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Socrates

Cinesinho

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Cinesinho", il campione umile venuto dal Brasile: l'idolo del Cibali con  uno Scudetto alla Juventus | Goal.com Italia
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CINESINHO Sidney Colônia Cunha | Storie di Calcio

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Chinesinho

 

 

Nazione: Brasile Brasile
Luogo di nascita: Rio Grande
Data di nascita: 01.01.1935

Luogo di morte: Rio Grande

Data di morte: 16.04.2011
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 168 cm
Peso: 68 kg

Nazionale Brasiliano
Soprannome: Cina

 

 

Alla Juventus dal 1965 al 1968

Esordio: 29.08.1965 - Coppa Italia - Inter-Juventus 0-1

Ultima partita: 09.05.1968 - Coppa dei campioni - Benfica-Juventus 2-0

 

112 presenze - 10 reti

 

1 scudetto

1 coppa Italia

 

 

Sidney Colônia Cunha, meglio noto come Chinesinho o anche Cinesinho (Rio Grande, 1º gennaio 1935  Rio Grande, 16 aprile 2011), è stato un calciatore e allenatore di calcio brasiliano, di ruolo mezzala.

 

 

Chinesinho
Cinesinho (1967).jpg
Cinesinho con la maglia della Juventus
     
Nazionalità Brasile Brasile
Altezza 168 cm
Peso 68 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex mezzala)
Termine carriera 1974 - giocatore
19?? - allenatore
Carriera
Squadre di club
1954   Renner ? (?)
1955-1958   Internacional ? (?)
1958-1962   Palmeiras 237 (55)
1962-1963   Modena 20 (3)
1963-1965   Catania 59 (5)
1965-1968   Juventus 112 (10)
1968-1972   Lanerossi Vicenza 90 (10)
1972   N.Y. Cosmos 1 (0)
1973-1974   Nacional-SP ? (?)
Nazionale
1956-1961 Brasile Brasile 17 (7)
Carriera da allenatore
1975-1976   Lanerossi Vicenza  
1978-1979   Foggia  
1979-1981   Forlì  
1984   Forlì  
1985   Palmeiras  
1985-1987   Bassano  
1990-1991   Modena Giovanissimi
Palmarès
 
Transparent.png Campionato Panamericano
Oro Città del Messico 1956
Transparent.png Campeonato Sudamericano
Argento Argentina 1959

 

Biografia

La sua data di nascita è stata spesso argomento di disputa. Finché militava nel Modena, nel Catania e nella Juventus gli almanacchi riportavano la data del 28 giugno, ma dopo il suo passaggio al Lanerossi Vicenza emerse quella del 1º gennaio, data che lui stesso ha sempre confermato come sua data di nascita. L'albo degli allenatori inoltre lo registrò come nato il 13 gennaio. Il figlio, Sidney Cunha, nato a San Paolo il 15 giugno 1961, ha giocato come interno negli anni 1980 nelle giovanili del Catania e nel Forlì, senza mai arrivare al livello del padre.

È deceduto il 16 aprile 2011, dopo essere stato a lungo malato di Alzheimer. I suoi funerali si sono tenuti il 18 aprile a San Leopoldo, nello stato di Rio Grande do Sul; il suo corpo è stato cremato. Il 17 aprile, giorno successivo alla scomparsa, allo stadio Angelo Massimino di Catania, in occasione dell'incontro Catania-Lazio (1-4) è stato osservato un minuto di raccoglimento in sua memoria.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Come molti altri calciatori brasiliani, aveva un soprannome legato al suo aspetto, che con gli occhi a mandorla e il viso paffuto, unitamente a una statura che non arrivava al metro e settanta, lo faceva sembrare un piccolo cinese ("chinesinho" in portoghese).

Veloce e tecnico, soffriva le marcature strette, ciò nonostante scendeva anche in difesa per iniziare nuovamente l'azione d'attacco, dove poi si rendeva pericoloso battendo calci d'angolo e punizioni a effetto: in questo senso rimane nella memoria un suo gol su calcio piazzato, tirato in prossimità della bandierina in un Napoli-Juventus del campionato 1967-1968, con Zoff e la difesa azzurra rimasti sorpresi dall'audace traiettoria impressa al pallone.

Carriera

Giocatore

Gli inizi in patria

Giocò in Brasile nel Renner, nell'Internacional e nel Palmeiras; in questo periodo, fu convocato 17 volte in nazionale, collezionando 7 reti.

Nel 1955 debuttò nell'International di Porto Alegre, insieme a Larry e Bodinho, vincendo in quello stesso anno il Campionato Gaúcho, titolo che aveva già vinto con il Renner l'anno precedente, e nel 1956 fu convocato nella nazionale brasiliana per i Giochi Panamericani di quell'anno disputati a Città del Messico, vinti con Cinesinho che nel corso della manifestazione realizzò quattro reti (tre nel 7-1 contro la Costa Rica e una contro gli storici rivali dell'Argentina).

Nel 1958 insieme a Valdir e Andrade fu ceduto al Palmeiras, con cui nel 1959, insieme a Valdir, Djalma Santos, Zequinha, Julinho, vinse il campionato Paulista, contro il Santos di Pelé dopo tre incontri di finale di cui il terzo giocato allo stadio Pacaembu di San Paolo. Nel 1960 con la sua squadra di club vinse la Taça Brasil.

Nel Palmeiras realizzò in totale 55 reti. Negli stessi anni, con la nazionale partecipò al Campeonato Sudamericano di Argentina 1959, ma in occasione del successivo campionato del mondo 1962 disputati in Cile gli fu preferito Mengálvio.

L'esperienza italiana e gli ultimi anni

220px-Cinesinho.jpg
 
Cinesinho a metà degli anni 1960, in allenamento con il Catania.

 

Arrivò in Italia nel 1962, accasandosi al Modena neopromosso in Serie A; a proposito della sua cessione, Arnaldo Tirone, presidente del Palmeiras, ricordò che «con i soldi della vendita di Cinesinho il Palmeiras acquistò 15 giocatori formando così la prima academia, una grande squadra».

Al termine della prima stagione in Italia, in cui pur essendo stato frenato dagli infortuni, aveva dato un notevole contributo alla salvezza dei canarini con 3 reti in 20 gare (di cui la prima realizzata contro il Genoa nella prima partita casalinga giocata allo stadio Alberto Braglia), passò nel 1963 al Catania dove rimase per due anni totalizzando 59 presenze e 5 reti, disputando anche la finale di Coppa delle Alpi 1964 persa contro il Genoa allo stadio Wankdorf di Berna.

Nell'estate 1965 passò alla Juventus sostituendo nel ruolo e nel numero di maglia Omar Sívori, e vincendo all'esordio in bianconero la Coppa Italia 1964-1965 nella finale disputata il 29 agosto contro la Grande Inter allo stadio Olimpico di Roma. Nella formazione allenata dal paraguaiano Heriberto Herrera divenne, grazie alle sue doti di palleggio, tecnica e lanci, il faro di centrocampo dei bianconeri campioni d'Italia nella stagione 1966-1967.

Nei tre campionati disputati a Torino segnò 8 reti in 85 partite, dopodiché nell'estate 1968 fu ceduto al Lanerossi Vicenza; con i biancorossi visse una seconda giovinezza realizzando 10 reti in 90 partite.

Esordì anche nella NASL con la maglia dei N.Y. Cosmos.

Allenatore

Chiusa la carriera, ricoprì incarichi tecnici nelle file beriche, fra cui quelli di secondo allenatore e anche di allenatore della prima squadra. Allenò poi il Foggia con cui retrocedette in Serie C e il Forlì, con cui sfiorò la promozione in Serie B nella stagione 1979-1980, ma fu poi esonerato nel campionato successivo.

Nel 1985 tornò ad allenare il Palmeiras per 14 incontri, ottenendo 5 vittorie, 6 pareggi e 3 sconfitte.

Nel 1995, allenando la formazione "Giovanissimi" del Modena, ebbe tra i ragazzi un promettente Luca Toni.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

 

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Diventa bianconero durante un’estate (quella del 1965) dominata da un mercato movimentatissimo e ricco di colpi di scena. Le frontiere chiuse hanno portato a un aumento di prezzo dei pochi grossi calibri in vendita e la lotta per accaparrarseli coinvolge tutte le società, grandi o piccole che siano; così, mentre la Juventus soffia il Cina alla nutrita concorrenza, Altafini e Sivori prendono la strada di Napoli, dove, per loro, hanno costruito ponti d’oro.
Con Sivori se ne va un’era, anche se di fatto il divorzio fra Omar e la Juventus era nell’aria da almeno un paio di anni. E Cinesinho è l’uomo chiamato a rivestire quel fatidico numero dieci, lasciato dal Cabezon; un compito niente agevole, non occorre essere un esperto per capirlo. Ma il Cina ha già trenta primavere e ha saggezza da vendere, capisce subito che cosa la società vuole da lui e non si tira indietro davanti alla responsabilità.
Con Heriberto bisogna correre e correre, c’è poco da fare, il “movimiento” sarà discutibile, ma ha poche alternative e molti vantaggi; chiaro che ha anche il grave svantaggio di obbligare chi lo esegue la domenica a superlavoro settimanale, sotto l’occhio attento e persino impietoso di Heriberto. Ma la fatica è compensata dai risultati, che già prima dell’inizio del campionato destano speranze tra i tifosi bianconeri: la finale di Coppa Italia, nella calda notte romana, è un netto successo della Juventus sull’Inter europea e mondiale, nonché il primo, proficuo approccio di Cinesinho con il gioco juventino.
Non tutto è perfetto nel meccanismo della squadra ed è altrettanto logico che non si debba subito pretendere dal Cina, di dialogare a occhi chiusi con il resto della formazione. Ci sarà tempo per curare i collegamenti tra reparto e reparto ed anche per perfezionare un certo tipo di lavoro, che Heriberto vuole far svolgere al brasiliano; il campionato che va a cominciare non rappresenta per i bianconeri che una tappa importante di riavvicinamento allo scudetto, nessuno pretende miracoli subito e questo giova, non poco, alla serenità dell’ambiente.
Ha la tendenza a ingrassare ma, con Heriberto, non ci riesce. Sin dal primo giorno di allenamento, il Ginnasiarca lo tasta con i piedi, gli salta delicatamente sulla pancia, poi lo fa stendere a terra e, sollevandolo con le due mani, lo setaccia, come i contadini setacciano il grano. Il primo campionato del brasiliano in bianconero è positivo, al di sopra delle previsioni più rosee. Il brasiliano ha una volontà che compensa abbondantemente la non eccelsa classe e gli consente di competere, senza complessi, con i più quotati registi nostrani; la squadra ne approfitta immediatamente per assestarsi nella parte alta della classifica, grazie ad una serie strepitosa di partite senza sconfitta, ben dodici consecutive.
Il Cina guida la squadra con esemplare disciplina tattica e, talvolta, si scopre anche nelle vesti di rifinitore, conquistandosi le simpatie del pubblico torinese e non. A San Siro, dove a squadra cede nel finale al Milan, è sua la rete del vantaggio juventino e, se la rimonta rossonera si concretizza, è anche perché il Cina si infortuna, un brutto strappo che lo terrà fermo per due turni. Trentuno presenze e quattro reti segnate, di cui tre nelle ultime partite; il bilancio è più che lusinghiero, la maglia numero dieci è sua anche per l’anno dopo.
Cinesinho è definitivamente consacrato regista di talento, non ci sono sbavature nella sua manovra che è ricca di fluidità, oltre che superba sul piano dinamico; a Bergamo, prima giornata, tutti si accorgono di quanto sia importante nell’economia del gioco bianconero un punto di riferimento come lui, che dirige la manovra e, non di rado, la finalizza con imbeccate precise alle punte. L’Atalanta è trafitta due volte e sempre c’è di mezzo Cinesinho, una volta come suggeritore e l’altra come freddo esecutore. Il seguito è tremendamente regolare, sempre su livelli di eccellenza; certo che non sempre al risultato si accomuna lo spettacolo, ma bisogna avere pazienza, il collettivo è anche sacrificio dell’estro a favore del risultato.
Il Cina fa talora cose splendide, come a Firenze, terza giornata, 2-1 finale con zampata vincente di Depaoli e gran regia del brasiliano in giornata di grazia; o come a Napoli, nel fango e contro gli azzurri arrembanti, dove lotta da gladiatore propiziando, tra l’altro, il contropiede vincente di Favalli. Ma tutto il suo campionato sarebbe da ricordare, ricco com’è di spunti di valore e di strenuo impegno. Ancora trentuno presenze alla fine, l’ultima coincidente col successo-scudetto sulla Lazio. Il secondo anno del Cina in bianconero ha pienamente confermato il primo, arricchendo anzi il suo curriculum di note di merito. Heriberto è, giustamente, orgoglioso di quest’ultratrentenne irriducibile, che galoppa come un ragazzino e illumina di buon senso il gioco dei compagni.
«Anche nel Catania, dopo un periodo difficile, divenni il giocatore che sono considerato oggi nella Juventus. A Heriberto debbo molto, mi ha ridato l’appetito, la giovinezza, peso meno di quando giocavo nel Palmeiras e avevo ventiquattro anni, l’allenamento che cura lui è il migliore, e preciso anche questo: difficilmente potrò fare l’allenatore, perché sono buono anche con mio figlio Sidney, e invece bisogna essere come Heriberto, sapere quello che si vuole. La Juventus gioca un bel calcio, faccio presto a mettere il pallone dove voglio, c’è sempre uno smarcato. Quando giocavo nel Porto Alegre o nel Palmeiras in fondo ero meno giovane di oggi. In Brasile giocavo di punta, accanto a Julinho, il mio compito era fare la sponda, non correvo molto, in fondo non ci avevo il fiato per correre. Il brasiliano è un giocatore che non pensa, va in campo e gioca per divertirsi. In Italia ho imparato ad allenarmi e a pensare. Queste due cose importantissime mi hanno fatto più giovane. Così oggi che ho trentadue anni sono più giovane di quando ne avevo venti, poco ma seguro».
Il tempo vola, l’estate è avara di novità per i colori bianconeri, anche se la tifoseria invoca acquisti decisivi, per affrontare degnamente attrezzati la Coppa dei Campioni; Volpi mantovano e Simoni granata non sono il massimo della vita ed è chiaro che Heriberto dovrà contare sugli stessi uomini che hanno strappato lo scudetto dalle maglie neroazzurre. Si comincia bene, i greci del Pireo nettamente battuti, caricano la Juventus anche per le fatiche del campionato e la classifica è sostanziosa, anche se non più di vertice assoluto. Il brasiliano, in particolare, sembra ulteriormente migliorato nella parte di suggeritore e dal suo piede partono palloni carichi di saggezza; anche se il gioco verticalizzato non è propriamente conforme alle sue visioni di gioco, che spesso indulgono al passaggio laterale.
Il pubblico, che pure non smette di apprezzare lo sgobbare perpetuo del Cina, si domanda se non c’è un modo più stringato e più spettacolare per vincere, giocando magari in modo più deciso negli affondi e, così, comincia a disapprovare i beniamini, non appena se ne presenta l’opportunità, sotto specie di passo falso in classifica. Qualcuno avanza l’ipotesi che, un trentatreenne come Cinesinho, sia agli sgoccioli sul piano fisico e la polemica è persino suffragata dai frequenti infortuni del brasiliano, costretto a disertare partite importanti. Per fortuna, la squadra ha un’impennata nel finale di stagione e proprio Cinesinho si rende protagonista dell’impresa più prestigiosa del torneo, vale a dire la vittoria al San Paolo contro gli azzurri, che finiranno secondi dietro il Milan campione.
31 marzo 1968: i bianconeri che attendono il Benfica per le semifinali di Coppa dei Campioni, si cimentano contro gli azzurri partenopei in un incontro difficilissimo. Primo tempo arrembante, Juliano e Altafini assaltano, ma non fanno breccia nella rocca forte juventina, rinforzata dai centrocampisti e dal Cina in special modo. Poi, di colpo, all’inizio della ripresa, esce di prepotenza la Juventus, come svegliata da una lunga attesa sonnolenta; Depaoli infila Zoff e lo stadio ammutolisce. Un attimo e il Napoli cerca di scatenarsi all’attacco; niente da fare, a centrocampo non si passa, è ora la Juventus che domina il gioco. E chiude il conto con un goal che ha del diabolico; è proprio Cinesinho che lo realizza, con un tiraccio assolutamente imprevedibile dall’altezza del corner, che inganna Zoff e i difensori appostati. A nulla servirà il goal in extremis di capitan Juliano, finisce 2-1 per la Juventus.
Sono sprazzi, si capisce, ma neanche poi troppo isolati, se è vero che, nelle ventitré partite disputate in quel torneo, altre due volte la stoccata del Cina si rivela decisiva. Il campionato si chiude, il futuro è ricco di prospettive e la Juventus non vuole essere tagliata fuori dalle grandi manovre. Arrivano Anastasi, Haller, Benetti e altri ancora di fresca fama; e parte, tra gli altri, Cinesinho, destinazione la provincia veneta, vicentina in particolare, che da sempre porta longevità pedatoria.
Una volta disse: «Il centrocampista deve lasciare i nervi a casa, nel cassetto della tavola, un centrocampista nervoso non serve alla squadra, non può ragionare».
Usciva da un calcio favoloso, con i radiocronisti dalla pazzesca parlantina, trascinati all’euforia dalle ineguagliate prodezze di Pelé, oppure Garrincha. Cinesinho soltanto quei due considerava più grandi della massa; in realtà, il Cina si distingueva per la sua scienza nel calciare. Su calcio piazzato il suo pallone mistificava le difese avversarie e consentiva appostamenti vittoriosi al furbo Depaoli o all’estroso Zigoni.
Cinesinho pareva lento ed era velocissimo e ubriacante. «Io possiedo il riflesso del campione. Il mio riflesso è il tempo impiegato per direzionare il pallone. Io, come Pelé e Garrincha, ho il riflesso molto veloce. Il mio compagno smarcato riceve subito il pallone».

VLADIMIRO CAMINITI
Il calcio non era ancora la cosa spesso ribalda di oggi, miliardi a gogò, gli stranieri padroni anche del nostro cuore. Ce n’erano di stranieri, e vivevano la parte come gregari, anche quando erano fuoriclasse, e mi riferisco allo zufolante simpatico gentile Cinesinho. Che poi le sue virtù fossero tante, e ruotassero con un possesso di palla che sapeva imprimere al gioco traiettorie originali, questo l’ho constatato seguendo quel campionato di vittoria della Juve del tredicesimo scudetto dal primo all’ultimo respiro. A quel bravo collega di Enzo Sasso, proprio Cinesinho ha spiegato il fenomeno Heriberto in una lettera al connazionale Djalma Santos che si può considerare inedita, e della quale riproduco alcuni passi. Io la trovo documento di umanità più antico che raro, e di una temperie sportiva che dopo le grandezze e le follie sivoriane, la Juventus aveva ripristinato all’altezza del suo fulgido blasone. Quel piccolo asso di pelle scura, coi suoi capelli ricciuti e i suoi occhi buoni e ingenui, scriveva a Djalma: «Il mister mi fece subito capire che a trent’anni, quanti ne avevo quando vestii la maglia bianconera, si è ancora ragazzi: a patto che ci si alleni durante tutto l’anno come vuole lui. Io ubbidii. E vidi subito i risultati. Non basta. Anche tu ti alleni e ti sacrifichi, ma il nostro calcio, quello della Juve, è un calcio speciale, nel quale tutti noi diamo tutto, corriamo, facciamo gli attaccanti e i difensori, andiamo in goal, salviamo il portiere, secondo un grafico che qui, per iscritto, non ti so descrivere, ma che ti farò quando verrò a San Paolo. E una specie di distribuzione uguale di tutte le forze in campo. Così tutti noi ci aiutiamo nei novanta minuti, e alla fine siamo meno stanchi di quello che pensi. Tu riderai ma io mi sento più giovane oggi di quando ero al Modena o al Catania o addirittura a Palmeiras». Di quella Juventus io ricordo tutto, perché ha rappresentato l’inizio di un tirocinio professionale che ancora perdura. Quello schema che Cinesinho chiama grafico, cioè il “movimiento”, movimentò il giornalismo italiano oltre al resto. Da certi sapientoni milanesi, Brera in testa, fu irriso; ma la realtà era che Heriberto andava più in là del magnifico zingaro Helenio, insegnava il calcio del futuro. Ed ebbe in Cinesinho il giusto cervello per le sue elucubrazioni spesso ossessionate; la squadra danzava il suo calcio ripetitivo raramente improvvisando. Infatti, la Juventus capeggiata da Cinesinho riuscì a piegare addirittura l’Inter, per un sol punto, ma meritatissimamente. Era campionato a diciotto e fu lungo e combattuto. I figli di papà in tribuna centrale, nel vecchio romantico stadio, storcevano la bocca quando il pallone era di Leoncini, e trovavano che soltanto Cinesinho e Salvadore fossero da Juventus. Concetti stantii, indegni della juventinità, che è qualcosa di bello e di puro, senza pruriti di razzismo di nessun tipo. E la Juventus di Heriberto e del piccolo zufolante Cinesinho si incasella infatti tra i capolavori del calcio. Una squadra di pionieri, irrobustita da uno schema che donava giovinezza, e consentì al mite e gracile Cinesinho di farla da regista, imprimendo al pallone originali e musicali traiettorie. Quella Juventus, aldilà di tutto, fu una ventata di pulito per tutto il nostro calcio.

RENATO TAVELLA
E bravo Cina, trotterellante centrometrista per rapido pensiero. Mai volgari fiondate le sue improvvise aperture, bensì geniali e fulminei inviti accarezzati coi piedini guantati. Tutto in lui è piccolo e aggraziato, a tal punto mignon da risultare grande. Persino i due spilli neri, con cui si guarda intorno col sorriso, gli regalano sul volto scuro e grattugiato un’aria di non comune simpatia. Di tenerezza, anche. Inutile ricordare che, palla al piede, appartiene alla razza dei purosangue che hanno fatto la fortuna del calcio.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/06/cinesinho.html

 

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