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Carlo Carcano - Allenatore

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Carlo Carcano: um tetracampeão perseguido pelo fascismo - Calciopédia
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Carlo Carcano - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Carcano

 

 

Nazione: Italia  
Luogo di nascita: Masnago (Varese)
Data di nascita: 26.02.1891

Luogo di morte: Sanremo (Imperia)

Data di morte: 23.06.1965
Ruolo: Allenatore
Altezza: -
Peso: -

Soprannome: -

 

 

Allenatore della Juventus dal 1930 al 1934

 

161 panchine - 111 vittorie - 27 pareggi - 23 sconfitte

 

4 scudetti

 

 

 

Carlo Carcano (Varese, 26 febbraio 1891  Sanremo, 23 giugno 1965) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo mediano.

Fautore, assieme a Vittorio Pozzo, dello schema tattico del Metodo, è anche ricordato come uno dei principali teorici della «scuola alessandrina». Ha inoltre guidato la Juventus nel celebre periodo del Quinquennio d'oro — stabilendo l'allora record di 4 titoli consecutivi nel campionato italiano per un allenatore, superato da Massimiliano Allegri ottantacinque anni dopo, nonché quello per titoli vinti complessivamente, durato mezzo secolo — e affiancato il commissario tecnico Pozzo al timone dell'Italia in occasione del vittorioso campionato del mondo 1934. Per questi meriti sportivi, nel 2014 è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano.

 

Carlo Carcano
Carlo Carcano 1920.png
Carcano negli anni 1920
     
Nazionalità   Italia
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex mediano)
Termine carriera 1926 - giocatore
1953 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1912-1913   Nazionale Lombardia ? (?)
1913-1924   Alessandria 108 (18)
1925-1926   Internaples 8 (0)
Nazionale
1915-1921   Italia 5 (1)
Carriera da allenatore
1924-1925   Valenzana  
1925-1926   Internaples  
1926-1929   Alessandria  
1928-1929   Italia  
1929-1930   Alessandria  
1930-1934   Juventus  
1934   Italia Vice
1934-1935   Genova 1893 Vice
1941-1942   Sanremese  
1945-1947   Inter  
1948   Inter  
1949   Atalanta  
1949-1950   Alessandria D.T.
1952-1953   Sanremese D.T.

 

Biografia

Originario di Masnago, crebbe a Milano e si appassionò fortemente al gioco del calcio sin da giovane. Fu tra i fondatori di una squadra, la Nazionale Lombardia, e nel 1913 si trasferì ad Alessandria, dove inizialmente, raccontò, «grazie a qualche amico sportivo sbarcai il lunario e tirai avanti alla meno peggio», per poi diventare capitano della squadra e permettersi un alloggio nella stessa pensione in cui soggiornavano i colleghi Savojardo e Ticozzelli. Visse ad Alessandria tutta la sua carriera di calciatore, giocando anche diverse gare con la nazionale italiana a cavallo della prima guerra mondiale.

Divenne poi allenatore, conquistando quattro scudetti consecutivi con la Juventus nei primi anni 1930, per poi venire improvvisamente allontanato dal club bianconero nel dicembre 1934 onde soffocare sul nascere uno scandalo omosessuale nel quale era stato coinvolto da elementi della società a lui ostili. Rimase ai margini del mondo del calcio per un decennio.

Nel secondo dopoguerra entrò a far parte dello staff di alcune squadre come allenatore e direttore tecnico. Nel 1950 rimase ferito in un incidente d'auto a Merana, assieme a un allievo: riportò la rottura dello sterno. Morì nel 1965, a 74 anni, all'ospedale di Sanremo, per le conseguenze di un grave malore che lo aveva colpito un mese prima, durante un bagno in mare.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Secondo le parole di Carlo F. Chiesa, dopo gli esordi da portiere Carcano, «fisicamente prestante, tecnicamente dotato, trovò la naturale collocazione al centro della mediana, abile a sradicare palloni come a rilanciare l'azione, grazie alla sua intelligenza tattica»; era un rigorista preciso e infallibile, nel 1913 La giornalaccio rosa dello Sport lo definiva «buon palleggiatore e buon distributore, vera spina dorsale della squadra [l'Alessandria]». Nel 1914 Il Football lo descriveva a sua volta «abilissimo nei passaggi, trascinatore irresistibile, intuisce i punti deboli degli avversari e ne sfrutta i momenti di incertezza e di abbandono, lanciando con i suoi "allez, allez" la muta all'attacco». Emilio Colombo rilevava una scarsa attitudine del centrosostegno al dribbling e qualche difficoltà nella marcatura.

Allenatore

Come allenatore raccolse già nei primi anni di carriera il plauso di Vittorio Pozzo, che scrisse nel 1928: «che fiducia si possa riporre pienamente in elementi nostrani per la disciplina, l'insegnamento e l'organizzazione del gioco è dimostrato da un esempio per tutti: Carcano dell'Alessandria». Oggi viene ricordato non come «un grande stratega o un eccellente maestro di tecnica, [...] come quasi tutti i suoi colleghi dell'epoca fu un bravo allenatore-psicologo» che, alla Juventus, «si limitò a non guastare una squadra che funzionava da sé». Chiesa lo ha descritto come «fine psicologo e allenatore tatticamente pragmatico».

Precursore del Metodo, raccolse appieno la lezione di George Arthur Smith, allievo di William Garbutt e fondatore della «scuola alessandrina», presentando un gioco fortemente improntato sui ruoli del centromediano (Gandini all'Alessandria, Monti alla Juventus) e di un attaccante arretrato (Ferrari), registi in grado d'ispirare veloci manovre offensive; allo stesso tempo, ricercava solidità in copertura attraverso «blocchi difensivi». Attingeva al vivaio (oltre a Ferrari lanciò Elvio Banchero, Luigi Bertolini, Felice Borel), studiava assiduamente la disposizione tattica degli avversari da affrontare e dava grande importanza all'allenamento — esemplare il suo lavoro, assieme al preparatore atletico Guido Angeli, per riportare in forma Monti —, attuando anche un rigido regime di sorveglianza dei giocatori.

Carriera

Giocatore

Club

Gli esordi con la Nazionale Lombardia

Si appassionò presto al gioco del calcio: inizialmente portiere, si spostò a centrocampo dopo la fondazione della Nazionale Lombardia, squadra milanese della quale divenne anche capitano. Nel 1913 la compagine, vincitrice del girone lombardo di Promozione e dunque promossa in Prima Categoria, fu invitata ad Alessandria dalla locale squadra per disputare gare amichevoli sul proprio campo in occasione delle feste pasquali. La Nazionale Lombardia vinse i match, Carcano risultò il migliore in campo e impressionò il dirigente dell'Alessandria Augusto Rangone, che si affrettò a ingaggiarlo.

1913-1923: la militanza nell'Alessandria

I primi mesi dell'esperienza alessandrina di Carcano furono densi di avvenimenti; nel mese di giugno fu squalificato per tre mesi per aver accettato il trasferimento in cambio di un impiego lavorativo, principio contrario alla regola del severo dilettantismo prevista dalla Federazione. Giocò la prima gara coi grigi il 29 di quel mese, ad Acqui Terme contro i locali, segnando una rete.

Debuttò in campionato il 1º novembre 1913, nella gara vinta 7-0 contro la Liguria. Affidato alle cure dell'allenatore George Arthur Smith, che ne fece il centrosostegno titolare e ne affinò la tecnica, Carcano guadagnò in breve tempo il consenso della critica (dopo la partita Genoa-Alessandria ricevette le lodi di William Garbutt) e dei tifosi; successe ad Amilcare Savojardo nel ruolo di capitano della squadra e iniziò a ricevere, di nascosto, un salario. Alla fine della stagione, malgrado la contrarietà della dirigenza alessandrina, partì assieme al compagno di squadra Grillo per il Brasile, dove disputò una tournée con la maglia della Pro Vercelli, prima trasferta oltreoceano di un club italiano. Allettato dalle offerte dell'allenatore dei bianchi Giuseppe Milano, suo estimatore, fu vicino al trasferimento, che non andò a buon fine.

Carcano rimase dunque ad Alessandria e, nel corso della stagione 1914-1915, fu convocato per la prima volta in nazionale. L'ingresso del Regno d'Italia nella prima guerra mondiale e il conseguente stop dei campionati e dei lavori delle Nazionali gli impedirono però di mettersi appieno in luce come calciatore; durante la guerra militò brevemente, come molti suoi compagni, nell'Alessandrina, squadra amatoriale sorta in quel periodo in città come conseguenza della momentanea interruzione delle attività dell'Alessandria.

Disputò la sua ultima partita con l'Alessandria il 28 ottobre 1923, contro la Virtus Bologna: nell'occasione subì un infortunio che lo indusse ad abbandonare il calcio giocato. Risulta che abbia disputato 63 gare ufficiali, segnando 10 reti tra il 1913 e il 1921, e altre 45 tra il 1921 e il 1923, con 8 reti, per un totale di 108 presenze e 18 segnature. Dichiarò di aver ottenuto ad Alessandria «le più belle soddisfazioni della mia vita sportiva». In realtà risultò disputare anche alcune partite con l'Internaples nella stagione 1925-1926 in qualità di giocatore-allenatore, collezionando complessivamente otto presenze e zero reti.

Nazionale

Fu il primo calciatore dell'Alessandria a essere convocato in nazionale. Fece il suo debutto in maglia azzurra a Torino il 31 gennaio 1915, schierato da Nino Resegotti nella vittoriosa amichevole contro la Svizzera (3-1). Chiuso da Milano I e da Fossati, collezionò altre quattro presenze nel primo dopoguerra, dopo la ripresa dell'attività internazionale; segnò un gol in Italia-Francia 9-4 del 18 gennaio 1920.

Allenatore

Gli esordi alla Valenzana e all'Internaples

Nel 1924 iniziò la carriera di allenatore sulla panchina della Valenzana, che concluse il campionato di Seconda Divisione al secondo posto, mancando di un punto l'ammissione agli spareggi per la promozione in massima serie. Al termine del torneo passò un breve ma felice periodo all'Internaples, che arrivò a disputare le finali per la Lega Sud; con lui vi era Giovanni Ferrari, giovane attaccante da lui notato mentre palleggiava per le strade di Alessandria, e che rivolle con sé l'anno dopo, quando fu la squadra nella quale aveva militato da calciatore a chiamarlo in panchina.

Le esperienze all'Alessandria e in nazionale

260px-Alessandria_Calcio_-_Div._Nazional
 
Carcano (in piedi, sulla destra) e l'Alessandria dell'annata 1927-1928.

 

Si dimostrò altamente capace; sotto la sua guida l'Alessandria, reduce da un campionato negativo, divenne una delle potenze calcistiche di primo piano dell'epoca. Vinse immediatamente la Coppa CONI e sfiorò la vittoria dello scudetto nel 1927-1928 con calciatori quasi tutti provenienti dal vivaio, tra cui il già citato Ferrari, l'attaccante Banchero, e Luigi Bertolini, che per una sua intuizione fu spostato da centravanti a mediano sinistro, ruolo nel quale si laureò poi campione del Mondo.

Tra l'ottobre 1928 e l'aprile 1929 fu affidato a Carcano il ruolo di allenatore della nazionale, prima dell'avvento di Vittorio Pozzo; l'esperienza terminò dopo solamente sei gare, ma gli è riconosciuta l'introduzione dei primi schemi arretrati, con «l'esordio del gioco di copertura e dei blocchi difensivi» mantenuti negli anni a venire dal suo successore.

La Juventus: il Quinquennio d'oro

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Quinquennio d'oro.

 

Lasciò l'Alessandria nel 1930, quando fu ingaggiato dall'ambiziosa Juventus: sulla panchina dei torinesi vinse immediatamente i primi quattro dei cinque scudetti consecutivi che contrassegnarono il Quinquennio d'oro bianconero, una striscia che ne farà l'allenatore più vittorioso del calcio italiano per i seguenti cinquant'anni. Alla Juventus introdusse, oltre a una ferrea disciplina, l'innovativo Metodo; seppe sfruttare la classe degli oriundi e contribuì portando con sé vari elementi da lui eruditi all'Alessandria, lanciando tra gli altri il giovane cannoniere Felice Borel, divenendo una sorta di deus ex machina. Pozzo lo scelse come vicecommissario tecnico in occasione dei vittoriosi Mondiali del 1934.

 

260px-Juventus_1931-32%2C_Campo_di_Corso
 
Carcano (in piedi, sulla destra) con la Juventus della stagione 1931-1932.

 

Il proficuo rapporto con la Juventus e la nazionale azzurra, però, si chiuse bruscamente nel dicembre di quell'anno, quando Carcano venne licenziato, ufficialmente, per «motivi personali»; in realtà, le voci di una presunta omosessualità dell'allenatore si erano fatte troppo insistenti per essere tollerate in epoca fascista: alcuni dirigenti avevano infatti denunciato al presidente Edoardo Agnelli presunte ambiguità nel trattamento che l'allenatore riservava ad alcuni tra consiglieri e giocatori, tra cui Mario Varglien, Luis Monti e, in particolare, un giovane sudamericano. Agnelli, al termine di una riunione, optò per l'allontanamento di Carcano, sostituito dall'ex capitano bianconero Carlo Bigatto il quale traghettò la squadra verso il quinto titolo italiano consecutivo.

L'oblio e il secondo dopoguerra

Fino alla fine della seconda guerra mondiale, Carcano non allenò più ufficialmente: venne assunto per un periodo al Genova 1893, in Serie B, come secondo di Renzo De Vecchi e poi, nel 1941, visse un'esperienza alla Sanremese, in C. Dopo la Liberazione venne ingaggiato dall'Inter, che seguì durante il campionato 1945-1946, e sulla cui panchina si avvicendò, nelle due stagioni successive, con Giuseppe Meazza.

Concluse la carriera allenando nel finale della stagione 1948-1949 l'Atalanta, sostituendo il dimissionario Ivo Fiorentini; rivestì poi il ruolo di direttore tecnico all'Alessandria, in B, nella stagione 1949-1950 (allenatore era Bert Flatley) e alla Sanremese, nel 1952-1953 (coaudiuvò Filippo Pascucci).

Visse in Liguria fino alla morte, sopraggiunta nel 1965.

Carlin's Boys

A Sanremo, dove risiedeva dalla metà degli anni 1930, nel 1947 lavorò con l'ex calciatore Amilcare Gilardoni e col politico Luigi Napolitano alla fondazione della Carlin's Boys, società calcistica così chiamata per il suo stesso soprannome. Tale club ha anche istituito l'omonimo torneo internazionale giovanile cittadino, e nel 2015 ha rilevato la tradizione sportiva della principale squadra cittadina, la Sanremese.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Allenatore

Club

Individuale

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carcano.jpg

 

 

 

Il 23 giugno si è spento a Sanremo – racconta Umberto Maggioli su “Hurrà Juventus” del luglio 1965 – dove si era ritirato da parecchi anni, Carlo Carcano. È un lutto per il calcio italiano e juventino. Lo sport e la vita provocano delle curiose antitesi, molto amare: Carlo Carcano, che era stato poderoso esempio di forza e vigore atletico, oltre che di chiara valentia calcistica, è stato fermato da una paralisi progressiva.
Nella storia del calcio italiano Carcano ha avuto e sempre avrà un posto non infimo. Erroneamente tutti lo hanno sempre creduto alessandrino, in quanto proprio nella squadra grigia svolse buona parte della sua carriera di calciatore militante, invece era lombardo, nato il 26 febbraio del 1891 a Masnago, nel Varesotto; e aveva iniziato a giocare nell’undici famoso del «Nazionale Lombardia», dove si creò una solida fama di centromediano, di quelli tanto per ripetere un luogo comune che… usavano una volta.
Nelle file alessandrine ebbe modo di perfezionare e potenziare il suo gioco, alla scuola del famoso inglese Smith, cui vanno molti meriti nella creazione della cosiddetta scuola calcistica alessandrina o «mandrogna», o «grigia», come normalmente la definiscono gli anziani sportivi.
Il gioco di Carlo Carcano era talmente efficace nella sua Alessandria che presto le Commissioni Tecniche del tempo, che avevano l’incarico di scegliere gli elementi per la «nazionale», si accorsero di lui. Il suo debutto in «azzurro» avvenne il 31 gennaio del 1915, a Torino, contro la Svizzera, che risultò battuta per 3 a 1. Carcano era di una classe di leva cosiddetta disgraziata: infatti per i calciatori della sua età ebbe inizio, e durò molto a lungo come tutti sanno, un campionato molto più duro e pericoloso: quello della… grande guerra. In quegli anni molti giocatori che vestivano il grigio-verde formarono delle squadre famose come quelle degli aviatori di Cameri e di Cascina Costa, degli automobilisti.
Terminato il grande conflitto, l’attività calcistica riprese, sia nel campionato che nelle prove internazionali e Carlo Carcano ebbe modo di essere selezionato per la squadra azzurra cinque volte, giocando l’ultima partita quale «nazionale» sul terreno di viale Lombardia a Milano dove, il 6 marzo 1921, la nostra rappresentativa si concesse una bella rivincita sugli svizzeri, battuti per 2 a 1.
Carlo Carcano aveva ormai trent’anni e pensò bene di togliersi le scarpe a bulloni del calciatore per dedicarsi alla carriera di tecnico del calcio. Ed anche in tale nuova veste le soddisfazioni non dovevano mancargli. Dapprima venne assunto dall’Ambrosiana, poi passò al Napoli e più tardi non seppe resistere al richiamo alessandrino e, nella città dove si era affermato quale centromediano di classe, tornò quale tecnico di rara maestria. Nel frattempo aveva plasmato e affinato alla sua scuola giocatori che sono stati a lungo in testa alle cronache del calcio internazionale, in special modo Giovanni Ferrari, che considerava quasi come un figliolo, e Gino Bertolini.
Dalla società grigia fu la Juventus che con fiuto finissimo seppe prelevare in blocco il terzetto per portarlo a Torino e inserirlo in quel meccanismo di gioco che, tra altri successi, ebbe anche quello di vincere i famosi cinque «scudetti» consecutivi. L’abilità di Carcano quale allenatore non aveva nulla di eccezionale, di sopraffino: era fatta soprattutto di pratica e… di buon senso. E magari anche, diciamolo pure, di qualche briciolo di malizia. Di malizia, intendiamoci bene, del tutto… regolamentare.
Dal 1930 al 1934, e anche per quasi tutto il torneo del ‘34-’35 Carlo Carcano fu la Juventus e la Juventus fu Carlo Carcano. Anche Vittorio Pozzo, nella sua qualità di Commissario Unico per la «nazionale», si avvalse della sua opera di allenatore per la comitiva «azzurra»; e la vittoria dell’Italia nel Campionato mondiale del 1934 fu, non soltanto merito di Vittorio Pozzo e dei suoi «azzurri», ma parecchio anche di questo tecnico calcistico abile, avveduto, consumatissimo: un autentico mago «avanti lettera». Carcano non era soltanto un tecnico del calcio, ma anche un acuto psicologo che conosceva a fondo i caratteri dei suoi uomini ai quali sapeva chiedere, ottenendolo, il massimo rendimento.
E non era soltanto un mago del calcio ma di qualsiasi gioco, sia sportivo che delle carte. Chi lo ha conosciuto a fondo e gli è stato amico ricorda come Carlo era imbattibile in qualsiasi gioco delle carte. Tutti noi che gli giocammo insieme avemmo sempre il convincimento che ci imbrogliasse ma, se lo faceva, vi riusciva tanto bene che nessuno avrebbe potuto muovergli il benché minimo rimprovero.
Nella Juventus, specie negli ultimi tempi del suo… «consolato», aveva disposto le cose tanto bene che tutto funzionava a dovere con il minimo della sua sorveglianza. Negli allenamenti mattutini si preoccupava principalmente che… Cesarini giungesse in orario e che Bertolini seguisse le sue istruzioni in quanto, dato che lo aveva portato lui nella società, desiderava che il suo pupillo fosse sempre in forma e in condizioni fisiche perfette; di tutti gli altri quasi non si curava, tanto era sicuro che seguivano i suoi ordini e istruzioni. Aveva saputo far funzionare la macchina juventina con tale perfezione che tutto procedeva con facilità, quasi automaticamente: i giocatori stimavano e apprezzavano il loro tecnico e questi si fidava di loro: sia pure con qualche riserva mentale.
Difficilmente Carcano puniva un suo giocatore. Essendo stato giocatore prima degli altri usava sempre la persuasione, sapendo che era, comunque, il migliore sistema.
Da tempo era sparito dalla scena calcistica. Ritiratosi a Sanremo, dove aveva acquistato con i suoi risparmi una ridente villetta, dedicava talvolta le sue cure ai vivai giovanili della Sanremese e dava anche vita alla conosciutissima contesa giovanile del torneo «Carlin Boys»; e «Carlin» non era altri che lui stesso.
Non lo rivedremo più. Tutti certamente lo ricorderanno così come avevano avuto modo di notarlo sui campi di gioco negli ultimi anni della sua attività, indossante quel suo elegantissimo giubbotto in pelle di daino. Che ha una sua storia particolare: una storia che illustra anche il carattere bonario e cordiale dello scomparso.
Una storia che vale la pena di essere raccontata. Quando nel torneo mondiale del 1934 si dovette disputare la partita con la Spagna, Carcano fu sollecitato a far giocare l’interista Castellazzi in luogo di Varglien I, e ciò lui fece, forse per dimostrare a tutti come nella sua qualità di allenatore azzurro e collaboratore di Vittorio Pozzo egli non avesse alcuna debolezza in favore degli elementi della sua squadra di società. Inutile dire che Mario Varglien ci rimase un po’ male. Poi, nell’incontro ridisputato, Castellazzi venne sostituito da Ferraris IV.
Poco tempo appresso, in occasione d’una partita juventina col Genoa, a Marassi, la direzione rossoblu ebbe l’idea di acquistare dodici scatole dei famosi «canditi» genovesi Capurro per farne dono agli undici bianconeri ospiti e al loro allenatore. Quel giorno Mario Varglien era infortunato e quindi figurava soltanto quale riserva: perciò escluso dal dono. Carcano acquistò allora a sue spese una scatola identica alle altre e la donò a Varglien, il quale, logicamente, rimase colpito dalla finezza del suo allenatore e pensò bene di ripagarlo con altro gesto egualmente fine. Da qualche giorno aveva ricevuto a sua volta in dono dal cognato – marittimo che navigava allora col «Saturnia» sulla rotta di New York – quella famosa giacca di daino: oggetto che a quell’epoca rappresentava autentica rarità.
Ci piace, oggi che Carlo Carcano non è più, ricordare questo simpaticissimo episodio che lumeggia ampiamente le doti del suo carattere generoso.
Ed anche quello del carattere di Mario Varglien.


VLADIMIRO CAMINITI
Cinque volte azzurro, valente centr’half dell’Alessandria e poi valente allenatore psicologo ad Alessandria, riscosse la fiducia del dirigente factotum Mazzonis e nel ‘30 passò armi e bagagli a Torino.
Amava i ragazzini e li assoldava anche per poter sorvegliare i giocatori più riottosi alla disciplina, gli Orsi e Cesarini. Amava sconfinatamente il mestiere ed ogni risvolto del vivere, si piegava alle situazioni ma sapeva uscirne vincitore. Ai Mondiali del ‘34 fu convocato allenatore della squadra azzurra. Luigi Cavallero, capo della pagina sportiva de «La Stampa» di Torino, in un articolo abbastanza datato ne riferì queste parole che documentano i suoi sistemi di lavoro:
«Cura di spiriti, la mia. Non c’è giocatore che nel corso di un campionato non attraversi periodi più o meno lunghi di minorate condizioni fisiche aggravate spesso da una conseguente sfiducia nei propri mezzi. Basta che un uccello di malaugurio gridi il “giù di forma” perché si crei attorno al giuocatore un’atmosfera di diffidenza e, talvolta, anche di derisione. La folla dimentica spesso che l’uomo al quale grida il suo disappunto è quello stesso che poco tempo prima ha portato in trionfo. E parla, allora, senza nulla sapere di preciso, di vita sregolata, di scarso impegno, di progettata emigrazione in altro club e di cento altre stramberie del genere! Succede allora che il giuocatore, il quale avrebbe magari bisogno di riposo, di incoraggiamento, di fiducia, se non altro, nella sua lealtà, si stizzisce, fa peggio ancora e non si risolleva per molto tempo. Chi non ricorda quanto è successo a Combi allorquando riportò, in un duro scontro, una ferita al capo che lo costrinse per molti giorni in un letto di ospedale e che fece temere non poco per lui? Gli sportivi, prendendo lo spunto dalle voci messe in circolazione dai soliti bene informati, furono i primi a dire che sicuramente Combi non avrebbe giuocato più. Si parlava del povero infortunato come di un uomo rovinato per tutta la vita. “Non avrà più coraggio” diceva uno. “Non oserà più uscire di porta” soggiungeva un altro. “Mancherà di prontezza...”. “Avrà perso la sicurezza negli interventi...”. Conclusione: Combi era un giuocatore da abbandonare al suo destino. Tanti grazie per quanto aveva fatto durante lunghi anni, molta ammirazione per la sua carriera, ma, per il resto, basta, si doveva pensare a sostituirlo. Come campione era finito. Come il tenore sfiatato, il violinista cui trema l’archetto in mano, l’asso del volante che ha paura in curva. Così la pensavano anche quelli che erano stati fra i suoi più fervidi ammiratori.  Combi avvertì questa sfiducia e pur lottando per tornare rapidamente nel pieno possesso dei suoi mezzi, non vi riuscì subito. Subì, in più di una partita, punti che prima avrebbe sicuramente evitato, ed i più pensarono di avere avuto ragione nel considerarlo definitivamente al tramonto. La verità, invece, era un’altra. La squadra tutta, stanca ancora per le fatiche della Coppa Europa, non era in forma. Gli stessi terzini non costituivano una barriera insormontabile. Nella massa vi fu chi ebbe fede. Io fui tra questi. Lo lasciai in squadra, incurante delle critiche. Ebbene, occorsero vari mesi prima che Combi tornasse ad essere il grande atleta che era stato per il passato e nessuno può immaginare la gioia di Gian Piero allorché Pozzo tornò a chiamarlo in Nazionale».
Carcano fu psicologo alquanto capace. Aveva un cuore sentimentale. Aveva i suoi pupilli. In tempi televisivi e di giornalismo oltranzista, gli sarebbe riuscito più difficile confermare il Combi nonostante la grama vena. Ma non si può dubitare nemmeno della classe di Combi, uomo vero.

Tutto considerato, una storia senza novità. Allenatori migliori nel genere di Carcano in Italia se ne avranno. Ad esempio Rocco. Né la figura dell’allenatore, nel frattempo, aveva assunto una sua dignità. Come nei tempi in cui il barbiere surrogava il medico, negli anni trenta ancora l’allenatore cercava una sua dimensione tecnica. Lo respingevano gelosi del loro ruolo, gli stessi calciatori; e soltanto a pochi stranieri aureolati di autentica gloria calcistica era consentito di interferire. Pur che fossero rispettosi delle usanze. Non come Giorgio Aitken che pretendeva di far correre i primi divi della Juve.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2011/03/carlo-carcano.html

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