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Socrates

Jesse Carver - Allenatore

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SUPREMOS: Former Coventry City boss Jesse Carver in focus - News - Coventry  City
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Jesse Carver born #OnThisDay in 1911 - Juventus
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1737464095_juventus1931.jpg.feb3a68f589d894282826a78f72c9cec.jpg JESSE CARVER  

 

Jesse Carver - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Jesse_Carver

 

 

Nazione: Inghilterra Inghilterra
Luogo di nascita: Liverpool
Data di nascita: 07.07.1911

Luogo di morte: Bournemouth

Data di morte: 29.11.2003
Ruolo: Allenatore
Altezza: -
Peso: -

Soprannome: -

 

 

Allenatore della Juventus dal 1949 al 1951

 

76 panchine - 51 vittorie - 14 pareggi - 11 sconfitte

 

1 scudetto

 

 

Jesse Carver (Liverpool, 7 luglio 1911  Bournemouth, 29 novembre 2003) è stato un allenatore di calcio e calciatore inglese.

 

 

Jesse Carver
Jesse Carver - 1950 - Juventus FC.jpg
Carver nel 1950, portato in trionfo dai giocatori della Juventus dopo la vittoria dello scudetto.
     
Nazionalità Inghilterra Inghilterra
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1939 - giocatore
1970 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1929-1936   Blackburn 146 (0)
1936-1939   Newcastle Utd 70 (0)
Carriera da allenatore
1946   Huddersfield Town Assistente
1946   Xerxes  
1947-1948 Paesi Bassi Paesi Bassi  
1948-1949   Millwall Assistente
1949-1951   Juventus  
1951-1952   Marzotto Valdagno  
1952-1953   West Bromwich  
1953   Torino DT
1953-1954   Roma  
1954-1955   Roma  
1955   Coventry City  
1956   Lazio  
1956-1957   Lazio  
1957-1958   Inter  
1958   Tottenham Assistente
1959-1960   Genoa  
1961   Lazio DT
1962-1963   APOEL  
1969-1970   APOEL

 

Carriera

Giocatore

Ha giocato nel ruolo di centrocampista tra le file del Blackburn e poi del Newcastle negli anni 1930.

Allenatore

Club

Primo allenatore ad applicare il gioco a zona nel calcio italiano, attraverso tale atteggiamento tattico vinse il campionato di Serie A alla guida della Juventus nell'annata 1949-1950, riportando il massimo titolo nazionale sulle maglie bianconere dopo ben tre lustri; otterrà sia il riconoscimento della stampa specializzata come «innovatore» che critiche per la propria opposizione al dogmatico sistema, principalmente per quanto riguarda le marcature individuali in fase difensiva, che andranno ad accentuarsi nel corso della stagione successiva fino a costargli l'incarico dopo il terzo posto finale in campionato.

 

220px-Juventus_Football_Club_1950-1951.j
 
Carver (in piedi, primo da destra) coi Bianconeri del 1950-1951

 

Rientra in Italia nel 1951, in Serie B, alla guida del neopromosso Marzotto Valdagno che porta a un'insperata salvezza. Lascia quindi il sodalizio veneto e, dopo un breve periodo di inattività, torna nel 1953 subentrando a stagione in corso a Roberto Copernico nel ruolo di direttore tecnico, con Oberdan Ussello allenatore, alla guida del Torino. Confermato per l'annata successiva, lascia l'incarico a campionato in corso.

Passa quindi nella stagione 1953-1954 alla Roma, ove rimane anche nella stagione seguente e, dopo un anno in Inghilterra, alla Lazio, dove nella stagione 1956-1957 ottiene un ottimo terzo posto. Viene quindi ingaggiato dall'Inter del "presidentissimo" Angelo Moratti, ma la stagione 1957-1958, iniziata tra grandi aspettative, si concluderà con un deludente nono posto.

Dopo una breve parentesi come assistente di Bill Nicholson al Tottenham, passa al Genoa nella stagione 1959-1960, subentrando all'esonerato Gipo Poggi, ma dopo una netta sconfitta interna per 2-6 contro la Juventus viene sollevato dall'incarico, coi rossoblù ormai avviati verso la retrocessione. Chiude la sua esperienza italiana riassumendo, a campionato in corso, la guida della Lazio in veste di direttore tecnico assistito da Enrique Flamini, senza però riuscire a salvarla dalla sua prima retrocessione in Serie B.

Dopo aver allenato ben sette squadre del bel paese (fra cui le due maggiori compagini di Torino e Roma), ha avuto minor fortuna con le squadre inglesi, raccogliendo solo un finale di campionato in massima divisione, col West Bromwich, sedicesimo nel 1951.

Nazionale

A inizio carriera l'allenatore inglese è stato anche commissario tecnico della Nazionale olandese, in un periodo durante il quale tuttavia gli Orange non erano ai vertici del calcio internazionale.

Palmarès

Allenatore

Club

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1737464095_juventus1931.jpg.feb3a68f589d894282826a78f72c9cec.jpg JESSE CARVER  

 

carver.jpg

 

 

 

Il Presidente era Gianni Agnelli – racconta Vladimiro Caminiti – il Torino era già un mucchio di cenere. La Juventus vinceva da lontano e da vicino l’ottavo scudetto sotto la guida di un inglese gran chiacchierone: Jesse Carver. Gran chiacchierone ma inglese, impasto di orgoglio e di manie tecniche e tattiche, risultato di suggestiva competenza professionale, dovendosi dare per scontato, secondo Jesse, che i calciatori erano tutti seri, tutti disciplinati, tutti innamorati del gioco, tutti consapevoli di appartenere ad una grande società e di avere come allenatore un grande allenatore.
La Juve era grande davvero in campo. La società, invece, ancora (e sempre) dilettantistica. La Juventus degli scudetti dorati, conquistati con i fuoriclasse legati al vile denaro non alla maglia, scherzosi e viziosi, peranco traditori dell’amico più caro, purché non gli si toccasse il malloppo. Non c’era ancora professionalità nel calcio nostrano.
Il Torino era bruciato a Superga. La squadra meravigliosa, in cui si risolvettero le paure della guerra, trovando ciascun granata di Erbstein e Novo nello scudetto il paradiso per la famiglia, per se stesso, aveva lasciato tutti vedovi di qualcosa. La Juve dell’avvocato Agnelli colmò quel vuoto, aveva fatto arrivare anche un argentino, Rinaldo Martino, che giocava da superman. E fu una Juventus radiosa, inglese e asciutta, a zona, come impartiva Carver, non marcava nessuno, dai terzini Bertuccelli e Manente (Rava era finito riserva per età), ai mediani Mari Parola e Piccinini; con pochi movimenti corali azzeccati, con poche trame volanti, vinceva ogni partita, travolgeva tutti. Viaggiava in un pulman d’argento e rappresentava il benessere sociale della Fiat, la grandezza del calcio italiano retrodatato, la potenza della classe e della lira.
Stabilì questi primati: cinque vittorie iniziali consecutive, migliore serie iniziale senza sconfitte (17), migliore serie di vittorie consecutive (8), 14 vittorie in trasferta, più punti nel girone d’andata (34), minor numero di sconfitte in campo avversario (0-1 a Roma con la Roma), maggior numero di vittorie complessive (28), minor numero di sconfitte (4), tra le quali il famigerato 1-7 col Milan. Non stabilì il primato dei gol segnati che furono «appena» cento rispetto ai 118 del Milan dei Grenoli, terrificanti, specialmente Nordhal, quando giocavano contro la Juve. Tutto sapeva fare quella Juve tranne rendere con continuità.
Non sapevano allenarsi con rigore, applicare la tattica con coscienza, giocare non soltanto per il divertimento. Cotanti assi in campo improvvisavano. Non poterono improvvisare il 1° febbraio 1950 contro il Milan. Dopo il gol iniziale di John Hansen si scatenò il pompiere Gunnarone Nordhal, per Parola fu la disfatta, per la Juventus fu la incredibile amarezza: 7 a 1 in casa, davanti all’avvocato Agnelli che voleva multarli tutti, a partire da Carver. Che non aveva colpe. Lui credeva nel suo calcio a zona, quella volta la zona fu sgretolata dal Milan con il suo travolgente e straripante pompierone, con Liedholm e Gren sornioni maestri. Quando la colpa era di tutti, dirigenti compresi, si scopriva (anche oggi ahimè) che l’unico colpevole in fondo è l’allenatore. L’avvocato lo ha sempre detto: l’allenatore non conta niente. Si può sostituire in qualsiasi momento.
«Mister Carver parla un linguaggio che la direzione juventina non capisce come d’altra parte non lo capiscono in tutta Italia», scriveva Martin, giornalista piemontese, nell’edizione piemontese dell’«Unità» di venerdì 24 agosto 1951. E proseguiva: «Noi non sappiamo ancora come vada a finire il caso Carver. I dirigenti, quasi tutti, sono intransigenti contro lo stipendiato, che ha osato dir loro delle parole un po’ troppo vere, che poi esaminate ben bene non sono affatto offensive, perché che il geometra Monateri, ad esempio, non sappia comperare i giocatori non è assolutamente grave; il suo mestiere è costruire case, non comperare giocatori né insegnare lo stop né giudicare la mediana eccetera...».
E concludeva: «Quella dei dirigenti juventini è l’arrabbiatura di dilettanti di fronte a un tecnico, che per una forma della società dipende economicamente da loro, che, invece di piegarsi e star tranquillo, ha fatto sapere a tutti che i suoi dirigenti sono loro dei dilettanti, invece di essere anche loro dei tecnici inquadrati nei vari settori di lavoro della squadra. Lo “stipendiato” Carver ha avuto il cattivo gusto di rendere noto al pubblico che la Juventus è organizzata in modo carnevalesco...».
Non basta dunque vincere gli scudetti in modo radioso per essere società organizzata. La Juventus ai tempi di Carver era la Juventus nata dal mecenatismo di Gianni Agnelli giovane e gongolante profeta di vittorie. Aveva vinto lo scudetto numero otto, ma aveva dissipato, nel ‘50-’51, lo scudetto numero 9, per quanto fosse altrettanto forte, non trovandosi i suoi rodomonte con l’allenatore inglese che predicava lavoro e zona, zona e lavoro. Che parlava troppo ma parlava anche bene. Che sapeva allenare in campo e fuori campo. Che era amico di Gianni Agnelli e si illudeva che bastasse.
Nell’estate del ‘51, Jesse Carver fu intervistato a Viareggio dal giovane cronista Emilio Violanti della «giornalaccio rosa dello Sport». «Se ne stava in albergo con la moglie. Un Carver uomo qualunque, gentile come ogni turista inglese, quello che mi è di fronte affondato in poltrona, il curioso faccione chiazzato di rosso, sul quale, ad ogni abbozzo di sorriso, le rughe fanno comizio. Al suo fianco la signora, dico signora e non mistress perché la moglie di Carver di inglese ha solo il biondastro un po’ stinto dei capelli. È allegra, vivace, quasi rumorosa, i suoi occhietti azzurrissimi roteano senza un istante di tregua, ad ogni battutella polemica – e in un’ora e mezza non ne sono mancate – la sua mimica fa accento».
«Io non parlare» cominciò quell’intervista abbastanza curiosa e Carver infatti non parlò, vomitò la verità, tutta la verità. «Nella Juventus sono solo contro tutti e i dirigenti sono tutti incompetenti di calcio. Gianni Agnelli è dalla mia parte, ma è troppo buono, viaggia sempre e non c’è mai. Sono tornato dalle ferie ed ho trovato il campo con venticinque centimetri d’erba che nessuno si era preoccupato di far tagliare. Cose da pazzi, non si cura nemmeno il terreno di gioco. Mi hanno comprato un certo Corradi. Ma chi è? Parola è sempre stirato, farò giocare Ferrario che è forte e grosso. Muccinelli è sempre contuso, anche Boniperti è sempre contuso. Io non volevo che restasse John Hansen che in campo fa i comodi suoi, e me lo hanno lasciato. Io pensavo ad una squadra tutta italiana, dal portiere all’ala sinistra, cedendo i tre danesi ed ingaggiando tre italiani, primo dei tre Lorenzi per schierarlo mezzala. Lorenzi è stato grandissimo a Londra come mezzala. Mai visto una mezzala come lui. Altro che John Hansen. Io avevo detto ai dirigenti: che importa non vincere lo scudetto per un anno o due pur di arrivare al traguardo di una squadra tutta italiana? Io volevo una squadra moralmente affiatata, non di soli mercenari».
Apriti cielo. Non aveva detto la verità? L’aveva detta, ingiuriando mamma Juventus, sputando sul piatto in cui mangiava. Cominciarono a sfrecciare lettere e telegrammi, fu un agosto caldissimo. Altro che i 35 gradi all’ombra tra i cementi di Torino, in piazza San Carlo nella sede della Juventus.
«Carver sospeso in attesa di decisioni». «Dopo la bomba Carver acque agitate alla Juve». «Mister Carver sospeso sarà sostituito da Combi». «Nuovi sviluppi della “questione” Carver». Parola intervistato dichiarò: «Mister Carver parla male di me e questo mi stupisce, comunque, si vede che non ha più fiducia. Quando i rapporti giungono a questo punto non rimane che tirare le conseguenze. Se Carver dovesse rimanere, potrebbe darsi che si debba esaminare se convenga o meno che mi fermi io alla Juventus. È questione di logica e non credo sia possibile trovare una soluzione di compromesso».
E finalmente tornò dalla villeggiatura anche l’avvocato. La «Nuova Stampa» titolava: «Nostra intervista col presidente della Juventus. L’avv. Agnelli ritiene inevitabile la sostituzione dell’allenatore Carver. Sommario: il presidente tornato ieri dalla Costa Azzurra lascia libero di decidere il Consiglio della Società che si riunirà in seduta straordinaria stamane (21 agosto, n.d.a.) alle ore 12».
Quale sarà mai questa decisione? La cessazione dei rapporti tra Carver e la società nomata Juventus. «La pubblicazione («giornalaccio rosa dello Sport» 9 agosto u.s.) della intervista da Lei concessa al giornalista signor Emilio Violante (errore: Violanti non Violante, n.d.a.) ha reso incompatibile la continuazione della di Lei attività tecnica presso la nostra Società» cominciava la lettera raccomandata spedita in data 25 agosto 1951 all’allenatore sparlatore.
Anche Gianni Brera, direttore secondo Carlin non sempre responsabile della «giornalaccio rosa dello Sport», aveva determinato la soluzione. «Sopravvenne però il 23 agosto u.s. la pubblicazione sulla “giornalaccio rosa dello Sport” di un articolo a firma dello stesso Direttore, signor Gianni Brera. Tale articolo, precisando, senza equivoci, che Lei si espresse “in italiano non certo corrente ma chiaro e comprensibile sempre”, eliminò totalmente la possibilità che fossero incorsi equivoci; eliminò, cioè, la base logica del colloquio chiarificatore che intendevamo richiedere. Queste circostanze risultano dal predetto articolo 23 agosto 1951 della “giornalaccio rosa dello Sport” e dalla nostra lettera al Direttore di questo Giornale, scritta nello stesso giorno, che uniamo alla presente, tradotti in inglese, per Sua comodità. In questa situazione, di fronte alla intervista pubblicata e mai pubblicamente smentita, non resta se non prender atto della impossibilità che Ella continui la Sua attività presso di noi e della conseguente immediata cessazione dei nostri rapporti contrattuali. Distintamente la salutiamo».
La vicenda, istruttiva ed emblematica di un sistema da tutti seguito, si coronava ai primi di settembre 1951. «Sarà Giorgio Sarosi l’allenatore della Juventus» titolava la «giornalaccio rosa dello Sport» in data 10 settembre. «Il dottor Giorgio Sarosi, ex nazionale d’Ungheria, passato poi alla professione di allenatore calcistico, nella quale ha avuto modo di distinguersi prestando la sua apprezzata opera per squadre italiane, sta per ritornare in Italia» diceva la notizia datata New York. Da Torino si aggiungeva: «La direzione juventina ha inoltre assunto in qualità di insegnante di ginnastica e preparatore atletico il prof. Comucci di Firenze».
Ma quale fortunato mortale riuscirà mai ad insegnare ginnastica ai giocatori di calcio? La vicenda, a distanza di un quarto di secolo, dispone all’allegria. L’inglese Carver come lo scozzese Aitken. Come, infine, Marchioro del Milan. Aitken e Carver furono sconfitti dalla pelandronite, tipico atteggiamento del calciatore italico. Dio in terra, invulnerabile più dell’omerico Achille.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2012/07/jesse-carver.html

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