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Socrates

Aldo Olivieri - Allenatore

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1953–54 Juventus F.C. season - Wikidata
 
Italië wint de wereldbeker 1938 - Foto en Poster te koop
 
 
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1940-1971.png.42549336fcdd1b45a38eb5e8a9b94ba6.png ALDO OLIVIERI  

 

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https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Olivieri

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: San Michele Extra (Verona)
Data di nascita: 02.10.1910

Luogo di morte: Camaiore (Lucca)

Data di morte: 05.04.2001
Ruolo: Allenatore (ex-portiere)
Altezza: 178 cm
Peso: -

Nazionale Italiano
Soprannome: Gatto Magico

 

 

Campione del mondo 1938 con la nazionale italiana

 

 

Allenatore della Juventus dal 1953 al 1955

 

68 panchine - 32 vittorie - 23 pareggi - 13 sconfitte

 

 

Aldo Olivieri (San Michele Extra, 2 ottobre 1910  Camaiore, 5 aprile 2001) è stato un allenatore di calcio, dirigente sportivo e calciatore italiano, di ruolo portiere. Campione del mondo nel 1938 con la Nazionale Italiana. È considerato uno dei migliori portieri italiani di sempre.

 

 

Aldo Olivieri
Olivieri.jpg
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 178 cm
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Portiere
Termine carriera 1943 - giocatore
1968 - allenatore
Carriera
Giovanili
    Audace SME
Squadre di club
1929-1934   Verona 96 (−?)
1933-1934   Padova 8 (−?)
1934-1938   Lucchese 120 (−?)
1938-1942   Torino 81 (−?)
1942-1943   Brescia 34 (−30)
Nazionale
1936-1940 Italia Italia 24 (−28)
Carriera da allenatore
1945-1946   Viareggio  
1946-1947   Lucchese  
1947-1948   Viareggio  
1948-1950   Udinese  
1950-1952   Inter  
1952-1953   Udinese  
1953-1955   Juventus  
1955-1956   Lucchese  
1956-1957   Pistoiese  
1957-1959   Triestina  
1959-1960   Verona  
1963-1966   Casertana  
1967-1968   Casertana  
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Francia 1938

 

Caratteristiche tecniche

Olivieri era noto per il coraggio nelle uscite e per la spettacolarità degli interventi, uno stile che gli valse il soprannome di Gatto Magico.

Carriera

Giocatore

Club

Esordì nella stagione 1929-30 nel Verona in Serie B, passando al Padova nel 1933-34. L'esordio in Serie A avvenne il 10 settembre 1933 in Padova-Torino 1-0. Tuttavia giocò soltanto otto gare, poiché durante un'azione di gioco, un'uscita spericolata su un attaccante (Andrea Gregar) gli causò la frattura del cranio che, come ebbe a dichiarare, per tutta la vita gli procurerà forti emicranie e lo renderà curiosamente sensibile ai cambi di clima.

 

Dopo appena un anno di convalescenza e contro il parere dei medici, Olivieri andò a giocare nella Lucchese nella serie cadetta, riuscendo a conquistare una promozione in Serie A con la squadra toscana, dove rimase 4 stagioni e dove si fece notare dal CT della Nazionale Vittorio Pozzo.

 

Poi, nella stagione 1938-39 arriva al Torino, chiamato da Egri Erbstein, che lo aveva allenato già a Lucca.

 

Nella squadra granata Olivieri giocò quattro campionati per un totale di 113 partite, prima di passare al Brescia dove chiuse la carriera in Serie B nella stagione 1942-43, giocando 32 partite.

Nazionale

Debuttò in Nazionale il 15 novembre 1936 nella gara con la Germania pareggiata 2-2 e giocò 24 partite (più 3 con la Nazionale B).

 

Fu il portiere titolare della Nazionale italiana campione del mondo nel 1938 in Francia, sotto la guida di Vittorio Pozzo. Avrebbe dovuto essere il portiere di riserva, ma l'infortunio di Carlo Ceresoli lo portò a essere titolare. È ricordato in particolare per un'ottima parata che salvò il risultato durante la prima partita contro la Norvegia: l'attaccante Knut Brynildsen si presentò solo davanti a lui e fece un gran tiro, che Olivieri riuscì a deviare con le dita. La palla toccò l'incrocio dei pali e finì in calcio d'angolo. La parata fu così buona che il norvegese si avvicinò a Olivieri e gli strinse la mano.

 

Il 26 ottobre 1938 divenne il primo portiere italiano ad essere convocato per un match FIFA World XI, difendendo la porta di una selezione europea in un'amichevole contro l'Inghilterra: con lui scesero in campo Alfredo Foni, Pietro Rava, Michele Andreolo e Silvio Piola.

Allenatore

220px-Football_Club_Internazionale_1951-
 
Olivieri (in piedi, primo da sinistra) in veste di allenatore dell'Inter nella stagione 1951-1952

 

Nel dopoguerra intraprese la carriera di allenatore, partendo dal Viareggio e ottenendo poi tre promozioni in Serie A con la Lucchese, con l'Udinese che grazie ad Olivieri passò dalla Serie C alla Serie A in meno di due anni, e con la U.S. Triestina. L'Udinese, infatti nel campionato 1949-50 arrivò seconda, con sessanta punti, dietro al Napoli. Olivieri in quel periodo viveva a Udine in un elegante appartamento messo a disposizione dal Vicepresidente del club, Raimondo Mulinaris, industriale del settore alimentare (proprietario di un importante pastificio) nella centrale via Cussignacco. In seguitò ottenne buoni risultati sulle panchine, tra le altre, di Inter e Juventus; nel 1956 fu sospeso per un anno, per aver trattato trasferimenti di giocatori, attività all'epoca proibita agli allenatori.

 

Sul finire della carriera allenò per quattro stagioni la Casertana, prima di diventarne direttore sportivo nella stagione 1968-1969, conclusasi con la mancata vittoria del campionato di Serie C per una penalizzazione e il conseguente scoppio della "Rivolta del pallone".

 

Palmarès

Giocatore

Competizioni nazionali

Nazionale

Allenatore

Competizioni nazionali

 

 

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1940-1971.png.42549336fcdd1b45a38eb5e8a9b94ba6.png ALDO OLIVIERI 

 

olivieri.jpg

 

 

 

«Nel ‘53 mi chiama l’avvocato Gianni Agnelli nel suo studio. Mi fa: “Quanto vuole per allenare la Juventus?”. Io ci penso un attimo e gli rispondo: “Sa, avvocato, adesso guadagno 60.000 lire, avrei piacere di guadagnarne 80.000”. Lui obietta, arrota la erre e mi risponde: “Veda, Olivieri, io con 30.000 lire trovo un ingegnere che mi fa un’auto nuova”. Allora, gli dico: “Avvocato prenda un ingegnere e lo metta sulla panchina della Juve”. Prese me».

VLADIMIRO CAMINITI
Di questa Juve grande piena di sogno e di realtà che sfracella gli avversari a suon di gol, con i danesi, ex dilettanti, professional con birra e voglia di non castigarsi troppo, che ha soggiogato la fortuna anche con l’arte oratoria dei suoi signorili dirigenti – Monateri e Cerruti, gli ex fuoriclasse Combi e Rosetta – nel 1953 diventa allenatore succedendo a Sarosi («Il Toscanini del calcio» lo definiva la moglie), l’allenatore del giorno, vale a dire Olivieri.
Non si era ancora visto un portiere così allenato a volare come un saltimbanco e coraggioso come un guerriero greco. Veronese era costui, con certi occhiacci randagi in perenne ricerca, quasi nevrotico. Si era preso a Verona nel 1933 una botta in testa quasi mortale per una uscita tra i piedi del centrattacco Grega del Padova, lanciato sul gol. Erbstein, ungaro umano e colto, lo aveva ricostruito fisicamente e psicologicamente. Era nato così il portiere 24 volte azzurro d’Italia (l’Italia vera seppur retorica di Pozzo), campione del mondo a Parigi.
Ma come allenatore, ci si poteva chiedere, che allenatore era? Sotto la sua guida l’Udinese stava in A, vi era approdata navigando dalla C. E Olivieri aveva preso dal maestro umanista che avrebbe forgiato il grande Torino e con i suoi allievi sarebbe bruciato a Superga, le suggestioni e l’imperio del comando, credendo nel calcio preparato sul campo e sulla lavagna ma anche e specialmente dentro il cuore. Coi capelli precocemente imbiancati il quarantunenne ex portiere dal profilo grifagno venne a Torino per cancellare, era il suo proposito, il ricordo di ogni allenatore che Madama avesse avuto. Fu un duro impatto con la realtà di una società e di un ambiente dove all’allenatore si dava ben poco spazio, a partire dai giocatori importanti che ne maldicevano in sede e proseguendo con gli stessi dirigenti che avevano l’aria di beatificare innanzitutto la loro generosità che consentiva a quegli stravaganti di poter mettersi in mostra alla guida di quei fenomeni. E inoltre l’avvocato Agnelli ascoltava soltanto Rosetta e Combi.
Tante cose erano mutate e ancor mutavano in Italia con la ricerca del benessere a tutti i costi che il presentatore Mike Bongiorno, juventino, con il suo quiz a premi «Lascia o raddoppia?» avrebbe presto garantito a quei cittadini nozionisticamente di grossa tempra e un po’ mattocchi. La pretesa di arricchimento fulminante era soddisfatta dal Totocalcio a quelli nati con la camicia. Non c’era da meravigliarsi se gli stessi protagonisti del pallone assimilassero smanie o manie, Olivieri era alquanto superstizioso, la sua Juve comunque partì bene, ma al primo confronto con l’Inter non andò oltre il pareggio: 2-2. E al ritorno andò anche peggio, i rodomonte bianconeri incapparono in una domenica di luna storta e ne beccarono sei, a zero, ma Oppezzo non era Piccinini, Bertuccelli e Manente si logoravano, Ferrario non ebbe molta assistenza da Gimona, Muccinelli non ce la fece contro Giacomazzi e Giovannini bloccò Boniperti. Pretendere che Ricagni e John Hansen facessero spola era troppo anche da un grifagno condottiero come Olivieri. Pure, l’Inter non superava tecnicamente la Juve, ma tatticamente e agonisticamente sì, per la continuità e la volitività dell’impegno. Praest e Hansen non ammettevano le tragedie per una sconfitta e si divertivano anche senza vincere.
Per il campionato ‘54-’55 la preparazione condotta da Olivieri fu erbsteiniana, al massimo ispirata. Fu preso a cachet Bronèe, ma il sogno era svanito, succedevano cose chiarissime per l’avvocato Agnelli grande amatore del calcio spettacolo. Il Milan era meglio, era più forte in fuoriclasse. Ne parlava a Giordanetti e agli altri amici del consiglio: «Noi siamo pieni di brocchi, abbiamo soltanto Praest logoro e Boniperti. Vogliono lor signori tener conto che il Milan dispone di Liedholm, Nordhal e di quell’asso strabiliante di Schiaffino?»
Avrà avuto ragione quanto a fuoriclasse, ma una società non è difesa soltanto da loro. E gli scudetti si difendono col costume e la serietà dell’organizzazione di base. Che venne messa in discussione da uno sciopero minacciato dai giocatori prima di una partita con l’Inter per un premio non pagato, sciopero che fu scongiurato molta forza dialettica. Si era spezzata l’armonia antica della società e ne erano responsabili tutti i dirigenti.
Olivieri aveva fallito il suo compito. Le tentò tutte. Accettò di collaborare con il tecnico inglese Raynor e poi di lasciarsi consigliare da Viri Rosetta. Ma dovette dimettersi.
 
 
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