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Pietro Rava

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Joined: 31-May-2005
141 messaggi

99p8qv.jpgPIETRO RAVA

 

Afbeeldingsresultaat voor pietro rava juventus

 

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Rava

 

 

I ragazzi torinesi abitanti nel rione della “Crucetta” ed in quelli della periferia occidentale della città, avevano un numero relativamente alto di campi sui quali giocare a calcio; il più frequentato, tuttavia, era il campo del “Dopolavoro Ferroviario”, in corso Parigi, l’attuale corso Rosselli. Proprio sul terreno dei “Ferrovieri”, la squadra che non aveva nelle proprie file un ragazzone che si chiamava Piero Rava, aveva diritto a giocare con un uomo in più, per il semplice fatto che Rava valeva il doppio.

Rava abitava a cento metri dal campo del Dopolavoro Ferroviario (il papà di Piero era capostazione a “Porta Susa”), mentre a poco più di duecento metri in linea d’aria c’era il campo in corso Marsiglia, dove giocava la Juventus, squadra per la quale, inutile dirlo, il ragazzone faceva il tifo.

Rava diceva: «Lasciando aperta la finestra della mia camera, mi arrivava molto chiaro il grido d’incitamento della folla. Quando sentivo l’urlo irrefrenabile dei tifosi, capivo benissimo che la Juventus aveva segnato».

Il campo di corso Marsiglia era vicino a quello di corso Parigi, ed era frequente che alcuni soci bianconeri andassero sino al terreno dei “Ferrovieri” per dare un’occhiata ai molti ragazzi che prendevano a calci un pallone. Fra questi soci c’era un certo Greppi, il quale rimase immediatamente impressionato dalla velocità di quel giocatore dai capelli biondi che giocava all’ala sinistra: un atleta dalla forza incredibile, foga che, dopo le prime battute di gioco, conferiva al viso del ragazzo tinte infuocate. “Pierone”, infatti, dopo cinque minuti dall’inizio della partita, diventava addirittura paonazzo, colore che dava in certo qual modo la misura della straripante passione del giovanissimo calciatore.

Greppi aveva informato un dirigente juventino che si occupava delle squadre minori: Maccagno, factotum del Gruppo Anziani Juventus, questi andò a vedere un paio di partite nelle quali era impegnato Rava ed ebbe anche qualche colloquio con il giocatore. Piero Rava venne anche convocato per alcuni provini alla Juventus, tuttavia, per un certo periodo di tempo non ebbe più alcuna comunicazione da parte della società. Rava, come raccontava qualche tempo più tardi, ebbe la sensazione di essere stato scartato e trascorse un paio di mesi molto arrabbiato; avrebbe, infatti, pagato di tasca sua per indossare la maglia bianconera della Juventus.

Invece la Juventus si rifece viva, tesserò Rava e lo mise a disposizione di Armano, ex terzino della squadra che nel 1905 aveva vinto il primo scudetto, che era in quegli anni l’allenatore della squadra ragazzi e vide immediatamente che il ragazzo possedeva ottime qualità. Nonostante ciò fu deciso il temporaneo trasferimento del giocatore alla Virtus, società affiliata alla Juventus.

Tornò bianconero per l’esordio nella stagione 1935/36, quando Rava aveva appena diciannove anni. Nella Juventus di quegli anni c’erano ancora parecchi vecchi campioni pluriscudettatti, come Rosetta, Varglien, Monti, Bertolini, Borel, Varglien II° e Serantoni. C’erano anche Foni e Guglielmo Gabetto, inseparabile amico di Piero, cresciuto con lui nella squadra bianconera dei ragazzi.

Così Rava raccontava la sua gara d’esordio: «La squadra aveva pareggiato in casa con il Bologna, per 0-0, nel corso della quale si era leggermente infortunato Rosetta. L’allenatore decise allora di spostare Foni a destra e di farmi debuttare nella successiva partita da giocarsi in trasferta contro la Fiorentina. Nel primo tempo la Juventus giocò un ottimo calcio e concluse in vantaggio, grazie ad un goal di Varglien I°, la prima frazione. Nella ripresa la Fiorentina riuscì a pareggiare con un goal realizzato dalla mezzala sinistra Scagliotti. Io me la cavai egregiamente, Rosetta guarì velocemente e per undici incontri consecutivi fu riformata la coppia con “Viri” a destra e Foni a sinistra. Fu poi nel febbraio del 1936 che disputai la seconda partita, quella volta in coppia con Rosetta. Risultato di gara decisamente negativo, perché la Lazio, a Roma, ci inflisse una secca sconfitta per 3-0. Ma intanto anche altri personaggi importanti si erano accorti di me. Non vi sto a dire la mia enorme soddisfazione nel vedermi convocato da Vittorio Pozzo nella squadra che avrebbe disputato il torneo calcistico alle Olimpiadi di Berlino».

L’esordio in campo internazionale al “Post Stadion” di Berlino, fu emozionante, quasi drammatico: la squadra azzurra, infatti, trovò incredibili difficoltà a battere la squadra degli Stati Uniti. Gli americani, decisamente inferiori in linea tecnica, impostarono la partita sotto il profilo agonistico, costellando ogni azione con interventi decisi e scorretti. Rava, manco a dirlo, si trovò a nozze, ma incorse addirittura in un’espulsione. «All’ottavo minuto della ripresa, per contendere una palla alta, entrai a gamba tesa e colpii la mezzala destra americana, tale Namechik, ad una spalla; era un’azione scorretta, ma indubbiamente involontaria, con conseguenze volutamente esagerate da parte del giocatore americano e massimamente dall’arbitro, che accorse e mi indicò la via degli spogliatoi. Rimasi accovacciato sui gradini degli spogliatoi per seguire l’andamento della partita, facendo un tifo sfegatato. Per fortuna Frossi segnò e riuscimmo a passere il turno».

Fortunatamente Rava non fu squalificato e poté quindi disputare tutte le altre gare, quella con il Giappone (3-0), con la Norvegia (2-1 dopo i supplementari) e l’ultima trionfale contro l’Austria (ancora 2-1, dopo i supplementari ).

Le partite al calor bianco furono sempre la specialità dell’indomabile terzino della Juventus; alla sua apparizione nella nazionale maggiore, in coppia con Monzeglio al “Prater” di Vienna, il 21 marzo 1937, si trovò a fronteggiare le indiscriminate scorrettezze degli austriaci. In maglia azzurra “Pierone” inanellò 24 presenze consecutive e concluse poi a quota 30, dopo il vittorioso incontro di Milano contro la Spagna: 4-0.

Piero Rava, dopo essere stato campione olimpionico nel 1936, diventò anche campione del mondo nel 1938, ai mondiali di Parigi. Il fatto di aver conseguito la laurea mondiale giustificò alcune pretese di carattere economico. Un terzino campione del mondo non poteva essere pagato come riserva: così il biondo Piero iniziò una specie di sciopero, non giocando come la sua immensa classe gli avrebbe consentito. Ciò avvenne nel campionato 1938/39 e dopo la sconfitta subita a Modena (2-0) il 5 febbraio 1939, la Juventus decise di punire il giocatore, lasciandolo fuori squadra fino alla fine del campionato, tra i commenti compiaciuti dell’indignatissima stampa torinese.

«Io volevo essere considerato fra i titolari, cioè professionista», racconta Rava, «da anni mi dedicavo al calcio con tutto me stesso; avevo cominciato da piccolino, proprio con la Juventus, mio solo amore, perché quei dirigenti non potevano accontentarmi? Così, a Modena, decisi di fare sciopero ed incrociai le braccia; non mi vergogno di averlo fatto. Erano tempi difficili e, per noi calciatori, poteva esserci la gloria, non la ricchezza; all’avvenire dovevo pur pensarci, intendevo mettere su famiglia».

Erano tempi molto difficili: «Era un derby, nel campionato 1944/45», racconta Piero, «Valentino Mazzola, arrabbiatissimo per un tunnel subito da Felice Borel, tenta vanamente di sferrargli una “carezza” a gioco fermo. Nasce subito una rissa, nella quale sono coinvolti una decina di giocatori e che termina con l’ingresso in campo delle milizie fasciste, che ci dividono. Contemporaneamente, udimmo dagli spalti l’inconfondibile boato provocato dalle sventagliate delle mitragliatrici, imbracciate da altri militanti del partito fascista; essi, infatti, non avevano trovato migliore soluzione per dissuaderci dalla nostra lite furibonda. Tutto il pubblico, scosso dalla paura, scappò dallo stadio e, noi giocatori, terminammo l’incontro in assoluta solitudine. Ovviamente, il giorno dopo nessun giornale riportò la notizia».

Rimase alla Juventus fino al 1950, totalizzando 316 presenze, arricchite da 14 goal; ci lascia nel novembre del 2006, mentre la Juventus sta festeggiando il suo 109° compleanno.


INTERVISTATO DA MAURIZIO TERNAVASO, SU "HURRÀ JUVENTUS" DEL SETTEMBRE 1988:

Seppure settantaduenne, il signor Rava, piemontese vecchia maniera, particolarmente gentile ed affidabile, pare ben più giovane: fonti solitamente ben informate mi hanno riferito di aver scorto quest’inverno la vecchia gloria mentre praticava il jogging nelle vicinanze del “Comunale”.

Signor Rava, che cosa ha implicato emotivamente la vittoriosa partecipazione alle Olimpiadi di Berlino? «Ha rappresentato sicuramente l’affermazione più prestigiosa della mia carriera, avendomi provocato una soddisfazione personale superiore a quella provata vincendo due anni dopo i Mondiali; sa, la squadra del 1936 era composta quasi totalmente da giovani provenienti dalla serie C, e per di più nessuno aveva mai giocato in Nazionale: immagini quindi la sorpresa».

Crede che la presenza del calcio alle Olimpiadi di oggi sia snaturata o perlomeno diversa rispetto a quanto accadeva prima della Seconda Guerra? «Oh, non c’è paragone! Allora vigeva tra noi una gran voglia di giocare ed aleggiava il vero spirito decoubertiniano in una sorta di romanticismo dello sport; ora tutto è legato esclusivamente all’interesse monetario, la medicina chiamiamola sportiva ha fatto passi da gigante e l’ingresso dei munifici sponsor ha spoetizzato completamente anche un avvenimento quale l’Olimpiade. L’unico Dio pare oggi essere il denaro e, secondo me, ciò denota un pericoloso venir meno dei più genuini valori dell’umanità».

Ha avuto modo, in questi ultimi anni, di rivedere i compagni di quella avventura? E che cosa vi ha reso, in termini estremamente concreti, quella vittoria? «Purtroppo sono passati tanti, troppi anni da allora, e molti di loro sono mancati; inoltre non ho la possibilità di incontrare i sopravvissuti, perché vivono tutti lontano da Torino. Mi chiede di eventuali premi in denaro: ma neanche per sogno, tutto ciò che ottenemmo fu di partecipare a Roma, ovviamente nelle vesti di protagonisti, ad una importante cerimonia voluta da Mussolini nella quale ricevemmo grandi onori».

Chi era Pietro Rava prima che scegliesse di intraprendere la carriera di calciatore professionista? Cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse sfondato in quel mondo? «Ero uno studente che si era iscritto ad Economia e Commercio e che forse avrebbe raggiunto la laurea pur giocando a pallone, se non fosse intervenuta la guerra: ero, infatti, un ufficiale e fui costretto dagli eventi a combattere anche in Russia, paese dal quale riuscii a tornare sfruttando una licenza stranamente concessami proprio per affrontare un esame che, ovviamente, non ebbi il tempo di preparare».

Sia sincero: anche ai suoi tempi si guadagnava bene? «Certo, ma non è assolutamente proponibile un confronto con quello che i giocatori di oggi riescono ad incamerare. Pensi che la vittoria ai Mondiali del 1938 fruttò ad ognuno di noi 10 mila Lire, circa 10 milioni del 1988, mentre il mio ingaggio per un intero campionato raggiunse al massimo le 80 mila Lire: per quanto riguarda i guadagni noi eravamo al livello di medici ed avvocati di buona caratura, mentre oggi molti, terminata la carriera, devono essere considerati dei veri e propri miliardari».

Ritiene che il divertimento provato dai giocatori che vanno in campo e quello di chi assiste agli incontri sia scemato rispetto agli anni in cui lei calcava i terreni di gioco? «In questi tempi perdere consecutivamente due partite provoca il finimondo e ciò fa sì che le tattiche, che a tutti i costi sono strutturate in modo tale da scongiurare un evento del genere, uccidano lo spettacolo ed il divertimento: spesso i giocatori paiono degli autonomi tenuti per le redini, perché si dimostrano privati della libertà di spaziare in ogni parte del campo; senza contare inoltre che le marcature sono diventate davvero troppo assillanti. Negli anni quaranta le tattiche permettevano ad ognuno di noi di sviluppare al meglio il proprio talento naturale e la personalità calcistica, sicché si poteva assistere domenicalmente ad incontri ricchi di emozioni e di reti e dall’andamento estremamente incerto».



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/01/pietro-rava.html

 

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L'ULTIMO EROE

LA SCOMPARSA DI PIETRO RAVA

Riportiamo una delle ultime interviste dell'ultimo dei campioni

del mondo del 1938 e oro olimpico a Berlino nel 1936.

 

 

Pietro Rava - Alchetron, The Free Social Encyclopedia

 

 

 

Era stato Campione del Mondo nel 1938 in Francia e di quella squadra allenata da Pozzo e vittoriosa in finale contro l'Ungheria era appunto l'unico superstite e da non dimenticare l’oro olimpico di due prima a Berlino. Quella vittoria nel '36 apriva il palmares di Rava, che fu anche campione d'Italia 1949-50 con la Juventus. Avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 21 gennaio ed era dunque l'ultimo superstite della generazione vincente degli anni Trenta, "ultimo protagonista di un calcio epico".

Pietro Rava aveva totalizzato 321 presenze in maglia bianconera: 303 secondo le statistiche ufficiali, che non conteggiano 18 sostituzioni nel corso della partita.
Era il decano degli ex giocatori della Juventus, di cui è uno delle icone della storia societaria. Lo stesso Avvocato Gianni Agnelli, nel 1999, nella prefazione di una biografia del giocatore aveva detto: "Piero Rava sarà sempre ricordato come un simbolo della Juventus e un uomo che ha fatto la storia della società bianconera". E non solo.


D: Una vittoria in un mondiale avvenuta quasi settanta anni fa; secondo lei se ne parla poco, ancora oggi, di quei Mondiali?

R: Bè, sa, ci sono pochissimi filmati e solo qualche fotografia. Tutti, o quasi tutti, quelli che erano presenti sono morti. Si vive di ricordi, di articoli di giornali. E si vive anche di numerose pubblicazioni, pubblicate sempre in prossimità dell'inizio di un mondiale.

D: Cosa vuol dire per un giocatore del 1938 vincere un Campionato del Mondo?

R: Voleva dire tutto. E’ la più grande soddisfazione che un giocatore può avere nella sua vita. Io l’ho avuta, e non è da poco. Ricordi però una cosa, molto importante. Eravamo in pieno fascismo e soprattutto eravamo tutti impregnati di grande spirito fascista. Dovevo giocare per vincere. Non c’erano scuse. Il Duce era stato chiaro e preciso. Dovevamo farlo soprattutto per il regime, forse anche prima della propria soddisfazione personale. E poi un’altra cosa. Ogni volta che vedo Del Piero, Vieri e Totti indossare quella maglia azzurra con 3 stellette d’oro sul petto mi inorgoglisco, perché una è anche merito mio.

D: Lei ha giocato proprio la finale mondiale di Francia ’38. Cosa ricorda di quell’anno e di quel campionato?

R: Del 1938 ho nitida l’emozione della mia prima Coppa Italia, vinta con la Juventus nel maggio di quello stesso anno. Ci aggiudicammo il titolo al termine di una appassionante sfida contro i granata, in un doppio scontro cittadino davvero particolare: 3 a 1 al Filadelfia, e per 2 a 1 al Mussolini, l’attuale Comunale che fra poco più di due anni ospiterà le cerimonie delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Purtroppo, sempre nel 1938, non vincemmo il Campionato. Per due soli punti si impose l’Ambrosiana. Ma in quello stesso giugno mi sono ampiamente rifatto con il titolo mondiale appunto, dove ho giocato tutte le partite e quindi la finale. I francesi non ci amavano molto a causa del nostro regime fascista e il nostro ingresso sul campo di gioco nella partita inaugurale di Marsiglia contro la Norvegia fu accompagnato da rumorosi fischi. Poi proprio i francesi furono sconfitti nello scontro diretto di Parigi, ma noi, molto modestamente, eravamo decisamente più forti di loro. Vincemmo grazie a due reti di Piola. Superammo poi il presuntuoso Brasile in semifinale e la fortissima Ungheria nella finale e alla fine piovvero applausi, i fischi non ci furono più.

D: Il suo primo ricordo quando pensa a quei Mondiali?

R: Sicuramente il fischio finale e la premiazione, le foto di rito. Ma una cosa ho ancora nelle orecchie. I fischi di Marsiglia. Quelli non li scorderò mai. Provi lei ad entrare in uno stadio che ti fischia nel momento dell’entrata in campo! Non sono mica fischi qualunque, quelli!

D: Cosa accadde dopo quella finale?

Rientrammo in Italia, in treno. Sa, era il 1938, non è come ora che avviene tutto con l’aereo privato della società o della FIGC. La prima tappa del nostro trionfale tragitto fu la mia Torino, per ovvi motivi di vicinanza frontaliera. A Torino fummo accolti a Porta Susa nientemeno che da mio padre, che era capostazione. Fummo poi ricevuti a Roma, la Capitale, a Palazzo Venezia, dal Duce. Mussolini ci ringraziò per il servizio reso alla Patria. Il mio compenso fu una pergamena e un premio di Lire 8.000. Con quei soldi mi comprai l’auto nuova, una Topolino 9500. Davvero altri tempi!

Andrea Parodi


GolCalcio.it

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1938 World Cup Champions - Italy Quiz - By mucciniale

 

Italia campione del mondo 1938

Pietro Rava é il terzo accosciato da destra

 

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Oro olimpico a Belino nel '36, sul tetto del mondo con Vittorio Pozzo
 
Morto Rava, ultimo dei campioni del '38
 
Da calciatore totalizzò 330 presenze con la maglia della Juventus di cui era ormai da tempo il decano

 

Morto Rava, ultimo dei campioni del '38 - Corriere della Sera

 

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 1807831353_juventus1931.jpg.ecedc2069925fe82e9e21a496f733428.jpg PIETRO  RAVA

 

File:Pietro Rava - FBC Juventus 1935-36.jpg - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Rava

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Cassine (Alessandria)
Data di nascita: 21.01.1916

Luogo di morte: Torino

Data di morte: 05.11.2006
Ruolo: Difensore
Altezza: 175 cm
Peso: 77 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Pierone

 

 

Alla Juventus dal 1935 al 1946 e dal 1947 al 1950

Esordio: 03.11.1935 - Serie A - Fiorentina-Juventus 1-1

Ultima partita: 19.03.1950 - Serie A - Juventus-Torino 4-3

 

330 presenze - 15 reti

 

1 scudetto

2 coppe Italia

 

Campione del mondo 1938 con la nazionale italiana

 

 

Pietro Rava (Cassine, 21 gennaio 1916  Torino, 5 novembre 2006) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo terzino sinistro metodista.

Cresciuto nel settore giovanile della Juventus, debuttò con la prima squadra bianconera nel 1935, militando nel club per quindici stagioni fino a diventarne capitano e ottenendo uno scudetto (1949-1950) e due Coppe Italia (1937-1938 e 1941-1942). All'esperienza juventina inframezzò un passaggio all'Alessandria nella stagione 1946-1947, per poi concludere la propria attività agonistica col Novara nel 1952.

Con la nazionale italiana vinse il torneo olimpico di Berlino 1936 e il titolo mondiale di Francia 1938, divenendo con Sergio Bertoni, Alfredo Foni e Ugo Locatelli uno degli unici quattro calciatori italiani ad aver conquistato entrambi gli allori.

Definito dall'allora commissario tecnico della squadra azzurra, Vittorio Pozzo, «il più potente terzino del mondo», è ricordato per aver formato col già citato Foni una delle più celebri coppie difensive espresse dalla Juventus e, più in generale, dal calcio italiano nella sua storia.

 

Pietro Rava
Pietro Rava - FBC Juventus 1935-36.jpg
Rava alla Juventus nella stagione 1935-1936
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 175 cm
Peso 77 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex difensore)
Termine carriera 1952 - giocatore
1964 - allenatore
Carriera
Giovanili
1929-1935   Juventus
Squadre di club
1935-1946   Juventus 230 (12)
1946-1947   Alessandria 38 (5)
1947-1950   Juventus 100 (3)
1950-1952   Novara 25 (1)
Nazionale
1935-1946 Italia Italia 30 (0)
Carriera da allenatore
1951-1952   Novara Giovanili
1952   Padova  
1953   Carrarese P. Binelli  
1953-1954   Padova  
1954-1955   Cuneo  
1955-1956   Simmenthal-Monza  
1956-1957   Sampdoria  
1957   Palermo  
1958-1959   Simmenthal-Monza  
1961-1963   Alessandria  
1963-1964   Biellese  
Palmarès
 
Olympic flag.svg Olimpiadi
Oro Berlino 1936
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Francia 1938

 

Biografia

Nacque a Cassine da una famiglia trasferitasi temporaneamente nel paese dell'Alessandrino per gli impegni lavorativi del padre, un funzionario delle ferrovie originario di Magliano Alfieri. Cresciuto a Torino, nel quartiere Crocetta, si diplomò geometra all'Istituto Germano Sommeiller e, dimostrato un precoce talento per il calcio, entrò adolescente nelle giovanili della Juventus. La sua carriera decollò rapidamente: come studente appartenente ai Gruppi Universitari Fascisti (iscritto alla Facoltà di Economia, non sostenne alcun esame) fu convocato ai Giochi Olimpici del 1936, in cui l'Italia vinse la medaglia d'oro.

Militò per quasi tutta la sua carriera nella Juventus, fatta eccezione per due brevi parentesi nell'Alessandria e nel Novara; con la nazionale vinse la Coppa del Mondo nel 1938. Dei torinesi, coi quali vinse uno scudetto e due Coppe Italia, è ricordato tra i calciatori più rappresentativi, malgrado una «convivenza calcistica tra società e giocatore non sempre agevole»: Gianni Agnelli parlò di lui come di «un simbolo della Juventus e uno degli uomini che ha fatto la storia bianconera», e nel 2010 fu tra i cinquanta giocatori scelti dai tifosi per essere inseriti nel Cammino delle stelle presente all'interno dello Juventus Stadium.

Durante la Seconda guerra mondiale partecipò volontariamente alla Campagna di Russia come ufficiale. Ricordò nel 2003, in un'intervista alla Repubblica: «avevo perso degli amici in combattimento, pensai che dovevo fare qualcosa anch'io. Ma dopo sei mesi in Ucraina approfittai di una licenza per tornare in Italia. Dalla guerra uscii rovinato». Dopo il conflitto giocò ancora per diversi anni; chiusa la carriera nel 1952, allenò varie formazioni gestendo contemporaneamente a Torino un negozio di articoli sportivi con l'amico ed ex compagno di squadra Carlo Parola. «Timido e riservato», si ritirò infine a vita privata, «con il rammarico di essere stato talvolta dimenticato», «trovando nella pesca il suo grande passatempo»; negli anni 1960 divenne titolare di una scuola guida a Rivoli. Nel 2003 fu insignito del titolo di Commendatore all'Ordine al merito della Repubblica italiana.

Colpito nel 1998 da un infarto, ebbe il fisico debilitato negli ultimi anni della sua vita dalla malattia di Alzheimer; morì all'Ospedale Martini di Torino nel 2006, a novant'anni, non essendosi ripreso da un intervento al femore che si era reso necessario dopo una caduta. Lasciò la moglie Gianna e una figlia, Carla. All'epoca della scomparsa era l'ultimo calciatore in vita tra coloro che avevano vinto il Mondiale nel 1938; nel 2015 gli furono intitolati i giardini pubblici di via Piobesi, a Torino.

Rava è stato sepolto nel Cimitero Parco di Torino.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

220px-Pietro_Rava_colpo_di_testa.jpg
 
Un colpo di testa di Rava

 

Descritto da Carlo Felice Chiesa «fisicamente prestante, forte di testa, capace di colpire con entrambi i piedi, abile nell'anticipo» era un terzino «asciutto nel gesto, spiccio nelle entrate, agile nelle incursioni offensive ma sempre con la sbrigatività dell'interdittore di vocazione». Ettore Berra ha paragonato nel 1938, sul Calcio Illustrato, lo «slancio» di Rava a quello di Umberto Caligaris: le sue entrate erano spettacolari («affronta l'avversario impetuosamente con quella sua irrompente foga così bella e suggestiva»), il tiro potente («la gamba si distende nel rinvio per raggiungere la massima potenza di tiro») e frequentemente si concedeva incursioni offensive «passando in tromba i mediani e giungendo fino al settore avanzato». Lo stesso Berra ha evidenziato le differenze col compagno di reparto Foni, il cui stile di gioco era «più compassato, più controllato»: a suo giudizio, «le doti dei due giuocatori si completavano a vicenda».

Un'altra descrizione è fornita dal giornalista Alberto Fasano: «colpiva benissimo la palla ed entrava in mischia come doveva fare un terzino avanzato, con energia molto vicina alla truculenza. Saltava molto bene di testa e non aveva paura di nulla e di nessuno. La sua compostezza stilistica era addirittura superiore a quella di Caligaris e di Allemandi, suoi predecessori in azzurro». Giulio Nascimbeni ricordava le sue violente rovesciate, paragonate dai cronisti dell'epoca a «grandi cucchiaiate nell'aria».

Di se stesso disse: «ero un giocatore potente, mancino, in campo non mi sono mai tirato indietro». L'aneddotica lo ricorda anche come protagonista di alcuni episodi di rissa, come quelli avvenuti in un derby del 1946 e in una gara del 1947 contro l'Inter, in cui colpì con un pugno indirizzato a Benito Lorenzi (reo di aver rivolto uno sputo a Boniperti) un incolpevole Quaresima.

Allenatore

Ha scritto di Rava La Stampa nel 1958: «allenatore coscienzioso e scrupolosissimo [...] non cerca innovazioni avventate per sbalordire. Ha insegnato ai calciatori che gli sono stati affidati uno dei concetti-base che egli stesso ha ricevuto da grandi allenatori del passato, al tempo dei suoi campionati in maglia juventina: quello della costante preoccupazione difensiva». Il Monza da lui guidato nella stagione 1955-1956 si distinse per «il suo contropiede» considerato «un numero di attrazione per praticità, rapidità, modernità».

Carriera

Giocatore

Club

1935-1946: la prima esperienza alla Juventus
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Rava (al centro) nello spogliatorio bianconero tra gli anni 1930 e 1940

 

Fasano ricordò il giovane Rava muovere i primi passi sul campo del Dopolavoro Ferroviario di corso Parigi, a Torino; per il talento che dimostrava, nelle gare tra i ragazzi della Crocetta «la squadra che non lo aveva tra le proprie fila aveva diritto a schierare un giocatore in più». Segnalato all'allenatore delle giovanili della Juventus Armano, fu tesserato e affidato alla Virtus, una società affiliata.

Dapprima ala sinistra e poi mediano, una volta rientrato alla Juventus l'allenatore bianconero Virginio Rosetta ne intuì il potenziale come terzino sinistro; in tale ruolò esordì in Serie A il 3 novembre 1935, in Fiorentina-Juventus 1-1. Nella Juventus del post-Quinquennio, impoverita dalla scomparsa di Edoardo Agnelli e da varie cessioni, la difesa che Rava andò a formare col più esperto Foni rappresentò un significativo punto di forza: la stagione 1937-1938 si chiuse con la vittoria della Coppa Italia. La coppia di terzini fu convocata anche in azzurro, e conobbe la propria consacrazione con la vittoria nel campionato del Mondo del 1938.

Dopo il Mondiale, essendosi visto rifiutare un aumento di stipendio dalla dirigenza della Juventus, Rava attuò uno sciopero; nel corso del campionato 1938-1939 fornì intenzionalmente prestazioni non sufficienti e, quando gli fu richiesto dal vice presidente bianconero Giovanni Mazzonis maggior impegno nell'intervallo di una gara contro il Modena, il terzino rispose «Giochi lei». Rava finì così per diverse settimane ai margini della squadra che, privata della sua «difesa d'acciaio», non andò oltre un ottavo posto finale. È ricordato come il primo calciatore ad aver scioperato per ragioni d'ingaggio. Ricordò in merito all'episodio: «volevo essere considerato fra i titolari, cioè professionista, da anni mi dedicavo al calcio con tutto me stesso; avevo cominciato da piccolino, proprio con la Juventus, mio solo amore, perché quei dirigenti non potevano accontentarmi? Così, a Modena, decisi di fare sciopero e incrociai le braccia; non mi vergogno di averlo fatto. Erano tempi difficili e, per noi calciatori, poteva esserci la gloria, non la ricchezza».

 

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Rava (in piedi, secondo da sinistra) nella Juventus dell'annata 1940-1941

 

La situazione si risolse attraverso la mediazione della Federazione, che prese atto della marcia indietro di Rava («ha implicitamente riconfermata la propria devozione e il proprio attaccamento alla società») e riconobbe alla Juventus le ragioni di carattere economico. Il terzino fu reintegrato tra i titolari e segnò il suo primo gol in carriera nella stagione 1939-1940, su rigore, il 31 dicembre 1939 al Venezia; contribuì poi alla vittoria di una seconda Coppa Italia nel 1941-1942. La partenza da volontario per l'Unione Sovietica limitò in parte la sua partecipazione ai campionati disputati in tempo di guerra.

1946-1952: Alessandria, ritorno in bianconero e Novara

Quando nel 1946 la Juventus manifestò l'intenzione di sostituirlo col più giovane Oscar Vicich, Rava scelse di abbandonare la Juventus per quella che definì «una specie di ripicca». Riportò all'epoca La Stampa: «i rapporti tra il calciatore "nazionale" e la sua società d'origine si erano tanto tesi in questi ultimi tempi che il trasferimento era proprio inevitabile»: passò dunque per quattro milioni di lire all'Alessandria, neopromossa in A. Scelto come capitano, si ritagliò un ruolo di primo piano: ha scritto Pozzo che «la compagine» faceva «perno su un solo grande nome, quello di Rava». La squadra ottenne la salvezza e il terzino la convocazione in nazionale, destando peraltro l'attenzione di varie squadre metropolitane: «vivamente desideroso di ritornare alla sua società d'origine», si riunì alla Juventus nell'estate 1947. All'Alessandria andarono circa 14 milioni di lire.

 

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Rava all'Alessandria nella stagione 1946-1947, assieme al capitano bianconero Carlo Parola.

 

La seconda esperienza di Rava in bianconero ebbe il suo apice nel «magnifico campionato» disputato nel 1948-1949 e si fece poi più travagliata nella stagione successiva a causa del cattivo rapporto con l'allenatore Jesse Carver: nel 1949 il difensore fu privato della fascia di capitano e nel 1950 fu inserito in lista di trasferimento con un anno di anticipo sulla scadenza del contratto. L'unico scudetto della sua carriera fu vinto, per queste ragioni, da comprimario; in questo periodo di conflitto con la società tenne a dichiarare: «Qualsiasi cosa accada mi sentirò sempre juventino. Ho i colori bianconeri nel sangue». Avendo giocato oltre 300 gare ufficiali con la Juventus, risulta 29º nella classifica dei calciatori più presenti in maglia bianconera.

Richiesto dal Milan, fu dirottato al Novara per non rinforzare il diretto concorrente dei bianconeri. Gli azzurri lo schierarono anche al centro della mediana; giunto a Novara fuori forma, si allenò e giocò con regolarità nella stagione 1950-1951 Rava è una colonna della difesa. Fa piazza pulita in area con i suoi rimandi di settanta metri e la precisione con cui colpisce il pallone indica il giocatore in perfetta efficienza»), per poi passare alla guida delle formazioni giovanili.

Nazionale

A meno di un anno dall'esordio in A, il diciannovenne Rava fu convocato per le Olimpiadi di Berlino del 1936; espulso dall'arbitro Carl Weingärtner nel corso della prima partita contro gli Stati Uniti è il primo giocatore, nella storia della Nazionale italiana, a lasciare il campo anzitempo per decisione dell'arbitro»), non fu squalificato e restò titolare fino alla vittoriosa finale contro l'Austria. La coppia con Foni, definita dalle cronache «la migliore del torneo» per aver contribuito «pienamente alla conquista del titolo olimpico», finì nei mesi successivi per sostituire stabilmente tra i titolari quella formata da Allemandi e Monzeglio.

Convocato per i Mondiali del 1938, Rava definì le quattro partite disputate «memorabili». Dichiarò nel 1999, in un'intervista alla giornalaccio rosa dello Sport: «la partita che non dimentico è Italia-Brasile, il 16 giugno 1938. Era un giovedì, e si giocava alle tre di pomeriggio allo Stadio Municipale di Marsiglia, in Francia. Semifinale della Coppa del Mondo, ma sapevamo che la vera finale era quella partita lì. [...Pozzo] a noi giocatori dava del lei: "Lei, Piero, difenda su Lopes". [...] Nel secondo tempo segnò Colaussi, poi Meazza su rigore, e il Brasile fece gol a pochi minuti dalla fine. Ma il bello è che fu più festa sugli spalti che non in campo». Parlò poi della finale contro l'Ungheria del 19 giugno come di «un 4-2 indimenticabile». Rava fu tra i protagonisti della vittoria: cronisti inglesi scrissero che «lo sbarramento dei terzini italiani era solido come la rocca d'Inghilterra» e il cronista francese Jean Eskenazi lo inserì nella formazione ideale del torneo. Ricordò alla Repubblica: «Mussolini ci regalò una pergamena e ottomila lire, mi comprai una Topolino».

Nel 1940 «l'Italia entrò in guerra, avevo 24 anni, avevo vinto già tutto, ma la mia carriera fu troncata, persi sei anni». Alla ripresa dell'attività internazionale disputò un'unica partita da titolare in azzurro, il 1º dicembre 1946, a Milano (Italia-Austria 3-2); è l'ultimo calciatore dell'Alessandria ad aver indossato la maglia della nazionale maggiore nel periodo della militanza in grigio; particolarmente discussa fu, nel maggio 1948, la sua esclusione dai titolari a favore del giovane Alberto Eliani in occasione di un'amichevole persa per 0-4 contro l'Inghilterra, a Torino.

Di trenta gare disputate in nazionale, ne perse solamente una. In due occasioni vestì la fascia di capitano.

Allenatore

Dopo una breve esperienza nelle giovanili del Novara, Rava debuttò alla guida di una prima squadra col Padova, in Serie B, nella stagione 1952-1953. Esonerato a metà campionato per i risultati negativi ottenuti fino a quel momento, venne immediatamente ingaggiato dalla Carrarese, in IV Serie, e ottenne con la squadra gialloazzurra la promozione in Serie C; questo successo ridestò le attenzioni del Padova, che gli affidò nuovamente la panchina all'inizio del campionato 1953-1954 per poi allontanarlo in modo definitivo nel marzo 1954, con la squadra a rischio-retrocessione; gli subentrò Nereo Rocco.

Nella stagione 1954-1955 ripartì dalla IV Serie, chiamato a campionato in corso dal Cuneo per sostituire Ugo Amoretti; pur in un campionato al di sotto delle aspettative della dirigenza biancorossa, l'esperienza fu considerata positiva e gli valse un nuovo interessamento di una formazione cadetta, il Simmenthal Monza. La squadra brianzola si mise in luce come la rivelazione della stagione 1955-1956 e s'inserì nella lotta per la promozione in A con una squadra dall'età media relativamente bassa e con un'efficace tattica di contropiede.

Nel 1956-1957 Rava fu ingaggiato dalla Sampdoria, nel massimo campionato. L'esperienza fu ricordata dallo stesso allenatore come «l'anno più bello»: «i giocatori mi volevano bene, ma ebbi problemi con il presidente. Era innamorato di Firmani, un indolente che non si allenava [...]. Io preferivo Tortul, e dovetti andare via». Rifiutando di «subire imposizioni in merito alle formazioni», fu esonerato a poche giornate dalla fine, con la squadra blucerchiata sesta in classifica, e rimpiazzato da Amoretti.

Dopo due brevi esperienze in B col Palermo e Monza, tra il 1959 e il 1961 condusse al Centro Tecnico di Coverciano come istruttore i corsi riservati ai tecnici professionisti, lavorando anche col commissario tecnico Giovanni Ferrari alla guida della nazionale maggiore. Ritornò a guidare una prima squadra nel 1961, quando fu ingaggiato dall'Alessandria in B; dopo un primo campionato positivo, nel secondo fu sostituito ai due terzi di torneo da Angelo Franzosi. Al termine di un'effimera esperienza al timone della Biellese, in C si allontanò dal mondo del calcio.

Memoria

La città di Torino gli ha intitolato in data 18 giugno 2015 un'area verde con giochi in zona Lingotto.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

Individuale

Onorificenze

Medaglia d'oro al valore atletico - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al valore atletico
  «1º classificato nella Coppa del Mondo»
— Roma, 1938.
immagine del nastrino non ancora presente Medaglia al valore sportivo del Littorio
  — 1938.
Commendatore Ordine al Merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Commendatore Ordine al Merito della Repubblica italiana
  — 12 marzo 2003. D'iniziativa del Presidente della repubblica.
Modificato da Socrates

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Joined: 04-Apr-2006
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Ícone da Juventus, Pietro Rava foi o último campeão mundial de 1938 a  falecer - Calciopédia

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