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Socrates

Mohamed Sissoko

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 1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg   MOHAMED SISSOKO       

 

Sissoko: "Immobile? Non sembrava forte. E Conte mi voleva tenere"

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Mohamed_Sissoko

 

 

Nazione: Mali Mali
Luogo di nascita: Mont-Saint-Aignan (Francia)
Data di nascita: 22.01.1985
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 191 cm
Peso: 86 kg
Nazionale Maliano
Soprannome: Momo - La Piovra Nera

 

 

Alla Juventus dal 2008 al 2011

Esordio: 03.02.2008 - Serie A - Juventus-Cagliari 1-1

Ultima partita: 13.02.2011 - Serie A - Juventus-Inter 1-0

 

100 presenze - 3 reti

 

 

Mohamed Lamine Sissoko Gillan detto Momo (Mont-Saint-Aignan, 22 gennaio 1985) è un ex calciatore maliano, di ruolo centrocampista.

 

È soprannominato la Piovra Nera per la sua grande abilità nel recuperare palloni in mezzo al campo.

 

Mohamed Sissoko
Mohamed Sissoko.jpg
Mohamed Sissoko al Paris Saint-Germain nel 2012
     
Nazionalità Mali Mali
Altezza 191 cm
Peso 86 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Centrocampista
Termine carriera 13 gennaio 2020
Carriera
Giovanili
1995-1998   Troyes
1998-2003   Auxerre
Squadre di club
2003-2005   Valencia 45 (0)
2005-2008   Liverpool 51 (1)
2008-2011   Juventus 100 (3)
2011-2013   Paris Saint-Germain 28 (2)
2013    Fiorentina 5 (0)
2014-2015   Levante 31 (0)
2015-2016   Shanghai Shenhua 15 (1)
2016   Pune City 13 (2)
2017   Ternana 1 (0)
2017   Mitra Kukar 26 (5)
2017-2018   Atlético San Luis 6 (1)
2018   Kitchee 3 (0)
2019   Sochaux 13 (0)
Nazionale
2003-2013 Mali Mali 34 (2)
Palmarès
 
Coppa Africa.svg Coppa d'Africa
Bronzo Sudafrica 2013

 

Biografia

Nato in Francia da genitori del Mali, Fatou e Mohamed, è l'ottavo di 15 fratelli, due dei quali sono anch'essi calciatori professionisti Ibrahim e Abdoul Sissoko. È anche nipote di Salif Keïta, presidente della federcalcio maliana, e cugino di Seydou Keita, centrocampista che ha militato anche nel Barcellona e cugino di Oumar Sissoko. Si è diplomato in economia ed è sposato con Sokona, dalla quale ha avuto due figlie, Aicha e Sasia, e un figlio, Ismael.

Musulmano praticante, in un'intervista rilasciata a La giornalaccio rosa dello Sport il 24 settembre 2008, in seguito all'opaca prestazione della domenica precedente contro il Cagliari, ha dichiarato che durante il periodo del Ramadan è sempre molto stanco a causa del digiuno che la sua religione gli impone dall'alba al tramonto.

Caratteristiche tecniche

Giocava come mediano davanti alla difesa o come interno di centrocampo. All'inizio della carriera nell'Auxerre ricoprì il ruolo di attaccante, ma arrivato in Spagna al Valencia, mister Rafael Benítez ne capisce subito le potenzialità e inizia a farlo giocare nel ruolo in cui farà carriera, il centrocampista. Era dotato di buona forza fisica, duro e combattivo sul terreno di gioco, grazie alle sue lunghe leve era molto abile nel recuperare il pallone in mezzo al campo; oltre a saper saltare in velocità gli avversari, era dotato anche di un tiro potente. Contrariamente a quanto si pensi, aveva di una discreta tecnica che gli permetteva di dare il via alle azioni della squadra; tutte queste caratteristiche lo portavano ad essere considerato uno dei migliori interditori in circolazione. Ai tempi del Liverpool è stato paragonato a Patrick Vieira per il fisico potente, il ruolo e la grande generosità in campo.

Carriera

Club

Auxerre e Valencia

Inizia la sua carriera nel 2002, a 17 anni, all'Auxerre, nella cui squadra giovanile realizza 50 gol in due stagioni. Non esordisce però nella prima squadra.

Nel 2003, a 18 anni, si trasferisce in Spagna al Valencia dove rimane due anni vincendo una Coppa UEFA, giocando 9 partite e realizzando anche 1 rete, una Supercoppa UEFA, durante la quale rimane però in panchina, e la Primera División nel 2004, con 21 presenze. In totale in partite ufficiali realizza 63 presenze e 1 rete. Di fatto esplode in terra valenciana anche grazie al sostegno dell'allenatore di allora, Rafael Benítez.

Liverpool

Nel 2005 approda al Liverpool dove ritrova l'allenatore che ha creduto in lui, Benítez. Anche nei Reds si mette in evidenza per le sue doti atletiche e agonistiche e, nonostante qualche cartellino giallo di troppo per i suoi tackle, diventa subito un beniamino del pubblico che spesso sventola bandiere del Mali in suo onore. Nella prima stagione riesce a trovare molto spazio, giocando anche nelle due finali di Supercoppa europea e di Coppa Intercontinentale. A fine anno totalizza 45 presenze. Nel secondo anno in Inghilterra trova però meno spazio e conclude l'anno con 28 presenze.

 

220px-Sissoko.jpg
 
Sissoko al Liverpool nel 2005

 

Nel febbraio del 2006, durante la gara di Champions League tra Liverpool e Benfica, in un'azione di gioco riceve un calcio sull'occhio destro dal portoghese Beto e viene portato fuori in barella: la retina è danneggiata e nei mesi seguenti si susseguono notizie incerte sul suo stato e si parla addirittura di perdita della vista dell'occhio colpito, ma dopo numerose operazioni si riprende completamente.

L'inizio della stagione 2007-2008 è molto travagliato, anche per l'arrivo in mezzo al campo di Javier Mascherano e di Lucas Leiva che lo superano nelle preferenze di Benítez. Nonostante questo riesce comunque a segnare il suo primo e unico gol con la maglia dei Reds, il 25 agosto 2007 nella gara di Premier League vinta per 2 a 0 contro il Sunderland, portando la squadra in vantaggio. Finisce i primi sei mesi della stagione con 10 presenze e 1 rete.

Juventus

A inizio 2008 dichiara di voler giocare con maggiore frequenza, sicché viene messo sul mercato dalla società con il benestare del tecnico dei Reds Rafael Benítez. Il successivo 29 gennaio si trasferisce quindi alla Juventus di Claudio Ranieri, l'allenatore che aveva lanciato Sissoko a Valencia, per 11 milioni di euro. L'esordio in Serie A con i bianconeri arriva il 3 febbraio nella partita contro il Cagliari. Il suo primo gol in bianconero, con una rovesciata, arriva nella partita del 2 marzo contro la Fiorentina, poi terminata 2-3. Rimedia il suo primo cartellino rosso contro la Sampdoria, durante l'ultima giornata. Termina la stagione 2007-2008 con 15 presenze e 1 rete, e con un posto da titolare nella formazione di Claudio Ranieri.

Nella seconda stagione in bianconero esordisce in Champions League con i torinesi, il 13 agosto 2008 nella gara di andata del terzo turno preliminare, vinta 4-0 contro l'Artmedia Bratislava. Mette a segno il suo primo gol stagionale in campionato contro il Cagliari il 1º febbraio, ripetendosi il 22 febbraio nella partita vinta 2-0 contro il Palermo, segnando un gol partendo da centrocampo. Una frattura al quinto metatarso del piede sinistro, procurata durante il derby della Mole contro il Torino il 7 marzo, subentrando a Christian Poulsen al 39' del secondo tempo, lo costringe però a chiudere anticipatamente la stagione. Colleziona dunque 21 presenze e 2 gol in campionato, 3 presenze in Coppa Italia e 8 presenze in Champions per un totale di 32 presenze e 2 gol.

Dopo sette mesi di stop viene convocato per la prima volta, nella stagione successiva, per la partita di campionato Juventus-Fiorentina del 17 ottobre, ma un altro infortunio lo tiene lontano dai campi di gioco fino al 22 novembre quando rientra nell'incontro casalingo contro l'Udinese (1-0). Colleziona dunque 17 presenze in campionato, 6 nelle coppe europee (4 in Champions League e 2 in Europa League) e 1 in Coppa Italia per un totale di 24 presenze.

Nella stagione 2010-11, decide di vestire la maglia numero 5, lasciata vacante da Fabio Cannavaro. In questa stagione trova meno spazio rispetto agli anni precedenti, venendo spesso utilizzato dal nuovo tecnico Luigi Delneri solo a partita in corso, preferendogli spesso come titolare il brasiliano Felipe Melo. Il 1º marzo 2011 è stato sottoposto a un intervento artroscopico di regolarizzazione della cartilagine del ginocchio sinistro, riportando così uno stop di circa tre mesi e finendo di conseguenza la sua quarta stagione in bianconero. Colleziona dunque 18 presenze in campionato, 10 in Europa League e 1 in Coppa Italia per un totale di 29 presenze.

Paris SG e Fiorentina

Il 28 luglio 2011 viene acquistato per 8 milioni di euro dal Paris Saint-Germain.

Il 31 gennaio 2013, ultimo giorno di calciomercato, viene ceduto in prestito con diritto di riscatto fissato a 3,5 milioni di euro alla Fiorentina. Esordisce in maglia viola il 17 febbraio nella gara di campionato Fiorentina-Inter 4-1 entrando al 69' al posto di David Pizarro. Esordisce dal primo minuto il 13 aprile contro l'Atalanta.

Scaduto il prestito, fa ritorno al Paris Saint-Germain, ma vedendosi fuori dai piani societari, rescinde il suo contratto con la squadra rimanendo svincolato.

Ultimi anni

Il 30 gennaio 2014 viene ingaggiato dal Levante, club militante nella Liga, firmando fino a fine stagione.

Il 25 giugno 2015 firma con lo Shanghai Shenhua, club militante in Chinese Super League, da cui rescinde il 20 febbraio 2016.

Durante un periodo di prova con il West Bromwich, il 12 settembre 2016 gioca una sola partita tra le file della formazione Under 23, che disputa la Professional Development League, una sorta di Premier League 2, campionato finalizzato all'introduzione dei giovani calciatori nel mondo professionistico. Purtroppo non supera le aspettative del club, rimanendo svincolato.

Il 1º ottobre successivo viene tesserato dal Pune City, squadra partecipante all'Indian Super League. Dopo essere rimasto svincolato, il 17 febbraio 2017 si lega alla Ternana, militante in Serie B; tuttavia il successivo 12 marzo, dopo appena 1 presenza da subentrato, rescinde il suo accordo con la squadra umbra. Il 14 aprile 2017 firma quindi con il Mitra Kukar, formazione della prima divisione indonesiana.

Il successivo 2 dicembre si trasferisce all'Atlético San Luis, squadra messicana militante in Liga de Ascenso, fino al termine della stagione.

Il 5 luglio 2018 firma con il Kitchee, società di Hong Kong.

Il 16 gennaio 2019, chiusa l'esperienza orientale e rimasto svincolato, fa ritorno in Francia, tra le file del Sochaux, club di Ligue 2, con cui firma un contratto di sei mesi.

Il 13 gennaio 2020 annuncia il suo ritiro dal calcio giocato.

Nazionale

È nato in Francia ma, grazie alle origini maliane della sua famiglia, ha scelto di far parte della nazionale di quest'ultimo Paese, debuttando a livello di Nazionale maggiore il 19 novembre 2003 in un'amichevole contro il Marocco.

È stato uno dei giocatori chiave della nazionale che ha raggiunto le semifinali della Coppa d'Africa 2004, giocando tutte e cinque le partite e segnando un gol. Ha inoltre fatto parte della squadra olimpica alle Olimpiadi di Atene 2004, che è uscita ai quarti eliminata dall'Italia.

Il suo Mali ha partecipato alla Coppa d'Africa 2008 ed è stato eliminato alla prima fase dalla Costa d'Avorio; questo gli ha permesso di esordire prima con la nuova maglia bianconera.

Palmarès

Club

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

 

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 1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg   MOHAMED SISSOKO   

 

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FEDERICA FURINO, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 2008
Lo guardi seduto sul divano bianco del Media Center di Vinovo, col campo di allenamento a fare da sfondo come in un quadro, vestito come un rapper americano, e non riesci a non pensare che se esiste una Babele del calcio da qualche parte nel mondo, è da lì che viene Mohamed Lamine Sissoko. Non da Mont Saint-Aignan (dove è nato) e neppure da Liverpool (dove ha giocato fino a gennaio).
L’ultimo acquisto della Juventus, arrivato a Torino il giorno del suo ventitreesimo compleanno, ha la pelle dell’Africa e la erre dolce della Francia, il cuore maliano e i piedi cresciuti un po’ qua e un po’ là in Europa, tra la Spagna e l’Inghilterra. Pezzi diversi messi insieme come in un puzzle. «Posso parlare in francese. Oppure in inglese o in spagnolo, è uguale. L’italiano no però, mi ci vuole ancora qualche mese per impararlo. Ma inizio a capire. Ah, eviterei anche la lingua del Mali: non mi sembra molto adatta a un’intervista...». Saggia idea.
Dopo qualche indecisione, il cittadino di Babele sceglie lo spagnolo. Probabilmente perché nella testa di uno che tra i professionisti ci è entrato passando per la Liga, quella resta la lingua madre del pianeta calcio. «Avevo diciotto anni quando mi acquistò il Valencia: venivo dal campionato francese e avevo fatto un anno con l’Auxerre senza mai esordire. Una tortura. Andare in Spagna è stata la mia fortuna perché ho potuto iniziare presto la carriera. Un vantaggio. Ora sono giovane ma di esperienza ne ho accumulata abbastanza. E qualche soddisfazione me la sono tolta».
Le soddisfazioni di Momo si chiamano: campionato spagnolo, Coppa d’Inghilterra, SuperCoppa Europea (due), Coppa Uefa. Roba che, salvo rare e fortunate eccezioni, difficilmente riempie la bacheca di un ventitreenne. La sua sì, però. E le vittorie sono un vizio al quale non si rinuncia volentieri, specie quando si comincia presto. «È vero, ho un palmares importante considerata la mia età. Ma non mi basta. Voglio di più, di più e ancora di più. Qualcuno mi ha chiesto se preferirei vincere lo scudetto o la Champions. La risposta? Entrambi. Io voglio tutto».
Per questo, dice, ha scelto di venire alla Juventus. «È stata una trattativa lunga: già la scorsa estate si parlava di un mio possibile trasferimento a Torino. Poi il Liverpool ha deciso di tenermi lì e il passaggio è stato rimandato. Però di contatti con la società bianconera ce ne sono stati tanti. Prima di firmare ho parlato a lungo con Vieira. Ci siamo incontrati a Parigi: lui mi ha consigliato di accettare e mi ha dato buoni suggerimenti. Patrick è un grande campione e un’ottima persona. Mi paragonano a lui? Beh, non può che essere un onore».
Il primo a notare la somiglianza fu Rafa Benitez, l’inventore di Sissoko, suo allenatore prima al Valencia e poi al Liverpool. Uno che nel calcio vede lontano. Disse che Sissoko era il nuovo Vieira, «ma con più qualità e dinamismo». Roba che a diciotto anni ti far girare la testa ma a ventitré si trasforma in tormentone. «Patrick è grandissimo, lo ripeto: essere considerato il suo “erede” fa piacere. Ma io sono un tipo ambizioso. Voglio diventare meglio di lui».
Auguri. «Perché no? Da bambino avevo un sogno: volevo diventare calciatore. Ora passo al sogno successivo: diventare il più forte nel mio ruolo. E ce la farò».
Il ruolo in questione è in mezzo al campo: midfielder, com’era scritto nel sito dei Reds sotto il suo nome. Tanto per dimostrare che al destino non si sfugge. Perché la prima vocazione di Momo, come raccontano le sue biografie ufficiali, era il gol. «Nelle giovanili giocavo come seconda punta. Era divertente, segnavo tantissimo».
Poi ci fu Benitez e la musica cambiò. «Mi spostò a centrocampo, pensando che in quella posizione avrei potuto sfruttare meglio le mie potenzialità fisiche e tecniche. Da allora il mio obiettivo è diventato recuperare e giocare il maggior numero possibile di palloni. Se poi arriva un gol, come contro la Fiorentina, tanto di guadagnato. È una soddisfazione in più».
In realtà, dal Valencia in poi, il pallottoliere di Momo si è mosso poco: con la rovesciata capolavoro contro i viola arriva a tre centri, uno per squadra. Coerente con l’idea che, se proprio bisognava arretrare, tanto valeva farlo davvero, diventando centrocampista difensivo. Da quel momento Sissoko ha segnato diversi gol in meno e rimediato qualche cartellino giallo in più, guadagnandosi (lui francese-maliano, spagnolo di adozione calcistica) la fama di giocatore “molto inglese”. «Nel calcio britannico c’è grande intensità: quando le squadre entrano in campo sono pronte ad affrontare una guerra. E in effetti, sì, io sono uno abbastanza deciso...».
Quello che cercava Ranieri. Meglio: quello che sapeva di trovare. Perché, per il tecnico romano, Mohamed è una vecchia conoscenza dei tempi di Valencia, stagione 2004/05. «Ranieri è un grande allenatore e l’ha dimostrato in tutte le squadre che ha guidato. Quello che mi piace di più di lui è come difende i suoi giocatori. A me ha dato la possibilità di giocare e di crescere, dimostrare quanto valevo. Umanamente è una persona speciale. Tu puoi avere i giocatori migliori del mondo ma se non sai mantenere l’ambiente sereno, la squadra non funziona».
E qui, le cose sembrano funzionare. «Ma questo non dipende soltanto dall’allenatore: quando hai gente come Del Piero, Nedved, Camoranesi, Trezeguet che danno il massimo, gli altri non possono che fare altrettanto».
Quando si arriva in una nuova squadra (Ibra docet) si scopre che, sotto sotto, qualche simpatia per i colori sociali la si è sempre nutrita. Anche a Momo è scappato qualcosa del genere, una quasi-papera corretta in corner. «Qualcuno ha scritto che da bambino ero tifoso bianconero. In realtà ha travisato le mie parole. Ho detto che il mio idolo era Zidane e che tifando per lui ho scoperto la Juventus. Ma non ho mai avuto una squadra del cuore: c’erano molti club che mi piacevano e naturalmente anche quello bianconero. Se proprio devo sceglierne uno dico il Paris Saint-Germain. Ma è una forzatura. A me piaceva seguire i campioni e Zidane è stato il più grande».
I tifosi bianconeri, di certo, Zizou li ha fatti divertire. «Sì, ma io non dico questo di Zidane soltanto per ragioni calcistiche. Lui aveva una bella immagine in campo ma anche fuori. E sei giovani vedono che il loro idolo si comporta bene, che fa qualcosa di buono, possono aver voglia di imitarlo facendo qualcosa di buono anche loro».
Lui, per esempio, ci ha provato. Momo è figlio dell’Africa e di genitori emigrati in Francia dal Mali in cerca di lavoro. La prima curiosità che si racconta di lui è il numero dei fratelli: quattordici, quindici con lui che è l’ottavo. Maschi e femmine che coprono praticamente una generazione. La seconda curiosità è che sono così tanti che, se proprio non fa attenzione, Momo finisce per dimenticare il nome di qualche fratello. La terza curiosità la racconta lui. «Come ho già detto, da bambino sognavo di diventare calciatore. Ma era un sogno, appunto. Non immaginavo di poterlo realizzare. Mi limitavo ad andarmene in giro con i miei fratelli, sempre con la palla dietro, per strada, nei giardini. E giocavo, giocavo, giocavo. Finché sono venuti a propormi di andare all’Auxerre. Mio padre non sapeva nemmeno che giocassi a calcio. Fargliela digerire non fu uno scherzo...».
Quando la scena si ripeté per altri due figli, Ibrahim e Abdul (diventati anche loro calciatori professionisti), papà Sissoko doveva essere già preparato. Ma questa è un’altra storia.
Della sua infanzia, della vita nella banlieu parigina, Momo parla poco. Giusto il tempo per dire che sì, forse qualche privazione l’ha patita. Ma che l’affetto e i valori sono stati un cuscino sufficientemente morbido da attutire i colpi. «La famiglia è la cosa più importante della vita. Quando ti sostiene, nei momenti difficili come in quelli buoni, e ti appoggia e ti aiuta, quando i tuoi genitori ti parlano e ti danno consigli, allora puoi ritenerti una persona fortunata».
Come dire: i problemi veri sono altri. «Certo l’idea di dare ai miei genitori e ai miei fratelli un benessere economico è stata una spinta in più. Sono nato in Normandia, vicino a Rouen. Poi i miei si sono dovuti trasferire a Parigi per lavorare. Certo la capitale non è una città semplice quando sei figlio di immigrati. Ma è comunque un posto migliore di altri. Crescere in Francia è stata una fortuna: la vita in Africa è un’altra cosa».
Che cosa fosse davvero l’Africa, Momo l’ha scoperto a diciassette anni, quando per la prima volta ha scelto di vedere di persona la terra dei genitori. «Prima dovevo giocare a calcio, costruire il mio futuro. E così rimandavo e rimandavo. Poi un giorno decisi che era arrivato il momento di andare in Mali. Ricordo che quando arrivai, all’aeroporto c’era la gente che mi aspettava. La cosa mi colpì. Vidi le loro facce, sentii il loro affetto. Fino ad allora quel paese viveva solo nei racconti di mia madre e mio padre. Era la cultura che mi avevano trasmesso, il dio che pregavo, i piatti che trovavo sulla tavola. Vedere, però, è un’altra cosa: ti apre gli occhi. Ho capito che, in qualche modo, anch’io appartenevo a quella terra. Fu allora che rinunciai alla nazionale francese».
Il suo aiuto al Mali, però, non si limita alla Nazionale. Perché il calcio darà speranza, ma quando hai fame non basta. Meglio far qualcosa di concreto. «Sono una persona fortunata. Il destino mi ha concesso il privilegio di guadagnare bene, di non avere problemi economici. E una piccola parte di questa fortuna ho voluto condividerla con la gente del Mali. Lì la povertà è cruda. La gente ha molti figli e tanti rimangono senza genitori. Ho visto un’infinità di bambini senza madre, senza padre e senza futuro. E la cosa mi ha toccato il cuore. Così ho deciso di costruire una casa per ospitarli, dove trovino cibo e istruzione: ormai è quasi finita. Se un giorno qualcuno di loro diventerà un avvocato, un medico o un calciatore, per me sarà la gioia più grande. Ma non lo faccio per pubblicità, perché la gente parli di me. È una vocazione personale, se non avessi fatto il calciatore avrei lavorato nel sociale, con i bambini».
Lui, per il momento, ne ha una sola di bimba: Aicha. Nata da pochi mesi. «Ora che sono diventato padre ho più responsabilità. Mia moglie Sokona è stata il mio primo amore. Ci siamo conosciuti da ragazzini, a Parigi, e non ci siamo più lasciati. È una ragazza tranquilla e una brava mamma. Per il momento fa la spola tra Torino e la Francia, in attesa di trovare una sistemazione adatta. Sto ancora cercando casa. Torino mi piace, è una città tranquilla anche se non manca un po’ di movida. Se mi piace la movida? Certo, ho ventitré anni, ho ancora voglia di divertirmi. Però mi piace anche dormire, sono un atleta».
Dormire e pregare. Pregare e giocare. «La fede per me è tutto. Mi ha aiutato e continua ad aiutarmi nella salute e in tutto il resto. Io sono musulmano, penso che alla fine tutte le religioni si somiglino. Le persone invece sono diverse ed è giusto che ognuno scelga la fede che sente più vicina al proprio modo di essere. L’importante è trovare pace».
Momo, per il momento, sembra esserci riuscito.
〰.〰.〰
Con indosso la maglia bianconera numero 22, Momo termina il campionato in modo positivo, nonostante l’espulsione rimediata contro la Sampdoria, con 15 presenze e la convinzione di avere superato in pieno il difficile esame del campionato italiano. Per la sua grande voglia di non mollare mai, diventa ben presto l’idolo dei supporter bianconeri.
Il secondo anno è ancora migliore: il maliano diventa il perno insostituibile del centrocampo bianconero e la sua assenza, dovuta a una frattura del piede nel derby del 7 marzo 2009, costerà parecchi punti ai bianconeri, nonché l’eliminazione dalla Coppa Campioni. Purtroppo, l’infortunio al piede si rivela più grave del previsto e Momo non riesce a rientrare fino a metà ottobre, dopo più di sette mesi di assenza dal terreno di gioco.
«È stato molto difficile superare l’infortunio. Più difficile di quanto avessi immaginato, forse perché uno stop così lungo non mi era mai capitato. Non ho paura di dire che è stato un momento di depressione. Non sono andato da uno psicologo, ma devo dire grazie a mia mamma e mia moglie, alle loro piccole parole quotidiane. Grazie anche ai miei compagni, alle loro telefonate che non mi hanno mai fatto sentire solo. Mi chiamavano pure quando ero in Francia, per curarmi. Mi chiamavano tutti, soprattutto Zebina e Tiago».
La sfortuna non abbandona Momo: un altro infortunio, infatti, lo tiene lontano dai campi di gioco fino al 22 novembre quando rientra nell’incontro casalingo contro l’Udinese, vinto per 1-0. Alla fine della stagione riesce a collezionare solamente 24 presenze.
Nella stagione 2010-11, decide di vestire la casacca numero 5, lasciata vacante da Fabio Cannavaro. Trova meno spazio rispetto agli anni precedenti, essendo spesso utilizzato da Delneri solo a partita in corso. Il tecnico friulano, infatti, gli preferisce il brasiliano Felipe Melo. Il primo marzo 2011 è sottoposto a un intervento artroscopico di regolarizzazione della cartilagine del ginocchio sinistro, rimanendo lontano dai campi di gioco per altri tre mesi, terminando in anticipo la stagione con un totale di 29 presenze.
Il 28 luglio 2011 passa al Paris Saint-Germain firmando un contratto triennale. «Ringrazio con tutto il mio cuore tutti i tifosi della Juventus. Dal mio primo al mio ultimo giorno da giocatore della Juve, mi hanno sempre sostenuto e mi hanno tifato nei periodi felici e quelli infelici. Non dimenticherò mai tutto ciò che mi hanno dato sul piano umano durante la mia permanenza in seno alla squadra. Durante tre stagioni, ho vissuto momenti indimenticabili, anche grazie a loro. Se ho passato cosi tanti belli anni alla Juve, lo devo anche alla società. Tutti i dirigenti e tutti i miei compagni che tengo a ringraziare e a salutare per tutti questi eccellenti momenti che abbiamo vissuto assieme. Avrò sempre nel mio cuore questa parte della mia carriera. Oggi, sono un giocatore del Paris Saint Germain, ma ciò che ho vissuto durante due anni e mezzo con la maglia della Juventus, non lo dimenticherò mai. Auguro lunga vita a questa squadra che mi è ormai molto cara. Spero che la squadra ritroverà la via del successo come lo vuole la sua storia e che continuerà a fare vibrare tutti i suoi tifosi che meritano tanto».
 

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