Vai al contenuto
Accedi per seguire   
bidescu

Sandro Salvadore

Recommended Posts

Joined: 31-May-2005
141 messaggi

juventus.pngSANDRO SALVADORE



salvadore.jpg


http://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Salvadore



Sandro Salvadore, detto Old Billy fece parte del poker dei magnifici classe 1939 della Juventus, quattro giocatori che rimarranno sempre nella storia bianconera, per come si sono battuti, per quanto hanno vinto: Castano, Leoncini, Haller ed appunto Old Billy.

Questo soprannome proviene dalla grande ammirazione per Billy Wright, mitico centromediano dellInghilterra che sconfisse 4 a 0 lItalia di Valentino Mazzola allo Stadio Comunale di Torino, il 16 maggio 1948.

Billy Wright fu adottato come nome di battaglia da Salvadore.
«Potenza del nome, suonava bene, e poi apparteneva ad un gran regista difensivo, un pilastro dellInghilterra dei maestri».
Nato a Niguarda, scoprì il pallone alloratorio della sua parrocchia, come tutti i bambini dellepoca. Poi fu scoperto dai tecnici delle giovanili del Milan ed in maglia rossonera bruciò tutte le tappe: vinse due Viareggio ed a diciotto anni debuttò in serie A, laureandosi campione dItalia nel 1959; nel 1960 disputò le Olimpiadi a Roma con la Nazionale e, due anni dopo, centrò il suo secondo scudetto, sempre con i rossoneri.

La coppia centrale di quel Milan era formata da Salvadore e da Maldini ed i due si somigliavano parecchio, come stile e modo di giocare; allenatore del Milan era il mitico Gipo Viani, che privilegiò lesperto Cesare Maldini come libero. Salvadore si ritrovò a fare il marcatore e con le sue qualità fisiche e con i suoi fondamentali, si sentiva sprecato in quel ruolo ed ebbe dunque un concorrente agguerrito in Maldini.

Questo dualismo fu risolto cedendo Salvadore, insieme ad un altro terzino, Noletti, in prestito) alla Juventus in cambio di Bruno Mora, unala molto talentuosa. Viani, inventore di uno dei primi sistemi difensivi fondato sul libero, era un personaggio di spicco nel panorama del calcio italiano; per giustificare la cessione di Salvadore disse: «Avevamo due paia di pantaloni, Salvadore e Maldini, ne abbiamo dato via uno in cambio di una giacca, Mora. Adesso disponiamo di un vestito completo».

Letto larticolo, Salvadore gli rispose: «Il ragionamento funzionerebbe, se non fosse che si è tenuto i pantaloni vecchi. Poteva tenersi quelli nuovi da abbinare alla giacca nuova, così avrebbe avuto un vestito veramente bello».

Salvadore era uno dei pochissimi difensori, se non lunico, che teneva i calzettoni arrotolati sulle caviglie, come Omar Sivori. Allepoca non era obbligatorio portare i parastinchi, a lui davano fastidio e li metteva solo in casi eccezionali. Mostrava gli stinchi nudi agli avversari, senza timore. A volte sembrava brusco, quasi burbero, ma capace di ridere e scherzare su tutto, se cera da dire qualcosa in faccia a qualcuno, Salvadore non si tirava indietro. Non erano anni facili alla Juventus, anche se cerano grandi giocatori, come il fenomenale Omar Sivori, ancora capace di fare la differenza, ed un cursore infaticabile come Del Sol. Lallenatore era Paulo Lima Amaral, già preparatore atletico del Brasile che nel 1958 e 1962 aveva vinto due mondiali, giocava a zona ed applicava il rischiosissimo 4-2-4, che si trasformava in 4-3-3 in fase difensiva. La coppia centrale della difesa era composta da Castano e Salvadore, che giocavano in linea. Amaral non durò a lungo e, nelle prime giornate del torneo successivo, fu esonerato e sostituito da Eraldo Monzeglio, ex campione del mondo 1938. Dopo Monzeglio arrivò Heriberto Herrera, con il quale Salvadore ebbe un rapporto difficile. Il ginnasiarca volle utilizzarlo sulluomo, con Castano battitore, ma Salvadore si ribellò e linflessibile Herrera lo mise fuori squadra. Riserva nella Juventus e titolare, come libero, nella Nazionale di Edmondo Fabbri, che lo riteneva un elemento importantissimo. Una situazione veramente comica.
Sandro assicurava che, se avesse potuto tornare indietro, non contesterebbe più Heriberto, linventore del movimiento, accettando il ruolo.

«È un po anacronistico dirlo in tempi in cui tutti contestano e, come vanno in panchina, fanno intervenire il procuratore e, magari anche lavvocato. Comunque, il tempo mi diede ragione».

A fine maggio 1967, Salvadore vinse il suo terzo scudetto, il primo con la Juventus. Fu quello del clamoroso sorpasso sullInter, allultima giornata. Il ciclo di HH2 toccò il culmine con la semifinale di Coppa dei Campioni persa con il Benfica di Eusebio, la perla del Mozambico. Sullo slancio, Salvadore ottenne la soddisfazione più bella della carriera, vincendo il campionato dEuropa per Nazioni, a Roma nel 1968. Escluso dalla prima finale con la Jugoslavia, finita 1 a 1 dopo i tempi supplementari, fu ripescato da Valcareggi per la ripetizione.

«Il C.T. capì di aver sbagliato qualcosa e corresse la formazione, azzeccando le mosse giuste, dal sottoscritto in difesa, al tandem Riva-Anastasi in attacco. I goals di Gigi e Pietruzzu ci diedero il trionfo. Una notte magica, indimenticabile, con lo Stadio Olimpico e lItalia in delirio».

Nel 1969-70, a causa del declino di Castano, Old Billy divenne capitano e tornò, stabilmente, a giocare da libero. Ebbe piena fiducia da Carniglia e poi da Rabitti, che subentrò al tecnico argentino, dopo un avvio di campionato quasi disastroso. Salvadore ripagò la fiducia con gli interessi, pilotando la Juventus ad una serie di 16 risultati utili consecutivi che misero paura al Cagliari di Gigi Riva lanciato alla conquista del primo storico ed unico scudetto. Un dubbio rigore concesso da Lo Bello, il principe del fischietto, per un fallo su Riva, trattenuto per la maglia proprio da Salvadore in mischia sotto porta, dopo un corner per i sardi, fissò il risultato sul 2 a 2 e permise al Cagliari di tenere la Juventus a meno due punti. Da quella partita il Cagliari del suo condottiero Rombo di Tuono prese la spinta decisiva per volare verso il tricolore.
Quella fu anche la stagione che costò a Salvadore il posto in azzurro, proprio alla vigilia del Mondiale messicano. Aveva già disputato due mondiali ed erano stati fallimentari; è il suo più grosso rimpianto.

«In Cile, nel 1962, avevamo uno squadrone fortissimo, in grado di strappare il titolo al Brasile. Sivori, Altafini, Rivera, Maldini, Mora, Trapattoni, Maschio, Pascutti, Robotti ed altri nomi importanti. Eppure, fummo eliminati nel primo turno. A parte larbitraggio scandaloso dellinglese Aston fu una cattiva gestione la causa delleliminazione. Come in Inghilterra, quattro anni dopo. Albertosi, Facchetti, Bulgarelli, Rivera, Mazzola, Rosato, Meroni, in una rosa ricca di campioni. Eppure, fummo incredibilmente battuti dalla Corea del Nord, a Middlesbrough, con un goal di un certo Pak Doo Ik. Valcareggi, visionandoli li aveva definiti dei Ridolini. Loro risero e noi piangemmo amare lacrime. Ero in tribuna, quel giorno, ma anchio divenni un coreano. Peccato».

Due sfortunatissime autoreti al Santiago Bernabeu di Madrid nellamichevole con la Spagna, la sera del 21 febbraio 1970, vanificarono i goals di Anastasi e Riva ed indussero il C.T. Valcareggi, che come Napoleone voleva i suoi generali fortunati, a non convocarlo per il Mondiale messicano.

«Il giorno più brutto della mia carriera; In realtà, feci solo un autogoal, sullaltro non toccai il pallone, ma me lo attribuirono lo stesso». Fu la 36sima ed ultima presenza dello juventino in Nazionale.

La Juventus divenne la sua Nazionale. Non saltò mai una partita.

«Avessero dovuto pagarmi a gettone, sarei costato un patrimonio alla società».

Non gli è mai piaciuto perdere: come quella volta che andò a segnare il gol del pareggio, al ritorno di Juventus-Milan, decisiva per la testa del campionato, poi vinto.

«Aveva segnato Bigon per loro, ma noi non potevamo perdere; continuavo ad andare in attacco, anche per far capire agli altri che non bisognava mollare la presa, finché non è arrivata la palla giusta. No, non si poteva perdere e non abbiamo perso».
Con la maglia bianconera ha disputato ben 449 partite vincendo altri due scudetti nel 1971-72 e nel 1972-73 e giocando anche la finalissima dei Coppa dei Campioni a Belgrado, persa 1 a 0 contro lAjax. Nel 1974, per dare spazio a Scirea, la Juventus gli concede la lista gratuita.

Cominciò lattività di allenatore, nel settore giovanile della Juventus. Ebbe anche due parentesi con i semiprofessionisti a Casale ed Ivrea, ma la sua passione era allenare i giovani. Qualche anno dopo prese la solenne decisione di trasferirsi, con moglie e tre figlie, in una cascina a Costigliole dAsti. Sentiva il bisogno di stare allaria aperta, di vivere nel verde, diventando così un ricco pensionato che ama vivere nel verde e guidare i trattori. Con, nel sangue, la mai sopita passione per il calcio.

Ci lascia nel 2007, in una fredda mattina di gennaio, mentre la sua amata Juventus gioca un insensato, immeritato ed immotivato campionato di serie B. Ma noi lo ricordiamo fiero e senza timore, senza parastinchi e con i calzettoni giù fino alle caviglie, uscire dallarea palla al piede e scendere nella metà campo avversaria per cercare lassalto decisivo.


INTERVISTATO DA HURRÀ JUVENTUS NELLAPRILE 1979:

Lo chiamavano Billy il grande. I colleghi in bianconero, specie i più giovani, erano ammirati ed orgogliosi di lui. Al suo fianco si sentivano tranquilli, protetti e lindomabile Sandro Salvadore, è di lui che parlo, maniche rimboccate sino al gomito, alto, dinoccolato, dal duro cipiglio, ad offrire costantemente il proprio alto contributo di forza e di esperienza a favore della squadra. Quasi un eroe da film western, un cowboy alla John Wayne, per intenderci, e questo gli valse appunto quellaffettuoso appellativo di Billy.

Sandro Salvadore, è storia ancora abbastanza recente, ha lasciato con lattività agonistica cinque anni or sono, cioè al termine della stagione 1973/74 che vide la Juventus seconda alle spalle della Lazio, per cedere il posto al giovane Scirea. Aveva 35 anni, il fisico integro, malgrado la lunga carriera percorsa, una carriera condensata di allori, i due scudetti nel Milan dapprima, poi i tre in bianconero a cominciare da quello storico nel 1966/67 con Heriberto, il tredicesimo della serie juventina che coincise col settantennio della società torinese. Era giunto anche per lui il momento di chiudere e di pensare al domani.

«Quel collettivo», mi ricorda Sandro, «è stato ripreso un poco da tutti. Certo, Heriberto aveva le idee avanzate, moderne, anche se era un tipo poco aperto. Il libero con lui già si inseriva, partecipava alla manovra. Era insomma un tecnico di valore come serietà nella preparazione, nellallenamento. Adesso in un certo senso il compito per i nostri allenatori è più facile. Il Supercorso che seguo a Coverciano, ad esempio, ci informa di tutto quanto di meglio cè nel mondo in fatto di teoria e di pratica calcistica».

Già, il Supercorso di Coverciano che vede Sandro a scuola con altri illustri ex colleghi, Angelo Cereser, Agroppi, Puja, col quale formò un forte tandem in Nazionale, Tumburus, Cella, Fogli ed altri ancora. «Finiremo a maggio ed avrò il brevetto di allenatore del Settore giovanile. È un corso molto impegnativo, otto ore di lezione al giorno dal lunedì al venerdì; numerosi i preparatori, gli insegnanti; le esperienze dallestero, anche con selezioni di filmati, completano poi il nostro bagaglio tecnico personale e di cultura con nozioni di medicina, anatomia, biochimica».

Salvadore da parte sua ha comunque già una certa esperienza nel settore giovanile, considerando che è al suo terzo anno alla Juventus quale istruttore seguendo la Primavera. Parlando dei ragazzi doggi viene quindi facile con lui ritornare indietro nel tempo, allesordio in rossonero. «Al Milan si guardava molto ai giovani a cominciare dal Direttore Tecnico Viani. Allora lallenatore della prima squadra ci seguiva assiduamente. La presenza di Viani, anche se critica, era utile. Noi eravamo una signora squadra con i vari Danova, Trebbi, Ferrario, Radice, Trapattoni ed il sottoscritto. Andammo alle Olimpiadi romane e tenemmo testa alle selezioni dellEst che pure erano le Nazionali A. Adesso per i giovani si impiegano dei capitali allora cosa costavano alle società? Ci davano da mangiare e ci pagavano le spese, tutto qui».

Abbiamo ricordato Gipo Viani, ma quale peso ha avuto Nereo Rocco nella riuscita della sua carriera? «Rocco era tutto il contrario di quello che impariamo a Coverciano; era un autodidatta, poco democratico, ma aveva quel qualcosa che gli faceva sempre capire gli altri, in particolare i propri giocatori, tenerli carichi psicologicamente».

Da un radicale rinnovamento prese proprio lavvio il meraviglioso settennio bianconero. «È stato così infatti, con Haller,ed il sottoscritto, a fare da riferimento».

Si diceva che lei sentisse particolarmente il fascino della maglia azzurra. «Effettivamente la Nazionale è qualcosa di più del campionato a patto però che il risultato sia legato ad un traguardo. Le amichevoli, insomma, non mi andavano. Io raggiunsi il massimo del rendimento proprio quando i responsabili della nazionale si dimenticarono di me. Comunque sono già orgoglioso delle mie 36 presenze in azzurro, del mio campionato Europeo del 1968».

La sua è stata una carriera ricca di allori; ci saranno però stati pure dei momenti di delusione come daltronde capita in tutte le attività. Qualche rammarico? «Sì, principalmente uno, quello dì non aver conquistato la Coppa dei Campioni a Belgrado nella famosa finale con lAjax del 1973. Eravamo arrivati vicinissimi ormai a quella Coppa, troppo vicini. Potevamo fare di più ma purtroppo proprio in quella grande occasione la sorte ci voltò le spalle».


IL RITRATTO DI ALBERTO FASANO, SU HURRÀ JUVENTUS DEL SETTEMBRE 1985:

Era un tipo smilzo, lungo lungo, magrolino, anche se di costituzione robustissima. Giocava nel grande Milan di quei tempi, insieme a Maldini, Radice, Dino Sani, Altafini, Rivera e Trapattoni: e proprio insieme allamico Trapattoni, il grande Sandro esordì con la maglia azzurra il 10 dicembre 1960, allo stadio San Paolo di Napoli, in occasione di una amichevole con lAustria. Fu lindimenticabile Gioanin Ferrari, allora Commissario Tecnico, a convocarlo ed a gettarlo nella mischia internazionale, perfettamente convinto delle qualità tecniche e fisiche del ragazzo. Purtroppo la prima gara coincise con una sconfitta: gli austriaci, capitanati dal grande Hannapi, riuscirono a battere (2-1) lItalia scesa in campo nella seguente formazione: Buffon; Losi e Castelletti; Guarnacci, Salvadore e Trapattoni; Mora, Boniperti, Brighenti, Angelillo e Petris.

Dopo soli 7 di gioco lAustria andò in vantaggio con linterno Hof, poi, dopo venti minuti di ruggente arrembaggio, gli azzurri agguantarono il pareggio per merito di Boniperti; ma allinizio della ripresa il centravanti Kaltenbrunner siglò la rete che diede il successo agli austriaci. Sia Salvadore che Trapattoni, i due giovanissimi esordienti, si comportarono in modo eccellente, tanto è vero che entrambi vennero riconfermati da Ferrari per la successiva amichevole del 25 aprile 1961 a Bologna contro lIrlanda del Nord.

In quellincontro le cose andarono meglio, almeno per quanto riguarda il risultato: gli azzurri vinsero per 3-2, dopo unaltalena di emozionanti fasi di gioco. Al 30 ed al 55 il bianconero Stacchini segnò per lItalia, ma prima Dougan eppoi McAdams rimisero in equilibrio le sorti della gara. Ci pensò poi Sivori a mettere a segno il goal vincente quando mancavano dodici minuti al fischio finale.

Salvadore continuò ancora a giocare altre partite in Nazionale, con provenienza milanista, prima di approdare alla Juventus, evento che si verificò allinizio della stagione 1962/63. E fu Mondino Fabbri a riproporlo in azzurro dopo un certo periodo di assenza. Loccasione arrivò quando la nazionale italiana dovette trasferirsi a Istanbul (27 marzo 1963) per giocare la seconda partita valevole per la Coppa Europa delle Nazioni. Fabbri mandò in campo una formazione mosaico: Vieri (Torino); Maldini (Milan) e Facchetti (Inter); Tumburus (Bologna), Salvadore (Juventus) e Trapattoni (Milan); Orlando (Roma), Puja (Vicenza), Sormani (Mantova), Corso (Inter) e Menichelli (Roma). LItalia vinse per 1-0.

Grande esibizione della coppia Salvadore/Trapattoni il 12 maggio 1963 allo stadio di San Siro, dove venne giocata la famosa supersfida Italia-Brasile. Tutti ricorderanno come Trapattoni annullò il grande Pelè, ma non tutti sanno che Sandro Salvadore letteralmente cancellò dal terreno di gioco il temibile Coutinho, meritandosi i sinceri complimenti di Feola, il rubicondo Commissario Tecnico della compagine brasiliana.

A Torino, acquistato dalla Juventus, il taciturno Salvadore trovò lambiente ideale, sia come calciatore che come uomo, e come marito della sua giovanissima sposa Anna. Torino parve immediatamente la città che faceva per lui e Sandro ci si trovò come se ci fosse addirittura nato. Lui composto, lineare, riservato, Torino composta, lineare, riservata. Sandro ed Anna scelsero un appartamentino sulle prime propaggini della collina, sulla rampa che porta ai Cappuccini; le finestre si aprivano sulla collinetta dove sorge labbazia, dal soggiorno si spaziava sui viali del Lungo Po, attorno calma e silenzio, davanti a casa un boschetto delle gaggie, dietro la verde collina.

Sono sicuro che Sandro Salvadore ricorda ancora con nostalgia quei tempi e quella casa, la casa di due freschi sposi, una casa dove lui ci stava tanto e volentieri. Molti credevano che il libero della Juventus fosse un incallito introverso od un tenace solitario; ma lui si ribellava a quella etichetta. Diceva: «Vivo così perché mi piace e per nessun altro motivo».

Era infatti, tutto sommato, un tipo socievole, in certa misura. Mi spiego: con i compagni viveva volentieri, scherzava e rideva, stava alle battute spiritose. Ma per la partita a carte o per il film visto collegialmente dopo lallenamento, Sandro era un elemento perso. Preferiva tornarsene a casa, gli piaceva la poltrona comoda, il the bevuto con Anna, le quattro chiacchiere semplici che si possono fare leggendo il giornale o guardando la televisione.

Ricordo le sue abitudini, specialmente quelle del lunedì. Era il giorno della completa evasione. Se la domenica non prendeva botte, allora il lunedì mattina saltava in macchina con la moglie ed andava fuori Torino. Se si era in stagione invernale, saliva sempre a Sestriere: unora di sci, unora di sole, riposo e distensione. Non dimenticando la lettura dei giornali, al lunedì sera, quando, tornato a casa, si metteva in pantofole e si accucciava in poltrona.

Questo ritratto di Sandro Salvadore non assomiglia per niente a quello che si deve fare se lo si esamina dal punto di vista atletico, sul terreno di gioco. Allora la trasformazione era completa: Salvadore era un autentico guerriero, un magnifico atleta, un giocatore che faceva sempre sentire allavversario il peso della sua massiccia muscolatura. Colpiva di testa con incredibile precisione, con forza paurosa, una specie di ariete. Con i piedi era di una abilità brasiliana. Ricordo che due altri giocatori juventini palleggiavano volentieri con Sandro: i due si chiamavano Sivori e Haller, due campioni inarrivabili, che con la sfera di cuoio facevano tutto quanto volevano. E Sandro Salvadore; sia ben chiaro, non era inferiore ai due.

Poteva occupare qualsiasi ruolo della difesa, da terzino, a stopper, a libero. La classe (e più tardi lesperienza) gli ha sempre consentito di esibirsi su qualsiasi platea, nazionale od internazionale, fornendo ovunque strepitosi saggi di calcio atletico e di calcio raffinato.

Diventò capitano della nazionale il 10 maggio 1963, giorno in cui lItalia incontrò la forte rappresentativa dellUrss allo stadio Olimpico di Roma. Lincontro finì in pareggio (1-1), ma gli azzurri diedero prova di grande carattere e di consumata maestria, anche se la rete del pareggio venne realizzata da Rivera ad un solo minuto dal fischio finale.

Dal giorno in cui ebbe i gradi, Salvadore si comportò sempre da grande campione, collezionando indimenticabili successi nella sua lunga carriera. Dopo aver portato per 17 volte la fascia di capitano, dovette cederla a Facchetti. La carriera azzurra di Salvadore venne bruscamente troncata dal Commissario Tecnico Ferruccio Valcareggi che credette di individuare in due sfortunate autoreti del libero azzurro (partita di Madrid, 21 febbraio 1970, pareggio per 2-2) la causa di una mancata vittoria sugli iberici. Gli azzurri erano andati in vantaggio con Anastasi all11 ed avevano raddoppiato con Riva al 18; poi, nel giro di due disgraziatissimi minuti, dal 23 al 25, ecco gli autogol di Salvadore. E la fine, brusca e immeritata, di una magnifica carriera con la maglia azzurra!



http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/11/sandro-salvadore.html Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130772 messaggi

.

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 13-Jun-2005
21834 messaggi

Ciao Capitano!!!!

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130772 messaggi
Inviato (modificato)

740414900_juventus1931.jpg.35e992a32a64419a96e47ed8cd2a1c2f.jpg SANDRO SALVADORE

 

Fútbolismo ⚽️🌎🌍🌏⚽️ on Twitter: "Remembering on the day of his birth in  1939 Italian libero Sandro #Salvadore who played for Italian clubs @ACMilan  and @juventusfc winning titles at both clubs. At #Juventus #

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Salvadore

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Milano
Data di nascita: 29.11.1939

Luogo di morte: Asti

Data di morte: 04.01.2007
Ruolo: Difensore
Altezza: 180 cm
Peso: 74 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Old Billy

 

 

Alla Juventus dal 1962 al 1974

Esordio: 09.09.1962 - Coppa Italia - Brescia-Juventus 2-5

Ultima partita: 19.05.1974 - Serie A - Vicenza-Juventus 0-3

 

450 presenze - 17 reti

 

3 scudetti

1 coppa Italia

 

Campione d'Europa 1968 con la nazionale italiana

 

 

 

Sandro Salvadore (Milano, 29 novembre 1939  Asti, 4 gennaio 2007) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo difensore.

Già due volte campione d'Italia con la maglia del Milan, divenne in seguito un «simbolo» della Juventus, club con cui vinse altri tre Scudetti fino a diventarne capitano; ruolo, quest'ultimo, ricoperto anche nella nazionale italiana, con la quale si laureò campione d'Europa nel 1968.

 

Sandro Salvadore
Sandro Salvadore, Italia.jpg
Salvadore con la maglia dell'Italia
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 180 cm
Peso 74 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex libero)
Termine carriera 1974 - giocatore
Carriera
Giovanili
1955-1958   Milan
Squadre di club
1958-1962   Milan 72 (1)
1962-1974   Juventus 450 (17)
Nazionale
1960 Italia Italia olimpica ? (?)
1960-1970 Italia Italia 36 (0)
Carriera da allenatore
19??-19??   Juventus Giovanili
1979-1980   Casale  
19??-19??   Ivrea  
Palmarès
 
UEFA European Cup.svg Europei di calcio
Oro Italia 1968

 

Biografia

Nato in una famiglia operaia del milanese, prima di intraprendere l'attività calcistica a tempo pieno lavorò in giovane età come falegname. Si diede il soprannome Billy in virtù della sua ammirazione per Billy Wright, centromediano della nazionale inglese nel corso degli anni 1940 e 1950. Convolò a nozze il 19 novembre 1962, il giorno dopo il suo primo Juventus-Milan da giocatore bianconero: «mi sono sposato con l'occhio nero per una gomitata di Altafini. Mi hanno messo il fondotinta per nascondere la botta». Dal matrimonio ebbe tre figlie e dieci nipoti. Una volta uscito dal mondo del calcio, si dedicò alla conduzione di un'azienda agricola ad Asti, divenendo un piccolo produttore vinicolo.

L'ultima apparizione pubblica fu a Torino, il 1º novembre 2006 allo stadio Olimpico, nel corso delle celebrazioni per il centonovesimo anniversario della Juventus. Morì a sessantasette anni nella sua casa di Castiglione, una frazione dell'astigiano, nella notte fra il 3 e il 4 gennaio 2007, a causa di un arresto cardiaco.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

170px-Juventus-Sampdoria%2C_Sandro_Salva
 
Salvadore in elevazione durante una partita tra Juventus e Sampdoria

 

«Difensore a tutto tondo», debuttò come libero, ruolo che interpretò per larga parte della sua carriera, comandando le difese grazie al suo temperamento; col tempo venne schierato con successo anche come terzino o stopper. Dotato sul piano tecnico e fisico, si mostrò inoltre avvezzo al gol grazie alle sue frequenti sortite offensive.

Fu suo malgrado il primo calciatore italiano a finire nell'occhio della magistratura ordinaria per la sua condotta di gara: all'inizio del 1962, da tesserato milanista, la pretura di Bari lo rinviò a giudizio e poi condannò a una multa di 50 mila lire per l'intervento che, il precedente 25 dicembre 1960, aveva provocato la frattura del menisco al rivale barese Conti.

Carriera

Giocatore

Club

Milan
220px-Fotodiritomilan195859.jpg
 
Salvadore agli esordi (in piedi, terzo da sinistra) nel Milan scudettato della stagione 1958-1959

 

Crebbe calcisticamente nel Milan, compagine della sua città, dove entrò sedicenne nelle file delle giovanili insieme all'altra promessa Giovanni Trapattoni; dal fisico inizialmente minuto e deperito, Salvadore venne preso sotto l'ala protettiva di Gipo Viani, appena divenuto direttore tecnico dei rossoneri, il quale si adoperò perché il ragazzo, dapprima scartato proprio per la sua gracile costituzione fisica, venisse ugualmente aggregato al vivaio: «Viani disse all'allenatore: "questo qui per quindici giorni lo facciamo mangiare da noi, poi lo riproviamo e vediamo". Venni portato al Milan e per due settimane mi nutrirono loro, pranzo e cena. Riprovai. Mi presero. Due anni dopo ero in Serie A».

Esordì nel ruolo di centromediano della squadra meneghina nel campionato 1958-1959, scendendo in campo per la prima volta il 21 settembre 1958. Così ricordò il suo primo contratto da professionista: «abbiamo litigato un po', Viani e io, poi lui mi ha detto: "ti do il doppio di quello che guadagna tuo padre alla Pirelli". Lo dissi al mio papà che non ci pensò due volte: "ma firma, dai! Guadagni il doppio di me e invece di lavorare quarantott'ore alla settimana devi solo giocare a pallone". Firmai».

 

170px-Milan%2C_Giovanni_Trapattoni_e_San
 
Salvadore (a destra) in maglia rossonera con un giovane Trapattoni.

 

Titolare dopo due stagioni, sotto alla Madonnina conquistò due Scudetti, alla stagione d'esordio e nell'ultima disputata coi rossoneri, quella del 1961-1962. Tuttavia, emersero ben presto i problemi tattici circa un dualismo con Cesare Maldini: con caratteristiche molto simili sia sul piano del gioco che dei movimenti in campo, entrambi ambivano al ruolo di libero nella formazione milanese. L'allenatore Viani privilegiò il più esperto Maldini, relegando di conseguenza il più giovane Salvadore a compiti di marcatura che però non lo esaltavano, sentendosi lui stesso non adatto al ruolo.

La difficile convivenza tra i due venne risolta dalla società nell'estate 1962 quando, destando non poco clamore, Salvadore fu ceduto a sorpresa alla Juventus nell'ambito di uno scambio di mercato con l'ala Mora: «ero stato ai mondiali in Cile e al termine, con il Milan, avevamo una tournée in Sudamerica. Stavo per entrare in campo a Buenos Aires quando è arrivato il cablo con la notizia dello scambio tra me e Mora. Fu Rocco a dirmelo: "guarda non puoi giocare, non sei più dei nostri. Sei della Juve"».

Viani, colui che a suo tempo aveva dato fiducia al sedicenne Salvadore, motivò la cessione: «avevamo due paia di pantaloni, Salvadore e Maldini, ne abbiamo dato via uno in cambio di una giacca, Mora. Adesso disponiamo di un vestito completo». Parole che non vennero accolte di buon grado dal fresco ex rossonero: «il ragionamento funzionerebbe, se non fosse che si è tenuto i pantaloni vecchi. Poteva tenersi quelli nuovi da abbinare alla giacca nuova, così avrebbe avuto un vestito veramente bello». Lasciò la sua squadra d'origine dopo quattro annate e 72 incontri in massima serie.

Juventus
1962-1969
220px-Juventus_FC_-_1960s_-_Sandro_Salva
 
Salvadore con la casacca della Juventus durante gli anni 1960

 

All'ombra della Mole, il nuovo acquisto divenne immediatamente titolare, andando a fare coppia nella retroguardia juventina con Ernesto Castano.

Questo sino alla stagione 1964-1965 quando arrivò a Torino il tecnico Heriberto Herrera, profeta del credo tattico del movimiento, con cui il difensore non ebbe inizialmente un buon rapporto. L'allenatore paraguaiano volle riproporlo in marcatura fissa sull'avversario, come nell'esperienza milanista; Salvadore si ribellò apertamente a questa scelta, tanto da finire relegato fuori dall'undici titolare quando invece, contemporaneamente, in nazionale il CT Fabbri lo considerava un elemento inamovibile. Tempo dopo ebbe a dire sull'episodio: «è un po' anacronistico dirlo in tempi in cui tutti contestano e, come vanno in panchina, fanno intervenire il procuratore e, magari anche l'avvocato. Comunque, il tempo mi diede ragione». Al termine di quel tribolato campionato, in cui raggranellò appena nove gettoni di presenza, arrivò comunque la prima e unica Coppa Italia del giocatore, vinta dalla Juventus a spese della Grande Inter.

Nelle due annate seguenti il rapporto tra Salvadore e HH2 andò a migliorare pur se, nonostante la riconquista del posto in squadra, non poté comunque esprimersi nel ruolo a lui più congeniale di regista difensivo. Nel torneo 1966-1967 il difensore si cucì sul petto il suo terzo Scudetto, il primo di marca bianconera, giunto nel settantennio della società torinese e rimasto nella memoria collettiva per il sorpasso in dirittura d'arrivo sull'Inter, maturato proprio nell'arco dei novanta minuti finali.

1969-1974
170px-Serie_A_1971-72_-_Juventus_vs_L.R.
 
Salvadore guida in campo da capitano i compagni di squadra nell'ultimo turno del campionato 1971-1972, che sancì il 14º Scudetto bianconero.

 

All'inizio della stagione 1969-1970, complice il precoce declino fisico del coetaneo Castano, ereditò dal compagno di reparto la fascia di capitano della Juventus e, soprattutto, tornò nuovamente a vestire i panni del libero; in campionato, dopo un avvio disastroso, i piemontesi risalirono la china e diedero filo da torcere al Cagliari di Riva ma, nello scontro diretto di Torino del 15 marzo, proprio un dubbio fallo di Salvadore ai danni di Rombo di tuono, fischiato da Lo Bello, permise ai sardi di pareggiare 2-2 e di rintuzzare gli attacchi juventini nei confronti dell'ormai prossimo titolo rossoblù.

Nei primi anni 1970, Salvadore guidò comunque in campo i bianconeri alla riconquista dello Scudetto, arrivato per due volte nei campionati 1971-1972 e 1972-1973; nell'ultima stagione contribuì inoltre al raggiungimento della prima finale di Coppa dei Campioni nella storia della Juventus, persa a Belgrado contro gli olandesi dell'Ajax, che rimarrà per il giocatore il più grande rimpianto sportivo: «eravamo arrivati vicinissimi ormai a quella coppa, troppo vicini. Potevamo fare di più ma purtroppo proprio in quella grande occasione la sorte ci voltò le spalle».

 

220px-Coppa_dei_Campioni_1972-73_-_Juven
 
Salvadore tra il compagno di squadra Spinosi e Hector del Derby County nella semifinale di andata della Coppa dei Campioni 1972-1973

 

Il difensore aveva già conquistato coi piemontesi due finali europee, entrambe di Coppa delle Fiere, quella dell'edizione 1964-1965, che tuttavia saltò poiché impegnato con gli azzurri, e l'ultima nella storia della manifestazione, nell'annata 1970-1971, entrambe dall'epilogo amaro per mano, rispettivamente, dei magiari del Ferencváros e degli inglesi del Leeds Utd; sempre nel 1973, altra delusione sarà rappresentata dalla Coppa Intercontinentale, cui la Juventus partecipò per la rinuncia degli ajacidi, persa contro gli argentini dell'Independiente.

Salvadore rimase un baluardo della difesa bianconera per dodici stagioni, collezionando 450 presenze (331 in A, 56 in Coppa Italia, 65 in Europa e 1 in Intercontinentale) e 17 reti (15 in A, e 1 a testa in Coppa Italia e in Coppa delle Fiere), vincendo tre Scudetti e una coppa nazionale: «avessero dovuto pagarmi a gettone, sarei costato un patrimonio alla società».

È riconosciuto dal club piemontese come uno dei giocatori più importanti della sua storia, omaggiato dal 2011 nella Walk of Fame bianconera allo Juventus Stadium, nonché tra i migliori interpreti juventini del ruolo di libero assieme a Gaetano Scirea, proprio colui a cui Salvadore passò simbolicamente il testimone e la casacca numero sei dopo il ritiro avvenuto al termine del campionato 1973-1974.

Nazionale

Debuttò in maglia azzurra nel 1960, disputando con la nazionale olimpica il torneo calcistico dei Giochi di Roma 1960, in una nidiata di giovani promesse che comprendeva anche Bulgarelli, Rivera e Trapattoni.

Esordì poi con la rappresentativa maggiore il 10 dicembre dello stesso anno, nell'amichevole di Napoli contro l'Austria persa 1-2. Nel corso degli anni 1960, con l'Italia prese parte al campionato del mondo 1962 in Cile e al campionato del mondo 1966 in Inghilterra, in quest'ultimo caso coi gradi di capitano che aveva sfoggiato per la prima volta il 10 maggio 1963, in una sfida contro l'Unione Sovietica (1-1) giocata a Roma e valevole per le qualificazioni al campionato d'Europa 1964.

 

220px-ITA_-_GBR_football_Olympics_1960.j
 
Salvadore (a destra) nell'Olimpica, in contrasto su Brown del Regno Unito nel corso del torneo di Roma 1960.

 

Dopo un biennio di mancate convocazioni, in cui dovette peraltro cedere la fascia a Facchetti, Salvadore ritornò a vestire i colori nazionali in occasione della fase finale del campionato d'Europa 1968 che si disputò in Italia, vincendo l'alloro continentale; non presente nell'undici titolare che l'8 giugno affrontò la finale con la Jugoslavia, terminata 1-1 dopo i tempi supplementari (all'epoca non erano previsti i tiri di rigore), riconquistò il posto due giorni dopo in occasione della ripetizione, vinta stavolta 2-0 dagli azzurri: «il commissario tecnico capì di aver sbagliato qualcosa e corresse la formazione, azzeccando le mosse giuste, dal sottoscritto in difesa, al tandem Riva-Anastasi in attacco. I goal di Gigi e Pietruzzu ci diedero il trionfo. Una notte magica, indimenticabile, con lo stadio Olimpico e l'Italia in delirio».

In totale, fino al 1970 vestì per 36 volte la casacca della rappresentativa maggiore, di cui 17 con la fascia al braccio. Nello stesso anno pose bruscamente fine alla sua esperienza in azzurro, quando in Spagna-Italia (2-2) del 21 febbraio a Madrid, incappò in due autoreti nel giro di due minuti (23' e 25'): «il giorno più brutto della mia carriera. In realtà, feci solo un autogoal, sull'altro non toccai il pallone, ma me lo attribuirono lo stesso». La negativa prova gli precluse, di fatto, la partecipazione al campionato del mondo 1970 in Messico, escluso dal commissario tecnico Valcareggi che gli preferì, ironia della sorte, l'autogoleador per antonomasia Niccolai. Rimase quella, per Salvadore, l'ultima presenza in Nazionale.

 

220px-UEFA_Euro_1968_Final_-_Italy.jpg
 
Salvadore (in piedi, primo da sinistra) con l'Italia scesa in campo nella vittoriosa finale del campionato d'Europa 1968

 

Ebbe globalmente, per diversi motivi, un rapporto complicato con la maglia azzurra, che tuttavia cercò sempre e orgogliosamente d'indossare: «effettivamente la nazionale è qualcosa di più del campionato a patto però che il risultato sia legato ad un traguardo. Le amichevoli, insomma, non mi andavano. Io raggiunsi il massimo del rendimento proprio quando i responsabili della nazionale si dimenticarono di me».

Allenatore

Dopo il ritiro dall'attività agonistica, lavorò per qualche anno come allenatore nel vivaio della Juventus, avendo in seguito anche delle brevi esperienze sulle panchine semiprofessionistiche di Casale e Ivrea. Negli anni 1990 svolse poi il ruolo di tecnico per formazioni giovanili della provincia astigiana.

 

Palmarès

Giocatore

Club

220px-Juventus_FC_-_Serie_A_1966-67_-_Sa
 
Da sinistra: Salvadore festeggia con Favalli e l'allenatore Heriberto Herrera la vittoria dello Scudetto 1966-1967.
Competizioni giovanili
Competizioni nazionali

Nazionale

Onorificenze

Medaglia di bronzo al valore atletico - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al valore atletico
  «Oltre dieci presenze in Nazionale»
— Roma, 1966.
Medaglia d'argento al valore atletico - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'argento al valore atletico
  «Campione europeo»
— Roma, 1968.

 

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130772 messaggi
Inviato (modificato)

1475627130_juventus1931.jpg.6532daa8074317bf3ae16f23fe8bf107.jpg SANDRO SALVADORE

 

salvadore%2B%252813%2529.jpg

 

 

 

Sandro Salvadore era uno dei pochissimi difensori, se non l’unico, che teneva i calzettoni arrotolati sulle caviglie, come Omar Sivori. All’epoca non era obbligatorio portare i parastinchi, a lui davano fastidio e li metteva solo in casi eccezionali. Mostrava gli stinchi nudi agli avversari, senza timore. Detto Old Billy, soprannome proveniente dalla grande ammirazione per Billy Wright, mitico centromediano dell’Inghilterra che sconfisse 4-0 l’Italia di Valentino Mazzola allo Stadio Comunale di Torino, il 16 maggio 1948. Billy fu adottato come nome di battaglia da Salvadore: «Potenza del nome, suonava bene, e poi apparteneva a un gran regista difensivo, un pilastro dell’Inghilterra dei maestri».
I colleghi in bianconero, specie i più giovani, erano ammirati e orgogliosi di lui. Al suo fianco si sentivano tranquilli, protetti e lui, maniche rimboccate sino al gomito, alto, dinoccolato, dal duro cipiglio, a offrire costantemente il proprio alto contributo di forza e di esperienza a favore della squadra. Quasi un eroe da film western, un cowboy alla John Wayne.
Nato a Niguarda, nel milanese, il 29 novembre del ’39, scoprì il pallone all’oratorio della sua parrocchia, come tutti i bambini dell’epoca. Poi fu scoperto dai tecnici delle giovanili del Milan e in maglia rossonera bruciò tutte le tappe: vinse due Torneo di Viareggio e a 18 anni debuttò in Serie A, laureandosi Campione d’Italia nel 1959. Nel 1960 disputò le Olimpiadi a Roma con la Nazionale e, due anni dopo, centrò il suo secondo scudetto, sempre con i rossoneri.
«Al Milan si guardava molto ai giovani a cominciare dal direttore tecnico Viani. Allora l’allenatore della prima squadra ci seguiva assiduamente. La presenza di Viani, anche se critica, era utile. Noi eravamo una signora squadra con i vari Danova, Trebbi, Ferrario, Radice, Trapattoni e il sottoscritto. Andammo alle Olimpiadi romane e tenemmo testa alle selezioni dell’Est che pure erano le Nazionali A. Rocco era un autodidatta, poco democratico, ma aveva quel qualcosa che gli faceva sempre capire gli altri, in particolare i propri giocatori, tenerli carichi psicologicamente».
La coppia centrale di quel Milan era formata da Salvadore e da Maldini e i due si somigliavano parecchio, come stile e modo di giocare; Viani favorì l’esperto Cesare Maldini come libero e Salvadore si ritrovò a fare il marcatore e con le sue qualità fisiche e con i suoi fondamentali, si sentiva sprecato in quel ruolo. Questo dualismo fu risolto cedendo Salvadore e Noletti, alla Juventus in cambio di Bruno Mora, un’ala molto talentuosa. Viani, inventore di uno dei primi sistemi difensivi fondato sul libero, era un personaggio di spicco nel panorama del calcio italiano e per giustificare la cessione di Salvadore disse: «Avevamo due paia di pantaloni, Salvadore e Maldini, ne abbiamo dato via uno in cambio di una giacca, Mora. Adesso disponiamo di un vestito completo». Letto l’articolo, Salvadore rispose: «Il ragionamento funzionerebbe, se non fosse che si è tenuto i pantaloni vecchi. Poteva tenersi quelli nuovi da abbinare alla giacca nuova, così avrebbe avuto un vestito veramente bello».
Non erano anni facili alla Juventus, anche se c’erano grandi giocatori, come il fenomenale Omar Sivori, ancora capace di fare la differenza, e un cursore infaticabile come Del Sol. L’allenatore era Paulo Lima Amaral, già preparatore atletico del Brasile che nel ‘58 e nel ‘62 aveva vinto due Mondiali, giocava a zona e applicava il rischiosissimo 4-2-4, che si trasformava in 4-3-3 in fase difensiva. La coppia centrale della difesa era composta da Castano e Salvadore, che giocavano in linea. Amaral non durò a lungo e, nelle prime giornate del torneo successivo, fu esonerato e sostituito da Eraldo Monzeglio, ex Campione del Mondo del ‘38.
Dopo Monzeglio arrivò Heriberto Herrera, con il quale Salvadore ebbe un rapporto difficile. Il Ginnasiarca volle utilizzarlo sull’uomo, con Castano battitore libero ma Salvadore si ribellò e l’inflessibile Herrera lo mise fuori squadra. Riserva nella Juventus e titolare, come libero, nella Nazionale di Edmondo Fabbri, che lo riteneva un elemento importantissimo.
A fine maggio 1967, Salvadore vinse il suo terzo scudetto, il primo con la Juventus. Fu quello del clamoroso sorpasso sull’Inter, all’ultima giornata. Il ciclo di HH2 toccò il culmine con la semifinale di Coppa dei Campioni persa con il Benfica di Eusébio, la Perla del Mozambico. Sullo slancio, Salvadore ottenne la soddisfazione più bella della carriera, vincendo il campionato d’Europa per Nazioni, a Roma nel 1968. Escluso dalla prima finale con la Jugoslavia, finita 1-1 dopo i tempi supplementari, fu ripescato da Valcareggi per la ripetizione: «Il Commissario Tecnico capì di aver sbagliato qualcosa e corresse la formazione, azzeccando le mosse giuste, dal sottoscritto in difesa, al tandem Riva-Anastasi in attacco. I goal di Gigi e Pietruzzo ci diedero il trionfo. Una notte magica, indimenticabile, con lo Stadio Olimpico e l’Italia in delirio».
Nel 1969-70, a causa del declino di Castano, Old Billy divenne capitano e torna, stabilmente, a giocare da libero. Ebbe piena fiducia da Carniglia e poi da Rabitti, che subentrò al tecnico argentino, dopo un avvio di campionato quasi disastroso. Salvadore ripagò la fiducia con gli interessi, pilotando la Juventus a una serie di 16 risultati utili consecutivi che misero paura al Cagliari di Gigi Riva lanciato alla conquista del primo storico e unico scudetto. Nella partita decisiva un dubbio rigore concesso da Lo Bello per un fallo su Riva, trattenuto per la maglia proprio da Salvadore in mischia sotto porta, dopo un corner per i sardi, fissò il risultato sul 2-2 e permise al Cagliari di tenere la Juventus a meno 2 punti. Da quella partita il Cagliari del suo condottiero Rombo di Tuono prese la spinta decisiva per volare verso il tricolore.
Quella fu anche la stagione che costò a Salvadore il posto in azzurro, proprio alla vigilia del Mondiale messicano. Aveva già disputato due Mondiali ed erano stati fallimentari: «In Cile, nel ‘62, avevamo uno squadrone fortissimo, in grado di strappare il titolo al Brasile. Sivori, Altafini, Rivera, Maldini, Mora, Trapattoni, Maschio, Pascutti, Robotti e altri nomi importanti. Eppure, fummo eliminati nel primo turno. A parte l’arbitraggio scandaloso dell’inglese Aston, fu una cattiva gestione la causa dell’eliminazione. Come in Inghilterra, 4 anni dopo: Albertosi, Facchetti, Bulgarelli, Rivera, Mazzola, Rosato, Meroni, in una rosa ricca di campioni. Eppure, fummo incredibilmente battuti dalla Corea del Nord, a Middlesbrough, con un goal di un certo Pak-Doo-Ik. Valcareggi, visionandoli li aveva definiti dei Ridolini. Loro risero e noi piangemmo amare lacrime. Ero in tribuna, quel giorno, ma anch’io divenni un “Coreano”. Peccato».
Due sfortunatissime autoreti al Bernabéu di Madrid nell’amichevole contro la Spagna, la sera del 21 febbraio 1970, vanificarono i goal di Anastasi e Riva e indussero il commissario tecnico Valcareggi che, come Napoleone voleva i suoi generali fortunati, a non convocarlo per il Mondiale messicano: «Il giorno più brutto della mia carriera; In realtà, feci solo un autogoal, sull’altro non toccai il pallone, ma me lo attribuirono lo stesso. Comunque sono orgoglioso delle mie 36 presenze in azzurro e del mio campionato Europeo del 1968». La Juventus divenne la sua nazionale. Non saltò mai una partita: «Avessero dovuto pagarmi a gettone, sarei costato un patrimonio alla società».
Non gli è mai piaciuto perdere: come quella volta che andò a segnare il goal del pareggio, al ritorno di Juventus-Milan, decisiva per la testa del campionato, poi vinto: «Aveva segnato Bigon per loro, ma noi non potevamo perdere; continuavo ad andare in attacco, anche per far capire agli altri che non bisognava mollare la presa, finché non è arrivata la palla giusta. No, non si poteva perdere e non abbiamo perso».
Con la maglia bianconera disputa ben 449 partite vincendo altri 2 scudetti nel 1971-72 e nel 1972-73 e giocando anche la finalissima dei Coppa dei Campioni a Belgrado, persa 1-0 contro l’Ajax. «Un grandissimo rimpianto. Eravamo arrivati vicinissimi ormai a quella Coppa, troppo vicini. Potevamo fare di più ma purtroppo proprio in quella grande occasione la sorte ci voltò le spalle».
Nel 1974, per dare spazio a Scirea, la Juventus gli concede la lista gratuita. Cominciò l’attività di allenatore, nel settore giovanile della Juventus. Ebbe anche due parentesi con i semiprofessionisti a Casale e Ivrea, ma la sua passione era allenare i giovani. Qualche anno dopo prese la solenne decisione di trasferirsi, con moglie e tre figlie, in una cascina a Castiglione d’Asti. Sentiva il bisogno di stare all’aria aperta, di vivere nel verde, diventando così un ricco pensionato che ama vivere nel verde e guidare i trattori. Con, nel sangue, la mai sopita passione per il calcio.
Ci lascia nel 2007, in una fredda mattina di gennaio, mentre la sua amata Juventus gioca un insensato, immeritato e immotivato campionato di Serie B. Ma noi lo ricordiamo fiero e senza timore, senza parastinchi e con i calzettoni giù fino alle caviglie, uscire dall’area palla al piede e scendere nella metà campo avversaria per cercare l’assalto decisivo.
Il ricordo di alcuni ex compagni il giorno del funerale. «Mi spiace tantissimo – dichiara Anastasi – ci eravamo incontrati per la festa dei 109 anni della Juventus e lo avevo rivisto con grande piacere. Quando ero arrivato a Torino, Sandro era uno degli anziani, il capitano, ed è sempre stato per tutti un punto di riferimento. Non voleva mai perdere, era una persona speciale». Per Bettega, invece, «Billy è stato un maestro, oltre che un compagno. Spesso la domenica mattina andavamo a Messa insieme. Ho tanti ricordi personali più che calcistici, per quelli credo parli la sua carriera di campione straordinario e duttile, capace di giocare terzino come centrale con la stessa efficacia». Ricordo intenso anche da parte di colui che ha condiviso la camera, Franco Causio. «È stato mio compagno di camera quando ero arrivato alla Juventus. Ero poco più che un ragazzino e mi ha aiutato tantissimo. Parlare del calciatore mi pare superfluo; può sembrare una frase fatta, ma come persona ha rappresentato molto per me». Quindi Beppe Furino, che qualche anno più tardi ha ereditato la fascia di capitano. «Sandro per me era un punto di riferimento. Con Del Sol, Leoncini, Castano, rappresentava la vecchia guardia e quando arrivai a Torino era un serbatoio inesauribile di consigli utili e di esperienza. Con il tempo ci siamo frequentati e la sua scomparsa mi lascia molto addolorato, perché perdo un amico». Infine Morini: «Billy era un grande calciatore, un difensore con la classe di un centrocampista. Mi ha aiutato a inserirmi nel gruppo e in tanti abbiamo imparato molto da lui, anche Scirea, che prese poi il suo posto. Andavamo a caccia insieme ogni tanto, mi spiace tantissimo che se ne sia andato e voglio fare le mie più sentite condoglianze alla sua famiglia».

ALBERTO FASANO, “HURRÀ JUVENTUS” DEL SETTEMBRE 1985
Era un tipo smilzo, lungo lungo, magrolino, anche se di costituzione robustissima. Giocava nel grande Milan di quei tempi, assieme a Maldini, Radice, Dino Sani, Altafini, Rivera e Trapattoni: e proprio assieme all’amico Trapattoni, il grande Sandro esordì con la maglia azzurra il 10 dicembre 1960, allo Stadio San Paolo di Napoli, in occasione di un’amichevole con l’Austria.
Fu l’indimenticabile Gioanin Ferrari, allora commissario tecnico, a convocarlo e a gettarlo nella mischia internazionale, perfettamente convinto delle qualità tecniche e fisiche del ragazzo. Purtroppo la prima gara coincise con una sconfitta: gli austriaci, capitanati dal grande Hannapi, riuscirono a battere (2-1) l’Italia scesa in campo nella seguente formazione: Buffon; Losi e Castelletti; Guarnacci, Salvadore e Trapattoni; Mora, Boniperti, Brighenti, Angelillo e Petris.
Dopo soli 7 minuti di gioco l’Austria andò in vantaggio con l’interno Hof, poi, dopo 20 minuti di ruggente arrembaggio, gli azzurri agguantarono il pareggio per merito di Boniperti; ma all’inizio della ripresa il centravanti Kaltenbrunner siglò la rete che diede il successo agli austriaci. Sia Salvadore che Trapattoni, i due giovanissimi esordienti, si comportarono in modo eccellente, tanto è vero che entrambi furono riconfermati da Ferrari per la successiva amichevole del 25 aprile 1961 a Bologna contro l’Irlanda del Nord. In quell’incontro le cose andarono meglio, almeno per quanto riguarda il risultato: gli azzurri vinsero per 3-2, dopo un’altalena di emozionanti fasi di gioco. Al 30’ e al 55’ il bianconero Stacchini segnò per l’Italia, ma prima Dougan e poi McAdams rimisero in equilibrio le sorti della gara. Ci pensò poi Sivori a mettere a segno il goal vincente quando mancavano dodici minuti al fischio finale.
Salvadore continuò ancora a giocare altre partite in Nazionale, con provenienza milanista, prima di approdare alla Juventus, evento che si verificò all’inizio della stagione 1962-63. E fu Mondino Fabbri a riproporlo in Azzurro dopo un certo periodo di assenza. L’occasione arrivò quando la Nazionale italiana dovette trasferirsi a Istanbul (27 marzo 1963) per giocare la seconda partita valevole per la Coppa Europa delle Nazioni. Fabbri mandò in campo una formazione mosaico: Vieri (Torino); Maldini (Milan) e Facchetti (Inter); Tumburus (Bologna), Salvadore (Juventus) e Trapattoni (Milan); Orlando (Roma), Puja (Vicenza), Sormani (Mantova), Corso (Inter) e Menichelli (Roma). L’Italia vinse per 1-0.
Grande esibizione della coppia Salvadore-Trapattoni il 12 maggio 1963 allo Stadio di San Siro, dove fu giocata la famosa super sfida Italia-Brasile. Tutti ricorderanno come Trapattoni annullò il grande Pelé, ma non tutti sanno che Sandro Salvadore letteralmente cancellò dal terreno di gioco il temibile Coutinho, meritandosi i sinceri complimenti di Feola, il rubicondo commissario tecnico della compagine brasiliana.
A Torino, acquistato dalla Juventus, il taciturno Salvadore trovò l’ambiente ideale, sia come calciatore che come uomo, e come marito della sua giovanissima sposa Anna. Torino parve immediatamente la città che faceva per lui e Sandro ci si trovò come se ci fosse addirittura nato. Lui composto, lineare, riservato, Torino composta, lineare, riservata. Sandro e Anna scelsero un appartamentino sulle prime propaggini della collina, sulla rampa che porta ai Cappuccini; le finestre si aprivano sulla collinetta, dove sorge l’abbazia, dal soggiorno si spaziava sui viali del Lungo Po, attorno calma e silenzio, davanti a casa un boschetto delle gagge, dietro la verde collina.
Molti credevano che il libero della Juventus fosse un incallito introverso o un tenace solitario; ma lui si ribellava a quell’etichetta. Diceva: «Vivo così perché mi piace e per nessun altro motivo». Era, infatti, tutto sommato, un tipo socievole, in certa misura. Mi spiego: con i compagni viveva volentieri, scherzava e rideva, stava alle battute spiritose. Ma per la partita a carte o per il film visto collegialmente dopo l’allenamento, Sandro era un elemento perso. Preferiva tornarsene a casa, gli piaceva la poltrona comoda, il the bevuto con Anna, le quattro chiacchiere semplici che si possono fare leggendo il giornale o guardando la televisione.
Ricordo le sue abitudini, specialmente quelle del lunedì. Era il giorno della completa evasione. Se la domenica non prendeva botte, allora il lunedì mattina saltava in macchina con la moglie e andava fuori Torino. Se si era in stagione invernale, saliva sempre a Sestriere: un’ora di sci, un’ora di sole, riposo e distensione. Non dimenticando la lettura dei giornali, al lunedì sera, quando, tornato a casa, si metteva in pantofole e si accucciava in poltrona.
Questo ritratto di Sandro Salvadore non assomiglia per niente a quello che si deve fare se lo si esamina dal punto di vista atletico, sul terreno di gioco. Allora la trasformazione era completa: Salvadore era un autentico guerriero, un magnifico atleta, un giocatore che faceva sempre sentire all’avversario il peso della sua massiccia muscolatura. Colpiva di testa con incredibile precisione, con forza paurosa, una specie di ariete. Con i piedi era di un’abilità brasiliana. Ricordo che due altri giocatori juventini palleggiavano volentieri con Sandro: i due si chiamavano Sivori e Haller, due campioni inarrivabili, che con la sfera di cuoio facevano tutto quanto volevano. E Sandro Salvadore; sia ben chiaro, non era inferiore ai due.
Poteva occupare qualsiasi ruolo della difesa, da terzino, a stopper, a libero. La classe (e più tardi l’esperienza) gli ha sempre consentito di esibirsi su qualsiasi platea, nazionale o internazionale, fornendo ovunque strepitosi saggi di calcio atletico e di calcio raffinato.
Diventò capitano della Nazionale il 10 maggio 1963, giorno in cui l’Italia incontrò la forte rappresentativa dell’URSS allo Stadio Olimpico di Roma. L’incontro finì in pareggio (1-1), ma gli azzurri diedero prova di grande carattere e di consumata maestria, anche se la rete del pareggio venne realizzata da Rivera a un solo minuto dal fischio finale. Dal giorno in cui ebbe i gradi, Salvadore si comportò sempre da grande campione, collezionando indimenticabili successi nella sua lunga carriera. Dopo aver portato per 17 volte la fascia di capitano, dovette cederla a Facchetti.
La carriera azzurra di Salvadore fu bruscamente troncata dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi che credette di individuare in due sfortunate autoreti del libero azzurro la causa di una mancata vittoria sugli iberici. Gli Azzurri erano andati in vantaggio con Anastasi all’11’ e avevano raddoppiato con Riva al 18’; poi, nel giro di due disgraziatissimi minuti, dal 23’ al 25’, ecco gli autogol di Salvadore. E la fine, brusca e immeritata, di una magnifica carriera con la maglia azzurra!
 
Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130772 messaggi

Fútbolismo ⚽️🌎🌍🌏⚽️ on Twitter: "... Sandro #Salvadore also represented  the Italy national football team, participating in the 1960 Summer  Olympics, and two World Cups, and was also a member of the team

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
Accedi per seguire   

  • Chi sta navigando   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×
×
  • Crea Nuovo...