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Sergio Cervato

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FIGURINA SIDAM CALCIATORI # 125 - CERVATO SERGIO - JUVENTUS - NUOVA | eBay

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Cervato

 

 

Nazione: Italia 20px-Flag_of_Italy.svg.png
Luogo di nascita: Carmignano di Brenta (Padova)
Data di nascita: 22.03.1929

Luogo di morte: Firenze

Data di morte: 09.10.2005
Ruolo: Difensore
Altezza: 173 cm
Peso: 74 kg
Nazionale Italiano
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1959 al 1961

Esordio: 06.09.1959 - Coppa Italia - Juventus-Genoa 3-1

Ultima partita: 29.06.1961 - Coppa Italia - Juventus-Torino 2-2

 

71 presenze - 13 reti

 

2 scudetti

2 coppe Italia

 

 

Sergio Cervato (Carmignano di Brenta, 22 marzo 1929  Firenze, 9 ottobre 2005) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo difensore.

 

Con 466 presenze in Serie A, è venticinquesimo per numero di apparizioni nella massima serie italiana.

 

Sergio Cervato
Sergio Cervato.jpg
Cervato alla Fiorentina
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 173 cm
Peso 74 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex difensore)
Termine carriera 1965 - giocatore
Carriera
Giovanili
1946-1947 600px Bianco e Rosso.svg Tombolo
Squadre di club
1947-1948   Bolzano 17 (0)
1948-1959   Fiorentina 316 (31)
1959-1961   Juventus 71 (13)
1961-1965   SPAL 91 (7)
Nazionale
1951-1960 Italia Italia 28 (4)
Carriera da allenatore
1966-1967   Pescara
1967-1968   Trani
1968-1970   Empoli

 

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Fu un difensore avvezzo al gol, tanto che nel suo ruolo risulta secondo solo a Giacinto Facchetti per reti segnate in Serie A (45, contro le 59 del connazionale). Si incaricava spesso della battuta dei calci di rigore, e con 19 gol segnati dal dischetto è il miglior rigorista nella storia della Fiorentina; altri 3 li realizzò con la Juventus e 2 con la SPAL, per un totale di 24 penalty trasformati in campionato (su 32 tentativi): grazie a ciò occupa la nona posizione nella classifica dei calciatori con il maggior numero di rigori finalizzati nella massima serie italiana.

Carriera

Giocatore

170px-Sergio_Cervato_nel_1955-56.jpg
 
Cervato festeggia il primo scudetto dei gigliati nel 1956

 

Dopo le prime esperienze calcistiche nelle squadre del paese natale (Lampo di Carmignano e Carmenta), iniziò la carriera di calciatore come terzino sinistro nel Tombolo a 17 anni. Passò tra i dilettanti seguendo le sorti del Bolzano.

Nel 1948 girò l'Italia alla ricerca di una squadra professionistica. Privo del pollice della mano destra, amputato in seguito a un incidente con un attrezzo agricolo in gioventù, fu scartato a un provino della Sampdoria prima di arrivare a Firenze, dove la Fiorentina lo prese. Rimase coi viola fino al 1959 (316 presenze e 31 reti in Serie A, 334 presenze totali). Era infallibile dal dischetto e le sue punizioni a pelo d'erba erano micidiali. Con la squadra toscana conquistò il primo scudetto nella stagione 1955-56, oltre a una Coppa Grasshoppers nella seconda parte del decennio. Giocò inoltre tutte le sette gare della Coppa dei Campioni 1956-1957 persa in finale dai gigliati contro il Real Madrid.

Nel 1959 passò alla Juventus, dove conquistò altri due scudetti giocando da centromediano sistemista – ovvero da centrale in una difesa a tre. Coi piemontesi vinse anche due Coppe Italia, e giocò altre due gare nella Coppa dei Campioni 1960-1961.

 

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Cervato (in piedi, secondo da sinistra) con l'Italia nel 1956

 

Fu anche nazionale, esordendo in maglia azzurra nel 1951, nella partita Portogallo-Italia 1-4. In azzurro accumulò 28 presenze e 4 reti, alle quali si aggiungono altre due gare giocate nel 1955 con la nazionale B. Fu inoltre capitano dell'Italia in 6 gare, oltre a 2 della nazionale B.

Smise l'attività agonistica nel 1965 in Serie B, con la SPAL, squadra a cui era approdato nel 1961 chiamato da Paolo Mazza – convinto, a differenza di altri, che il giocatore non fosse assolutamente finito; Cervato giunse a Ferrara assieme a Dell'Omodarme quale parziale conguaglio della comproprietà di Bozzao; Il patavino diventò l'indiscusso capitano della formazione estense, giocando altri quattro campionati e fermandosi solo per un serio infortunio che ne compromise definitivamente il prosieguo della carriera.

Allenatore

Si dedicò successivamente all'attività di allenatore partendo proprio dalla formazione De Martino della SPAL, contribuendo a lanciare, tra gli altri, un giovane di sicuro talento, Fabio Capello. Allenò successivamente il Trani, il Pescara e l'Empoli e diresse le giovanili della Fiorentina, quindi si dedicò all'attività di osservatore, continuando la sua opera di talent scout e selezionando alcuni dei migliori giocatori della Fiorentina fino a che una lunga malattia lo costrinse a fermarsi.

Palmarès

Giocatore

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

 

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1796376897_juventus1931.jpg.57a2856327154ac2729175026f74d8db.jpg    SERGIO CERVATO  

 

cervato.jpg

 

 

 

Figlio di contadini, nasce a Carmignano di Brenta (PD), il 22 marzo del 1929 ed è scoperto diciottenne nel Bolzano da Renato Bottacini. A seguito della retrocessione, in considerazione delle qualità del giocatore, Bottaccini lo indirizza, viste le ottime sue conoscenze con il sodalizio genovese (allora i procuratori non esistevano), alla Sampdoria. I provini non sono esaltanti e la società si aggrappa, per rescindere il contratto, a una carenza di equilibrio, essendo l’atleta mancante di una falange al dito della mano. Viene quindi immediatamente indirizzato alla Fiorentina e sarà la sua fortuna.
 
SERGIO DI BATTISTA, DA “LA STORIA DELLA JUVENTUS” DI PERUCCA, ROMEO E COLOMBERO
Sergio Cervato era il giocatore di ogni epoca che aveva disputato più partite nella Fiorentina: 316 in undici anni di fedeltà. Era uno di «quelli dello scudetto» (ne rimanevano quattro o cinque) e i tifosi fiorentini lo lasciarono partire con molti brontolii ma senza clamorose contestazioni. Cervato stava per compiere trent’anni e sembrava un vecchio combattente pieno di ferite: aveva avuto guai a un piede (il famoso «piede freddo» che a suo tempo aveva bloccato anche Meazza) e si diceva che fosse troppo spesso esposto a strappi muscolari. Anche in Nazionale, dopo venticinque partite, non era più inamovibile: lo sostituiva un tracagnotto della sua stessa stazza, Gaudenzio Bernasconi, centromediano della Sampdoria.
La Juve lo acquistò, ufficialmente, per cinquanta milioni. In quegli stessi giorni il Bologna ingaggiava Campana per ottanta e la Roma – con la stessa cifra – Manfredini detto «Piedone». Eravamo alla vigilia del boom economico. Una FIAT Millecento lusso, appena presentata al salone di Ginevra, costava un milione e 50.000.
La critica era quasi unanime nel giudicare Cervato l’unico terzino italiano di valore europeo dai tempi di Ballarin e Maroso. Aveva giocato per anni a sinistra componendo con Magnini una formidabile coppia, poi si era spostato al centro e, da libero, aveva assunto un ruolo, a detta di alcuni, più idoneo al suo stile. Aveva nello slancio la sua arma migliore, era veloce e intelligente, con una visione ben precisa del gioco difensivo, dove l’eleganza era pari alla decisione. Sono rimasti famosi certi suoi salvataggi che sembravano disperati e invece venivano da fulminee intuizioni. Aveva un modo per scacciar via l’incubo della capitolazione che scatenava applausi insoliti per un difensore, di norma riservati a goleador (o ai portieri dei miracoli). C’è chi ricorda ancora un suo intervento in una partita contro il Brasile, a San Siro, nel 1956: il centromediano Orlando era solo in piena area, davanti alla rete di Viola, ottantamila col cuore in gola, sembrava un goal inevitabile, quando si vide Cervato sbucare alla sua maniera come da una zona nascosta del campo e soffiare in un lampo, con una «spaccata meravigliosa», la palla dal piede del brasiliano. Lo salutò un boato di riconoscenza. L’Italia poi vinse 3-0 e quell’intervento è rimasto indimenticabile.
Cervato era famoso anche per i goal che segnava, non solo quelli che impediva. Fu il prototipo del difensore-cannoniere, grazie ai suoi micidiali tiri piazzati: i rigori, che ha imparato a battere inesorabilmente dopo qualche errore di gioventù (uno dei primi, calciato lontanissimo dai pali, lo aveva sbagliato proprio contro la Juve a cinque minuti dalla fine di una partita finita 0-0), ma soprattutto le punizioni. Quando ce n’era una da limite, lui veniva avanti con la sua andatura dondolante con quelle gambe da cow-boy appena smontato da cavallo, prendeva una breve rincorsa e lasciava partire tiri che raramente i portieri facevano in tempo a vedere. Spesso restavano impalati, impotenti, mentre il pallone si infilava lassù, nell’angolo fra il palo e la traversa.
Con un goal simile – nel «sette», come si dice in gergo – si presentò al suo esordio in maglia bianconera. Era addirittura la finale di Coppa Italia, che allora si giocava in settembre: a San Siro la Juventus travolse l’Inter per 4-1 e Cervato fu il cannoniere della giornata, segnando – tra quelli di Charles e Sivori – due gol, il primo appunto su punizione e il secondo su rigore. La Juve di quella stagione (1959-60) era allenata da Renato Cesarini e viveva un momento particolare: c’era Boniperti che non gradiva il ruolo di ala destra e sembrava sul punto (udite, udite) di cambiare società. Cervato era stato chiamato a rafforzare una difesa tutta nuova e impostata su due giovani di talento, Castano e Benito Sarti. Qualcuno nutriva perplessità sulla tenuta del vecchio difensore: lui rispose disputando ad alto livello tutte le trentaquattro partite del campionato e segnando sei gol (uno appena in meno di Boniperti) come contributo personale alla conquista dello scudetto; Riprese anche il suo posto in Nazionale: tre partite, l’ultima a Barcellona, una sconfitta patita dalla Spagna di Suarez e Di Stefano nel marzo del 1960, commissario tecnico Gipo Viani.
Nella sua seconda stagione juventina Cervato fu di nuovo tra i protagonisti. Giocò ventotto partite (segnò un solo gol, su rigore), riprendendo in qualche occasione l’antico ruolo di terzino e alla fine si ritrovò vincitore su due fronti: la Coppa contesa in finale proprio alla sua vecchia squadra; la Fiorentina e lo scudetto difeso in molte risse con l’Inter di Herrera. Così quando lasciò la Juve poteva vantare un «en plein» davvero straordinario: in due stagioni aveva vinto due Coppe Italia e due campionati.
Finì la carriera nella Spal, dove giocò altri quattro anni e continuò a firmare, con le sue micidiali punizioni, altri gol. Il destino, però, volle che l’ultimo pallone messo in rete dal terzino-cannoniere fosse un autogol. Accadde all’Olimpico contro una Roma che schierava un De Sisti ventunenne.  
 
VLADIMIRO CAMINITI, DAL SUO LIBRO “JUVENTUS JUVENTUS”
Aveva un modo di contrare che era azzannare, non c’era possibilità che si distraesse e in campo infatti non sorrideva mai, più spesso digrignava i denti; era rude alquanto ma perché al calcio una volta i terzini si occupavano di rinviare il pallone e si impegnavano, si studiavano di farlo come si facevano una volta le porte e le finestre, cioè solide, forti, e solida e forte era la pedata, i meno bravi alzavano il pallone a campanile, i più bravi, come Cervato, davano al pallone le giuste traiettorie. Calciava le punizioni con mirabile effetto. Può essere considerato uno dei più grandi terzini della storia. Lo confermò, anche da stopper, alla Juve.
 

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