, guardiamo la terra, sappiamo che il bello della vita salirà da lì, è come se lo aspettassimo giorno per giorno, per proteggerlo. Queste caratteristiche mi sono rimaste tutte, credo di essere sempre profondamente veneto. Anzi, di Conegliano».


Come recita il titolo di un suo libro: "Semplicemente Alessandro Del Piero".

12 Settembre 2010. Diciassette anni, tanti ne sono passati dal mio debutto in serie A con la maglia della Juventus. Ecco diciassette motivi per festeggiare questo compleanno. Ecco diciassette motivi (scelti tra mille) per cui vale la pena essere parte di questa lunga storia.

17) Indossare la maglia bianconera per la prima volta e non perché l'avevo comprata in una bancarella.
16) Indossare la maglia bianconera per la seconda volta, la terza, la quarta, la seicentotrentasettesima volta e …
15) Ascoltare i tifosi cantare: "Io di te non mi stanco, sarò sempre al tuo fianco, sei la cosa più bella che c' è… Alessandro Del Piero olè" (musica tratta dalla colonna sonora de "La stangata", parole della curva della Juventus).
14) Per la rabbia, per le lacrime. Dopo una sconfitta, dopo un infortunio. Dopo "l'infortunio": 8 novembre 1998. Mi ha cambiato, mi ha migliorato.
13) Essere stato co-protagonista di questo inizio di telefonata: "Buongiorno Alessandro, come va, è già sveglio?". "No, veramente stavo ancora dormendo". "Bene, allora è il momento che si alzi". Erano le sei del mattino. Dall'altra parte della cornetta c'era l'Avvocato.
12) Seguire con lo sguardo il lancio lungo di Alessandro Orlando, poi smettere di guardare la palla ed andare d'istinto con l'esterno destro, al volo, e metterla sotto il sette scavalcando il portiere: 4 dicembre 1994, da 0-2 a 3-2, con il mio goal che sancisce la rimonta.
11) Segnare il goal che vale il titolo di campioni del mondo per club: 26 novembre 1996, Tokyo, 1-0 all'ottantaduesimo contro il River Plate.
10) Per la mia maglia. Me la sono sudata. Non l'ho mai abbandonata. Il mio nome scritto sopra, solo il mio, da quando esistono le maglie con i nomi. Sono arrivato al momento giusto!
9) Per il 5 maggio 2002.
😎 Giocare con Antonio, Gianluca, Roberto, Moreno, Fabrizio, Michelangelo, Ciro, Angelo, Giancarlo, Andrea, Dino, Sergio, Jurgen, Paulo, Didier, Zinedine, Filippo, David, Nicola, Massimo, Alessio, Luca, Vladimir, Attilio, Pietro, Christian, Alen, Raffaele, Michele, Edgar, Manuel, Marcelo, Mark, Igor, Lilian, Gigi, Pavel, Paolo, Stephen, Claudio, Jonathan, Emanuele, Giorgio, Diego, Ama, Cristiano, Alexander, Hasan, Zdenek, Vincenzo, Cristian, Momo, Sebastian, Alberto, Simone e tutti gli altri ...
7) Per i ventinove scudetti.
6) Per tutte le coppe.
5) Segnare il goal numero 200 con la Juve. Segnarlo contro il Frosinone. Ed essere orgoglioso di averlo segnato contro il Frosinone, in serie B.
4) Per Gaetano Scirea, per quello che significa, per la Juventus e per chi ama il calcio.
3) Per Giampiero Boniperti, per quello che significa, per la Juventus e per me.
2) Per non dimenticarmi mai da dove sono partito. E grazie a chi sono arrivato fino qui.
1) Per la Juventus di ieri, di oggi. E soprattutto di domani.


RACCONTATO DA FABIO CARESSA, TELECRONISTA "SKY":

L'ho visto volare leggero come un angelo, quando aveva la faccia da putto. L'ho visto inventare un tiro che è diventato solo il suo e lanciarsi tra i grandi ancora ragazzo. L'ho visto segnare con la sua squadra soprattutto nelle partite che contavano, negli scontri diretti, nelle finali in giro per il mondo.

L'ho visto arrabbiarsi e digrignare i denti se c'era un principio da difendere e chinare la testa se il suo bene non era quello dei compagni. L'ho visto lottare contro gli egoismi, anche contro i suoi, perché crescendo ha capito cosa voglia dire il gruppo. L'ho visto parlare di valori e comportarsi di conseguenza.

L'ho visto inciampare e poi cadere . L'ho seguito mentre si rialzava a fatica. L'ho visto lottare contro allenatori e mal di pancia nervosi. L'ho visto amare la maglia azzurra e non riuscire a farlo capire. Poi l'ho visto portarci a Berlino.

L'ho visto capire che le cose cambiano, modificare il gioco, segnare undici goal di seguito su rigore, se il rigore poteva essere il massimo da dare alla squadra in quel momento. L'ho visto adattarsi dove non voleva , sacrificarsi facendolo ricordare. L'ho visto umile e l'ho visto presuntuoso. L'ho visto soffrire quando ha sbagliato. L'ho visto uscire in smoking bianco, immacolato, da una discarica.

Non l'ho visto mollare, mai. Non ho mai letto di lui sui giornali degli scandali. Ieri sera l'ho guardato mentre si sedeva in panchina, con il broncio di chi vuole giocare. L'ho visto applaudire i compagni per i goal che segnavano, esultare per la squadra. L'ho visto entrare in campo senza riscaldamento, lui che non è più un ragazzino. L'ho visto strillare al ragazzo che parlava troppo, perché ci vuole rispetto. L'ho visto segnare una punizione da artista e un rigore da ragioniere. Sono contento di aver visto "Alex" Del Piero fare tutte queste cose. "Alex" Del Piero è un bell'esempio per i miei figli.


http://ilpalloneracc...-del-piero.html

 

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MR. ALESSANDRO DEL PIERO

Il 9 novembre compie 40 anni. In campo. È un calciatore, una star globale, un businessman, un comunicatore. Si muove tra passato e futuro. L’abbiamo intervistato in volo, in uno dei viaggi che l’hanno portato in pochi mesi dall’Australia all’India passando per Italia, Brasile, Inghilterra e ancora Australia. Tra autografi, sorrisi, hostess sorprese e poco sonno. Parla di sé, del perché gioca ancora, della scelta di andare a New Delhi e di che cosa accadrà dopo: «Non è detto che smetta con l’India». E ancora la Juventus, i tifosi, il giorno dell’addio a Torino, la famiglia, gli Agnelli, la Nazionale, la televisione. Gli allenatori: «Per la prima volta dico che potrei allenare anche io». I compagni, le liti, il dolore, la felicità, la tristezza, la gioia. Una chiacchierata che diventa autoritratto

di GIUSEPPE DE BELLIS (Undici | settembre 2014)

Alessandro Del Piero gira il mondo per sentirsi a casa. Ce n’è sempre una per lui: mister Del Piero, ovunque. Con il suo modo d’essere, con la sua storia. Parte, va. Torna. È in volo. Uno di quelli che in due mesi e mezzo l’hanno portato in Australia, Italia, Inghilterra, di nuovo Italia, Brasile, daccapo Italia, Stati Uniti, di nuovo Australia, ancora Italia, India. Si gira, sorride, fa un cenno con la testa. Si alza dal posto 2 B. Sta chiedendo all’hostess dove possiamo fermarci per parlare un po’. Lei non ha ancora risposto che arrivano due ragazzi svizzeri. L’avevano visto all’imbarco, l’hanno seguito con lo sguardo e hanno aspettato il momento per avvicinarlo.

«Possiamo farci una foto?».

«Certo, ragazzi».

Sono i primi. Alla fine dell’intervista si conteranno 21 passeggeri con autografo e 32 (compresi i 21 di prima) con fotografia. È un selfie che gira, l’autoscatto felice e sorridente con una star globale. Ha cominciato a Tokyo nella finale dell’Intercontinentale 1996: segnò e si prese il Giappone. Gli altri Paesi sono arrivati uno dopo l’altro. Oggi forse è il pezzo di calcio italiano più conosciuto al mondo. Anzi, togliete il forse. Ale è riconoscibile, riconosciuto, visibile. La confederazione asiatica del pallone gli ha chiesto di essere ambasciatore della coppa d’Asia del 2015. Lo ha fatto quando ancora giocava in Australia e ha sperato che andasse bene la trattativa per portarlo in India. Eccolo. Un miliardo e duecento milioni di persone di potenziale bacino e 20 milioni di appassionati certi. Alessandro è un marchio personale e collettivo. Ora si avvicina una signora, dice di essere colombiana, lo saluta, lo bacia, scatta una foto. Grazie. Con il fuso della partenza sarebbero le tre del mattino. Non le dà mai fastidio? «No. La gente è la nostra vita. Io li guardo che mi guardano e mi preparo. Lo so, sono stato un fan anche io. Se avessi mai potuto incontrare il campione che amavo avrei sperato in un sorriso. Perché dovrei negarlo a queste persone? È un piacere. Se lo consideri un fastidio è meglio che cambi vita». Invece a lui questa piace. Gli piacerebbe anche dormire. Sulla poltrona ha appena appoggiato una borsettina. Dentro ci sono la mascherina, le calze da notte e il necessario per la mattina seguente. Non li vedrà per le prossime due ore. Perché adesso parla. Dei suoi 40 anni, che compirà il 9 novembre. In campo, ancora. Del passato, della Juve, dell’Australia, della famiglia, del calcio. Del futuro. Sì, l’India. Con la sua faccia, le sue gambe, la sua storia per portare il pallone dove non è ancora calcio. Poi? Televisione, altri viaggi, progetti di comunicazione, iniziative benefiche. Il brand Adp, cioè se stesso da valorizzare, perché ce n’è ancora. Perché piace.

Come sta?

Bene. Anzi: benissimo.

Che cosa vuole dire a 40 anni essere un calciatore?

Riuscire a dare. Non sentirsi ancora alla fine del giro, vivere nella sua pienezza l’ultima fase della carriera, senza rimpiangere le precedenti. Ricordo sempre quello che ha detto Van der Saar, un ex compagno, un amico, uno che ha vinto, poi ha avuto anni difficili, poi è tornato a vincere quasi sorprendentemente. Gli hanno chiesto “Perché smetti?”. E lui: “Perché sento di non poter migliorare più”.

Pensa di poter migliorare ancora?

Penso di poter dare ancora. Voglio darlo come calciatore, almeno per un altro anno.

Quanto si sente cambiato?

Calcisticamente o umanamente?

Entrambi...

Non so se sono cambiato. Sono invecchiato, e questo di sicuro è un cambiamento.

La volontà di costruire un percorso fuori dal campo cresce man mano che sento avvicinarsi il giorno in cui smetterò. Questo mi ha inevitabilmente cambiato: ho cercato esperienze e posti che mi permettessero di conoscere cose che fino a quel momento non conoscevo. Quindi l’Australia. Quindi ora l’India. Mi sono evoluto. Sono maturato, ho altre priorità: prima pensavo a giocare per vincere, ora penso a giocare per il piacere di farlo, per onorare il mio sport lontano dai percorsi più battuti. Per conoscere il mondo. E comunque vincere.

Ma perché l’India?

Per molti versi, il motivo è lo stesso che mi ha spinto a scegliere l’Australia rispetto ad altre proposte ricevute, più vicine alla realtà vissuta fino a quel momento. A Sydney mi sono sentito bene nei panni di viaggiatore sulle strade del calcio, perché non continuare? Nuove conoscenze, nuove avventure, nuove emozioni. In India c’è tutto perché il calcio si affermi, vorrei essere parte della crescita del movimento, come avvenuto in Australia. Mi hanno proposto una nuova esperienza agonistica con la maglia del Dynamos Delhi, e un percorso professionale parallelo con un ruolo da testimonial per la nuova Lega che ha già attirato l’interesse di grandi realtà calcistiche provenienti da tutto il mondo. C’è tutto quello che cercavo dopo Sydney, e anche in questo caso la scelta è stata la più distante dalle piste più battute.

Il giorno in cui ha firmato si aspettava le polemiche che poi ci sono state?

Sinceramente no. Non credo che un atleta debba essere strumentalizzato dalla politica, soprattutto se questo vuol dire farlo diventare elemento di divisione e non di unione.

Io so di avere delle responsabilità nel mio ruolo, in fondo me le sono guadagnate sul campo. Non mi sottraggo. La vicenda dei marò non mi lascia insensibile. Spero che si arrivi presto a una conclusione positiva per loro e soprattutto la più giusta. Ma se non fossi andato in India per questa ragione avrei alimentato solo ulteriori rancori e tensioni. Io sono un giocatore di calcio e sono andato in India per giocare, per onorare la mia passione e fare quello che in questo momento mi rende più felice: continuare a giocare cercando anche di portare un messaggio positivo e aiutare a diffondere l’amore per il calcio in Paesi che per il mio sport rappresentano una nuova frontiera.

Che cosa l’ha ferita?

Nulla.

Il campionato dura meno di tre mesi. E poi?

E poi farò le valigie e mi rimetterò in viaggio. Ancora non so per dove, ci sto pensando.

Alcuni dicono che la carriera agonistica è finita il 13 maggio 2012, il giorno di Juventus-Atalanta...

Hanno ragione in parte, così è troppo superficiale. Lì è finita la carriera agonistica nel calcio che ho conosciuto fino a quel momento, ma non quella da calciatore. Sembrano la stessa cosa, ma non lo sono. Avevo molte offerte: in Inghilterra, in Scozia, in Spagna, in Portogallo, in Francia, in altre parti del mondo. Alcune erano squadre competitive. Ho fatto una scelta: niente Italia, perché dopo 19 anni di Juventus non sarei potuto andare altrove. Niente Inghilterra, niente Scozia, niente Spagna, niente Portogallo, niente Francia. Se hai avuto la fortuna di vincere tutto con la tua squadra non cerchi un surrogato altrove. Quello che è accaduto quel giorno allo Juventus Stadium spiega anche le scelte che sono arrivate dopo: cosa potevo chiedere di più? Solo qualcosa di diverso. Ecco l’Australia. E l’India è una scelta coerente con quella fatta due anni fa.

Com’è allenarsi a 40 anni? Dove si trova la forza?

È bello. Chi non lo prova non sa quanto possa essere entusiasmante. Ti fa continuare a sentire un calciatore e questa è una sensazione bellissima. La forza si trova nella felicità di fare ciò che ti piaceva e che è ancora abe ciò che ti piace: giocare a pallone.

Ha detto: alleno di più il piede sinistro. Lo fa ancora?

Sento sempre l'esigenza di coltivare la sensibilità del piede, la forza, la precisione. Oggi il mio allenamento è portare il mio fisico e la mia testa a essere ogni giorno al massimo delle loro attuali possibilità.

Il suo dopo è già cominciato. La tv, l’arte, la comunicazione, le partnership con aziende. Sembra che stia aspettando di capire che cosa scegliere nella carriera da ex calciatore...

Non voglio scegliere solo una cosa. Forse è questa la differenza con alcuni dei miei colleghi. Ho molti interessi, li ho sempre avuti. Li coltivo. L’esperienza fatta con Sky al Mondiale mi ha entusiasmato. Mi sono divertito, ho visto questo mondo da un’altra prospettiva. Ho vissuto il Mondiale da tifoso, da calciatore, da commentatore. Non potevo chiedere di più. La tv era qualcosa che un tempo sentivo distante, mentre oggi mi piace, la studio, la analizzo, la voglio vivere.

Quindi l’anno prossimo sceglierà la tv?

È una possibilità. Ma non una certezza. Ho una stagione per pensarci, per capire, per scegliere.

Ha sempre detto: mai allenatore...

Adesso non dico più: “Mai”. Per la prima volta è una prospettiva che vedo: lontana, ma la vedo. Anche qui: è una possibilità. Nell’ultimo periodo ho capito anche scelte che allenatori hanno fatto in passato con me, ho compreso le loro ragioni, mi sono immedesimato e ho colto sfumature che in passato non avevo colto. Questo non vuol dire condividerle, ma comprenderle.

Che cosa le ha fatto cambiare idea?

Forse proprio l’esperienza in tv. Ho capito che cosa mi interessa del gioco, del suo sviluppo, della preparazione delle partite. Mi piace analizzare i movimenti dei giocatori in campo, le possibili soluzioni a una situazione tattica particolare, le scelte che l’allenatore fa quando la partita è bloccata, la strada che prende un singolo in una giocata uno contro uno. Da giocatore pensi a tutto questo in un contesto singolare: come faccio io a fare una certa cosa nell’interesse della squadra? Commentando le partite mi sono reso conto che oggi la mia visione è meno singolare e più collettiva e questo mi avvicina filosoficamente a un allenatore. Oppure vuol dire che sono davvero vecchio.

Ha avuto tutto?

Ho avuto molto.

Che cosa le manca?

Calcisticamente niente. Ho avuto una carriera meravigliosa. Ma la vita ti porta comunque ad avere desideri nuovi ogni volta. Oggi vorrei raggiungere altri risultati. Anche giocare un altro anno ancora può essere quella cosa che ti manca. Finita quella ce n’è un’altra. È la nostra ricerca costante di una soddisfazione. È una sensazione bella. Che c’è di più bello di avere un obiettivo, qualunque sia, e lottare per raggiungerlo?

Le torna mai in mente il Del Piero ragazzino?

Oggi ci penso più spesso. Qualche settimana fa ho scritto sul mio sito una lettera ai tifosi del Padova dopo la notizia del fallimento della società. Sono tornato indietro di quasi venticinque anni, mi sono rivisto lì in quella squadra e in quella città che all’epoca mi sembrava enorme.

Come enorme?

Ero solo, ero un bambino di campagna costretto a lasciare la famiglia per inseguire un pallone. Padova mi sembrava una metropoli, mi toglieva il respiro. Mi misero in una specie di collegio, c’erano camerate giganti, anche se avevo il privilegio di avere una stanza tutta per me: è lì dentro che mi sono formato. Nella solitudine dei miei sogni, dai tredici ai diciotto anni. Ricordo alla perfezione quella camera, come se ci stessi dentro ancora adesso. Era lunga, stretta, minuscola. Aveva un armadio e una finestrella in fondo. Per vedere fuori dovevi metterti sotto alla finestra e poi alzarti sulla punta dei piedi.

Mai pensato "io me ne torno a casa, a San Vendemiano"?

Se rivedo il bambino che ero, timido ed emotivo, mi sembra pazzesco pensare a ciò che sono riuscito a fare. Credo che si commetta spesso un errore: pensare che i timidi siano deboli. Avevo 13 anni, ma non sono mai stato vinto dalla nostalgia. Con la testa già viaggiavo. L’ho scritto nel mio ultimo libro: se non fossi diventato bravo col calcio, forse avrei fatto il camionista: perché il sogno era andare, vedere, curiosare. Si può dire che il talento abbia anche a che fare con il carattere e con le sue eventuali debolezze. Io ero timido, ma non debole. Ricordo il giorno della partenza da casa, il pianto di mia mamma, la mano di mio padre che mi accompagnava a Padova. Non avevo paura. Vivevo quell’esperienza come una specie di gioco a premi, un percorso che ero stato chiamato ad affrontare e che alla fine mi avrebbe regalato la realizzazione dei miei sogni.

Qualcuno ha scritto che da ragazzino era spaccone. Gira voce di un Alessandro bulletto che però di fronte alla mamma Bruna si scioglieva...

Non esiste. Mai. Non sono mai stato un bulletto. Anzi. Ero l’obiettivo dei bulletti, ero timido, chiuso. Ho sempre usato la furbizia e la scaltrezza con quelli più grandi di me. Anche in campo.

È vero che la prima prova di coraggio fu su un albero di ciliegie?

Era un ciliegio alto sei metri, o almeno così dicevamo noi da ragazzini a San Vendemiano. A noi pareva che i frutti più buoni, più grossi, più rossi, più succosi fossero tutti più in alto. Arrampicarsi era una sfida con gli altri e con se stessi. Il giorno in cui arrivai in cima per la prima volta mi sentii felice.

Ha detto più di una volta: sono cresciuto in una famiglia in cui si stava attenti a ogni centesimo. È un ricordo che le serve anche oggi che non ne ha bisogno?

Il ricordo è l’educazione ricevuta dai miei genitori. La cultura del sacrificio, la consapevolezza di aver avuto una vita da privilegiato, di fare un lavoro che non è un vero lavoro: il lavoro era quello di mio padre. Faceva l’elettricista. Ricordo la sua stanchezza quanto tornava a casa, ma ricordo anche i suoi sorrisi. I sacrifici dei miei sono stati la forza più grande, per me e mio fratello. È vero: a volte si sentiva la tensione per i soldi, ma loro non cadevano mai nel vittimismo, non si lamentavano mai. E hanno trasmesso a me e a mio fratello la capacità di adattarsi: le difficoltà erano la nostra spinta a fare meglio. L’ho detto altre volte: se non potevano comprarmi un pallone nuovo, allora avrei aspettato il prossimo compleanno. E se i miei compagni portavano le Timberland, io mi accontentavo delle Fimberman. Per tanto tempo ho portato gli abiti dismessi di mio fratello Stefano. Era una specie di ciclo: io prendevo in eredità le cose degli altri.

Mai provato invidia?

Non pensavo alla moda, ero solo un bambino. Mi ricordo la felicità nella scelta del regalo per il tredicesimo compleanno. Era poco prima di andare a Padova... Mia madre mi chiese che cosa volessi come regalo. Stefano aveva appena lasciato il motorino per la macchina, quindi sapevo che a 14 anni quel motorino sarebbe stato mio. Pensai: gli chiedo un casco. Però in realtà volevo un robot e alla fine scelsi quello. Lo conservo ancora, si chiama Emperor.

Che cosa pensavano i suoi genitori dei primi guadagni da calciatore?

Ricordo che quando tornai a casa per la prima volta con un macchinone - era una Mercedes coupé - provai un po’ di imbarazzo. In quel contesto quella macchina non c’entrava nulla. In fondo sapevo che mio padre la pensava così, ma non disse nulla. Tirò fuori dal garage la sua vecchia auto per far posto alla Mercedes. Era un box piccolino, mi disse di stare attento a non rigare la fiancata. Quell’auto costava così tanto... Poi, però, ricordo anche la soddisfazione di un altro momento della vita: con il primo stipendio della Juventus mi comprai il cellulare e poi un’automobile. I giocatori della Juve avevano diritto a due auto del gruppo Fiat con lo sconto del 50%. Io presi una Punto Gt e una fantastica Lancia Delta integrale: ce l’ho ancora, come il robot Emperor. Con l’arrivo di quella macchina cambiò il giro della catena: a me la Delta, a mio fratello la Punto Gt, a mio padre la Tipo che era stata di Stefano. E la Uno, che fino ad allora guidava mio padre, finì in vendita. Io, il più piccolo, che passava qualcosa agli altri: per me fu una grande soddisfazione. Una specie di risarcimento morale nei confronti dei miei che avevano fatto tutti quei sacrifici per me.

Torino. La Juve. Era il 1993...

Ero passato dal Padova alla Juve Primavera. Avevo diciotto anni. Se Padova mi sembrava grande, immaginatevi Torino. Tremavo davanti alle sue strade e a quei palazzi che mi sembravano grattacieli. A volte mi dava una sensazione di cupezza, quasi a far sentire la fatica operaia che c’era dentro quelle fabbriche che io non avevo mai visto. Però avrei accettato di dormire anche in una baracca pur di essere lì, alla Juve. Ci pensavo: sono alla Juventus. Mi ripetevo: sono alla Juventus. Ci sono rimasto 19 anni. Anche se alla fine della prima stagione sarei potuto andar via.

Ecco. Se n’è parlato diverse volte. Come fu la storia?

Era quasi deciso che sarei passato al Parma, in prestito. Sembrava fatta. Ricordo di aver incontrato anche il presidente Tanzi. Invece, poi, il Parma prese Dino Baggio e il mio trasferimento lì saltò. Lippi disse alla società che come quarta punta il ragazzino andava benissimo. Il ragazzino ero io. La storia cominciò così. Se avessi cambiato maglia, forse sarebbe stato tutto diverso.

Si ricorda più spesso l’esordio o l’addio alla Juve?

Oggi mi capita più spesso di pensare al giorno dell’addio. Ci sono momenti in cui rivedo quel giro di campo infinito allo Juventus Stadium. Quell’applauso spontaneo, profondo, quelle lacrime mi rendono felice e orgoglioso. Non sono ancora riuscito a descrivere a parole quello che ho provato. Quel momento mi ha dimostrato, ancora una volta, quanto sia stata speciale la mia avventura in bianconero. Unica. E non soltanto per me.

Ma lei ha pianto? C’è chi ha scritto di sì e chi ha scritto di no...

Non lo so, sinceramente. Non lo capisco neanche riguardando le immagini.

In un’intervista a Vanity Fair di due anni fa parlò per la prima volta della delusione per come maturò il suo addio alla Juventus. È cambiato qualcosa?

No. Ma è passato del tempo.

S’è mai sentito fuori posto nella Juventus?

Mai. Per 19 anni è stata casa mia.

S'è parlato spesso del suo rapporto con Gianni Agnelli. Chi era?

Una persona incredibile. Sorprendente. Spiazzante.

La chiamava?

Sì, solitamente la mattina presto. Prestissimo.

E quando vedeva il suo numero sul cellulare che cosa pensava?

Il suo numero non appariva, primo perché all’epoca non appariva il numero di nessuno. Poi perché comunque il suo non appariva nemmeno nell’epoca in cui quelli di tutti gli altri apparivano. E poi chiamava a casa.

Che cosa diceva?

Era cordiale. Chiedeva come stavo, che facevo, se era tutto a posto. Poi scivolava sull’argomento che gli interessava: se c’era troppo entusiasmo diceva sempre una frase che lo frenava. Se era un periodo negativo, invece, ti esaltava. L’ho detto: era spiazzante. Era il suo modo di essere all’interno della Juventus sempre e comunque. Ed era incredibile pensare che un uomo come lui, con tutti i suoi impegni, desiderasse così fortemente prendersi un po’ di tempo per la Juventus.

C’è un momento con lui che ricorda?

Due. Di uno mi ricordo la data: era il 16 marzo ’94, dopo che il Cagliari ci eliminò dalla Coppa Uefa, si presentò nel ritiro di Villar Perosa con un ritaglio di giornale in mano e disse: «Ragazzi, qui scrivono che siete dei brocchi, dimostrate che non è vero». La domenica giocammo in campionato contro il Parma che aveva appena vinto con l’Ajax: vincemmo quattro a zero. Segnai tre gol. Un’altra volta al Delle Alpi, prima di Juve-Milan, mi chiamò al telefono mentre facevo il riscaldamento. Mi vennero a prendere, mi portarono nel sottopassaggio per rispondere alla telefonata. Pochi secondi: «Come sta? Giochi bene, mi raccomando». Perdemmo 1-0.

Ha mai desiderato di non essere Del Piero?

No. Sono stato Del Piero quando ho vinto; sono stato Del Piero quando ho perso.

E qual è stata la sconfitta peggiore?

All’Europeo 2000. Ebbi l’occasione di segnare due gol ma non ci riuscii, la Francia vinse in dieci secondi la partita e la Coppa. Ho ripensato spesso a quel momento. Perché sbagliai? E come sbagliai? La verità è che una risposta vera non c’è. L’ho capito col tempo. Anche se hai segnato più di trecento gol è come se non fossero serviti ad altro che a preparare il successivo: a 40 anni capisci che è il destino. Non sai dire come hai realizzato un certo gesto tecnico e nello stesso modo non puoi sempre sapere come l’hai sbagliato. Semplicemente accade.

Ha detto: «Chiesi scusa a Zoff. Il giorno dopo ricominciai». Ecco: come si ricomincia?

Col sacrificio. Col dolore. Con il campo. Sì, il campo aiuta. Aiuta a sacrificarsi e a lenire il dolore, quello fisico, come dopo un grave infortunio, e quello emotivo, come dopo una delusione. Stando in campo hai la possibilità di rimediare anche a ciò che ti sembra irrimediabile. Io dopo l’Europeo mi sentivo vuoto, deluso, amareggiato, in colpa. Giocare, segnare, esultare mi ha permesso di superare quel momento e mi ha dato la convinzione che ci fosse ancora una possibilità. La possibilità è arrivata: non era scontato, ma è arrivata.

Il Mondiale 2006 ha cancellato tutte le delusioni?

Sono diventato campione del mondo. Questo è un risarcimento unico. Io non credo che le delusioni si possano cancellare. Restano con noi, a volte tornano in mente, quasi come quei rimproveri che ti facevano i genitori da piccolo e che non ti scordi più. Le amarezze di una carriera sportiva restano, ma se hai la fortuna di alternarle alle gioie sei un uomo felice. E io quando ripenso alla Nazionale ora non penso più al golden gol di Trezeguet a Rotterdam, ma alla corsa dopo il mio gol contro la Germania e a quella dopo il rigore di Grosso a Berlino. Corro come un matto prima verso Fabio, poi verso Buffon. Vedendomi dall’esterno oggi capisco ancora di più quanto fossi felice in quel momento.

Ma è vero che di quel mondiale non ricorda quanto ha giocato?

Sì. Più che altro non mi interessa. Non ricordo nemmeno più se ho giocato e quanto ho giocato prima della semifinale con la Germania. Titolare, subentrato: non mi importa. So che in quella partita straordinaria a Dortmund ho segnato il 2-0 con un gol bellissimo. So che in finale ho calciato uno dei rigori decisivi. Vincere conta, a volte per un calciatore è davvero l’unica cosa che conta. Se non ci fossi riuscito, probabilmente non sarei così sereno come sono.

Qual è il posto di Del Piero nella storia del calcio italiano?

Questo lo diranno altri. Io mi sentirò per sempre un campione del mondo.

Qual è il posto di Del Piero nella Juventus?

Anche questo lo diranno altri. Sono stato un giocatore, sono stato un innamorato fedele. Sono stato un capitano.

Che cosa vuol dire essere un capitano?

Essere educato, essere un esempio, essere un riferimento. Può sembrare una frase scontata, ma per me è soprattutto una frase vera. Il capitano spesso è una specie di sindaco, uno che regola la vita di una squadra, la rappresenta. Deve saper parlare, anche verso l’esterno. Ci sono un sacco di cose da mandare giù anche se non vuoi e un capitano deve farlo per se stesso e per gli altri.

Si ricorda la cosa più importante fatta da capitano?

Mi è successo di bussare alla porta di un compagno per cercare di tranquillizzarlo. Capitava che i ragazzi, spesso i più giovani, ma non solo loro, mi cercassero per raccontarmi un loro problema. Io gli facevo sentire la sicurezza di avere qualcuno con cui potersi confrontare.

Ma il contrario è mai accaduto?

Che fossi io a chiedere aiuto?

Sì...

È accaduta un’altra cosa, un po’ diversa. Non ho chiesto aiuto, ma qualcuno ha capito che ne avevo bisogno. Eravamo in ritiro, a un certo punto si avvicina Montero. C’era stima e collaborazione tra colleghi, ma non ancora confidenza. Quella sera Paolo mi prende da parte e mi fa: «Oh, ma che hai? Sempre ‘sto muso...». Io lo guardo e non so che cosa rispondere. Sorpreso, in silenzio. Comincio a dire qualche banalità, lui mi stoppa. E parla: «Vabbè, qualunque cosa tu abbia, fattela passare. Non vedi come ti guardano i ragazzi più giovani che si allenano con noi? Tu per loro sei un grande, sempre e comunque. Pensaci». Era la stagione 1999/2000, quella dopo l’infortunio al ginocchio. Non funzionava niente. Paolo aveva capito che io avevo bisogno esattamente di quelle parole. Mi aveva osservato, aveva capito le mie ombre e aveva deciso che dovessi combatterle.

Una volta ha detto: c’è stato un periodo in cui ho giocato in una squadra con nove capitani...

Uno, due, tre... otto, nove. È vero, sì. Ho giocato con campioni che se non fossero stati alla Juve sarebbero stati capitani in qualunque altra squadra. Penso a Cannavaro, Buffon, Thuram, Vieira, Emerson, Nedved, Peruzzi, Deschamps, Zidane, Van der Saar, Di Livio, Montero. Ciascuno aveva un carisma incredibile. Negli spogliatoi sembravano sempre padroni della situazione e in partita erano quasi fratelli.

Ecco: come si fa il capitano di altri capitani?

Essendo se stessi. Non ho mai pensato: adesso mi comporto così, faccio questo o faccio quello. Mi sono comportato come mi sentivo in quel momento. Non credo di aver fatto sempre la cosa giusta, ma ho fatto quello che in quel momento mi pareva giusto.

Passa sempre per buono. Ma possibile che non abbia mai litigato con qualcuno?

Ho litigato, ho litigato. Mi capitava con i compagni con cui avevo più confidenza: Di Livio e Tacchinardi. Li conoscevo da molto tempo, con uno avevo giocato sin dai tempi del Padova, con l’altro c’era vicinanza perché eravamo i due più giovani della Juventus. Con loro mi sfogavo, a volte li maltrattavo e loro facevano lo stesso con me.

E con i giovani? Mai avuta l’impressione di mettere in soggezione qualcuno?

Sì. I giovani a volte erano intimiditi. Ti vedevano come un mito e sembravano timorosi. Ma è capitato anche a me.

E quando lo notava che faceva?

Continuavo a essere me stesso: non cambiavo in relazione alla persona. Cercavo di far capire che in un gruppo non bisogna sentirsi a disagio. Li trattavo come trattavo gli altri. Credo che un capitano non possa fare eccezioni davanti alla squadra. Le regole, soprattutto i doveri, sono uguali per tutti.

Se ripensa ai suoi compagni e al giudizio che loro avevano di lei, chi la colpisce di più?

Ho ricevuto grandi attestati di stima, anche inattesi, e forse per questo ancora più preziosi. Tra gli ultimi, mi viene in mente Ibrahimovic. Mi ha colpito molto che qualche mese fa, quando gli hanno chiesto di scegliere una squadra ideale con undici giocatori con i quali ha giocato, abbia scelto molti della Juventus, e tra loro ha scelto anche me. A volte i complimenti migliori sono parole che non sembrano avere a che fare coi complimenti.

Cannavaro ha detto che è la miglior persona con cui abbia giocato. Le piace?

Sono felice che l’abbia detto. Sono felice che lo pensi. È stato un grande capitano, ha alzato la Coppa che abbiamo vinto a Berlino. Mi piace ricordare che il gol più importante della mia carriera, quello contro la Germania a Dortmund, sia nato da quei suoi meravigliosi colpi di testa in uscita dalla difesa. Fenomenale, un muro insuperabile. Lui dice che per me il suo recupero è stato come un assist. Io lo prendo in giro e rispondo che se non avessi fatto gol in quell’azione nessuno si sarebbe ricordato della sua giocata.

Tra i rivali chi l’ha colpita di più?

Totti. Eravamo diversi, due modi forse opposti di essere capitani. Ma c’è sempre stata grande stima, e ci sarà sempre. Professionale ed umana. Il rispetto e l’ammirazione di un avversario contano tantissimo, e questo vale anche per i tifosi avversari. Per questo il mio ricordo più bello “da rivale in trasferta” è la standing ovation al Santiago Bernabeu, dopo la doppietta contro il Real Madrid. Era il 2008, avevo già 34 anni, per qualcuno avrei dovuto già essere un ex, invece mi è capitata una delle più grandi soddisfazioni della vita: uno stadio avversario, quello stadio, in piedi per me. Credo che se fosse accaduto dieci anni prima non me lo sarei goduto come me lo sono goduto in quel momento.

Più importante quella doppietta o il gol a Bari dopo la morte di suo padre?

Due cose diverse. Nel gol di Bari ci sono molte cose che vanno al di là del calcio. Tecnicamente mi sorprese quando lo rividi in tv per la prima volta, perché ero sicuro di avere fatto un doppio passo classico, e invece no, era stata una cosa diversa. Emotivamente, invece, in quel momento c’è una sofferenza enorme che viene fuori con l’urlo subito dopo il gol. La morte di mio padre è stato il dolore più grande della mia vita.

Ha detto: avrei voluto dire un sacco di cose a mio padre...

Ho il rammarico che non abbia conosciuto i miei figli. Ho cercato di conservare in me la sua parte migliore. Era silenzioso, concreto, leale. A San Vendemiano ogni tanto mi è capitato di parlare con chi lo aveva conosciuto e attraverso i loro racconti mi è sembrato che lo stessi conoscendo ancora meglio. Ho il rimpianto delle parole che non sono riuscito a dirgli, il tempo che non gli ho dedicato, i sorrisi e il pudore che a volte non ho saputo interpretare. Ho il dispiacere di sapere che a volte non c’è niente da fare: avevo i soldi per provare a fare di tutto per salvarlo, ma non sono serviti a nulla.

È vero che lui teneva un taccuino con tutti i risultati e i marcatori?

Sì. Più che un taccuino era una raccolta di ritagli. Qualunque cosa uscisse su di me, soprattutto nei primi anni, quando ero a Padova. Ce ne sono due conservati a casa dei miei. Quando li sfoglio trovo perfino ritagli di notizie di sette righe. Risultato e marcatore della Primavera del Padova.

Che cosa pensa di trasmettere ai suoi figli delle cose che le ha trasmesso lui?

Il rispetto per se stessi e per gli altri. I miei figli sapranno di essere dei privilegiati. E spero di riuscire a trasmettergli che questo ha un significato. Hanno potuto girare il mondo, lo faranno ancora. Hanno mezzi e possibilità che altri non avranno mai.

Che cos’è la ricchezza?

Una fortuna.

Che cos’è la notorietà?

Un privilegio.

Che cos’è il calcio?

La cosa che so fare.

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UNA BANDIERA DELLA JUVENTUS E NON SOLO

 

ALEX DEL PIERO

 

 

Amato, discusso, criticato, Del Piero è stato sempre
al centro dell'attenzione e lascia il calcio da grande campione.

 

 

Sydney Alessandro Del Piero wallpapers and images - wallpapers, pictures,  photos

 

 

http://golcalcio.it/Del%20Piero.htm

 


Un campione ma non una carriera facile. Grande talento ma non sempre del tutto convincente, pronto a smentire con gol e vittorie le piogge di critiche e perplessità, Alessandro del Piero ha sempre vissuto nell’occhio del ciclone, pronto ogni partita a dimostrare sempre la stoffa del suo talento, pronto a ricominciare sempre come se fosse la prima volta.

Alessandro Del Piero nasce il 9 novembre 1974 a Conegliano Veneto (TV).

Già giovanissimo quando calciava il pallone si potevano ammirare la classe, l'eleganza e quel modo imperturbabile ma ingannevole di affrontare i campi da gioco. Chi lo conosce, sa bene che dietro quell'apparente freddezza (la stessa che gli ha permesso di realizzare i suoi magnifici gol "alla Del Piero"), si nasconde una grande sensibilità umana e una rigorosa correttezza (è uno dei calciatori più rispettosi che si conoscano).

La prima squadra che lo accoglie nelle sue fila è quella del suo paese, il San Vendemiano, per poi passare ad una categoria più alta con il Conegliano. Subito viene utilizzato come rapace realizzatore di gol; la madre avrebbe preferito che il piccolo Alex giocasse in porta, dove era meno facile farsi del male.

All'età di sedici anni, nel 1991, Alessandro Del Piero si trasferisce al Padova, squadra nella quale si mette subito in luce come uno dei talenti più importanti del momento. In soli quattro anni brucia le tappe passando dalla Primavera ai massimi livelli del calcio mondiale.

Infatti gli occhi dei maggiori club puntano ben presto su di lui e se lo contendono. Dopo numerose trattative, rimangono in lizza solo Milan e Juventus. A far pendere il piatto dalla parte della squadra torinese è Piero Aggradi, Direttore Sportivo del Padova e "scopritore" di Alex: venendo incontro ai desideri del giocatore, viene decisa la cessione alla Juventus, che ritiene di aver trovato in questo modo il sostituto di Roberto Baggio. Scelta azzeccata, si direbbe, visto che negli anni in cui Baggio passa al Milan, Del Piero diventa il leader indiscusso della Juventus.

Sacchi lo prova subito in nazionale, debutta il 25 marzo 1995 contro la Estonia. Solo nella stagione successiva Sacchi lo vuole come titolare nella sua squadra, barriera di centro campo nelle qualificazione per la Coppa Europa, una manifestazione dove tutti lo aspettano protagonista. Non sarà cosí nella gara d’esordio contro la Russia Sacchi lo sostituisce nel primo tempo con Donadoni. Per lui terminerà la competizione e, addirittura, non verrà più schierato dal tecnico emiliano. Incomincia un periodo difficile con la maglia azzurra. Anche Maldini, nonostante i successi con la Juventus, con lo considera fondamentale.
Ai mondiali del 1998 viene convocato, ma nasce la staffetta con il grande Baggio che sarà ricca di polemiche. Lo sostituisce contro il Camerun e il ruolo si inverte nella successiva gara con l’Austria. Dal primo minuto con la Norvegia viene sostituito da Conte. Maldini lo riprova nella decisiva gara con la Francia, ma un Roberto Baggio richiesto a furor di popolo, prenderà il suo posto nella parte finale dell’incontro.

La figura di riserva di lusso sarà sua anche negli europei del 2000, con Zoff che lo manda a giocare solo i minuti finale di tutte le partite, finale compresa.

Anche con Trapattoni in Corea per Del Piero c’è posto solo in panchina. Questa volta sarà Totti il calciatore con cui creare un staffetta. Alex sarà decisivo nella partita contro il Messico, realizzando il gol del pareggio che ci porterà alla beffarda partita con la Corea. Qui giocherà dal primo minuto per poi essere sostituito al 61’ da Gattuso, privando la squadra, secondo la storica strategia “trapattoniana”, di un attaccante quando si stava vincendo. La sfortuna, l’arbitro Moreno e altre cose ci porterà al triste epilogo della partita, che Alex vedrà solo dalla panchina.

All'apice della carriera subisce uno stop di nove mesi, dopo il gravissimo infortunio occorsogli a Udine. E' l'8 Novembre del 1998 quando, durante la partita Udinese-Juventus, si scontra con un giocatore avversario riportando gravi danni ai legamenti del ginocchio destro.

Il recupero della forma, dopo il forte trauma, è molto difficile e coincide con un calo nel numero di gol realizzati. Tuttavia, sia Ancelotti che Lippi (l'allenatore di allora), lo indicano come il punto di forza su cui far ripartire le ambizioni bianconere.

Dopo quasi nove mesi Pinturicchio (nomignolo affibbiatogli dal suo grande estimatore, l'Avvocato Agnelli) fa il suo ritorno in campo. Superato il trauma, dunque, è subito in grado di dimostrare che è ancora quell'animale da rete che è sempre stato. Grazie anche ai suoi gol alla Juventus di Marcello Lippi nel 1995 riesce il tris scudetto-Coppa Italia-Supercoppa di Lega, mentre nel 1996 arrivano la Champions League, la Supercoppa europea e la Coppa Intercontinentale.

Anche i commissari tecnici della Nazionale italiana, prima Zoff e poi Trapattoni, l'hanno sempre tenuto in considerazione. Purtroppo, nella stagione 2000/2001 (quella dello scudetto alla Roma dopo un testa a testa fino alla fine con la Juve), Alex si infortuna ancora restando fuori un mese.

Sono in molti a darlo per finito ma dopo la morte del padre Gino, "Pinturicchio" compie al suo ritorno una autentica prodezza a Bari e da qui inizia, in modo significativo, la sua nuova vita.

Il campionato 2001/2002 si apre con un Del Piero in grande forma che in mancanza di Zidane, poi ceduto al Real Madrid, si rinnova leader indiscusso della Juventus che conta sulle sue magie per vincere tutto.

Giocatore di grande talento, fantasioso e magistrale nelle punizioni, Del Piero è un grande professionista che possiede doti caratteriali non consuete, che lo hanno aiutato a non perdere la testa nei momenti di esaltazione e a reagire alle difficoltà, sia sportive che personali.

Per il campionato italiano 2005, sebbene il finale sia stato segnato da attriti tra il fuoriclasse e il tecnico Fabio Capello, Alessandro Del Piero è risultato essere il giocatore più decisivo (per i gol segnati) per la conquista del 28esimo scudetto juventino.

Anche nella nuova stagione 2005/2006 Mister Capello non si fa problemi a tenere Alex in panchina. Sarà un anno di attriti fra i due. Del Piero ripeterà il suo copione di sempre. Riserva di lusso ma quando entra gioca e fa la differenza. Le sue reti portano alla vittorie i bianconeri ma non sono sufficienti a convincere Capello. La prossima partita per Del Piero vi sarà solo posto in panchina.

Inserito nella lista dei 23 che partecipano ai mondiali del 2006 in Germania, si è autodefinito in conferenza stampa "Achille", perché come il mitologico eroe omerico si ritirò sulla collina dopo la lite con il re Agamennone, cosi anche Alex fa durante il ritiro di Duisburg, mettendosi in disparte e attendendo le scelte del CT Lippi, consapevole del suo stato di forma e della sua voglia di scendere in campo.
Contro gli Usa arriva la Sua occasione: Lippi lo fa entrare al posto di Totti durante la partita, e lui sfiora il gol impegnando Kasey Keller, estremo difensore statunitense, in una spettacolare parata.
Viene poi schierato titolare negli ottavi contro l'Australia, ma dopo l'espulsione di Marco Materazzi, il CT lo sostituisce. Durante la semifinale contro la Germania entra nei supplementari sullo 0-0: calcia il corner da cui scaturisce il gol di Fabio Grosso e segna il gol del definitivo 2-0 al 120* minuto: dopo uno straordinario contropiede, riceve la palla da Gilardino e la deposita in rete con un tiro ad effetto.

Nella finale di Berlino che dà il quarto titolo mondiale all'Italia contro la Francia, segna il quarto dei cinque rigori al termine dei 120 minuti di gioco regolamentari, diventando così Campione del Mondo, il 9 Luglio 2006.

Poi lo scandalo Moggiopoli, la revoca di due scudetti, "...due figli" come ha dichiarato Alex e la grande scommessa di riportare la sua Juventus subito in seria A, un progetto ambizioso. E' uno dei pochi che non lascia la Juventus e nonostante la penalizzazione i bianconeri dimostrano il loro valore e risalgono subito nella massima divisione. Con tre giornate di anticipo la Juventus è promossa in serie A grazie anche ai gol di Del Piero che vince con 20 reti la classifica dei cannonieri. Poi la Juventus di Ranieri, il secondo posto e un campionato europeo non esaltante anche se nei quarti di finali i futuri campioni della Spagna ci eliminato ai rigori. Poi sono anni difficili con una Juventus che prima con Ferrara e poi con Del Neri non riesce più a tornare ai vertici del nostro calcio. Ad inizio della stagione 2011-12 ormai del Piero ha fatto la sua scelta di comune accordo con la società; lascerà la squadra a fine stagione. Sarà con l'arrivo di Conte e i suoi impieghi che si rilevano sempre preziosi a portare la conquista del ventottesimo scudetto.

Suo il gol decisivo del sorpasso del Milan contro la Lazio, quando a pochi istanti dalla fine segna una punizione a sorpresa che vale il campionato. I tifosi vogliono che Del Piero rimanga alla Juventus ma la scelta sembra non essere più modificata. Alex giocherà la sua ultima partita in campionato il 12 maggio 2012 siglando con una rete contro l'Atalanta il suo 290° gol in bianconero. Con lui lascia il calcio una delle ultime bandiere del nostro calcio. Un giocatore bravissimo, umile, che ha sempre messo a tacere con i fatti le tante critiche. Una carriera ricca di vittorie ma non facile, costellato sempre da chi lo voleva vedere in panchina per questo o quello calciatore ma che sempre Del Piero ha smentito ricominciando una partita lunghissima, dimostrando dieci, cento, mille volte di essere un campione. Una carriera lunga senza fine.

 

 

 

 

Ronaldo to Juventus: Old Lady no stranger to world-beating greats |  FOOTBALL News | Stadium Astro

 


Palmares:

8 Campionati Italiani: 94/95, 96/97, 97/98, 01/02, 02/03, 04/05, 05/06, 2011/12
1 Coppa dei Campioni: 95/96
1 Coppa Intercontinentale: 96
1 Supercoppa Europea: 96
1 Coppa Italia: 94/95
2 Supercoppe Italiane: 95, 97
1 Coppa del Mondo

 

 

 

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Del Piero torna alla Juventus: sarà collaboratore dell'Academy di Los Angeles

Alessandro Del Piero ha visitato la Juventus Academy di Los Angeles con la sua famiglia: tornerà a collaborare con i bianconeri 7 anni dopo l'addio.

 

Afbeeldingsresultaat voor alex del piero torna alla juventus los angeles

 

FONTE

 

 

Sette anni dopo il doloroso addio Alessandro Del Piero torna alla Juventus. Ad annunciarlo con gioia è stato lo stesso ex capitano bianconero attraverso un post pubblicato sul suo profilo Instagram.

 

 

 

L'ex numero 10, assieme alla moglie Sonia e ai suoi 3 figli, tutti rigorosamente vestiti di bianconero, ha fatto oggi visita alla Juventus Academy di Los Angeles. Nonostante le incompresioni che ci furono al momento dell'addio, la società del presidente Andrea Agnelli ha deciso di assegnargli il ruolo di collaboratore.

Il post con l'annuncio di Del Piero, un'istituzione della storia della Vecchia Signora con 705 presenze totali e 290 goal con indosso la maglia bianconera, ha fatto in poco tempo il boom di 'mi piace', più di 120 mila, fra cui anche quello del suo vecchio compagno di squadra Gianluigi Buffon, tornato anche lui alla Juventus dopo una parentesi al PSG.

L'affetto dimostrato nei suoi confronti dimostra come nonostante gli anni che passano, i tifosi juventini siano rimasti molto legati al loro vecchio capitano di tante battaglie, che ora tornerà a far parte della società, seppure con un ruolo particolare. Del Piero del resto vive da alcuni anni a Los Angeles con la sua famiglia e conosce molto bene la realtà statunitense.

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Con quel logo addosso è meraviglioso.

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wow, ci sono voluti solo 7 anni per smuovere il presidente .asd

per ora dall'altra parte del mondo, ma è già un inizio

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Juventus - The start of a beautiful story began #OnThisDay in 1993 📃✍️ Alessandro  Del Piero signed for Juventus, the rest is history... ❤️🏳🏴 | Facebook

 

Indian Super League: Alessandro Del Piero to play for Delhi Dynamos  franchise | Football News | Sky Sports

 

 

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12 settembre 1993: a Foggia, l'esordio di Alessandro Del Piero

12 settembre 1993: a Foggia, l'esordio di Alessandro Del Piero

 

FONTE

 

 

Quarta giornata di campionato, minuto 74'. Al Pino Zaccheria, il Foggia di Zeman ospita la Juventus di Trapattoni che, con il risultato al sicuro, decide di togliere l'autore del doppio vantaggio bianconero, Ravanelli (in rete al 68', sei minuti dopo il vantaggio di Roy). 

 

Al posto di Penna bianca, il Trap lancia nella mischia il ragazzino arrivato dal Padova, quel giovane talento che studia da Baggio e che metterà lo stesso Divin Codino alla porta. Sì, 26 anni fa esordiva con la maglia della Juventus in campionato Alessandro Del Piero.

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Del Piero, che frecciata a Vieri: "Ci sentiamo il 5 maggio?" sefz 

Le parole dell'ex capitano della Juventus in diretta su Instagram con l'ex attaccante tra aneddoti e curiosi siparietti: "Inzaghi? Quando non segnava rosicava tantissimo, lo prendevo in giro quando facevo un gol di più"

 

010054425-1252068c-c2c0-470b-ba83-fe21b0

 

 

 

Alessandro Del Piero in diretta Instagram con Bobo Vieri. L'ex capitano della Juve ha raccontato particolari aneddoti. Su Pippo Inzaghi, ha dichiarato: "Inzaghi mi parlava dell’emozione dell’assist. Ma cosa ne sapeva Pippo? Lui però quando non segnava rosicava tantissimo, lo prendevo in giro quando facevo un gol di più". ......

 

 

Del Piero-Vieri, siparietto sul 5 maggio

Infine, il siparietto tra Del Piero e Vieri sul 5 maggio. L'ex capitano bianconero stuzzica l'ex Inter: "Ti ricordi quando ti ho detto di fare la chiamata su Instagram il 5 maggio?”. La scherzosa risposta di Vieri: “?No, quella cosa non la dovevi dire, mi hai distrutto con il 5 maggio. Non vuoi farmi dormire. Lasciami stare". .asd 

 

Articolo completo -> https://bit.ly/2W0pyBw

 

 

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Del Piero a 8 anni dall’addio alla Juve: «L’amore di una vita intera»

Del Piero a 8 anni dall’addio alla Juve: «L’amore di una vita intera». Post strappa lacrime dell’ex numero 10 bianconero

 

Un anno fa l'addio di Del Piero alla Juventus (VIDEO/FOTO)

 

 

 

«13 maggio 2012 “La Juve è per me l’amo­re di una vita intera, motivo di gioia e orgoglio, ma anche di delusione e frustrazione, comunque emozioni forti, come può dare una vera e infinita storia d’amore.“ (Avvocato Gianni Agnelli)». ......

 

Continua -> https://bit.ly/3fKDZBp

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Paura per Del Piero: è in ospedale per una colica. Dai tifosi alla Juve: 'Riprenditi presto!'

Paura per Del Piero: è in ospedale per una colica. Dai tifosi alla Juve: 'Riprenditi presto!'

 

 

 

"Ancora non ci credo come una cosa piccola solo 3mm possa fare così male". Alex Del Piero è in ospedale, nella 'sua' Los Angeles. Il motivo? Una colica renale, parecchio dolorosa. .....

 

DAI SOCIAL - Una notizia che ha fatto presto il giro dei social, ovviamente. Del Piero è stato subito travolto dall'affetto dei suoi vecchi tifosi, ma anche della Juventus. Attraverso il proprio profilo ufficiale, i bianconeri hanno scritto: "Auguri di pronta guarigione, get well soon". 

 

Articolo completo -> https://bit.ly/3cHWEvA

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Il suo sponsor non sarà contento .asd 

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Il 18/5/2020 alle 00:21 , Bradipo76 ha scritto:

Il suo sponsor non sarà contento .asd 

Uliveto? .asd

 

 

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20 maggio 2012 - 

Ultima partita di Alessandro Del Piero con la maglia della Juventus

(705 presenze e 290 gol realizzati)

 

Del Piero saluta i tifosi: Scade il mio contratto ma sarò sempre uno di voi

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12 settembre 1993 - La nascita della leggenda - Esordio in bianconero per Alessandro Del Piero.

 

Immagine

 

 

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aneddoto divertente su Alex.

Ieri stavo leggendo il libro "Storie di Wrestling" di Michele K. Posa, con un sacco di storie e aneddoti sul mondo del wrestling, e con mia sorpresa ce n'era uno con protagonista il nostro capitano.

Nella fattispecie alcuni anni fa Alex era in Giappone dove, come sapete, è molto seguito.

Essendo anche lui un fan del wrestling e cresciuto con i cartoni dell'Uomo Tigre, gli hanno combinato un incontro con Tiger Mask (il mitico Satoru Sayama) dove si sono scambiati dei regali, Sayama gli ha donato una introvabile maschera dell'uomo Tigre, di quella dei primi incontri, che Alex custodisce gelosamente.

Fatto sta che ad Alex piace molto il carnevale di Venezia e quale migliore occasione per mascherarsi da Uomo Tigre?

E così, del tutto in incognito, si aggirava per Venezia con la sua maschera originale di Tiger Mask, senza che tifosi juventini non lo assediassero per selfie e autografie.

Ma il buon Alex non aveva calcolato che anche Tiger Mask ha una folta schiera di fan, e il Carnevale di Venezia è molto gettonato tra i Giapponesi... in breve si è trovato circondato da turisti del sol levante per fare una foto cui, ovviamente, non si è sottratto.

Forte

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Sir Alex Ferguson: “Del Piero è l’unico per cui avrei fatto follie. Dopo una sfida di Champions fra il Manchester e la Juventus in cui aveva fatto ammattire mezza difesa, Ryan Giggs e Gary Neville vennero da me e mi chiesero di acquistarlo a tutti i costi, perché uno così ci avrebbe fatto vincere tutto per decenni. Così contattai la dirigenza bianconera e l’agente del ragazzo. Rifiutò ancor prima di ascoltare la mia proposta dicendomi che la Juventus era il miglior posto in cui stare e che anche se rispettava il Manchester United non avrebbe mai potuto tradire i colori bianconeri.

 

Peccato, perché non ho mai più visto uno come lui. Campione dentro e fuori dal campo, l’ho corteggiato anche nei giorni successivi alla vittoria dell’Italia al Mondiale. In quel periodo su di lui c’era anche il Real Madrid e date le vicende che coinvolgevano la Juventus immaginai che fra noi dello United e i galacticos ci sarebbe stata un’asta per aggiudicarselo. Così lo chiamai direttamente evitando di parlare con la Juventus: “Alex, vorrei averti allo United” gli dissi. “Sarai la stella della squadra e insieme vinceremo tutto. Non ascoltare il Real Madrid e vieni qui”. Lui rise e rispose: “Mister, lei lo sa che non è cambiato niente da tanti anni fa. La Juventus è in difficoltà e ho il dovere di aiutarla. Non posso essere vigliacco”. Pensai sarebbe stato inutile continuare, lo salutai e non lo risentii più.

 

Nel 2008, in occasione di una amichevole, lo rividi e lui mi salutò con un abbraccio. Non parlava bene inglese, ma si scusò per aver rifiutato l’offerta spiegando il perché lo aveva fatto. Gli misi una mano sulla spalla e lo rassicurai: “Volevi salvare la Juventus e ce l’hai fatta. Conta solo questo”. Quando qualcuno mi chiederà di menzionare il calciatore che ho sempre voluto e che non ho mai potuto allenare io risponderò: Alex Del Piero“

 

Football Tweet on Twitter: "Sir Alex Ferguson talking about Alessandro Del  Piero.… "

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Joined: 06-Dec-2005
1866 messaggi

ALESSANDRO DEL PIERO IL NOSTRO UNICO GRANDE CAPITANO.
Orgoglioso averti avuto per 19 lunghissimi anni !!!

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Joined: 04-Aug-2012
17678 messaggi

Sarei curioso di visitare un universo parallelo in cui Alex è andato a giocare allo United e di sentire i cori che gli avrebbero cantato all'Old Trafford.

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