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Socrates

Lelio Antoniotti

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1576987723_juventus1931.jpg.9c29717bd1266bbfc3d4220dc00a326a.jpg LELIO ANTONIOTTI

 

Lelio Antoniotti | Stelle juventine

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Lelio_Antoniotti

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Bard (Aosta)
Data di nascita: 17.01.1928

Luogo di morte: Novara

Data di morte: 29.03.2014
Ruolo: Attaccante
Altezza: 168 cm
Peso: 58 kg

Soprannome: Lello

 

 

Alla Juventus dal 1956 al 1957

Esordio: 16.09.1956 - Serie A - Lazio-Juventus 0-3

Ultima partita: 31.03.1957 - Serie A - Milan-Juventus 4-1

 

18 presenze - 2 reti

 

 

Lelio Antoniotti, detto Lello (Bard, 17 gennaio 1928  Novara, 29 marzo 2014), è stato un calciatore italiano, di ruolo attaccante.

 

 

Lelio Antoniotti
LelioAntoniotti.jpg
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 168 cm
Peso 58 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Attaccante
Termine carriera 1959
Carriera
Giovanili
    Sparta Novara
Squadre di club
1945-1946   Sparta Novara ? (?)
1946-1951   Pro Patria 119 (48)
1951-1953   Lazio 53 (10)
1953-1956   Torino 78 (13)
1956-1957   Juventus 18 (2)
1957-1958   Lanerossi Vicenza 16 (1)
1958-1959   Novara 7 (0)

 

Carriera

Club

Gli inizi e gli anni alla Pro Patria

Nativo di Bard, piccolo centro della Valle d'Aosta, Antoniotti iniziò a giocare a calcio nei primi anni quaranta nelle giovanili dello Sparta Novara, società con la quale esordì nel campionato di Serie C 1945-1946 e che arrivò ultima nel suo girone. Nella stagione successiva venne ingaggiato dalla Pro Patria, militante in Serie B, con la quale mise a segno ventidue reti in 35 presenze e conquistò la promozione in Serie A.

 

220px-Pro_Patria_1950-51.jpg
 
Antoniotti (accosciato, secondo da sinistra) nella Pro Patria del 1950-51

 

Esordì nella sua prima annata in Serie A il 28 settembre 1947 nella gara Pro Patria - Sampdoria (1-0), mentre la prima rete arrivò nella giornata successiva, il 5 ottobre, nella vittoria per 1-0 contro la Fiorentina. In totale collezionò undici marcature in 33 gare, con la squadra che conquistò la salvezza terminando all'ottavo posto. Nel 1948-1949, campionato noto per la tragedia di Superga, la stagione sembrò iniziare benissimo per Antoniotti, a segno otto volte in 15 gare, tra cui una tripletta alla Sampdoria. Fu colpito però da una grave pleurite e costretto a saltare buona parte del campionato (con la squadra che terminò diciassettesima, ad un punto dalla retrocessione) e quasi totalmente la stagione successiva, nella quale scese in campo solo in quattro occasioni mettendo comunque a segno una rete, in Pro Patria-Fiorentina 3-0 del 28 maggio 1950 (la Pro Patria terminò il campionato all'undicesimo posto).

Tornato titolare nel 1950-1951, in 32 presenze mise a segno solo sei reti, con la squadra che terminò al decimo posto. Al termine della stagione, l'attaccante valdostano fu ceduto alla Lazio, quarta nel campionato appena trascorso e qualificata per la Zentropa Cup (edizione non ufficiale della Coppa Mitropa).

Lazio, Torino e Juventus

Lelio_Antoniotti2.jpg
 
Antoniotti con la maglia della Lazio.

 

La prima stagione di Antoniotti con la maglia della Lazio non fu all'altezza delle aspettative: l'attaccante mise infatti a segno solo sei reti in 29 gare. La squadra terminò comunque al quinto posto, spinta dai gol del turco Şükrü Gülesin: nella Zentropa Cup invece i biancocelesti subirono due sconfitte, perdendo la semifinale per 5-0 contro il Rapid Vienna e la finale 3º-4º posto contro la Dinamo Zagabria per 2-0. Anche nella stagione successiva il giocatore valdostano si mette su bassi livelli, siglando solo quattro reti in 24 presenze: la squadra laziale concluse al decimo posto in classifica e Antoniotti venne ceduto al Torino.

Arrivato tra i granata, che ancora dovevano recuperare dall'incidente di Superga, Antoniotti si mantenne sui livelli già visti alla Lazio: in tre stagioni (dal 1953 al 1956) segnò tredici reti in 78 presenze con la squadra che si mantenne nelle posizioni centrali della classifica. Al termine della stagione 1955-1956 fu ceduto alla Juventus: con i bianconeri, che terminarono al nono posto in quell'annata, mise a segno solo due reti in 18 partite. Rimase solo una stagione nella Juventus, prima di passare al Lanerossi Vicenza.

Vicenza, Novara e il ritiro

Anche nella squadra vicentina, così come alla Juventus, Antoniotti si trattenne solo una stagione, siglando solo una rete in 16 partite nel 1957-1958. La squadra si classificò settima e il valdostano fu lasciato libero di trovarsi una nuova squadra per la stagione successiva. Antoniotti giocò la stagione 1958-1959 nel Novara, militante in Serie B, giocando solo sei partite senza segnare alcuna rete, dopodiché si ritirò dal calcio giocato. Al termine della carriera, contò 249 presenze e 52 reti in Serie A e 41 presenze e 22 reti in Serie B.

Nazionale

Antoniotti non fu mai convocato in Nazionale Maggiore: ottenne solo una convocazione nell'allora Nazionale Giovanile il 6 maggio 1951, quando ancora militava nella Pro Patria.

Dopo il ritiro

Terminata la carriera da calciatore, entrò a far parte dello staff della FIGC, come docente di tecnica calcistica prima e come responsabile del NAGC (Nucleo Addestramento Giovani Calciatori) poi, direttamente al Centro di Coverciano. Fece inoltre parte degli esaminatori del Supercorso degli allenatori per quello che riguardava l'area tecnica.

 

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Formatosi nello Sparta di Novara – ricorda Caminiti – aveva esordito in A nella Pro Patria di Busto Arsizio (1946-47), segnando e facendo segnare. Con leggiadre cadenze, quasi resuscitava il proverbiale Sindelar. Con un colpo di tosse e uno sbotto di sangue Lelio interrompeva una partita ed entrava in ospedale. Aveva sofferto la fame ragazzino e non erano bastati entusiasmi e bistecche della pace a rassodarne il fisico.
Tornato a giocare si trasformava lentamente in un rifinitore (Lazio 1951-52), con cadenze eleganti, molto riflessive, un adattamento alle svolte tattiche suggerite nel Torino da Annibale Frossi (1953-54), spesso di strenua intelligenza pratica.
Nella Juve di Sandro Puppo il sognatore (1955-57), avrebbe dovuto far da balia ai Puppanti del vivaio, realizzò due goal, era una Juventus abbandonata da Gianni Agnelli in un mare di guai, appena colpita nel grande cuore di Giampiero Combi, diretta da un trio di esperti: dottor Nino Cravetto, dottor Marcello Giustiniani, avvocato Enrico Craveri, i quali, in realtà, più che esperienza del ruolo avevano nobiltà juventina.
Fallivano le impostazioni tecnico-teoriche di Sandro Puppo, anche lo svedesino Kurt Hamrin non si ambientava, in quel torneo 1956-57 i Viola, Corradi, Garzena, Emoli, Nay, Oppezzo, Hamrin, Conti, Antoniotti, Colombo, Stivanello, con altri come Aggradi, Donino, Romano, Stacchini, Caroli, Bartolini, Dell’Omodarme, Voltolina, riuscirono a toccare il fondo dell’umiliazione per la raffinata direzione, con il piazzamento finale a trentatré punti, cioè in zona retrocessione (la Triestina retrocedeva con ventinove punti).
Bisognava riprendere quota. L’avvocato Gianni decideva per il fratello Umberto. Dal Galles arrivava quel gigante di Charles e dall’Argentina un cabezón di nome Sivori.


BRUNO ROGHI, DA “IL CALCIO E IL CICLISMO ILLUSTRATO” DEL 22 NOVEMBRE 1956
Si sente dire di Lelio Antoniotti che è il solo giocatore attuale che rappresenti una buona imitazione di Peppino Meazza. Se per un verso questo raffronto è positivo tornando a vantaggio di Antoniotti, per un altro verso il raffronto è limitativo, per non dire negativo, perché sottrae ad Antoniotti una parte della sua originalità d’artista del gioco in quanto imitatore di un atleta ritenuto dagli esperti inimitabile, appunto il «balilla».
L’errore è di impostazione. L’originalità non consiste, a nostro parere, nel «non imitare» ma nel «non farsi imitare». Veniamo al caso nostro. Se è vero che Antoniotti è nella corrente stilistica che ha avuto in Meazza il massimo e insuperato esponente, è altrettanto vero che ben pochi sono i giocatori dei tempi nostri che sappiano modellare il gioco alla maniera del centravanti del novarese Sparta, già personaggio dei palcoscenici verdi all’età di diciott’anni allorché la sorte lo provvide degli unghioli del «tigrotto» bustese, lui che di felino aveva soltanto l’elasticità e la snellezza.
Il suo curricolo di carriera elenca una serie cospicua di squadre alle quali ha dato il suo nome e i suoi servigi: Pro Patria. Lazio, Torino, Juventus. C’è da credere che Antoniotti abbia nel sangue l’inclinazione al nomadismo. Per quanto lo conosco, ciò non rientra nel suo temperamento. Lo provano i cinque anni da lui trascorsi nella maglia cerchiata della Pro Patria.
La verità è forse diversa. Forse i passaggi di Antoniotti da una squadra all’altra, specie negli ultimi anni, si spiegano con la necessità di determinati allenatori di dotare i reparti di quell’accento dì gioco che un tipo alla Antoniotti possiede pressoché in esclusiva: il gioco intelligente.
La natura si è fermata al m. 1,68 quando l’ha stirato in altezza. La natura non ha impiegato più di 60 chilogrammi quando l’ha messo sulla bilancia. Ha plasmato in lui un «leggero» dei rettangoli del calcio. Ne ha poi ravvivato le membra e l’estro con quello «spirito della leggerezza» che è la spiccata prerogativa del suo stile di calciatore, e diciamo pure il suo punto di debolezza, almeno all’occhio e alla scarpa dei suoi meno complimentosi avversari.
Il giocatore leggero, ma fornito di tutti i numeri della tecnica raffinata, è un giocatore segnato a dito dagli atleti di rottura che montano la guardia alle zone proibite del campo. Per cavarsela, egli è costretto a giocare d’astuzia, là dove la forza non giova. Tutta la carriera di Antoniotti è idealmente condensata in una specie di manuale dell’astuzia: l’astuzia indispensabile per mantenere elevato lo standard del rendimento sui campi moderni dove, agente provocatore il catenaccio (o qualcosa di simile, è sempre più ridotto e periglioso il margine concesso alle manovre degli attaccanti leggeri.
Visto sotto altro profilo, il gioco di Antoniotti è tutto ciò che resta e resiste, nel segno del «metodo», all’ondata vittoriosa delle nuove tattiche e delle nuove esperienze calcistiche. Si può parlar di lui come dell’ultimo dei Moicani in tema di fedeltà alle vecchie formule. Ciò non significa che Antoniotti sia giocatore negato al «sistema» e perciò isolato, disorientato ed estraneo alle imperiose concezioni del calcio moderno. Il suo inserimento nel gioco a sistema è perspicuo, ma indiretto. Antoniotti accetta il gioco moderno, e, tuttavia, non appena l’occasione propizia gli fa l’occhiolino, agilmente ne esce fuori per abbandonarsi all’invito seducente della palla antica, della palla, per tornare all’inizio del nostro profilo, che ebbe in Meazza il suo interprete geniale.
Il ritorno di Antoniotti alle cifre e alle sequenze del gioco a metodo è palese nella sua arte della serpentina, nella sua attitudine a inventare l’azione inaspettata, nei suoi guizzi che sfiorano l’erba del prato, nel suo stesso modo di filtrare attraverso i reticolati delle munite difese avversarie.
Un altro elemento che concorre a fissare la personalità di Lelio – un nome goldoniano, guarda un po’, che suggerisce l’idea della galanteria e della finezza, non senza un alito di svaporatezza – può essere riscontrato nel rapporto tra la sua età e la sua notorietà.
Antoniotti è meno vecchio di quanto sia famoso. È d’un paio d’anni sotto la trentina, e nello stesso tempo è un «classico» del repertorio sportivo. La diffusione del suo nome nei testi del gioco è cominciata presto, prestissimo, e ciò non può essere spiegato se non alla luce nitida della sua bravura e della stessa immediatezza onde il suo nome è divenuto il simbolo di un particolare gergo del gioco. Fin da quando, non ancora ventenne, si imbrogliava e si sbrogliava dalle misure del pugnace gioco bustese – così poco rispondente alle sue attitudini naturali – Antoniotti era visto e ammirato alla guisa di un Mowgli, il famoso fanciullino di Kipling che era capitato nel branco dei lupi, nel profondo della giungla, e ne era divenuto, a un tempo, l’idolo e il capo. Calatelo ora nella tana dei tigrotti, e vedrete che il paragone, alla sua maniera spensierata, calza.
Ma anche là, in casa bustese, il suo gioco non si è corrotto al morso della partita di combattimento. Anche nel calcio si diventa ciò che si è, pertanto la maturazione atletica di Lelio, nel senso rigorosamente tecnico delle sue prestazioni, ha potuto svilupparsi nei cinque anni della sua appartenenza alla Pro Patria, nonostante il diverso linguaggio che lui e la sua squadra parlavano. Infine non si deve escludere a priori che proprio nella squadra lombarda, sempre alle prese con gli spettri della retrocessione, Antoniotti abbia acquistato quella punta di mordente che oggi gli permette di battersi, senza battersela, contro avversari di lui più massicci e spericolati.
La fedina calcistica di Antoniotti è pulita. Il suo gioco ha nella correttezza e nella cavalleria i suoi specchi. Ciò lo onora in tempo, come i nostri, di fedine sporche.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2016/04/lelio-antoniotti.html#more

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