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Socrates

William Brady

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577036671_juve1977.jpg.576a171b33d4ba36cd6bd563c13f95e8.jpg WILLIAM BRADY
 
Liam Brady (1956) - Kent u deze Nog
 
 
 

Estate 1980, le frontiere sono nuovamente aperte e, dopo anni di ostracismo, si possono acquistare giocatori stranieri. La scelta della Juventus cade su Liam Brady, maturata dopo varie opzioni, compreso Maradona che Boniperti e Giuliano inseguono vanamente con una puntata segreta in Argentina. Ai primi di luglio parte una telefonata allavvocato Freeman, legale londinese che cura gli interessi dei più importanti calciatori doltre Manica, compreso Brady. La risposta è affermativa, non altrettanto agile la trattativa che si conclude comunque, col trasferimento di Liam alla Juventus. Brady ha 24 anni, essendo nato a Dublino nel febbraio 1956. Trasferito quindicenne allArsenal, con altri cinque coetanei. Liam Brady compie tutta la trafila nel glorioso club londinese dove esordisce in prima squadra alletà di 17 anni, giocando per sette stagioni, condite dalla conquista di una favolosa Coppa dInghilterra nel 1979. Nella primavera 1980 lArsenal di Brady affronta ed elimina la Juventus nelle semifinali di Coppa delle Coppe: 1 a 1 a Londra, 1 a 0 per gli inglesi a Torino, goal di Vaessen all87°.

È una stagione doro per Liam. I giocatori professionisti inglesi, lo eleggono il calciatore dellanno; il presidente dei gunners, Hillwood, fa il diavolo a quattro per aumentargli lo stipendio e prolungargli il contratto.

«Mi dispiace per lui, ma io avevo già deciso», racconta, «a giugno del 1980 avrai lasciato lArsenal e sarei venuto in Italia».

Brady è un regista giovane, ma calcisticamente maturo; arriva in Italia con etichetta irlandese, ma rivela ben presto insospettate capacità di adattamento che gli consentono dinserirsi senza problemi nella squadra bianconera. Con il suo arrivo nella Juventus ricompare il regista, giubilato da Trapattoni dopo la partenza di Capello ed interpretato successivamente, seppure in modo anomalo, da Benetti e Furino. Così la Juventus torna ad una manovra ordinata, basata sulla ricerca di impostazioni logiche e razionali, anche se il ritmo non eccezionale dellirlandese riduce in parte le accelerazioni.

«Con quel sinistro potrebbe scappare di prigione», aveva scritto un reporter londinese, non privo di humour.

Investito nei primi giorni da una curiosità che sfiora aspetti morbosi, Liam Brady si rifugia ben presto in un rapporto formalmente ineccepibile, ma che poco concede allinterlocutore. Soluzione necessaria ed appropriata. Ma ancora oggi, a distanza di anni, Brady viene ricordato nellambiente torinese con ammirazione e simpatia. Anche per la sua vita privata Liam lascia nel ricordo tracce indelebili. Lo prova il fatto che, in perfetto accordo con la moglie Sarah, Brady decide di far nascere a Torino la figlioletta Ella, che viene alla luce a metà gennaio 1983, quando lirlandese già si trova a Genova, in quanto trasferito nellestate precedente alla Sampdoria. Il collega preferito del biennio juventino è Tardelli, ma anche con Rossi e Cabrini i rapporti sono ottimi.

«Fu una fortuna, per lui, che fosse sistemato in camera, fin dal ritiro di Villar Perosa, col sacrestano delle rincorse, Furia Furino», racconta Caminiti, «perché gli vennero insegnati gli stimoli alla lotta, perché riuscì a scaldarsi al fuoco dellemulazione e cominciò a giocare alla grande, disimpegnando il suo piede mancino da vicino e da lontano, con sicura maestria. Certo, poco appariscente ed, a voler essere obiettivi, spesso pigro nel corso della stessa partita: come Furia andava a soffiargli nelle orecchie con la sua voce grattata, Brady riprendeva la sua corserella, svelando doti di centrocampista di impulso ed anche di agonismo sicuramente superiori alla media».

Le due stagioni di Brady alla Juventus sono coronate dalla conquista di altrettanti scudetti. Trapattoni dirà che sono gli scudetti che sente di più come suoi, maturati nel rinnovamento di una squadra che comincia a perdere qualche grosso nome del passato (Morini, Benetti e Boninsegna) per dare spazio a giovani che si chiamano Cabrini, Farina, Prandelli, Marocchino e Galderisi, oltre al recupero di Virdis ed alla progressiva affermazione di Brio. In quella squadra il sinistro di Brady, proietta di volta in volta i compagni verso il goal, lo stesso irlandese si segnala anche nei panni di goleador: otto reti il primo anno, cinque il secondo.

Stupenda la prima stagione, anche se ci mette un po di tempo a prendere le misure; viene fuori il pomeriggio del 23 novembre 1980, mentre un terremoto squassava lItalia del sud. La Juventus gioca contro lInter campione in carica, con una formazione decimata dalle squalifiche volute da Agnolin, dopo un derby scandaloso; Liam segna un goal ed un altro lo fa fare a Scirea. La squadra bianconera vince 2 a 1 e comincia, seriamente, ad inseguire la Roma.

La seconda stagione è meno appariscente ma è suggellata, comunque, da un significativo finale. Il 30 aprile 1982, un venerdì, alla vigilia delle ultime tre giornate di campionato, Liam viene informato, allimprovviso, che alla Juventus non sarà riconfermato. Deve cedere il posto a Michel Platini, acquistato il giorno stesso; levento matura nello spazio di ore, dalle 12:00 (ora in cui firma Platini) alle 20:00 (ora in cui Brady esce sconvolto dallufficio di Boniperti). Verso le 15:00, negli spogliatoi dello stadio, prima dellallenamento pomeridiano, tocca a Trapattoni il ruolo di primo ed incolpevole messaggero. Brady non può restare alla Juventus, che qualche settimana prima ha acquistato Boniek come secondo straniero e sarà ceduto a condizioni, non meno vantaggiose, ad una società di suo gradimento; così, Brady firma per la Sampdoria.

Ma di Brady non si può non ricordare lultima partita in maglia bianconera, il 16 maggio 1982, a Catanzaro, giorno in cui la Juventus conquista lo scudetto approfittando del concomitante pareggio della Fiorentina a Cagliari. Vince 1 a 0 la Juventus, con un rigore trasformato dallo stesso irlandese per fallo di mano sulla linea di Celestini, a seguito di una ubriacante azione impostata da Fanna con deviazione di Rossi verso il goal. Lepisodio accade a metà ripresa, con la Juventus accanitamente protesa verso la vittoria. Liam, rigorista designato, si avvia a battere dal dischetto come se non fosse lultima partita e lultimo rigore nella Juventus, con un grandissimo esempio di professionalità. Il goal sancisce lapoteosi bianconera ed è la rivincita morale di Brady.

«Avevo due scelte, due possibilità: fare il professionista e calciare bene il rigore, oppure fare il bambino stupido e rifiutarmi di calciare o, peggio, sbagliare volutamente il tiro. Ho scelto di fare il professionista, ho tirato ed ho fatto goal».

«In quella cruciale domenica di Catanzaro», ricorda ancora Caminiti, «toccò proprio a Brady battere il penalty decisivo, contro la squadra di casa, nello stadio infuocato di tifo contro. E segnò, con la gelida tristezza del professionista, confermandosi tra le figure più limpide del poco limpido calcio degli anni recenti».

Il racconto di Caroli:

«Brady fu elogiato da tutti, a me piaceva per come amministrava gli schemi e la palla ma, soprattutto, per il metodo con cui si infilava nelle aree avversarie, attraverso slalom soavi. Non si ripeté più in quella chiave, anche se giocò bene altri campionati nella Sampdoria e nellInter. Alla seconda stagione, come accade a molti campioni, aveva arretrato di una quindicina di metri la zona operativa a scapito della profondità delle iniziative. Era un uomo magnifico, con un carattere dolce, sguardo limpido, andava daccordo con tutti, era molto serio e suscitava immediate simpatie. Non polemizzò mai con nessuno, nemmeno quando segnò il rigore decisivo a Catanzaro, nel campionato successivo, ed annunciò la partenza».

 

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Grandissimo in campo e fuori @@

Oggi

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Footballers of the Moment on Twitter: "Liam Brady - Juventus ⚫️⚪️ and  Ireland 🇮🇪 #juventus #ireland https://t.co/zdu4vrvOG8" / Twitter

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BRADY: il fascino discreto della regia

 

تويتر \ Independent Sport على تويتر: "Liam Brady receives touching birthday  message from Juventus http://t.co/c18gkwfTtK @juventusfc  http://t.co/UHqhZsMTsZ"

 

 


Irlandese, carattere di ferro, William Brady è stato il primo straniero della Juventus dopo la riapertura delle frontiere. Regista di grande efficacia, non faticò a prendere in mano le redini del gioco bianconero, portando la squadra di Trapattoni all'exploit di due scudetti consecutivi.

Giocatore pratico ed efficace, nemico dei fronzoli eppure dotato di classe superiore, dopo due anni fu sacrificato al "gran colpo" di Gianni Agnelli, l'ingaggio di Michel Platini. Già consapevole di essere al passo d'addio, confermò la propria professionalità trasformando con freddezza lo storico rigore contro il Catanzaro all'ultima giornata che diede lo scudetto ai bianconeri sulla Fiorentina.

Mentre la Juve apriva un nuovo ciclo (senza peraltro più vincere due titoli di seguito), William Brady trovava gloria a Genova, sponda blucerchiata, determinando il salto di qualità voluto dal presidente Paolo Mantovani. Insieme a Trevor Francis formò la coppia britannica della Sampdoria neopromossa, guidata da Ulivieri allo stabile ritorno nella massima serie.

L'ottimo rendimento gli valse la chiamata di Ernesto Pellegrini, neo presidente dell'Inter, deciso ad avviare col botto la propria avventura nerazzurra e alla ricerca di una mente capace di armare il formidabile "braccio" ingaggiato in Germania: Karl Heinz Rummenigge. L'accoppiata funzionò a corrente alternata, specie per i guai fisici del biondo fuoriclasse teutonico, e dopo due anni, in mancanza di successi, Brady venne considerato al capolinea.

Si accasò all'Ascoli, ma non fini la stagione: se ne andò l'11 marzo 1987. dopo aver chiesto la risoluzione del contratto (a salvezza ormai conseguita), per divergenze con i dirigenti.

Si accasò al West Ham e ancora per un paio di stagioni rappresentò la bandiera dell'Eire, il pilastro imprescindibile dei verdi di Jack Charlton, dove disputerà ben 79 incontri in 15 anni.

Terminata la carriera agonistica, ha tentato senza successo quella di allenatore prima di essere recentemente richiamato come vice di Trapattoni nella sua verde Irlanda. Dal 2 luglio 1996 ricopre la carica di direttore del settore giovanile dell'Arsenal.

da Storie di calcio

 

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Joined: 14-Jun-2008
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‘If Pogba had been at Arsenal, he’d still be there’

WE WON TWO STRAIGHT TITLES AND I WAS BEING SACKED. I DIDN'T

UNDERSTAND IT. THEN I WATCHED PLATINI PLAY, AND I UNDERSTOOD

Liam Brady is Arsenal through and through — but he will be cheering on Juventus this week

by DAVID WALSH (THE SUNDAY TIMES 03-05-2015)

You want to talk about Juventus?” Liam Brady says. “I like what’s been happening at the club over the past five years. They’ve got some good people in the background and the club has come back from a bad place. Their sporting director, Fabio Paratici, has done a great job. The president, Andrea Agnelli, has been very good. Andrea is Umberto’s son. I knew Umberto, liked him. I’ve met Andrea. He seems a bright guy.”

And the team?

“Good team. Buffon’s still playing well. Defence is typically Italian, they don’t concede much, one goal in their past six European games. Marchisio is very good in midfield, Pogba’s important, I like Vidal too and Tevez has been brilliant for them. If they could get a goal against Real on Tuesday evening and not concede, they’d be capable of going to the Bernabeu and getting a result.”

We are sitting in a sunlit room of Brady’s home at Hove, in Sussex. He is 59 and since stepping down as head of youth development at Arsenal last year considers himself semi-retired. There is still his work with Ireland’s national broadcaster RTE, his role as ambassador for Arsenal, other bits and pieces but at last there is more space in his life.

The previous day he had played golf in the Variety Club’s spring meeting at The Buckinghamshire and, slightly to his surprise, he won. “What I discovered is that you play better golf when you’re not thinking what emails are in your inbox.”

Brady had a strange sort of relationship with Juventus. At 24 he fell in love with the club. Two years later the old lady of Italian football betrayed him and through the next two years he held on to the resentment. Eventually he let it go. Since then Juventus and he have remained good friends.

Their volatile affair? You could not have made it up. Nine years at Highbury ended because Brady wanted something different and also if you had come through the ranks at Arsenal during this time you were paid significantly less than big signings who came later. Malcolm Macdonald earned a lot more than Frank Stapleton, Brian Talbot more than Brady. Terry Neill, the manager, said it would be addressed but he and the club dawdled.

The flight to Turin was only half full and nobody recognised him. They were taxiing to the terminal when he saw hundreds of Juve fans with their flags packed on a balcony. Fellow passengers realised someone among them must be famous. Brady kept his head down. On the walk to immigration they put him on their shoulders and marched through. Nobody ever asked to see his passport.

He was 24 then, but already a man. He and Sarah had been together for just a year. He had impressed her when coming up with a ticket for the 1979 FA Cup final against Manchester United, and even more so with his performance as Arsenal won 3-2. A year later they were off to Turin. “We should get married first,” he said. “Is that really necessary?” asked Sarah, who was only 20.

It was, for even if that early-career long hair suggested a rebel he was still a Dublin Catholic and this was 1980. They were going to be living together, therefore... His charm would have been an innate decency, though back then it had a cloak of diffidence.

With Juve, it was love at first sight. From the airport, they took him to the club’s training centre in the mountains above Turin. Beppe Furino, the team captain, formally welcomed him to Juventus and said he hoped Liam would bring more success to the club. Through an interpreter, Brady was invited to respond.

He said it was an honour for him to play at this great club and he hoped he would help Juventus to be successful. They thought this kid might be all right. When they returned to the city for the start of the season, Marco Tardelli helped the now married Bradys to find an apartment. In that first season he was the team’s leading scorer and Juventus won the title.

In his second season his penalty in the final game against Catanzaro decided the championship. It was the last time he wore the Juve shirt. Cruel story, this.

The previous February, Italy had played France in a midweek game. That evening Brady noted in his diary: “Watched France beat Italy 2-0 on TV. Platini outstanding.” The Juventus president, Gianni Agnelli, was at that game. He, too, thought the French midfielder had been brilliant. Not just that, Agnelli set his heart on bringing Platini to his club.

At the time, Italian clubs were allowed just two foreign players. There were already committed to signing Zbigniew Boniek, the Polish star, and as three into two would not go, it was decided Brady would have to be sold. Three games before the end of the season, he got wind of the impending change.

“All through my life I’d passed every football examination. Nobody rejected Liam Brady. Now one was about to do so. I couldn’t understand it. That morning I started to train but my mind was elsewhere. I pulled [head coach] Trapattoni aside and I said ‘Mister’ — you don’t call the coach anything but ‘Mister’ in Italy — ‘I heard something about me leaving at the end of the season...’

“He denied it but I could tell from his face it was true. It wasn’t his decision and, quite rightly, he didn’t want to be the one to tell me. Within half an hour I was in the office of the club president, Giampiero Boniperti, who told me they’d signed Platini that morning and I’d have to go to make room for him. Boniperti was distraught, I could see that. Said the club would look after me. I told him that as far as I was concerned the club could stick the final three games of the season up its arse. ‘No, no, no, please don’t do that.’”

Brady, of course, could not do that. Juventus assured him he would be looked after financially and he felt he could not turn his back on his teammates. Tardelli, Antonio Cabrini and many of the others had become his friends. “After winning at Catanzaro, I sat in the changing room with the celebrations going on and I was asking myself, ‘Why do I have to leave this team?’ I was happy, we’d won our second consecutive championship and I was basically being sacked. At the time I genuinely didn’t understand it. Then, over the next couple of seasons, I watched Platini play for Juve and I did understand it.”

Juve said they would make things easy for Brady. But not everything. He wanted to stay in Italy and Roma wanted him. Juve considered Roma a serious rival and allowed him to join Sampdoria. He had two good years in Genoa, then another two years at Inter Milan. Italy was where he played his best football and where he learnt a lot about life.

“Juventus were very classy about it, or clever, because they kept me onside. Every so often after I left, the president Boniperti would call to see how I was doing. Not so long ago I was working for RTE at the Shamrock Rovers v Juventus game in Tallaght when Andrea Agnelli came over to the TV gantry where I was and said he just wanted to introduce himself and say hello.

“Yeah, I loved Italy. Loved the culture and everything to do with it, I learnt the language, embraced everything about the country. I’ve always liked the way Real Madrid play football but if Juventus were to beat them and get through to the final I’d be pretty happy.”

Still, for all that old Italian connection, Arsenal are his club. Always will be. Nine years as a player, 18 as head of youth development.

“I decided to step down, I wasn’t pushed. Felt I did a decent job, a lot of players came through the academy to the first team. I look now at the two latest, Hector Bellerin and Francis Coquelin, and I think, ‘Yeah, we were doing something right’.”

Much of the credit, he says, must go to Arsène Wenger.

“Arsène has always been prepared to put young players into the team. He made my job easy, he made it successful. At the moment Chelsea and Man City have the best young players in the country but will any of them get to play in the first team? Who have Chelsea brought through? John Terry, that’s it.

“If I’d had the resources that Frank Arnesen had at Chelsea and did the same job at Arsenal, I wouldn’t have lasted long. Arsène put Ashley Cole in the team at 17, Jack Wilshere, Cesc Fabregas, Kieran Gibbs, there were so many. You have to be careful with young players. Look what happened with [Paul] Pogba.

“United had him and didn’t play him, which was unusual for Alex Ferguson because he had a good track record with young players. But if Pogba had been at Arsenal, he would still be at Arsenal.”

He remains convinced that Arsenal will soon re-emerge as genuine title challengers in the Premier League. “We are now in a position where it’s justified to say, ‘Well, you should be winning the league,’ but over the past 10 years you couldn’t have said that. We had to build the new stadium, build the club’s future while sacrificing five or six years of competing with Chelsea, Man United and then Man City.

“Unlike City, we weren’t handed a brand-new stadium. And unlike Chelsea and Tottenham, we don’t have a problem regarding a stadium. We went through a period of not being able to keep our best players: Henry, Cole, Van Persie, Fabregas, Adebayor, Clichy and others. Ashley Cole got a lot of criticism but I’ve no doubt about the best player to come through our academy. It was Ashley Cole. Also I don’t think it was all Ashley’s fault that he left. There were two sides to that story.”

The criticism of how the club allowed the left-back to leave offers an insight to Brady’s character. He is an ambassador for Arsenal, not part of their PR team. Still, he has zero doubt that Wenger remains the right man to manage the team.

“The way he did the job through the tough years, always getting us in the top four, is proof that the guy has much, much more to give. I’m looking forward to him staying at the club.”

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Liam Brady: As great as he was, I'll remember Paolo Rossi best as the pal  who was always smiling

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577036671_juve1977.jpg.576a171b33d4ba36cd6bd563c13f95e8.jpg WILLIAM BRADY

 

Brady: «Scudetto? Farebbe bene al calcio se non fosse la Juve a vincerlo»

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Liam_Brady

 

 

Nazione: Irlanda Irlanda
Luogo di nascita: Dublino
Data di nascita: 13.02.1956

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 174 cm
Peso: 72 kg

Nazionale Irlandese
Soprannome: Liam - Chippy

 

 

Alla Juventus dal 1980 al 1982

Esordio: 20.08.1980 - Coppa Italia - Udinese-Juventus 2-2

Ultima partita: 16.05.1982 - Serie A - Catanzaro-Juventus 0-1

 

76 presenze - 15 reti

 

2 scudetti

 

 

William Brady, detto Liam (Dublino, 13 febbraio 1956), è un dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore irlandese, di ruolo centrocampista.

 

 

Liam Brady
Liam Brady - Juventus FC 1980-81.jpg
Brady alla Juventus nella stagione 1980-1981
     
Nazionalità Irlanda Irlanda
Altezza 174 cm
Peso 72 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1989 - giocatore
2010 - allenatore
Carriera
Giovanili
19??-19??   St. Kevin's Boys
19??-1970   Home Farm
1970-1973   Arsenal
Squadre di club
1973-1980   Arsenal 235 (43)
1980-1982   Juventus 76 (15)
1982-1984   Sampdoria 57 (6)
1984-1986   Inter 58 (5)
1986-1987   Ascoli 17 (0)
1987-1989   West Ham Utd 89 (9)
Nazionale
1974-1990 Irlanda Irlanda 72 (9)
Carriera da allenatore
1991-1993   Celtic  
1993-1995   Brighton  
1996-2014   Arsenal Giovanili
2008-2010 Irlanda Irlanda Assistente

 

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Regista mancino, dotato di ottima visione di gioco, compensava qualche carenza in termini di dinamismo con ordinate geometrie e notevole carica agonistica. Oltre a ciò, era un affidabile rigorista.

Carriera

Giocatore

Club

Arsenal

Cresciuto calcisticamente dapprima nel St. Kevin's Boys e poi nello Home Farm, venne notato all'età di tredici anni dagli scouts dell'Arsenal, da cui venne acquistato nel giugno del 1971. La dirigenza dei Gunners in quegli anni era orientata a una politica di sviluppo del settore giovanile che le consentisse di coltivare in casa le future stelle della prima squadra. Brady trascorse tre anni nel settore giovanile assieme a un gruppo di giocatori – David O'Leary, Frank Stapleton, Graham Rix, John Matthews e Richie Powling – che venne promosso in toto in prima squadra.

 

220px-Coppa_Coppe_1979-80_-_Juventus_vs_
 
Brady (a sinistra) all'Arsenal nel 1980, anticipato dal futuro compagno di squadra Furino durante le semifinali di Coppa delle Coppe.

 

Il giorno del suo diciassettesimo compleanno firmò il contratto da professionista, seguendo così le orme dei fratelli maggiori Pat (che giocava nel Millwall), Ray (che militava nel QPR), Frank Jr. (che giocava nello Shamrock Rovers), nonché dello zio Frank Sr. Il 6 ottobre 1973 fece il suo debutto, subentrando al posto dell'infortunato Jeff Blockley nella gara contro il Birmingham City.

Nel resto della stagione l'allenatore Bertie Mee decise di impiegarlo con parsimonia: "Chippy" terminò la sua prima stagione con la maglia dei Gunners con all'attivo 13 presenze. Con la squadra londinese vinse la FA Cup nel 1978-1979, disputando le finali della stessa sia nel 1977-1978, sia nel 1979-1980. Con il club londinese raggiunse inoltre la finale di Coppa delle Coppe nel 1979-1980, perdendola contro gli spagnoli del Valencia.

Esperienze italiane e ritorno in Inghilterra

Nell'estate del 1980, grazie all'intervento del talent scout Gigi Peronace, diventò il primo giocatore straniero acquistato dalla Juventus dopo la riapertura del calcio italiano agli stranieri. Con la squadra torinese vinse due scudetti consecutivi, nelle stagioni 1980-1981 e 1981-1982; in quest'ultimo campionato si incaricò di tirare il rigore che, all'ultima giornata, diede ai bianconeri la vittoria sul campo del Catanzaro e, di riflesso, il titolo nazionale, pur sapendo di non esser stato confermato in rosa per l'annata successiva.

 

220px-Serie_A_1982-83_-_Sampdoria_vs_Juv
 
Brady (a destra) alla Sampdoria nel 1982, alle prese con l'ex compagno di squadra Rossi.

 

Chiuso infatti dall'arrivo a Torino di Michel Platini, passò alla Sampdoria. Dopo due buone stagioni a Genova si trasferì all'Inter per 3,5 miliardi di lire, e successivamente all'Ascoli dove partecipò alla vittoria di una Coppa Mitropa nel 1986-1987. Il 1º marzo 1987 ritornò quindi in Inghilterra, dove chiuse la carriera dopo due annate nelle file del West Ham Utd.

Nazionale

Ha vestito per quindici anni la maglia dell'Irlanda, a cavallo degli anni 1970 e 1980, non riuscendo a prender parte con i Boys in Green, in questo lasso di tempo, ad alcuna fase finale delle manifestazioni europee e mondiali.

Allenatore e dirigente

Il 19 giugno 1991 diventò l'allenatore del Celtic, carica mantenuta fino al 6 ottobre 1993. Il 1º dicembre dello stesso anno approdò sulla panchina del Brighton, dove rimase fino al 30 giugno 1995.

Il 2 luglio 1996 ricoprì la carica di direttore del settore giovanile dell'Arsenal.

Il 1º maggio 2008 divenne l'assistente del commissario tecnico della nazionale irlandese, Giovanni Trapattoni, affiancato nel ruolo dall'altro ex juventino e compagno di squadra Marco Tardelli; si dimise il 30 aprile 2010 per non perdere l'incarico all'Arsenal.

Nel gennaio 2013 l'Arsenal annunciò che Brady avrebbe lasciato il ruolo di responsabile del settore giovanile del club nel maggio 2014.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Individuale

 

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577036671_juve1977.jpg.576a171b33d4ba36cd6bd563c13f95e8.jpg WILLIAM BRADY

 

brady.jpg

 

 

 

Ventiquattro anni, due Coppe d’Inghilterra alle spalle – scrive Giancarlo Galavotti sul “Guerin Sportivo” del 13 agosto 1980 –, tanto cervello e tanta classe: questo è Liam Brady che, nei ritagli di tempo, si è improvvisato scrittore con un libro che – sono parole sue – non è e non vuole essere un’autobiografia ma la storia di un irlandese che si considera molto fortunato e che ha trovato nel calcio la sua realizzazione. «So far so good» s’intitola il volume di Brady: «tanto lontano, tanto bello» -si potrebbe dire in italiano.
Ma cos’è tanto lontano e tanto bello? Forse la sua giovinezza, forse la sua verde Irlanda, forse i suoi sogni, molti dei quali già realizzati. Il libro di Brady è una specie di lunga cavalcata all’interno della vita del giocatore e delle sue varie sfaccettature. Ma è soprattutto una proposta panoramica del gioco che – dice il neo juventino – «è un qualcosa che coinvolge e ti coinvolge a ogni livello. Ma è anche un qualcosa che ti insegna a vivere anche perché, quando giochi, tutti quelli che ti vedono hanno il diritto di criticarti in pubblico. E questo è il modo migliore perché uno cresca in fretta».
E Brady, a crescere in fretta, c’è riuscito pienamente: dopo le esperienze iniziali a Dublino sono venute quelle di Highbury con la maglia dell’Arsenal, una delle squadre più amate di tutta l’Inghilterra, e ora quelle della Juve dove il suo arrivo ha avuto il potere di galvanizzare un ambiente. E adesso leggiamo la sua storia.
Pare che la prima volta che a Liam Brady passò per la testa di diventare calciatore professionista, fu quando aveva sette anni. Era il 1964, e i suoi fratelli maggiori, Ray e Pat, giocavano già al football. Entrambi avevano debuttato nell’Home Farm, vivaio di talenti d’esportazione della lega irlandese, e si sarebbero infine ritrovati nei Queen’s Park Rangers di Londra, dopo essere passati per il Millwall. Ray, terzino, era senz’altro il migliore, tanto da venir convocato fin dal 1963, a far parte della nazionale dell’Eire. Arrivò così il giorno che papà Edward, che faceva il portuale nella capitale irlandese, portò il più piccolo dei sette figli, Liam, (oltre a Ray e Pat c’erano Breda, Frank ed Eamon, mentre un’altra femmina era morta in tenera età) allo stadio, dove Pat e i compagni nelle maglie verdi dell’Eire giocavano contro l’Austria. In quell’atmosfera magica di canti, di grida, di folla, di inni nazionali e di bandiere, Liam Brady, ragazzetto mingherlino e già non molto alto, anche per la sua età, sogno di emulare, un giorno, il fratello più grande. Ma c’erano altre cose, in casa Brady che parlavano di football: non mancava occasione che mister Edward non tirasse fuori le storie di suo zio Frank, che negli Anni Venti aveva giocato nel Belfast Celtic, un club che ora non c’è più, ed era stato chiamato due volte in nazionale, per un match di andata e di ritorno contro l’Italia, Il 21 marzo 1926 la partita fu giocata a Torino, e gli azzurri vinsero per 3-0. A Dublino, il 23 aprile dell’anno seguente, l’Italia segnò ancora tre reti, e la squadra di casa due. Poi c’era la passione della gente per il football, tante squadre a Dublino e tanti campionati giovanili per avviare fin da piccoli i possibili campioni del mondo a conoscere tutti i segreti del gioco. E a nove anni Brady entrò nella prima squadra, il St. Kevin’s Boys Club. Un paio di anni dopo, quando dalle elementari passò alle scuole superiori, nel collegio cattolico di St. Aidan, fu costretto però a dividere e raddoppiare il suo impegno con il pallone: a scuola, come in tutte le scuole della Repubblica, di Irlanda, si giocava il football gaelico, che è una variazione più rude del calcio, sostenuta dallo spirito patriottico e irredentista di una popolazione che cerca il più possibile di distinguersi dall’Inghilterra, e quindi anche nel caso dello sport, appoggia le tradizioni locali piuttosto che quelle importate, o imposte, attraverso il lungo dominio della nazione vicina.
Calcio con il St. Kevin’s, gaelic con il collegio: Liam di allenamenti e di padronanza della palla ne aveva come un professionista: però doveva per forza scapparci il conflitto, che esplose quando, a 15 anni, si trovò convocato dalla nazionale studentesca per una partita contro il Galles, e nominato capitano della squadra. Quando andò dal preside, Padre Walsh, per chiedergli il permesso di stare assente per il match, il superiore non mostrò affatto di congratularsi con lui per essere stato chiamato a rappresentare l’Irlanda. Invece gli ricordò che nello stesso giorno c’era un’importante partita di gaelic contro un’altra scuola, e senza mezzi termini gli fece capire che, se avesse rifiutato di difendere l’onore dell’istituto preferendo giocare al calcio, poteva considerarsi espulso. Naturalmente Brady giocò in Galles con l’Irlanda, fu espulso dalla scuola con il pieno appoggio della famiglia, e soprattutto di suo padre, e alcuni giorni dopo la storia finì su un giornale di Dublino, che denunciò l’assurdità del comportamento del preside. Ma non ci fu nulla da fare: Liam non rimise più piede al St. Aidan, se non per gli esami di fine anno, ai quali si era preparato in un altro istituto.
Del resto non aveva più bisogna di tornare a scuola, perché subito dopo arrivò la chiamata dell’Arsenal, che lo aveva accettato nel suo vivaio. Era il 1971, e Liam aveva 15 anni. L’Arsenal lo stava tenendo d’occhio da un paio d’anni prima, quando due dei suoi talent scout, Malwyn Roberts e Bill Darby, lo avevano segnalato a Highbury, e nell’estate avevano provveduto a farlo arrivare a Londra, per il primo provino. Il ragazzino si fece prendere, quella volta, dall’emozione, e per una buona mezz’ora non riuscì a combinare nulla, quasi avesse il piede paralizzato. Poi, quando mister Roberts, che lo aveva accompagnato, stava già per sprofondare, cominciò a far capire che anche nel suo caso l’intuizione del talent-scout non era stata fasulla. A quello, nell’estate successiva, era seguito un altro periodo di prova, un’altra estate a Highbury, e finalmente, l’anno dopo, la convocazione definitiva. Non fu facile, per Brady, adattarsi subito a Londra, alla lontananza dalla famiglia, dalla gente cordiale di Dublino, e soprattutto al rigido ambiente del vivaio, dove continuavano ad arrivare ragazzi da tutta la Gran Bretagna, e dall’Irlanda, molti dei quali venivano rispediti a casa, con il sogno di diventare un campione del football infranto per sempre.
Durante le vacanze di Natale, alla fine di sei mesi di intenso tirocinio, Brandy di nuovo in famiglia fu sul punto di lasciare tutto: disse ai genitori che non ne voleva più sapere di Londra e del calcio e il giorno fissato si rifiutò di far ritorno in Inghilterra. Arrivando un paio di lettere da Highbury, che chiedevano notizie e lo invitavano a ripresentarsi al più presto agli allenamenti. Bastò questo per far superare la crisi a Brady che, pur con due settimane di ritardo, si presentò finalmente al quartier generale dell’Arsenal, che non doveva più lasciare per quasi dieci anni. Brady era stato preso in forza dal settore giovanile dei «cannonieri» proprio al termine di quella che era stata la stagione più gloriosa nella centenaria storia del club londinese. Nel campionato 1970-71 i rossobianchi avevano conquistato, oltre al primo posto in classifica, anche la Coppa d’Inghilterra, realizzando una doppietta che rappresenta un risultato eccezionale e ambito da tutte le maggiori formazioni del campionato inglese. Si respirava quindi ancora l’atmosfera esaltante delle celebrazioni dei festeggiamenti, e i ragazzini del vivaio tremavano di emozione e di rispetto incrociando negli spogliatoi sul campo e nelle sale di Highbury i campioni che avevano saputo cogliere un tale trionfo. Ma per Brady e compagni tutto doveva scemare molto presto nelle delusioni e nel declino delle stagioni successive. Pochi giorni dopo la fine del campionato, il coach Don Howe aveva deciso di andarsene, per tentare la carriera di manager con il West Bromwich Albion. Fu soprattutto quella la causa delle successive fortune avverse dell’Arsenal, in quanto, privo del validissimo aiutante, il manager Bertie Mee si rivelò subito incapace di mantenere gli standard che avevano consentito alla squadra l’accoppiata campionato- coppa. Tuttavia, per il momento, queste vicende non toccavano direttamente Brady e gli altri della squadra giovanile, che si stavano formando il carattere e le qualità partecipando al campionato della categoria, vestendo però di tutto punto come i grandi della prima divisione, e scendendo in campo contro altre formazioni che porta- vano i nomi di Liverpool, Manchester United, Tottenham. In quel contesto, sotto la guida del responsabile del vivaio, Brady imparo a limitare l’istinto naturale che lo portava a insistere troppo nel possesso della palla, a discapito del gioco di squadra: e allo stesso tempo raffinò la sua tecnica a un livello decisamente superiore alla media, in modo da supplire con l’abilità alle carenze di peso e di statura nei confronti dei compagni.
Comunque per questo, continuavano a riempirlo di vitamine e di diete super-nutritive, per rafforzarlo il più possibile e per mettergli di resistere agli scontri e battere i più massicci difensori avversari. Già nella sua prima stagione con l’Arsenal, Brady venne convocato con una certa frequenza nei ranghi delle riserve, vale a dire l’anticamera della prima squadra. Le riserve disputano un campionato appositamente creato per loro, e fanno trovare insieme i giovani che sperano di arrivare finalmente al grande debutto, e i calciatori della prima squadra che vengono declassati fino a che non ritrovano la forma e la capacità di ritornare a far parte della formazione superiore. In tal modo, Brady si trovò a giocare con Alan Ball, uno degli eroi della nazionale della Coppa del Mondo 1966, che nell’Arsenal era il motore, il perno del centrocampo, l’animatore di ogni azione, che dirigeva gridando in continuazione come un sergente maggiore ma comunicando il suo entusiasmo a tutti gli altri. Così il mingherlino dal piede sinistro magico, cha giocava naturalmente sulla fascia esterna a sinistra, collaborando col centrocampo in maglia numero undici, venne definitivamente giudicato maturo per il passaggio nei ranghi dei professionisti: nel febbraio del 1973 fu ingaggiato dall’Arsenal con un contratto della durata di due anni, a 120.000 lire al mese. Per un ragazzo di diciassette anni era quanto di meglio potesse desiderare.
Nel ‘73-’74 Bertie Mee si riproponeva di provare a risolvere le sorti della squadra, già lacerata da profondi contrasti tra giocatori e dirigenti, con un coach che riuscisse a riportare l’ordine e i risultati ottenuti nell’armata d’oro da Howe. Così, al posto di Steve Burtenshaw, che nelle due stagioni successive non aveva fatto molto più che litigare con tutti, da Alan Ball a Charlie George, fu assunto Bobby Campbell. L’arrivo di Campbell fu preceduto però di pochi giorni dal passaggio di Frank McLintock, una delle colonne dell’Arsenal campione, al Queen’s Park Rangers. Oltre che a rinnovare i sistemi di training, Mee voleva anche ricostruire radicalmente la squadra. L’impresa però si rivelò ben presto un salto nel vuoto. Nel settembre del 1973 i «cannonieri» vennero subito messi fuori dalla Coppa di Lega perdendo a Highbury dal modesto Tranmere. In tale contesto, il 6 ottobre, arrivò per Brady il grande giorno. Convocato in panchina con le riserve per l’incontro di campionato in casa con il Birmingham City, senza alcuna prospettiva di essere impiegato nel corso della partita, si trovò invece a debuttare a freddo, quando una brutta distorsione al ginocchio mise fuori causa Jeff Blockey. Non ci volle molto, tuttavia, per vedere messo in pratica tutto il talento e il mestiere messi insieme nel solido apprendistato: l’Arsenal vinse uno a zero, con un gol di Ray Kennedy, ma tutti i commenti della stampa furono per lodare la prova di Liam Brady. La gioia fu però di breve durata: la settimana dopo, Mee lo schierò fin dall’inizio contro il Tottenham, che vinse due a zero, e il gioco dell’Arsenal e di Brady furono definiti un incubo. Così fu rimandato a qualche lezione supplementare nelle riserve. Ma ormai si era fatto notare, e nel gennaio del 1974 fu di nuovo chiamato a giocare in campionato. Le sorti dell’Arsenal continuavano ad alternare poche vittorie a molte sconfitte, dimostrando che anche Campbell non aveva niente da spartire con le qualità del sempre più rimpianto Don Howe. Ma il 30 aprile del 1974, durante il match casalingo con i Queen’s Park Rangers, Alan Ball si ruppe una gamba, e Brady andò a occupare per la prima volta quel ruolo di regista che lo avrebbe poi definitivamente consacrato tra i migliori calciatori della scena inglese. In totale giocò quell’anno solo nove partite in prima squadra, e sembrava destinato ad attendere ancora prima di potersi assestare definitivamente tra i titolari, se non che durante la tournée preliminare alla stagione 1974-75 in Olanda, Ball, che aveva cercato di ristabilirsi al più presto, tornò a rompersi la gamba, garantendo automaticamente la permanenza di Brady in prima squadra. Poco dopo il 30 ottobre, Johnny Giles, valido manager-giocatore, coronava il momento fortunato del suo connazionale chiamandolo a rivestire per la prima volta la maglia verde dell’Eire, in un clamoroso match di qualificazione per gli Europei a Dublino contro la Russia battuta per tre a zero.
Tornando a Londra, il giorno seguente, Brady dovette però tornare bruscamente alla realtà ben diversa dell’Arsenal ridotto a fanale di coda della prima divisione. E per giunta venne a sapere che Mee aveva deciso l’acquisto di Alex Cropley, un giocatore delle sue stesse caratteristiche. «Stai tranquillo, tu continuerai a essere il titolare» gli disse il manager per rassicurarlo, quindi lo rimandò subito tra le riserve, dove si procurò uno stiramento addominale che lo tenne fuori praticamente fino alla fine del campionato. L’Arsenal riuscì a salvarsi per un pelo, finendo al 19. posto. Il 1975-76 non cominciò per nulla con auspici migliori. Brady fu richiamato tra i titolari, gioco 30 partite e fece anche tre gol, ma la squadra non andò oltre il 15. posto. Fu anche troppo, considerata l’aria da guerra civile che tirava a Highbury: Bertie Mee ormai non si faceva più vedere, e Campbell non faceva altro che aumentare il nervosismo dei giocatori, scontrandosi con Ball a ogni occasione, e provocando infine la sua richiesta di trasferimento. Già se n’era andato Kennedy, acquistato dal Liverpool, e quindi fu la volta di Charlie George, che passò al Derby. Quindi toccò a McNab, trasferito al Wolverhampton. Tuttavia, anche in mezzo a quello sfacelo, qualcosa di buono stava succedendo: certo, l’Arsenal continuava a lottare per la salvezza e farsi buttare fuori dalle Coppe Nazionali fin dalle prime battute, ma il crescente impiego di elementi giovani, come Brady, O’Leary e Stapleton, avrebbe dato i suoi frutti in futuro, quando Mee e Campbell sarebbero già stati lontani. Ai primi di marzo, infatti, il manager annunciò, senza riuscire a trattenere le lacrime di fronte ai giornalisti, che a fine stagione se ne sarebbe andato. Ciò creò subito una spaccatura in seno alla squadra: alcuni volevano Campbell, gli altri (e Brady tra questi) un radicale colpo di timone. Finito il campionato, con l’Arsenal ancora miracolosamente salvo, in 17. posizione in classifica, il consiglio direttivo della società decise di optare per un elemento nuovo, e invece che accettare Campbell affidò il posto a Terry Neill, manager del Tottenham, che si portò dietro anche il coach Will  Dixon. Ben presto però Brady e gli altri si sarebbero accorti che anche questo cambiamento non avrebbe mutato granché per quel che concerneva l’ambiente e i risultati. Neill cominciò subito a sbarazzarsi di quelli che erano stati fautori di Campbell: continuò, come avevano fatto i suoi predecessori, a scontrarsi violentemente con Ball, che era considerato il capo, il rappresentante e il portavoce dei giocatori, e comprò dal Newcastle United Malcolm MacDonald, un centravanti di grandi capacità ma estremamente egocentrico, che ben presto impose alla squadra di giocare esclusivamente in sua funzione, causando perciò alti e bassi a seconda delle sue condizioni e del suo rendimento a ogni singolo incontro. Così Brady, e i nuovi come O’Leary, Rix e Young (preso dal Tottenham) debbono ruotare attorno a MacDonald, i cui acuti non sembrano essere così frequenti come le stonature.
L’unica carica psicologica arriva a Liam dall’attività con la nazionale irlandese, che sotto Giles attraversa un positivo periodo di revival, anche se alla fine sia la qualificazione agli Europei che ai Mondiali del 1978 verrà mancata. Ma l’aria che si respirava nell’Eire è sempre molto più buona di quella di Highbury. L’inizio del 1977 ve de l’Arsenal precipitare in un baratro di undici partite negative di fila. È poi la volta dell’eliminazione della Coppa d’Inghilterra, buttati fuori dal Middlesbrough. Neill accusa i giocatori di non essere capaci di battere nemmeno undici «bidoni della spazzatura». Brady è alla nausea. La squadra ha un’impennata d’orgoglio nel finale della stagione, riuscendo a terminare a metà classifica. Ma questo non gli impedisce di chiedere il trasferimento. Lo trattiene in seguito la decisione della presidenza, che si è resa conto che non è più possibile continuare in quel modo: o si trova un coach che sappia fare il suo mestiere, come la tradizione dell’Arsenal richiede, o non si vede come la squadra possa uscire dal tunnel. Si fa il nome di Dave Sexton, che però sceglie il Manchester United. Intanto l’Arsenal è in Australia, a disputare un torneo di amichevoli in preparazione del 1977-78. Neill ne combina un’altra delle sue, spedendo a casa in anticipo MacDonald e Hudson, rei di aver bevuto un bicchiere di fronte al presidente. Ma il 9 agosto arriva l’annuncio che riempie Brady e gli altri di un entusiasmo che non credevano di ritrovare più: l’Arsenal ha un nuovo coach, Don Howe. Sì, l’uomo che tutti a Highbury rimpiangevano ha deciso di ritornare all’ovile, e in pochi giorni con le sue qualità umane e di tecnico conquista tutti giocatori. Neill viene ridotto a fare il direttore sportivo, a occuparsi della stampa e delle pubbliche relazioni, ma tutto quello che ha a che fare con il gioco dell’Arsenal non deve più riguardarlo direttamente: ci pensa Howe a decidere la formazione, a studiare ruoli, schemi e tattiche, a gridare gli ordini dalla panchina.
Così l’Arsenal ritorna nel giro delle grandi, e si qualifica per la finalissima della Coppa d’Inghilterra di Wembley, contro l’Ipswich. Brady è tra quelli che hanno messo maggiormente a frutto gli insegnamenti di Howe: si fa sempre più spesso notare tra i migliori in campo, si spinge in avanti, come vuole il coach, e comincia a segnare oltre che a far segnare con la sua abilità di playmaker. Purtroppo è l’Ipswich che si aggiudica la Coppa, con una sola ma ugualmente determinante rete. Ma il disappunto per aver mancato il successo proprio all’ultimo viene sfruttato da Howe per dare una carica ancora maggiore all’Arsenal nella stagione che viene. Ancora una volta il coach dà prova delle sue qualità: ancora l’Arsenal arriva alla finalissima di Wembley, e Brady è salutato unanimemente come l’artefice primo dell’appassionante scalata alla Coppa d’Inghilterra. Tanto che l’associazione calciatori professionisti lo elegge «miglior giocatore della stagione» e i giornali cominciano a parlare di lui, con titoli sempre più altisonanti, come del numero due del calcio britannico, secondo solo a Kevin Keegan. A Wembley, Brady fornisce la prova più convincente ed esaltante che l’onore tributatogli dai colleghi è ampiamente meritato: l’Arsenal batte il Manchester United per tre a due, al termine di novanta minuti che sono passati alla storia tra i più emozionanti della prestigiosa competizione. È Brady a suggerire i due gol che portano in vantaggio i «cannonieri» nel primo tempo, ed è ancora lui, a pochi secondi dalla fine, a fare avere una palla stupenda a Sunderland, che annulla così ogni sforzo dello United, che nella ripresa si era portato sul due a due. Oltre duecentomila persone salutano il ritorno dell’Arsenal nel quartiere di Highbury, cantando «di Liam Brady ce n’è uno solo». Ma poco dopo il loro entusiasmo si spegne con la notizia che il loro idolo ha deciso di andarsene quando, a meta del 1980, scadrà il suo contratto.
Come Keegan, come Woodcock e Cunningham, anche lui vuole cimentarsi nel Continente, misurando il suo valore e acquistando nuove abilità nel confronto con il calcio di una nazione europea di grandi tradizioni, come la Germania, la Spagna o l’Italia. Nel frattempo continua a dare il meglio di sé, anche se i tifosi sono pronti a beccarlo, adesso, per l’occasionale svista, e i dirigenti di Highbury rimproverano la mancanza di lealtà nei confronti del club. Ancora una volta, ed è storia di quest’anno, l’Arsenal arriva in finale a Wembley, ma il peso di una pressante stagione inglese ed europea, in Coppa delle Coppe, si fa sentire di colpo, e la vittoria è del West Ham. Però il valore di Liam non è sfuggito a Boniperti, che l’ha osservato a Highbury e soprattutto a Torino guidare la sua squadra nell’eliminazione della Juventus dalle semifinali di Coppa delle Coppe. Il piano del presidente bianconero è di assicurarsi l’irlandese a centrocampo e Rossi in attacco: lo scandalo delle scommesse fa sfumare l’abbinamento e Brady per un po’ viene lasciato nel cassetto. Ma dopo aver girato in lungo e in largo per il mondo, rischiando di restare a mani vuote, la Juventus e giunta il mese scorso alla conclusione che nessuno tra gli stranieri disponibili aveva la classe e il potenziale di Liam Brady, soprattutto al prezzo di appena un miliardo e qualche milione di lire. E l’uomo di Dublino arriva trionfalmente alla corte della Vecchia Signora per aiutarla a recuperare il fascino perduto.
Nel ‘78-79 William-Liam (all’italiana) Brady ha vissuto il suo periodo migliore vincendo il premio riservato al calciatore dell’anno e la Coppa d’Inghilterra a chiusura di una stagione davvero meravigliosa. Ed è stato soprattutto suo il merito del successo che l’Arsenal ha conseguito a Wembley quando ha battuto il Manchester United per la conquista del più ambito trofeo del calcio inglese: senza i suoi passaggi e la sua visione di gioco, infatti, questo risultato non sarebbe giunto. Ma la stagione ’78-79 è stata, per il fuoriclasse irlandese, la migliore di tutta la sua carriera visto che, con 17 gol, ha realizzato il proprio record quale marcatore. E quando Sir Stanley Matthews, l’indimenticato fuoriclasse del calcio britannico degli Anni Quaranta e Cinquanta, gli ha consegnato il premio riservato al calciatore dell’anno, Brady ha detto: «È il più importante riconoscimento che abbia mai ricevuto».
Quando Arsenal e Manchester United si sono trovati di fronte a Wembley per la finale della Coppa, tutti si aspettavano un Brady goleador: al contrario, lui si è proposto a pubblico e tecnici come regista e creatore di occasioni favorevoli per gli altri, e questa è stata la risposta a chi non credeva in lui e a chi ne contestava il diritto alla successione di Keegan come «number one» del calcio inglese dopo la sua partenza per Amburgo.
Era da tempo che Brady diceva di voler tentare, una volta scaduto il contratto con l’Arsenal, l’avventura in Europa ma sempre, in un modo o nell’altro, i «gunners» erano riusciti a farlo rientrare anche perché, valutandolo tre milioni di sterline (è vero o no che Francis, due anni or sono, fu valutato un milione?) pensavano di poter respingere gli assalti... europei sulla loro star. E invece... la Juve ce l’ha fatta e ora sulla testa di Dennis Hill-Wood, presidente del club londinese, si sono addensate molte nubi foriere di tempesta.
Nei sei anni che Brady ha vestito la maglia dell’Arsenal non si è certamente imposto come goleador: una sola rete (in nove partite) nel ‘73-74; tre l’anno dopo; cinque ognuno nei due campionati successivi, ma le 17 realizzate due anni fa sembrano dare ragione a Don Howe, l’allenatore dell’Arsenal che in questo ragazzo ha sempre creduto ciecamente. Sempre a proposito del Brady-goleador, sentiamo cosa pensa di sé il giocatore: «Far gol è la cosa più bella del mondo anche se devi solo toccare il pallone in fondo alla rete avversaria da due metri. Ancor più bello, però, è segnare da lontano, come faccio io quasi sempre. Ci sono due persone che mi hanno dato coraggio in questa mia veste: Terry Neill e Don Howe, ed io cerco di seguire i loro suggerimenti. So benissimo che la gente mi considera una punta ma io, in questa posizione, ho giocato solo un paio di volte in assenza di Stapleton o McDonald per infortunio». Rigorista emerito, Brady è difficilissimo che sbagli dagli undici metri: «Nell’Arsenal – dice – ho ereditato questo compito da MacDonald quando Supermac sbagliò due rigori consecutivi. Allora gli subentrai io e da quel giorno non ho più ceduto a nessuno quest’incarico». 
 
DARWIN PASTORIN, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 13 AGOSTO 1980
Liam Brady e la Juventus si sono amati a prima vista. È stata davvero una «corrispondenza d’amorosi sensi». Cinquemila persone, per la vernice di Madama a Villar Perosa, hanno applaudito a lungo l’irlandese, che ha dato subito buona mostra di sé: sinistro magico, lancio lungo, intesa già magnifica con Roberto Bettega. I venditori di gagliardetti e bandiere bianconere hanno fatto affari d’oro grazie a questo irlandese silenzioso, un po’ timido, che non perde mai l’occasione per applaudire la prodezza di un compagno. Le bancarelle, ai bordi del campo, portavano scritto: «Esaurite le foto di Brady». L’amarezza-Maradona è già stata dimenticata. Un tifoso antico della Juve ha gridato all’avvocato Agnelli, immancabile all’appuntamento della «prima» di Madama: «Grazie per averci acquistato questo gran giocatore». Lo stesso Gianni Agnelli, festeggiato calorosamente dai tifosi, si è espresso in termini lusinghieri nei confronti del centrocampista: «Brady sa giocare al calcio, è un uomo d’ordine che col sinistro fa veramente quello che vuole. Non è molto veloce, ma si fa vedere in ogni zona del campo».
La benedizione dell’avvocato vale oro. Brady davanti a un simile attestato (una specie di laurea ad honorem pallonara) si è lasciato scappare un lieve sorriso. Dichiarazioni ditirambiche: l’irlandese veste già stile Juve... Anche Giampiero Boniperti ha visto un Liam Brady in gran forma. Solitamente parco di parole e di giudizi, il presidente si è sbottonato, segno evidente che questo Brady piace davvero (non è quindi, come hanno affermato certi maligni, soltanto una soluzione di ripiego...). Boniperti ha detto: «Brady mi ha molto soddisfatto. D’altronde, non lo scopriamo certo noi ora. In Inghilterra ha giocato più di duecentocinquanta incontri, segnalandosi sempre come un giocatore utile e continuo. Bene, davvero bene questo Brady: i compagni lo cercano e lui ha per tutti palle bellissime, lanci in profondità da primo della classe».
Liam Brady si è già inserito perfettamente nel tessuto bianconero. Il suo fair-play, tipicamente anglosassone, ha conquistato i tifosi. Pier Carlo Perruquet, capo carismatico dei supporters bianconeri, ha detto: «Brady, dopo che lo avevamo accolto trionfalmente al suo arrivo, all’aeroporto di Caselle, ci ha telefonato alla sede del “Club Torino” per ringraziarci. È veramente un ragazzo eccezionale. Per noi è già un beniamino. Ancora una volta Boniperti ha visto bene».
In campo, Liam ha parole di stima per tutti. Chiama i compagni con nome di battesimo o col nomignolo di battaglia: «Franco», «Cuccu», «Bobby». La sua intesa con Bettega, parole e musica di Giovanni Trapattoni funziona già a meraviglia. «Tra i due, che parlano lo stesso linguaggio calcistico – ha avuto modo di dire il Trap – certe giocate vengono spontanee. Due fuoriclasse sanno trovarsi anche a occhi chiusi. Non servono le tattiche o le alchimie».
Liam Brady e la Juventus, insomma, è già un grande amore. E, a detta di molti, non sarà soltanto una parentesi estiva, un approccio destinato a concludersi alle soglie dell’autunno. Brady e la Juve vogliono amarsi follemente per tre lunghe stagioni (il periodo cioè, della durata del contratto dell’irlandese) senza mai ombra di peccato o di tradimento. E poi, si sa, Madama non perdona gli amanti infedeli. È fatta così. Vecchia sì, ma non in menopausa... Al contrario, come tutte le «jeunes filles en fleur» di una volta, Madama è per i lunghi sodalizi anche se sa che in questo modo si rischia di sfilacciare il rapporto. Meglio un rapporto sfilacciato ma vissuto intensamente e a lungo, però, di un colpo di fulmine che si conclude nel breve spazio di pochi mesi: questo può essere accettato da chi non ha la classe di Madama. Lei invece, profumata e vestita con grande chic, si concede sì ma solo a chi la merita e Brady, questo irlandese dagli occhi chiari come l’acqua di un fiume di montagna, indubbiamente la merita.
 
GRAZIA BUSCAGLIA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 27 AGOSTO 1980
Mr. e Mrs. Brady formano una bella coppia: lei, Sarah, una biondina londinese di vent’anni, è un vulcano di idee e di progetti. Lui, il famoso Liam, quando ha al fianco la graziosa mogliettina è totalmente diverso dal «Brady calciatore», persino l’espressione del suo volto, burbera e impenetrabile a ogni «impatto» con i giornalisti, si trasforma in quella tipica dell’omino innamorato di Peynet. Si sono sposati a fine maggio a Londra, secondo il rito protestante, anche se lui è cattolico. «Quel giorno – svela Sarah – Liam era emozionatissimo, neanche avesse dovuto giocare la finale di Coppa del Mando: in più gli dava fastidio la mia calma. Era comico a vedersi».
Sarah e Liam si sono conosciuti due anni fa a Dublino. «Era proprio destino che lo incontrassi: fino a cinque anni fa io ero vissuta a Londra, poi mio padre fu trasferito a Dublino per ragioni di lavoro. Liam era in vacanza dai suoi. Era già famoso: in Irlanda, poi, è una sorta di semidio. Una sera, appunto, ero in un pub con degli amici quando lui entrò. Tutti, al suo ingresso, avevano cominciato a bisbigliare: “C’è Brady, c’è Brady”, nemmeno fosse stato la Regina Elisabetta! Io sono molto orgogliosa di essere inglese, figuriamoci se mi sarei mai abbassata a sbavare per un irlandese. Dopo un po’, i miei amici mi fecero notare che questo Brady mi stava puntando. Liam mi venne vicino e mi offrì da bere: gli risposi che non avevo bisogno di niente. Non mi piaceva. Allora, per giunta, io uscivo con un altro ragazzo: non ero neanche tifosa dell’Arsenal, seguivo il Leeds. Cominciammo a parlare e lo trovai simpatico, mi divertivo a chiacchierare con lui. Quando tornò a Londra mi scrisse molte lettere e mi telefonò sovente. Beh, debbo dire che ancora adesso quando siamo lontani Liam vive al telefono. Poi, non si sa bene come e perché, mi innamorai di questo irlandese ed eccomi qua, sposata».
 Liam, da quanto dice Sarah dev’essere stato difficile vivere separati, tu a Londra e lei a Dublino...
«È stato molto più difficile per me. Sarah è sempre stata indipendente, troppo indipendente. Ci vedevamo una volta al mese, ma lei era talmente occupata che non si accorgeva neanche del tempo che passava. Io contavo non solo i giorni, ma persino le ore e i minuti».
 Liam è geloso di te come della sua vita privata?
«Sotto questo punto di vista è un vero uomo latino, altro che irlandese! Non vorrebbe mai lasciarmi sola, si preoccupa troppo». «Lei invece – interviene Liam – non si preoccupa per niente. “Stai tranquillo, io so ciò che devo fare”, mi dice, e mi “spedisce”. Anche adesso è tutta presa dall’Italia, da Torino, le novità la eccitano».
Sarah sprigiona voglia di vivere da tutti i pori: trovarsi in un Paese sconosciuto, ma tanto decantato dalla Letteratura anglosassone, ha per lei il sapore dell’avventura in cui tutto è da scoprire. Torino la affascina e inoltre, come ogni donna, è attratta anche dalle vetrine dei negozi del centro. Osserva i prezzi, calcola in sterline e poi afferma in tono scherzoso. «Qua ci porto Liam: gli dirò che se non vuole farmi sentire sola, deve comprarmi qualcosa. È un modo come un altro per rifarmi il guardaroba».
La neo signora Brady non avverte minimamente la difficoltà di inserirsi in un nuovo Paese di cui non conosce la lingua. «Sto imparando ad attraversare la strada senza finire sotto una macchina, in più so raggiungere il centro usando i mezzi pubblici. Quando poi avrò, la casa da arredare, allora sì che verranno i problemi. Fino a quando vivremo in albergo, starò come una regina».
«La casa che avevo visto in un primo momento – dice Brady – aveva una sola stanza da letto, mentre noi ne vogliamo perlomeno due. Altrimenti i parenti e gli amici che verranno dall’Inghilterra dove li metteremo?».
 Allora, Sarah, dovrai cambiare anche il tuo modo di cucinare, imparando a preparare le specialità italiane...
«Devo proprio imparare a cucinare, perché io sinceramente non so neanche da che parte si cominci. Mi sono sposata a fine maggio, sono stata venti giorni in California, una settimana in Irlanda, dieci giorni in Spagna in viaggio di nozze. Quando siamo tornati a Londra, Liam era talmente preso dal suo trasferimento che mangiava qualsiasi cosa gli mettessi nel piatto. Ora il discorso cambia: dovrò comprarmi libri e libri di cucina, In compenso Liam è un ottimo cuoco, se la cava benissimo con le pentole».
 E con le faccende di casa in genere, come te la cavi?
«Sono la più piccola di casa: col fatto che mi hanno sempre considerato la “baby” non mi sono mai occupata di nulla. Immaginarsi poi quando ho annunciato che mi sarei sposata! Mio fratello Richard e mia sorella Susy sono ancora “scapoli” mentre io a vent’anni mi sono già fatta “incastrare”. Che pazza, eh?».
 I tuoi genitori erano contenti del tuo rapporto con Liam?
«I miei non avevano mai avuto una grande considerazione per i calciatori, dicevano che sanno ragionare solo con i piedi. Poi hanno conosciuto Liam e si sono ricreduti. L’importante per loro, poi, era che io fossi felice. Dopo tutto con Liam ci vivo io e non i miei genitori».
 Che cosa facevi prima di sposarti?
«Lavoravo in un teatro come impiegata, ma non era un lavoro d’ufficio, era più di pubbliche relazioni. Mi divertivo moltissimo».
 Ora pensi di dedicarti totalmente ai nuovi compiti di casalinga?
«Ma che cosa ho fatto di male per essere relegata fra le pareti domestiche? No, no, vuoi scherzare? Ottima moglie e discreta casalinga, questo sì, ma io voglia lavorare fuori, non voglio mica aspettare il ritorno di Liam a casa! Appena, me la caverò con l’italiano cercherò d’insegnare inglese in qualche scuola privata».
 Sarah, che tipo è Liam fuori dal campo?
«È molto tranquillo, un casalingo senza particolari interessi. Ama molto ascoltare la musica, specialmente il folk e il rock, gli Eagles, Bob Dylan, i Rolling Stones. Guai a mettergli in disordine i suoi dischi!».
 Che cosa ti ha colpito di lui?
«La bellezza», interviene Liam scherzando. «Oh no, la bellezza proprio no. La dolcezza».
 Com’è Liam prima di una partita?
«Molto sereno. Lo è meno dopo una sconfitta».
 Che cosa ti ha raccontato di particolare nelle telefonate-fiume che ti ha fatto una volta giunto in Italia?
«Appena arrivato a Villar Perosa mi ha telefonato in piena notte: Sarah, è bellissimo – diceva – mi han fatto un’accoglienza indescrivibile. Dovevi vedere i tifosi, mai visto gente così meravigliosa! La seconda sera invece mi ha detto: “Ora sono un vero italiano: conosco già tutte le parolacce”. Bel tipo, no?».
 L’hai trovato un po’ cambiato da quando è in Italia?
«Sì, l’Italia, ma soprattutto la Juventus, gli hanno restituito una voglia di fare che a Londra aveva perso. È entusiasta, dice che non poteva capitare meglio di così. Prima di arrivare a Torino, poi, a Liam non interessava affatto la moda maschile. Adesso mi ha già detto che vuole comprarsi qualcosa di nuovo, è stufo di essere subito riconosciuto come straniero, e proprio per il modo di vestirsi. In più sta imparando a guidare all’italiana». ...«E sono un asso – dice Liam – a volte qualche mio compagno di squadra mi fa guidare la sua macchina. Sono bravissimo».
 Tuo marito ha una certa avversione per la stampa: perché?
«No, Liam ha le sue simpatie: anche qua in Italia ha già inquadrato bene i vari giornalisti».
 E quando in campo scendono Irlanda e Inghilterra tu, Sarah, per chi fai il tifo?
«Per l’Inghilterra, è chiaro. È successo lo scorso febbraio a Wembley: quando Keegan segnò, io saltai in piedi dalla gioia, mentre i vari tifosi irlandesi che sapevano che io ero la fidanzata di Brady mi guardavano disgustati. Ma Liam mi capisce... Non si può rinnegare la propria nazione. E poi ne sa qualcosa: è stato persino espulso dal collegio pur di non perdere un incontro con la rappresentativa irlandese!».
 Liam, che importanza ha Sarah nelle tue decisioni?
«Lei è tutto per me: qualsiasi cosa io intenda fare, lei ne è al corrente e mi consiglia. Sarah ha una personalità molto più forte della mia, sa sempre come agire, soprattutto non è per nulla emotiva. È una vera sicurezza per me».
 Che differenza di gioco hai riscontrato fra il calcio inglese e quello italiano?
«In Italia il gioco è lento, si porta molto la palla e si ha paura di scoccare tiri da fuori area. In Inghilterra non ci si risparmia mai, è un continuo arrembaggio».
 A quanto pare la Juventus ti ha conquistato...
«Sono entusiasta, l’ambiente è favoloso, mi trovo perfettamente a mio agio. I miei compagni di squadra mi hanno aiutato e continuano tuttora a farlo. Mi sembra di stare con loro da sempre».
 Che cosa ti ha colpito maggiormente da quando sei in Italia?
«Pensavo che gli inglesi fossero pazzi per il football, ma qui invece si vive proprio per il calcio, quotidiani sportivi a non finire, riviste di calcio a fiumi, giornalisti di tutti i generi, è straordinario. Ancora non riesco a leggere il contenuto degli articoli, ma comprendo i titoli: già da un mese non faccio altro che leggere il mio nome scritto a caratteri cubitali e penso ai poveri lettori che tutti i giorni sono costretti a sentire parlare di questo Brady. E poi mi hanno colpito tantissimo i tifosi con il loro calore, il loro entusiasmo».
 Dove arriverà questa Juve?
«Spero il più lontano possibile: se la Juve andrà forte vorrà dire che anch’io avrò fatto la mia parte».
 E tu dove vuoi arrivare?
«Mi... basta essere felice: qui a Torino, con Sarah».
 
Brady è un regista giovane, ma calcisticamente maturo; arriva in Italia con etichetta irlandese, ma rivela ben presto insospettate capacità di adattamento che gli consentono di inserirsi senza problemi nella squadra bianconera. Col suo arrivo nella Juventus ricompare il regista, giubilato da Trapattoni dopo la partenza di Capello e interpretato in seguito, seppure in modo anomalo, da Benetti e Furino.
Così la Juventus torna a una manovra ordinata, basata sulla ricerca di impostazioni logiche e razionali, anche se il ritmo non eccezionale dell’irlandese riduce in parte le accelerazioni. «Con quel sinistro potrebbe scappare di prigione», aveva scritto un reporter londinese, non privo di humour.
Investito nei primi giorni da una curiosità che sfiora aspetti morbosi, Liam si rifugia ben presto in un rapporto formalmente ineccepibile, ma che poco concede all’interlocutore. Soluzione necessaria e appropriata.
Ma ancora oggi, a distanza di anni, Brady è ricordato nell’ambiente torinese con ammirazione e simpatia. Anche per la sua vita privata Liam lascia nel ricordo tracce indelebili. Lo prova il fatto che, in perfetto accordo con la moglie Sarah, decide di far nascere a Torino la figlioletta Ella, che viene alla luce a metà gennaio 1983, quando l’irlandese già si trova a Genova, in quanto trasferito nell’estate precedente alla Sampdoria.
«Fu una fortuna, per lui, che fosse sistemato in camera, fin dal ritiro di Villar Perosa, col sacrestano delle rincorse, Furia Furino – racconta Caminiti – perché gli vennero insegnati gli stimoli alla lotta, perché riuscì a scaldarsi al fuoco dell’emulazione e cominciò a giocare alla grande, disimpegnando il suo piede mancino da vicino e da lontano, con sicura maestria. Certo, poco appariscente e, a voler essere obiettivi, spesso pigro nel corso della stessa partita: come Furia andava a soffiargli nelle orecchie con la sua voce grattata, Brady riprendeva la sua corserella, svelando doti di centrocampista di impulso ed anche di agonismo sicuramente superiori alla media».
Le due stagioni di Brady alla Juventus sono coronate dalla conquista di altrettanti scudetti. Trapattoni dirà che sono gli scudetti che sente di più come suoi, maturati nel rinnovamento di una squadra che comincia a perdere qualche grosso nome del passato (Morini, Benetti e Boninsegna) per dare spazio a giovani che si chiamano Cabrini, Farina, Prandelli, Marocchino e Galderisi, oltre al recupero di Virdis e alla progressiva affermazione di Brio. In quella squadra il sinistro di Brady, proietta di volta in volta i compagni verso il gol, lo stesso irlandese si segnala anche nei panni di goleador: 8 reti il primo anno, 5 il secondo.
Stupenda la prima stagione, anche se ci mette un po’ di tempo a prendere le misure; viene fuori il pomeriggio del 23 novembre 1980, mentre un terremoto squassava l’Italia del Sud. La Juventus gioca contro l’Inter campione in carica, con una formazione decimata dalle squalifiche volute da Agnolin, dopo un derby scandaloso. Liam segna un gol e un altro lo fa fare a Scirea. La squadra bianconera vince 2–1 e comincia, seriamente, a inseguire la Roma.
La seconda stagione è meno appariscente ma è suggellata, comunque, da un significativo finale. Il 30 aprile 1982, un venerdì, alla vigilia delle ultime tre giornate di campionato, Liam viene informato, all’improvviso, che non sarà riconfermato. «Preso Platini – racconta Giampiero Boniperti, sul suo libro “Una vita a testa alta” –, avevo un grosso problema. E un dispiacere enorme. Dirlo a Brady. Perché di stranieri ne erano consentiti soltanto due e noi avevamo già Boniek, preso in quegli stessi giorni. Brady, Boniek, Platini: uno era di troppo. Avessimo potuto tenerli tutti e tre, con Brady dietro a quei due, saremmo diventati la più grande squadra del mondo. Ho chiamato l’irlandese, dopo un’ora Liam era a casa mia: «Brady, abbiamo preso Platini. Mi rincresce». Pianse e un po’ di magone venne anche a me. A fine stagione venni contattato da Paolo Mantovani, presidente della Sampdoria, per discutere la cessione del centrocampista irlandese. Il reingaggio di Liam l’ho fissato io. E Mantovani fu d’accordo su tutto.
Ma di Brady non si può non ricordare l’ultima partita in maglia bianconera, il 16 maggio 1982, a Catanzaro, giorno in cui la Juventus conquista lo scudetto approfittando del concomitante pareggio della Fiorentina a Cagliari. Vince 1-0 la Juventus, con un rigore trasformato dallo stesso irlandese per fallo di mano sulla linea di Celestini, a seguito di un’ubriacante azione impostata da Fanna con deviazione di Rossi verso il gol. L’episodio accade a metà ripresa, con la Juventus accanitamente protesa verso la vittoria. Liam, rigorista designato, si avvia a battere dal dischetto come se non fosse l’ultima partita e l’ultimo rigore nella Juventus, con un grandissimo esempio di professionalità.
Il gol sancisce l’apoteosi bianconera ed è la rivincita morale di Brady. «Avevo due scelte, due possibilità: fare il professionista e calciare bene il rigore, oppure fare il bambino stupido e rifiutarmi di calciare o, peggio, sbagliare volutamente il tiro. Ho scelto di fare il professionista, ho tirato ed ho fatto gol».
«In quella cruciale domenica di Catanzaro – ricorda ancora Caminiti – toccò proprio a Brady battere il penalty decisivo, contro la squadra di casa, nello stadio infuocato di tifo contro. E segnò, con la gelida tristezza del professionista, confermandosi tra le figure più limpide del poco limpido calcio degli anni recenti».
 
Modificato da Socrates

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Dodge on Twitter: "Liam Brady's Serie A career in Panini stickers (1/2)  🇮🇪🇮🇹 1980-81, 1981-82 Juventus 1982-83, 1983-84 Sampdoria  https://t.co/u24L8XHiOr" / Twitter

 

Liam Brady's comments bring England team down to earth - Extra.ie

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