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Socrates

Romeo Benetti

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History | Romeo Benetti - Juventus TV

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File:1968–69 Juventus FC - Romeo Benetti.jpg - Wikimedia Commons

 

Per 4 stagioni insuperabile nel nostro centrocampo: tanti auguri a Romeo  Benetti, che compie oggi 71 anni. ⚪️⚫️ | JuventusFC | Scoopnest

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era uno che in campo faceva paura sul serio

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ROMEO BENETTI

Samp, Milan, poi Juventus e Roma per un grande del

nostro calcio. Due mondiali e nove anni in azzurro.

 

History | Romeo Benetti - Juventus TV


Sicuramente quando si parla di Benetti, nei nostri ricordi risorge la figura dell’atleta forte e grintoso, muscoli e decisione, tattica e volontà. Per tanti anni è stato uno dei più grandi centrocampisti in circolazione in Italia e nel mondo, e la sua caparbietà lo ha portato ad essere presente sulla scena internazionale fino alla veneranda età di trentacinque anni.Pochi sono i calciatori che superata la trentina hanno vestito la maglia azzurra.

Romeo Benetti nasce a Albaredo d’Adige, in provincia di Verona nel 1945. Comincia a giocare e diciassette anni nel Bolzano, per poi passare a Siena, Taranto, Palermo fino ad esordire in serie A nel 1968-69 vestendo la gloria maglia della Juventus.Il torneo successivo viene acquistato dalla Sampdoria, dove dimostra la sua forte personalità di giocatore. Non passa inosservato a Rocco, che lo vuole nella suo Milan n.2. Con la maglia rossonera Benetti giocherà sei campionati, debutterà nel 1971 in azzurro (Italia-Messico 2-0), e porterà il Milan ai vertici del campionato, anche se lo scudetto tante volte sfiorato non arriverà mai. In nazionale partecipa ai mondiali in Germania del 1974, risultando uno dei migliori calciatori della nostra squadra al punto tale che sarà uno dei pochi ad essere riconfermato sia nella gestione di Bernardini che in quella di Bearzot. Nel 1976 ritorna alla Juventus, in cambio di Fabio Capello, e con Trapattoni in panchina, lo aveva già allenato l’anno prima con il Milan, arrivano anche due scudetti consecutivi (1977 e 1978), la Coppa UEFA e il posto da titolare nella nazionale in Argentina. Nel 1979 passa alla Roma di Liedholm, dove giocherà le sue ultime due stagioni e vincerà consecutivamente due Coppe Italia. Rimarrà nel giro della nazionale e giocherà agli Europei del 1980 in Italia. La sua cinquantacinquesima ed ultima casacca azzurra e nella finale per il III posto persa con la Cecoslovacchia.

D. - Lei debutta in nazionale nel 1971 e partecipa a due mondiali di calcio. Il primo è quello sfortunato in Germania, che porta alla fine dell’era Valcareggi.

R. - Non fu una esperienza felice, infatti uscimmo al primo turno, dopo solo tre partite.Partivamo come sempre con i favori del pronostico, invece ci fu una vittoria con Haiti, un pareggio strappato all’Argentina per 1 a 1 grazia anche ad un autogol su un mio tiro, e infine la batosta con la Polonia di Lato. Molto i motivi di questa disfatta. Sicuramente l’atmosfera non era delle migliori.Più che una squadra di calcio, la nazionale si era trasformata in una lotta tra due distinte fazioni, quella di Mazzola e quella di Rivera; poi esistevano altri gruppi di giocatori che appoggiavano le volontà o dell’uno o dell’altro. Fu una spedizione che non fu organizzata, secondo il mio parere, nel migliore dei modi. Alla fine di quel mondiale, con l’eliminazione dell’Italia, finì quella che molti chiamano il ciclo di Valcareggi, ma finì anche la carriera in azzurro sia di Mazzola che Rivera., che lasciarono la nazionale.

D. - Lei invece fu convocato sia da Bernardini che da Bearzot, arrivando a giocare il mondiale in Argentina nel 1978.

R. - Sicuramente l’atmosfera era diversa; la squadra presentava un blocco della Juventus, con nove undicesimi. La nazionale era la squadra bianconera, con l’eccezione di Rossi e del regista, Antognoni o Zaccarelli. Bearzot non ha fece altro che portare la personalità della mia squadra dal campionato al mondiale. Del resto la Juventus di quel periodo aveva appena vinto due scudetti e conquistato, dopo tanti anni di digiuno per il nostro calcio, una coppa europea.

D. - Quel mondiale cominciò benissimo, tre vittorie fra cui quella storica con i futuri campioni dell’Argentina, poi la squadra azzurra comincia a perdere colpi, anche se poi conquistò un meritato quarto posto.

R. - Infatti il mondiale del 1978 andò proprio in quel modo! Debuttammo giocando una grande partita con la Francia, vincemmo di slancio sull’Ungheria per 3 a 1 ,ed io firmai il terzo gol, e poi ci fu la storica la vittoria con l’Argentina, che ci aveva rilanciato come squadra favorita per la vittoria finale. Poi la nostra nazionale perse vivacità; seguì un pareggio con la Germania, superammo con un solo gol l’Austria e infine giunse la sconfitta con l’Olanda, che ci chiuse la porte della finalissima. Dobbiamo però evidenziare che gli arbitraggi non furono molto felici, specialmente nella partita con i forti arancioni. Ma non bisogna più di tanto recriminare; la squadra era molto bene amalgamata, ma alla fine dei ventidue convocati, solo quattordici giocarono. In un mondiale dove si disputa una partita ogni tre giorni, si arriva alla quarta partita che si ha ancora la fatica del primo incontro da smaltire! Giocando solo in quattordici alla fine la squadra risentì di questa situazione; forse se si fosse attivato un turn-over con più calciatori, il risultato sarebbe stato differente.

D. - Lei ha giocato anche la famosa partita del 1973 a Wembley, dove l’Italia battè l’Inghilterra per la prima volta sul suo storico campo.

R. - L’Inghilterra l’avevamo già superata qualche mese prima a Torino per 2 a 0, in una amichevole per i 75 anni della Federazione. Sicuramente la vittoria di Wembley fu un avvenimento di grande risonanza! A dire il vero è stato un vero e proprio assedio da parte dell’Inghilterra; ma con uno Zoff che si è superato e con una linea difensiva guidata da Facchetti e Burgnich che giocarono veramente in modo magistrale abbiamo avuto una sorte propizia che sul finale ci ha regalato il gol della vittoria di Capello; quindi un partita che, per essere obiettivi, abbiamo vinto sia per bravura ma anche con un pizzico di fortuna.Comunque rimane una delle pagine più esaltanti della storia del nostro calcio.

D. - Per ben sei stagioni ha giocato nel Milan avendo numerosi allenatori come Rocco, Giagnoni e Trapattoni, tutti per una squadra fortissima che però non ha vinto nessuno scudetto.

R. - Il Milan di quegli anni fu caratterizzato dal cambio di numerosi allenatori, conseguenza anche del cambio al vertici di numerosi presidenti! Nonostante questo il Milan rimase sempre protagonista del campionato; infatti siamo arrivati quattro volti secondi, e poi non dimentichiamo la stagione del 1973 quando perdemmo a Verona un titolo che già sembrava conquistato. Ci fu parecchia tristezza, ma perdere lo scudetto per un punto significava che il Milan era sempre una grande formazione, in lotta fino all’ultima giornata! Inoltre abbiamo vinto due Coppe Italia e la Coppa delle Coppe pochi giorni prima della sconfitta con il Verona.

D. - Il suo ultimo anno nel Milan vede il debutto sulla panchina di Trapattoni, che poi l’anno dopo lo porterà nella Juventus.

R. - Fu proprio così;nel 1975 Giovanni Trapattoni ha debuttato come allenatore proprio con la sua ex-squadra,il Milan, per poi passare l’anno dopo alla corte di Agnelli e portandomi nelle file di una Juventus in via di rinnovamento.Fu un periodo splendido, tre anni dove vincemmo due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA. Poi ho un ottimo ricordo di Giovanni, con cui ho lavorato insieme per ben nove anni, prima come calciatore poi come collega!

D. - Lei è l’unico giocatore che ha giocato tutti i quattro derby,vestendo le maglie di Sampdoria, Milan, Juventus e Roma. Un rapido paragone fra le atmosfere di queste grandi partite.

R. - A Torino è un discorso classista, i bianconeri e i granata sono simboli di diverse estrazioni sociali: a Milano si gioca fra le tifoseria all’insegna dello sfottò, semplice e senza astio, a Genova ricordo un derby “all’acqua di rosa”, dove la tifoseria lo vede come un’amichevole festa che si organizza per migliorare la scenografia dello stadio. Infine a Roma dove la stracittadine è una la ragione per incontrarsi allo stadio anziché al ristorante!

D. - Tante stagioni da protagonista e ben nove anni titolare nella nazionale; se deve citare un momento, una stagione che vorrebbe “incorniciare” per sempre nella sua memoria?

R. - E’ difficilissimo dire; infatti ho giocato quasi 350 partite, e ho vestito per 55 volte la maglia azzurra! Ho tanti ricordi emozionanti, legati specialmente ai derby, quelli che magari si sono vinti negli ultimi minuti ! Sicuramente ricordo come strepitoso l’anno con la Juventus che vinse il titolo nel 1977, quando superammo il Torino di Pulici e Graziani, che nel torneo precedente ci aveva sottratto il primato. Quella fu un eccezionale campionato finito con 51 punti, ovvero abbiamo perso su 30 partite solo nove punti! Fu una vittoria sul filo di lana; infatti fu una stagione combattuta spalla a spalla con i granata che terminarono a quota 50, un solo punto di svantaggio. Veramente un campionato giocato ad altissimo livello ed indimenticabile.

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Football Yesterday & Today: Romeo Benetti - Detailed stats in European Cups

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725493960_juventus1931.jpg.9227fb89cb46385e6a621c15e4d24112.jpg ROMEO BENETTI 1695067842_juve1977.jpg.2cd1d17767a010ac4807ef6df0794300.jpg

 

Per 4 stagioni insuperabile nel nostro centrocampo: tanti auguri a Romeo  Benetti, che compie oggi 71 anni. ⚪️⚫️ | JuventusFC | Scoopnest

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Romeo_Benetti

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Albaredo d'Adige (Verona)
Data di nascita: 20.10.1945

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 175 cm
Peso: 73 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Panzer

 

 

Alla Juventus dal 1968 al 1969 e dal 1976 al 1979

Esordio: 08.09.1968 - Coppa Italia - Cesena-Juventus 0-0

Ultima partita: 20.06.1979 - Coppa Italia - Juventus-Palermo 2-1

 

159 presenze - 23 reti

 

2 scudetti

1 coppa Italia

1 coppa Uefa

 

 

Romeo Benetti (Albaredo d'Adige, 20 ottobre 1945) è un ex allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo mediano o interno.

 

 

Romeo Benetti
Romeo Benetti a Euro 1980.jpg
Benetti in nazionale al campionato d'Europa 1980
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 175 cm
Peso 73 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1981 - giocatore
1987 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1963-1964   Bolzano 32 (10)
1964-1965   Siena 31 (7)
1965-1967   Taranto 63 (11)
1967-1968   Palermo 35 (2)
1968-1969   Juventus 24 (1)
1969-1970   Sampdoria 27 (2)
1970-1976   Milan 170 (32)
1976-1979   Juventus 135 (22)
1979-1981   Roma 27 (1)
Nazionale
1971-1980 Italia Italia 55 (2)
Carriera da allenatore
1981-1984   Roma Primavera
1984-1985   Cavese  
1986-1987   Carrarese

 

Biografia

Ultimo di otto fratelli, i genitori diedero il nome di Romeo a lui e quello di Giulietta alla gemella. Anche il fratello Bruno è stato un calciatore.

Si trasferì quindi con la famiglia a Bolzano, ma rimase in collegio a Venezia fra gli 8 e i 16 anni; il suo primo lavoro fu quello di tipografo. In tempi più recenti si è stabilito a Leivi, nel genovese.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

«Benetti era un giocatore duro, completo. Uno strano tipo di cattivo. Non era scorretto, prendeva e dava, solo che il suo temperamento gli permetteva di dare molto più che prendere.»

(Mario Sconcerti, 2017.)

 

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Il gol del milanista Benetti nel derby di Milano del 9 marzo 1975

 

Dotato di un fisico particolarmente robusto, era un elemento combattente noto per la grinta, lo stile maschio e la grande aggressività tipica del gioco all'italiana. Si distingueva soprattutto per dinamismo e furore agonistico, uscendo quasi sempre vittorioso dai contrasti. Il suo rendimento era costante e di alto livello; denotava uno spiccato senso tattico e una discreta visione di gioco, che gli permetteva di gestire una grande quantità di palloni e impostare rapidamente la manovra offensiva.

Aveva una personalità da leader che gli garantiva il rispetto di compagni e avversari: era solito uscire a testa alta dalla difesa, palla al piede, cercando un compagno cui passare la sfera. Giunto al Milan dalla Sampdoria, dove giocava in posizione più avanzata, fu Nereo Rocco a lanciarlo come mediano onde sfruttarne la grande forza fisica. Aveva tra le sue doti migliori un tiro molto potente e preciso da fuori area.

Alcuni critici lo consideravano uno "scarpone" per alcuni episodi in cui non era riuscito a controllare la propria irruenza, in particolare per un fallo che, durante un Milan - Bologna del 1971, provocò a Francesco Liguori la rottura dei legamenti crociati di un ginocchio. La stampa gli assegnò nomignoli come "killer" e "duro del calcio italiano", grazie ai quali incuteva grande timore agli avversari, pur se in carriera non venne mai espulso. Ciò nonostante, tale fama è andata a consolidarsi col tempo: nel 2008 il tabloid britannico The Sun lo ha posizionato al quarto posto nella lista dei calciatori più duri di tutti i tempi, mentre nel 2018 il Daily Mail lo ha inserito tra i 20 calciatori europei più cattivi di tutti i tempi.

Tra gli altri pareri, il giornalista Gianni Brera gli diede il soprannome di Maultier, riferito ai cingolati dell'esercito tedesco nella seconda guerra mondiale; l'altro giornalista Angelo Rovelli lo definì "impavido e roccioso"; infine l'allenatore ed ex commissario tecnico azzurro Gian Piero Ventura lo inserì a posteriori come regista arretrato nella sua nazionale italiana ideale di tutti i tempi.

Carriera

Giocatore

Club

Gli inizi nelle serie minori

Mosse i primi passi nel mondo del calcio con il Bolzano, in Serie D, arrivando alla massima serie dopo una lunga gavetta in Serie C e B con le maglie di Siena, Taranto e Palermo. Nella stagione 1965-1966 il Foggia & Incedit perfezionò il suo acquisto, ma all'ultimo momento il presidente Rosa non volle ufficializzarlo poiché Benetti doveva partire per il servizio di leva, lasciandolo al Taranto che ne promise per l'anno successivo l'approdo tra le file dei rossoneri; la stagione successiva questo accordo non venne tuttavia rispettato dagli ionici, che lo vendettero al Palermo.

Palermo, Juventus e Sampdoria
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Benetti durante la sua prima esperienza alla Juventus nel campionato 1968-1969

 

Coi siciliani, che lo acquistarono per 50 milioni di lire, rimase solo per la stagione 1967-1968, collezionando 35 presenze e segnando 2 reti in un campionato cadetto che vide primeggiare i rosanero; a Palermo, per il centrocampista, anche 2 presenze e un gol in Coppa Italia. In quella stagione in Sicilia fu spesso schierato come seconda punta.

Debuttò in Serie A nella stagione 1968-1969 con la maglia della Juventus, a cui fu venduto per più di 300 milioni, ma non si integrò nella squadra per la scarsa considerazione che aveva di lui il tecnico Heriberto Herrera. Dopo una sola stagione fu quindi ceduto alla Sampdoria, nell'ambito dell'operazione che portò a Torino Francesco Morini e Roberto Vieri. A Genova, nella stagione 1969-1970 disputò 27 partite corredate da 2 gol in Serie A, e 3 partite e 2 reti in Coppa Italia.

Milan
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Benetti (a destra) al Milan, alle prese con lo juventino Marchetti, nella classica del 31 ottobre 1971

 

Nel 1970 fu acquistato dal Milan, dove rimase per le successive sei stagioni. Reduce dall'esperienza blucerchiata che l'aveva visto schierato in posizione avanzata, a Milano fu il tecnico Nereo Rocco ad assegnargli quella posizione di mediano che ne avrebbe fatto la fortuna; proprio il paròn aveva voluto Benetti in rossonero, dopo esserne rimasto colpito in una partita tra lombardi e liguri, dove in uno scontro di gioco aveva conservato la palla lasciando a terra Trapattoni, Cudicini e Schnellinger.

A Milano collezionò numerosi piazzamenti di rilievo: nel suo primo triennio giunse per tre volte secondo in campionato, compreso quello di esordio del 1970-1971, in cui il Milan subì la rimonta finale dell'Inter dopo avere guidato a lungo la graduatoria, e quello del 1972-1973, perso rocambolescamente all'ultima giornata con la sconfitta nella cosiddetta Fatal Verona.

 

Benetti al Milan negli anni 1970
 
Benetti capitano milanista per la stagione 1975-1976

 

Oltre alle vittorie in Coppa Italia nelle edizioni del 1971-1972 e 1972-1973, annata quest'ultima in cui sollevò anche la Coppa delle Coppe pur non giocando la finale, disputò un'altra finale di Coppa delle Coppe e una di Supercoppa UEFA nella stagione 1973-1974, e ancora due finali di Coppa Italia nelle edizioni 1970-1971 e 1974-1975.

Durante la militanza in rossonero, il 10 gennaio 1971, per un fallo su Francesco Liguori del Bologna, il quale riportò un serio infortunio al ginocchio destro e vide la propria carriera stroncata, fu denunciato alla Procura di Milano e il commissariato di Pubblica Sicurezza del quartiere "Bolognina" inviò un rapporto sull'incidente alla Pretura di Bologna. Nell'ultima sua stagione a Milano, a causa del temporaneo ritiro dall'attività agonistica di Gianni Rivera, vestì la fascia di capitano della squadra.

Ritorno alla Juventus

Nell'estate 1976 fu oggetto di uno scambio di mercato con Fabio Capello della Juventus: il friulano approdò a Milano, mentre Benetti, voluto dall'ex compagno di squadra Trapattoni nel frattempo sedutosi sulla panchina bianconera, e da cui era molto stimato, fece ritorno a Torino dopo sette anni. Considerato erroneamente dal Milan in fase calante, al contrario in maglia bianconera raggiunse la piena maturità come centrocampista sia in fase di copertura sia nell'impostazione del gioco, andando a formare una linea mediana formidabile con Giuseppe Furino e Marco Tardelli.

 

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Benetti durante la sua seconda esperienza juventina, nella sfida interna di Coppa dei Campioni 1978-1979 contro i Rangers

 

Sotto la Mole continuò a fornire grandi prestazioni e divenne una delle colonne della squadra che, nel triennio seguente, vinse i due scudetti del 1976-1977 e 1977-1978, un'altra coppa nazionale e la Coppa UEFA 1976-1977, quest'ultimo il primo trofeo confederale del club piemontese. Chiuse la seconda esperienza a Torino con 159 presenze e 23 reti tra campionato e coppe.

Roma

Lasciò la Juventus nel 1979 per approdare alla Roma, voluto dal presidente Dino Viola il quale stava rifondando la squadra con un mix di giovani promettenti ed esperti elementi. Logoro dopo anni di calcio giocato soprattutto fisicamente, le prestazioni in campo ne risentirono ma si distinse comunque per la sua consueta professionalità. Giocò con i giallorossi per due stagioni, aggiudicandosi altre due Coppe Italia e collezionando un totale di 42 presenze e 3 gol; disputò così anche il derby di Roma, il quarto della carriera dopo quelli di Torino, Genova e Milano.

Nazionale

Il commissario tecnico Ferruccio Valcareggi lo fece esordire in nazionale il 25 settembre 1971, a 26 anni, subentrando a De Sisti nell'amichevole contro il Messico. Divenne presto titolare e vi rimase quasi ininterrottamente per i nove anni successivi.

Nelle qualificazioni al campionato d'Europa 1972 prese parte al ritorno dei quarti di finale contro il Belgio, che vide gli Azzurri sconfitti per 2-1 ed eliminati. Giocò tutte e tre le partite disputate dall'Italia al campionato del mondo 1974 in Germania Ovest, terminato con l'eliminazione al primo turno dopo la sconfitta contro la Polonia. Con Zoff, Facchetti, Bellugi e Causio fu tra i pochi elementi di quel gruppo a essere confermati dal nuovo selezionatore Fulvio Bernardini per il successivo corso della nazionale.

 

 

Nella difficile fase del rinnovamento disputò tre dei sei incontri validi per le qualificazioni al campionato d'Europa 1976, al quale l'Italia non si qualificò dopo essere arrivata terza nel girone vinto dai Paesi Bassi.

Fu sotto la gestione di Enzo Bearzot che Benetti offrì il meglio di sé in maglia azzurra; realizzò il suo primo gol in nazionale l'8 giugno 1977 in una partita di qualificazione mondiale vinta 3-0 contro la Finlandia a Helsinki. In particolare, al campionato del mondo 1978 in Argentina fu una delle colonne dell'Italia che espresse grande gioco e si vide eliminata solo nel girone di semifinale, tra molte recriminazioni, dai Paesi Bassi. Nel mundial argentino realizzò anche un gol nella gara del primo girone vinta per 3-1 contro l'Ungheria a Mar del Plata.

Prese parte anche al campionato d'Europa 1980 ospitato dall'Italia e qui disputò la sua ultima gara in nazionale, il 18 giugno 1980 a Napoli, nella finale per il 3º posto contro la Cecoslovacchia, in cui realizzò anche uno dei rigori della serie finale che vide la sconfitta degli Azzurri.

Chiuse la carriera in azzurro collezionando 55 presenze e 2 gol, e vestendo la fascia di capitano in due occasioni.

Allenatore

Iniziò la carriera di allenatore nella stagione 1981-1982, subentrando a Saul Malatrasi alla guida della formazione Primavera della Roma e rimanendo in panchina per tre stagioni. Con i giallorossi vinse il torneo di Viareggio 1983 e il Campionato Primavera 1983-1984, grazie a un promettente gruppo che vantava elementi come Giuseppe Giannini, Stefano Desideri e Paolo Baldieri.

Dopo questi successi con i giovani romanisti, nella stagione 1984-1985 gli venne affidata la panchina della prima squadra della Cavese, appena retrocessa dalla Serie B alla C1, ma a stagione inoltrata gli subentrò Corrado Viciani. Dopo un anno d'inattività, la sua ultima esperienza come allenatore di squadre di club fu ancora in C1, alla guida della Carrarese, dove fu ingaggiato nel gennaio 1986 per sostituire Corrado Orrico; una volta portata la squadra alla salvezza, venne confermato per il successivo campionato 1986-1987 in cui tuttavia non riuscì a evitare la retrocessione dei toscani in Serie C2.

Fece quindi parte dello staff del centro tecnico federale di Coverciano, dove allenò la selezione italiana Under-15 in cui transitarono, tra gli altri, Alessandro Del Piero e Gianluigi Buffon. Studiò per entrare a Coverciano, e tra i suoi docenti vi fu Sandro Gamba, già coach della nazionale italiana di pallacanestro. Fu per vent'anni anche istruttore per aspiranti allenatori, e tra i suoi allievi vi sono stati Massimiliano Allegri e Antonio Conte.

Dopo il ritiro

Benetti è stato spesso ospite di emittenti private, nella veste di opinionista, in trasmissioni a tema calcistico.

 

Palmarès

Giocatore

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Benetti (a destra) e Roberto Boninsegna con il trofeo della Coppa UEFA 1976-1977 vinta con la Juventus

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Allenatore

 

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22 giugno 1979, il pomeriggio è caldo, la pista di Caselle assolata. Dall’aereo proveniente da Roma sbarca la Juventus, reduce da Napoli, dove ha conquistato la Coppa Italia. I bianconeri sono stanchi dopo l’ultimo successo, ma sorride loro la prospettiva delle imminenti vacanze. Sorrisi e pacche sulle spalle, non tutti però sono allegri: per qualcuno, infatti, è il momento dell’addio; Romeo Benetti, oramai alla conclusione della sua esperienza in bianconero. Anche a Napoli, in occasione della sua ultima prestazione con la maglia juventina, il carro armato del centrocampo, ha offerto una grande prestazione, riscuotendo consensi dai critici e complimenti dai compagni.
In questa partita, ovviamente, Benetti non aveva più nulla da dimostrare: nei tre anni passati con la maglia bianconera, con prestazioni generose e tecnicamente valide, aveva sconfitto anche la diffidenza dei tifosi e degli osservatori che, al momento del suo secondo arrivo a Torino, avevano accolto con molto scetticismo la notizia del suo ritorno in bianconero. In effetti, il primo dei due periodi trascorsi alla Juventus offrì a Benetti poche occasioni.
Chiamato a Torino da Heriberto Herrera, il quale nell’estate 1968 si trovava praticamente nella condizione di ricostruire il centrocampo, Romeo Benetti, un giovane veneto (è nato ad Albaredo d’Adige, in provincia di Verona) di stazza possente proveniente dal Palermo, dove aveva vissuto una stagione strepitosa, distinguendosi come uno dei migliori della serie B, si vide affidare un compito alquanto impegnativo. E il suo avvio di stagione rispose pienamente alle aspettative. Disputò buone partite precampionato, fu il protagonista assoluto di un incontro di Coppa Italia con la Sampdoria, che la Juventus si aggiudicò con il risultato di 5-1 con tre reti firmate da lui, ma trovò maggiori difficoltà del previsto a inserirsi nel nuovo ambiente.
Schivo e taciturno, non troppo generoso durante gli allenamenti, circondato dalla diffidenza dei senatori della squadra (Del Sol, Cinesinho, Menichelli, Castano, Salvadore), poco stimato da Heriberto, Benetti non riuscì a imporsi nonostante avesse disputato prestazioni di indiscutibile validità: «Non era una Juventus pronta per vincere. C’erano senatori senza ambizioni, giovani acerbi e dirigenti oramai scarichi, un cocktail che non poteva avere successo. Infatti, ci piazzammo quinti in campionato e uscimmo subito sia dalla Coppa delle Fiere che dalla Coppa Italia. E pensare che il calcio, a quell’epoca, mi interessa relativamente; era quasi una forzatura. Sono maestro tipografo e ritenevo questa la mia vera professione; alla Juventus, invece, ho capito che, rincorrere e prendere a pedate un pallone, poteva diventare un lavoro che potevo portare a compimento per il resto della mia vita. Comunque, il mio rapporto con Heriberto fu bellissimo; anche se era umorale, spesso nervoso, perché capiva di aver fatto il suo tempo alla Juventus».
Alla fine della stagione viene ceduto, destinazione Sampdoria: «Non potevo oppormi; Colantuoni, presidente blucerchiato, era stato bravo a vincere il confronto con i dirigenti bianconeri nella trattativa per la cessione di Roberto Vieri e di Morini. Mi trovai così bene in Liguria da decidere di fissare a Chiavari la mia dimora, anche dopo aver appeso e gettato le scarpe bullonate in soffitta. Nella Samp, a quattro giornate dalla fine, centrammo la salvezza. A quei tempi, a Genova, evitare la retrocessione equivaleva a vincere uno scudetto».
I tifosi non si disperarono più di tanto, sicuramente non immaginando che le strade della Juventus e di Benetti sarebbero tornate a incrociarsi. Avvenne sette anni più tardi, stagione 1976-77, dopo che Romeo, personaggio dalle incredibili contraddizioni, estremamente duro sul campo (nel 1971 rimediò addirittura una denuncia penale per aver rotto un ginocchio al bolognese Liguori e poi, come dimenticare che, nei momenti più difficili, dalla curva Filadelfia echeggiava il grido: Picchia Romeo?) e capace di inimmaginabili dolcezze nella vita privata, gran parte della quale trascorsa ad allevare canarini, disputò una stagione con la maglia blucerchiata e addirittura sei, con quella del Milan: «Ero scapolo e ricevetti in regalo una coppia di canarini, con i quali mi dilettai a partecipare a un concorso che, a sorpresa, vinsi. Ovviamente, da quel momento in poi, su tutti i giornali si costruì una leggenda: “Il Benetti dai tackle duri ha anche un cuore tenero”. In realtà, il mio era solamente un modo per occupare il tempo libero».
Capello stava oramai declinando, la Juventus cercava un elemento di peso per sostituirlo e Trapattoni, che l’aveva guidato nel Milan, individuò proprio in Benetti l’uomo giusto. Non la pensavano però alla stessa maniera i tifosi i quali, arrivarono molto vicini alla contestazione. Ma il Trap, lombardo tenace e convinto di quel che faceva, non si fece condizionare.
E i fatti gli diedero ragione. Durante gli anni trascorsi lontano da Torino, Benetti era maturato e, pur non avendo perso le caratteristiche principali del suo carattere aspro e introverso, si dimostrò capace di legare con i compagni ben più concretamente di quel che gli era riuscito alla sua prima esperienza juventina. E sul campo, vicino a giocatori del calibro di Cabrini, Causio, Furino, Bettega e Boninsegna trovò il suo riscatto riuscendo a far cambiare idea ai detrattori. Diventò il lucchetto del centrocampo bianconero, facendo spesso saltare quello avversario con sventole formidabili.
Di alcune partite divenne il protagonista principe come a San Siro, quando trascinò la squadra (in svantaggio per 2-0 nei confronti del Milan) a un insperato successo propiziato con una rete segnata di prepotenza; o come a Firenze, dove realizzò il goal dell’anno con una botta al volo da quaranta metri con la quale sfruttò nel modo migliore una respinta del portiere.
E alla fine, scudetto e Coppa Uefa furono i sigilli di una stagione trionfale: «Era una Juventus programmata per vincere. Una grande società e lo sarà sempre, ma contribuì alla maturazione di Tardelli, Gentile e Cabrini, facendo crescere anche più rapidamente una squadra tutta italiana che centrò, al primo colpo, l’accoppiata scudetto e Coppa Uefa».
Ma Benetti si esaltò ancor più l’anno successivo perché, oltre a contribuire alla conquista di un nuovo titolo, si impose a livello internazionale riscuotendo un grande successo ai Mondiali di Argentina, dove fu giudicato dagli osservatori tra i migliori della grande rassegna calcistica. Una soddisfazione certamente meritata perché, con il trascorrere degli anni, Benetti era riuscito a conservare la grinta di combattente indomito affinando contemporaneamente le sue qualità tecniche.
Il cross che fece a Bettega contro l’Inghilterra, (2-0) durante le qualificazioni mondiali, è un valido esempio di una tecnica di base affatto disprezzabile: colpo di tacco del Barone Causio, volata di Romeo sulla sinistra, cross con il sinistro (non il suo piede) senza bisogno di rallentare, ovvero di controllare il pallone, e testata vincente di Bobby-gol: «È vero, mi sono affinato, ma mi pare naturale che questo sia avvenuto. Più che completato, diciamo che nel mio bagaglio tecnico ora esiste qualcosa in più; uno, infatti, cresce, ma mantiene le caratteristiche di base, che sarebbero grande dote di fondo, il coraggio che si trasmette ai compagni e la coscienza nelle proprie possibilità».
Il divorzio dalla Juventus arrivò, consensuale, l’anno successivo: oramai trentaquattrenne, stanco delle mille battaglie di una carriera combattuta e trascorsa all’insegna della generosità, Romeo si congedò dai tifosi in modo ben diverso dalla prima volta; se questa fu accolta quasi con soddisfazione, la seconda venne salutata da generale rimpianto. Ed anche questa fu una rivincita di non poco conto.

ENRICO VINCENTI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 2010
Milan e Juventus sono state le due squadre che lo hanno visto protagonista nel calcio italiano degli anni settanta. Con queste maglie ha vinto trofei nazionali e internazionali, che gli hanno fatto guadagnare per diversi anni anche un posto in azzurro. Un centrocampista completo, duro nei contrasti, ma corretto, coraggioso e intelligente, dotato di un tiro dalla distanza di notevole precisione e potenza. Molti in passato lo avevano accusato di essere un picchiatore. Oggi sarebbe considerato un giocatore a tutto campo, con degli ottimi piedi e insuperabile nei contrasti. Insomma Romeo Benetti ha probabilmente anticipato i tempi, aggiungendo alla sua grinta agonistica una dedizione alla causa per cui era chiamato a lottare (ma è meglio dire giocare) come oggi è raro vedere, almeno in Italia: «Ero un giocatore attaccato alla maglia con cui giocava. Ero ligio al mio dovere come molti altri, ma forse ci mettevo quel qualcosa in più per cui, come molti sanno, mi hanno dedicato parecchi cori per il mio atteggiamento da gladiatore».
Si definirebbe un giocatore moderno per l’epoca? «Probabilmente all’epoca nessuno se ne rendeva conto, ma forse sì, potevo essere considerato un giocatore moderno allora, un antesignano di un certo tipo di calciatore. La cosa essenziale, che non mi stuferò mai di dire, è che non amavo essere battuto dagli avversari».
Con moderno intendo comunque un centrocampista a tutto campo, dotato di un gran tiro, ma soprattutto un buon mix di tecnica e potenza fisica. «Quella era una caratteristica che ho sempre avuto. Nessuno me lo ha insegnato. Cercavo sempre di dare il massimo e qualche volta riuscivo anche a segnare e a giocare in tutte le zone del campo».
Non molti sanno che la sua prima esperienza in bianconero è stata nella stagione 1968-69. «È vero, e quell’esperienza non dico che sia stata traumatica, ma poco ci manca. Era una società ancora lontana dall’essere quello che sarebbe diventata con Boniperti qualche anno dopo. Non era super da nessun punto di vista, soprattutto da quello organizzativo. Era lontana dai giocatori. Adesso forse si esagera con i giocatori che sono tutelati in tutto, ma all’epoca quella Juventus era un’entità effimera, di cui non percepivamo bene l’esistenza. Non dico che mancasse qualcosa, anzi, ma non c’era affatto feeling e unione fra squadra e società. Anche da un punto di vista tecnico, senza offesa per nessuno, era una Juventus messa in piedi senza grande convinzione».
Cosa ricorda quando, da milanista, affrontava la Juventus? «Come ho detto prima, ho sempre difeso i colori per cui giocavo. Devo ammettere che spesso da juventino ho battuto il Milan e viceversa: diciamo che ho sempre accontentato tutti! Evidentemente c’era qualcuno che faceva la differenza in quelle partite. (ride). A parte tutto, quello era davvero il derby d’Italia. Si affrontavano le due società con più tifosi e la supremazia era una nota di merito non di poco conto».
Nell’estate del 1976 Giampiero Boniperti l’acquista dal Milan in cambio di Fabio Capello. Operazione simile a quella che porta, sempre in quella stagione, Boninsegna dall’Inter alla Juventus. «Si è parlato molto di questo scambio ed è vero che per l’epoca fu importante e insolito. Ma non dobbiamo dimenticare che allora i giocatori erano proprietà della società e non potevano svincolarsi come oggi. Se il tuo presidente decideva di tenerti per dieci anni non potevi andar via ed era quindi più facile diventare la bandiera di una squadra. In quell’estate Juventus e Milan si misero d’accordo per lo scambio e senza problemi io andai a Torino e Fabio Capello a Milano. Ma quell’anno la Juventus non prese solo me e Boninsegna, ma anche un grandissimo allenatore: Giovanni Trapattoni».
Un’altra squadra rispetto a quella in cui militò a fine anni Sessanta. «Quella sì che era una Juventus straordinaria e molto ben organizzata. Rispetto a qualche anno prima si respirava un’aria totalmente diversa. L’aria di una squadra costruita per vincere, che già aveva cominciato a farlo da qualche anno. C’era una grande programmazione e ti sentivi parte integrante di un progetto che doveva filare liscio perché tutto era stato organizzato affinché fosse così. Complimenti quindi a Giampiero Boniperti che è stato un grandissimo presidente».
Anche dal punto di vista tecnico, era una squadra che divenne famosa perché rinunciò al regista classico per un centrocampo più atletico. «Non sono d’accordo, sarebbe più corretto affermare che di registi quella squadra ne aveva dieci. Eravamo addirittura un po’ sbilanciati in avanti per i giocatori che avevamo, ma era un undici forte ed equilibrato sotto tutti i punti di vista. Se la mettevi sul piano tecnico, per gli avversari erano dolori. E sul piano fisico ancora di più. C’erano individualità tecniche incredibili, ma la cosa più importante, e se si vuole innovativa, è che con dieci registi in campo, quando uno aveva la palla gli altri nove giocavano per lui. Insomma non fai cinquantuno punti su sessanta per caso e vinci una coppa Uefa. Era un gran gruppo sia dal punto di vista professionale che umano».
E affrontare il Milan cosa voleva dire? «A quel punto ero alla Juventus e facevo di tutto per battere il Milan. Semplice no? Ed è capitato anche di segnare un goal proprio nella prima gara da ex.  Con un tiro da fuori realizzai il 2-2 in una partita in cui perdevamo per 0-2 a San Siro e riuscimmo a vincere per 3-2. Fu una vittoria memorabile che ci fece capire tutta la nostra forza. Lo dimostrammo a noi stessi e agli altri, anche se il Torino non si arrese facilmente e ci diede filo da torcere fino all’ultima giornata».
Ma un po’ di emozione per il ritorno a San Siro? «Era ovvio che ci fosse, anche perché San Siro è veramente uno stadio imponente, ma svaniva con il fischio d’inizio».
Come ha vissuto con questa nomea di giocatore cattivo? «Alla fin fine ringrazio coloro che mi hanno fatto diventare importante e famoso con questa nomea. Perché impauriti, i miei avversari lasciavano la palla ed evitavano di andare nei contrasti ed io facevo bella figura. Come modo di giocare ero sicuramente il più inglese, o tedesco, degli italiani dell’epoca».
Il suo ultimo anno in A è coinciso con la riapertura delle frontiere. Inevitabile, era l’unico modo per tornare a vedere giocare inglesi e tedeschi!

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/10/romeo-benetti.html

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File:Coppa Campioni 1978-79 - Juventus vs Rangers - Romeo Benetti.jpg -  Wikipedia

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Di Benetti ricordo un goal spaccarete del 3-0 contro la Fiorentina a Firenze. Grande combattente!

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