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Julio Cesar

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158294740_juve1989.png.42800fa7d31171c343725403ab83d426.png   JULIO CESAR
 
Julio Cesar | Giocatori di calcio, Juventus, Calcio
 
julio+cesar.jpg
 
Cremonese - Juventus | 1992: Julio Cesar-Baggio, 0-2 at the Zini stadium! -  Juventus TV
 
 

 

 

Modificato da Socrates

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Joined: 04-Apr-2006
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Existe brasileiro bem-sucedido na Juventus: Júlio César - Calciopédia
 
Julio Cesar, il tedesco - Il Nobile Calcio
 
Jürgen on Twitter: "Napoli-Juventus 04.10.1992 Il bianconero Julio Cesar si  frattura tibia e perone in uno scontro con lo svedese Jonas Thern. E mentre  il brasiliano veniva portato in barella negli spogliatoi,
Modificato da Socrates

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grande libero,elegante ed evoluto tatticamente,avrebbe meritato di giocare nella juve di lippi

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Joined: 07-Feb-2006
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lo ricordo con molto affetto,gran senso della posizione che comprensava una certa lentezza .

poi aveva una pigna da fuori area mica da ridere.....

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Joined: 07-Oct-2007
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l'imperatore questo era ilsopranome di julio cesar da silva eletto miglior difensore ai mondiali di messico '86,mondiali che si chiusero per lui ai quarti ai calci di rigore contro la francia di platini,decisivo proprio l'errore di julio cesar dagli 11 metri.

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Joined: 07-Oct-2007
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giocatore straordinario era in grado di recuperi prodigiosi pur non essendo veloce,grande tecnica usciva sempre a testa alta,dotato di un gran tiro dalla distanza,aveva un gran senso della posizione avendo iniziato la carriera da centrocampista

nella juve del trap form

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Joined: 04-Apr-2006
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158294740_juve1989.png.42800fa7d31171c343725403ab83d426.png   JULIO CESAR

 

Existe brasileiro bem-sucedido na Juventus: Júlio César - Calciopédia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Júlio_César_da_Silva

 

 

Nazione: Brasile Brasile
Luogo di nascita: Bauru
Data di nascita: 08.03.1963

Ruolo: Difensore
Altezza: 185 cm
Peso: 78 kg

Nazionale Brasiliano
Soprannome: L'Imperatore

 

 

Alla Juventus dal 1990 al 1994

Esordio: 01.09.1990 - Supercoppa italiana - Napoli-Juventus 5-1

Ultima partita: 01.05.1994 - Serie A - Juventus-Udinese 1-0

 

125 presenze - 6 reti

 

1 coppa Uefa

 

 

Júlio César da Silva, meglio noto solo come Júlio César (Bauru, 8 marzo 1963), è un procuratore sportivo ed ex calciatore brasiliano, di ruolo difensore.

 

 

Júlio César
Júlio César da Silva - Juventus FC 1990-91.jpg
Júlio César alla Juventus nel 1990-1991
     
Nazionalità Brasile Brasile
Altezza 185 cm
Peso 78 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Difensore
Termine carriera 2001
Carriera
Giovanili
197?   Noroeste
1979   Guarani
Squadre di club
1979-1986   Guarani 63+ (3+)
1986-1987   Brest 32 (1)
1987-1990   Montpellier 93 (10)
1990-1994   Juventus 125 (6)
1994-1998   Borussia Dortmund 75 (7)
1998    Botafogo 16 (0)
1998-1999   Borussia Dortmund 5 (0)
1999    Panathīnaïkos 3 (0)
1999-2000   Werder Brema 12 (0)
2001   Rio Branco-SP ? (?)
Nazionale
1981 Brasile Brasile U-20 4 (0)
1984-1993 Brasile Brasile 13 (0)

 

Biografia

Prima di fare il calciatore lavorò, da ragazzo, come manovale, lustrascarpe e rivenditore di orologi, nonché come lavamacchine.

Caratteristiche tecniche

Giocava come difensore centrale o come libero. Secondo Giovane Élber, Júlio César aveva un buon senso della posizione ed era abile nei contrasti. Stopper forte di testa e bravo coi piedi, era dotato di una grande potenza fisica, che derivava dalle sue robuste fasce muscolari, consolidatesi dopo anni di lavori di fatica svolti nell'adolescenza.

Carriera

Club

Iniziò a giocare a calcio nel Noroeste, squadra della sua cittadina natale, per poi passare al Guarani di Campinas, sempre all'interno dello Stato di San Paolo. Entrò nella prima squadra del club nel 1979, ma non debuttò in massima serie nazionale fino al 1982: in tale anno disputò 17 partite, segnando 2 gol: si mise in luce quale uno dei migliori elementi della linea difensiva del Guarani, giocando insieme a Gilson Jáder, Fernando Narigudo e Wilson Gottardo. Partecipò alla prima divisione brasiliana anche nel 1983 e nel 1985.

 

220px-Coppa_Coppe_1990-91_-_Juventus_vs_
 
Júlio César in azione in bianconero nel 1991, in marcatura sul blaugrana Michael Laudrup della semifinale di ritorno della Coppa delle Coppe.

 

Dopo il Mondiale in Messico fu acquistato da una squadra francese, il Brest, militante in Division 1, la massima serie francese. Alla sua prima stagione in Francia e in Europa, Júlio César giocò 32 partite su 38, segnando anche un gol. Per la Division 1 1987-1988 passò al Montpellier; con la formazione neopromossa giunse al terzo posto. Al Montpellier rimase per tre stagioni, e vinse una Coppa di Francia nel 1990. Nell'estate del 1990 fu acquistato dalla Juventus per 850 milioni di lire, e con la compagine bianconera torinese giocò per quattro anni, vincendo la Coppa UEFA 1992-1993. Lasciò la Juventus nel 1994, e si trasferì in Germania, al Borussia Dortmund.

Dopo 4 campionati in Germania, 2 dei quali vinti, Júlio César tornò in Brasile per una breve esperienza al Botafogo di Rio de Janeiro: giocò 16 gare nel Campeonato Brasileiro Série A 1998. Tornato al Borussia, scese in campo per cinque volte nel torneo tedesco, prima di passare al Panathinaikos, con cui giocò 3 incontri in massima serie greca. Nel 1999 tornò nuovamente in Germania, questa volta firmando un contratto con il Werder Brema. Nel 2001 si ritirò dopo aver giocato per il Rio Branco.

Nazionale

Nel 1981 partecipò al campionato del mondo Under-20 1981, giocandovi 4 partite.

Júlio César debuttò in Nazionale maggiore il 19 gennaio 1984 contro il Paraguay; fu quella la sua unica presenza nell'anno 1984. Tornò in Nazionale nel 1986, giocando il 6 aprile contro la Germania Ovest: fu poi convocato per il campionato del mondo 1986. Nel massimo torneo mondiale fu titolare al centro della difesa brasiliana, a fianco di Edinho: giocò 5 incontri, contro Spagna, Algeria, Irlanda del Nord, Polonia e Francia; in quell'edizione il Brasile si fermò ai quarti di finale, perdendo ai rigori contro la Francia, e fu Júlio César, in quella gara uno dei migliori in campo, a sbagliare l'ultimo tiro per i verdeoro cogliendo il palo. Il difensore brasiliano fu anche selezionato quale migliore del Mondiale nel suo ruolo.

Nel 1987 prese poi parte alla Coppa America 1987, scendendo in campo contro Ecuador, Paraguay e Cile. Nel 1989 giocò contro i Paesi Bassi (20 dicembre), mentre nel 1991 fu impiegato contro la Bulgaria (28 maggio). Nel 1993 disputò le sue ultime due gare in Nazionale, il 6 giugno contro gli Stati Uniti e il 10 giugno contro la Germania.

Palmarès

Club

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

 

 

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158294740_juve1989.png.42800fa7d31171c343725403ab83d426.png   JULIO CESAR

 

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Classe 1963, da Bauru, Júlio César rinverdisce, tre lustri dopo l’addio di Altafini, la tradizione dei brasiliani importanti della Juventus. Esploso con la maglia verdeoro ai Mondiali messicani del 1986, Júlio César strappa un buon contratto in Europa ai francesi del Montpellier e non si capisce come italiani, tedeschi e spagnoli se lo facciano scappare. In Francia, il ragazzo inizialmente patisce il clima e solo dopo un paio di stagioni torna ai livelli del 1986.
Quanto basta per richiamare l’attenzione della Juventus appena affidata all’estroso Maifredi, che ha fatto man bassa di campioni all’attacco (Baggio, Hässler, Di Canio) ma che dietro appare piuttosto fragile. In extremis, dunque, arriva il difensore brasiliano: passo felpato, buona visione di gioco, lancio lungo all’occorrenza e un tiro portentoso.
È decisivo in Coppa delle Coppe quando, nella partita di ritorno della semifinale, incontra il Barcellona in un Delle Alpi stracolmo: annulla da solo le folate dei catalani e propizia l’episodio decisivo, la punizione di Roberto Baggio per il goal dell’1–0 che, peraltro, non basta a proiettare la Juventus verso la finalissima. Tornato al timone bianconero Giovanni Trapattoni, Júlio César è confermato e inizia una nuova vita: in una squadra più bloccata, con uno stopper vero (Carrera), diventa un libero molto elegante e la Juventus riprende immediatamente quota, arrivando seconda alle spalle del Milan e sfiorando la vittoria in Coppa Italia.
«A Torino mi sono ambientato subito – confessa – la città la sento oramai mia; bella e storica, praticamente unica. La Juventus? Nessuno ha il fascino di questo club. Per non parlare, poi, dei nostri tifosi; in qualsiasi città o stadio d’Europa, anche il più piccolo e impensabile, non siamo mai soli. Ho modificato il mio modo di giocare, adattandomi al campionato italiano. Prima cercavo di uscire dall’area di rigore con il pallone tra i piedi e di impostare una nuova azione, anche quando mi trovavo in una posizione difficile; adesso gioco sempre di prima, ma quando vengo assalito dagli avversari e la mia area di rigore è piena di giocatori, non ci penso due volte e lancio via il pallone».
È il preludio alla miglior stagione del brasiliano, il 1992–93, l’anno della conquista della Coppa Uefa. Júlio César forma, con Kohler Eisenfuss (piede d’acciaio), la miglior coppia difensiva del nostro campionato, nonostante la frattura di una gamba, che lo tiene fermo per ben quattro mesi. Era l’inizio di ottobre, a Napoli, il giorno del primo successo esterno bianconero del campionato: «Rompersi una gamba è scioccante, ma lo è ancora di più rimanere fuori dal giro, camminare con le stampelle, vedere gli altri che giocano e non poter fare nulla per contribuire. Nella disgrazia, mi ha aiutato molto stare in famiglia a Campinas. Lì, con i miei amici, ho accelerato i tempi di recupero; ho svolto decine di sedute fisioterapiche, mi sono dannato l’anima per recuperare. Posso garantire che il primo allenamento a Torino, con i compagni e Trapattoni, è stato emozionante».
A trentun anni, nel 1994, è ceduto al Borussia Dortmund, dove raccoglierà altra gloria. In bianconero, comunque, si fa ricordare assai bene, con 125 partite e sei reti, di cui due nelle coppe europee.

VLADIMIRO CAMINITI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MARZO 1991
Non ho mai avuto dubbi nell’indicare in Júlio César un autentico asso. Perché scarpinando si impara e Mexico City non poteva mentire. Sull’altura avevo visto all’opera quel fortissimo, altero “centre half”, quel formidabile autentico artista della difesa, che sa tramutare in offesa, con un piede calibrato e potente, all’altezza di un piazzamento sempre magico. Non sto ingannando il lettore. Sto piuttosto narrando uno dei più grandi difensori naturali del calcio mondiale. Se il lettore consente, Júlio César attinge al piazzamento ed esprime nel campo una lievitante forza fisica. Che ha qualcosa di belluino, di magnetico, ma sempre su piani di euclidea espressività.
Il suo apparire nella Juventus è stato accompagnato da critiche che definire cattive è davvero poco. C’era una punta, e comunque un’ombra di razzismo, in quei giudizi estivi, ed anche successivi alle prime partite in coppa e campionato. Era vero, invece, che Júlio César stava ancora guardandosi in giro, si ambientava nella nuova maglia, cominciava appena a conoscere i nuovi compagni, era tutto nuovo per lui dopo gli anni, diciamolo pure, romanzeschi e pionieristici di Francia. Parma–Juventus gli do sette. Cesena–Juventus, io lo trovo fortissimo. È troppo lento per giocare in Italia, è il refrain dei media. Una colossale balla.
Júlio César, classe 1963, di Baurù, ex asso del Guarani, già del Brest e del Montpellier, può iscriversi ai ruoli dei grandissimi difensori brasiliani di ogni tempo, uno come i magici Nílton e Djalma Santos, uno con tutte le stimmate della classe. Non vedete l’eleganza sontuosa della sua corsa, la sicurezza luciferina del suo anticipo, la cattiveria leale del suo tackle? V’è forse in Italia, a parte Franz Baresi, un difensore con il suo stacco, con la sua belluinità e la sua eleganza? Eppure il trapianto di Júlio César nella Juventus non è stato facile visto che, molto superficialmente, certi commentatori (ad esempio Sivori, e lo scrivo con malinconia) sostenevano che mai il Brasile ha avuto grossi difensori. Si tratta di un’affermazione un po’ settaria, se ci è consentito scriverlo, a proposito di un giocatore che abbiamo molto amato, ma non il commentatore televisivo. Non è vero, poi, che il Brasile mai abbia avuto grandi difensori. La storia bisogna conoscerla, e Sivori non la conosce. Io me la coccolo, la storia, me la bevo nelle mie letture lunghe e interminabili. Io penso che la storia sia tutto per uno scrivano di calcio.
E so che Júlio César ha avuto un antenato in Domingos da Guia, il quale senza essere insuperabile come difensore puro, era insuperabile come artista, fu il più pagato dell’America ai suoi tempi, era alto e agilissimo, era un pennello come tocco di palla, era un virtuoso. Ecco, per me Júlio César è ancora meglio. Domingos giocava nei giorni del nostro Mondiale in Francia, rimane agli archivi come proverebbe la grande partita che nel 1938 Domingos giocò contro la Cecoslovacchia. Il Brasile vinse 2–1, e stiamo parlando della Cecoslovacchia dei Plánička. Non si improvvisa nulla.
Júlio César è arrivato nella Juventus nel momento giusto. Egli ha maturato in Francia esperienze composite che non gli hanno poi dato nulla. Gli hanno invece tolto. Lo hanno fuorviato sul piano tattico e dell’impegno professionale e quel certo dilettantismo, o goliardismo tattico, che oggi cerca di curare Platini commissario unico, lo aveva un tantino sminuito, e tutto considerato emarginato dal novero dei grandi giocatori mondiali, quale sacrosantemente è.
C’è tanta spocchia in giro, ed anche i tanti procuratori mica sanno vedere e capire. Doveva intervenire la Juventus. Vedete? La Juventus non si smentisce. E oggi con Luca Cordero di Montezemolo e Bendoni procede per la stessa strada seguita da Boniperti. Serietà, professionalità, capacità di scelta fuori dagli schemi seguiti da chi non ha idee nuove. La Juventus nuova è anche splendidamente Júlio César, l’erede, con qualcosa di più, di Domingos da Guia.

ERNESTO CONSOLO, DA SOCCERNEWS24.IT DEL 26 MAGGIO 2017
Diceva Giovanni Arpino che il dialogo alla Juve l’ha insegnato a tutti Giampiero Boniperti, coi suoi silenzi e gli sguardi. Bisogna star zitti e tener duro per partire da un lavoro come lustrascarpe di Bauru e arrivare alla Seleçao. E poi alla Juventus. Soprattutto se la tua famiglia è ferita. Da un padre che ti ha dato il nome di un imperatore romano, ma poi svanisce. Se tua madre fa la donna di servizio e tira su anche l’altro figlio. Che si chiama Cassius Clay. Già, perché prima di affogare in una bottiglia, il padre stravedeva per la boxe e la storia romana. E dunque Júlio César da Silva. Prima della rapida esperienza come aiutante muratore, è intento a togliere la segatura dai mobilifici, a racimolare l’essenziale come custode di automobili (annesso lavaggio) e portaborse al mercato. Anche se sogna Zico e Ademir da Guia, Júlio César è soltanto il raccattapalle del Noroeste, la squadra di Bauru. Da queste parti è cresciuto calcisticamente un certo Pelé. Ma, quando si presenta l’occasione, Júlio César sbatte contro l’ostacolo più grande: Dona Leny, sua madre. Per tre volte gli fa saltare infatti il provino coi campioni del Brasile del Guarani di Campinas, finché Júlio César scappa di casa: prontamente arruolato. A tredici anni giocava con quelli di venti, figuriamoci a quindici. «Nel calcio, come nella vita, bisogna adeguarsi a ogni situazione». A testa alta, fa il mediano. Arriva il primo contratto professionistico e il dirottamento in mezzo alla difesa. Incrocia i guantoni con un attaccante abbastanza promettente: si chiama Antonio Careca, che diventa subito suo amico. Passano pochi mesi e Dona Leny si trasferisce a Campinas, perché, a sedici anni, Júlio César è in prima squadra. E coi biancoverdi del Guarani ci prova anche il fratello Cassius. Ma Dona Leny preferisce continuare a lavorare. Rimarrà, tra l’altro, presto vedova.
Il tecnico del Guarani si chiama Zè Duarte e dispensa professionalità. Sarà come un nuovo padre per Júlio César. Che diventa il Tedesco. Dieci anni al Guarani e arriva la Nazionale. Ma davanti trova un monumento come Oscar. L’esordio nella Seleçao del richiamato Telê Santana, l’8 aprile 1986 a Goiania, è una partita che non vedremo più: Brasile–Germania Est 3–0. Poi alla vigilia di Messico 1986, Oscar viene messo da parte. E Júlio César viene universalmente eletto il miglior difensore centrale della competizione. Un esordiente veterano con la forza fisica e quella dei nervi distesi. E si becca un altro soprannome, sinistro e puntuale come un temporale messicano: La Muraglia Nera. Al Jalisco di Guadalajara il quarto di finale è Brasile–Francia, ma per Platini e soci è come se fosse in trasferta: sulle tribune una grande onda gialla. Una bandiera verdeoro costa il doppio di una francese e una maglia di Zico costa il triplo della maglia di Platini.  «È meglio di una porta blindata», prova a smontare Júlio César il tecnico francese. A disturbare il tedesco anche Marzia, una splendida ragazza messicana che, pur di avvicinarlo, s’intrufola dappertutto, anche nelle conferenze stampa. Nessun riscontro. È una partita stupenda. Macchiata solo dal protocollo dei calci di rigore. La Seleçao esce di scena e il Tedesco sbaglia un penalty (in ottima compagnia). Il portiere francese Bats, che ha già parato un rigore a Zico, dice a Socrates «Scommettiamo che me lo tiri a destra?». E proprio lì lo prende. Júlio César è stato il migliore in campo del Brasile e giocando tutti i supplementari con un infortunio. Si carica sulle spalle non solo la sconfitta, ma il peso della Nazione: «Sono andato sulla palla tranquillo e quando l’ho vista finire sul palo, volevo sprofondare. Mi vergogno di questo errore e non mi sento più degno di indossare la maglia della Nazionale, perché l’ho fatta troppo grossa. Credetemi non ho il coraggio di tornare a casa. Mai in vita mia ho provato una delusione così forte». La Francia concede l’onore delle armi. Platini promette che, quando tornerà nella sua scuola calcio di Perpignano, dirà ai suoi allievi di ricordare il goal di Careca.
Le grinfie del calcio europeo arrivano e Júlio César va al Brest, dove fa coppia centrale col Campione del Mondo Brown. In Francia avevano fallito Jairzinho e Paulo Cesar e il tedesco riesce a riscattarli. E vince una Coppa di Francia al Montpellier. Anche se si adatta in fretta al gioco a uomo, la Nazionale abbottonata di Lazaroni non lo vede più. C’è una florida generazione di difensori centrali: Mauro Galvão, Mozer e Ricardo Rocha, i tre presunti titolari. Poi Aldair, Ricardo Gomes e André Cruz. Che rifila una gran punizione a Zenga in amichevole, ma non giocherà nemmeno lui. Per qualcuno, Ricardo Gomes al posto di Júlio César è una bestemmia.  «La convocazione dei ventidue ha tenuto conto prima degli aspetti politici che di quelli tecnici. Non ho pagato solo io, ma anche gente come Neto e João Paulo». In compenso a Italia 1990 Lazaroni porta Renato Portaluppi. Forse Júlio César paga la scarsa intesa con Geraldão nel sonoro 0–4 in Coppa America contro il Cile. Lazaroni gli concede un’altra chance contro l’Olanda in amichevole, ma la porta è chiusa. E Pelé s’infuria. Il paese resta freddo per una squadra che non capisce. Non capisce perché cinque difensori, perché Dunga giochi sdraiato. Che è un modo brasiliano per disprezzare il tackle. Si esce agli ottavi contro l’Argentina. Mentre Careca scarica addosso al tecnico tutte le colpe e se ne va in vacanza nella sua fattoria di Campinas, la stampa brasiliana di Lazaroni dice: «Deu burro (è uscito l’asino)».
Dopo un mese di report positivi dalla Francia e in assoluto silenzio, il 13 maggio 1990 Júlio César è intanto atterrato all’aeroporto di Torino–Caselle: è il nuovo difensore centrale della Juventus di Maifredi. La stampa locale, solitamente attenta, non se ne accorge nemmeno. E al Tedesco va bene così.  «Sinceramente non è che mi dispiaccia leggere un articolo su di me o pubblicata una mia foto. Soltanto vorrei non accadesse tutti i giorni». Viene accontentato e qualcuno, come Vladimiro Caminiti, avvisterà sintomi di razzismo. Che merita ancor meno spazio. «Forse qui molti pensano che tutti i brasiliani vivano ballando samba e bevendo Caipirinha. Mica è vero. Come non è vero che tutti gli italiani suonano il mandolino o mangiano la pizza. Del Carnevale di Rio so quanto voi, l’ho visto in televisione». La Nazionale di Bearzot, dopo la “tragedia” del Sarriá, la conosce invece quasi a memoria. Porta a Torino la fidanzata e Dona Leny. Gioca ogni tanto a biliardo, che è l’unico filo che lo tiene legato al padre. Anche se Boniperti non c’è, si prova a perpetuarne i successi. E i silenzi. Júlio César parla poco ed è titolare inamovibile. Non lo smuove nemmeno Galia che, anzi, ci rimette una caviglia in allenamento. Finché Gianni Agnelli benedice l’ossimoro: «Sembra un tedesco, non un brasiliano. Eppure l’abbiamo comprato per un pezzo di pane». Appena 250 milioni di lire. Un giocatore con la muscolatura tipica dei giocatori di colore dà molto lavoro ai massaggiatori. Ma non teme gl’infortuni. Semplicemente perché nelle mutandine tiene un “patuà”, un amuleto fatto di osso di gatto.
Dai tempi di Josè Altafini, quasi vent’anni, non arriva un sudamericano alla Juve. Guai a provare a risalire all’ultimo difensore. La Juve maifrediana ne prende cinque dal Napoli in Supercoppa, ma viene presto assorbito come calcio d’agosto. A Taranto lo snodo dell’ottimo avvio di stagione, dove la Juve perde inopinatamente: Maifredi sacramenta e promette: «Qualcuno a novembre va via. In ritiro da domani». Il Taranto ha vinto proprio grazie a un clamoroso buco di Júlio César, ma la partita conta poco. Non partirà nessuno e a un certo punto la Juve è in testa alla classifica, imbattuta. Perde solo a Bari, dove Júlio César è assente. Poi si fa cacciare per proteste nel derby, ma anche il Torino è in dieci. Assente anche col Cagliari che, incredibilmente, rimonta due goal al Delle Alpi. E a San Siro dove il Milan di Sacchi imperversa. Rientra contro il Napoli in casa e spacca in due la partita. Quando attraversa il campo lanciatissimo, costringe il portiere Galli al cartellino rosso. La Juve vince e Júlio César chiude in attacco. Ma col Genoa presta il fianco a Skuhravý e Maifredi non ci gira intorno: «Abbiamo preso un goal che non puoi vedere in Serie A». Júlio César apprezza la (nuova) juventinità ed è strutturato per reggere l’urto. È lui che prova a convincere Baggio a tirare il rigore di Firenze. Le goleade contro Roma, Inter e Parma sono i fuochi fatui di una Juve che, dopo svariati lustri, scende dall’ottovolante fuori dall’Europa. È il momento del Trap, che esalta la visione di gioco e il tempismo nelle chiusure della Muraglia Nera. Si afferma adesso come libero naturale, disimpegni in guanti gialli e prepotenti avanzate. Ma stare accanto a Kohler e Reuter per un tedesco (nero) deve aver avuto un effetto balsamico. Coi tre (e non solo) il Trap cementa la “sua” Juve. Che è l’unica a tenere il passo del Milan di Capello. Júlio César segna contro la Cremonese con una sassata su punizione. Identica a quella che aveva sedato il Parma. Quella di Cremona è la partita numero 1.000 della Vecchia Signora in Campionato. Intanto è tornato anche Boniperti. Proprio nella peggiore partita di Júlio César, la scia del Milan svanisce. Tre svarioni nel derby contro il Torino, come se, ogni tanto, si avvalesse della facoltà di non difendere. In quel 5 aprile 1992, giornata elettorale decisiva, il Milan dà spettacolo contro la Samp per l’allungo che significa scudetto. Agnelli disegna così la curva dell’attenzione: «Ogni tanto Júlio César si sente come sulla spiaggia di Copacabana». Ma nella finale in cui sfuma la Coppa Italia, Júlio César è fuori per squalifica. La muraglia tiene anche se Trapattoni prova quella zona che Maifredi aveva abiurato. Nessun patuà può invece resistere a un contrasto con Thern: salta cinque mesi di una squadra anonima. Non va più allo stadio nemmeno Agnelli. Per alleviare la sofferenza, Júlio César se ne torna a Campinas. Rientra e, durante un’altra pennichella, regala il goal all’Inter. Si riscatta subito segnando il goal vittoria ad Ancona. Che è una piccola svolta. La Juve travolge Torino, Milan, Lazio e Fiorentina. Sprinta e vince la Coppa Uefa. Intanto c’è un nuovo tedesco, Andy Möller.
Quando Júlio César va via, stavolta va proprio in Germania. Anzi nella grigia Ruhr. In quel Dortmund, per qualcuno, manierato, quasi un cimitero di elefanti che corrispondono agli scarti della Serie A italiana. Ma che vince due campionati su quattro, diventa Campione d’Europa e del Mondo. È il finale col botto dei trentaquattro anni. Il passaggio al Botafogo non lascia tracce. C’è un proverbio brasiliano che dice che “si torna a casa per raccontare la storia, non per continuarla”. Qualcuno ricorda un suo tiro che, timbrando la traversa, rimbalza quasi a centrocampo. Molti invece hanno proprio dimenticato Júlio César. E a lui va bene così.

 

http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/03/julio-cesar.html

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