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andrea

Tifoso Juventus
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    Roberto Tricella

    Da ragazzino dell’Inter sfidò la Seleçao: «In 20 minuti mi fecero due tunnel». Capitano del grande Verona: «Un mio gol scacciò la crisi e partì l’avventura. Boniperti ci accoglieva tra le coppe» 11 giu 2025 Il debutto internazionale avvenne prima di quello in Serie A. Era un’amichevole, d’accordo, ma di livello extra. Inter-Brasile, 13 aprile 1978. San Siro colmo oltre la misura, festa per i 70 anni del club nerazzurro: invitata di lusso, la «Avevano Zico, Rivelino, Cerezo, Dirceu. Ricordo un terzino sinistro che si piantava sulla linea laterale: guardavo dalla panchina, lo servivano continuamente con un cambio di campo. Bam, stop di petto e giocata. Entro a 20 minuti dalla fine, prendo due tunnel, uno volontario, usato per fare un passaggio. Perdiamo 2-0, una partita così. Ma che giocatori avevano». Roberto Tricella a 66 anni racconta di avere smesso con il lavoro: ha diviso la sua vita a metà. «I primi 33 nel calcio, gli altri nel settore immobiliare, che mi ha aiutato tantissimo per il post carriera. Da gennaio mi sento in pensione. Quando smisi di giocare, potevo restare nel calcio come dirigente nel Verona, ma non si concretizzò in fretta». Vede calcio, è un tifoso di ritorno del Milan, ha appena trascorso un mese di celebrazioni, incontri e ricordi per i 40 anni dello scudetto del Verona, maggio 1985, squadra di cui lui era capitano. ▶ I ricordi belli del passato? «Certo. E se ho un rammarico, è quello di non aver vinto anche la Coppa Italia, nonostante due finali con l’Hellas. E lo stress nell’anno dello scudetto non esisteva. Quando vinci, non può esistere stress, anche se arrivammo alla fine con il braccino. Non fu un miracolo, ma la costruzione di una squadra con innesti giusti anno dopo anno. Io ero arrivato sei anni prima». ▶ Se lo scudetto con l’Hellas è stato il punto più alto, come si passa da ragazzino mandato in provincia alla Juve con cui quasi chiuse la carriera, prima dell’ultimo stop a Bologna? «All’Inter ero chiuso da Bini e da altri liberi. Però all’ini­zio con Ber­sel­lini pote­vamo vin­cere lo scu­detto, invece lo prese il Milan per gra­zia rice­vuta. Per­de­vamo troppi punti dopo essere andati in van­tag­gio, come anche nel famoso derby del 2-2 con dop­pietta di De Vec­chi. Un gol su puni­zione, uno con un tiro da fuori e ci man­dano in ritiro puni­tivo. Quel giorno com­pivo 20 anni e dovevo stare in ritiro. All’Inter ho vis­suto l’ultimo anno di Maz­zola, al Verona l’ultimo di Bonin­se­gna. Lo vedevo già da ragaz­zino neraz­zurro, in alle­na­mento: tiri al volo a ripe­ti­zione, un cross e lui col­piva sem­pre bene. A Verona ci alle­nava Vene­randa: pre­pa­ra­zione allu­ci­nante, ma Bobo si fermò per non infor­tu­narsi. Nella prima par­tita, a Cesena, stiamo vin­cendo con un suo gol. Verso la fine esco dall’area palla al piede, la perdo e quasi pareg­giano. Bonin­se­gna parte dall’altra parte del campo per venirmi a sgri­dare. Non aveva ancora fatto uno scatto così. A 20 anni fai cose che ti sem­brano bel­lis­sime e invece non sono con­crete». Com’era il metodo Bagnoli? «Il cal­cio è strano: dopo che ci aveva por­tato in A, per­diamo le prime due par­tite e si parla di eso­nero. Alla terza bat­tiamo la Juve, con gol mio e di Fanna, e parte l’avven­tura. Il cal­cio è anche sem­plice. Lui creava la spina dor­sale: por­tiere, cen­trale difen­sivo, regi­sta, cen­tra­vanti grande, più una punta pic­cola vicina. Poi met­teva gli uomini giu­sti nelle altre posi­zioni. Diceva che il gioco veniva da sé, senza grandi stra­vol­gi­menti. Aveva ragione». ▶ Che differenza c’era tra i silenzi di Bagnoli e quelli di Zoff, suo allenatore alla Juve? «Ho molto rispetto per gli alle­na­tori, devono tenere insieme un gruppo di per­sone. Zoff era bravo, ma mi sem­brava più un sele­zio­na­tore da nazio­nale, infatti fece benis­simo da ct dell’Ita­lia. Bagnoli invece era un alle­na­tore di tutti i giorni». È vero che lei firmava sempre contratti annuali? «Sì, all’epoca usava così. Un anno, poi se ti fai male sono affari tuoi. Ave­vamo un’assi­cu­ra­zione pri­vata, ma un cro­ciato signi­fi­cava la fine. Il primo trien­nale me l’hanno fatto l’anno dopo quello dello scu­detto. Infatti poi mi hanno ven­duto alla Juve». Un giornale titolò: Tricella, lasciare Giulietta e sbagliare signora. Fu così? «No. Stavo bene a Verona, ma se c’era la pos­si­bi­lità di una grande squa­dra... Prima potevo andare al Napoli, che poi vinse lo scu­detto. All’Inter, idem. Alla Juve non è andata benis­simo, però pren­demmo una Coppa Ita­lia e una Coppa Uefa. Boni­perti ci acco­glieva nella stanza dei tro­fei per farci vedere che lì si doveva vin­cere, ma lo sape­vamo. Ho avuto la fortuna di giocare un anno con Scirea." Cernusco il paese dei tre liberi, si è sempre scritto così. La ripetiamo? «Sì, per­ché magari qual­cuno non la ricorda. E poi non c’è più nem­meno il ruolo, del libero. Siamo di Cer­nu­sco io, Sci­rea e Gal­biati, anche se Gai cambiò paese da bam­bino. Nel mio ruolo io guar­davo Baresi e lui. Stiamo par­lando di 10 e lode e 10 e lode più. Gai aveva qual­cosa in più. Sapeva fare tutto. In difesa, sapeva gio­care senza palla, segnava anche diversi gol. Gli arri­vava palla da 90 metri e la met­teva giù, facen­dolo sem­brare il gesto più sem­plice del mondo. Sci­rea faceva appa­rire nor­male ciò che è dif­fi­cile: la sua gran­dezza». Lei ha giocato 139 partite consecutive: significano niente infortuni e niente falli gravi? «Vuol dire farsi ammo­nire, ma la squa­li­fica scat­tava se avevi 4 ammo­ni­zioni per la stessa infra­zione. Era più facile scap­parci, anche se un arbi­tro, Bal­das, mi ammo­niva sem­pre, per pro­te­ste. Avevo un brutto vizio, quando pro­te­stavo alzavo il dito e non pia­ceva. Era meglio tenere le mani die­tro e dire di tutto». È sempre tifoso del Milan? «Andai all’Inter a 13 anni, ma il mio idolo era Rivera. Nelle gio­va­nili facevo anche il cen­tra­vanti arre­trato, senza mai segnare, ma ne facevo fare. Ci davano la tes­sera per i distinti a San Siro, potevi entrate indif­fe­ren­te­mente con Milan e Inter, io andavo a vedere i ros­so­neri. Poi quando gio­chi ti passa, quando ho smesso per più di 20 anni guar­davo le mie ex squa­dre. Fra l’altro, dei miei 11 gol in car­riera tre li ho fatti pro­prio al Milan. Adesso però sento qual­cosa den­tro quando gioca il Milan. Sono tor­nato un tifoso come quando ero ragaz­zino».
  4. A proposito di diritti tv https://x.com/SandroSca/status/1933147616440926397?t=veoqhgHLlis0oDkN0rZ0wA&s=19
  5. Vabbè https://x.com/BFC19091/status/1932717184834470074?t=PxYfBkSGWWGKJyK8F18xyw&s=19
  6. L'idea di Pistocchi https://x.com/pisto_gol/status/1932558390372229357?t=cjxL9Yu8QtuvU4i2zhZ_rg&s=19
  7. PER TUDOR SPUNTA CASTRO BALERDI IL PALLINO E PIACE FRATTESI L’argentino del Bologna l’ultima idea per l’attacco, si aggiunge al sogno Gyokeres e a Retegui Caccia agli italiani: sale l’interista. Tavares in fascia Di Filippo Cornacchia TORINO · 11 giu 2025 Un ritocco in difesa, un paio di colpi tra centrocampo e fasce. E soprattutto un nuovo attaccante: l’ultimo nome a stuzzicare la Juventus è Santiago Castro del Bologna. La nuova Signora progetta almeno quattro rinforzi per permettere a Igor Tudor di essere fin da subito competitivo su tutti i fronti. Nessuna smobilitazione, ma innesti mirati per alzare la qualità della rosa e rinforzare lo spessore dello spogliatoio. Non a caso tra le priorità di Comolli, francese cresciuto con il mito della leggenda bianconera Michel Platini, c’è anche quella di dare una spruzzata d’azzurro Italia alla squadra. Da Gyokeres a Castro Comolli presto parlerà con Vlahovic, ma salvo miracolose inversioni a “U” del serbo, l’impressione è che il nuovo direttore generale si troverà nella stessa situazione del predecessore Cristiano Giuntoli: ossia con uno dei migliori giocatori della rosa che non intende rinnovare il contratto in scadenza tra un anno (giugno 2026). In quel caso, la cessione di DV9 diverrebbe inevitabile (continua il pressing del Fenerbahçe di Mourinho) e indispensabile sarebbe l’acquisto di una punta al netto dell’ottimismo sul prestito bis di Randal Kolo Muani, di proprietà del Psg. Tra il sogno Viktor Gyokeres (Sporting) e il capocannoniere dell’ultimo campionato Mateo Retegui (Atalanta), spunta Santiago Castro. Il 20enne argentino – 10 gol e 8 assist nell’ultima stagione – è più che un’idea alla Continassa. La Juventus non si è ancora fatta avanti con il Bologna, ma potrebbe farlo presto. Dipenderà dalle valutazioni e dai vari incastri di mercato. A partire dalla ricca concorrenza araba e inglese per il bomber Gyokeres (54 reti) e per Retegui (28 gol). Castro piace tanto alla Continassa, però farsi aprire la porta dal club emiliano non sarà semplice. E nemmeno scontato. Giugno è il tempo delle valutazioni e delle riflessioni. Non ancora quello degli affondi, soprattutto per la Juventus che punta a rinforzarsi al rientro dal Mondiale per Club negli Usa. Sullo sfondo rimangono Ramos (Psg) e lo svincolato David (ex Lilla), segnalato sempre più freddo. In mezzo Dall’attacco al centrocampo. Comolli e Chiellini, almeno a livello di idee e strategie, vorrebbero piazzare una-due bandierine italiane tra difesa e mediana. La strada per Sandro Tonali, corteggiato nei mesi scorsi dall’ex dt Cristiano Giuntoli, non è chiusa, però pare ogni giorno più in salita: il Newcastle si è qualificato in Champions e non vuole rinunciare all’ex rossonero. Alla Continassa non mollano, ma intanto ripensano a un altro “giovane-vecchio” pallino azzurro: Davide Frattesi dell’Inter. In lista anche Florentino del Benfica. Gli altri Sulla carta, almeno a livello numerico, la difesa non avrebbe bisogno di ritocchi con i rientri degli infortunati Gleison Bremer e Juan Cabal. Eppure qualcosa potrebbe muoversi in uscita, tanto che la Juventus ha messo nel mirino Leonardo Balerdi, pretoriano di Tudor ai tempi del Marsiglia. I francesi non vorrebbero cedere il proprio capitano, almeno per ora, ma i bianconeri proveranno a tentare la squadra di De Zerbi offrendo soldi e uno tra Nico Gonzalez (piace anche in Premier) e Mbangula come contropartite. Nei radar restano i giovani italiani Leoni (Parma) e Comuzzo (Fiorentina), seguiti da tutte le big di Serie A. Le fasce di Tudor verranno rinfrescate: antenne dritte su Nuno Tavares della Lazio, mentre si registra un certo traffico per Miguel Gutierrez del Girona.
  8. Ovviamente Gravina non ha colpe https://www.dagospia.com/sport/giornalaccio rosa-incalzare-gabriele-gravina-attacca-ranieri-per-all-italia-437453
  9. https://x.com/capuanogio/status/1932513756367692021?t=5gRneb8J7FaAZ3p4Ja9iDw&s=19
  10. Simone Pepe Quattro scudetti con la Juventus In Nazionale 23 gare 10 giu 2025 - di G.B. Olivero Un sor­riso non costa nulla, ma non è per que­sto che ogni giorno Simone Pepe ne regala tanti a chiun­que gli sta intorno: «È que­stione di carat­tere. E il mio, me lo lasci dire, non lo cam­bio con nes­suno. Pregi e pure difetti, certo. Mi sono tro­vato bene dap­per­tutto: nord, sud, Sici­lia, Sar­de­gna, grandi città, pro­vin­cia. Sono stato for­tu­nato a fare la vita che volevo. Ho vinto quat­tro scu­detti con la Juve, ho gio­cato un Mon­diale e vis­suto tutti i miei sogni. Il buo­nu­more mi ha sem­pre accom­pa­gnato. Sono stato fermo due anni per infor­tu­nio, una sof­fe­renza grande, ma non ho mai sal­tato un giorno di alle­na­mento. Arri­vavo a Vinovo, met­tevo la tuta, andavo in campo, guar­davo gli altri e mi chie­devo cosa potessi fare per ren­dermi utile, per aiu­tare i miei com­pa­gni a vin­cere. I cross, i gol e le corse su e giù per la fascia sono impor­tanti, ma poi ci sono altre cose. E allora cer­cavo di sor­ri­dere, di tenere su il morale anche quando si per­deva, di cari­care il gruppo. Se mi vede­vano lì, e sape­vano quanto mi dispia­ceva non poter cor­rere con loro, magari avreb­bero fatto uno scatto in più per me. Che poi, non saranno mica quelli i pro­blemi della vita no?». ▶E nemmeno crescere nel settore giovanile della Roma e andare via senza una presenza. «Tante pan­chine con Capello, ma il campo l’ho visto solo da seduto... Però biso­gna essere one­sti: quella Roma era esa­ge­rata, livello troppo alto. Face­vano un altro sport rispetto a me». ▶ Centravanti, ala destra, seconda punta, esterno a tutta fascia. Che cosa le piaceva di più? «In C e in B segnavo tanto, ma in A da attac­cante non la bec­cavo mai. La mia for­tuna fu cam­biare ruolo e allar­garmi. E rico­no­sco di essere stato molto bravo a rein­ven­tarmi in un ruolo diverso. Accadde a Udine: c’erano sei punte tra cui Di Natale, Qua­glia­rella, Floro Flo­res. Comin­cio il ritiro e Pasquale Marino mi dice: “Simone, apprezzo tan­tis­simo l’impe­gno, vai a 200 all’ora, ma qui non gio­che­rai mai”. Io avevo qual­che pro­po­sta, ma gli rispondo che sarei rima­sto se mi avesse pro­messo di darmi una chance appena pos­si­bile. E così fu. Nelle prime dieci gior­nate gioco al mas­simo un’oretta. Poi a Firenze qual­cuno è infor­tu­nato, qual­cun altro non vuole fare l’esterno e tocca a me: fac­cio un assist a Qua­glia­rella, uno a Di Natale, vin­ciamo 2-1 e non esco più. Un anno dopo sono in Nazio­nale». ▶ Com’è stato l’approdo alla Juve? «Improv­viso ed emo­zio­nante. Fini­sco il cam­pio­nato da gio­ca­tore dell’Udi­nese, il 9 giu­gno firmo con la Juve, sono il primo acqui­sto dell’era Agnelli e parto subito per il Mon­diale con l’Ita­lia. Al ritorno dal Suda­frica mi sono reso conto che la Juve è un mondo a parte: la pres­sione può deva­starti se non sai gestirla. Con Del­neri par­timmo bene, poi a causa anche di qual­che infor­tu­nio ral­len­tammo e chiu­demmo al set­timo posto». ▶ Come fece Conte a cambiare la storia? «Stra­vol­gendo il modo di pen­sare cal­cio. Portò un cam­bia­mento totale nel lavoro a livello tat­tico, fisico, delle cono­scenze. Ini­ziammo in ritiro con il 4-2-4, ma l’arrivo di Vidal lo spinse a modi­fi­care il modulo. Ci sono due aspetti in cui Conte non ha rivali: la pre­pa­ra­zione della gara e la comu­ni­ca­zione con i gio­ca­tori. Tocca sem­pre i tasti giu­sti. Ripenso al famoso discorso a Vinovo durante lo sprint con il Milan nel 2012. Tanti alle­na­tori par­lano, ma non ti resta nulla. Le parole di Conte invece entrano in testa e arri­vano al cuore. Quando dice “Oggi a que­sti gli met­tiamo il campo in salita”, tu te lo imma­gini pro­prio in pen­denza. In set­ti­mana era tipo “si salvi chi può”, eh: una fatica enorme. Però in par­tita al 70’ i nostri avver­sari erano in coma e per noi era come essere al 40’. A Napoli ha fatto un altro capo­la­voro». ▶ Un infortunio alla coscia sinistra le ha fatto perdere due stagioni: 4 presenze tra 2012-13 e 2013-14. «Tro­feo Tim a Bari, un campo inguar­da­bile. Sem­brava uno sti­ra­mento come tanti. Fermo un mese, rien­tro e sento male. Altro mese e stessa sto­ria. Pur­troppo il carico di lavoro deciso dal pro­fes­sor Sassi era ecces­sivo. Rien­travo e mi fer­mavo di con­ti­nuo. Un giorno a fine alle­na­mento cal­cio le puni­zioni con Pirlo e Gio­vinco. Sento un fasti­dio, salgo sul pull­man in dire­zione Milano e quando arrivo ho un ema­toma enorme. A quel punto l’unica strada era l’inter­vento chi­rur­gico: i pro­fes­sori Benazzo e Combi mi ope­ra­rono a Pavia toglien­domi le cal­ci­fi­ca­zioni e una parte di muscolo. Tor­nai a dispo­si­zione, nel frat­tempo era arri­vato Alle­gri e ogni tanto mi faceva gio­care. Ma non ero più quello di prima». ▶ Con la maglia del Chievo ha segnato il primo gol assegnato dalla Goal Line Technology. «Puni­zione con­tro la Roma. Szc­ze­sny fa una parata incre­di­bile. Mani in fac­cia per la dispe­ra­zione. Poi l’arbi­tro guarda l’oro­lo­gio e comin­cio a cor­rere come un pazzo». ▶ Che ricordo è il Mondiale 2010? «Comun­que bello: gio­care per l’Ita­lia è mera­vi­glioso. Fui tito­lare in tutte le par­tite. Pur­troppo non c’era stato ricam­bio gene­ra­zio­nale. Nel 2006 c’erano diciotto cam­pioni e gli altri erano bravi gio­ca­tori. Nel 2010 c’erano diciotto bravi gio­ca­tori e gli altri erano cam­pioni nella fase finale della car­riera». ▶Adesso fa l’agente: qual è il compito più importante nei confronti di un suo assistito? «Inse­gnar­gli a tro­vare la solu­zione, non la scusa. Noi face­vamo così. Io ho avuto lo stesso pro­cu­ra­tore per quin­dici anni e se dovevo par­lare con Marotta o Para­tici andavo da solo. Adesso i ragazzi vogliono un tutor, più che un agente. E noi dob­biamo ade­guarci. Dico loro che la dif­fe­renza grande la fa la con­ti­nuità di ren­di­mento. Hai gio­cato bene dome­nica? Ok, oggi è lunedì. Non se lo ricorda più nes­suno. Quindi testa bassa, peda­lare. E sor­ri­dere. I miei com­pa­gni mi hanno sem­pre voluto bene anche per que­sto».
  11. Esonera Spalletti senza avere il sostituto A Gravina l'unica cosa che riesce bene è affossare la Juve
  12. Sinner deve vincere a Wimbledon, se vincesse lo spagnolo per la terza volta di fila sarebbe una brutta botta
  13. https://x.com/gazzettanothanx/status/1931808454298980788?t=Ev_QGA1BYTJnPXBxpgGTtA&s=19
  14. Qua finisce che prendiamo Spalletti
  15. La Signora parte dal muro In difesa spunta Balerdi il pretoriano di Tudor Di Filippo Cornacchia TORINO - 6 giu 2025 Bianconeri attivi sui giovani italiani Leoni e Comuzzo. E in fascia resiste Gutierrez del Girona La Juve si muove per l’argentino del Marsiglia dopo il riscatto di Kalulu e in attesa di Bremer ll muro prima di tutto, come nelle migliori tradizioni della Signora. Messo il primo mattone con il riscatto dal Milan di Pierre Kalulu e in attesa del ritorno al top di Gleison Bremer, la Juventus è al lavoro per rinfrescare e rinforzare la difesa del futuro. C’è un nome che mette tutti d’accordo, “vecchi” e “nuovi” inquilini della Continassa ed è quello di Leonardo Balerdi, leader e capitano del Marsiglia di Roberto De Zerbi. Il 26enne argentino è un pallino di Igor Tudor, che lo ha allenato nella stagione trascorsa all’OM (2022-23), ma è apprezzato anche da Giorgio Chiellini, professore universitario del ruolo per dirla alla Mourinho. L’ex Boca è un nome che stuzzica anche il nuovo dg bianconero Damien Comolli, che lo ha affrontato più volte ai tempi della presidenza del Tolosa. Il pretoriano duttile La candidatura di Balerdi è uscita rafforzata dai primi vertici di mercato. Gli aspetti tecnici si intrecciano a quelli anagrafici. Balerdi gioca nell’Argentina, ma possiede anche il passaporto italiano. Nel caso, la Juventus non dovrebbe nemmeno occupare uno dei due slot extracomunitari per l’ex Boca Juniors. Più importante e preziosa è la duttilità del classe 1999 cresciuto alla Bombonera. Leonardo può giocare in tutte le posizioni della difesa a tre: al centro e a destra, all’occorrenza anche a sinistra. Tudor lo ha sperimentato di persona – e sul campo – e per questo non ha dubbi sull’ex pretoriano. Gli incastri di mercato sono ancora tanti e variegati, ma Balerdi potrebbe agire con Bremer e indifferentemente con uno tra Kalulu e Gatti. Senza contare che per il brasiliano, pronto a riunirsi al gruppo in tempo per il Mondiale per Club di metà mese negli Usa, va messa in conto una stagione 202526 con qualche fisiologico “basso” dopo il grave infortunio ai legamenti del ginocchio e il lungo stop. La sensazione è che il reparto subirà una ristrutturazione. Non a caso, cessioni permettendo, nei pensieri della Juventus resiste l’idea di aggiungere anche un pezzo giovane e italiano: i preferiti sono il 18enne Giovanni Leoni (Parma) e il 20enne Pietro Comuzzo (Fiorentina), entrambi nei radar delle big di Serie A. OM e... Roma Comolli e Chiellini, che hanno deciso di rinunciare al prestito bis di Renato Veiga (tornato al Chelsea), nelle prossime settimane proveranno a tentare il Marsiglia. I rapporti sono ottimi tanto a livello di vertici – il presidente Longoria in passato ha lavorato in bianconero come capo scout e ha incrociato spesso Comolli e Chiellini nelle riunioni dell’Eca – quanto di dirigenza: il ds dei francesi è Medhi Benatia, ex compagno di Chiellini ai tempi della Juventus. Il feeling tra la Signora e il Marsiglia è un ottimo punto di partenza. Anche se al Velodrome, almeno per il momento, non vorrebbero privarsi dell’argentino. Nel calcio, però, tutto può cambiare in fretta. La Juventus c’è, ma non corre da sola: Balerdi è un obiettivo della Roma di Gasperini, intrigato dal centrale già ai tempi dell’Atalanta. Dal centro alle fasce: nella lista bianconera resiste il nome di Miguel Gutierrez del Girona.
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