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Socrates

Riza Lushta

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Riza Lushta - The first to conquer the world
 
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Profile Player Riza Lushta
 
Club Juventus (Turin). 1942
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RIZA LUSHTA 90 VJETORI I LINDJES
 
Riza Lushta - The first to conquer the world
 
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Uranik Begu on Twitter: "Amazing #Albanian player from #Kosovo Riza Lushta  has left a mark on Italian football. More players from Albanians are now  playing in Seria A, but none has still
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1591068009_juventus1931.jpg.51e85e9fc6070724db40eb38a1a4715e.jpg  RIZA LUSHTA

 

Riza Lushta - Wikipedia

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Riza_Lushta

 

 

Nazione: Albania  
Luogo di nascita: Mitrovicë
Data di nascita: 02.02.1916

Luogo di morte: Torino

Data di morte: 25.01.1997
Ruolo: Attaccante
Altezza: 172 cm
Peso: 70 kg
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1940 al 1944

Esordio: 06.10.1940 - Serie A - Lazio-Juventus 2-2

Ultima partita: 02.04.1944 - Campionato di guerra - Juventus-Novara 2-0

 

95 presenze - 56 reti

 

1 coppa Italia

 

 

Riza Lushta (Mitrovicë, 2 febbraio 1916  Torino, 25 gennaio 1997) è stato un calciatore albanese di ruolo attaccante. A lui è dedicato uno degli stadi della sua città natale, utilizzato dal Klubi Futbollistik Trepça 89.

 

 

Riza Lushta
Riza Lushta - Juventus anni '40.jpg
Lushta alla Juventus negli anni 1940
     
Nazionalità   Albania
Altezza 172 cm
Peso 70 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Attaccante
Termine carriera 1954
Carriera
Giovanili
19??-19??   FK Rudar
Squadre di club
1934-1939   Tirana 69 (39)
1939-1940   Bari 16 (3)
1940-1945   Juventus 95 (56)
1945-1946   Napoli 27 (6)
1946-1948   Alessandria 47 (17)
1948-1951   Cannes 27 (3)
1951-1952   Siena 27 (4)
1952-1953   Forlì 21 (?)
1953-1954   Rapallo Ruentes 22 (?)

 

Caratteristiche tecniche

Lushta era un attaccante dotato di buona tecnica individuale e visione di gioco. Prediligeva il ruolo di mezzo sinistro, ma la buona vena realizzativa lo incoraggiò per una carriera anche da centravanti, nel quale si distinse per l'alto numero di reti realizzate ed una tecnica di base buonissima.

Carriera

Kosovaro di Mitrovica (alla data della sua nascita parte del Regno di Serbia), si trasferì ben presto con la famiglia in Albania, dove interruppe la scuola di agricoltura per dedicarsi al calcio, sua grande passione.

 

Iniziò la carriera nel FK Rudar, da cui passò allo SK di Tirana, conquistando tre titoli nazionali (1934, 1936 e 1937) e la prima Coppa d'Albania, nel 1939. Giunto in Italia, dopo l'annessione dell'Albania al regno d'Italia, giocò in Serie A nel Bari per una stagione; nel 1940 fu acquistato dalla Juventus, che nella prima stagione lo schierò mezzala sinistra a causa della presenza nel ruolo di centravanti di Guglielmo Gabetto. In seguito alla cessione di Gabetto, divenne il centravanti titolare della formazione bianconera.

 

Con i bianconeri vinse la Coppa Italia 1941-1942 segnando una tripletta nella gara di ritorno della finale, grazie alla quale la Juventus batté in casa il Milan 4-1; nella stessa competizione marcò un totale di otto reti, conquistando la classifica marcatori (primo calciatore non italiano a riuscire nell'impresa). Con la Juventus partecipò anche al Campionato Alta Italia 1944, giocando 5 gare e segnando altrettante reti.

 

Al termine della Seconda guerra mondiale passò al Napoli. Segnò il suo primo gol contro il Bari. La folla esultò così animatamente da far crollare una tribuna dello stadio; si realizzò così la profetica dichiarazione del giornalista dello "Sport del Mezzogiorno" Carlo Di Nanni che, ironizzando sulle brutte prestazioni in campo dell'albanese, aveva affermato: «Quando Lushta segnerà, crollerà lo stadio». In azzurro non si ripete sui livelli raggiunti con la Juventus, anche a causa del livello modesto della squadra, e a fine stagione viene posto in lista di trasferimento.

 

Passò quindi all'Alessandria, dove rimase per due stagioni: nella prima ritrovava con frequenza la via della rete, mentre nella seconda realizzò 4 gol in 21 partite. Dopo una parentesi in Francia nel Cannes, giocò in terza serie con il Siena e in quarta serie con Forlì e Rapallo, chiudendo la carriera nel 1954 a 38 anni.

 

In Serie A disputò complessivamente 170 gare, segnando 68 gol.

Dopo il ritiro

Abbandonato il mondo del calcio, si trasferì per vent'anni negli Stati Uniti, lavorando per una ditta di ascensori, per poi tornare a Torino, dove verrà a mancare il 6 febbraio del 1997.

 

Lushta è stato sepolto nel Cimitero Parco di Torino.

Palmarès

Club

Individuale

 

 

 

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922753578_juventus1931.jpg.d821afe5bcc32f7fbeb1992be26702ce.jpg RIZA LUSHTA

 

lushta.jpg

 

 

 

Da quando la Coppa Italia venne istituita, cioè dal 1922 – scrive Dante Grassi su “Hurrà Juventus ” dell'ottobre 1979 –  nelle trentuno edizioni che seguirono la Juventus ha fatto naturalmente la parte del leone aggiudicandosene ben sei, vale a dire una percentuale dell’ordine del 19,35. In campionato, e lo aggiungo per gli amanti delle statistiche, la Juventus, nettamente al vertice con i suoi diciotto scudetti su settantasei tornei finora disputati, ha fatto ancora di meglio in quanto la percentuale di successi sale all’incredibile quota di 23,68.
Il perché sono partito dalla Coppa Italia per arrivare poi a parlarvi di Riza Lushta è facilmente spiegabile. Proprio il simpatico attaccante di una romantica Juventus degli anni Quaranta fu infatti, come vedremo, uno dei principali artefici del successo (il secondo della serie) conseguito dalla compagine torinese nella coppa di casa nostra, manifestazione che dal 1960 ha ottenuto una valorizzazione internazionale in virtù della Coppa delle Coppe a cui è collegata.
Innanzitutto Riza Lushta, che trovo al circolo di Galleria San Federico, tiene a precisarmi com’egli non sia affatto di origine albanese, come invece si era sempre pensato, bensì soltanto proveniente dall’Albania, dove ancora nel 1939 figurava nei ranghi dello Sport Club Tirana prima di approdare al Bari. E con lui in quel Club militava un altro elemento molto noto ai calciofili di un tempo, cioè quel Krieziu che nelle file della Roma doveva contribuire al conseguimento del primo e finora unico scudetto della formazione capitolina.
Ma allora, di dov’è esattamente? Chiedo a Lushta: «Sono jugoslavo, nativo esattamente di Mitroca, e da bambino i miei mi portarono in Albania e di qui è sorto l’equivoco. Pensi che anche Krieziu si diceva fosse albanese e invece anche lui, come il sottoscritto, era originario della Jugoslavia. A Tirana frequentai sino al quarto anno di agricoltura ma la passione per il calcio era al di sopra di ogni cosa, così andai allo Sport Club dove ebbi la fortuna di trovare un ottimo allenatore di scuola ungherese. Poi un amico italiano un giorno vedendomi giocare mi disse: “perché non vieni in Italia a provare?” Cosa che feci quasi subito e finii al Bari».
Lushta porta con disinvoltura i suoi sessantatré anni; ha conservato, mi dicono quanti lo conobbero allora, la stessa carica di simpatia, quel pizzico di passionalità mediterranea, la loquacità nel discorrere. È il giramondo per eccellenza, ma ha finito col fare ritorno proprio in quella Torino, dove prese avvio tanti anni or sono la sua notorietà: «Sono qui per godermi un poco di tranquillità, diciamo la pensione – soggiunge con una punta di ironia – ma quanto viaggiare! Dopo la Juve, infatti, andai al Napoli, all’Alessandria quindi in Francia, a Cannes, tre stagioni in serie A. Poi gli Stati Uniti ma non più come calciatore bensì per lavoro nel settore degli ascensori, Quando tre anni fa decisi dl rientrare fu naturale per me fermarmi definitivamente in questa città che sento mia».
Così ha ripreso i contatti con la sua vecchia società, l’ambiente di allora: «Sì, ma semplicemente come tifoso e credo di essere tra i più appassionati. Mi agito anche troppo. Per questo doso le mie presenze allo stadio».
L’occasione per rinfrescare i ricordi allacciando il presente al passato: «Certo che la Juventus di soddisfazioni sa offrirtene a getto continuo; ma, e so anche il perché, è stata immensa la mia gioia quando l’ho vista alla TV la sera in cui ha conquistato la sua sesta Coppa Italia battendo il Palermo nei supplementari. Al goal di Causio per me è stato un ritornare indietro di qualcosa come trentasette anni, pensi che bello! Quando vincemmo noi la Coppa, lo rammento bene, eravamo nel giugno del 1942 e non ci fu molto da soffrire. Eravamo, infatti, in vantaggio di quattro reti quando per il Milan Boffi realizzò il goal della bandiera. Segnai tre volte io, quindi Ciccio Sentimenti su rigore. Ah, che giornata!»
Lushta, pur non essendo centravanti di ruolo, se la cavava molto bene con la maglia numero nove sulla schiena, considerato che dopo la sua prima stagione in bianconero quale mezzo sinistro (nove reti) a fianco di Gabetto (sedici), successivamente (1941-42) passò stabile al centro dell’attacco per il fallimento del sudamericano Banfi successore di Gabetto: «Fu quella una stagione positiva per il sottoscritto, anche se finimmo al sesto posto; con sedici reti fui il cannoniere bianconero numero uno ed anche nel mio terzo e ultimo campionato nella Juventus risultati all’altezza della situazione con diciassette reti, due solo in meno di Sentimenti III. Poi l’interruzione bellica».
Come giunse alla Juventus? «Fu un caso fortunato. Io ero nel Bari. Nel maggio del 1940 affrontammo la Juventus e vincemmo per 2-1 e la prima rete per i pugliesi fu mia. Borel II, Farfallino, quel giorno era in tribuna, mi ha seguito con attenzione caldeggiando in seguito il mio ingaggio. Anche il Venezia e la Fiorentina mi volevano ma a spuntarla infine fu il presidente di allora il Conte De la Forest».
E da quel giorno la sua vita si legò allo “Zebrone”: «Sì, mi è subito piaciuta la Juventus, come società, come stile».
Allora si giocava col metodo; quale era il suo compito in quella squadra? «Come già ho detto ero mezzo sinistro ma non mi limitavo a correre e portare palloni. Avevo, infatti, un buon senso della rete che si affinò avendo a fianco elementi della levatura di un Meazza, Borel, Sentimenti III, Locatelli. E prima ancora Colaussi e Gabetto. E con quella difesa che ti trovavi alle spalle era naturale puntare in avanti. Elementi come Parola erano eccezionali. Tutta grande sul piano puramente tecnico quella Juventus ricca di fuoriclasse, se pur la maggior parte avviati oramai sul viale del tramonto. Borel II, Meazza, Colaussi, ad esempio, non erano più quelli di qualche stagione prima. Fu invece un grosso sbaglio la cessione di Gabetto, questo sì. Lui scattava bene, faceva i goal difficili».
E lei? «lo ero più tecnico. Anche allora si giocava duro, però si poteva godere di una maggiore libertà d’azione. Se dovessi trovarmi oggi in un’area di rigore col gioco così stretto è certo che non farei bella figura».
Lasciamoci il passato alle spalle veniamo al dopoguerra. Di grandi Juventus ne abbiamo ammirate almeno tre. Di queste quale collocherebbe al primo posto? «Non possono esserci dubbi, la squadra degli anni Cinquanta. Era uno spettacolo, da Præst a Boniperti, da John Hansen a Martino e Muccinelli. Non ho molto in mente quella che seguì dei Charles e dei Sivori ma non può esserle superiore».

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/02/riza-lushta.html#more

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