bidescu 0 Joined: 31-May-2005 141 messaggi Inviato April 26, 2010 (modificato) OLEKSANDR ZAVAROV http://it.wikipedia.org/wiki/Oleksandr_Zavarov Oleksandr Modificato June 2, 2011 da Socrates Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Socrates 8951 Joined: 04-Apr-2006 136562 messaggi Inviato May 8, 2022 OLEKSANDR ZAVAROV https://it.wikipedia.org/wiki/Oleksandr_Zavarov Nazione: Unione Sovietica Ucraina Luogo di nascita: Vorosilovgrad Data di nascita: 26.04.1961Ruolo: Centrocampista/Attaccante Altezza: 171 cm Peso: 70 kg Nazionale SovieticoSoprannome: Sasha - Lo Zar Alla Juventus dal 1988 al 1990 Esordio: 14.09.1988 - Coppa Italia - Juventus-Ascoli 0-2 Ultima partita: 28.04.1990 - Serie A - Lecce-Juventus 2-3 76 presenze - 13 reti 1 coppa Italia 1 coppa Uefa Oleksandr Anatolijovyč Zavarov (Vorošilovgrad, 26 aprile 1961) è un allenatore di calcio ed ex calciatore sovietico e, successivamente, ucraino, di ruolo centrocampista o attaccante. È maggiormente conosciuto con la grafia russa del suo nome, Aleksandr Zavarov. Oleksandr Zavarov Zavarov nel 2009 Nazionalità Unione Sovietica Ucraina (dal 1991) Altezza 171 cm Peso 70 kg Calcio Ruolo Allenatore (ex centrocampista, attaccante) Termine carriera 1998 - giocatore Carriera Giovanili 1968-1977 Zarja Squadre di club 1977-1979 Zarja 23 (7) 1980-1981 SKA Rostov 64 (13) 1982-1983 Zarja 30 (10) 1983-1988 Dinamo Kiev 136 (36) 1988-1990 Juventus 76 (13) 1990-1995 Nancy 133 (23) 1995-1998 CO Saint-Dizier 50 (17) Nazionale 1979 Unione Sovietica U-20 1+ (1+) 1985-1990 Unione Sovietica 41 (6) Carriera da allenatore 1995-2003 CO Saint-Dizier 2003-2004 Wil 2004 Astana 2005 Metalist 2006-2010 Arsenal Kiev 2012-2016 Ucraina Assistente 2012 Ucraina Palmarès Mondiali di Calcio Under-20 Argento Giappone 1979 Europei di calcio Argento Germania Ovest 1988 Biografia Soprannominato Sacha, come lo chiamavano a Kiev, Zavarov è sposato con Olga, ha due figli, uno nato nel 1982, Oleksandr. A Zavarov piace giocare a scacchi e leggere libri. Figlio di operai, ha due fratelli, uno anch'egli operaio e l'altro conducente d'autobus. È un cristiano ortodosso ed è diplomato in educazione fisica. Arrivato a Torino, va ad abitare nella casa che era di Ian Rush, calciatore juventino appena ceduto al Liverpool. Aveva imparato l'inglese, ma durante gli anni l'ha in gran parte dimenticato. Nonostante abbia giocato per un paio d'anni in Italia, non si è mai sforzato d'imparare l'italiano, avendo assunto un interprete che traduceva per lui. Anche a causa di ciò ci furono spesso incomprensioni tra il sovietico e il tecnico Dino Zoff, è anche per questo non riesce a integrarsi mai né nel club né nella città torinese. Disadattato, Zavarov non era infatti mai riuscito a uscire dal calcio e dallo stile di vita sovietico. Durante la seconda stagione torinese, la società bianconera acquista il connazionale Sergei Aleinikov, anche per far ambientare al meglio Zavarov. Inizialmente i due diventano amici, ma dopo poche settimane quest'ultimo prende distacco anche dal sovietico di origini bielorusse. Nel 2012 si è occupato dell'organizzazione dell'Europeo in Polonia e Ucraina. Nel 2015, nonostante il richiamo alle armi da parte dell'esercito ucraino, si è rifiutato di andare alla guerra del Donbass contro i separatisti filorussi, motivando ciò con il dichiararsi pacifista nonché con il considerare la Russia come una seconda patria. Caratteristiche tecniche Giocatore «Come Maradona, Zavarov ha una tecnica incredibile, può decidere una partita in qualsiasi momento, sa organizzare il gioco e difendersi.» (Lobanovski su Zavarov nel 1987.) Zavarov nel 1988 tra i suoi due allenatori dell'epoca: il selezionatore sovietico Lobanovs'kyj (a sinistra) e il tecnico juventino Zoff (a destra) Centrocampista offensivo, trequartista o fantasista talentuoso, gioca spesso nel ruolo di regista, pur non essendo classificabile tecnicamente come tale, e con la nazionale sovietica è un centravanti arretrato, «fonte principale del gioco sovietico». Alla Juventus, Zoff lo schiera spesso a centrocampo in veste di regista ma il sovietico non si trova nel ruolo. È un giocatore di qualità, tecnico, dal buon dribbling, capace di fare finte di corpo, rapidi campi di direzione, che corre, inventa gioco, bravo a smistare i palloni ma non un costante realizzatore. Abbastanza debole in fase difensiva e dotato di un buon lancio lungo, in Italia si rivela essere lento, impacciato, poco propositivo e un mediocre realizzatore/rifinitore, incapace anche di fare movimenti senza palla, soprattutto atti allo smarcamento. Grazie ai suoi piedi e alla sua intelligenza tattica, era uno dei migliori interpreti del "calcio laboratorio" (o "laboratorio Lobanovski" o "calcio del duemila") giocato dalla Dinamo Kiev di Valeri Lobanovski, tanto che lo stesso Lobanovski lo paragona a Maradona. Esploso nel 1986 e poi confermatosi durante il campionato d'Europa 1988 come calciatore di alto livello, dalle grandi potenzialità e da aspettative anche più grandi, al suo approdo alla Juventus è considerato un «campione», un «fuoriclasse», un fenomeno. Doveva essere il leader della Juventus, ma finisce per essere un «corpo estraneo alla squadra, solitario». Calciatore triste, dal carattere timido, introverso e distaccato, è stato uno degli idoli di Andrij Ševčenko, uno dei migliori calciatori ucraini di sempre. Carriera Giocatore Club Gli inizi, Dinamo Kiev Zavarov (a sinistra) in azione con la maglia della Dinamo Kiev nell'estate 1988, alle prese con l'interista Matthäus nel corso del Memorial Armando Picchi Dopo aver esordito con lo Zorja, in prima divisione sovietica, si trasferisce al Rostov, rientra al suo primo club nel 1982, giocando nella seconda categoria dell'URSS. Nel 1983 è acquistato dalla Dinamo Kiev: con quest'ultima società vince sei titoli nazionali in cinque anni, tra cui due campionati sovietici consecutivi e la Coppa delle Coppe nel 1986, affermandosi tra i capocannonieri dell'edizione e segnando nell'occasione anche un gol in finale agli spagnoli dell'Atlético Madrid (3-0). In seguito a queste eccellenti prestazioni, nel 1986 è votato sia calciatore sovietico sia calciatore ucraino dell'anno. Giocando e segnando anche ai Mondiali messicani, è inserito nella lizza per il Pallone d'oro del 1986, classificandosi al sesto posto: qualche anno dopo, il vincitore del Pallone d'oro e suo connazionale Igor Belanov, dichiara che Zavarov meritava di vincerlo al posto suo, avendogli servito parecchi assist. In un sondaggio indetto nel gennaio 1987 dai giornalisti sovietici, Zavarov è giudicato superiore a Belanov. Conclude l'esperienza sovietica con 66 gol in 253 incontri di campionato, alla media di 1 rete ogni 4 partite. Juventus Nell'estate del 1988 per portare Zavarov in Italia, si deve negoziare sia con la Dinamo Kiev sia con il Ministero dello sport perché i calciatori sono stipendiati dallo Stato, quindi dipendono da esso. Approdato in Italia, il primo agosto annuncia in una conferenza stampa d'esser stato acquistato dalla Juventus, anticipando la società e l'allenatore Zoff. Una settimana più tardi, il suo acquisto è ufficializzato e l'operazione costa 7 miliardi di lire (5 milioni di dollari, dei quali 2 vanno al Ministero dello sport, 2 alla Dinamo Kiev, 1 allo Stato). Firma un triennale, divenendo il primo calciatore sovietico a militare nel campionato italiano. Per concludere l'affare il club bianconero mobilita anche la FIAT. Inoltre, l'ingaggio accordato nel contratto va al governo sovietico che in seguito passa a Zavarov uno stipendio mensile di 1,2 milioni di lire (circa 600 euro odierni, uno dei più bassi stipendi di tutto il calcio professionistico italiano). Per contratto la società gli fa avere una Fiat Tipo. Lo juventino Zavarov salta il leccese Righetti nel corso del campionato italiano 1988-1989 Zavarov arriva senza troppo clamore in un momento difficile per la società juventina, poiché in seguito al ritiro di Michel Platini il club torinese sta cercando un degno erede; anche perché quello precedentemente designato, Marino Magrin, non sembra all'altezza di tale compito, tant'è che il presidente Giampiero Boniperti non gli aveva assegnato nemmeno il numero dieci che era del francese e che gli spetterebbe, giocando nello stesso ruolo, preferendo dargli il meno impegnativo numero otto che era stato dello stesso Boniperti in passato. Al suo arrivo a Torino, circa lo stesso Platini, inizialmente Zavarov dichiara che «lui è stato un grandissimo giocatore, io non lo sono, forse lo diventerò, farò il possibile», ma in seguito cambia idea e afferma di essere anche migliore del francese; ben presto, tuttavia, le prestazioni che offre sul campo cominciano a dargli torto. Acquistato troppo tardi per essere inserito nella lista per le competizioni UEFA, Zavarov deve aspettare fino ai quarti di finale, a marzo, per poter sperare di giocare in Europa. A causa della sua militanza nella Dinamo, Zavarov è ribattezzato dalla stampa Alessandrino di Kiev o l'uomo di Kiev e anche come lo Zar (di Luhansk), per via del suo passato allo Zorja. Accolto calorosamente dai tifosi, il 14 settembre seguente, il sovietico debutta in casa nella sfida di Coppa Italia contro l'Ascoli (0-2), rendendosi decisivo in negativo nella sconfitta bianconera, realizzando suo malgrado un'autorete che consente agli ospiti di passare in vantaggio dopo un quarto d'ora: cinque minuti dopo è costretto al cambio per infortunio, uscendo al posto di Antonio Cabrini. Si riprende in tempo per la partita contro il Brescia in Coppa Italia: sigla una doppietta, dando l'iniziale impressione di poter essere un degno erede di Platini, poi al debutto in campionato va in gol il 16 ottobre 1988 in Juve-Cesena (2-2). Secondo il giornalista Gigi Riva, a fine stagione Zavarov sarà, assieme a Lothar Matthäus, lo straniero più positivo del torneo. Il 12 novembre successivo, Arrigo Sacchi lo convoca per un incontro della nazionale di Lega contro la Polonia a Milano (2-2), ma il sovietico si rifiuta di andare, dichiarando di essere infortunato, perché nella precedente partita contro il Milan, il tecnico rossonero l'aveva schernito. Zavarov in azione in maglia juventina nella stagione 1989-1990 Parte sottotono nella sfida contro il Napoli di Maradona (persa 3-5), giocando bene nella seconda frazione di gioco, dove riesce a fornire un assist con un passaggio filtrante (per Roberto Galia, 1-3), riuscendo poi a segnare anche il gol del parziale 2-3. Nella settimana seguente, la Juventus affronta e batte il Lecce (1-0), ma Zavarov si distingue per l'espulsione rimediata a pochi minuti dal termine per un fallo di reazione su Roberto Miggiano. Nei giorni seguenti il sovietico subisce un brusco crollo di condizione, anche a causa del fatto che era abituato a giocare in un campionato solare (da gennaio a ottobre) e quindi non si era mai riposato e il fisico aveva sorretto finché aveva potuto, nonostante anche in seguito continui a dichiarare che sta bene fisicamente. Il bilancio in questi suoi primi tre mesi è già molto deludente, inoltre si rivela allergico alle conferenze stampa e ai giornalisti, rilasciando di sovente dichiarazioni spaesate. Nella seconda parte della stagione, il tecnico bianconero schiera Zavarov prima da regista, poi da trequartista, poi da attaccante aggiunto e infine ritornando al ruolo di regista. Gioca in maniera decente solo contro il Pescara (1-1). Nel mese di marzo, il sovietico comincia a soffrire maggiormente il calcio e lo stile di vita italiano rispetto ai primi mesi, complici alcune incomprensioni. Dopo avergli confermato la fiducia, pian piano nel corso della stagione, Zoff finisce per lasciare spesso e volentieri il sovietico in panchina. Alla sua prima stagione bianconera, è poco incisivo sotto porta e a fine stagione la dirigenza juventina, considerando la stagione di Zavarov fallimentare, cerca di piazzarlo in prestito all'Hellas Verona o al Bologna e in un secondo momento sembra che il sovietico debba arrivare assieme al connazionale Sergei Aleinikov tra le file del Genoa. Nonostante fosse già pronto un contratto per il prestito a Bologna, Zavarov resta alla Juve per un'altra stagione e, onde creargli un ambiente migliore, gli viene affiancato il compagno di nazionale Aleinikov. Ritorna ad allenarsi per qualche giorno con la Dinamo Kiev. Alla sua seconda stagione alla Juventus, col paragone con Platini che continua a condizionarlo negativamente, decide che la maglia numero dieci pesa troppo sicché la cede a Giancarlo Marocchi, facendosi dare la numero nove: ciò nonostante, a posteriori Zavarov è ricordato come il peggiore numero dieci della storia bianconera. Dopo le buone prestazioni nel precampionato decide la prima sfida europea della stagione bianconera, segnando lo 0-1 contro il Górnik Zabrze. In seguito a qualche giornata decente (va in gol contro Ascoli, Udinese e il Taranto in Coppa Italia), Zavarov ha un nuovo calo di forma nel novembre 1989, ma nonostante ciò, Zoff si ritiene soddisfatto per quanto mostrato dal sovietico nei primi mesi della sua seconda stagione. Zavarov, tra i compagni di squadra Bruno (a sinistra) e Bonetti (a destra), festeggia la vittoria della Juventus nella Coppa UEFA 1989-1990 Il 10 gennaio 1990 decide la sfida valida per il terzo turno di Coppa Italia contro il Pescara (0-1) e nella settimana seguente va in gol contro la Fiorentina (2-2). Verso la fine di febbraio si stira il retto femorale destro in allenamento, dovendo stare fuori dai terreni di gioco per almeno un mese. Verso metà marzo ritorna ad allenarsi in gruppo, ma a inizio aprile non si è ancora ripreso totalmente, rischiando d'aver già terminato la stagione in anticipo. Nell'aprile 1990 le sofferenze (psicologiche più che fisiche) di Zavarov si fanno più acute e il pretesto per andarsene da Torino sarebbe un pestone rifilatogli da Maradona qualche settimana prima nella sfida a Napoli. Già ad aprile si sa che Zavarov verrà ceduto e che probabilmente la Juventus dovrà pagare l'anno che gli resta nel contratto (circa 2 000 dollari, più una buonuscita di circa 100 milioni di lire). Segna ancora contro Udinese (1-1) e nell'ultima partita di campionato a Lecce (2-3): a fine stagione conquista il double vincendo da comparsa Coppa Italia e Coppa UEFA, ma nell'arco delle due stagioni disputate con i colori della Juventus, complessivamente delude le grandi aspettative create attorno a sé. Totalizza 13 gol in 76 partite tra campionato e coppe con la società italiana. Oggi è considerato come uno dei più grandi flop (o "bidoni") del calcio italiano e uno dei peggiori acquisti nella storia della Juventus. Nancy e Saint-Dizier Nel 1990 è ceduto in Francia, nel Nancy, altra squadra di Platini di cui doveva essere l'erede, arrivando ai francesi proprio grazie alla mediazione di Le Roi, anche perché il padre di quest'ultimo, Aldo Platini, è un dirigente nel club. Gioca nel Nancy sino alla metà del decennio con risultati discreti, anche se migliori rispetto al suo periodo in Italia. Si trasferisce al Saint-Dizier, in quinta divisione francese, di cui veste la maglia fino al 1998 per poi intraprendere la carriera da allenatore. Nazionale Zavarov in azione con la maglia dell'Unione Sovietica al campionato del mondo 1990 Conta 41 presenze e 6 reti con la nazionale sovietica, messe assieme tra il 1985 e il 1990. In questo periodo è uno dei calciatori fondamentali della Nazionale. Esordisce il 7 agosto 1985 contro la Romania (2-0), realizzando il suo primo gol con l'URSS nei Mondiali 1986, alla decima presenza, contro il Canada nella fase a gironi. Con la maglia dell'URSS fu finalista a Euro '88, battuto dai Paesi Bassi, e prese parte ai mondiali di Italia '90, oltre a quelli già citati di Messico '86. Allenatore Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, tenta di fare l'imprenditore, con successi così scarsi che decide di ritornare nel mondo del calcio, per fare l'allenatore. Dopo aver fatto l'allenatore-giocatore in quinta divisione francese, nell'agosto 2003 si trasferisce al Wil, dov'è chiamato dal presidente, il suo connazionale e Pallone d'oro 1986, Igor Belanov, che ha appena rilevato la società, terzultima in classifica nella prima divisione svizzera. Zavarov però non ha la licenza per allenare e la federcalcio svizzera gli dà un permesso fino al 31 dicembre 2003. Scaduto il permesso, nel 2004 resta nel Wil e diviene direttore sportivo, lasciando la panchina a Joachim Müller. In seguito allena i kazaki dell'Astana, le giovanili dell'FK Mosca e le giovanili del Nancy (lavorando anche in una brasserie nei pressi di Nancy). Nel gennaio 2005 è ufficializzato il suo passaggio sulla panchina del Metalist. Nella stagione seguente passa all'Arsenal Kiev, ottenendo la salvezza alla prima stagione. Nel 2010, dopo aver perso 8 incontri su 10, si dimette dall'incarico. Dal 2012 è nello staff tecnico della nazionale ucraina. Palmarès Giocatore Club Competizioni nazionali Campionato sovietico: 2 - Dinamo Kiev: 1985, 1986 Coppa dell'URSS: 3 - SKA Rostov: 1981 - Dinamo Kiev: 1984-1985, 1986-1987 Supercoppa sovietica: 2 - Dinamo Kiev: 1985, 1986 Coppa Italia: 1 - Juventus: 1989-1990 Competizioni internazionali Coppa delle Coppe: 1 - Dinamo Kiev: 1985-1986 Coppa UEFA: 1 - Juventus: 1989-1990 Individuale Calciatore sovietico dell'anno: 1 - 1986 Calciatore ucraino dell'anno: 1 - 1986 Capocannoniere della Coppa delle Coppe: 1 - 1985-1986 Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Socrates 8951 Joined: 04-Apr-2006 136562 messaggi Inviato May 8, 2022 OLEKSANDR ZAVAROV Alexandr Zavarov sta consumando – scrive Stefano Germano sul “Guerin Sportivo” del 31 agosto 1998 – i suoi ultimi giorni... russi: Reykjavik e poi, forse, quello di campionato contro il Dnepr, con mezzo scudetto in palio. Dopo di ché, finalmente, la partenza per Torino, dove Zoff e Boniperti lo aspettano a braccia aperte. In attesa che Sasha, come lo chiamano tutti, si ritrovi «italiano», siamo andati a Mosca a precedere la sua partenza per il nostro Paese: facendo, nell’occasione, una divertente scoperta. Quella, cioè, che nessuno gli aveva ancora detto... del licenziamento di Rush (per far coppia col quale Zavarov credeva di essere stato ingaggiato). «Ma davvero?», ci ha domandato a occhi sgranati. E, quando gli abbiamo confermato la notizia ci ha guardato come se facesse fatica a crederci. Poi ha riguadagnato la perfetta padronanza delle sue reazioni e ha aggiunto: «Se la società ha deciso così avrà avuto le sue buone ragioni». Ormai, comunque, il nuovo Zar juventino ha iniziato il suo conto alla rovescia: i giorni che lo dividono da quello che anche lui ritiene essere il «più bel campionato del mondo» stanno passando velocemente e domenica o lunedì, si metterà agli ordini di Zoff. «Giocare in una squadra come la Juventus nel campionato più difficile che ci sia», continua, «da un lato mi intimorisce, e dall’altro mi esalta. Paura? Direi proprio di no, anche se non posso nascondermi le difficoltà che incontrerò tutte le domeniche. A Torino c’è chi mi vuole erede diretto di Platini e sostituire un fuoriclasse come lui è la cosa più difficile che possa capitare a un calciatore. Platini è stato un maestro: io sono e continuerò a essere solo me stesso. Anche se mi piacerebbe poter vincere, in bianconero, quello che ho vinto in Unione Sovietica con la maglia della Dinamo Kiev e quello che ha vinto lui in Italia, in Europa e nel mondo con quella della Juventus». Hall dell’hotel Mezhdunarodnaya di Mosca: è dalla camera 319 che venerdì scorso è cominciato il nostro... assalto alla roccaforte del calcio sovietico. Prima telefonata con Novogorsk, zona proibita agli stranieri dove la nazionale è in ritiro: dall’altra parte del filo, a parlare con Ludmilla, nostra guida e interprete, c’è Logofeev, uno degli assistenti di Nikita Simonian direttore generale di tutte le nazionali sovietiche. A suo parere, non ci dovrebbero essere problemi; prima, però, bisogna chiederlo al «boss» che sta allenando la Nazionale in campo. L’appuntamento è quindi rimandato di un quarto d’ora e la conversazione si conclude così: «Spasiba», grazie tante, e... aspettiamo. Il tempo passa con una lentezza tanto esasperante che nemmeno il canto del gallo a carillon che è nella hall riesce a rendere più accettabile. Il secondo tentativo di Ludmilla dà i risultati sperati e, dall’altra parte del filo, Simonian concede il suo okay che però dipende, essendo Novogorsk «off-limits», da un’autorizzazione della Federazione, senza la quale non trovi taxi o auto pubblica che ti porti in questa zona a cinquanta chilometri dal centro della città. Alla ricerca di questo preziosissimo documento, ci trasferiamo tutti alla sede del Comitato olimpico sovietico: non fosse il tardo pomeriggio di un fine settimana, la speranza di trovare qualche funzionario di buona volontà ci sarebbe; qui però, quando si avvicina il momento di partire per il week end, la gente toglie le tende con la massima velocità possibile e peggio per chi resta. Il primo impatto, alla reception, appare decisamente favorevole: i due poliziotti di guardia ci fanno salire al primo piano dove un funzionario conduce Ludmilla nella stanza del presidente della Federazione di... Pallavolo: il «nyet» ovviamente, è scontato e prevedibile. A questo punto, Ludmilla chiede di nuovo aiuto al funzionario che ci fa sedere e sparisce; noi continuiamo a controllare con ansia l’orologio che scandisce inesorabilmente il passare del (nostro) tempo. D’altra parte, cosa si può fare di diverso? Assolutamente nulla anche perché tutte le porte sono terribilmente uguali per cui indovinare chi c’è dietro è impossibile. Le speranze di avere il tanto sospirato «da» si stanno riducendo al lumicino. E a questo punto, però, che da una benedettissima stanza numero 303, esce un benefattore che resterà sconosciuto: ci guarda e se ne va. Poi torna, chiede chi siamo e che cosa vogliamo e, a questo punto, tra lui e Ludmilla si intreccia un dialogo tanto fitto quanto incomprensibile. «Quello del 303» come lo abbiamo subito soprannominato, sembra interessato alla soluzione del nostro problema; prima di allontanarsi un’altra volta dice ancora qualcosa a Ludmilla e, di lì a pochi minuti, ci accompagna nell’ufficio di Viaceslav Mikhailovic Gavrilov, vicepresidente del Comitato olimpico sovietico, un elegante e educatissimo signore dai capelli bianchi che prende atto delle nostre necessità e che ci risponde con una piccola bugia: «Zavarov è a Kiev». Niente da fare. Ma le nostre informazioni sono sicure e garantiscono il contrario: Zavarov è a Novogorsk con la nazionale, abbiamo già parlato con Simonian che è d’accordo di farci incontrare il giocatore. Solo che, per andare là, ci vuole un permesso che solo il Comitato può darci. La conversazione tra Gavrilov e Ludmilla non promette niente di buono: i «nyet» si sprecano e gli occhi della nostra interprete si rannuvolano con sempre maggiore frequenza. A un certo punto, Gavrilov chiede a Ludmilla se è di discendenza tartara. «Sì, per parte di madre», risponde lei, e lui: «Anche mia moglie è per metà tartara». E in nome di questa inattesa colleganza, anche se i «nyet» continuano a tener banco, la tensione si scioglie e tutti cominciamo a sperare in qualcosa di positivo. Sono momenti che sembrano non finire mai e, pur non capendo una sola parola del loro dialogo, cerco di interpretare il viso di Ludmilla e quello di Gavrilov. A questo punto Gavrilov fa telefonare a Simonian; gli chiede se è vero che è d’accordo con noi per metterci Zavarov e Belanov a disposizione; ci comunica che, di andare a Novogorsk, è meglio nemmeno pensarci, ma subito dopo ci chiede se un appuntamento da qualche altra parte ci va ugualmente bene. “E come no?" è la nostra risposta e a questo punto, come dal cilindro di un prestigiatore, saltano fuori luogo (lo stadio della Dinamo Mosca) e ora (mezzogiorno del sabato). Missione compiuta, quindi, e un enorme sospiro di sollievo in quanto, al novantanove per cento, l’incontro coi due fuoriclasse sovietici e ormai certo. Il giorno dopo a Mosca piove che Dio la manda: verranno, Nikita, Sasha e Igor al campo della Dinamo? I dieci minuti che precedono mezzogiorno, ora fissata per l’appuntamento, sembrano non finire più; quando da un’auto nera che va a metano, escono i nostri: sono sorridenti e disponibili come sarebbe stata follia sperare. Per Zavarov sono complimenti e auguri; per Belanov... arrivederci a presto; per Simonian l’occasione migliore per ricordare quando, negli anni Cinquanta, la Fiorentina offrì la bellezza di 80mila dollari allo Spartak per averlo. La risposta, però, fu «nyet»: secondo abitudine, verrebbe da dire. D’altro canto, però, a quei tempi la parola «perestrojka» ora tanto di moda era assolutamente sconosciuta e pronunciarla era proibito. I due fuoriclasse della Dinamo e della Nazionale sovietica ci parlano a lungo della loro vita e dei loro sogni: virtualmente realizzati quelli di Sasha; ancora tanto lontani dalla realtà quelli di Igor. Poi, per tutti, c’è la solita trafila di strette di mano e di «dasvidanja, spasiba», arrivederci e grazie. E quando la macchina nera che va a metano lascia il piazzale dello stadio della Dinamo di Mosca, il cielo torna a rannuvolarsi: per me, ad ogni modo, da un capo all’altro della capitale c’è un immenso arcobaleno. La tensione di tre giorni si è finalmente dissolta ma ha lasciato il segno: un’enorme spossatezza si è impadronita di me per cui niente piazza Rossa e Cremlino, ma solo un sonno ristoratore nella camera 319 dell’Hotel Mezhdunarodnaya. E adesso, come è giusto, parliamo di Zavarov; anzi, parla Zavarov; quelle che seguono sono le sue parole tradotte fedelmente senza aggiunte né commenti. «Sono nato a Voroscilovgrad il 26 aprile 1961 e ho cominciato a prendere a calci un pallone, a sette anni, nelle giovanili dello Zaria avendo come allenatore Boris Forniciov, un uomo cui debbo moltissimo poiché mi ha insegnato i primi rudimenti di quello che sarebbe poi divenuto il mio mestiere. A diciassette anni entrai nella rosa di prima squadra e il mio debutto in Prima Divisione ebbe luogo, contro la Dinamo di Tbilisi, il 26 aprile del ‘79, giorno del mio diciottesimo compleanno. Non segnai e mi dispiace ancora oggi perché avrei voluto festeggiare con un gol la maggiore età. Mi sono però rifatto in seguito». Chiamato alle armi, invece della polizia a Kiev Zavarov sceglie l’esercito a Rostov e veste la maglia dell’SKA e, a proposito di SKA, ricorda ancor oggi con grande piacere che «fu proprio contro quella che sarebbe diventata la mia squadra che segnai il primo gol in Prima Divisione, quando lo Zaria pareggiò 2-2 coi militari». Negli anni che trascorre all’SKA, Zavarov è allenato da Zonin e da Fedotov, due ex nazionali sovietici «e due grandi maestri di vita oltre che di calcio, a loro devo molto per tutto quello che so fare oggi». La sua compagna nella vita è Olga: «L’ho conosciuta al cinema, non ricordo più che film proiettavano. Ci siamo sposati il 12 novembre dell’80 e abbiamo due figli, Sasha di sei anni e Valerio di dieci giorni. Tutti e tre mi raggiungeranno a Torino verso i primi d’ottobre, quando Sasha dovrà andare a scuola a Milano presso il Consolato sovietico di quella città. Pur se ora parlo soltanto il russo, non credo che in Italia avrò particolari problemi sia perché il calcio è una lingua universale sia perché ho già cominciato a studiare l’italiano con un metodo accelerato. Penso quindi che, in un paio di mesi, sarò in grado di capire e di farmi capire. L’importante, ad ogni modo, è che questa mia avventura italiana cominci il più presto possibile perché ho una gran voglia di conoscere i miei compagni di squadra, i dirigenti, i tifosi, tutto». Laureato in Educazione fisica, molto probabilmente Alexandr Zavarov non sarebbe mai arrivato da noi se, verso i primi d’agosto, Anatoly Pogrebnoy, capo del dipartimento rapporti con l’estero del Comitato olimpico sovietico, non avesse ricevuto una telefonata. Chi ci fosse dall’altro capo del filo è assolutamente «top secret»: ciò che invece è noto è che, a condurre le trattative, è stato Victor Galaev, funzionario dello stesso Comitato. A ferragosto, giorno più, giorno meno, il... matrimonio tra Zavarov e la Juventus era un fatto compiuto: a officiarlo è stato lo stesso Pogrebnoy avendo, come... testimoni, Galev da una parte e Boniperti dall’altra. Dopo la cerimonia, i due «sposini» non sono andati, com’è tradizione a Mosca, a rendere omaggio al Milite Ignoto e a Lenin, ma il rinfresco c’è stato ugualmente con champagne a fiumi e vodka a litri! Zavarov e la Juventus si sono giurati amore eterno (per la verità l’amore durerà tre anni, ad ogni modo rinnovabili) e, in attesa di vivere sotto lo stesso tetto all’ombra della Mole, è stata festa grande. Ma chi conosce, dei suoi futuri compagni, Zavarov? «Altobelli, Cabrini, Laudrup». E Zoff? «Lo conosco per quello che ha fatto come portiere; da allenatore, invece, non so niente». E Boniperti? «Boniperti l’ho conosciuto quando ho siglato il contratto». E l’Avvocato Agnelli? «L’Avvocato Agnelli? Non lo so, quando ho firmato per la Juve non l’ho visto, ma c’era... tanta gente!». Come si vede, Zavarov non è solo un grande campione, è anche uomo dotato di notevole senso dell’umorismo: lui, l’Avvocato Agnelli non si ricorda di averlo ancora conosciuto personalmente, ma la colpa è appunto della gran confusione che c’era il giorno del suo matrimonio con la Juve: una festa davvero grande per tutti, oltre che l’inizio di una nuova era per il calcio sovietico e quello italiano. Con l’Avvocato avrà modo di parlare lungamente in Italia, se riuscirà a stabilire il rapporto pregiato che il Signor Fiat aveva con Michel Platini: le premesse, sul piano tecnico, ci sono tutte. Tra i più ferventi ammiratori di Zavarov è Nikita Simonian, 61 anni. Del neo juventino, dice: «Lo conosco da quando era un ragazzo e, a mio parere, oggi Sasha non ha rivali in Europa. Grande calciatore ma anche uomo simpaticissimo, con lui la Juventus si è assicurata l’uomo che le mancava. Dotato di enorme personalità, Zavarov è un leader nato e anche fuori dal campo sa farsi apprezzare per l’equilibrio e il carisma che possiede. A mio parere, la sua partenza per l’Italia sarà un affare per tutti: per la Juventus che, con lui, si è assicurata il Platini del futuro; per lui che, a contatto con un mondo assolutamente nuovo, potrà cominciare a fare quelle esperienze che ancora gli mancano e per il calcio sovietico perché. grazie a lui e agli altri che sono già partiti che stanno per partire, comincerà a uscire da quell’isolamento in cui è praticamente sempre rimasto». Anche Simonian, quindi, non esclude che altri seguano Zavarov. Ma chi e quando? «Chi», risponde il tecnico, «lo si sa, visto che i loro nomi sono sulla bocca di tutti: Belanov e, ancor di più, Dassaev. Quando: Dassaev forse già quest’anno se i rapporti che abbiamo in piedi con il Siviglia si concretizzeranno; Belanov, penso il prossimo anno». E gli altri, tipo Protasov e Mikhailichenco? «Per quest’anno no di certo, sia perché sono ancora troppo giovani sia perché il nostro calcio non può depauperarsi oltre certi limiti». Disco rosso, quindi, per gli ultimi due; disco... rosa per l’ex «Pallone d’Oro» e disco... verdino per il buon Rinat che, dopo aver tanto meritato della patria sovietica, un trasferimento in Spagna se lo è largamente guadagnato. Le aspettative sono presto deluse: Sasha gioca un campionato mediocre in una squadra mediocre, guidata con buona volontà da Dino Zoff, che gli fa vestire la maglia numero 10, troppo pesante e nemmeno tanto amata dal russo. «Sono frastornato e innervosito – confessa – dall’attenzione che mi circonda. Non ero abituato a finire tutti i giorni sui giornali. Non ho problemi fisici, non ho problemi con Zoff e la società: ma devo capire meglio il calcio italiano. Se sarà necessario in futuro accetterò senza problemi la panchina». Quel campionato è vinto dall’Inter di Trapattoni che sbaraglia tutti i record, ma anche Napoli e Milan sono nettamente superiori alla Juventus, che i piccoletti Zavarov e Rui Barros non riescono a tenere a galla. STEFANO GERMANO DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 5 LUGLIO 1989 Cerchiamo di spiegare perché Sasha ha fallito nella sua prima stagione juventina. Indubbiamente, nella nuova città non si è integrato e, per di più, alla Juve è arrivato al termine di due anni in cui, fra campionato, Coppe e Nazionale, non ha potuto tirare il fiato. Ma non basta: a Torino da lui si aspettavano cose che non poteva dare. Inevitabile, quindi, la caduta di tensione e la crisi di identità tecnico-tattica. Abituato a vivere in un mondo in cui all’uomo e alle sue decisioni personali è lasciato pochissimo spazio, in Italia Zavarov si è trovato completamente spiazzato: ben presto il giocatore si è trasformato in un robot cui è stata staccata la spina. All’inizio, a far da tramite tra lui e il resto del mondo, ha provato Tatiana Grechi, L’interprete livornese che, oltre a tradurre domande e risposte dall’italiano in russo e viceversa, si è comportata, se non da madre, quantomeno da sorella maggiore, spiegandogli ciò che era giusto fare e ciò che non lo era, sin dove faceva bene a comportarsi in una determinata maniera e dove, al contrario, sbagliava. Era indubbiamente una faticaccia ma, pur attraverso parecchie incomprensioni, il... ménage dava i suoi frutti. Tra i compagni, quello che aveva preso a balia l’introverso Sasha era stato Stefano Tacconi, il più estroverso tra tutti i bianconeri, e proprio questa differenza di carattere aveva aiutato non poco l’inserimento del giocatore in un mondo totalmente diverso da quello cui era stato abituato ma che «doveva» assolutamente essere il suo. Purtroppo, per Zavarov la lingua italiana continuava a essere un oggetto misterioso, ma dove non arrivava lui ci pensava la signora Tatiana. Le cose, quindi, si sarebbero potute mettere al meglio se, da Kiev, non fosse arrivata Olga, la moglie di Sasha, una donna dolce nell’aspetto ma dal carattere – si dice – duro come l’acciaio. Olga (che forse vedeva in Tatiana chi sminuiva il suo potere nei confronti del marito) e la signora Grechi, dopo un breve periodo di... sopportazione, pare siano arrivate ai ferri corti. E alla fine, ad abbandonare il campo, è stata ovviamente l’interprete. Isolato nella sua bella villa in collina, Zavarov si è chiuso sempre più in se stesso: ha imparato abbastanza bene l’italiano (che parla con accento russo e voce gutturale) ma questo non e bastato a far cadere la cortina di incomprensione sorta tra lui e il mondo esterno. Abituato a vivere in modo assolutamente «normale» a Kiev, il giocatore ha indubbiamente sofferto la pressione cui lo hanno sottoposto i torinesi: «Non posso andare al supermercato», mi disse una volta, «senza che la gente mi si siringa attorno per avere un autografo o per abbracciarmi. E questo, credimi, per chi non è abituato, finisce per essere una fatica molto maggiore che allenarsi per tre ore». Forse è proprio questo suo rifiuto della popolarità (e, soprattutto, dei suoi... costi) la causa principale del fallimento di Zavarov alla Juventus. Se poi a tutto questo si uniscono le tensioni che il giocatore ha accumulato nel corso del suo soggiorno italiano, nessuno può meravigliarsi più di tanto se, alla fine, come il personaggio di un film famoso, anche lui ha... ballato una sola estate. Chi è stato più a lungo vicino a lui dall’agosto dello scorso anno a oggi, ricorda le molte volte in cui lo sguardo del giocatore sembrava cercare un’identità perduta al di là di un orizzonte sempre più lontano. Rimpiangeva Kiev e l’Ucraina? Forse. Oppure si accorgeva che, poco alla volta, tutte le rosee speranze coltivate si erano tradotte in una realtà più nera della pece? Forse anche questo è vero: ciò che invece è vero senza possibilità di equivoci è che Zavarov, chiamato ad aprire una via italiana al calcio sovietico, come ambasciatore del suo Paese ha totalmente fallito anche se gli si debbono concedere alcune attenuanti. Probabilmente, per riuscire, Zavarov avrebbe avuto bisogno di un carattere più forte, di una maggiore abitudine a decidere del suo futuro in prima persona senza demandare l’incarico a qualcun altro. Non fosse nato e cresciuto in Unione Sovietica, forse questo gli sarebbe stato possibile: così, invece, non c’è stato nulla da fare. Sottoposto a varie e concentriche pressioni, il giocatore ha finito per non capirci più niente e anche l’intervento di Lobanovski (i due hanno chiacchierato alcune ore, di notte, lontani da occhi e orecchie indiscreti) non solo non lo ha aiutato a uscire dalla crisi, ma lo ha spinto ancora di più nel baratro. Nonostante tutte queste difficoltà Sasha viene confermato e, nel campionato successivo, arriva il connazionale Alejnikov. Su richiesta dello stesso Zavarov, Zoff gli concede la maglia numero 9, che Sasha veste abitualmente in Nazionale. La Juventus riesce a conquistare la Coppa Italia e la Coppa Uefa, ma l’apporto del russo è marginale, tanto è vero Zoff schiera spesso l’emergente Casiraghi al suo posto, al fianco dell’autentica sorpresa del torneo, Toto Schillaci. Al termine della stagione si disputano i Mondiali italiani; per l’Unione Sovietica è una delusione enorme. La squadra perde le prime due partite contro Romania e Argentina e a nulla vale il perentorio 4-0 contro il Camerun. La nazionale russa è eliminata al primo turno, la Grande Armata del colonnello Lobanovski è affondata definitivamente. Anche nella Juventus ci sono grandi novità: Zoff è sostituito da Maifredi, si inaugura il nuovo corso di Montezemolo e per Sasha non c’è più spazio. Viene ceduto in Francia, al Nancy, dove continuerà la sua parabola discendente. Appesi gli scarpini al chiodo, Zavarov comincia la carriera di allenatore guidando squadre di secondo piano francesi e svizzere. «Zavarov era un buono, incapace di far male a una mosca – racconta l’ex compagno juventino Pasquale Bruno – ma non parlava una parola di italiano. E le barriere linguistiche, oltre al difficile adattamento a Ovest, per uno che veniva dal blocco comunista, furono forse il più grande ostacolo al suo inserimento nel calcio italiano. Ingiusto definirlo però un bidone, come venne poi etichettato da molti. Gli scarsi eravamo noi, non lui. Venne in una Juve minore, con l’impossibile eredità di Platini da gestire. Lui proveniva dalla fortissima Dinamo Kyiv di Lobanovski. E non poteva essere un caso. E, comunque non era a Michel che assomigliava, ma semmai a un Totti, più avanzato, dribbling secco e visione di gioco. Aveva dei buoni spesa per i supermercati e girava per Torino con una Duna: noi sospettavamo fosse quella di Ian Rush. Ma non è che comunque ai tempi noi lo facessimo sentire in difetto: tutti avevamo l’obbligo di andare all’allenamento in Fiat. Io avevo una Panda 4x4 per dire e nessuno si permetteva di girare in Ferrari, durante il lavoro. Una debolezza però Sasha ce l’aveva: l’alcol: vedevi girare queste bottiglie di vino, non si sa uscite da dove, negli autobus che ci riportavano dalle trasferte vicine. Puntualmente finivano in fondo, dove guarda caso c’erano sempre lui e Laudrup». https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/04/aleksandr-zavarov.html Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti