andrea 1713 Joined: 01-Jun-2005 4459 messaggi Inviato June 13 Da ragazzino dell’Inter sfidò la Seleçao: «In 20 minuti mi fecero due tunnel». Capitano del grande Verona: «Un mio gol scacciò la crisi e partì l’avventura. Boniperti ci accoglieva tra le coppe» 11 giu 2025 Il debutto internazionale avvenne prima di quello in Serie A. Era un’amichevole, d’accordo, ma di livello extra. Inter-Brasile, 13 aprile 1978. San Siro colmo oltre la misura, festa per i 70 anni del club nerazzurro: invitata di lusso, la «Avevano Zico, Rivelino, Cerezo, Dirceu. Ricordo un terzino sinistro che si piantava sulla linea laterale: guardavo dalla panchina, lo servivano continuamente con un cambio di campo. Bam, stop di petto e giocata. Entro a 20 minuti dalla fine, prendo due tunnel, uno volontario, usato per fare un passaggio. Perdiamo 2-0, una partita così. Ma che giocatori avevano». Roberto Tricella a 66 anni racconta di avere smesso con il lavoro: ha diviso la sua vita a metà. «I primi 33 nel calcio, gli altri nel settore immobiliare, che mi ha aiutato tantissimo per il post carriera. Da gennaio mi sento in pensione. Quando smisi di giocare, potevo restare nel calcio come dirigente nel Verona, ma non si concretizzò in fretta». Vede calcio, è un tifoso di ritorno del Milan, ha appena trascorso un mese di celebrazioni, incontri e ricordi per i 40 anni dello scudetto del Verona, maggio 1985, squadra di cui lui era capitano. ▶ I ricordi belli del passato? «Certo. E se ho un rammarico, è quello di non aver vinto anche la Coppa Italia, nonostante due finali con l’Hellas. E lo stress nell’anno dello scudetto non esisteva. Quando vinci, non può esistere stress, anche se arrivammo alla fine con il braccino. Non fu un miracolo, ma la costruzione di una squadra con innesti giusti anno dopo anno. Io ero arrivato sei anni prima». ▶ Se lo scudetto con l’Hellas è stato il punto più alto, come si passa da ragazzino mandato in provincia alla Juve con cui quasi chiuse la carriera, prima dell’ultimo stop a Bologna? «All’Inter ero chiuso da Bini e da altri liberi. Però all’inizio con Bersellini potevamo vincere lo scudetto, invece lo prese il Milan per grazia ricevuta. Perdevamo troppi punti dopo essere andati in vantaggio, come anche nel famoso derby del 2-2 con doppietta di De Vecchi. Un gol su punizione, uno con un tiro da fuori e ci mandano in ritiro punitivo. Quel giorno compivo 20 anni e dovevo stare in ritiro. All’Inter ho vissuto l’ultimo anno di Mazzola, al Verona l’ultimo di Boninsegna. Lo vedevo già da ragazzino nerazzurro, in allenamento: tiri al volo a ripetizione, un cross e lui colpiva sempre bene. A Verona ci allenava Veneranda: preparazione allucinante, ma Bobo si fermò per non infortunarsi. Nella prima partita, a Cesena, stiamo vincendo con un suo gol. Verso la fine esco dall’area palla al piede, la perdo e quasi pareggiano. Boninsegna parte dall’altra parte del campo per venirmi a sgridare. Non aveva ancora fatto uno scatto così. A 20 anni fai cose che ti sembrano bellissime e invece non sono concrete». Com’era il metodo Bagnoli? «Il calcio è strano: dopo che ci aveva portato in A, perdiamo le prime due partite e si parla di esonero. Alla terza battiamo la Juve, con gol mio e di Fanna, e parte l’avventura. Il calcio è anche semplice. Lui creava la spina dorsale: portiere, centrale difensivo, regista, centravanti grande, più una punta piccola vicina. Poi metteva gli uomini giusti nelle altre posizioni. Diceva che il gioco veniva da sé, senza grandi stravolgimenti. Aveva ragione». ▶ Che differenza c’era tra i silenzi di Bagnoli e quelli di Zoff, suo allenatore alla Juve? «Ho molto rispetto per gli allenatori, devono tenere insieme un gruppo di persone. Zoff era bravo, ma mi sembrava più un selezionatore da nazionale, infatti fece benissimo da ct dell’Italia. Bagnoli invece era un allenatore di tutti i giorni». È vero che lei firmava sempre contratti annuali? «Sì, all’epoca usava così. Un anno, poi se ti fai male sono affari tuoi. Avevamo un’assicurazione privata, ma un crociato significava la fine. Il primo triennale me l’hanno fatto l’anno dopo quello dello scudetto. Infatti poi mi hanno venduto alla Juve». Un giornale titolò: Tricella, lasciare Giulietta e sbagliare signora. Fu così? «No. Stavo bene a Verona, ma se c’era la possibilità di una grande squadra... Prima potevo andare al Napoli, che poi vinse lo scudetto. All’Inter, idem. Alla Juve non è andata benissimo, però prendemmo una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Boniperti ci accoglieva nella stanza dei trofei per farci vedere che lì si doveva vincere, ma lo sapevamo. Ho avuto la fortuna di giocare un anno con Scirea." Cernusco il paese dei tre liberi, si è sempre scritto così. La ripetiamo? «Sì, perché magari qualcuno non la ricorda. E poi non c’è più nemmeno il ruolo, del libero. Siamo di Cernusco io, Scirea e Galbiati, anche se Gai cambiò paese da bambino. Nel mio ruolo io guardavo Baresi e lui. Stiamo parlando di 10 e lode e 10 e lode più. Gai aveva qualcosa in più. Sapeva fare tutto. In difesa, sapeva giocare senza palla, segnava anche diversi gol. Gli arrivava palla da 90 metri e la metteva giù, facendolo sembrare il gesto più semplice del mondo. Scirea faceva apparire normale ciò che è difficile: la sua grandezza». Lei ha giocato 139 partite consecutive: significano niente infortuni e niente falli gravi? «Vuol dire farsi ammonire, ma la squalifica scattava se avevi 4 ammonizioni per la stessa infrazione. Era più facile scapparci, anche se un arbitro, Baldas, mi ammoniva sempre, per proteste. Avevo un brutto vizio, quando protestavo alzavo il dito e non piaceva. Era meglio tenere le mani dietro e dire di tutto». È sempre tifoso del Milan? «Andai all’Inter a 13 anni, ma il mio idolo era Rivera. Nelle giovanili facevo anche il centravanti arretrato, senza mai segnare, ma ne facevo fare. Ci davano la tessera per i distinti a San Siro, potevi entrate indifferentemente con Milan e Inter, io andavo a vedere i rossoneri. Poi quando giochi ti passa, quando ho smesso per più di 20 anni guardavo le mie ex squadre. Fra l’altro, dei miei 11 gol in carriera tre li ho fatti proprio al Milan. Adesso però sento qualcosa dentro quando gioca il Milan. Sono tornato un tifoso come quando ero ragazzino». Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti