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Ghost Dog

Ogni Maledetta Domenica

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06 12 2011

Il pugno chiuso

del dottor Socrates

Ho fatto due sogni e a colori. Il primo riguardava Natale e Capodanno: ho

sognato che si giocava il campionato anche in quei due giorni santificati o

festeggiati perché non si era potuta recuperare Parma-Palermo causa nebbia. E

fin qui… Ma per un guasto all’impianto elettrico (modello Oms-Milan di

vent’anni fa a Marsiglia con Galliani un pochino più giovane e imbufalito e

una delle peggiori figure internazionali per il Tricolore prima di Berlusconi

in politica…) una partita rinviata del recupero della prima giornata di

quest’anno, fissata per il 21 dicembre, era stata messa in calendario per la

notte del 31. Il classico brindisi di fine anno era stato previsto dalla Lega

di Beretta e forse anche quella oggi infiammabile di Bossi, proprio tra il

primo e il secondo tempo, durante la pubblicità… Quale partita del ricco

calendario? Non lo so, il sogno non lo diceva, sapete come succede. Capisco

che l’orgia di diritti tv festeggi una partita al giorno o a sera così da non

lasciare buchi e magari si sia costretti a intravedere il Par-ma-Palermo di

cui sopra per mancanza di date, capisco che tutto ruoti intorno a questo

business e non ci sia maltempo o usura dei nostri eroi con i calzari

tacchettati che possa far ragionare la montagna di milioni di euro in palio,

specie di questi tempi grami, alla Monti o alla Fornero, per intenderci.

MA LA DOMANDA sorge necessariamente spontanea: fino a quando può resistere

un meccanismo del genere? E nessuno pensa che, rotta la molla del giocattolo,

sia difficile se non impossibile ripararla? Insomma, non è troppo? E non

pensano che sia troppo anche gli addetti ai lavori, che ammiccano al denaro,

certamente, ma non possono ignorare la saturazione fisica e psichica degli

attori e dei registi in panchina, infatti autentici fusibili di ogni corto

circuito? In questo senso anche il caso-Roma fa testo: non credo che Luis

Enrique sia un incapace, ma se lo fosse tale giudizio inevitabilmente

ricadrebbe su Sabatini e Baldini che lo hanno ingaggiato non per caso, e a

risalire su Tom DiBenedetto che comunque firma i contratti dei due dirigenti.

In teoria dovrebbero andare a casa tutti (meno Totti) assieme al Mister

Delgado principe asturiano e titolare di una “scucchia” (mento) epocale. Ma se

invece lo spagnolo è valido e ha solo bisogno di tempo, la cosa logica sarebbe

dargli la possibilità di seminare correggendo gli errori. Non è la partita di

Firenze che fa testo, essendo andato tutto storto alla Roma: casomai vale il

discorso generale sulla sua stitichezza offensiva, sulla renitenza a tirare in

porta quasi fosse una mancanza di rispetto al tenere vivo il gioco e il

possesso palla. È impensabile che trovato il bandolo della matassa (il gioco

c’era in 10 e addirittura in 9) non riescano a tirare (il bandolo e in porta).

Ho scritto Firenze: è il mio secondo sogno. Ho sognato che al Franchi prima di

Fiorentina-Roma, morto Socrates da tre ore, i giocatori in viola alzassero il

pugno chiuso della mano destra come faceva il “dottore” (era medico davvero)

dopo ogni suo gol (la rivoluzione non ci fu perché non era davvero prolifico

anche se a Firenze ricordano un cucchiaino da fuori area delizioso). Nel sogno

alzavano il pugno anche tutti i tifosi fiorentini, lo alzava Andrea Della

Valle lasciando per un momento i suoi piccoli, persino Renzi si affacciava con

il pugno chiuso pur precisando che non significava affatto un armistizio con

Bersani… Un sogno, vero? Bè, pensate che l’hanno fatto prima di

Corinthians-San Paolo i tifosi del primo di cui Socrates fu a lungo capitano e

così i giocatori… Dunque il pugno chiuso è più di moda in Brasile che da noi?

In Italia si sarebbe scatenata una bagarre competitiva con le polemiche

politiche: immaginatevi la Lega, sia quella dei diritti tv che l’altra, oppure

il Pdl messo di fronte a quell’ignobile covo di comunisti…

COSÌ, A OCCHI APERTI, Firenze ha salutato Socrates, morto a 57 anni di

infezione gastrica domenica a San Paolo, con il lutto al braccio di Montolivo

e Gamberini. Jovetic ne ha onorato il numero 8 anche senza strafare in colpi

di tacco (Socrates era il “tacco di Dio”), quella persona eccellente oltre che

preparato e civile allenatore di Delio Rossi ha fatto ammenda di non averlo

ricordato come doveva, la Fiorentina terrà a mente la domenica in cui lui se

ne è andato come quella del riscatto dopo tanto grigiore. Se son viole

fioriranno. Ho conosciuto il “dottore” quando nell’inverno tra l’84 ’ e l’85’,

cioè in mezzo a due Mondiali infelici per il Brasile da lui capitanato, era

a fare esperienza più di vita che di calcio a Firenze. Ricordo una lunga

intervista, a lui che non ne concedeva mai perché – diceva – “non mi fido

della stampa scritta, o dei montaggi di televisione e radio”. E allora?

“Allora parlo solo in diretta, e preferisco le radio alla tv, così sono

costretti a star-mi a sentire davvero”. In quel caso, si fidò. Beveva, certo,

e mangiava, ma era attorniato dai libri e filosofeggiava con un’aria serena e

maieutica sia pure leggermente di riporto: pensai che un poco almeno ci

facesse, ma ci faceva bene perché c’era. È stato un grande giocatore perché

superava continuamente il terreno di gioco: fosse stato solo la sua visione in

campo e i suoi colpi di tacco, forse non sarebbe rimasto come invece rimane.

Il Brasile è una fucina inesauribile e fa testo uno che “non” sappia giocare

al calcio (ce ne sono stati, e ne abbiamo in Italia una casistica nutrita).

Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, un cristone infinito

da Belem, ci lascia con il quesito più difficile: era meglio quel calcio con

il pugno alzato e la “democrazia” sulla maglietta o questo con le tasche

gonfie che prima o poi si giocherà le sue fiche d’attenzione (in un incubo)

anche a Natale?

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14 12 2011

LA TAVOLATA DELLA PACE

Falchi, colombe e tanti piccioni: oggi in scena

il pasticciaccio di Abete e Petrucci

Cinque giorni di grande calcio e soprattutto paracalcio, da sabato a oggi,

con il già leggendario “tavolo della pace” per il quale si addobbano la fronte

con bandana iridata al Coni Petrucci e Pagnozzi, Agnelli e Moratti, Della

Valle e De Laurentiis. E Abete, of course. Sabato Inter-Fiorentina, scontro

allo spasimo tra il poco e il niente, che riapre le polemiche appena sopite su

una dirigenza gigliata “unfit”, basculante tra il laureato calzaturiero e il

Corvino di Vernole. E il gran gol della “canaglia” Mutu, sufficiente al Cesena

per vincere a Palermo. Poi arriva la domenica, e Rocchi. Non il centravanti

della Lazio, che infatti aveva già fatto il suo a Lecce, ma l’omonimo arbitro,

prima coinvolto e poi sconvolto in “Calciopoli”, che commette molti errori ma

uno più errore degli altri: Seedorf aggiusta la palla con il braccio nella sua

area in un modo che davvero non può sfuggire a nessuno, sia felsineo o

milanista, cinese o sudafricano. Il rigore al Bologna non viene dato. Il Milan

rischia di vincere, il pareggio tronca e sopisce.

Mi pare un caso ultra-clamoroso, da Juventus vecchia maniera per intenderci. E

mi chiedo: 1) come è possibile che dopo “Calciopoli” una cosa del genere non

freghi quasi niente a quasi nessuno, come se “il lavoro sporco” fosse già

stato fatto a suo tempo e la pratica evasa; 2) fino a che punto si può

arrivare con la teoria dell’errore, dell’arbitro che sbaglia come i giocatori,

non c’è un limite, e nel caso questo rigore non dato da Rocchi non parrebbe da

manuale; 3) un errore macroscopico falsa un campionato oppure no, e se no è

perché in altre occasioni altri arbitri hanno tacitamente o meno l’ordine di

rimediare; 4) e nel caso, a danno di chi. Come capirete, a tirare il capo del

filo si sgomitola facilmente un po ’ tutto, tavolo o non tavolo… Il lunedì

finalmente delle emozioni in libertà all’Olimpico: errori ma non da parte di

arbitro o assistenti, professionisti allo sbaraglio tra la Roma tatticamente

bambina e la Juve a misura di Conte, una partita “aperta” che pure tra tante

lacune dei fondamentali (si va indietro nella qualità del gioco come un po ’

in tutto, in un Paese in declino…) ci riconsola delle tante partite “chiuse”.

MA IL BELLO come sapete è fissato per oggi. Dopo i lai di Andrea Agnelli e le

risposte di Petrucci, ecco il “tavolo della pace”. Detto dell’abbigliamento

iridato con bandana di falchi, colombe e piccioni nel Palazzo H, veniamo al

sodo. Perché Gianni Petrucci, ex discreto terzino agile e furbetto da tre

mandati e oltre primo cittadino dello sport italiano, e il suo sodale Lello

Pagnozzi, segretario del medesimo Ente, suocero di Nesta e protagonista di una

strepitosa telefonata nell’arco di “Calciopoli” dedicata a favori ed esami

anti-doping “stranamente” accantonata dagli inquirenti, hanno avuto questa

bella pensata? Sapendo benissimo i due, per via interna, esterna e

gastroenterica che solo di un’occasione di facciata si può trattare essendo

remoto un punto d’accordo tra Agnelli e Moratti, e non avendo quasi voce in

capitolo gli altri commensali politico-sportivi? Ma è lapalissiano. Hanno

indetto questo tavolo perché è il loro lavoro: sono falegnami e poi “civil

servants” (non è da querela) che debbono prefigurarsi il futuro. Petrucci, che

dovrà lasciare il Coni, ma lo farà callidamente solo nel settembre 2013, con

sei mesi di ritardo sulla tabella post-olimpica della Federazione delle

Federazioni, in tempo da sapere se a Roma saranno stati assegnati i Giochi

2020 (hai visto mai), si deve riposizionare. Pagnozzi dovrebbe assicurare la

continuità del potere passando sulla poltrona del sodale in un clima da

famiglia allargata. Il calcio, gli scudetti, gli avventori sono ghiottissima

finestra mediatica, e pretesto prezioso per negoziare il futuro al massimo

livello. Troppo realismo di me che scrivo? Casomai perfetto pragmatismo del

duo che strumentalizza magistralmente l’incerto Agnelli e il “prescritto da

illecito sportivo” bardato di sicumera Moratti (cfr. Palazzi, l’accusa

federale), il Della Valle delle vacche magre e il De Laurentiis di quelle

grasse, entrambi abitualmente vittime sacrificali di un sistema che di solito

non li prevede (cfr. l’Udinese: davvero potrebbe vincere lo scudetto?). Il

tutto all’ombra del presidente Figc Abete, quello de “l’etica non va in

prescrizione”, una specie di Don Abbondio con un fratello maggiore. Attendo

smentite.

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20 12 2011

Pallone e scommesse

Febbre da cavallo

L’hanno chiamata “last bet”, l’ultima scommessa. E invece è ovviamente

solo la penultima, o la terz’ultima… Voglio dire che chi si sorprende

dell’inchiesta della Procura di Cremona e dei suoi arresti, da Doni a

scalare, o non ha capito o non vuole capire. Così come chi tende a

sottovalutare il fenomeno. Che non si “estirpa” (come vorrebbe

Galliani) per grazia di Dio anche in questo clima da Rotondolatria,

non è facilmente scomunicabile, non risponde alla mozione degli

affetti del tifoso che non vorrebbe sentir parlare di arresti ma

soltanto di “veroniche” o di difese che “murano”, o di squadre

“ciniche”, in un crescendo lessicale rossiniano che è più da operetta

che da opera. No, le scommesse sul calcio vengono da lontano, arrivano

lontano e soprattutto rischiano di trasformare il pallone che aveva

resistito alle “far macie” di Zeman nell’equivalente delle Sale Corse

Ippiche, a ippodromi ormai chiusi. Non saranno questioni nuove per i

lettori di questo giornale. Trovano perfino l’ipotesi di arresto dei

coinvolti in questa inchiesta già nel mio libro uscito a luglio, “Il

calcio alla sbarra”, e in molti articoli dedicati al fenomeno del

pallone marcio in questa pagina. La domenica può essere maledetta per

motivi differenti da quelle intestati ad Al Pacino e alla sua saga

cinematografica.

NEL LIBRO, negli articoli ho battuto spesso sulla “nolontà della

giustizia sportiva” e della politica che la comanda, cioè la sua

non-volontà di combattere il fenomeno o sottovalutandolo oppure

insabbiandolo. È tutto scritto, non debbo ripetermi. E il motivo di

tali sottovalutazioni o insabbiamenti deriva sempre dall’atteggiamento

di mercanti/imbonitori di chi vende un prodotto e teme la cattiva

pubblicità. Quasi sperando che il marcio si estingua da sé, prenda

fuoco e si incenerisca per autocombustione. Il pericolo mi pare

esattamente l’opposto: che venga normalizzato il marcio, che lo si

consideri una variabile come un’altra, nel Reame Rotondo odierno, che

si dica “il calcio ha tanti problemi ma non penso che stia peggio

della media della società italiana”. È in quarta di copertina del

libro citato. Chi l’ha detto? Il sociologo Ilvo Diamanti? No,

tranquilli, “semplicemente” il presidente federale, Giancarlo Abete.

In una normalizzazione del calcio ridotto in queste condizioni

“valoriali” e “concettuali”, senza uno straccio di etica, con le

scommesse invasive in qualunque presentazione di partita (oggi e

domani, per esempio, con il recupero di campionato) e in qualunque

medium, in primis la tv, c’è chi sostiene che basti controllare

l’esasperazione illegale del fenomeno: sono soldi buoni eccome anche

quelli delle scommesse, come quelle delle miriadi di Giochi che per

far surrogare lo Stato hanno trasformato l’Italia in una bisca a cielo

aperto, cioè corruscato… Non conta che si rovinino in tanti con questa

“tassa sulla miseria”, l’importante è che giochino. I costi sociali

impallidiscono per i padroni del nostro vapore e invece giganteggia la

voce “entrate”. Benissimo, cioè malissimo: ma che cosa c’entra questo

con il discorso sulle scommesse, su Doni, sulla riluttanza

istituzionale ad affrontare e quindi a tentare di sconfiggere o

ridurre la portata di questa gigantesca “bet”? C’entra se guardiamo il

panorama dall’alto.

Se mettiamo le tessere del mosaico una vicino all’altra. Se non

abbiamo paura di un’occhiata circolare. Che c’entra il teppismo ultrà

con il fatto che all’assalto ai rom delle Vallette hanno dato una

orrida mano dei tifosi juventini, con un terrificante spirito di

“contiguità” dello Juventus Stadium con la cascina da cui “gli zingari

se ne devono andare”? Che c’entra il rischio che una situazione

calcistica come quella della Fiorentina possa far degenerare il tifo

in una città che ha appena visto dispiegarsi la strage di senegalesi e

che allo stadio non si è tirata indietro da insulti razzisti p. e. a

Mihajlovic (da cui la dirigenza si è fortunatamente dissociata, a

quanto ci tengono a precisare)? E che c’entra il fatto che anche in un

mondo d’oro e d’argento come il calcio professionistico, e in quello

“golden”, rivestito di luccichii, come quello professionistico “basso”,

di qualche club di B e delle due Divisioni inferiori, comincino a

mancare i denari e falliscano società su società, e s’affollino gli

stuoli di calciatori creditori di stipendi che forse almeno in parte

non prenderanno mai?

CHE C’ENTRA dunque Monti con Abete, e Passera con Zamparini, che

nel frattempo ha defenestrato anche Mangia dalla panchina (per

Berlusconi avrei dovuto nominarlo due volte nelle sue molteplici

vesti…)? C’entra tutto con tutto, la crisi dilaga, e non da oggi. E

come un virus cambia campo continuamente, contagia, non distingue. È’

indispensabile cercare di “tenere il tutto” dell’assioma francese

almeno per capire, e poi per controbattere: senza soldi, o anche solo

con meno entrate per chi è abituato a un certo tipo di vita

pluto-rotonda e non si rassegna a dimensionarsi, si acuiscono i

comportamenti al limite e spesso si oltrepassa il confine della

legalità, non essendoci più alcun faro etico a illuminare il campo da

gioco (prego leggersi quest’ultimo sintagma nei due sensi). E a questo

punto dovrei persino scusarmi con i lettori che forse “in questa

pagina” vogliono sapere dello spirito “provin ciale” della Juve, del

sommo sceneggiatore che mette di fronte domani Udinese e Juventus

imbattuta per il recupero della prima giornata da scioperati, della

Roma rinata e della Fiorentina rimorta (e grazie, datemi Boruc al

posto di Frey in porta e sono capace anch’io d’affondarla: spero che i

Della Valle bs. e Corvino abbiano dei secondi fini che ci sfuggono,

altrimenti sarebbe disperante. Meglio che ci facciano, insomma, mi

tranquillizzerebbero …). Cioè del calcio vero: ma perché, Doni in

carcere è finto?

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27 12 2011

Calciopoli, specchio di un Paese

ANTI-ITALIANI

CERCANSI DISPERATAMENTE

Nel giorno dell’inumazione di Giorgio Bocca, che fortunatamente “spacca” anche

da morto (grande, grandissimo giornalista, certo, ma razzista anti-Sud o

semplicemente e splendidamente anti-italiano? La seconda, credo...), citiamolo

anche per lo sport e il calcio. Non si dice che la miglior cosa è ricordarlo

con le sue parole? E allora, su, coraggio. Anche perché contrariamente alla

maggior parte degli intellettuali e giornalisti nostrani con la puzza al naso,

Bocca aveva scritto di sport da ragazzo, l’aveva praticato, conosceva il

sudore e i suoi decaloghi. E quando andava logografo di Olimpia, non faceva

sconti: qualcuno ricorda Tokyo ’64 e il suo lancinante pezzo sull’imperatore

Hirohito? Per non parlare dell’epopea della montagna, ben dentro la gola più

profonda, rocciosa e innevata di Giorgio, montanaro autentico. O della sua

natura torinista, preziosa per fargli rimarcare l’Italia della ricostruzione

nel secondo dopoguerra: “Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio,

era la voglia di Torino di vivere, di tornare bella e forte; i giocatori del

Torino non erano solo dei professionisti o dei divi, erano degli amici”.

AI TEMPI giornalistici di Italia-Camerun, 1984, dell’inchiesta mia e di Chiodi

sul Mondiale truccato – e vinto dall’Italia –, Bocca scrisse con sufficienza

su di essa che bisognava “scarpinare” lasciando intendere che potesse essere

una bufala. Avevamo “scarpinato” in Africa e in Europa, la prendemmo male.

Lavoravo con lui a Repubblica, ci scrivemmo. Quando scoppiò lo scandalo di

Calciopoli, nel 2006, lui scrisse sull’Espresso che il giornalismo sportivo si

sarebbe dovuto scusare con me, con oltre vent’anni di ritardo. Aveva buona

memoria. . . E dello scandalo nato all’ombra di Moggi scrisse sempre

sull’Espresso, senza farsi confondere dagli ipocriti clamori mediatici: “Non

siamo degli esperti di istruttorie sportive, ma questa che si è conclusa con

severità inaudita ci pare fra le più sbrigative e criticabili che si

conoscano: intercettazioni telefoniche scarse, 40 quelle di Moggi su migliaia,

grandissima fretta di concludere, un'aria di pregiudizio, di condanna già

scritta in partenza, soprattutto la voglia dei giudici di far passare per

congiura di pochi malfattori un sistema di prepotenze e malversazioni, dei più

grandi sui più piccoli, dei più forti sui più deboli, che ormai è la regola

generale di questo sport, la regola che bisogna vincere a ogni costo perché

solo la vittoria moltiplica i buoni affari e il potere . . . ”. Nel frattempo

alla vigilia di Natale anche l’investigatore “pentito” del “gruppo Auricchio”

che sui giornali anonimamente racconta come è stata “montata ad arte” tutta

l’inchiesta con relativa selezione delle intercettazioni. Eh, Giorgio sapeva

distinguere anche in questo campo, correggere, correggersi.

FACEVA da pontiere in tutto, e quindi non gli era estraneo neppure questo

mondo rotondolatrico che addormenta e insieme infiamma le folle. Gli sarebbe

piaciuto certamente il tal Simone Farina del Gubbio, l’esterno basso che non

si era fatto corrompere dagli scommettitori truffaldini, che ha denunciato

tutto e che ora Prandelli ha convocato “moralmente” e anche un po’

logisticamente in Nazionale. C’è chi obietta che così si rende eccezionale

l’onestà dell’omonimo di “Betulla” sia sul piano del comportamento che del

riconoscimento, invece che “normalizzare” entrambi circoscrivendo i

mascalzoni. Anche qui è una faccenda alla Bocca, da “anti-italiano”, con il

timore che sia una battaglia per ora almeno persa, una specie di Farina contro

tutti, in un habitat che regala scommesse a ogni piè sospinto, come dimostra

l’inchiesta della Procura di Cremona, in attesa di quella di Napoli e di altre

che presumibilmente seguiranno, e un’immagine deturpata dal trucco e

dall’imbroglio. Quanto tempo ci vorrà perché vengano fuori puntate

stratosferiche di giocatori di A e magari della Nazionale di cui tutti

mormorano da un pezzo? E i club? Ci vuole un genio per immaginare che dietro

questa montagna non ci sia solo il topolino del giocatore (nei due sensi) o

della centrale di “bet” ma anche società che hanno trovato il modo di

ripianare i deficit in un momento di crisi nera? Preparatevi, come in altre

circostanze calcistiche e para-calcistiche, agli “ooh” di meraviglia e

ipocrisia degli addetti ai lavori se le indagini dovessero condurre in tali

direzioni. La verità temo sia – alla Bocca... – che non frega quasi niente a

quasi nessuno, in un paese che recita la pièce della sua sopravvivenza, ma non

dà segnali concreti di risveglio. Cercansi “anti-italiani” disperatamente, il

tempo scarseggia.

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03 01 2012

Aspettando l’Europeo

per salvare la faccia

IL CALCIO CHE VERRÀ?

TANTI AUGURI

Che cosa c’entra Borriello con la Camusso, oppure Gilardino con Mario Monti, o

addirittura Tevez con Airone Passera ? Nulla? E sì, magari, beati voi… Vi ci

vedo a immaginarvi un bel pezzo epifanico (la Befana, non Guglielmo…) sul

calcio-mercato invernale e i suoi primi botti, le squadre alla ripresa come le

due scudettabili, Milan e Juve, sulla sabbia di Dubai, gli Europei

all’orizzonte estivo (con scandali polacchi nella Federcalcio ospitante, tanto

per non farci sentire in imbarazzo), insomma un pezzo calcistico come se

niente fosse. Dove quel “niente” è appunto il versante politico-sociale che

tanto influirà sull’attuale scandalo delle scommesse, quello di Doni e soci,

per capirci. Vorrei essere ancora più chiaro, essendo ai primi dell’anno e

quindi di buon auspicio per continuare a esserlo tutto l’anno…

NON AVREBBE molto senso star qui a parlare di calcio giocato o giocabile con

lo spadone di Damocle di scommesse e partite truccate (le prime, se effettuate

da tesserati anche indirettamente, più che sufficienti a montagne di

squalifiche, le seconde oggetto di reato penale per le varie Procure che

indagano) sulla testa, se non avessimo di fronte il precipizio socio-economico

italiano: di qui i due poli, di Monti e la Camusso, che cercano di riempire

più o meno gradualmente un cratere dove ci arrabattiamo, nelle fasce più

deboli sempre più numerose. Sono le “tensioni sociali” della leader sindacale,

e il “coraggio, resistiamo” del bob a 2 Napolitano-Monti. In questa situazione

pre-fallimentare come volete che si possano fare le pulizie “pasquali” ovvero

post-natalizie di un calcio marcio fino al midollo? L’unica arma in mano a

Doni e soci per duellare con la spada di Damocle (attaccante greco anche

convocato in Nazionale) delle nefandezze pallonare è tristemente la seguente:

l’Italia non può permettersi il lusso di fare pulizia in un settore putrefatto,

perché il medesimo settore serve come “arma di distrazione di massa” a (quasi)

tutto il Paese. Ce li vedete tifosi dei vari club, magari disponibilissimi a

fare campagne contro Don Verzé fin troppo tempestivamente trapassato, vogliosi

di chiedere l’interruzione del campionato per raggiunti livelli di guardia del

fango nella palude rotondocratica e rotondolalica? Perché di questo si tratta:

nella realtà, come scritto da tempo (qui e nei libri in merito…), il pallone

accettabile è volato da un pezzo in cielo con i palloncini di Rascel. C’entra

la serie A (come no… ne vogliamo parlare?), c’entrano dunque giocatori e club

che da adesso in poi giocheranno in fondo alla classifica un campionato

sfalsato in attesa di quello che verrà fuori e in alto un campionato

traballante perché nessuno è più sicuro di nulla.

BENE: questo è invece un articolo raggiante serenità. Tranquilli, grazie allo

stato comatoso del Paese (cfr. il duo in testa Monti - Camusso…) non può

succedere più di tanto, qualche squalifica, una radiazioncina, un po’ di

penalizzazioni. E molte, moltissime “sabbiature”. Ma niente di definitivo,

come la sospensione di un campionato arrangiato oltre qualunque livello di

guardia. Dunque facendo finta di essere seri e rimpiangendo allitteralmente

Giorgio Gaber, relazioniamo su Borriello alla Juve, che rinforza l’Imbattuta

di Beethoven ma contemporaneamente apre un giro di attaccanti, e sulla

cessione di Gilardino al Genoa. La seconda per certi versi più significativa

della prima perché ci sta dicendo quello che sapevamo ormai da molto tempo, da

quando rivolgemmo qui nell’ottobre 2009 con la Fiorentina in auge una serie di

domande a D.

DELLA VALLE senza risposta alcuna: e cioè che il re è nudo. Non nudo Della

Valle, infoulardato come non mai, ma nudo il famoso “progetto” per la

Fiorentina. Che, semplicemente, non esiste o non esiste più: come reciterebbe

l’ex presidente onorario Andrea Della Valle, “…all’apparir del vero tu misera

cadesti…”, ed eccoci qua con soldi buttati e squadra da rifare, e Corvino

ridens. Il Milan aspetta Tevez ma la verità arriverà a febbraio, con la

Champions, il Napoli fa incetta di ottimi giocatori aggiungendo Vargas (un

altro, tal Eduardo cileno dai piedi buoni e magro, contrariamente all’omonimo

peruviano strapagato). L’Inter naviga a fari spenti dopo essersi abituata così

bene nei postumi di “Calciopoli”. La Lazio trema per le scommesse, l’Udinese è

la più seria e oculata di tutte e andrebbe presa a esempio da Monti

nell’equazione “l’Italia sta al governo dei tecnici come il pallone italiota

sta all’Udinese”. Il resto è attesa degli Europei. Non li vinciamo dal 1968,

due generazioni fa, e neppure nel 1980 con il primo grande scandalo delle

“Ital-scommesse” riuscimmo a rimediarli per compensazione (il meccanismo non

era ancora così oliato, ci vollero i Mondiali del 1982), anche se poi nel 2000

con Zoff, Totti e Toldo ci andammo vicinissimi. Forse dovremmo vincerli per il

solito meccanismo amnistiale: il calcio italiano fa moralmente schifo, ma se

si vincono gli Europei (purtroppo quest’anno non ci sono i Mondiali…) la

facciata è salva. La faccia è un’altra cosa, anche se questo Paese rilutta a

sentirsi dire le cose un po’ su tutto e specialmente in questo campo

perimetrato dalla franchigia della passione che –come altri riferimenti

innominabili – come è noto non vuole pensieri.

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10 01 2012

Reti a raffica

Quante scommesse?

Impazza sul web (...) il video del portiere del Napoli, Morgan De Sanctis, che

scuote amareggiato la testa: ha preso un gol dal Lecce, un mese fa, sabato 3

dicembre scorso, al San Paolo? Macché, è il suo compagno “matador”, Edinson

Cavani, l’uruguagio che “lavora per la squadra ” ma segna anche parecchio, ad

aver realizzato la quarta rete (4-1, poi 4-2 finale). Capirete che di questi

tempi grami e sospetti, a base di scommesse globalizzate e di Procure

all’opera, compresa quella di Napoli, non c’è molto da stare tranquilli:

magari ci si sbaglia tutti, ma i dubbi vengono. E pensare che nell’ultima

giornata spezzettata di campionato, a inaugurare l’anno che è già venuto, gol

a zeffunno, moltissimi rigori, anche giocate di fino per il palato

dell’intenditore magari tifoso avversario (cfr. gli applausi palermitani al

medesimo “matador” di cui sopra, un ex in grande spolvero a Palermo).

MA IL CLIMA è cambiato, e il video su De Sanctis la dice lunghissima. L’ombra

della presa in giro si spande sul campionato e obnubila le solite polemiche

rituali fino a minimizzarle: che volete che ce ne freghi di un rigore in più o

in meno concesso al Milan contro l’Atalanta per una (forse) furbata di Pato su

cui abbocca il fischietto Rizzoli, se il vero rischio è che i contorni della

recita si estendano sempre di più? Detto altrimenti, forse l’Atalanta ha altri

motivi di preoccupazione dopo i “Doni di Natale”. E c’è qualcosa di più

incisivo in tv della pur galoppante polemica sulla rete Mediaset criptata tra

i commentatori della trasmissione, che si schierano “contro” il rigore dato al

Milan, e il tecnico campione d’Italia, Allegri, che invece difende la

giustezza della decisione arbitrale e prende addirittura cappello, come se la

proprietà di quel canale fosse – che so – di Moratti: intendiamoci, era

interessante per il genere “calcio parlato e radiografato alla moviola” la

domanda di Allegri: “Non sarebbe stato fischiato un fallo simile pro Pato a

metà campo? E dunque...”.

APPENA meno interessante della domanda rovesciata: “All’Atalanta sarebbe stato

fischiato contro il Milan di oggi un rigore di questo tipo?”. Ma appunto,

siamo sempre a vecchissime inezie di fronte alla crisi di credibilità che il

fenomeno scommesse sta provocando e temo non cesserà tanto presto di provocare,

un po’ come il catch di Roland Barthes in Miti d’oggi negli anni ’50 o il più

recente wrestling: una recita, magari ben fatta, ma pur sempre una recita, non

agonismo ma “protagonismo scenico”. Se non è chiaro, prendete la scena più

gustosa della domenica: i rigori di Totti, la conferma che il dopo Mutu è

Jovetic, la predominanza in qualunque ruolo e zona di campo di Ibra, la

dimensione “contesca” dell’imbattibilità juventina, ecc. ? Macché: dopo

Palermo-Napoli, posticipata a domenica sera e la sconfitta pesantuccia in casa

di Miccoli e soci, ecco sulla medesima rete digitale “allegra” di prima un

fenomenale spot. Si vede come di consueto lo stesso Miccoli in smoking che

gioca in un casinò virtuale con tanto di roulette e dice con straordinaria

passione: “È bello vincere in casa!”. Ma come, hanno appena preso tre gol dal

Napoli, ed è “bello vincere in casa?”. E invece prenderne tre com’è?

Imbarazzante? È ovvio che quest’ultima contraddizione, che ancora non molesta

la digestione dei tifosi capaci evidentemente di “tenere distinti” i due

Miccoli, sembra piuttosto “culturale”, un epifenomeno del mercato televisivo

che strapazza l’immaginario: niente a che vedere in senso stretto con le

scommesse, i dubbi, le partite truccate e insomma il repertorio sempre più

invasivo di cui ho già parlato e che da anni continuo a focalizzare (a

proposito, aspetto un Buffon che venga in tv a dire senza sorridere: vi giuro

che non ho mai scommesso né fatto scommettere per me un euro sul calcio…

diciamo negli ultimi tre mesi, tieh…).

Però la cosa sta diventando “ambientale”: è tutto un habitat che dà al

vocabolo “gioco” molto più un significato d’azzardo che ludico, espropriando

il pallone delle sue fenomenali e per il momento inarrivabili caratteristiche

emotive.

SIAMO ALLA frutta, e le riprove arrivano da decisioni come quelle di Sepp

Blatter, presidente Fifa, la Federcalcio mondiale, che ieri ha premiato Messi

col pallone d’oro e Simone Farina, il meritorio “Robespierre” del Gubbio, con

quello della lealtà. Punto primo: con tutto quello che ha combinato Blatter, è

lui che premia Farina? E qualcuno sui media lo nota? La presa per i fondelli

giunge a livelli imprevedibili. Punto secondo: premiamo l’incorruttibilità,

certo non una dote primaria nella biografia del medesimo Blatter, elevando a

eccezionale un comportamento direi normale? Forse non si misura fino in fondo

l’abisso sul quale siamo almeno affacciati se non ancora precipitati stando a

simile dimostrazione retorica ingannevole e depistante. È sempre Miccoli che

gioca al casinò, travestito da Blatter che premia Farina, con De Sanctis sullo

sfondo che scuote la testa.

P.S. Giuro che discetterei più volentieri del prossimo derby di Milano, e di

quello di mercato in corso tra i due club per Carlitos Tevez, un Robinho meno

elegante e più incisivo. Oppure della mano ferma di Luis Enrique, che sembra

lontano anni luce dall’americanismo del sor Pallotta. O della “normalità”

professionale, rassicurante persino quando perde figuriamoci quando vince, di

Delio Rossi (ma dunque perché nella pausa natalizia ha fatto un mazzo atletico

così alla Fiorentina, come si è visto a Novara, se anche prima “c’era un buon

tecnico”?), ecc. ecc. Come si fa a continuare a far finta di niente? Eh sì, “è

bello vincere in casa”, meno credo finire in gattabuia. . .

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24 01 2012

Le tre dimensioni

del pallone sgonfiato

Il campionato di Serie A si muove su tre dimensioni e mezza: la mezza è quella

del calciomercato che si lega a quella del campo, con i primi verdetti. La

Juve campione d’inverno e imbattuta (quando perde, se perde, e con chi? E la

Coppa Italia è fatta per quello oppure per far proseguire la striscia?), con

una serqua di punti più dell’anno scorso e l’impressione che possa tenere fino

in fondo: non vi sembra che con Conte in panchina abbia trovato una stamina

trapattoniana (che è un po’ come l’amalgama che un presidente anni fa voleva

acquistare, a proposito di campagne mercantili...). Il Milan in pista ovunque,

affidato soprattutto a Ibrahimovic e a una rosa tecnicamente comparabile solo

a quella dell’Inter, ma con dirigenti più capaci: Galliani farà pur sorridere

in chiave famiglia Addams, ma come competenza se li divora. L’Udinese nella

parte della provinciale di lusso perché in “ambiente protetto”. L’Inter che ha

rappattumato la stagione e potrebbe recuperare ancora specie con il miraggio

della Champions: ha un tecnico serio e callipigio, tradotto “con una buona

sorte” che fa impallidire a volte persino la memoria gluteica del miglior

Sacchi Arrigo.

IN PIÙ STA riscuotendo dagli arbitri (cfr. la Lazio... ) quanto aveva rimesso

nei periodi di crisi iniziale, constatazione che mi fa pensare non a una

“cupola dei fischietti” né ora né con Moggi, ma a un pastiche tra la

sudditanza, la cura per la carriera e il cane che mozzica o’ stracciato:

quando stai su, e fai parte dei club di potere, te ne avvantaggi, quando sei

stracciato l’arbitro maramaldeggia in libertà sapendo che prima o poi le cose

torneranno nel modo più realistico. Dietro, una Lazio di eccellente stampo per

un’ora punita ingiustamente a San Siro, la Roma dell’erma Totti che ormai

potrebbe segnare anche dal Gianicolo senza cambiarsi, il Napoli in sofferenza

perché ha vissuto la Champions come una “dose” e ora è in paradossale

astinenza di motivazioni, quindi tutto il serpentone della Serie A con il

Parma del soldato Morrone che esce nell’intervallo per andare dal figlioletto

in ospedale umanizzando la bieca Rotondocrazia, e la Fiorentina che

continuando così stropiccerà sia i foulard che l’immagine dei Della Valle, a

colpi di Corvino. Forse che sono i tifosi a essere colpevoli di come sono

stati spesi i soldi dei Brothers di Casette d’Ete, affluente dell’Arno? E

allora un po’ di raziocinio. Il raziocinio che ci rimanda alle altre due

dimensioni attuali del pallone.

QUELLA delle Procure e quella della politica, sportiva e non. La dimensione

delle Procure è fastidiosa per il tifoso, che fa i conti con essa quando

proprio non può farne a meno o quando la sua squadra va talmente male da farlo

precipitare in un “Muoia Sansone con tutte le altre squadre” poco edificante.

Ma qui siamo a una stretta decisiva: vanno avanti Cremona, Napoli, Bari e

forse anche altre in un loro campionato di indagini che riguarda le scommesse

e le partite truccate, magari con ampio dispiegamento di associazioni

delinquenziali. Vi ricordate la periodica preoccupazione che emergeva dai

primi interrogatori, sintetizzabile mesi fa in degli allarmati “ma non

c’entrano partite di A, vero? ”. Adesso staremo a vedere. Di sicuro la classe

dirigente del pallone, cfr. la Fedecalcio, la Lega di A e naturalmente il Coni

che tutto supervede, e la classe politica più generale che si preoccupa di

come va il Paese dei Forconi e delle liberalizzazioni, dovrebbero vigilare per

almeno due ordini palesi di motivi: 1) Che il calcio maggiore funzioni dipende

da come lo fanno funzionare loro, lo guidano, lo controllano ecc. Se finisce

in dosi industriali nelle Procure non possono chiamarsene fuori, ci andranno

di mezzo per forza. 2) Con il Paese che si perde i pezzi, la

ricreazione/distrazione connessa al pallone per le masse resta e lievita

ancora di più come indispensabile. Se qualche rappresentanza di lavoratori in

crisi vuol profittare del palcoscenico di A per manifestare il proprio dramma

e tale palcoscenico si perde i pezzi, finisce tutto a schifio. Il problema è

che pur non guadagnando spazio sui mezzi di comunicazione perché tutto ciò

“rovina il brand rotondolatrico”, tra Coni e Federcalcio i rapporti sono oggi

pessimi e il caso Lotito ne è la patente dimostrazione.

E IMPAZZISCE come una maionese acida l’assemblea di A, dalla quale ieri sono

scappati uno Zamparini e un Cellino dicendo il peggio di tale arengo che ha

ancora il suo capo formale nel collega Beretta, più versato in economia

aziendale e confindustriale che in beghe pallonare. L’impressione purtroppo

ultrafondata è quella di un pasticcio che si trascina e che in qualche modo

sopravviveva a se stesso quando le cose non erano così malate come sono oggi.

Svolgere il ruolo di termostato popolare a tale livello presenta dei rischi a

qualunque temperatura sociale, è vero, ma quando aumenta il calore un po’

dovunque forse la perizia o l’imperizia manageriale o dirigenziale fa la

differenza. La franchigia di Buffon, Ibra e Milito (che assomiglia tanto

sottoporta a Sergio Rubini...), insomma, regge ancora e impedisce di vedere

nella nebbia come sia ridotto davvero il calcio in Italia, specie d’inverno. . .

ma la pressione della realtà, che sia giudiziaria, politica o le due cose

insieme, si farà sentire sempre di più, è un teorema. E allora a qualcuno

verrà in mente che ci vorrebbe magari un Monti anche per la Repubblica

Sferica: ma quello dove lo troviamo?

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31 01 2012

Tanti fanno finta di nulla

ma c’è poco da stare Allegri

Il mercato dà i suoi colpi di coda, il campo i primi responsi decisi se non

ancora decisivi, ma è soprattutto lo stadio a gridarci alcune cosucce nelle

orecchie, o a schiaffarci delle immagini negli occhi. Cose di costume &

società, tracce di infingardaggine e incultura (ma non solo) nelle urine del

calcio tifato e giocato. Analizziamo il consueto zibaldone. Urlano contro lo

scomparso Oscar Luigi Scalfaro dalla Curva Sud, e non è una bella faccenda.

Sui “non ci sto” in carriera si può discutere come fanno i giornali del

Caimano e non solo quelli, in un Paese unto di vergogna; sui cori e sui fischi

al defunto proprio no: era Roma-Bologna... E fiocchino dopo la neve le ammende

sulla Juve per i suoi tifosi eroicamente dediti anche all’addiaccio ai cori

razzisti in una partita di livello e di tregenda atmosferica: era Juventus-

Udinese...

INVECE si accenda un dibattito epocale sullo sciopero di parte del tifo, fuori

dallo stadio di Firenze, e dei notabili del club nella prima fila della

Tribuna Autorità all’interno del Franchi. Una partita tra scioperati: era

Fiorentina-Siena... Ma nel terzo caso, al contrario del becerume, vedo tracce

umorali di civismo sportivo e le distinguo completamente: mi sembra legittimo

lo sciopero dei tifosi, al netto di insulti, violenze o minacce, così come la

risposta uguale e contraria della presenza assente da parte della proprietà e

dei dirigenti, per impersonare la distanza e la delusione, anche qui però al

netto di proteste societarie vagamente ricattatorie contro le critiche che

vengono loro rivolte. È tale intolleranza che la dice lunga su come siamo

messi in fatto di libertà d’opinione in questo e in tutti i campi.

NON POSSO criticare i Della Valle Bros per come gestiscono la Tod’s o la

Fiorentina? E chi lo dice? Nei limiti della decenza e del rispetto, dovrebbero

essere invece addirittura contenti dell’attenzione e magari stufi

dell’agiografia che li circonfonde a colpi di pensierini gentili. Per esempio

adesso Corvino e company si stanno muovendo benissimo sul mercato riparatorio,

hanno un tecnico adatto, se recuperano autostima e serenità manageriale e

ambientale possono riprendere per i capelli la stagione. Uno sbaglia e poi si

corregge, l’importante è la chiarezza. Quindi sciopero per sciopero, anche se

il vocabolo di questi tempi andrebbe usato con diversa oculatezza... ben venga

anche questo confronto assente tra una proprietà che non è un clan francescano

e la tifoseria che è la tifoseria e spesso investe emotivamente in una squadra

quanto non fa in tutto il resto della sua giornata. Ma quello che non sembra

arrivare negli stadi, se non molto attutito dai media, è la vicenda di

“scommessopoli”. Le Procure indagano, a Bari c’è la fila, Doni intervistato

dice “ho confessato tutto, ora anche gli altri facciano come me, da dodici

anni vado avanti a giocare” ma nel senso di scommettere, e il mondo del calcio

fa lo gnorri. I mass media ne parlano il minimo necessario, le tv sono

arcifelici di biscardeggiare di campo e di calciomercato, la Federcalcio

partecipa ai convegni di studio con i suoi vertici, ma su Doni& c. tace,

Prandelli da Coverciano in uno di quei consessi si complimenta “eticamente”

con la Roma. Tu ingenuo pensi che ci sia qualcuno anche della Roma che aiuti

le indagini, giacché è noto che in ballo ci sono varie partite di Serie A e

parecchi campioni usi a scommettere (anche in Nazionale), ti dici quindi che

seguendo la linea prandelliana dell’etica forse ce la faremo a ripulirci, ti

prude il polpastrello sulla tastiera degli elogi e poi vai a leggere bene:

“Brava la Roma perché ha messo fuori Osvaldo mesi fa per una questione di

etica comportamentale”, tipo menarsi con un compagno, segnatamente il virgulto

Lamela. Ohé, ma stiamo scherzando? Doni ha vuotato il sacco in procura a

Cremona e non solo con Repubblica, chiunque sia anche solo alla lontana un

addetto ai lavori sa benissimo quanto sia marcio il pallone, c’è da essere

preoccupatissimi perché in ballo c’è la passione massima degli italiani per

giunta in tempi di crisi, e nessuno accusa ricevuta? Tutti ad aspettare i

verbali degli interrogatori? Oppure tutti soddisfatti che il Mister del Milan

campione d’Italia abbia ribadito alle accuse di Doni “ma è tutto prescritto”,

perché è roba di dodici anni fa, aggiungendo “lo dicono solo perché sono il

tecnico del Milan”? Nessuno che gli domandi se non c’è un leggerissimo aspetto

etico nella brutta storia di Atalanta-Pistoiese con Allegri giocatore, nessuno

che gli domandi semplicemente: “Ci dica a telecamere e microfoni accesi se le

accuse di Doni sono vere o no, al di là della prescrizione... ecco, risponda,

guardi in camera...”. Altro che discorso etico, siamo di fronte a una

gigantesca presa per i fondelli del tifoso che del resto non chiede altro che

essere preso per i fondelli.

È IL RITORNO di Vanna Marchi, o del mago Otelma, ammesso che se ne siano mai

davvero andati dal nostro orizzonte... L’importante è che stasera si rigiochi

subito il turno infrasettimanale, che in extremis arrivi l’ultimo acquisto

risolutore (leggo di cifre incredibili, anche se scontate per il periodo di

vacche magre, per giocatori che una volta avrebbero visto la Serie A in tv, a

dimostrazione del fenomenale livellamento verso il basso di questo pallone,

perlomeno da noi), che il “brand” sferico non venga offuscato. Se la

giocheranno Juve e Milan, si affacceranno sull’orrido in fondo Cesena, Novara

e Lecce, in mezzo la classifica resterà corta. Chi vuole sapere davvero chi

truccava e/o chi trucca il nostro calcio?

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07 02 2012

Roma, in città è crisi

(tranne all’Olimpico)

Chiunque avesse covato in cuor suo nostalgia del ventennio, magari senza avere

l’ardire di confessarlo pubblicamente, quando i treni arrivavano in orario e

le partite “eroiche” si giocavano alla stessa ora, domenica si deve essere

commosso: i treni non sono arrivati in orario, perlomeno non tutti e anzi

alcuni sono stati cancellati, ma le partite – a parte Ce-sena-Catania, uno

sgarbo geopolitico per i Natali del duce… – sono cominciate tutte alle 15 e

soprattutto a Roma si è agito littoriamente per il meglio. Roma-Inter è stata

resa agibile, addirittura con i giocatori, le panchine e gli spettatori come

in tempi normali, e così la squadra della Capitale ha potuto polverizzare

l’Inter del senatore (di Testaccio) Ranieri quasi fosse un treno fermo di

Moretti.

E CON POETICA concomitanza anche il suo “capitan futuro”, dico De Rossi, ha

prolungato il contratto resistendo alle sirene straniere per la gioia

capitolina, esattamente come il suo collega di reparto in Nazionale, il putto

Montolivo: solo che invece che per la Fiorentina lo ha firmato con il Milan,

da svincolato, a dimostrazione di come diversamente intendano la

fidelizzazione dei propri giocatori migliori i due club, rispettivamente degli

americani (leggi Unicredit…) e degli imprenditori marchigiani del lusso. Va

detto a onore del sindaco post-fascista Alemanno, dunque perfettamente in

carattere, che davvero si è mosso bene per salvaguardare la disputa della

partita. È vero, dettagli infinitesimali ci raccontavano di una città

inagibile per leggere discrepanze di sale, pale, macchinari ecc. Ma che ci

frega? L’obiettivo era di portare in salvo Roma-Inter e tanto doveva bastarci.

Roma veniva rinviata a data da destinarsi come metropoli, ma era un prezzo

onesto da pagare allo stadio Olimpico e a quei commoventi rigurgiti di memoria

di cui sopra. Certo, una mente infingarda potrebbe domandarsi se tutto questo

tran tran per salvaguardare il pallone, mentre la città sprofondava, avrebbe

avuto un senso nel caso il risultato fosse stato opposto. La sagacia

alemannesca per tenere allegro almeno il popolo romanista provato dalle

intemperie, mentre quello laziale annegava per consunzione a Genova, avrebbe

forse potuto rischiare un durissimo colpo se all’Olimpico fosse scesa l’Inter

di appena venti giorni fa. E invece è andato tutto perfettamente, come i

cittadini della Capitale possono serenamente confermare… Ah, quasi

dimenticavo: naturalmente siamo tutti d’accordo nel volere, sempre volere,

fortissimamente volere che il pallone che ci viene dato da vedere sia corretto,

regolare, non truccato. Voglio dire che è ormai sempre più difficile

sforzarsi a non pensare a un “over” come a un risultato scaturito da una

combine basata su molti gol, o a un rigore dato oppure no in base a un accordo,

all’impegno di un giocatore a scartamento ridotto per favorire un esito

invece che un altro ecc. ecc. In una parola, non pensare a un calcio simulato

invece che reale. Lo dico perché, casomai vi fosse sfuggito per inerzia dei

mass media o vostro intenso desiderio di rimozione, dalle Procure –

segnatamente per ora quelle di Cremona e di Bari – fioccano indagini, arresti

ed elenchi di partite truccate anche nel campionato di Serie A 2010-2011:

quello scorso, proprio così…

A QUANTO si legge sui primi verbali, con le confessioni degli arrestati, ci

sono partite o truccate nei fatti per far sortire il risultato previsto dai

manipolatori delle scommesse o truccate in teoria, ma non andate a buon fine

nella pratica per qualche variabile, persino quella che va sotto il sintagma

epocale che regge la Rotondocrazia, ovvero “la palla è rotonda”. Ma anche se

non riuscite, sono combine sufficienti per far radiare dei tesserati. Fa una

certa impressione, dunque, registrare queste confessioni e leggere poi le

motivazioni delle condanne in primo grado di Moggi & soci da parte del

Tribunale di Napoli, prodotte praticamente alla fine dei tempi supplementari

se non addirittura ai rigori… (stavano scadendo i 90 giorni limite…). Nessun

arbitro corrotto, nessuna partita dal risultato condizionato, il campionato

2004-2005 in questione considerato regolare nei suoi sviluppi. Eppure le

schede telefoniche usate da Moggi e date ad arbitri e designatori come

inoppugnabile dimostrazione di una “perversa volontà” (virgolettato mio) da

parte del principale imputato e dei suoi adepti di fare il “capomafia”

(virgolettato sempre mio) basterebbero secondo il Tribunale a dimostrare che

di associazione per delinquere si tratta e non di scherzi, millanterie,

promiscuità subcalcistiche ecc…. Nel frattempo la Juve imbattuta si frega le

mani perché a meno di ricorsi accolti si giocherà tra tre domeniche una fetta

di scudetto con un Milan deprivato di Ibra, espulso e squalificato per aver

dato una manata ad Aronica nel-l’arida partita con il Napoli. Manata

individuata non dall’arbitro, non da un assistente di linea con occhio umano,

ma a quanto pare attraverso uno schermo tv a bordo campo: una specie di

moviola clandestina in tempo reale non essendo ancora un dato tecnologico

accettato dalle regole. Un pasticcio, vero? Un pasticcio che rimanda ai

padroni del vapore, come Calciopoli, come Scommettopoli, a istituzioni senza

nerbo né credibilità. Lui, dico Lui, nel ventennio i vertici sportivi li

avrebbe gratificati di energiche stivalate nel semicupio. Noi invece ci

ritroviamo a spalare la neve in una Roma inagibile purché possa regolarmente

svolgersi la partita dell’Olimpico…

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14 02 2012

Quando l’Airone

non è Passera

Per una sera avrei voluto essere zambiano, festeggiare e congratularmi con uno

sceneggiatore divino. Nel 1993 nei pressi di Libreville, in Gabon, cade

l’aereo con la Nazionale dello Zambia, destinata probabilmente a far buona

figura in Coppa d’Africa. Nel 2012, ier l’altro, per la prima volta la Coppa

d’Africa viene vinta dallo Zambia, a sorpresa, a spese della Costa d’Avorio

ben altrimenti famosa fosse anche solo per Drogba. Dove? A Libreville. E la

vince ai rigori, dopo che il summenzionato eroe eponimo ivoriano aveva

sbagliato un penalty durante i tempi regolamentari, e nessuno aveva segnato

neppure in quelli supplementari in un match teso e scadente come capita assai

spesso in circostanze del genere. E non bastano i 5 per parte di prammatica:

tra errori e sospiri, disperazione ed enfasi se ne tirano altri. Saranno 15 in

totale, con lo Zambia campione: e sì, ci sarebbe da essere zambiani per una

notte, anche perché un Paese giovanissimo forse celebra i simboli e vi si

immedesima con un altro animismo, come se fosse un sogno e quindi più vero del

vero.

PER TROVARE qualche faccenda di cuore qui da noi in una domenica in saldo di

partite causa “blizzard” (chi sa se ancora oggi si trovano presidenti di A che

chiedano di acquistarlo come accadeva un tempo per “l’amalgama” preteso dagli

allenatori?), bisogna fare capolino al Meazza e poi allo stadio di Bergamo.

Sulla ruota di Milano esce il Novara con il suo airone, che non è Passera

bensì Caracciolo, così che chi ha puntato sull’ultima in classifica possa

riscaldarsi le manine infreddolite... Mondonico festeggia la sua praticità e

la sua voglia di vivere messa a dura prova in questi ultimi anni da un

malaccio, dispone la squadra a coprire almeno metà campo e qualche folata in

più, aspetta l’Inter come a dire “se segnate bene, altrimenti è comunque zero

a zero”, che non sarà einsteiniano ma funziona. Se poi l’Inter non è

cattivissima, è sfortunata, non raccatta rigori di cui uno almeno sacrosanto,

allora c’è spazio per Caracciolo e finisce come è finita. Sono certo che sul

piano della carica agonistica l’emotività esistenziale del “Mondo” sarà stata

un notevole propellente, quasi da cuore a cuori, presumo però che anche

l’impegno del presidente del Novara alla vigilia, cioè “se vi salvate vi do un

milione in più da dividervi”, non sia dispiaciuto del tutto alla ciurma.

A VOLERLO leggere metaforicamente (quindi senza associazioni improprie di nomi

e circostanze), si può pensare a un “giocate di più e scommettete di meno”,

oppure “correte e vi sarà dato” o altri moniti simili. Non sarebbe male se

potessimo ricominciare a vedere le partite “come se fossero vere” , specie in

un momento in cui l’autenticità del tutto fa acqua o neve. Vedete, come per

Calciopoli su Scommettopoli verifico le mie tesi sul campo. Delle notizie. E

nero su bianco. Quando scoppiò l’ultimo bubbone, nell’estate scorsa, da un

lato me la presi con la giustizia sportiva insabbiatrice, dall’altro paventai

che la Procura di Cremona avesse ragione lasciando filtrare che il bubbone era

in realtà una pestilenza da serie A. Come sia andata nei mesi successivi e nel

silenzio mediatico per non “bruttare il brand pallonaro”, lo sapete. Poi

sempre qui, su queste colonne, sono tornato alla carica dicendo che forse

l’unico motivo per cui sarebbe stata tenuta “bassa” tutta questa vicenda,

poteva essere che l’Italia di Monti non si può permettere la deriva dell’arma

di distrazione di massa più efficace. Staremo a vedere. E sempre per offrire

materiale di esame e di confronto con i fatti, magari facendo uno sforzo per

capire prima che arrivino i verbali nel merito, qui esterno ancora. Vi pare

possibile che in questo scandalo c’entrino gli scommettitori, i “truccatori”

cioè i giocatori coinvolti, i faccendieri del ramo e non i club? Intendo

nessun club? Perché coi giocatori la giustizia sportiva può anche “scherzare”,

ma un eventuale coinvolgimento di qualche club sarebbe funesto per il sistema.

Dunque c’è qualcuno che vuole sapere un po’ più di verità, o faremo come

nell’altro caso?

Tutto ciò mi riporta allo stadio di Bergamo, lasciato in sospeso. Trovo tracce

di grande passione applicata nel ricordare da 15 anni ogni 12 febbraio la

morte di un ragazzo delle giovanili dell’Atalanta, perito in un incidente

stradale con la sua ragazza: è qualcosa che ha un filo rosso con lo Zambia, la

stessa Libreville della tragedia e del trionfo, la vittoria che sublimina la

memoria ecc. Come, rovesciando la clessidra, ci troviamo allo striscione

orobico (non è una parolaccia, si dice così da sempre) che dice a Doni e alle

sue magagne scommettitrici “Cristiano, ******!”. Sempre di passione, anche se

tradita, si tratta.

Nel frattempo l’Udinese gioca bene quasi come contro la Juventus, prima di

Natale, e nessuno si giocherebbe un nichelino su un Milan orfano di Ibra e

decisamente sottotono anche se ha il complesso di giocatori migliore in

circolazione: poco ritmo, una pericolosità da prefisso telefonico, lentezza in

difesa contro un uomo solo, anche se geniale, tal Totò. Poi all’Udinese gira

tutto storto, perde Isla per l’intiera stagione, esce Di Natale scazonte e

invece di difendere aspettando si butta avanti. Morale: il giovane egiziano

dalla capigliatura scolpita prima crea confusione favorendo Maxi Lopez e poi

fa un gol meraviglioso per coefficiente di difficoltà. Nove volte su dieci

quel pallone anche i bravi lo tirano in cielo. Così la Juve non si annoierà,

si preoccuperà perché per la proprietà transitiva il Milan fa più punti, cioè

perde e vince e loro pareggiano, si disporrà al campionato a rate per i

recuperi che ha sostituito il torneo-spezzatino dispiegato per la tv. Ma che

importa, stasera sono zambiano...

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21 02 2012

Il campionato

delle scommesse

C’era una volta il campionato tranquillo senza scommesse, o quasi, e quelle

che c’erano erano clandestine e davano fastidio al Totocalcio. È vero, c’era

da sempre la cattiva abitudine di “suggestionare” qualche arbitro, oppure di

concordare risultati tra club o allenatori o giocatori anche solo in “calcese”,

un dialetto internazionale dell’ambiente, una specie di esperanto

rotondologico fatto non solo di parole ma di gesti, sguardi, ammiccamenti. Poi,

va da sé, le squadre che erano riuscite a salvarsi per tempo dalla

retrocessione, non avevano particolari problemi di classifica né ambizioni e

non navigavano nell’oro, vendevano le partite dell’ultima fase del campionato.

Nel sereno reame di Calciolandia, però, nessuno si scandalizzava più di tanto.

Si sapeva che era così e si tollerava, ogni tanto facendo saltare qualcuno per

salvare la faccia e poter dire che dal frutteto dei piedi era stata tirata via

la mela marcia.

DI QUESTO andazzo però erano al corrente un po’ tutti gli addetti ai lavori e

ai livori, e nella recita generale erano compresi alti dirigenti dello sport

italiano e più bassi dirigenti di istituzioni e club. In questo pacifico mondo

incantato arrivarono i denari delle tv e stravolsero il contesto. Il calcio

era diventato ostaggio di diritti senza doveri, aveva continuato nella sua

neghittosa amministrazione bancarottiera, si era speso tutto e non sapeva più

come fare: i magheggi di cui sopra stavano impallidendo di fronte al buco nero

del deficit. Così quando arrivarono i piccoli Stavijnski delle scommesse nel

frattempo legalizzate, in parecchi pensarono di aver svoltato: la struttura

del calcio arrangiato in toto o in parte, secondo le summenzionate cadenze

stagionali, c’era già, predisposta a puntino. Si trattava di elevare a potenza

il trucco, professionalizzando la faccenda. C’erano esperti del settore la cui

annosa pratica si fuse con ex calciatori in cerca di denari, che a loro volta

convinsero altri addetti al campo o ai dintorni di esso, fino ad arrivare agli

indispensabili attori della pièce da manomettere, i calciatori (per ora non

risulterebbero arbitri…). La cosa cominciò a funzionare, e attirò gli appetiti

dei club che fino a qualche anno fa si accontentavano di qualche simpatico e

contemplato (dalla tradizione.. . ) arrangiamento, non sentendosi per esso

affatto in colpa. C’era, nel pallone dei pionieri, un modo di sistemare la

cosa se non proprio tra gentiluomini almeno tra faccendieri, integrando le

partite combinate con l’imminente calciomercato o accendendo una cambiale per

il campionato successivo.

SOLO CHE adesso, dopo varie pernacchiette di poco conto con scandali durati lo

spazio di un pomeriggio, è scoppiato il bubbone, leggansi le inchieste delle

Procure di Cremona, Bari e Napoli. Tre, per ora. E sono tutti preoccupatissimi,

anche se per il momento non lo danno a vedere. Tutti: manutengoli, giocatori,

ex giocatori, dirigenti, paradirigenti, alte cariche dello sport italiano. E

stampa di complemento, con alle spalle una lunga e affettuosa tradizione

“protezionistica” nei confronti del business pallonaro. E ci credo: se fare il

giornalista è sempre meglio che lavorare, fare il giornalista sportivo può

spesso diventare “holiday on news”, un’autentica ricreazione generale. Perché

però tremano in tanti nel reame di Calciolandia e nell’empireo dello sport

italiano? Appunto perché sanno benissimo come funzionava l’andazzo in un

calcio sporco da un pezzo, e sanno altrettanto bene che il fenomeno invasivo

delle scommesse con la sua codona di partite truccate si è rovesciato su una

Rotondocrazia dalle regole deboli e di certo straviolate, in continua

franchigia. Dunque temono che le inchieste delle Procure grazie al mestolone

delle scommesse scoperchino una vecchia pentola di loro piena conoscenza. E se

fosse così, qualcuno, e non necessariamente Adriano Celentano alla Domenica

Sportiva…, potrebbe domandare urbi et orbi dove fossero i nostri eroi del

settore, da me parzialmente ma puntigliosamente su elencati, mentre il calcio

puzzava d’altro marcendo. Il superProcuratore della Federcalcio, l’ormai

preclaro Stefano Palazzi, ci sta dando dentro con la sua inchiesta sportiva e

i relativi interrogatori.

NE SAPREMO presto qualcosa. Ma non vi sembra che uno scandalo che potrebbe

dissestare il pallone in profondità meriterebbe un poco più di attenzione?

Forse stanno tutti studiando come insabbiare, aiutati dal fatto che la sfida

Milan-Juventus, l’immersione fantasmagorica nella Champions, il livellamento

verso il basso foriero di incertezza delle altre cinque/sei squadre successive

in classifica ecc., possa facilmente distrarci. Dopo averne scritto per una

manciata di lustri, mi assumo la responsabilità della affermazione seguente:

lo scandalo di “Calciopoli” in confronto a questo è nulla o quasi, è

semplicemente la fotografia scattata male del calcio descritto all’inizio di

questo articolo, con sfumature alte e basse. “Scommettopoli” lede alla radice

tutta la pianta del campionato, anche toccando coloro che non c’entrano perché

sicuramente ce ne sono, rendendola deforme e destinata a morire, o a

sopravvivere in condizioni penose. Così stando le cose, vi segnalo il tuffo

appassionato di Vucinic, sabato sera, nell’area del Catania per rimediare un

rigore che manca alla Juve da un pezzo (ma c’aveva già pensato Chiellini a

riscuotere...): un carpiato a gambe unite che andrebbe mostrato nelle scuole

calcio per insegnare che imbrogliare non va bene (non c’è l’ho con il

montenegrino, gran mezzo marinaio, ho preso lui come sineddoche). Certo, in

confronto alle scommesse presumo che Napolitano possa riceverlo in futuro al

Quirinale...

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28 02 2012

Ma le polemiche

non vanno in prescrizione

Per chi ama il calcio ed è preoccupato dal precipizio che ha imboccato,

l’ultimo fine settimana è stato fantastico: il sabato il gol di Muntari non

concesso, le polemiche, gli insulti nel sottopassaggio tra dirigenti e staff

tecnico di Milan e Juventus, gli strascichi che continuano. E continueranno. E

Buffon, il portiere più famoso del mondo, che intona con sincerità un peana

alla menzogna. O all’omissione, va... E la domenica l’arbitraggio di Gava a

Siena e il rigore (non penalty) vittoriano di Luis Enrique con De Rossi, e le

catastrofi annunciate di Inter e Fiorentina mentre risorge la Lazio e risogna

il Napoli... Ragazzi, questo è il calcio di sempre, con gli arbitri discussi e

sospetti, l’ipocrisia di tutto l’ambiente, le aggressioni verbali, i

sentimenti e i risentimenti per un allenatore ecc. Siamo tornati o stiamo

tornando finalmente a casa. Persino per quanto concerne il club compatriottico

più titolato, che infatti dopo anni di magra ricomincia a far titolo e

titolone dappertutto e per qualunque cosa, dentro e fuori dal campo: già, ma

allora lo scandalo di Calciopoli con tutto il suo alone di giustizia sportiva

e penale, i dubbi, le indagini taroccate ecc., insomma in un solo cognome che

sembra sempre far saltare in aria qualunque ragionamento cioè “Moggi” (il

virgolettato è ambientale, soggettivo e oggettivo, ognuno ci può leggere

quello che vuole), quel famoso scandalo lì non è finito?

PERCHÉ come ci insegna la dottrina se per una serie di delitti collegati viene

arrestato il serial killer, processato e condannato, e i delitti continuano, o

non era stato lui oppure ci sono in giro dei suoi “colleghi” ancora in

attività. “In concorso”... e giacché giustamente si è parlato di uno scandalo

di sistema perché riguardava il condizionamento dell’esito di più campionati

attraverso designatori e arbitri, è evidente che il sistema è andato avanti

nello stesso modo. A meno che non si preferisca sottintendere che ciò che

prima, per Calciopoli, era mascalzonaggine e truffa più o meno mafiosa, sia

stato oggi sostituito da “errori arbitrali” magari dovuti a “poca serenità per

le polemiche dei giorni precedenti”. Credete che quest’ultimo doppio

virgolettato me lo sia inventato? No. Sapete da dove l’ho preso? Citando un

qualunque titolo o “catenaccio” o “sommario” o articolo di giornali precedenti

a partite del periodo incriminato, quando Juventus e Milan si contendevano lo

scudetto nell’era moggesca, con incursioni romaniste. Dunque non si inventa

nulla. Ma il nocciolo resta intatto: come fossi Pollicino, sassetto a

sassetto: la partita più importante di questa fase del campionato è di sicuro

Milan-Juve.

NON SI SA se risulterà decisiva, questo lo si vedrà poi. Rigori dati e non

dati, la squalifica di Ibra non ridotta (ma anche qui un “déjà vu” con

l’animale mitologico che però vestiva l’altra maglia...), le polemiche della

vigilia, i condizionamenti tentati o supposti ecc. fanno da premessa al Meazza,

con Berlusconi prescritto e di buon umore in tribuna con tanto di

“salvacondotto”. Non gli basterà: prescritto immediatamente anche un gol, con

il pallone che entra di mezzo metro, l’assistente Romagnoli (nel ruolo di uno

di quelli che una volta “cinguettavano” con il Meani collaboratore milanista

dello scandalo) che non convalida, l’arbitro Tagliavento (un Collina minore. . .

comunque assai stimato e senza precedenti sospetti con i due club) che non fa

una piega. E va tutto bene così? Intendo dire “così come sempre”? Con il

solito contesto già descritto, simile a prima, un b.c., ma “before Calciopoli”

(che avevate capito), che innamora? Ma come è possibile che non si mettano

insieme le situazioni per confrontarle? Lo sceneggiatore sembra lo stesso, il

copione lo conosciamo: e tutti rimuovono il parallelo? Perché? Non sarebbe

utile per capire quanto il marcio di ieri permanga, oppure quanto dipenda oggi

come ieri da approssimazione, cialtroneria, inadeguatezza, pressione eccessiva

ecc.? Vedete, se si dimostrasse che chi ha respinto fuori quel pallone oltre a

Buffon è stato l’occhio di un corrotto, o di un “affetto da sudditanza”, o

trovate voi una definizione più “trendy”, sarebbe un paradiso: se lo provi è

fatta e togli la mela marcia. Altrimenti è tutto nebuloso, dai contorni

indistinti che arrivano sulla soglia del reato senza configurarlo: un ambiente

che vive da sempre in questa penombra di lealtà sportiva dissolta, evocata

solo a certe condizioni.

PER ESEMPIO per Buffon: può il portiere/capitano della Nazionale dare un

cattivo esempio o meglio non dare “accidiosamente” il buon esempio affermando

che si guarderebbe bene dal dire “era dentro” durante la partita, dopo e nei

secoli futuri? Ed è sincerità non ipocrita ammettere senza ambagi che non lo

farebbe perché non gli conviene? È una questione di etica o di opportunità?

Avrebbe fatto bene almeno a tacere o trincerarsi dietro un “non so”? E come si

sarebbe comportato il suo omologo tedesco giacché oggi in tutto impazzano i

confronti? E ha ragione un Baldini che dice di Luis Enrique “le regole vanno

applicate anche se sconvenienti”, se cioè non convengono al club che infatti

paga duramente l’assenza del mediano? Mentre squadra e tifosi metterebbero al

rogo a Campo de’ Fiori il tecnico giordanobrunesco? Rimango della mia idea

iniziale: in mezzo ai flutti polemici mi sembra il solito calcio, più o meno

accettabile, ma il solito, Moggi o non Moggi, arbitri o non arbitri. Molto

meno peggio di quello che si sta preparando o è già in atto con la cancrena

delle scommesse: quelle sì si mangeranno il pallone in fretta, se le

istituzioni sportive e la magistratura non correranno prima ai ripari. Anzi,

già che ci siete, chiedete a Buffon invece che notizie di Muntari se sa

qualcosa del calcio-scommesse...

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13 03 2012

Dammi la tua mano

“zingaro”...

La sceneggiatura è oggettivamente una buona sceneggiatura: dopo le due

“tranches” delle inchieste di “Last bet” della Procure di Cremona e di Bari,

gli arresti, le confessioni ecc., e mentre la Procura sportiva del solito

Palazzi va avanti non so quanto velocemente, ecco gli “zingari” latitanti e

conversatori scovati da Repubblica. C’è Gegic, l’ex giocatore, e Ilievski,

l’omone intervistato a Skopje, la macedonica città dei terremoti, da un

drappello di colleghi. Era “irrintracciabile”, ma evidentemente è tutto

relativo. Adesso manca una vera zingara, “donna misteriosa”, un “pentito”

credibile, magari il padre di un calciatore che voglia “riscattare” un

briciolo d’onore “vuotando il sacco”, e poi ci siamo. Darò un colpo di

telefono a Ilievski per capire se è possibile imprimere un’acceleratina anche

al copione: mi metto nei panni del lettore di queste pagine. Da mesi qui e in

libreria (cfr. Il calcio alla sbarra, ed. BUR) trova anticipata tutta la

vicenda, comprensiva di ipotesi di sviluppo sportivo, politico-sportivo e

politico “tout court”, ed è costretto anche a far finta di stupirsi? E via,

non è serio... Delle dichiarazioni del buon Ilievski comunque colpiscono il

racconto dei dettagli (per esempio l’albergo milanese di Corso Como, quartier

generale delle scommesse col trucco), e i confronti: “In Italia succede di

tutto, in Inghilterra no”. Chissà come mai...

MA MENTRE i cronisti fanno il loro lavoro egregiamente anche se con leggero

ritardo sulla tabella di marcia, io me la cavo riproponendo una serie di

interrogativi riassuntivi: 1) La giustizia sportiva di suo sa qualcosa o va

sempre a parziale e discutibile rimorchio di quella ordinaria? 2) Aspetto che

tutto il Gotha dirigenziale dello sport italiano, quindi non solo Abete

(Federcalcio) ma anche Beretta (Lega di A), Abodi (Lega di B) e in primis il

presidente del Coni che tutto controlla, Petrucci, dichiari candidamente e

senza sorridere, che non immaginava nulla, meglio se a reti unificate e a

favore di telecamera... Lo faranno mai? 3) La politica italiana, quella che

usa il calcio come business e diversivo socio-economico, si può permettere uno

scandalo del genere che stando anche soltanto a ciò che è già emerso (cfr. le

ultime dichiarazioni del capo della polizia, Antonio Manganelli) dovrebbe far

mettere il campionato dell’anno scorso e forse anche l’attuale in salamoia? E

tra i lettori, chi si scandalizzerà davvero del fatto che in ballo oltre a

“zingari”, scommettitori, giocatori, imbroglioni e giocatori-imbroglioni, ci

siano anche dirigenti di club per conto degli stessi club? Volete che squadre

di Serie A che secondo i dati più recenti del 2010-2011 (esattamente il

campionato più indagato) avevano debiti per 1 miliardo e 550 milioni, si siano

fermate di fronte all’opportunità di rifarsi del denaro attraverso delle

puntate “monstre” su punteggi e risultati pilotati? Li prendete per stupidi? E

davvero si finge di ignorare che da sempre ci sono porzioni terminali “gr

igie” dei vari tornei oggetto di compravendita? Su tutto ciò bisogna aspettare

Gigic e Ilievski, oppure tutti gli addetti sapevano tutto e hanno continuato

finora all’insegna della più smaccata ipocrisia? Quello che mi impressiona è

la differenza di trattamento da parte dei monopolisti del diritto e della

morale: per Calciopoli e Moggi è venuto giù il teatro, anche se a mio sommesso

parere la faccenda è tutt’altro che chiarita, sia sul piano della giustizia

sportiva che di quella ordinaria. Per “Scommettopoli”, che mina alla base

qualunque credibilità di qualunque partita, la soglia di accettazione è salita

vertiginosamente, e ci vuole l’amico zingaro che assieme alla zingara legge la

mano del campionato. Ripeto che tutti coloro che avevano o hanno a che fare

con l’ambiente, a cena erano tranquillamente informati del precipizio

imboccato con le scommesse e del loro volano planetario. Un conto era il

designatore al telefono, che millantasse o manipolasse davvero (ricordo che le

motivazioni della sentenza di Napoli parlano di “partite regolari”), un altro

è il boss di Singapore che condiziona via Internet tutto quello che vuole, o

quasi. Nel caso di Doni, Signori e C., si tende invece a minimizzare, come se

il Reame Rotondocratico fosse già esausto per gli scandali pregressi e non

potesse sopportarne un altro maggiore. Ma il calcio non è finito per arbitri

sospetti, storia vecchissima, mentre può sparire come l’ippica in una sala

scommesse.

DUNQUE forza con l’indignazione a orologeria, forse in extremis si riesce

ancora mediaticamente a coinvolgere un’opinione pubblica stremata. Per la mia

modesta conoscenza del settore, nella vicenda delle partite truccate “ad usum

scommettitorum”c’è una forma di “concorso esterno nell’arrangiamento

truffaldino”, che forse oggi va poco di moda, ma è la lente per guardare a

tutto l’ambiente. O sono correi, o sono complici, o favoriscono l’andazzo

facendo finta di niente. Ho scritto che premiare la normalità di un Simone

Farina, il terzino del Gubbio che ha denunciato il tentativo di corruzione,

era il riconoscimento dello stato terminale del calcio. Stando agli “zingari”,

invece, un Farina è un eroe superato dalla cronaca. Staremo a vedere, in base

a quello che accadrà alla giustizia sportiva e a quella ordinaria, e alla

lettura politica del Grande Pasticcio. Nel frattempo il Pallone sgonfio di

debiti continua a licenziare e riassumere allenatori, non sapendo far altro.

Mi domando se i “tycoons” rotondocratici (dico un Moratti, o un Della Valle, o

lo stesso management Juve/Fiat) gestiscono nello stesso modo le loro aziende.

Se devo rispondermi di sì, ecco la chiave di lettura del Paese. Se devo

rispondermi di no, ecco la chiave di lettura di un’industria anomala più di

un’onda omonima, quale è quella del calcio.

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20 03 2012

Uno Schettino per uno

non fa male a nessuno

Prima di parlare di Massimo Moratti e di Diego Della Valle, moderni Schettino

senza concordia ed eponimi di un calcio naufragato, vorrei cominciare da due

altre categorie: precisamente allenatori e arbitri. Dettagli, in confronto ai

Pluti Rotondocratici, ma interessanti comunque perché hanno qualcosa a che

vedere con l’andamento del torneo e la gestione dei club. Cominciamo dagli

allenatori: il pessimo andazzo di un pallone sgonfio dentro al campo (cfr. le

Coppe europee) e fuori (cfr. lo scandalo scommesse in dirittura d’arrivo, ma

trascurato dai media che trattano il campionato “come se fosse vero”) è dato

anche dalla questione allenatori. Cacciarne stagionalmente una quindicina solo

in Serie A attaccando i record assoluti in materia significa che quasi tutte

le squadre hanno sbagliato all’inizio. Come è possibile? Chi sceglie, chi

decide, chi valuta? I dirigenti, che invece rimangono solitamente assai di

più? Per di più ci sono casi in cui si riprende quello già cacciato e sotto

contratto, ad esempio Tesser al Novara e Ficcadenti al Cagliari: e quelli

fanno punti? Il “mister” variabile è un evidenziatore dello sfascio, o

naufragio (basta vedere i numeri della scorsa stagione). C’è poi la questione

arbitri. Qui non c’è l’hit parade delle cacciate come per le panchine , bensì

la solita “faccenda”. Quella che innesca polemiche da “sudditanza” da sempre,

che è passata per le lunghe stagioni di supremazia juventina, che ha gonfiato

“Calciopoli” e che non ha poi smesso di spargere veleni.

Dimostrando così almeno (ripeto, almeno…) che se c’erano delitti prima ce ne

sono anche adesso: e quindi… Prendete l’ultima domenica. Un tal Gava di

pomeriggio bagna il suo pedigree giovanile al Meazza dando un rigore

ammissibile all’Inter, che lo sbaglia, e negandone uno ancora più evidente

all’Atalanta. Scusate, ma allora Moggi lavora adesso per Moratti “a sua

insaputa”? In serata, il superchiacchierato Rocchi (cliccate, cliccate,

qualcosa resterà…) fa una serie di numeri da circo in sfavore dell’Udinese,

con un’espulsione mirata e un rigore ultrageneroso, dimostrando che Moggi non

riposa mai. Dunque le spie di panchine e fischietti sono accese: calcio in

riserva, e magari scogli segnalati a prua (anche a poppa…). Così che il

comandante Moratti ha preso l’abitudine di mollare gli ormeggi in tribuna

molto prima di quanto non lo facesse l’eroico Boniperti in arte “Marisa”, che

se ne andava all’intervallo per non rischiare la salute. No, qui c’entra un

altro tipo di salute. C’è il modo in cui si amministra un club importantissimo

come l’Inter, a me caro anche per antiche questioni familiari, in cui ci si è

ridotti al lumicino dopo i fasti del “triplete”.

Chi decide cosa, chi acquista, chi vende, quale è la trasparenza negli

acquisti dall’estero vecchia tabe di tutto l’ambiente ecc. Chi divora come

Crono i tecnici, chi cambia giocatori come figurine, chi dilapida un

superpatrimonio per avere una squadra che gioca peggio e vince meno

dell’Udinese in attivo? Chi ha rischiato (eufemismo!!!) la reputazione nello

scandalo accentrandolo su Moggi mentre poi (cito il superprocuratore Palazzi)

l’Inter veniva “solo” prescritta e non assolta da nulla in fattispecie

analoghe? Chi ha trovato il modo di onorare la memoria di un galantuomo come

Giacinto Facchetti prendendone le distanze nella causa per danni intentata a

Moratti e Co. dagli “spiati” con la formula (dell’ex vicepresidente Ghelfi)

“nessuno lo aveva autorizzato a farlo”? E potrei continuare.

C’è qualcuno che invece ha pensato bene di involarsi addirittura quando la

nave era in navigazione: dico di Diego Della Valle, che si è ritirato

formalmente nell’autunno del 2009 dalle responsabilità della Fiorentina pur

possedendone il 99% delle azioni (e l’azionariato popolare annunciato

all’inizio?). Si è dato quando la squadra andava bene, il ciclo di Prandelli

era beneaugurante, in Champions faceva come e forse meglio di questo Napoli al

timone del quale c’è invece sempre e visibilmente il comandante De Laurentiis.

Mi ricordo il periodo perché qui (Il Fatto era appena uscito) gli rivolsi

pubblicamente 5 domande tese a capire dove volesse andare a parare (lui, non

Frey…), la metà di quelle che all’epoca venivano rivolte a Berlusconi… Non mi

ha mai risposto anche se aveva promesso telefonicamente di farlo (oltre a

invitarmi al suo “show room”, invito non accettato ma da me ricambiato: ho uno

show room che se lo sogna).

Un anno dopo mi convocò addirittura unilateralmente a discutere di Fiorentina,

a Firenze, in un albergo. Controproposi un “duello” in prima serata tv con

tutte le cifre della sua impresa fiorentina. Niente. Missing. Ogni tanto si è

affacciato il fratello Andrea… che è come se al Meazza per il Milan andasse

Paolo… capite che non è proprio la stessa cosa. E comunque l’unica

preoccupazione dei “brothers” marchigiani era ed è l’impianto sportivo,

l’outlet travestito da stadio a Firenze in zona di loro gradimento commerciale.

Per carità, tutto legittimo o quasi, basta dirlo. Anche Pozzo con l’Udinese

ci guadagna, facendolo di mestiere. Il punto è che il Cavaliere Tessile ha

trattato la Fiorentina come una cosa, precisamente come un manichino col

foulard, e se ne vedono i risultati anche caratteriali in campo. La verità è

che cerca di vendere la società da due anni, invano. Dice dei soldi che ha

investito: a parte i conti da sciorinare, pubblicità e terreni a Incisa

compresi, forse dimentica che anche i tifosi si svenano regolarmente e

amerebbero che lui si prendesse le sue responsabilità invece che delegare,

demandare, signoreggiare senza volto. Non lo si è visto sul ponte di comando

nemmeno dopo il naufragio contro la Juventus, al massimo volteggiava in

elicottero. E la squadra ha le dita di un piede in B. È il Paese degli

Schettino, non c’è rimedio.

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03 04 2012

Partite truccate e gol falsi

Meglio darsi all’ippica

Ammetto di essere assai più colpito dal caso Laghat che dal caso Masiello. Il

caso Masiello, Andrea Masiello, difensore dell’Atalanta oggi e del Bari la

scorsa stagione incriminata, è da ieri noto dappertutto. È stato arrestato a

Bari con altri due amici scommettitori, truccava le partite con autogol

fulgidi, ha preso il posto di Doni come (immagino momentaneo) eponimo di

“Scommettopoli” ecc. Il caso Laghat lo si conosce meno. Laghat è un cavallo di

9 anni che sta vincendo un Gran Premio dietro l’altro, si allena a San Rossore

e soprattutto è praticamente cieco per una micosi. Però, dice il suo

proprietario-fantino Federico De Paola, “ha una luce dentro, riesce a

orientarsi perfettamente in pista, ha un sesto senso che gli consente di

evitare i contatti con gli altri cavalli. E risponde perfettamente ai

comandi”. Che c’entra Masiello con Laghat, vi chiederete voi? Intanto Masiello

è esattamente l’opposto, ci vede benissimo a quanto ha confessato, ha un sesto

senso che gli permette di vendersi le partite. E anche lui risponde

perfettamente ai comandi. Solo che Laghat tira a vincere, mentre Masiello tira

a perdere. Evidentemente poi anche Masiello ha una “luce dentro”, ma negativa,

è una sorta di Lucifero nel Paradiso sputtanato del pallone. E infine che il

cavallo cieco vinca e rivinca mi colpisce di più (anche senza scommetterci

sopra) del Masiello “fraudolento” perché conosco poco l’ippica e invece so

qualcosina del calcio. Quindi aspetto di vedere se escono nomi “grossi” di

scommettitori tra i calciatori (ricordo che i tesserati non possono farlo né

direttamente né indirettamente) in questo vortice di partite truccate e/o

millantate, e soprattutto nomi di dirigenti di club che hanno innestato sulla

vite marcia delle partite “scambiate” (cioè vendute e comprate) specie a fine

stagione il vitigno delle scommesse, anche solo per ripianare i debiti

colossali che assediano il Reame Rotondocratico.

PER ORA, da Doni a Masiello passando per “zingari” e “meno zingari”, non mi

stupisco affatto. Casomai continuo a ribadire che gli addetti ai lavori fanno

di solito finta di niente e invece che contribuire a scoperchiare il marcio

“tifano” per un calcio pulito e un campionato che salvi la verginità. Quindi

per lo scandalo “barese” siamo al “tanto tuonò che piovve” con gli arresti a

rate dall’estate scorsa, ma in attesa di meteorologi seri: magari con la

domandina semplice semplice “ma invece questo campionato è pulito?”. E chi lo

sa? Apparentemente sul palcoscenico si alternano i “duellanti”, dico Milan e

Juventus, e poi i “reticenti”, cioè le quattro o cinque squadre ancora in

odore di terzo posto Champions, e poi i “gamberi”, cioè chi va indietro, verso

la retrocessione, come le tre squadre apparentemente segnate fin dalle prime

mosse e oggi fortemente insidiate dalla Fiorentina peggiore degli ultimi sette

anni. Anzi, forse il confronto con annate balorde da fondo classifica tipo

quella dell’ultimo Cecchi Gori (il laureato allo zafferano) ci direbbe che

c’era più gente allo stadio allora che oggi. Per dire di quello che sono

riusciti a combinare i “brothers” con le loro moine da disaffezione. Anche

Moratti fa la sua parte, per carità, ma non abbandona la plancia e anzi

continua a impartire ordini alla ciurma cambiando nostromo a ogni vela issata.

Vediamo che succede nel prossimo mese con il giovane e baldo “immurinato”

Stramaccioni. Dicevo di Milan e Juve: se stasera il Milan passa a Barcellona,

si galvanizza per il campionato ma pagherà dazio per lo stress e il doppio

obiettivo, arbitri o non arbitri, palloni dentro o fuori. Se invece esce dal

seminato europeo, può concentrarsi sullo scudetto, ma sconterebbe una

delusione fortissima, da parte di tutta la famiglia milanista a partire dal

presidente-allenatore. Insomma, è tutto aperto per merito anche della Juve che

non molla e il cui eventuale titolo edulcorerebbe i postumi di Calciopoli pur

senza contribuire a un “plus” di verità.

SI AGGIUNGA che perlomeno per l’ultimo posto in Champions come per la salvezza,

nessuno dovrebbe dirsi davvero tranquillo rispetto alle risultanze in fieri

del calcio-scommesse. Quindi classifiche provvisorie, ma in tutti i sensi. E

potature stagionali delle Parche, premature o longeve: dico di Giorgione

Chinaglia e di Antonio Ghirelli, che molto hanno rispettivamente fatto

scrivere e scritto di questo mondo rotondolatrico e rotondolalico. Di Antonio

c’è oggi qui un ricordo cui non mi sovrappongo, se non per dire che assieme al

rivale Gianni Brera ha “insanguinato” le rotative degli anni 60 e 70. Il “Fu

Carlo” era un solista dello stile, alla Lutring, e degli altri non gliene

poteva fregare di meno. “Totò” con tutta la sua napolitudine cercava almeno in

parte eredi in una maieutica politica e culturale un po’ da diporto. Legava

sport a società, cosa che nessuno o quasi fa più nella barbarie di ritorno da

Colosseo calcistico (in questo caso il “restauro” pubblicitario di Della Valle

non c’entra...). È quindi da rimpiangere. Così come mi piacerebbe che di

“Chinaglione canaglione”, cui il cuore ha ceduto a 65 anni, non si dicesse

troppo male per le sue ultime “licenze” paracamorristiche, che gli impedivano

di tornare in Italia. L’uomo, un Depardieu più grezzo fisicamente e “minatore”

quanto l’attore è un enologo... era davvero di buonissima pasta, con tutti i

suoi eccessi. Il calciatore era un “gigante” che ha fatto volare l’aquila

laziale in tempi più presentabili di quelli in cui si son cuciti un altro

scudetto, nell’anno del Giubileo, con un presidente come Cragnotti (e –

direbbe Totò – “ho detto tutto”). Un trascinatore, “cavallone di Gondrand” che

aveva rimontato la china della vita. Uno vero, pur tra le nequizie, da non

confondere con gli attuali falsificatori del calcio scommesse. Una specie di

quel Laghat di San Rossore, almeno in campo. . . Ciao, Giorgio.

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10 04 2012

CAMPIONATO A SALVE

In campo infuriano battaglie da playstation

In attesa del responso delle Procure

Sia lo sceneggiatore che la Pro Loco, che rispettivamente scrive il copione e

gestisce l’andazzo rotondolatrico, hanno fatto un eccellente lavoro: ci voleva

un sabato come l’ultimo, prepasquale, per garantire un fenomenale spot al

“calcio giocato” e imporlo nelle retine di spettatori e telespettatori sul

“calcio a tavolino”. Ma sì, è ovvio che il secondo dei due campionati che si

stanno giocando contemporaneamente da mesi, cioè quello in campo e quello in

Procura/e, premeva e preme rendendo pressoché virtuale un po’ tutto. Salvo che

in un pomeriggio e in una sera non accadano una serie di imprevisti o di

“gemme estetiche” del pallone che catalizzino l’investimento emotivo dei

tifosi. “Randomizziamo” un poco, per santificare il lunedì dell’Angelo e

tenendo d’occhio la partita più importante da qui alla fine del campionato

almeno a mio giudizio, cioè l’anticipo di stasera Chievo-Milan.

POI SPIEGO, anche se potrebbe risultare di tutta evidenza per chi abbia sudato

anche soltanto un poco in gioventù appresso a un pallone. Randomizziamo

all’indietro, dall’ultimo match affacciato sulla Pasqua, Lazio-Napoli. La

Lazio l’ha giocata nel ricordo dell’appena tumulato Giorgione, e l’ha vinta

credo/spero nel suo nome, con qualche chilo di grinta in più del solito, quasi

alla “Long John”. Certo, ci poteva venir risparmiato il saluto romano anzi

romeno di Stefan Radu, di cui francamente non si sentiva questo irresistibile

bisogno, e fossi stato nel club Lazio, avrei piuttosto mandato qualcuno ai

funerali americani del nostro Depardieu in calzoncini in rappresentanza

istituzionale di un popolo che per decadi si è riconosciuto in lui. Ma- come

si dice-la classe non è acqua né in campo né-soprattutto- fuori… E a proposito

in Lazio-Napoli Mauri, un tipino dal mancino buono e dalla più che discreta

intelligenza tattica, si è ricordato dei filmati di… Piola e l’ha buttata

dentro come fossimo su di un set: ma sì, il meraviglioso gesto aereo pareva

una sequenza pubblicitaria, di quelle provate e riprovate tante volte finché

non riescono alla perfezione. E invece era “in diretta”… Mi è parso, Mauri,

libero di spirito azzardando ciò che di solito si azzarda in allenamento… Mi

sono domandato: ma è lo stesso Mauri, ed è la stessa Lazio chiacchierata nei

dintorni delle scommesse? E da che verrebbe questa “libertà”, da una rivalsa,

dal fatto che “tanto non conta”, dal fatto invece che né Mauri né la Lazio

c’entrano affatto e dunque puntano “davvero ” al terzo posto alias Champions,

ecc.ecc.? Andiamo ancora indietro, ripercorrendo il sabato che evidentemente a

qualcuno Dio paga… A metà tra la luce solare e quella dei riflettori c’era

Palermo-Juventus. Stavolta la difformità d’orario ha favorito la squadra di

Conte, che ha giocato in un campo ostico ma contro una squadra debilitata

sapendo già della inopinata sconfitta del Milan: come a dire che giocare dopo

conviene se si può profittare di qualcosa, e non se si deve subire ulteriore

pressione. Ebbene, si è vista una squadra di pedalatori in salute con un

giocatore vero in regia, Pirlo. Domanda: ma è lo stesso Pirlo scansato dal

Milan come troppo vecchio, acciaccato e inadatto a proteggere difese di

movimento, esattamente il tipo di difesa che Conte apparecchia per la Juve? Sì,

avete indovinato, è quello. E dunque chi è causa del suo mal… Randomizzando

ancora, e saltando l’ennesimo gol da brasiliano di Di Natale, nel primo

pomeriggio era piovuto a Lecce. Intendo una pioggia di gol. Il Lecce, in odore

di retrocessione ma pieno di birra, tecnica e voglia di vincere, ha

strapazzato la solita Roma alterna di Luis Enrique. Il tecnico che il Gran

Romanista Fabrizio Cicchitto (che secondo me assomiglia un po’ ad Andrea

Barbato- che nel caso si rivolterebbe nella tomba- ma secondo lui è tutto

Jimmy Fontana…) vorrebbe mandar via rimpiangendo Montella: non si potrebbe

dunque arrivare a uno scambio tipo Bukowski-Corvalan, con Montella sulla

panchina della Roma, Luis Enrique in Parlamento capogruppo del Pdl e Cicchitto

a casa direttamente? Dicevamo del Lecce: una delle squadre più in forma del

torneo. Per come gioca meriterebbe di rimanere senz’altro in A. Ma per come

gioca a che cosa? Non è lo stesso Lecce stracitato nei verbali in Procura, a

Bari, dal Masiello che guida il gruppo dei rei confessi? Eppure segnano che è

una bellezza: forse la scabrosità della situazione li carica? Forse, anche se

non si potrebbe fare a termini di regolamento… (non i tesserati, neppure per

via indiretta…), il Lecce e i suoi giocatori oggi “stanno scommettendo”

metaforicamente sulla loro salvezza? Ma mentre il Lecce faceva quaterna su

quella ruota, la Fiorentina faceva un imprevisto, imprevedibile e

inscommettibile ambo sulla ruota del Meazza. Pensare che lo sceneggiatore

sembrava pigro: il Milan perde anche malamente tra gli improperi a Barcellona

salutando la Champions, non ha più neppure la Coppa Italia, deve rivincere lo

scudetto ed è in testa, “deinde” non può che divorare una malatissima

Fiorentina che capita a fagiolo. Per non faticare troppo, subito un bel rigore

fasullo che l’animale mitologico Ibra trasforma: a quel punto devono aver

pensato che fosse fatta e non che fossero fatti loro, come in realtà

atleticamente e psicologicamente erano. La Fiorentina si è ritrovata ed è

andata a vincere meritatamente in extremis, quando non c’era neppure più tempo

per un altro rigoruccio…

I COMMENTI sono stati nel segno di “Miracolo a Milano”, il film di De Sica

(senza Amauri) del ’51, contrassegnato da poesia, fiaba e la battuta del

barbone che attribuiva a tutti mirabilie concludendo con “chissà chi era suo

padre! cento lire…”. Il padre di questa Fiorentina sarebbe Della Valle senior,

e forse starà meditando di riconoscerla come figlia dopo averla ripudiata

sulla via dell’Outlet-Stadium di Firenze che tardava. Morale: che accadrà ora,

giacché due terzi di campionato di A e una montagna di club, tesserati e

partite di B, e a scalare, paiono coinvolti nello scandalo, nelle Procure di

Cremona, Bari, Napoli? Che farà il Procuratore della Federcalcio, il solito

Palazzi? Presto e male come per “Calciopoli”? Tardi e bene (ma quando?)?

Chiederà anche lui l’amnistia come ha suggerito impropriamente il Procuratore

Capo di Cremona che al contrario di Palazzi però sa già tutto e non ha motivi

di aver paura di sapere? Bah… Quasi dimenticavo: Chievo-Milan di stasera è

decisivo perché se il Milan non vince perde lo scudetto. Parola di santone,

Cassandra, Tiresia e… fate un po’ voi (nell’estate scorsa chiesi la moratoria

di un anno per rimettere insieme i cocci di “Scommettopoli”, oggi dovrei

chiederne due…).

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17 04 2012

IL RE CALCIO È NUDO

È il momento di ripensare le priorità. La salute

lo è davvero o è stata superata dal denaro?

Per tentare di andare oltre il dolore, le accuse, le polemiche, i litigi ecc. ,

credo si debba usare il compasso. Lo puntiamo stretto, e circoscriviamo la

tragedia di un ragazzo di 25 anni che muore, e sarebbe già abbastanza di

suo, senza evocare il poeta, le ciance che “dunque piaceva agli dei”, il

paragone con un operaio della stessa età morto sul lavoro e via così.

Allarghiamo il cerchio, e all’interno c’è la morte mediatica del povero Piermario,

la diretta tv, le decine e centinaia di volte che un’indegna speculazione ha

riproposto sui monitor immagini tremende spacciando una merce cinica per

un “sentito dolore” o un “dovere informativo”. Per qualcuno sarà pur stato

così, certamente, dolore autentico (a partire dai compagni per arrivare alla

solidarietà dei colleghi spagnoli attraversando un sentimento comune,

nel mondo del calcio e fuori di esso, di “ingiustizia” nei confronti del destino),

ma – fidatevi di uno che conosce i suoi polli – per molti no: per gli addetti

ai lavori che “raccontano” gli eventi è un automatismo quasi del tutto

inconsapevole, passano dal prodotto “partita” al prodotto “tragedia” solo

innestando una marcia dolorante più alta perché il motore decanti, ma

guidando la stessa automobile... Sandro Mazzola è stato un grande giocatore,

anche se un “discreto” giornalista come Brera intenditore rotondolalico

sosteneva dapprima che se “si fosse chiamato Pettirossi non sarebbe arrivato

in Serie A...”.

MA DA ormai navigato e “automatico” commentatore tv se ne è uscito a

cadavere caldo sabato chiamando i giocatori del Livorno “i suoi ex compagni”...

Morosini era spirato da meno di due ore. . . Del resto prima di Pasqua un

servizio da tg su un ragazzino palermitano morto mentre giocava a pallone in

strada forse per un arresto cardiaco aveva le stesse caratteristiche di

“notizia ghiotta” (ma perché? Chi l’ha detto?). Lo spettacolo della morte.

Ripuntiamo il compasso e oltre la tragedia e la sua dimensione mediatica

possiamo comprendere la circonferenza del mondo del pallone, con i litigi

da cortile della Lega, alias la Confindustria rotondocratica, in cui tutti (o

quasi) sono pronti a gettare la maschera della sensibilità del momento

per strapparsi i capelli e i milioni in funzione delle date da recuperare nel

calendario compressissimo. Questo non mi solleva dal riconoscere che la

misura sospensiva del calcio dopo la morte del giovane era obbligatoria:

condita da cinismo successivo e da ipocrisia e retorica simultanee quanto

volete, ma pur sempre decisione giusta della Federcalcio. Chiuso per

lutto, saracinesca abbassata, buco nella domenica degli italiani per ricordare

anche (temo) solo per un giorno che il calcio è bello (non sempre, gli scandali

insegnano) ma la vita lo è di più.

PER COME conosco i federali sono stati “forzati” a farlo dall’ambiente

(specie dai giocatori), ma insomma l’hanno fatto e almeno in qualche

coscienza sarà stata seminata una priorità. Sulla pelle di Morosini. In questo

stesso cerchio che assimilo ahimè a un piccolo girone dantesco, rientra il

discorso della medicina dello sport, dei controlli, dei soccorsi e di tutto ciò

che deve o dovrebbe rendere funzionante e sicura la macchina-uomo,

nel caso il calciatore. Ebbene, si può e si deve fare molto di più. Sono

stati spesi e dissipati denari a montagne per altro che non fosse la salute e

la sicurezza, e anche per i superprofessionisti non si è fatto tutto il possibile.

La voce “defibrillatore” è solo una delle voci di un coro stonato. La sicurezza

e la rapidità dei soccorsi è ancora e sempre migliorabile. Non parlo per sentito

dire. Come non è un “j’accuse” di maniera l’affermare che nel calcio

dilettantisco e giovanile si è poco più che all’anno zero in fatto di

assistenza medica, specie da Roma in giù. Non è considerata una priorità,

è una specie di variabile quando non decisamente un optional. Questo

è spaventoso, e continuamente rimosso. Ed è di difficile soluzione sia per il

discorso strutture e personale mancanti, sia per i rivoli di soldi dirottati

altrove, sia e direi in una chiave più generale “soprattutto” per il cratere

culturale della questione. Al primo posto non c’è la salute. Prendete il caso

Cassano. Io tremo: faccio male? Sicuri? È vicenda che si risolve toccandosi

o affastellando amuleti anti-iella? Oppure pesa una gerarchia di priorità (per

Cassano come per tutti, intendiamoci) in cui la salute non figura al primo

posto ed è stata “comprata” dal denaro? Non ha ragione Totò Di Natale,

splendido giocatore con un cognome troppo casereccio e uomo sensibile,

che ha detto con il tono da “il re è nudo” cose come “si gioca troppo, non

ce la facciamo”? Certo che ha ragione, e lo sappiamo tutti, ma il grande

business non deve sfiorire e l’arma di distrazione di massa per eccellenza va

puntata sull’opinione pubblica di un Paese in crisi fottutissima. Quindi un

altro circolo di compasso, e il discorso dello stress lascia Morosini vittima

sacrificale, l’altare del sacrificio, il territorio che lo circonda per allargarsi

ancora: non è solo Morosini, il calcio, lo sport che stanno pagando un

dazio formidabile allo stress, avendo posposto la salute al denaro e al resto

e facendo da palcoscenico e da cartina di tornasole insieme. È un intiero

sistema-Paese con i suoi assillanti disvalori ad aver smarrito il senno e il

senso dello star bene. Basta guardarsi intorno, e domandarsi se ne vale la

pena. La mia risposta, non solo di fronte alle “tragedie che colpiscono”,

forse per debolezza caratteriale continua a essere negativa.

P.S. CERTO, se poi vogliamo trovare un motivo “leggero” di sopravvivenza

basta rivolgere lo sguardo al bunga bunga del Berlusca. Vieni a sapere dai

verbali del caso-Ruby che una tal olgettina di quelle in una invidiabile danza

del ventre era stata istruita a puntino: vestiti da Ronaldinho per il piacer

suo... Fantastico. Presidente, se ci rifà per favore le chieda di mascherarsi

da Ibra, allora sì...

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24 04 2012

Sul campo di Genova

il pallone getta la maglia

Il piano è inclinato, e si rotola, nel calcio come nel sistema-Paese che lo

comprende e certe volte viene addirittura evidenziato nelle sue brutture dal

mondo del pallone. Così adesso siamo agli ultras che sospendono, impongono,

negoziano, concedono... Siamo a calciatori umiliati, come il capitano Marco

Rossi che aveva raccolto le maglie dei compagni a mo’ di trofeo per i teppisti

appollaiati sul tunnel fittizio che porta dal campo agli spogliatoi del

Ferraris, e a calciatori definiti dai media “coraggiosi” come Peppe Sculli,

“l’uomo solo che ha fermato i prepotenti”, mostrandoci le terga e la sua

maglia n. 81 mentre confabulava con quello che sembrava il boss degli ultras.

Siamo al presidente del Genoa, Enrico Preziosi, che alle telecamere a misfatto

avvenuto si dice “stufo” ma che aveva concordato con Rossi e gli altri la

“resa della maglia”. Perché? Per non rischiare il punto di penalizzazione se

la partita fosse stata interrotta per motivi di ordine pubblico, dopo la gran

gazzarra, i petardi, le minacce. Siamo al Questore di Genova che aveva solo

una dozzina di uomini in campo, nel più grottesco pomeriggio della stagione

almeno finora... che a posteriori si dichiara contrario a questa resa e quindi

in disaccordo con Preziosi, Rossi ecc. Siamo ai vertici dello sport e della

rotondocrazia italiana, con Petrucci dominus del Coni che grida al

“sacrilegio”, Abete che ulula “vergogna”, l’ex calciatore Albertini

inspiegabilmente vicepresidente federale che invoca a sorpresa la “tolleranza

zero”. Poi tutto il Genoa in ritiro con il quarto allenatore dell’anno, De

Canio, dopo il doppio Malesani e Marino, visto che già domani deve rigiocare.

Ora, poiché di energie emotive c’è stato gran dispiegamento in buona o in

cattiva fede che sia, tanto da non dover aggiungere altra indignazione

retorica (cfr. che “indegni” era il grido di battaglia degli ultras contro i

genoani in divisa. . . ), propongo alcune banalissime osservazioni.

È VERO, non è neppure la prima volta che ultras si ergono a manipolatori della

realtà e a timonieri della nave pallonara: è successo a Roma, nella primavera

2004, in un derby Roma-Lazio in cui i capi-bastone del tifo parlamentarono con

i due capitani in campo per far sospendere la partita, dal momento che voci

dal fuori-stadio davano per morto un ragazzo investito da una camionetta della

polizia, voci poi risultate fortunatamente false. È vero, anche a Marassi,

nello stadio a fianco al carcere omonimo, si ha ormai una lunga tradizione di

violenze e segnatamente ricordo l’omicidio Spagnolo del 1995 per cui venne

fermato il campionato con modalità analoghe a quelle purtroppo ripetutesi per

Morosini soltanto una settimana fa, e ancora i “mostri” di Italia-Serbia,

ottobre 2010, con quei minuti interminabili allo stadio e in tv in cui ci si

interrogava su come avessimo fatto a far diventare un luogo ludico di

ricreazione quella sorta di Colosseo almeno sugli spalti, trasferendo il

concetto di “franchigia” dalla ricreazione del tifoso all’enclave di

illegalità “sotto gli occhi di tutti”.

DICO QUESTO perché si rischia di inanellare anche l’episodio “maglie” nella

stessa catena, pronti a misurarci con il prossimo, possibilmente un po’ peggio

per un’ulteriore spolverata di indignazione, perché la notizia è la notizia.

Ma un esame appena più freddo della vicenda ci dice altre cose. Intanto, tutti

sapevano che Genoa-Siena era tremendamente a rischio, vista la classifica del

Genoa, i suoi ultimi due mesi, il ribollire mai nascosto della tifoseria. In

termini di ordine pubblico (a maggior ragione ricordando gli episodi

summenzionati) perché non ci si è mossi di conseguenza? Chi l’ha impedito al

questore, alla Digos ecc.? Come fanno a entrare allo stadio tutti i “botti”

che abbiamo sentito? Preziosi dice che non vuol più dipendere da “questi pochi

delinquenti”, che si chiede se non sia ora di “lasciare il calcio”. Perché

allora ha permesso che i giocatori si togliessero le maglie per non mettere a

rischio di penalizzazione la squadra? Se questo calcio così non va, e si è

ostaggi vistosissimi dei delinquenti, meglio smettere, non vi pare? Oppure

quel punticino faceva in quell’ignobile baraonda la differenza tra il giusto e

l’ingiusto, l’onore e l’umiliazione ecc.? Dunque la faccenda non torna. Come

non torna neppure l’atteggiamento dei giocatori. Per Rossi sembra essere valsa

la paura: ma dove? In campo, la sera, in città, nei giorni successivi? Quindi

“terrorismo pallonaro” al cubo? Per Sculli basta riguardare il montaggio delle

immagini tv per capire che tra l’ultras e il giocatore c’era diciamo una certa

quale affabilità, non sembrando esattamente su due fronti opposti: quindi

invito a confrontare la patina di “coraggio” mediaticamente attribuitagli con

una ricerca su Internet sulla sua biografia, parentele, frequentazioni ecc.

Forse aiuta a capire l’habitat in cui maturano certe situazioni limite.

Volendo, la medesima ricerchina si può fare per Preziosi, anche leggendo Fuori

gioco, di Gianfrancesco Turano, edizioni Chiarelettere, mirato sui capataz del

pallone. Quanto alle istituzioni, la domanda è ancora più banale: a Monti e a

Gnudi, il ministro competente, il calcio sta bene così?

E PETRUCCI, Abete e company in odore di diventare “bad” anche in questo

settore ancora così popolare, davvero sono sorpresi della piega presa a

Genova? Mi si può obiettare che Petrucci, grande tifoso laziale malgrado

l’avversione per Lotito ricambiata industrialmente dal latinista, magari non

era a Marassi ma all’Olimpico, per Lazio-Lecce: ebbene, li ha sentiti i berci

contro i giocatori leccesi, in cui si mischiavano offese generiche a offese

antisemite? Perché come da regolamento non è stata interrotta la partita,

proprio lungo il percorso che poi porta a Genova? Risposta: perché in realtà

parafrasando Totò “i serbi serbono”, anche i nostri, nella gigantesca recita

interessata della contemporaneità.

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01 05 2012

Europei in Ucraina:

chi ha avuto la bella idea?

La storia delle grandi manifestazioni sportive moderne (come quelle antiche) è

fatta di contrasti tra la politica e l’evento che si tende, finché è possibile,

a considerare a sé, benedetto dalla franchigia dello sport. Si fa, insomma,

come se davvero si interrompessero le guerre in nome di Olimpia. La cosa è

molto contraddittoria: per rimanere alle faccende italiane o italiote, negli

anni 70 in rapidissima successione si vinse una Davis panattica nel Cile di

Pinochet senza più strepiti politici di tanto (e allora c’erano ancora i

partiti, eccome...) e due anni dopo, nel 1978, si festeggiò la Coppa del mondo

calcistica dell’Argentina di Videla e compagnia massacrante senza quasi un

fiato: da noi si doveva parlare di Bearzot e (a mio modesto avviso) della

migliore Nazionale mai avuta nel dopoguerra e non certo dei “desaparecidos”.

Poi le Olimpiadi di Mosca furono il festival delle contraddizioni

politico-sportive. Siamo ai giorni nostri, e le cose non sono molto cambiate.

L’ex premier Yulia Timoshenko, discussa e discutibile certo, è in galera in

pessime condizioni e adesso è passata allo sciopero della fame e – pare – alle

percosse. Così qualcuno è costretto ad accorgersi che forse l’Ucraina qualche

problemuccio di presentabilità in termini di “diritti soggettivi e principi

democratici” (by i nostri ministri Gnudi e Terzi. . . ) ce l’avrebbe, e non

bastano i festoni dei prossimi campionati Europei a nasconderli.

SI È ESPRESSO in questo senso entro confini il leader Udc Casini, il più

mobile sul tronco in gergo pugilistico di questi tempi, e fuori soprattutto

Angela Merkel, che è ormai una specie di testimonial della diplomazia

veterocontinentale e planetaria, a mo’ di “la donna che non deve chiedere

mai”: si boicottino i campionati, che l’Ucraina si è vista assegnare dalla

Uefa di Platini nel 2007 a mezzi con la Polonia, se la bionda leader

dell’opposizione in carcere non viene tradotta a Berlino, per essere curata.

Bene, fa in mattinata la medesima Uefa di Michel Platini, più furbo adesso

come capataz europeo di quanto non fosse intelligente in campo, si prospetti

il rinvio di un anno se non ci sono le condizioni socio-politiche richieste.

Miracolo, nel contesto di quel sudario di menefreghismo, compartimenti stagni,

contraddizioni e ipocrisia cui ho fatto prima cenno: la Uefa che prende delle

decisioni rivoltando la gerarchia di priorità dello showbiz. Non il baraccone,

ma i diritti in questo caso civili (in Cina c’era in ballo quella cosuccia dei

diritti umani e di una pena capitale a pieno regime). Miracolo subito

rientrato ore dopo: la Uefa ha scherzato, come quasi sempre. Gli Europei si

debbono fare, e si debbono fare in Ucraina e in Polonia, anche se le

condizioni logistiche degli stadi destano preoccupazione e questo è appunto il

solo nodo da sciogliere che davvero turbi il consesso dei politici sportivi,

appoggiati ai e dai politici tout court. Come siano stati aggiudicati questi

campionati continentali a due Paesi con tali caratteristiche, è davvero

interessante: perché all’Ucraina, già allora in pieno caos politico nei

rapporti di dipendenza negoziata sul piano economico con la Russia di Putin

dopo qualche “macchia arancione”? E perché alla Polonia dei due gemelli

Kaczynski avvolti dalla nebbia politica sulla loro vera natura ideologica, in

odore di destra spinta e di democrazia pericolante? La risposta

politico-sportiva è una sola: a questi due paesi, senza guardare troppo per il

sottile, in tempi in cui per accollarsi gli oneri organizzativi bisogna

associarsi logisticamente, per non darli all’Italia. E perché non darli

all’Italia, che ricordo favoritissima in quella primavera del 2007 in cui il

ministro dello Sport Melandri già pregustava l’evento? Perché era friabile,

troppo friabile politicamente, in senso pieno e in senso sportivo (Calciopoli,

Carraro, Abete, stadi allora e ancora in nuce).

COSÌ dopo gli Europei prossimi venturi, se ci saranno (strana un’uscita così

forte della Merkel senza un “background”, non vi pare?), l’Uefa di Platini ha

assegnato alla Francia di Platini l’edizione del 2016, naturalmente alla

faccia dell’Italia che si era candidata anche questa volta. Palate di guano,

che la Federcalcio avrebbe volentieri rischiato di triplicare con la

candidatura del 2020, fortunatamente stoppata ai piani più alti. Non fosse

stato così, il ministro deputato Gnudi, oggi sarebbe stato meno libero di

esternare a favore della Timoshenko e delle priorità civili. C’è in giro e non

da oggi, un’opacità a livello internazionale nella politica sportiva,

calcistica e non, che dovrebbe far drizzare i capelli e invece lascia

disarmati di fronte alla ancor maggiore mancanza di trasparenza della politica

tutta, di cui parliamo a colpi di “spread” e di titoli di Stato praticamente

tutti i giorni. Che cosa rende addirittura più indigeribile questa “grande

abbuffata” politico-economica dello sport? È esattamente quello che nella

quotidianità del fenomeno rende i fattacci sportivi ancora più gravi di quelli

che accadono negli altri campi: lo sport, il calcio, anche se mascherati da

spettacolo, rimangono qualcosa che non si vorrebbe violato nella sua integrità

ormai quasi solo nostalgica. Sono valori radicali che l’ossessione economica

contigua al malaffare e la speculazione anche politica non hanno ancora

estirpato del tutto. Per questo, per restare malgrado tutto pur se in parte

ridottissima “un’altra cosa”, la minaccia di non far disputare gli Europei per

salvare la Timoshenko, un’idea di democrazia ormai sbiadita, e magari anche

l’esercito di cani randagi che il governo ucraino fa abbattere criminalmente

per “tenere pulito il palcoscenico” mantiene un che di nobile, anche se

l’alone di recita gattopardesca è in agguato. Avessimo trovato uno scopo

deterrente contro le nequizie per la corrotta industria dello sport

contemporaneo!

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08 05 2012

Una favola italiota

in bianco e nero

Quello che ha detto il campo è evidente: scudetto strameritato tra i sospetti

di un calcio inattendibile, compreso il caso Buffon. Così senza andare al

ballottaggio finale con una domenica d’anticipo si è chiusa una pratica alla

vecchia maniera della Vecchia Signora, con merito indiscutibile e un iniziale

favore arbitrale, il gol di Vucinic in mini-fuorigioco: intendiamoci, uno

scherzo da parrocchia in confronto a quello che stava combinando il fischietto

Rizzoli, che dovrebbe rappresentare l’Italia agli Europei della Tymoshenko in

vincoli, che ha “nobilitato” il derby di Milano in contemporanea negando un

gol dell’Inter ricacciato indietro dalla linea di porta con modalità-Muntari

in Milan-Juve (che formidabile nemesi sarebbe stata...) e poi dispensando un

rigore inventato ai milanisti. Questo per dire di come funzioni il Palazzo e

il “potere giudiziario in mutande” che lo rappresenta in un magma in cui anche

gli altri due poteri, l’esecutivo e il legislativo, finiscono stipati nella

medesima stalla. Alla faccia di Montesquieu, connazionale di Platini. . .

E A PROPOSITO di potere federale, oggi dovrebbero fioccare i deferimenti per

le scommesse, in un momento in cui uno come il Procuratore capo di Bari,

Antonio Laudati, titolare di un importante troncone dell’inchiesta penale,

dice tranquillamente che non si scommette più solo sui risultati, o sul numero

dei gol, o sulla frammentazione di entrambe le voci: adesso basta il numero di

calci d’angolo, un’ammonizione, magari le volte in cui l’hai colpita di testa

durante il primo tempo. . . per dire dell’inattendibilità del tutto anche

rimarcando che la Juventus ha vinto meritatamente in un calcio italiota che va

a gambero fuori dai confini, che fa pochi punti, che non alleva i giovani,

spreca denaro, gestisce male i club e fa sembrare un bullo il mio amato e

stimato Delio Rossi. Andrebbe posta la questione se siano più viziati i

giocatori, i loro procuratori oppure dirigenti e presidenti. Ma non

traccheggiamo: sono partito dal campo, e quindi anche fuor di metafora

dall’investimento sensato fatto nello Juventus Stadium, valore aggiunto dopo

le truffe del “Delle Alpi”. Come in una fiaba, c’era una volta la società di

gran lunga più titolata d’Italia, arrivata a vincere 29 scudetti fino al

maggio 2006.

FAVORI arbitrali ne aveva avuti eccome, esattamente il proverbio rovesciato

del cane che mozzica lo stracciato, ossia il cane obbedisce al supposto

padrone meglio se ben vestito. Senonché una squadra molto forte, che avrebbe

riempito la finale dei Mondiali di Germania dalle due parti, con giocatori

mediamente superiori a quelli che stiamo vedendo in azione oggi da noi con

l’eccezione di Pirlo, bravo ieri come oggi, significava anche una dirigenza

molto forte: una dirigenza che nel rapporto di forza in un Reame Rotondo già

allora assai malato condizionava oggettivamente la vita interna e quella

esterna del club, e imponeva la sua legge vincente. Se storcete il naso già a

questo punto della fiaba, vi ricordo che Antonio Conte per anni è stato un

pilastro di quella Juventus, quindi c’è un aut-aut, alla Kierkegaard: o andava

bene allora come va bene oggi da tecnico scudettato, oppure le magagne di

allora non possono essere rimosse dal trionfo di oggi. Le persone e gli

habitat in profondità non mutano. Continuiamo con la fiaba. La Triade a

cassetta del purosangue juventino costruito per vincere e per non farsi

azzoppare da altri concorrenti, in un gioco assai perverso che di fatto ha

ridotto questa specie di ippica in condizioni penose (cfr. i deferimenti. . . ),

comandava in casa Agnelli e comandava in Federazione. Ogni tanto lasciava

qualche scudetto e qualche soddisfazione anche ad altri, più generosamente –

per dire – del “cannibale” Merckx in una disciplina leggermente più faticosa,

tanto per far vedere che arbitri o non arbitri le competizioni erano vere. Ma

defunti l’Avvocato e suo fratello, protettori della Triade, ci fu chi pensò

bene che “questa storia dovesse finire” e lo disse chiaramente (cfr. libri in

merito...): ben prima che scoppiasse lo scandalo di Calciopoli c’erano stati

movimenti di truppe al confine, pronte a invadere il territorio appena ci

fosse l’occasione.

E FAR FUORI la Triade conveniva contemporaneamente sia ai proprietari reali

del club, gli eredi Fiat con a fianco Montezemolo, ormai stufi di quella

specie di concessionaria d’auto in leasing che era diventata di fatto la Juve,

che ai “competitors” calcistici di Milano messi quasi sempre in minoranza, che

allo stesso potere politico pallonaro troppo spesso “ostaggio” di chi vinceva

con tanta regolarità e senza mozzichi di cani di sorta. Certo, era previsto

che quest’opera di sostituzione ai vertici non sarebbe stata indolore, né per

i tifosi né per le casse del club, come poi si è visto chiaramente, e

sarebbero dovuti passare sei anni di B, lutti e rovine per “rimettere le cose

a posto”. Ma la convenienza generale del momento era tale che la rimozione di

una Triade tutt’altro che francescana in un ambiente di lupi tutt’altro che

rabboniti valeva il prezzo da pagare. Ricordo che la sentenza penale di primo

grado, di condanna decisa del malaffare, afferma nitidamente che non è stata

artefatta la sorte di alcun campionato, che le partite sono state regolari.

Come quello che è appena finito, per capirci. La fiaba finisce qui, con la

considerazione che Inter e Milan hanno occupato per sei anni il vuoto lasciato

dalla Juve orfana dei “gaglioffi” che però non hanno truccato nulla e che la

Federcalcio e la Lega (calcio, niente diamanti...) sono rimasti simulacri di

potere in mano ai club, oggi come allora. Resta un quesito: la vittoria della

Juve “sana” il passato o rinforza il revanchismo? Guerra o pace? Stella sì o

stella no per il 30simo scudetto del campo ma non della burocrazia?

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15 05 2012

Viva la fiction

del Dio Pallone

È una fiction, ma che fiction...! Contestualizziamo subito, e a spanne. Nella

domenica in cui Monti diffonde alti lai sulla “forte tensione sociale” dell’ex

Bel Paese calcistizzato, e Benedetto XVI invita a “non farsi prendere dallo

scoramento”, a Torino scoppia la festa per lo scudetto juventino : arrivati da

tutta Italia, erano più numerosi degli alpini a Bolzano, non so se rendo

l’idea. Hanno festeggiato alla sudamericana il pullman scoperto dei giocatori,

hanno pianto, riso, urlato, si sono abbracciati e hanno scherzato, si sono

tatuati Del Piero in tutti i cm corporei, erano vecchi e bambini, del sud e

del nord, immigrati e juventini secolari... Una festa di popolo. Forse qualche

suggerimento tutto ciò potrebbe darlo al premier laico e al capo della Chiesa,

o al capo dell’ecclesia economico-politica e all’erede di (Del) Pietro: c’è

bisogno di tornare a sorridere in un paese triste e tristo, e tutto fa brodo

per un pomeriggio e una sera. Questa la prima, succinta indicazione dal

tripudio, di solito trascurata nella franchigia socioculturale e

sottoculturale riservata al Reame Rotondo.

LA SECONDA nota, più stretta, riguarda la domandina facile facile: ma se il

Dio Pallone con tutto il suo fango ancora riesce a muovere tali passioni,

quantitative e qualitative, forse sarebbe un preciso dovere civico far

funzionare questo mondo come si deve, renderlo credibile, ridurre le ombre,

salvaguardarne un briciolo d’etica e legalità, leggi la disastrata “lealtà

sportiva”. Insomma, al posto di – per dire – un Abete ci vorrebbe un Monti. . .

Rimarremo nello stesso habitat lessicale. Invece c’è il precipizio che sta per

ingoiare il calcio professionistico con deferimenti e processi, e stupide

pezze a colore per nascondere fin che si può la verità dei fatti, ossia un

calcio colabrodo. Dopo che tempo fa il Procuratore capo di Cremona, Di Martino,

aveva invocato “un’amnistia” alla luce della gravità dei fatti (ma come, un

Procuratore capo?), adesso ci ha pensato il Procuratore capo di Bari, Laudati,

a incontrare il fantasmagorico Palazzi (console della giustizia calcistica) in

una specie di Teano tra le due giustizie: lo scopo era trovare un accordo sul

reato sportivo di omessa denuncia. Una specie di “busillis”: dello scandalo se

ne viene a capo solo se parlano i “pentiti”, come nel resto, ma nello sport il

pentito equivale alla condanna per chi “non ha tempestivamente denunciato”.

Come uscirne? Arrotondando benevolmente la pena dell’omessa denuncia,

accorciandone i tempi di prescrizione, benedicendo insomma il pentitismo.

Magari risolve qualcosa al momento, ma è come inferire un colpo mortale ai

valori fondanti e significativi dello sport. D’ora in poi non ci sarà neppure

quel tipo di deterrente: non denunceranno mai più alcunché a meno che non

scoppi uno scandalo “per altri motivi”, nel qual caso rimedieranno quasi senza

rischio con resipiscenze tardive. Se questa è la cornice realistica del

quadro/pallone oggi, è ancora più commovente la fiction contenuta da questa

cornice: il quadro è effettivamente intrigante, pieno di pennellate cromatiche

di dritto e di rovescio. E pure di sghimbescio. Pensate a Del Piero, al suo

fantastico addio a stadio unificato, le lacrime che sgorgavano dalle cateratte

degli spalti che lui invece tratteneva nel lucore trasmesso dalle immagini tv.

Pensate a Lapo Elkann, travestito da Lapo Elkann, che sembrava davvero Lapo

Elkann con occhiali e abbigliamento juventini, perché evidentemente era

proprio Lapo Elkann: almeno da come ululava al microfono consenziente “abbiamo

fatto un campionato della Madonna, Conte è un allenatore della Madonna, siamo

un po’ tutti gente della Madonna compreso mio cugino, Andrea, della Madonna

pure lui...”). Quindi la dirigenza manda via uno come Del Piero, solo perché

vuol giocare (come ha fatto e bene part time anche quest’anno, ma l’hanno

cacciato troppi mesi fa allorché nessuno immaginava il trionfo e non sanno

tornare indietro... la serie “della Madonna . . . ”), e resta Lapo?

O TEMPORA o mores, in bianconero. Ma da un Del Piero fulgido a un Inzaghi

inzaghesco è tutta una sceneggiatura straordinariamente emotiva: segna Pippo,

un vetero Pippo che forse qualche altro gol avrebbe potuto realizzarlo quando

serviva, segna e se va, come Del Piero, come forse Totò Di Natale che ha

trascinato in Champions la fenomenale Udinese, il vero caso di questo

campionato bianconero in tutti i sensi e in tutte le variazioni sul tema. A

Catania ha sbagliato un gol facile che poteva essere decisivo, e ne ha marcato

uno meraviglioso, coefficiente di difficoltà da tuffo del trampolino

inarrivabile, un gol da sognarsi tutta la vita, ovviamente un gol decisivo.

Per la centesima volta ripeto che quello sì, come Del Piero, è un giocatore,

dentro e fuori dal campo.

Adesso Prandelli, sul lastrico degli infortuni, lo recupera per gli Europei.

È l’unico che può salvarlo se si trasfigura fuori confini, naturalmente

assieme all’ipotetico Balotelli, stessa classe, ma anagrafe, struttura fisica

e testa opposte. Balotelli incisivo nella partita in cui il Manchester City

del misterioso sceicco Mansur e di Mancini in panchina ha vinto lo scudetto

all’ultimo tuffo per il piede del Kun Aguero, una specie di Roma (United) e

Lazio (City) sul filo di lana risolto a favore del secondo dopo secoli di

predominio storico del primo (per Roma e Lazio è un po’ diverso, è vero. . . ).

Sì, avranno pur fatto segnare il City quelli del QPR che avevano perfino Cissé

(ex Lazio...), ma c’era uno stadio che ha trasformato i singhiozzi ormai in

uscita in barriti di gioia, a dimostrazione della planetarietà emotiva della

faccenda. Niente di nuovo, basta ricordare i fatti e i misfatti dell’ultima

giornata del campionato 1972-‘73, quando la Juve vinse sospettamente su Milan

e Lazio in extremis. Bei tempi, allora i dubbi erano solo sudore di maggio.

Adesso si suda freddo per tutto l’anno.

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05 06 2012

Scocca l’ora dei Neuropei

Si gioca per dimenticare

Giocano da venerdì prossimo, alle 18. A Varsavia. Polonia contro Grecia. E se

prendiamo un po’ di distanza dal campo o dalla tv, fa effetto. Si dice che i

nomi facciano vivere le cose. È vero. Ma quali? Quale Grecia, quella di cui

parliamo tutti i giorni perché catalizza la débâcle finanziaria del Vecchio

continente, Colosso (di Rodi) senz’anima e con una moneta a rischio? No, la

Grecia che gioca a calcio. E accade in un’occasione in cui il meglio

dell’Europa pallonara si confronta per cercare di mettere insieme distrazione

e business, come sempre o almeno come ormai da molto tempo. E infatti si tenta

l’impossibile per tenere separati eppure insieme i due binari su cui corrono

rispettivamente la politica e il pallone. Prendiamo la nazione ospitante, il

coacervo duale ormai in voga per dividere oneri e rischi, ossia Polonia e

Ucraina: spicca la questione Tymoshenko, l’andare non andare dei presidenti,

ma non quelli delle varie federazioni rotondocratiche continentali, bensì

proprio i capi di Stato. Andrà il nostro, per esempio, anche per benedire il

maledettismo scandalistico di un pallone allo stremo. Ma andranno gli altri,

andrà la Merkel, andrà Hollande ecc.? E come si accorderanno, nel caso? Visita

alla illustre reclusa, malmenata politicamente dal presidente Yanukovich in

spregio della “rivoluzione arancione” ancora in corso (ricordate il vincitore

di allora, quel Yushchenko avvelenato e butterato?) mentre questi Europei

venivano assegnati? Oppure semplice dichiarazione democratica di intenti? E il

contiguo governo polacco si chiamerà fuori dalla questione declinando magari

in modo creativo la solita solfa secondo cui “la politica è una cosa, lo sport

un’altra”?

NEL FRATTEMPO, qualcuno ha già eliminato tutti i cani randagi di Kiev per

“non fare brutta figura”, e a Varsavia e un po’ dappertutto gli alberghi

costano molto di più: avete voluto il turismo sportivo, anche in tempi di

massimo “spread”? Ebbene, pagate. La politica e le speculazioni economiche si

infilano in ogni interstizio dell’organizzazione, anche se la vox populi non

vede l’ora che le squadre scendano in campo. Quali? Non importa molto. Quello

che conta è la giostra e l’attesa, il tifo, la franchigia da tutto il resto

che ci piaga. Ma è davvero un territorio franco? A giudicare da quello che

avviene anche nei paraggi del primo pallone che rotoli, sembrerebbe proprio di

no. Il clima bancarottiero del calcio internazionale è in fase di avanzato

peggioramento, ben lo sa Platini che dell’Unione europea in calzoncini è il

presidente. Voglio pensare che lo sappia perfino Barroso.. . Se andiamo alle

federazioni ospitanti, è di ier l’altro lo scandalo di quella polacca con

risvolti corruttivi eclatanti, per il Lato corto della questione (volgarissimo

e riprovevole gioco di parole che rimanda a quella meravigliosa ala destra

della Polonia di Deyna ma prima, tenete a mente, prima di Solidarnosc e

Jaruzelski e Giovanni Paolo II. . . ): l’ex campione come dirigente non si

sarebbe fatto mancare niente.

MENTRE L’OMBRA delle scommesse, e intendo ovviamente soprattutto

delle scommesse su partite “sicure” almeno secondo gli accordi, si allunga

su parecchi altri campionati. Fa più effetto l’Italia, certo, perché da sempre il

fenomeno calcio ruota vorticosamente e mediaticamente attorno al tricolore, di

cui il pallone sta vedendo stingere almeno il rosso: forse simbolicamente da

domenica a Danzica e contro i campioni in carica spagnoli bisognerebbe

pensare a un forte segnale subliminale, che so, con il verde e il bianco il

rosa al posto del rosso, così, tanto per far capire che ci siamo accorti di tutto,

che la situazione è grave, che magari tenteremo di rimediare. Lasciamo l’inno

di Mameli per le nostre parate azzurre, ma meditiamo sulla soluzione “pink”:

hai visto mai che funzionasse? Del resto se ci si interrogava nel ’39 sul “morire

per Danzica” invasa dai nazisti, sul ciglio della Seconda guerra mondiale,

bisognerà pur chiedersi se in una guerra sublimata e un po’ ridicola come

quella pallonara vale la pena di “arrossire per Danzica” o vergognarci del

nostro calcio senza per questo rinunciare a scendere in campo. Lo so, sembra

fin qui un discorso riassumibile nel classico “il più pulito ci ha la rogna”,

ma già che ci siamo, mettere in campo una squadra purchessia, di non indagati,

non sospettati, non “patteggiati” dovrebbe essere il minimo.

SE IL NOSTRO attuale calcio non è in grado di mandare da oggi in Polonia

una spedizione che non rischi né l’i nfamità né il ridicolo

tecnico-tattico-agonistico, bè, allora sì che bisognava davvero non andare. E

per favore niente ammonimenti di parte per difendere – che so – un Buffon.

Anzi, rincaro la dose. Buffon ci dica in tv a reti unificate, magari vicino al

presidente Napolitano meglio se dopo un pareggio a sorpresa con la Spagna,

domenica, una di quelle imprese catenacciare epiche travestite di alchimie

tattiche forzate, ci dica il portiere una di quelle cose che chiuderebbero il

conto: “Cari compatrioti, non ho mai scommesso né fatto scommettere sul

calcio italiano, e anzi vi faccio l’elenco milionario di tutte le mie ‘altre’

scommesse, così che stiate tranquilli”. Finché non ci avrà detto questo, il

minimo per il capitano di una Nazionale con la mano sul cuore durante l’inno

e il tricolore (col rosa) sventolante, non mi riterrò soddisfatto, anche se non

è indagato penalmente, anche se dice – come il Bossi d’antan sui rimborsi

elettorali – “dei miei soldi faccio quello che voglio”. Mi viene un dubbio:

codesto non è un articolo calcistico. E perché questi sono Europei di calcio,

mentre l’Europa non rotondolatrica sta facendo la fine che vediamo?

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12 06 2012

L’elastico di Prandelli

collettivo e psicologia

Mi piacerebbe sapere, e quindi capire, se tutto nasce spontaneamente

oppure è prefigurato: cioè se il nostro rispettato Presidente della Repubblica,

autonomamente o consigliandosi, allo stadio di Danzica domenica aveva

preordinato il comportamento da tenere in base al risultato finale. Del tipo

“se perde con onore scendo lo stesso negli spogliatoi e stringo le mani a

tutti”, “se pareggia mi abbraccio Buffon” e “se vince mi faccio prendere in

braccio da Cassano come fece Benigni col compianto Berlinguer”, o similia.

Non è una provocazione come banalmente può sembrare ma un interrogativo

squisitamente politico. Del resto il Ministro competente ha subito parlato di

“segnali positivi” dopo la partita, da estendere al Paese, e un sociologo di

valore nonché radiologo dello Stivale come Diamanti ha legato anche lui dal

suo punto di vista le fortune dell’Italia a quelle della Nazionale in termini

di “simboli comuni”.

ALMENO credo si trattasse di Ilvo, e non dell’omonimo Alessandro,

fantasista di Prandelli in panchina. Dunque va analizzata la treccia tra

fortune calcistiche e status della nazione. Prendiamola sulle prime sul serio,

questa treccia. Procedendo per interrogativi. Se l’Italia perde le prossime

due partite il Paese si va a far ƒottere? Se vince gli Europei lo “spread”

scende ai minimi storici, è festa grande anche per i terremotati e per chi non

ha lavoro e fatica anche a vedere gli azzurri in tv, e meravigliosamente e

istantaneamente “tutto è perdonato”, riferito a una sorta di amnistia nelle

cose per gli imbrogli di Scommettopoli? Che verrebbe rovesciata in

Prodigiopoli in una sorta di incantesimo che cancella il negativo e smalta il

positivo come ci è già successo tante volte? E questa “treccia”, cioè questo

atteggiamento nei confronti di calcio e costume avvoltolati insieme con lo

spago della mediaticità e sbattuti sul tavolo della politica, ci ha portato a

star meglio in passato, a risolvere problemi, a far crescere il calcio e il

costume? Oppure all’opposto ci ha condannato a questa sorta di quarto

mondo in cui siamo confinati, “anche se” l’Italia vince gli Europei?

Sgombriamo il terreno da qualunque equivoco. La squadra di Prandelli ha

meritato certamente il pari, si è ritrovata in termini di personalità, di prudenza

tattica, di dinamismo in Campionati che brillano per “stanzialità” e in cui non

corre nessuno o quasi. Quindi i campioni del Mondo spagnoli, il cui calcio

bancarottiero riceve indirettamente perfino aiuti dalla Banca centrale (spero

non tutti i 100 miliardi…), sprecando molto si sono infilati nell’imbuto di un

pari anche se nel finale potevano senz’altro vincere. Ma grande merito ai

Nostri se non è stata una Spagna fiammeggiante. Il pareggio lo vorrebbe

nei conti, ed è lontano, quello di Danzica è stato un passo falso che

effettivamente infonde fiducia a tutto l’ambiente azzurro, forte di un De

Rossi (che sta facendo il percorso inverso a quello con cui Desailly nel Milan

degli anni ’90 fece gongolare Capello davanti alla difesa) stratosferico e

aiutato dall’assenza di vere punte spagnole. Con il pur suonatello Torres

nel finale si è infatti divertito molto meno. E poi una squadra ad elastico,

Cassano quasi all’altezza, Di Natale senza il quasi, Marchisio all’inglese

ecc. E naturalmente il Buffon monumentale di sempre, di cui sopra con

Napolitano…

È POSSIBILE che Prandelli abbia strutturato nell’indigenza psicologica il

meglio a disposizione, un collettivo adatto a superare squadre più deboli

sulla carta, come appunto Croazia e Eire. Sono caratteristiche che questo

Mister di Orzinuovi ha sempre tirato fuori allenando club e che ha travasato

in Nazionale. Poi con squadre più forti si vedrà. Ma insomma “entrare” negli

Europei bene dopo il pandemonio era importante e possibile (cfr. questa

rubrica una settimana fa, tanto per precisare sulla “grande sorpresa” di ieri

l’altro per tutti. No, non per tutti). Ma che c’entra tutto questo con un

calcio italiano ridotto a colabrodo? Che c’entra con l’entusiasmo

presidenziale che è tracimato in ogni dove, curiosamente presago della

difficoltà di fare lo stesso nella fase da disputare (augurabilmente e

presumibilmente) in Ucraina dove ci aspetta la Tymoshenko in carcere e

certamente un luna park diplomatico? Che c’entra questa treccia forzata tra

il calcio e il resto, a rischio se dovesse andar male in campo, e a rischio se

dovesse andar male fuori campo al Paese dello spread e a quello dei Tribunali

con o senza Buffon? Che c’entra, Presidente mio Presidente? A meno che

già si pensi che con il calcio come sempre si nasconda e si ottunda tutto ciò

che non va, che preventivamente ci sia una “grazia”presidenziale magari

non soltanto metaforica nei confronti di chi sbaglia fuori campo e poi

“semplicemente” gioca bene come è giusto che faccia o tenti di fare. Le

ricordo, Presidente, l’episodio dei Mondiali di calcio del 1982 dove accadde il

meglio che potesse accadere al suo amatissimo predecessore, Sandro Pertini,

cioè vincere il primo Mondiale post-mussoliniano. Sull’aereo presidenziale,

a completare il leggendario quartetto di giocatori a scopone scientifico,

viaggiavano con Pertini Zoff, Causio e Bearzot, forse “tecnicamente” non

tanto peggio di Buffon, Giaccherini e Prandelli…

MA INSIEME a loro viaggiavano anche i dollari in nero dei premi da far

sparire al fisco con un gioco di prestigio. Facciamo memoria, lotofagi…

Voglio dire che resta importante, civile e politicamente serio tenere

separati i due versanti della nostra vita, godendo certamente delle vittorie

ma non strumentalizzandole eccessivamente. È vero, la treccia di cui parlo

qui ha funzionato e temo funzionerebbe perfettamente ancora oggi per

mantenere questo Paese ai livelli di immaturità che conosciamo, con la

scusa del fanciullino pascoliano in calzoncini. Ma è questo che si vuole?

Davvero? Non basta il paesaggio deformato che ci circonda, vogliamo

insistere con i medesimi stilemi? Sarebbe perseverare, dunque diabolico…

Modificato da Ghost Dog

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Inviato (modificato)

10 07 2012

ARRIVANO LE OLIMPIADI E NON

ABBIAMO NIENTE DA METTERCI

Siamo una Repubblica fondata sul calcio.

Che però con lo sport ha sempre meno a che fare

Bizzarre, queste estati sportive bisestili in cui gli Europei di calcio e le

Olimpiadi sembrano comporre un unico evento televisivo, inframmezzato da un

Wimbledon o da un Tour de France. Ogni quattro anni cade questo trimestre che

solletica i calciomani, attira i patiti (da pathos, non inteso come malattia)

delle discipline olimpiche e aggrega folle di telespettatori di superficie più

o meno coinvolti e comunque si spera, sottratti alle frequenti porcate

riciclate dalla tv estiva. Perché bizzarre? Perché in realtà, almeno secondo

il logografo qui deputato, i 5 cerchi olimpici, simboli dei 5 continenti, in

realtà sono 6. Il sesto sarebbe, appunto, quello del pallone, che però fa più

da circonferenza generale che da cerchio inanellato. È a sua volta ormai un

continente, il sesto, e ce lo dicono mille segnali. Dalla globalizzazione

rotondocratica e rotondolalica del pianeta, leggi la colonizzazione recente di

Cina e soprattutto India, al fenomeno delle scommesse che ne sta devastando

l’organizzazione a ogni latitudine senza adeguate contromisure. Così che anche

le Olimpiadi rischiano di essere calcistizzate nel sentire comune, “come se”

fossero solo un diversivo tra due eventi calcistici (gli Europei e la ripresa

settembrina della stagione), vissuti e soprattutto mercificati e venduti

calcisticamente, ossia secondo i canoni di mercato più in voga.

DEL RESTO la professionistizzazione dello sport, che ha rotto tutti gli argini

fino a presentare calciatori e tennisti (e prima cestisti)

ipercontrattualizzati come star del sacro fuoco decoubertiniano e prima

greco-antico, ben si identifica nel business a tutti i costi dello spettacolo

sportivo che il calcio eleva a potenza. Oddio, a pensarci ci sarebbe anche la

Formula 1 e non vedo perché non ne si possa riprodurre l’evento su scala

olimpica: un circuito nel villaggio atleti non renderebbe l’idea? Diventerebbe

immediatamente un cortocircuito…

Accantonati lateralmente gli ideali, il tripode e i valori, fa effetto che

qualcuno magari si interesserà meno ai Giochi perché non abbiamo a Londra la

nostra Nazionale, inopinatamente eliminata come pure – e addirittura

l’Argentina – biolimpionica. Così invece che rimpastare le discipline sovrane

dei Giochi, l’atletica (in cui l’Italia boccheggia) e il nuoto (dove invece

continua la grande stagione pellegrinesca), con un campo di calcio, ci sarà

chi rimarrà più attento ai ritiri della propria squadra o alle sentenze di

Scommettopoli. Il tutto nella cornice del tema che più cattura gli italiani

appassionati di “notizie sportive”, ossia il calciomercato, che fa vendere più

copie della stampa di settore che un Mondiale vinto o un oro portato a casa.

Proprio ieri due notizie a una colonna strizzavano l’occhio al lettore su

questo habitat misto: quella che voleva il 38enne Giggs, il quasi leggendario

funambolo gallese del Manchester United designato capitano della Gran Bretagna

ospitante in un’orgia di gioventù e amatorialità… e quella tragica del “nuovo

Pelé”, un ragazzino 17enne brasiliano morto per arresto cardiaco dopo essere

stramazzato in campo come recentemente Morosini. Sono due facce dello stesso

prisma, oppure no? Intanto l’Italia sportiva benedetta da Napolitano e

capitanata dalla Vezzali va a Londra in una spedizione assai meno affollata

del solito, comunque con una cinquantina di atleti in meno che a Pechino

apparentemente assai più lontana (almeno secondo la buonanima di Ruggero

Orlando negli anni 60: “Arrivano i cinesi, arrivano cantando, dice Ruggero

Orlando che domani sono qui…”). Ma l’aria che tira, calcio a parte appunto già

eliminato e nuoto a parte in senso contrario, non è delle migliori.

POCHI SOLDI o assai meno, nella crisi onnicomprensiva, una difficoltà a

seminare cultura sportiva che significhi reclutamento al di là del denaro puro

e semplice, insomma un’altra faccia della calcistizzazione del Paese. Pensare

che anche nell’integrazione cromatica e culturale, quest’Italia olimpica è

assai più avanti di quella pallonara di Balotelli (che non è appunto ancora

“dei” Balotelli). Non ci sarà Andrew Howe, simpatico talento oggi appiedato,

ma quasi un decimo della nostra flotta è frutto di integrazione

antropo-culturale. Ed è una bella, bellissima cosa. Che personalmente mi mette

addosso assai più allegria delle notizie che arrivano da Calciolandia, da uno

scandalo ancora tutto da decifrare con l’allenatore campione d’Italia in retta

d’arrivo sia per l’interrogatorio in Procura (federale) sia per il ritiro

valdostano della Juve. Se gli dovessero dare tre mesi o più per omessa

denuncia, che farebbe la Juve che lo ha già riconfermato in secula seculorum,

e che direbbe Zeman dal buen retiro romanista da dove si attendono i primi

mugugni per “troppo lavoro”? E in questo panorama sempre più afoso e fosco

dopo Caronte e Minosse, è una buona idea che non si squagli, bensì si

ricandidi alle prossime elezioni della Federcalcio quello stesso Abete jr.

appena scuoiato su queste colonne da una semplice ricostruzione

biografico-politica? Ed è una buona idea che dopo l’era Petrucci, oggi amabile

sindaco di San Felice Circeo coerentemente con l’eterno mantra della “politica

fuori dallo sport”, si sia fortemente sviluppata un’ipotesi Pagnozzi come suo

successore alla presidenza del Coni di cui è annoso segretario generale in una

scala buro-geriatrica da far invidia alla magistratura (recentemente poco

interessata alle vicende della federazione delle federazioni)?

Ci vorrebbe un tecnico, un tecnico dello sport… Dove trovarlo? E, soprattutto,

sarebbe ancora di moda?

Modificato da Ghost Dog

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