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Socrates

Vittorio Caissotti Di Chiusano - Presidente

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Undici anni fa ci lasciava l'avvocato Chiusano - Juventus
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Chiusano, liberale tutto d'un pezzo - LOSPIFFERO.COM

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Caissotti_di_Chiusano

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Torino
Data di nascita: 05.08.1928

Luogo di morte: Torino
Data di morte: 31.07.2003

Ruolo: Presidente

 

 

Presidente della Juventus dal 1989 al 2003

 

679 gare ufficiali - 367 vittorie - 190 pareggi - 122 sconfitte

 

5 scudetti

2 coppe Italia

3 supercoppe italiane

1 champions league

2 coppe Uefa

1 supercoppa Uefa

1 coppa intercontinentale

1 torneo intertoto

 

 

Vittorio Caissotti di Chiusano, conosciuto comunemente come Vittorio Chiusano (Torino, 5 agosto 1928  Torino, 31 luglio 2003), è stato un avvocato, dirigente sportivo e politico italiano.

 

220px-Vittorio_Caissotti_di_Chiusano%2C_1990.jpg

 

Biografia

Di origini nobili, della stessa famiglia del vescovo Paolo Maurizio Caissotti, nel 1952 si è laureato in giurisprudenza con una tesi sulla Libertà di stampa e responsabilità penale del direttore di giornale. Iscritto all'albo degli avvocati di Torino nel 1954, poco dopo è entrato a lavorare nello studio Barosio, uno dei principali della città nonché quello di riferimento del quotidiano La Stampa. Chiusano ha seguito, come penalista, alcune tra le cause e le vicende più importanti nell'Italia dell'epoca: tra queste la prima Tangentopoli torinese degli anni 1980, in cui ha difeso l'amministratore delegato della Cogefar Impresit, Enzo Papi, il secondo scandalo dei petroli emerso a Torino nel 1981, in cui ha curato la difesa dell'ex comandante generale della Guardia di Finanza, Raffaele Giudice, oltreché i bilanci FIAT, in cui è stato avvocato l'allora numero uno della casa automobilistica, Cesare Romiti.

 

220px-Juventus_-_Coppa_UEFA_1993_-_Giova
 
Giovanni Trapattoni, Roberto Baggio e Chiusano posano con la Coppa UEFA 1992-1993, tra i 16 trofei vinti dalla Juventus sotto la presidenza Chiusano (1990-2003).

 

È stato in prima linea anche nel periodo del terrorismo italiano, difendendo, tra gli altri, Marco Donat Cattin, e poi ancora nella succitata Tangentopoli, quando ha curato la difesa dell'allora ex vicesindaco socialista Enzo Biffi Gentili. Nel marzo 1984, inoltre, ha condotto personalmente le trattative per la liberazione della piccola Federica Isoardi, sequestrata a Cuneo. È stato inoltre consigliere comunale a Torino per il Partito Liberale Italiano dal 1985 al 1992. Tra il 1992 e il 1994 ha poi assunto la presidenza dell'Unione delle Camere Penali.

Lungo e duraturo è stato il suo legame con la Juventus Football Club. Consigliere di amministrazione della società calcistica torinese fin dal 1960, ne ha in seguito ricoperto la vicepresidenza nel corso degli anni 1970, fino ad assumerne la massima carica il 12 febbraio 1990: ventitreesimo presidente del club bianconero, ha mantenuto l'incarico fino alla scomparsa. Durante il suo mandato decennale la Juventus ha vissuto uno dei suoi maggiori periodi di successo, mettendo in bacheca sedici tra trofei nazionali e internazionali; a lui la squadra ha dedicato la Supercoppa italiana 2003, conquistata pochi giorni dopo la sua morte.

 

 

 

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ANGELO CAROLI, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1990
La sfida che la Juventus lancia contro il tempo è inesorabile, proprio come il nemico che ha di fronte. Inesorabile ed efficiente. Non c’è mai traccia di negligenza nella gestione e nella formulazione di essa, la programmazione conduce puntuale all’obiettivo. Personalmente, l’ho spesso giudicata un’opera di cesello, un lavoro mai lasciato nelle mani di un artigiano sprovveduto. Giampiero Boniperti dice addio chiudendo un’era che passerà alla storia e subito è pronta la soluzione che chiama in causa Vittorio Chiusano. La continuità, innanzitutto. Questione di programma e di stile.
L’avvocato Vittorio Chiusano è entrato per la prima nel consiglio del club bianconero nella stagione 1960-61. Presidente, all’epoca, era il dottor Umberto Agnelli, e al giovane Vittorio fu subito una pratica fastidiosa. Era il ‘61, si giocava Juventus-Inter al Comunale, un fiume di gente si era assiepato attorno al muro di cinta del Comunale e rischiava di tracimare da un momento all’altro. Tutti volevano assistere a uno spettacolo dal quale sarebbe potuto nascere lo scudetto. Nonostante un temporale, la folla dilagò dentro lo stadio, dopo aver divelto quattro porte carraie.
Ci fu un’invasione pacifica del campo. L’arbitro Gambarotta sospese il match. Gli organi disciplinari decisero di assegnare a tavolino la vittoria all’Inter. L’impeccabile e circostanziata documentazione per la linea difensiva era stata preparata dall’avvocato Chiusano, il quale ottenne giustizia dopo aver dimostrato che non esistevano gli estremi per la responsabilità oggettiva. La Caf riconobbe che «il fatto è da ritenersi estraneo alla volontà della Juventus e quindi la relativa responsabilità non è quella oggettiva bensì quella ordinaria».
L’avvocato Chiusano commentò così l’epilogo della vertenza; «Si tratta di una sentenza importantissima: essa infatti stabilisce un precedente di profondo significato, quello cioè che l’invasione pacifica del campo non può dar luogo a impedimento di gara. E tale principio è consono allo spirito sportivo che deve essere tenuto presente nell’interpretazione delle norme giuridisprudenziali». Fu il primo di una lunga serie di successi legali.
Incontriamo il nuovo presidente della Juventus nello studio di Via Bligny 5, il quartier generale di un uomo di diritto che deve frantumare il proprio tempo in mille direzioni. Vittorio Chiusano, fra l’altro, è presidente della Camera Penale del Piemonte e della Valle d’Aosta, del Centro Cardiopatici piemontese e vicepresidente dell’Editrice La Stampa. E capogruppo comunale della città di Torino nelle file del Partito Liberale, è consigliere di amministrazione della Banca Nazionale del Lavoro Holding in Milano e consigliere di amministrazione della Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro.
Un oceano di attività. Ed ecco nascere la definizione curiosa di «presidente a interim della Juventus», un’etichetta alla quale l’interessato replica precisando che «nonostante abbia fatto presente alla proprietà di non poter assumere impegni a tempo indeterminato, farò del mio meglio e il possibile per assolvere ai miei compiti. E comunque non sarò un presidente dimezzato, per cui prometto formalmente ai tifosi che lavorerò molto insieme con gli uomini di un’equipe che gode della mia fiducia totale, in modo da rendere la Juventus più competitiva. Ciò non vuol dire che i risultati fin qui ottenuti non siano soddisfacenti. Tutt’altro. La verità è che non sempre si può stare al vertice. La nostra platea è popolata di persone abituate molto bene e che, pertanto, hanno il palato particolarmente esigente».
Il pomeriggio è assolato, un vento caldo e fortissimo mette in fuga le nuvole che si rifugiano dietro le montagne. Attraverso le finestre, fiotti violenti di luce inondano lo studio. Ricordiamo al neo presidente bianconero una sua frase («Oggi la Juventus non è soltanto il giocattolo della famiglia Agnelli, l’Avvocato si diverte con la Juve, ma la Fiat, inserendola nel complesso delle proprie sinergie, le chiede un congruo ritorno d’immagine») e gli preghiamo di completare il concetto.
«La Fiat non è un istituto benefico», spiega Chiusano con toni amabili e con esempi chiarissimi, «vuole avere un volto vincente. E se ha deciso di intervenire nella struttura è perché ritiene che, attraverso il calcio, sia possibile il raggiungimento di finalità aziendali, di promozione. Il calcio richiama infatti enormi attenzioni industriali. Tutto ciò mi sembra una garanzia per i nostri tifosi, che sono in attesa di successi. In questa chiave, la società si organizzerà. Nelle sue strutture dispone già di uomini di grossissime capacità come Pietro Giuliano, Nello Governato, Piero Bianco e Francesco Morini, uomini in cui ripongo assoluta fiducia come in tutta l’equipe».
Un’equipe che si avvale, fra gli altri, di Alberto Refrigeri, per tanti anni direttore di Hurrà Juventus e oggi collaboratore molto prezioso.
– Come è nato l’amore tra lei e la Juventus?
«È un amore difficile da mettere a fuoco. Non esiste un attimo in cui è sbocciato. Nasce comunque nella mia infanzia, quando mi sono avvicinato a lei ai tempi del quinquennio e quando mio padre mi portava a vedere gli allenamenti dei bianconeri campioni d’Italia. Avevo cinque o sei anni».
– Un ricordo bello e un’immagine triste della sua esistenza di dirigente della Juve?
«Il primo a legato alla conquista della Coppa Intercontinentale a Tokyo, la seconda si riferisce alla tragedia dell’Heysel, quando il sangue di molte vittime ha sporcato quella che doveva essere una pagina festosa di agonismo e di correttezza sportiva».
– L’avvocato Giovanni Agnelli e lei. Quale tipo di rapporto si è instaurato in tanti anni di collaborazione costante?
«Innanzitutto di correttezza reciproca e, credo, di simpatia e di stima. Professionalmente, sono stato e sono incaricato di occuparmi di questioni di carattere giuridico che interessano il Gruppo. Giovanni Agnelli è indubbiamente un uomo di grande charme, con il quale si può amabilmente parlare di tutto, calcio compreso, di cui è particolarmente appassionato».
– Boniperti e lei. È possibile rivedere, alla moviola, qualche fotogramma insieme con il suo predecessore?
«Giampiero ed io siamo della stessa classe, 1928, ci scherziamo sopra molto spesso. Lo ricordo benissimo come giocatore, innanzitutto. Sono entrato per la prima volta in Consiglio quando lui riconsegnava le scarpe al custode e chiudeva una carriera eccezionale. Quell’anno dovetti dipanare una questione giuridica riguardante la famosa edizione di Juventus-Inter finita con la sentenza della Caf in nostro favore. Poi ho seguito Boniperti quando è diventato consigliere. Nel 68-69 avevo rassegnato le dimissioni, Vittore Catella era presidente. Rientrai quando Giampiero, neo eletto, mi telefonò e mi disse: «Stammi vicino, faremo tanta strada insieme». Accettai. In campo giuridico gli sono sempre stato al fianco, in quanto alle cose tecniche non mi sono mai permesso di interferire. I giorni più emozionanti e sofferti li abbiamo affrontati quando la Juventus e lui vennero ingiustamente deferiti e, poi, giustamente assolti, in occasione del famoso processo sul Calcioscommesse».
– Quali giocatori ricorda in modo particolare per averne apprezzato le doti tecniche e umane?
«Dovrei enunciare un elenco lunghissimo. Boniperti a parte, che della Juventus è sempre stato un emblema, cito Praest, Charles, Zoff, Scirea, Furino, Sivori, Bettega, Causio e Cabrini».
– Lei ha gusti tecnici che l’avvicinano alla spettacolarità di cui è capace soltanto il calcio brasiliano. Però, come manager, sa che il torneo italiano richiede altre peculiarità?
«Ed è per questa ragione che ritengo giusto spostare l’attenzione sul calcio tedesco, in cui milita gente forte, capace, resistente e anche tecnica, una garanzia di altissima e costante professionalità».
– Proponendo la sua bellissima frase «imparare dagli altri non significa esserne succubi», si deve aggiungere che la Juventus ha sempre insegnato agli altri?
«Nessuno può eleggersi a maestro, ognuno ha da imparare e da insegnare. Ho capito con il tempo che una persona responsabile sa di non sapere. Del resto, mi limito a rivedere una frase di Socrate. Tutto è infatti perfettibile e poi non ci sottraiamo alla norma. Però attenzione, la Juventus continua a essere un esempio di stile e, in questo, fa scuola. Scuola di correttezza, alla quale tutti s’ispirano. E questa è una grossa realtà di cui va tenuto conto. È il nostro successo perpetuo, che prescinde da quello tecnico, non sempre raggiungibile, poiché i Bettega e i Furino non nascono ogni anno».
Ecco, in sintesi ed enunciato con l’impareggiabile dialettica di uno dei più grandi penalisti d’Italia, quello stile cui la Juventus non rinuncerà mai.
 
ENRICA TARCHI, “HURRÀ JUVENTUS” DEL SETTEMBRE 2003
A noi piace ricordarlo così. Allo stadio, a fianco di Roberto Bettega, Antonio Giraudo e Luciano Moggi, a sostenere la sua Juve. In sala stampa e nei salotti del calcio parlato, a commentare, lodare, attaccare e difendere. In tribunale, a proteggerne i diritti. Sono tanti i ricordi che legano l’avvocato Vittorio Chiusano alla Juventus. Proviamo a pensare all’ultimo periodo, i dieci anni in cui ha affiancato l’attuale dirigenza. Era bello vederlo sempre presente a ogni impegno della squadra, che raggiungeva anche in trasferta accompagnato dal suo fidato autista Renzo o, quando le distanze non lo consentivano, con un aereo privato. Non voleva mancare, nonostante la sua attività di avvocato fosse frenetica e gli lasciasse davvero poco spazio per il resto. Una passione che, solo per citare un episodio passato alla storia, l’aveva portato nel 1996 a raggiungere Tokyo (dove la sua Juventus era impegnata nella finale di Coppa Intercontinentale) poco prima del fischio d’inizio e ripartire per l’Italia subito dopo la festa per il meritato trionfo regalato a tutti i tifosi bianconeri da un gol di Del Piero.
Ma quel resto, a parte gli affetti, si chiamava Juve, una sorta di famiglia che lo aveva accolto nei lontani Anni Cinquanta quando il Dottor Umberto Agnelli lo volle con sé in Società appena sedutosi giovanissimo sulla poltrona di Presidente. 
“Arriva l’avvocato” – anzi l’avvocato dell’Avvocato –, era il passaparola tra i giornalisti quando lo vedevano comparire da lontano. E nessuno se ne andava mai a mani vuote. Difficile infatti che non si fermasse a scambiare una battuta o a fare quattro chiacchiere, che alla fine non risultavano mai banali. Se c’era da dire si diceva, se c’era da difendere poi, eccolo scendere sul suo campo preferito e non ce n’era per nessuno. A lui infatti sono sempre stati affidati i casi più spinosi.
Quello che piaceva tanto di Vittorio Chiusano, il presidente più vittorioso della storia della Juve, era quello sguardo compiaciuto, felice, come se ogni vittoria fosse la prima. Non si stancava di veder trionfare la sua Juve e lo si vedeva guardandolo negli occhi, era un sentimento vero, genuino, che gli veniva dal cuore.
I ricordi sono tanti, alcuni balzano alla mente come cartoline: i classici gavettoni negli spogliatoi, “regalo” dei giocatori per festeggiare lo scudetto appena conquistato, l’orgoglio con cui riceveva prestigiosi riconoscimenti a nome della sua Juve, la fermezza con cui la difendeva quando era necessario.
Lo ricordiamo con affetto l’avvocato Chiusano. Ci mancherà! La squadra gli ha dedicato la Supercoppa, prima vittoria senza di lui. Ora non resta che continuare, secondo tradizione, perché è proprio questo che l’ha sempre fatto sorridere.
 

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