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bidescu

Luigi Allemandi

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Luigi Allemandi of Italy at the 1934 World Cup Finals. | World cup final,  World cup, Cup final
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allemandi.jpgallemandib.jpg

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che tempi si giocava con la cintura @@

eleganza

impeccabile come al solito bidescu

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163340087_juve1921.png.3d852f041459b46cad82d4616305b07e.png LUIGI ALLEMANDI   

 

La Storia dell'Inter - Immagini

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Allemandi

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: San Damiano Macra (Cuneo)
Data di nascita: 08.11.1903

Luogo di morte: Pietra Ligure (Savona)

Data di morte: 25.09.1978
Ruolo: Difensore
Altezza: 182 cm
Peso: 75 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1925 al 1927

Esordio: 04.10.1925 - Prima Divisione - Juventus-Parma 6-0

Ultima partita: 10.07.1927 - Campionato Divisione Nazionale - Juventus-Milan 8-2

 

27 presenze - 0 reti

 

1 scudetto

 

Campione del mondo 1934 con l'Italia

 

 

Luigi Allemandi (San Damiano Macra, 8 novembre 1903  Pietra Ligure, 25 settembre 1978) è stato un dirigente sportivo, allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo difensore. Si laureò campione del mondo con la Nazionale italiana nel 1934.

 

 

Luigi Allemandi
Luigi Allemandi.jpg
     
Nazionalità   Italia
Altezza 182 cm
Peso 75 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex difensore)
Termine carriera 1939 - giocatore
Carriera
Squadre di club
1919-1921   Legnanesi ? (?)
1921-1925   Legnano 85 (22)
1925-1927   Juventus 27 (0)
1927-1928   Inter 10 (0)
1928-1935   Ambrosiana-Inter 183 (0)
1935-1937   Roma 50 (1)
1937-1938   Venezia 23 (0)
1938-1939   Lazio 2 (0)
Nazionale
1925-1936   Italia 24 (0)
1933-1934   Italia B 2 (0)
Carriera da allenatore
1939   Lazio  
1955   Alessandria D.T.
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Italia 1934

 

Carriera

Giocatore

Club

170px-Luigi_Allemandi_-_1933_-_Ambrosian
 
Allemandi in azione nel 1933 all'Ambrosiana-Inter

 

Nato in provincia di Cuneo, si trasferì in giovane età a Legnano con la famiglia. Cominciò la carriera calcistica nei Giovani Calciatori Legnanesi: con il club lombardo partecipò al campionato di Promozione 1919-1920 e a quello di Prima Categoria 1920-1921 (eliminatorie Lombardia). Poi passò al Legnano, allora club di Prima Divisione, disputando il campionato C.C.I. del 1921-22. Con la squadra lombarda, che arrivò in più occasioni a sfiorare le finali della Lega Nord, riuscì a mettersi in luce a tal punto da essere acquistato dalla Juventus nel 1925.

In maglia bianconera, eccellendo in coppia difensiva con Virginio Rosetta e assieme al portiere Gianpiero Combi, stabilì nella vittoriosa stagione 1925-26 il record d'imbattibilità del calcio italiano (934'), poi superato novant'anni più tardi da un'altra retroguardia juventina, quella Buffon-Barzagli-Bonucci-Chiellini (974'), e fu convocato per la prima volta in nazionale. Durante il girone finale del campionato successivo venne coinvolto in un episodio di corruzione ai danni della propria squadra in un derby contro i rivali del Torino, per cui fu inizialmente squalificato a vita salvo poi essere amnistiato già nel 1928, pur avendo professato sempre la propria estraneità ai fatti.

Precedentemente allo scandalo in cui venne implicato, fu ingaggiato dall'Ambrosiana, la squadra per cui faceva il tifo, e poi richiamato in nazionale a sostituire Umberto Caligaris. Con la maglia della nazionale arrivò così alla conquista della Coppa del Mondo. In maglia nerazzurra vinse lo scudetto del 1929-30 e fu ceduto alla Roma nel 1935.

Giocò due anni in giallorosso e anche in nazionale, nella quale raggiunse le 24 presenze, alcune delle quali anche da capitano, venendo poi sostituito dal giovane juventino emergente Pietro Rava. Nel 1937 passò per un anno al Venezia in Serie B per concludere la carriera da calciatore in massima serie, in qualità di rincalzo, nella Lazio, disputandovi due soli incontri.

Nazionale

Debuttò in Nazionale A il 4 novembre 1925, nella gara amichevole contro la Jugoslavia. Il 3 marzo 1929 scese in campo contro la Cecoslovacchia in una gara valida per la Coppa Internazionale, contribuendo in tal modo alla vittoria italiana del trofeo.

 

LuigiAllemandi.jpg
 
Allemandi in Nazionale

 

Titolare con i gradi di capitano contro la Grecia nella gara valida per le qualificazioni al campionato mondiale di calcio 1934, fu convocato per partecipare alla manifestazione. Giocò titolare tutte e cinque gli incontri giocati dall'Italia, inclusa la finale contro la Cecoslovacchia che diede agli azzurri il primo titolo mondiale.

Dall'ottobre del 1935 divenne capitano della nazionale, contribuendo alla vittoria della Coppa Internazionale 1933-1935. L'ultimo incontro in maglia azzurra fu l'amichevole contro la Cecoslovacchia disputata a Genova il 13 dicembre 1936: totalizzò così 24 gare in nazionale (9 delle quali con i gradi di capitano), senza mettere a segno reti.

Giocò inoltre due partite con la Nazionale B, debuttandovi il 3 dicembre 1933.

Allenatore e dirigente

Nella stagione 1938-39, dopo le due presenze da calciatore, intraprese, in coppia con il direttore tecnico argentino Alfredo Di Franco, l'esperienza di allenatore dei biancocelesti guidando la Lazio per 12 incontri, di cui 11 in campionato e uno in Coppa Italia.

Fu direttore tecnico dell'Alessandria nella stagione 1955-56, in occasione della partita Livorno-Alessandria (2-1).

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

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163340087_juve1921.png.3d852f041459b46cad82d4616305b07e.png LUIGI ALLEMANDI 

 

rosetta%2Bcombi%2Ballemandi.jpg

 

 

 

«Era una forza scatenata della natura. – scrive Sergio Di Battista su “La Storia della Juventus” – Portava la zazzera ricciuta e aveva del diavolo. I suoi spunti veloci impressionavano come i suoi balzi acrobatici, Entrava primo sull’avversarlo lanciato al gol ed erano veri sfracelli. Se poi gli toccavano il Pepp Meazza nell’area opposta, partiva lui digrignando a render noto che un altro colpo sarebbe stato restituito con ingenti interessi».

Così Gianni Brera racconta Luigi Allemandi, detto Gigi, classe 1903, nato a pochi chilometri da Cuneo, campione del mondo, compagno di Eraldo Monzeglio in una di quelle celebri coppie di terzini immortalate nel gran libro delle leggende. Prima c’erano Rosetta e Caligaris, poi sarebbero venuti Foni e Rava. E ancora Burgnich-Facchetti, Gentile-Cabrini...
Come Burgnich, anche Allemandi fu di passaggio alla Juventus prima di approdare ai fasti di un mondiale sotto altri colori societari, curiosamente sempre gli stessi, quelli dell’Inter.
In maglia bianconera Allemandi visse due stagioni, il tempo di vincere uno scudetto e di diventare un caso nazionale, legato allo scandalo più famoso dei nostri campionati, quello che gli albi d’oro ricordano con un sibillino: Torino sette titoli più uno revocato.
Erano i tempi di «profumi e balocchi». Nel Genoa giocata un altro terzino, Renzo De Vecchi, dal soprannome vagamente ambizioso: «il figlio di Dio».
Lo scudetto, nella Juve, Allemandi lo vinse subito. Aveva poco più di vent’anni ed era già un veterano. In serie A – la serie A di allora, nella quale giocavano anche l’Esperia e la Rivarolese – aveva debuttato con i colori del Legnano: in occasione di una memorabile vittoria sulla Juventus aveva anche segnato un gol, su rigore, a Combi, suo futuro compagno. Uno dei rari gol di una lunga carriera sotto molte bandiere. Partì titolare, prima a fianco di Gianfardoni (lo avrebbe ritrovato nell’Ambrosiana), poi del grande Rosetta, infine di Ferrero.
Che lo facessero giocare a destra o a sinistra, per lui era indifferente, sapeva battersi con la stessa classe. Scatto straordinario, lunghe respinte che spesso si trasformavano in rilanci per l’attacco, soprattutto tanta grinta.
Il pasticciaccio arrivò l’anno successivo, nell’estate del 1927, con la Juve impegnata a difendere il suo scudetto nel girone finale del torneo, tra rivali di gran nome, il Bologna e il Genoa, l’Inter, il Milan e il Torino.
Accadde proprio in occasione del derby. Allemandi ne avrà parlato mille volte prima di morire, sulla soglia dei settantacinque, a Pietra Ligure, dove si era messo a fare il rappresentante di commercio: «Abitavo in una pensione della piazzetta Madonna degli Angeli. Studiavo legge, mio padre era notaio. La Juve mi dava 400 lire al mese, mi bastavano...».
Quelli del Torino gliene offrirono cinquantamila per favorire la loro vittoria. Avrebbe potuto comprarsi cinque «Balilla» appena uscite dalla Fiat.
«Già nella partita di andata, che avevamo vinto uno a zero – raccontava – c’era stato del losco. Il geometra Monateri, dirigente bianconero, ci aveva avvertito: sapeva che qualcuno aveva tentato di comprare dei giocatori della Juve. State in gamba, disse, se vi pesco siete finiti».
Venticinquemila, si dice, le prese subito. O meglio le prese uno studente del politecnico, amico e coinquilino, che agiva da intermediario. Il resto sarebbe venuto dopo la partita. Allemandi, invece, giocò troppo bene per meritarsi tutto il premio della corruzione. E benché avesse vinto (due a uno, primo tempo in svantaggio, pareggio su rigore per un fallo che non fu di Allemandi) il Torino si rifiutò di saldare il conto a quel reprobo che, in realtà, era stato uno dei migliori in campo.
La vicenda, a questo punto, cominciò a diventare un «giallo» vero e proprio con gli investigatori della Federcalcio che frugavano nei cestini della pensione di piazza Madonna degli Angeli. Qui, si diceva, in un’atmosfera da amore e ginnastica, presenti lo studente e un giornalista romano, era maturato lo scellerato patto. Qualcuno aveva orecchiato al muro e saltarono persino fuori i frammenti di una lettera nella quale il giocatore reclamava il suo credito. Non mancarono contorni grotteschi: la storia fu addebitata all’eccesso di zelo di alcuni dirigenti del Torino, che avevano saputo di una innocente – quella sì – scommessa tra i presidenti delle due società, Edoardo Agnelli e il conte Marone, in palio nientemeno che una cena, ospite il principe di Piemonte.
Al Torino fu tolto lo scudetto, Allemandi venne squalificato a vita. Quando arrivò la sentenza, dopo un’istruttoria durata quattro mesi, il giocatore aveva già lasciato la Juventus. Era stato ceduto all’Ambrosiana-Inter.
Rimase lontano dai campi solo un anno. Venne la grazia (per lui, ma non per il Torino), chiesta dalla madre con una lettera toccante e favorita dall’euforia per i successi della Nazionale all’Olimpiade di Amsterdam. Gli ambienti del palazzo continuarono a sostenere che le prove dell’inchiesta erano state schiaccianti.
Negli anni, lui, il vecchio terzino che aveva spaventato due generazioni di attaccanti, avrebbe continuato a ripetere, scuro in volto, con quel suo eterno cruccio in fondo al cuore: «Cose vecchie, cose vecchie. C’è stato del marcio, è vero, ma il responsabile non sono io. Sono stati altri. Ho cercato invano chi avrebbe potuto scagionarmi: è morto».

VLADIMIRO CAMINITI
Storia di un campione che non fu mai capito, si potrebbe intitolare il suo personaggio. «Faceva paura, era un pazzo favoloso», dice di lui Farfallino Borel con nostalgia. E aggiunge: «Era anche un grosso personaggio». In realtà, fu un grandissimo terzino.
Forte come una compagnia di fanti animati dal così detto ideale, spazzò intrepidamente e fu il migliore in campo nel derby Torino-Juventus 2-1 del 5 giugno 1927 al campo di Corso Marsiglia che doveva calamitargli addosso la prima inchiesta federale del romanzo del calcio, difendendosi con il comportamento in campo ma non bastando davanti all’evidenza di accordi presi nella stessa pensione dove alloggiava con emissari del Torino che forse temevano la caparbietà di questo campione coraggioso sul serio, che non si aiutava gridando come faceva Berto Caligaris, ma a tutto campo spezzava e spazzava, con pedate possenti che rompevano peroni, in tempi in cui i giocatori andavano in campo con parastinchi tripli e si menava gloriosamente e poi si scherzava sui menati e chi si tirava indietro era un vile e questo fu il calcio radioso della Madama anni Trenta, stile ma anche animalità, virulenza, il presunto barone Mazzonis non perdonando una licenza poetica e zittendo col suo prestigio, che gli derivava dal fatto di poter disporre della piena fiducia di Edoardo Agnelli, anche i Combi e Rosetta.
Vestì ventisei maglie azzurre, ventiquattro da moschettiere, esordendo a Padova contro la Jugoslavia in coppia con Bellini, Schiavio centravanti, lo sterminato dribblatore Cevenini III detto Zizì mezzala sinistra, contendendo la maglia al più appariscente Berto Caligaris, che lo aveva sostituito alla Juve dopo il fattaccio, fu protagonista dei memorabili match della primavera 1932 a Parigi e Budapest contro Francia e Ungheria, rilevato poi dal bolognese Gasperi e dall’irriducibile Caligaris, tornava in Nazionale contro la Grecia nell’aprile del 1934 in tempo per essere preso in considerazione, come terzino dell’Ambrosiana, per la prima conquista storica del nostro calcio: il campionato del mondo organizzato dal PNM con tutti i fori cadenti dell’antica romanità convocati sul posto e comandati di fare da cornice.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2012/11/luigi-allemandi.html

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