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Ghost Dog

Ogni Maledetta Domenica

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17 07 2012

SCANDALI ALLA ROVESCIA

Ci si indigna perché Lucio, diventato juventino, fa lo juventino

Ubbidisce al padrone, esattamente come Alfano...

Il bubbone scommesse invece è grosso davvero

ma, chissà perché, di questo nessuno si stupisce

Lo sport, o quello che ancora chiamiamo così, non cessa di mandare segnali di

fumo poco sportivi e molto politici. Una metafora continua che dimostra quanto

sia poco sportivo quel mondo e sia invece vuoto e riempibile l’assetto sociale

di cui il primo fa parte. La disciplina olimpica più praticata è quella del

servilismo, intesa come gara a chi fa più in fretta ad attaccare l’asino dove

vuole il padrone. È stata evocata per Lucio, il centrale brasiliano che dopo

tre anni di Inter è passato a fine contratto alla Juventus sub specie Pirlo (e

non è escluso che la riuscita possa essere analoga).

La sua prima dichiarazione è stata anti-Inter, per gli scudetti che secondo

Andrea Agnelli e a questo punto simultaneamente anche secondo il suddetto

macrostelo della difesa “sono 30” per la rabbia di Moratti. Il tutto nella

querelle senza querela su Calciopoli. Apriti cielo: il giocatore è stato

subito accusato di opportunismo, cattivo gusto e “dipendenza di giudizio ed

espressione”. L’ultimo virgolettato nobile e riassuntivo è mio e temo vada

bene anche e soprattutto per la gens Angelina, ossia gli Alfani che adesso

“sparano” contro la Minetti che deve mollare il consiglio regionale lombardo

dopo che per anni l’incantevole Crudelia De Mon aveva curato l’igiene dentale

dei consiglieri all’ombra del celeste Formigoni e delle sue camicie hawaiane.

Contro Nicole Minetti, interprete rigorosa del mantra di Arcore ed eponima di

un’epoca andata via di c**o e di bolina, si è scatenato tutto l’entourage del

rinnovato Satrapo, che vuole rivestire un potere esibito fino a ieri in

perizoma. Ma sembra quasi che la frase smozzicata di Lucio sia il peggio, per

un giornalismo per nulla sportivo abituato a crocifiggere eroi o simileroi del

campo per una frase infelice. Nel caso del lungagnone passato da Milano a

Torino, poi, da parte sua pare semplicemente un dovere d’ufficio, una specie

di comunicato stampa. Ma su queste cose la stampa di settore è appunto

inflessibile, e si divide con il solito tifo d’accatto nel derby d’Italia

delle magagne. Che una – la Juve – ha pagato, e in modo discutibilissimo, e

l’altra – l’Inter – invece no in una furia prescrittiva degna del miglior

Berlusconi (e il cerchio quasi quasi si chiude). Ritengo che tutto ciò sia

grave, anche se consueto. Invece che dibattere sull’autonomia di pensiero del

Lucio, sarebbe più logico dolersi della mancanza di stile di Agnelli jr nei

confronti di Del Piero, liquidato come un’auto da rottamare. Pensate: Conte

non gli ha certamente usato alcun trattamento di favore in una stagione

culminata a sorpresa in uno scudetto, ma Del Piero è stato “la” Juve anche in

questa occasione. Adesso che è stato costretto ad andarsene almeno come “ex

top-player” (mamma mia, come si parla male.. . ), davvero non lo si poteva

incensare come meritava? La memoria è un diritto e un dovere, e se esercitata

in un contesto positivo è un regalo per tutti.

La stessa stampa intignata su Lucio sembra fregarsene degli esiti di

Scommettopoli. Attenzione scarsa, notizie in piccolo, domande rarefatte.

Proviamo a farne qualcuna. I contratti dei giocatori ritenuti colpevoli dalla

giustizia sportiva sempre dopo e mai prima delle indagini di quella ordinaria,

sono ancora validi o sono stati rescissi? Non so, un Doni, per esempio, e gli

altri a scalare ma non di importanza minore perché ancora in cartellone in A e

in B. Se non fossero stati rescissi, malgrado le sentenze, la domanda potrebbe

essere: perché no? Perché assisteremmo al festival del ricatto incrociato tra

calciatori, tecnici, presidenti, dirigenti, addetti ai lavori, scommettitori

ecc.? E perché Palazzi e i suoi, il mitico Palazzi di tutti questi anni con un

commovente passato da “porto delle nebbie” sportivo e geopolitico giacché

sempre di Roma si tratta, anche se non esattamente di Piazzale Clodio,

differenziando le sentenze stanno facendo in modo che cominci il prossimo

campionato senza vera luce su tutto lo scandalo? In queste settimane, girando

l’Italia la voce comune a tutti gli addetti che ho raccolto è che lo scandalo

delle scommesse sia un bubbone dieci volte più grosso di quello che ci fanno

credere, e ciò rimanda a mesi fa, quando il Procuratore capo di Cremona, Di

Martino, invocò poco più che metaforicamente una sorta di “amnistia” per un

ambiente eticamente e in parte anche legalmente polverizzato. Invece, vedrete

che anche questa volta, come e meno che per Calciopoli (visti gli strascichi

di un summum jus summa iniuria in calzoncini che ha avuto del grottesco)

finirà con la frittura di pesci piccoli, senza speranze per una palingenesi

futura. Del resto per li rami il boss planetario del calcio, il

reprensibilissimo Sepp Blatter, non ha appena accusato di raggiri

l’attribuzione alla Germania dei Mondiali 2006? E lui non c’entrava? E Platini

che predica il fair play finanziario mentre vicino a casa sua, a Parigi, lo

sceicco del Psg fa compere sceiccose dal Milan e da chiunque? Per fortuna che

in tempi di ritiri Totti salva anziani e bambini attraverso il suo cane Ariel,

mandato in gol a Civitavecchia mentre lui faticava con Zeman. E “per fortuna

che c’è il Riccardo”, alla Gaber, cioè il ciclismo, il Tour de France e il

Tour della Mapei. Nel primo fioccano i chiodi da tappezziere che appiedano i

corridori in un festival di forature con clavicole rotte, mentre si indaga sui

risvolti “politici” dell’attentato che irrimediabilmente macchierà comunque

l’immagine dello sport dopato, ma tradizionalmente corretto nei suoi suiveurs.

Nel secondo, dove i chiodi sono tutti per gli italiani, due pedalatori di gran

lena aggrappati allo Stelvio richiamano l’attenzione delle folle: nell’ordine

l’ex tycoon del ciclismo Mapei, ora presidente di Confindustria, Giorgio

Squinzi, e il grimpeur Romano Prodi. Loro vanno in bici, Berlusca corre

(cammina) a piedi, il Paese è fermo anzi arretra e tutti attaccano il famoso

asino. Ebbene sì, preferisco la Minetti.

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24 07 2012

STANNO NEL PALLONE

Il mercato del Milan legato alle elezioni,

la Juve alle decisioni su Conte. I Viola ai Della Valle

Il tifo rossonero rumoreggia e celebra i funerali del club;

gli Agnelli attendono decisioni

C’era una volta la Selezione del Reader’s Digest, un mensile assai ricco

di temi tra cui una rubrica che suonava all’incirca così: “Sono il fegato

di Pierluigi”, oppure “Sono il cervello di Mario”, o ancora “Sono il malleolo

di Angelino”. E si raccontava il corpo umano in prima persona. Ebbene,

mi piacerebbe leggere qualcosa del genere oggi, tra calcio e politica

elettoralistica, una specie di “Sono il cuore di un tifoso milanista”,

riferito a che cosa pensino adesso che Silvio (“Sono il portafoglio

di...”) vende e non compra e addirittura liquida campioni. Oggi che il tifo

rossonero rumoreggia e celebra sardonicamente funerali del club

pluridecorato internazionalmente, e intravede un futuro in entrata solo

nell’ipotesi di elezioni in autunno, dopo un’e ventuale sveltina legislativa

per le modalità di voto.

SÌ, AVETE letto bene: un Berlusconi inopinatamente costretto alla

“sobrietà” anche dal punto di vista del Milan potrebbe essere tentato a

reinvestire denaro in nomi altisonanti in vista di elezioni anticipate. Di qui

la mia curiosità in veste “Reader’s Digest”: nel tifoso milanista non appiattito

sul centrodestra del Nostro (ce ne sono, ce ne sono) prevarrebbe l’istinto

civico o il tifo pallonaro? Per dire, come siamo ridotti... E se qui si impastano

rotondolatria e partitolalia, nel caso dei campioni d’Italia della Juve il

pasticcio è invece ancora tra legalità (anche solo sportiva) e risultati del

campo: sto parlando ovviamente dell’effetto-Conte, sul piano dei singoli il

caso più scabroso per la Procura Federale chiamata a deferire una simpatica

congrega nello scandalo di Scommettopoli, sulla traccia delle indagini delle

Procure di Cremona e Bari. Anche solo soppesando ciò che si è letto sulla

stampa, abitualmente “protezionista”, la vicenda Conte in qualità di

allenatore del Siena nella stagione 2010-2011, con relativa promozione in A,

non torna proprio. Diciamo alla Mischa Auer che “puzza”. Innocente come

una mammola a strisce di bianco su bianco (dal Siena alla Juve)? Distratto

Mister che ha omesso le relative denunce su partite combinate per scommetterci

sopra? Complice del losco “affaire”, peraltro in linea con la maggior parte

del pallone contemporaneo? La prima ipotesi sembrerebbe armonizzarsi con il

mantra juventino del “abbiamo già dato”, riferito al buio di Calciopoli illuminato

solo in parte. Come a dire “non era neppure il nostro allenatore, dovremmo

pagare per eventuali reati commessi altrove? Perderemmo il tecnico in

campionato e in Champions”, dopo che l’azzardato Agnelli aveva rinnovato

contratti e fiducia leggermente in anticipo (anche qui, consueti ritardi della

giustizia sportiva...)? Anche perché in caso di “omessa denuncia” Conte se la

potrebbe cavare con un lieve patteggiamento, che però lo sputtanerebbe

irrimediabilmente (ma davvero? Ma figurati, in un Paese in cui chi ha la

fedina immacolata è sospetto quantomeno di “inadeguatezza professionale”...).

Se invece risultasse l’ipotesi peggiore, apriti cielo juventino. Regolatevi

voi dunque sulle previsioni del caso.

NEL FRATTEMPO la stagione del campo è cominciata, e le squadre più

interessanti sono proprio Juve, Napoli, Inter e Roma, per motivi diversi

tra loro, grazie a De Laurentiis, Stramaccioni e Zeman. Alla Juventus già

rinforzata manca uno Jovetic, che la Fiorentina dei Della Valle bros. non vede

l’ora di vendere a caro prezzo per far cassa. Ormai del tutto ridimensionato

per la diversificazione degli investimenti del suo proprietario marchigiano,

il club farebbe benissimo a vendere, se non è in grado di seguire né il

modello Berlusconi (vedi sopra...) né il modello Pozzo che all’Udinese fa i

soldi e la Champions con vivai e osservatori in tutto il mondo. Solo che

dopo aver ceduto Behrami, amatissimo dai tifosi e in grande spolvero

nelle gigantografie del nuovo sponsor solo due settimane fa, forse gli

abbonati si aspetterebbero rinforzi: per intenderci, se parte Jovetic ma

arrivano Marrone, Poli e Quagliarella allora Della Valle D. avrebbe investito

sul futuro. Altrimenti sta facendo cassa. E basta. Non si usi Montella come

parafulmine annunciato, dopo Mihajlovic e Delio Rossi. Prenda esempio dal

Berlusca, che quando vuole vende, e vende bene. La cessione di Ibra è

stata fenomenale, mentre il corrucciatissimo svedese da bravo animale

mitologico passava dagli insulti all’onirico “Il Paris S.G. è sempre stato il mio

sogno”. Tanto paga lo sceicco, e lo paga 90 volte quel che incamera il

Presidente Hollande… Si è stagliata, in questa come in altre trattative, la

corpulenta figura del suo procuratore, Mino Raiola, di cui ormai i giornali

tessono l’epopea. Il web è prodigo di notizie contrastanti su di lui, età esatta

compresa. Lui afferma di avere la maturità classica, tutti ne registrano

burocraticamente le affermazioni.

PERSONALMENTE ne ho un ricordo romanzesco. Era l’estate del 1998 (o

’99?), quando mi imbarcai su un aeretto privato con un alto dirigente della

Fiorentina di Cecchi Gori, quella meravigliosamente catenacciara di Trapattoni,

Batistuta ed Edmundo campione d’inverno e liquefatta in Primavera perché

in gennaio il laureato allo zafferano non volle comprare i gemelli De Boer.

La missione era visionare a Maastricht, in un incontro agostano di B olandese,

un centrale difensivo risultato poi modesto e scartato all’istante, anche grazie

alla mia consulenza (mi ricordo che se non sbaglio l’AZ Alkmaar aveva

piuttosto un portiere gigantesco e agilissimo, ventenne, quello sì...). Tale

difensore era rappresentato in un bar di Maastricht da un tarchiato in

difficoltà con la lingua (italiana), più a suo agio con un inglese gesticolato.

Venne immediatamente ribattezzato “Mazzancolla” per quel suo modo di

muoversi, tra corpo e braccia. Era Raiola, ma tu dimmi. . . All’epoca più

addentro a bar e ristoranti che calciatori. Doveva comprare lui direttamente,

Berlusconi, magari candidandolo... Forse fa ancora in tempo, se si vota prima

del previsto: nella degregorizzazione parlamentare, chi noterebbe la differenza?

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28 08 2012

Gol e polemiche,

l’anticiclone Juventus

Risultati, arbitraggi e veleni, tutto si muove

nella “penombra” dei bianconeri, vincenti e discussi

È ricominciato tutto all’insegna della Juventus e della sua epifenomenologia: risultati, arbitri, polemiche, scandali fuori campo, esattamente come avevamo lasciato il campionato in maggio. Vediamo perché, dopo aver gettato l’occhio sulle maggiori sorprese della prima giornata e sulla novità planetaria dei due “giudici d’area di rigore”, che si aggiungono alla terna solita per comporre una cinquina che promette una tombola. Nel senso di caduta... È sotto i riflettori la liquefazione milanista, non tanto per il risultato negativo quanto per l’inconsistenza tecnico-tattica-agonistica della squadra di Berlusconi, di cui per inciso facevano lieve orrore anche le maglie, a strisce bolognesi con il nero al posto del blu... Ho scritto “squadra di Berlusconi” perché è difficile parlare di una formazione allenata da Allegri sottoposta a una sorta di spending review ultramontiana, dove si è venduto senza impostare una politica differente, di giovani talenti, di vivaio interno, di recupero di prestiti ecc.

COME è possibile che negli ultimi tre mesi oltre a vendere (e hanno fatto benissimo, anche i campioni hanno un prezzo), il club non abbia pianificato un percorso diverso, assai meno oneroso economicamente e più di prospettiva? È vero, il calcio si gioca con i calciatori e il loro livello fa (farebbe) la differenza: ma ho usato il condizionale perché i giocatori non sono macchine e possono rendere di più o di meno secondo la linearità di un progetto tattico e societario. Esattamente quello che manca al Berlusca della spending review pallonara (e temo non solo nel calcio...). Esattamente il contrario di quello che stanno tirando fuori i Della Valle bros. a Firenze, con investimenti mirati, poche frottole, meno foulard e un progetto che non si bei della sua onomatopeia. Giocare bene a calcio per riprendersi la tifoseria, un piano banalissimo e vincente, che possa riportare il glorioso club in alto a competere con... l’Udinese. Non è una presa per i fondelli, giacché l’Udinese è da anni prima societariamente e poi come squadra a livelli invidiabili, vendendo come e più del Milan di oggi. E la nuova cinquina “giudiziaria”? Pare che a Torino l’uomo deputato abbia visto bene nel caso della punizione di Pirlo, entrata il giusto per la convalida. Chapeau. Pare che invece abbia visto male l’assistente di linea sul fuorigioco propedeutico al rigore (così come è accaduto su vari campi, in primis a Roma, ma anche a Pescara, Palermo, Bergamo... Solo che a Roma è andato tutto sotto la voce “legittima (in)difesa di Zeman” mentre altrove si sono favoriti al solito i club più “pesanti”), poi sbagliato da Vidal. Non sono sicuro che si risolvano dubbi e polemiche con quattro occhi in più. Perché, così facendo, spargendo la responsabilità della cinquina, si favorisce una minore responsabilità del singolo, cioè dell’arbitro. E non mi convince. Una classe arbitrale che non goda della fiducia di (quasi) nessuno, o ne goda solo stagionalmente quando le cose vanno bene a chi comanda in campo e fuori, resta una categoria costruita come “target”, come bersaglio di tutto il mondo pallonaro, indotto mediatico compreso. Sarebbe molto più seria una revisione globale di tutta la giustizia sportiva, di cui i fischietti schierati a cinquina sono i terminali. Vorrei essere certo che sbagliano e basta, come può accadere a chiunque, ma non su commissione, non sempre a favore dei club più potenti/ricchi/influenti, non perché non abbastanza preparati, non perché confezionati “a casta” dalla Federcalcio per potere essere comunque controllati avendo la carriera pilotata come contropartita. E questo ci rimanda all’epifenomenologia della Juventus.

CERTO che sembra tutto svolgersi all’ombra o ancor meglio alla penombra di quel bianco/nero, in una tinta diffusa ormai grigia per tutto e tutti. La Juventus incarna da sempre il potere, ha il record di vittorie, è avvezza agnellisticamente al Paradiso Rotondolatrico, ma è affondata anche nell’Inferno del Dio Pallone (citazione d’obbligo per il defunto Villon con gli scarpini, Carlo Petrini...). È un fenomenale contenitore di potere, emozioni, accadimenti: si ritiene in credito per il pasticcio di Calciopoli perché già da allora la stessa giustizia sportiva di ora ne ha fatto strame (secondo la sentenza penale di primo grado i campionati in questione sono stati tutti regolari, secondo l’accusatore “interno” Palazzi l’Inter prescritta non era poi meglio...), si ritiene vittima sacrificale di Scommettopoli per la squalifica di Conte, che la condiziona ma senza colpe: giacché fosse andato al Milan il tecnico sospeso sarebbe stata la stessa cosa. Ebbene: la epifenomenologia della Juventus regge così bene il proscenio perché contiene simbolicamente l’intiero movimento calcistico nazionale, con gioie e dolori, orgoglio e nequizie, e non è invece contenuta in esso. Un calcio ingiusto, mal guidato, con la giustizia sportiva (dall’alto ai terminali, leggi gli arbitri) che fa mappa con tutto il potere pallonaro, politico sportivo e non, di cui solitamente non si parla per non gettare ombre sul giocattolo che emotivamente ci cattura lo stesso, malgrado gli scandali e gli scempi “giudiziari”. Un calcio “colpevole” sul piano della lealtà sportiva, sia nei giudicati che nei giudici che non godono di alcuna autonomia e dipendono direttamente o indirettamente dall’esecutivo calcistico. A sua volta sensibile all’esecutivo del Coni che lo sovrintende. La Juve era abituata bene, troppo bene. Dopo la retrocessione continua a bere amari calici, ma si guarda bene dal chiedere con tutta la forza di cui dispone una rigenerazione complessiva. Quella no, per carità, sarebbe troppo anche per loro...

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04 09 2012

Gli indignati del

Campionato degenerato

La reale incidenza delle sentenze di Scommettopoli sulla Serie A è vicina allo zero, ma il tifo ha subito una vera mutazione

La mutazione del calcio italiano (in peggio, a giudizio di tutti e a prova di tifo) sta diventando molto interessante. E non parlo degli scandali fuori campo, degli arbitraggi, dei terreni da beach-soccer alla napoletana, ecc., di cui sappiamo. No. Parlo del rapporto che c’è tra il calcio giocato e il contenitore-calcio: da sempre le partite, belle o brutte che fossero, coinvolgendo emotivamente milioni di persone specie davanti alla tv erano servite da straordinaria arma di distrazione di massa. Nel doppio uso strumentale di distrarre dal sistema-Paese fatiscente (versione aggiornata del solito “oppio”) e di non far incentrare l’attenzione del consumatore pallonaro sulle nequizie del sistema rotondolatrico. Negli ultimi anni la successione incredibile di scandali interni al calcio e commisurati allo sfaldamento italiano complessivo sembrava aver destato un minimo di indignazione all’interno dell’ambiente pallonaro: di qui la versione politicizzata del “che schifo, il calcio è come tutto il resto” e quella ipercalcistizzata del “se è così, non vado più allo stadio”.

IL TUTTO ovviamente fino a quando l’arbitro non rifischiava l’inizio della partita successiva della squadra del cuore (e del fegato) del tifoso ritratto “nello stadio della maturità” di cui ho grossolanamente tracciato l’identikit. Dunque indignazione contro tifo, con massiccia prevalenza del secondo. Mi sembra che ultimamente – ed è questa la mutazione profonda che avremmo sotto gli occhi se non prendo abbagli – si stia passando da “indignazione contro tifo” a “indignazione e tifo insieme”, a una sorta di convivenza. Nella sensibilità collettiva c’è questa difesa estrema del calcio e del tifo che prevede una coabitazione nella stessa persona di due atteggiamenti molto diversi. Da un lato gli scandali e la non funzionalità del pallone nostrano sono talmente evidenti da non poter evitare l’indignazione, per recitativa e spesso di parte che sia (i tuoi sono innocenti, gli altri colpevoli pressoché a priori, cfr. lo scandalo di Scommettopoli); dall’altro nessuno vuol rinunciare alla franchigia umorale del tifo, che si rinnova quotidianamente o alle brutte (senza Coppe…) settimanalmente. Si sentirebbe deprivato di qualcosa in un Paese già trafitto dalle deprivazioni. Quindi il calcio giocato non esorcizza più gli scandali, come in passato, né ne subisce le conseguenze: semplicemente i due aspetti convivono in una sorta di piano indifferenziato di logica e logistica, a un livello di coscienza sempre più menefreghista. Se è così, per l’ennesima volta il mondo del pallone farebbe da cartina di tornasole ai più generali umori degli italiani offrendone una lettura politicissima. Da Tangentopoli a Italiopoli vent’anni dopo, da un calcio che si indignava a uno che mescola l’indignazione al tifo come se niente fosse. E questo sembra valere un po’ per tutto. L’incidenza delle prime sentenze di Scommettopoli – in attesa tutt’altro che fremente delle seconde – sull’andazzo del campionato? Vicina allo zero: sì, qualche giocatore in ballo, qualche altro assolto (sempre in termini di giustizia sportiva), allenatori condannati che comunicano ai giocatori per interposto telefono e relativo vice le disposizioni vanificando le sentenze per fasulle che siano, squadre penalizzate ma senza pathos… Si convive con la degenerazione come se fosse un fenomeno naturale. Gli arbitri e la new entry dei giudici di porta che continuano a sbagliare sospettamente a senso unico (cfr. la Juve, è il suo momento…)? Tutto regolare, è così per le squadre al comando dalla notte dei tempi pallonari. Inter e Telecom condannate a risarcire Bobo Vieri con un milione di euro per l’indebito spionaggio nei suoi confronti? Uno scherzetto da niente, impervio da collegare con tutta la faccenda di Calciopoli su cui si vuole stendere il noto velo non pietoso ma opportunista: chi ricorderà che Tavaroli spiava anche Moggi “prima”, ripeto cronologicamente e illegalmente “prima” di quando sono partite le intercettazioni legali (e poi manipolate) dello scandalo degli scandali?

SI ANDRÀ allo stadio sapendo di tutto ciò “come se” fosse irrelato dagli eventuali gol di Milito… Anche se poi lo stesso stadio di Milano contempla il mistero gaudioso di uno striscione interista a favore dell’avversario in panchina, pro-Zeman e la sua etica… Che non è solo anti-juventina, come si vorrebbe forse far credere, ma anti-imposture del potere, nel caso quello rotondocratico. E la convivenza tra indignazione e tifo si trasferisce ora alla Nazionale di Prandelli, ricettacolo di perversioni alla vigilia degli Europei (clicca su Monti, Bonucci, Criscito, lo stesso Prandelli ecc. ) e risurrezione del pallone nella “cavalcata” quasi vincente (clicca su Napolitano e tutti gli altri, fino a Balotelli ecc. ).

Venerdì la Bulgaria, martedì Malta, con convocazioni di necessità per Pazzini e di investimento per Insigne. Nel livellamento generale, possono bastare anche i resti italiani, pur nel dubbio del giocatore più importante infortunato, De Rossi. Ma è calcio patriottardo giocato lontano dal resto che si vuol far dimenticare oppure sono due facce della stessa medaglia? Bah… intanto la Roma gioca bene e vince mentre la Fiorentina gioca bene e perde, ma almeno si vede un po’ di spettacolo sportivo e non solo televisivo, teatrale e non solo cinematografico, del calcio non consueto e quasi reagente alla consunzione generalizzata. Zeman for president, comunque vada.

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25 09 2012

Questa Lega

è all’ultimo stadio

La legge che deve partorire i nuovi impianti si trascina da troppo tempo

Eppure ci sarebbe anche un ministero competente...

Una volta, ormai molti anni fa, c’è stato qualcuno che ha detto e scritto con vana insistenza del calcio italiano come metafora dello Stivale, come lente (d’ingrandimento vista la popolarità del “giocattolo”) per osservare meglio i contorni del sistema-Paese. Oggi questa lettura sembrerebbe giunta a maturazione: che altro è il caso Cellino-stadio-di-Cagliari-vittoria-della-Roma-a-tavolino se non la metafora di una politica (sportiva) incapace di analizzare, prevedere, decidere alcunché? E il duello Della Valle-Marchionne sulla consistenza imprenditoriale dell’Italia non è reso perfettamente dalla sfida di stasera tra Fiorentina e Juventus, anticipo di cartellissimo della giornata infrasettimanale di campionato? E potrei continuare con esempi eclatanti di questa ipotetica metafora.

MA NEL frattempo è successo qualcosa. Il calcio italiano non è più – credo – la metafora dell’Italia bensì è l’Italia stessa, ne è una finestra integrale, contiene la società italiana e ne viene contenuto. E non è difficile illustrare questo profondo cambiamento, in peggio sia per il calcio che per l’Italia. Né mi sfugge che in realtà di tutto ciò non freghi praticamente nulla a nessuno, giacché i tifosi della Roma di qualunque lignaggio godono per i 3 punti a tavolino e i tifosi del Cagliari si sentono defraudati da Cellino, dalla società, dal mondo intero che ovviamente “ce l’ha con la Sardegna”. Peccato che l’insieme produca segni di degrado a getto continuo, ma per tutti. Andiamo sulla vicenda stadio del Cagliari, aggiungendo pezzi di domino, e vedrete che non di metafora ma di realtà italiana complessiva in decomposizione si tratta. Intanto, come è possibile che una società come il Cagliari in un calcio professionistico di puro/impuro business con i numeri che genera si sia ridotta senza stadio in questo modo, e in un capoluogo di regione. Non c’è qualche problemuccio con la politica cittadina e regionale? Cadono tutti dal pero quando è sempre troppo tardi? Poi che la Lega di A le abbia permesso di trasferirsi in zona, a Quartu, senza garanzie logistiche se non in assenza di pubblico, da Trieste dove sarebbe dovuto andare a giocare. Dico una Lega che non riesce a darsi da anni un presidente degno di questo nome, tenendo l’occhiuto collega confindustriale Maurizio Beretta nominalmente a cassetta delle diligenza, tra i litigi, come un asino in mezzo ai suoni. E mettendo insieme politica sportiva e politica tout court, come è possibile che da troppo tempo vada avanti questa pantomima dei nuovi stadi e della legge che dovrebbe partorirli? È possibile se si mettono insieme la memoria di che cosa sono stati gli stadi di Italia 90, quando “si portavano” grandi e possibilmente coperti per favorire leggendari magna-magna, e il sospetto/rischio di oggi: per cosa? Ma che i nuovi stadi che “si portano” più piccoli e maneggevoli (cfr. dal “delle Alpi” al “Juventus Stadium” ma sempre in chiave di cetriolo e di ortolano in fatto di soldi pubblici...) siano soprattutto occasioni di fantastiche speculazioni edilizie. Mettete insieme, shakerate e mescete a freddo: ecco il nuovo cocktail di calcio e imprenditoria. Ci sarebbe un ministero competente: battesse un colpo, magari ripensando un progetto di stadi polisportivi, di collegamento con i giovani e le scuole, di controllo dell’habitat ecc., potremmo fingere di voler diventare più civili e più “colti”, almeno sportivamente.

MACCHÉ, le polemiche sugli stadi vanno sempre e comunque nell’imbuto di quell’altra direzione, ossia di quanti ettari posso disporre e che cosa posso costruirci con lo stadio come pretesto. E lo stesso tipo di percorso logico si può fare per le offese rusticane, da giornalismo sportivo mediocre, che si scambiano Della Valle e Marchionne, una specie di Fiorentina-Juventus da tv e da scrivania. Temo proprio (per il Paese e nel rispetto della realtà nuda e cruda) che stavolta abbia ragione Della Valle, e che dica quello che pensiamo in molti. Poi su di lui il “dibbattito” è aperto: ma se le cose sono condivisibili, condividiamole, cribbio. Resta questo scontro dialettico calcistizzato che confermerebbe la sovrapposizione/integrazione tra calcio e società dopo che il primo a lungo ne è appunto stato la metafora. In questo sfacelo quasi quasi meglio tenersi lo straccio di pallone che ci è rimasto, e che pur di livello per lo più mediocre sembra comunque un po’ meno peggio del calcio imprenditorial-politico-mediatico fuori campo e della deriva sociale che vi interagisce.

TENIAMOCI il giocato, stasera Fiorentina-Juve, con i campioni che non perdono mai e al contrario dell’anno scorso nel frattempo vincono sempre, o quasi. Teniamoci le giocate di Pizarro, il piccolo cileno “pirlificato” che deciderà la partita assieme al Pirlo vero dall’altra parte, o la voglia di fare e non di strafare di Jovetic, oppure la fantasia di Quagliarella arrivato dieci anni fa da teenager a Firenze ai tempi della C2 e non trattenuto dalla lungimiranza di allora: poi uno dice che il calcio è tanto difficile da gestire... E teniamoci anche la crisi del calcio milanese, la cui unica sortita positiva è che, mentre scrivo, entrambi i club conservano i propri allenatori per non fare “zamparinate”, crisi che è non tanto dei giocatori, ma assai più del Berlusca in ritirata e di un’Inter che si è giovata per ora solo dell’assenza presente della Juve negli anni di Calciopoli: quello scandalo era una questione di arbitri? Bene, ha continuato a esserlo e stasera sono curioso di vedere se parte il tradizionale “aiutino”. Vedete, e non lo dico anti-juventinamente, sarebbe semplicemente il contrario del cane che mozzica lo stracciato detto alla napoletana. L’arbitro fischia più volentieri per il contendente vestito bene, meglio se più forte e potente. E non ho neppure parlato di scommesse, sempre in agguato, pensate un po’...

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09 10 2012

Un sistema molto nervoso

LO SCHIAFFO (MINACCIATO) DI ARONICA A UN GIORNALISTA, IL COMPIACIMENTO POCO MOTIVATO DI NICCHI, IL LABIALE DI COSMI, LA SCENATA DI ALLEGRI: DA QUALSIASI PARTE SI GUARDI, LO STILE DEL PALLONE RESTA SOTTO I PIEDI

STILE RECOBA Una nuova inchiesta partita ieri dalla Procura di Fermo:

decine di calciatori brasiliani e argentini arrivati in Italia con passaporti falsi

Gli studenti scendono in piazza, gli operai salgono sui tetti. E Aronica vuole “ammazzare” un giornalista. Strano, iperbolico Paese quest’Italia tanto mal messa da far esplodere anche la sua principale zona franca, quella del tifo. Il difensore del Napoli, una squadra che tra l’altro va benissimo guidando con la Juve la classifica, ma nella quale al momento lui figura poco o punto, perde la brocca e minaccia e schiaffeggia un giornalista dopo la partita. Poi si scusa, e vorrei vedere. Solidarietà d’obbligo al collega, reo di averlo criticato “troppo”, anche se il tasso di cultura sportiva in circolazione rasenta percentuali da prefissi telefonici. Vendono merce troppo spesso adulterata sia i media che le squadre di calcio, e si incrociano nel peggio. Ma giacché fortunatamente sono ancora episodi eccessivi, abbastanza lontani dalla turbe latino-americane, vale la pena di notare questa uscita di senno come sintomo di una malattia. Il classico “calcio sull’orlo di una crisi di nervi” o al di là di essa, che comunque spero non sia il titolo di questo articolo… per scapolare l’ovvio, e molto perché vorrei risalire alla fonte di questo nervosismo, che è come sempre politica.

O “politica”, virgolettato, fate voi. Al di là dell’Aronica fuori campo, in campo si gioca male e si picchia peggio. Gli arbitri si distinguono in generale per una forma scadente e in particolare per una difformità di giudizio da paura. Ognuno secondo tifo e lucidità colga fior da fiore gli episodi dell’ultima giornata di campionato, definita “lusinghiera” dal capo degli arbitri di A, tal Nicchi, che segue altre giornate infelici. Ogni tanto c’è lo “scandalo” grosso, del rigore dato o non dato, più spesso e quasi sempre ci sono appunto arbitraggi da “sorteggio”, da estrazione del lotto. Che facciamo, lo ammoniamo e quindi presto lo cacciamo il Chiellini X piuttosto che il Samuel Y o il Natali Z (leggi della Fiorentina spuntata ma geometrica…), oppure facciamo finta di niente anche se siamo lì a un passo? E ovviamente la sensazione è che si sia indulgenti con i forti (del momento, quando la Juve era in ribasso la mazzolavano) e feroci con i deboli, quelli con meno potere, quei club che non protestano o non sono in condizioni oggettive di farlo. L’obiezione è o potrebbe essere: va bene per il discorso sul Siena, bianconeri “poveri” contro i ricchi imbattuti, ma nel derby di Milano non si scontrano due poteri forti? Certo, ma ce ne è sempre uno stagionalmente prevalente. Parlano i fatti. Di qui l’esaurimento nervoso di chi perde, per limiti propri e per magagne di difformità “giudiziaria” degli arbitri, come Cosmi, un idolo, che espulso dice con un labiale commovente nella sua semplicità “da qui non me ne vado”. E poi ribadisce ai microfoni del dopo partita “sarò stato pure infantile, ma è il mio lavoro”. Oppure come Allegri, effettivamente penalizzato dal signor Valeri più scadente come arbitro del Milan come squadra, al parossismo di reazione all’inizio per un Samuel neppure ammonito, e come il suo collega rivale Stramaccioni che ha fatto lo stesso in termini di pantomime pubbliche per non esser da meno (Stramaccioni è bravo, competente, e giovane, ma se mourinheggia troppo finirà a pernacchie). E nervi molto oltre la pelle a Roma per Zeman, che vince sì, ma a malapena, e imponendo le sue regole a De Rossi e Osvaldo. Fino a prova del contrario (leggi le fonti dei giocatori), il punto è che Zeman li torchia come virgulti neanche fossero gli under del Pescara, e invece loro sono milionari della Roma che si devono amministrare. Dunque la colpa di Zeman sarebbe come al solito quella di poco realismo, di essere Zeman fino in fondo.

Ma se non vi stava bene allora perché lo avete preso, benedetti dirigenti che vi arricchite con il pallone? Quest’ultima affermazione vi parrà troppo forte: ebbene, non riguarda la squadra singola e relativi manager o procuratori, bensì tutto il calcio italiano. I cui nervi sono esposti al rischio della Finanza, recentemente in visita al Napoli e alla Federcalcio. Se dovesse divampare un fuoco di carte, ci sarebbe la risposta alla domanda: perché tanti stranieri nel nostro campionato? Forse anche perché oltre confine si lasciano meno tracce fiscali? E che dire della notizia odierna, a proposito della nuova inchiesta partita dalla Procura di Fermo sulle decine di calciatori brasiliani e argentini arrivati in Italia (anche in A) con passaporti falsi, stile Recoba? È sorprendente? Davvero? Questo dell’illegalità diffusa è un aspetto non trascurabile, credo, di un sistema rotondolatrico assai malato. E appunto assai nervoso. Perché non funziona nulla, esattamente come nel Paese: ma se non funziona nulla neppure nel diversivo nazionale, ecco il corto circuito. Ci vorrebbe una flebo di legalità sportiva. Ma come forse saprete (per sbaglio temo, i media ne parlano poco o niente), la chacchieratissima e indisponente “giustizia sportiva” a partire dal procuratore federale, Stefano Palazzi, è stata riconfermata un paio di settimane fa dal presidente uscente della Figc, Abete. Per altri quattro anni. Il giudiziario dipendente dall’esecutivo, un’autonomia di poteri che innamora. E Abete fino a gennaio non saprà se verrà riconfermato, dopo le tante buone prove che ha dato di sé… Era indispensabile riconfermare i responsabili di tutti quei pasticci? Nessuno ricorda le contraddizioni (eufemismo!!!) estive nei vari gradi di giudizio? Il nome Conte dice nulla? E allora siamo sempre a Voltaire: riconfermate riconfermate, a qualcuno converrà. . . se non è politica questa nel regno dei nervi incrociati non so proprio come chiamarla.

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Sinceramente un giornalista che parla della decadenza dei valori mi fa solo ridere.

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16 10 2012

Sassuolo, distretto del pallone

LA CAPOLISTA CADETTA MESSA IN PIEDI DAL LEADER DI CONFINDUSTRIA

SQUINZI E ALLENATA DALLO ZEMANIANO DI FRANCESCO È UNA DITTA VINCENTE

E UN ESEMPIO SU CUI MEDITARE ANCHE NELLA MASSIMA SERIE

PRANDELLI DIXIT Il Ct ha ragione: non esistono più Nazionali materasso. Ma forse bisognerebbe aggiungere che anche buon calcio se ne vede sempre meno

Un anno fa, al leggendario Cibali di Catania, avevo visto giocare bene uno spezzone di partita contro la Juve imbattuta da poco, su cui nessuno o quasi avrebbe scommesso (ahia!!) un nichelino, tal Catellani, esterno d’attacco molto mobile e solo precipitoso sotto rete. Mi aveva fatto una buona impressione. Me lo ritrovo a perfezionare l’ultima quaterna rifilata in B dalla capolista Sassuolo al Varese, anche se è solo in prestito. Diversi anni fa, m’era caduto l’occhio su un teenager promettente in Serie D, nel Pescina-Val Giovenco, con colpi da giocatore medio europeo di quantità e qualità sia pure assai in erba, tal Sansone, e dopo una brillante carriera da centrocampista di categoria me l’ero ritrovato nella scorsa stagione trequartista cannoniere. Dove? Nel Sassuolo ai play-off (adesso in forza al Torino con introiti conseguenti per le casse emiliane). Però, ci prendono costoro del distretto della ceramica, forse all’ingrosso 45 mila abitanti a un soffio da Modena, nel cui storicizzabile stadio Braglia giocano e vincono. Ci prendevano giocando bene con Pea, allenatore targato Mourinho, ci prendono ancor meglio quest’anno guidando la classifica a distanza con 8 vittorie e un pari con Di Francesco in panchina sub specie zemaniana. Certo, il patron è sempre quello Squinzi che ha fatto almeno altrettanta carriera se è attuale leader di Confindustria, ma non ha aspettato simile rango post-marcegagliesco per investire sullo sport e sul calcio.

PROFITTANDO della sosta del campionato di A grandi attenzioni per la B e dunque paragoni calzanti in termini numerici con la Juventus retrocessa che aveva inanellato la stessa serie, e calzanti in termini socio-economici con il Chievo alle porte di Verona come è oggi l’accoppiata Sassuolo-Modena. Gente seria, organizzazione serena, resistenza alle catastrofi (cfr. il terremoto). È anche vero che se bisogna andare con i piedi di piombo nel parlare di serietà di un calcio da A, a giudicare dal lavoro delle Procure, quelle vere, da non confondersi con la Procura della Figc, come ci ammoniscono le cronache e le intemerate di Manganelli capo della polizia, figuriamoci con la B e con le serie a scalare... Nel vischio delle scommesse è difficile che qualcuno si possa chiamare completamente fuori, essendo il connettivo sociale ed etico a oggi irrimediabilmente compromesso. Quindi prudenza, anche se il Sassuolo è un fenomeno piacevole, vincente e spesso spettacolare, anche se l’intiera B sforna spesso partite divertenti e un livello di gioco non così accio, e spesso nei dintorni della A con meno campioni e a volte un reticolato tattico-agonistico rispettabile. Ma certo è questa diffidenza, generata dagli scandali senza soluzione di continuità e senza autentica indignazione, che tinge di un colore marrone l’ambiente. Ed è un peccato, perché così non assolve neppure al compito oppiaceo per cui è nato, e tutti pensano che “il calcio sia esattamente come il resto”. Ci si distrae con la Nazionale in via di qualificazione al Brasile 2014, ma anche qui entusiasmi limitati per la modestia generalizzata. E sono d’accordo con Prandelli quando sentenzia che oggi il livello del pallone internazionale è questo, fatto di piani spesso intercambiabili, senza reali squadroni e avversari materasso. Solo che Prandelli da bravo Cicero lo dice a spiegazione/giustificazione della fatica nel battere l’Armenia, mentre forse bisognerebbe spingersi a sostenere che di buon calcio se ne vede sempre meno in un momento in cui invece il business rotondocratico non conosce pause, colonizzando le aree meno tradizionali del pianeta. Nel frattempo, purtroppo, sono stato ciclisticamente raggiunto nella mia fuga solitaria dal gruppone (metafora!!!): pare che le notizie maleodoranti degli scandali pallonari, e gli sviluppi del caso-Telecom-Tavaroli-Cipriani-spionaggi-vari nelle udienze in tribunale a San Vittore ci dicano almeno due cose che nessuno voleva sentirsi dire fino a ier l’altro.

LA PRIMA: il mondo del calcio è molto più inquinato di quel che ci lascino credere, e non possiede neppure gli anticorpi che ha – forse – la società nel suo complesso perché la politica sportiva ha combinato un pasticcio riducendo il concetto di giustizia (sportiva, ma anche senza aggettivi) a un pastone immangiabile, leggi l’ultima prodezza di Abete nel confermare Palazzi e c. per un altro quadriennio, prodezza di cui nessuno voleva parlare. La seconda: la madre di tutti gli scandali, cioè Calciopoli, continua a dimostrarsi matrigna, e il calcio paga un ulteriore sovrapprezzo all’aver spacciato per pulizia un regolamento di conti. Conti sarebbe minuscolo... ma diventa maiuscolo se ci riferiamo all’allenatore scudettato, la cui vicenda giudiziaria è grottesca se letta in controluce, con tutti gli ammennicoli dei vari gradi di giudizio. Ma per fugare equivoci, lasciatemi dire che per come conosco il calcio Conte e i Conte sanno per forza tutto, che abbiano scommesso oppure no. E che sia quindi l’intiero pallone a dover finire in aula. Ma scusate, ladroni a parte, chi volete che denunci i colleghi se “così fan tutti” e non ci punti piuttosto qualche soldino sopra sapendo di partite arrangiate in toto o in parte? Sì, uno ci sarebbe, quel Simone Farina pluridecorato ma disoccupato o costretto a emigrare. Che a questo punto andrebbe però arrestato... Così, tanto per dare l’esempio ai “buoni scemi”...

Modificato da Ghost Dog

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23 10 2012

Storie di ordinaria barbarie

QUEL CHE È SUCCESSO A LIVORNO, CON I TIFOSI VERONESI CONTRO MOROSINI, O A TORINO, CON LA TELECAMERA RAI IN ODORE DI RAZZISMO, È DAVVERO STUPEFACENTE? FORSE È SOLTANTO LA NORMALITÀ DI UN PAESE ALLO SBANDO

TELE RAZZISMO Per una volta la Rai sceglie la linea dura. Sospeso dal servizio il giornalista del Tg3 regionale autore del servizio con gli insulti ai napoletani

Quarant’anni fa Pier Paolo Pasolini obiettò su un titolo di prima pagina, del tipo “Mostruoso al Circeo”. Secondo lui il titolo giusto sarebbe stato “Normale al Circeo”. Un modo iperbolico di entrare nel corpo vile di un Paese in via di disumanizzazione.

IN PROPORZIONE infinitesimale propongo lo stesso atteggiamento mentale per quel che accade nel nostro calcio. Davvero quel che è successo a Livorno, per i cori dei tifosi veronesi sul morto Morosini, è stupefacente? Davvero le risse, gli insulti, la barbarie dentro e fuori lo Juventus Stadium intorno a Juve-Napoli è sorprendente? Davvero il collega del Tgr che affonda la telecamera negli insulti ai napoletani è un razzista estremo? E per scendere al campo per destinazione, modello la voce rauca del compianto Sandro Ciotti, davvero un Preziosi che caccia anche De Canio dopo la sconfitta interna con la Roma può stupire qualcuno? Ma via... normale, normalissimo in un pallone finito nel buco nero sociale, culturale e politico di un Paese sbandato. Normale e quasi di scuola, tanto per ripartire dallo stadio (Ferraris...) più basso di questa catena, che un Preziosi categoriale tra i presidenti manager rotondocratici espella un allenatore perché “si è fatto rimontare troppe volte”. Il linguaggio come sempre spoglia le persone. Per rimanere all’iperbole, Preziosi doveva avere il coraggio di mandar via De Canio all’inizio del secondo tempo, quando la Roma, che aveva già rimontato un quarto d’ora da incubo pro Genoa, si è disposta centrando il pallone come la cavalleria di cavalleria di Radetzky, tutti o quasi pronti a riversarsi tra le linee nemiche. Preziosi doveva licenziarlo per telefono senza aspettare il secondo tempo, e allora sì che avrebbe fatto qualcosa di estremo, stupendoci almeno un poco. Così siamo alla solita pochade del tecnico “fusibile” di un corto circuito complessivo. Lo stesso corto circuito del Paese e del pallone, nel quale prende la scossa chi ci mette le mani. Perché Livorno-Verona non è stata sospesa? Insultare a cori ignobili il morto è come farlo morire due volte, se è stata sospesa la partita quella tragica prima volta e tutto il calcio si è fermato, come è pensabile che pochi mesi dopo si “normalizzi” questo scempio? Si normalizza appunto perché è normale, atroce ma normale. Altrimenti il potere federale, gli arbitri, le istituzioni di pubblica sicurezza, il sindacato calciatori e gli stessi capitani delle due squadre si sarebbero dovuti fermare all’istante, non solo per i regolamenti ma per uno straccio di sensibilità. Invece continuare a giocare è “normale”, maledettamente normale proprio come esagerare nei cori. E lo stesso metro dovrebbe funzionare per il teppismo da stadio, che invece è ancora e sempre una rubrica a margine della partita. E c’è voluto quel collega eroe, sia pure al contrario, per attirare l’attenzione su un modello di comportamento che secondo i commenti viene etichettato come “razzista”. Perché cassa di risonanza nei confronti dei napoletani o del Sud. Ebbene, forse bisognerebbe invece focalizzare il livello professionale un po’ di tutta la categoria. È la mancanza di una qualsiasi cultura sportiva che produce questi fenomeni. Se hai praticato (penso a un Giampiero Galeazzi su cui in tanti hanno scherzato come “bisteccone” ma che ha conosciuto direttamente il sudore e il valore nel canottaggio), è difficile che tu perda la bussola e ti lasci andare all’offesa.

SE NON HAI praticato sport e hai almeno “studiato”, forse ti funziona il servofreno della conoscenza. Ma se finisci allo sport in una dimensione di totale analfabetismo specifico (spesso localizzato all’interno di un analfabetismo generalizzato che innamora...), bè, diventa normale, appunto “normale”, perderti nella spirale del tifo e della partecipazione, dello smercio del peggio “che si vende bene”. È l’equivalente delle migliaia di “Che cosa ha provato?” che in tanti colleghi ci regalano sbattendo microfoni e telecamere sotto il naso di genitori che hanno appena perso un figlio. È sempre una questione di cultura, e riguarda un po’ tutti. Non solo: adesso i soldi latitano in un ambiente dorato, viziato, privilegiatissimo fino a ieri ma in cui anche oggi succedono fatti strabilianti. I dati su coloro che continuano a entrare a ufo al Meazza davvero impressionano, perché sono tanti e forse soprattutto perché non desistono neppure oggi che dovrebbe essere cambiata l’aria. Se invece la crisi permettesse e spingesse verso una revisione dei comportamenti, forse anche questo periodo di vacche economicamente più magre anche per i viziati potrebbe servire. Se siamo ancora oggi ai cori sul giovane Morosini morto in campo, alle barbarie da stadio e ai razzismi/analfabetismi di cui sopra, è perché non è stato fatto nulla. Da sempre. Nessuno, a partire dal ministero dell’Istruzione e dal Coni, ha mai seminato davvero in questo senso. E questa arretratezza si paga nella normalità feroce di quello che accade. Sì, adesso la Rai ha scelto la linea dura e ha sospeso il collega “eccessivo”, ma nessuno prenderà lo spunto per una ricognizione di categoria. Magari squalificheranno “oggettivamente” il campo del Verona, ma i buoi sono scappati da un pezzo. Quanto a Preziosi, allora mi tengo un Della Valle con tutte le scarpe. Appunto. . .

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30 10 2012

Arbitri,il dibattito no!

VERGOGNOSO AL CIBALI: SEI “DECISIONISTI DA CAMPO” PER PRENDERE LA DECISIONE

SBAGLIATA. IL PARLAMENTINO DI CATANIA SAREBBE GROTTESCO SE NON

FOSSE LA RIVELAZIONE DI UN MONDO IN CUI NESSUNO È RESPONSABILE SUL SERIO

NULLA DI NUOVO Sudditanza? Si tratta di fischietti che sbagliano perché “in carriera”. Anche loro hanno un occhio di riguardo per le loro caste

Dopo Catania-Juventus siamo tutti catanesi, parafrasando John Kennedy a Berlino spaccata 50 anni fa. Neppure lo sceneggiatore più creativo avrebbe potuto immaginare il copione del Massimino, ex Cibali (vergognoso al Massimino in effetti suona cacofonico...). Dunque il “siamo tutti catanesi” si potrebbe tradurre anche grossolanamente in “siamo tutti anti-juventini”, interpretando il sentimento rotondofobico del resto d’Italia. Eppure ci starebbe una lettura anche insolita, del tipo contrario come “siamo tutti juventini”, lettura provocatoria che va interpretata da subito. Se uno tifa Juventus senza avere interessi materiali né coinvolgimenti nel glorioso club della Vecchia Signora quanto mai in spolvero in un Paese così vecchio, dovrebbe offendersi. Dico davvero. Ma non per la reazione catanese o anti-juventina, bensì per quello che è accaduto domenica a Catania al volger del mezzogiorno, dunque in un orario insolito nel quale l’attenzione di un po’ tutti i calciofili si poteva concentrare anche di più: con le partite alla stessa ora le nequizie si mescolano meglio, di solito…

TORNIAMO agli juventini. Dovrebbero offendersi, invece di incamerare così l’ennesimo stratagemma. Una simile sperequazione, un’ingiustizia, una macroscopica difformità di giudizio pro-Juve quando una squadra non perde da 48 partite consecutive in campionato dovrebbe essere vissuta da uno juventino serio come un’offesa, un insulto, un vulnus alla sua juventinità. Ed è ridicolo, proprio per la disparità di risultati, poi accampare un “comunque siamo più forti”. E che vuol dire, a maggior ragione non vi pare? Quello che è accaduto a Catania, e le modalità dell’episodio con quel parlamentino arbitrale che in altre circostanze sarebbe riuscito grottesco se non fosse stato il culmine di una situazione di disagio un po’ per tutti, dovrebbe colpire lo spettatore e l’amante del calcio in tv o nelle chiacchiere, quella rotondolalia che costituisce l’indotto favoloso della rotondocrazia: così davvero è tutto finto, e non si può pensare al bello del calcio perché Davide batte Golia (aveva la fionda, è vero, ma nella metafora articolata l’arbitro gli leva la fionda e Golia-Juventus picchia il piccolo Davide senza turbamenti). Insomma, io juventino chiederei regolarità dei campionati. E invece non sarà così, il tifo prevede la franchigia dell’augurarsi che la propria squadra vinca comunque, anche comprando gli arbitri, caso meraviglioso e di scuola purtroppo temo non riscontrabile in questa circostanza.

Tutta la leggenda degli arbitri in auto della casa torinese, Fiat voluntas loro, e ho scritto leggenda perché fa più figura, sarebbe molto più semplice per spiegare ciò che è avvenuto domenica. E invece si tratta semplicemente di arbitri che sbagliano perché “in carriera”, perché da sempre tengono d’occhio le caste calcistiche, perché il Catania ci rimette contro l’Inter l’altra domenica e non succede granché e davvero stavolta Gervasoni e soci la devono far grossissima perché ci sia un moto di rivolta. Subito rientrato. Quel Rizzoli protagonista della pantomima a Catania come arbitro della porta incriminata (è ovvio che fosse stato dall’altra parte si sarebbe regolato all’opposto...) già stasera viene designato per Palermo-Milan, come se niente fosse. E il presidente del Catania, Pulvirenti, che ha giustamente strepitato come raramente in passato, deve essere rifuso nelle prossime partite, possibilmente ai danni di squadre ancora minori, meno abilitate a protestare perché di peso minimo in Lega, che condiziona la Federcalcio, che nomina i vertici arbitrali sia pure indirettamente, che dicono a Tizio, a Caio e a Sempronio, ai Gervasoni/Rizzoli/Maggiani più gli altri tre della famigerata sestina come regolarsi.

È SEMPRE stato così. Quando la Juve era in disgrazia post Calciopoli, erano mazzate, adesso è tutto tornato come prima, ma per la Juve così come per gli altri. È guasto il Paese, è guasto il calcio, è guasto il tifoso che vuole vincere comunque (anch’io per un momento mi sono congratulato con me stesso per il gol annullato a Mauri, a Firenze, ma devo essere uno sbagliato perché un secondo dopo ho riconosciuto che era buono). E a chiunque richiami la “franchigia” umorale del calcio, forse va ricordato che il tifo esonda oltre il calcio, nella politica, nell’irrazionalità, nelle contrapposizioni solo di superficie ecc. Un Paese così ha nel pallone la sua cartina di tornasole, e l’eponimo Bergessio è stato prezioso: ci ha detto, urlandocelo, che non è calcio ma catch, è finto (modello il Roland Barthes de I miti d’oggi del 1956 sulla finzione di uno sport recitato), e se facciamo quasi finta (finta?) di niente è perché in fondo ci sta bene così. Sta bene così alla cittadella calcistica piena di magagne, che ha inventato prima tre, poi quattro, poi sei “decisionisti da campo” che nel vortice delle loro comunicazioni via telefono e palmo davanti alla bocca annullano triturandole le loro responsabilità. Ghigliottinare 6 persone è più difficile e meno immediato che rosolarne una distinta. Sta bene alla stampa, che specie nelle sue performance televisive ci regala la solita verve “protezionistica” contraria a ogni forma di sia pur lieve giornalismo per sapere e non per confermare con lunghissime domande a preservare le risposte, come un vaccino per la malattia di una discussione seria, hai visto mai. Così al Cibali tutto resta com’è, clamoroso in apparenza, ma stantio e inappetibile nella sostanza, e chi continua a scriverlo si sente un cretino. Quasi meglio sostenere che El Shaarawi è il nipote di Mubarak.

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06 11 2012

Rosso e impossibile

“Errore voluto”

MORATTI A GAMBA TESA SULLA MANCATA ESPULSIONE DI LICHTSTEINER

VIENE IN MENTE TOTÒ QUANDO DICEVA “GLI ARBITRI SERVONO...“. INTANTO IL CAPO

DELLA POLIZIA ANNUNCIA PROSSIMI “SFRACELLI” SULLO SCANDALO-SCOMMESSE

SAI CHE SPOT Ennesimo capitolo disastroso per i fischietti

Il retropensiero è che il migliore ha vinto “almeno stavolta”

Finalmente uno spot positivo per un pallone così povero e impoverito: è questo il responso sintetico dell’ultima giornata di campionato dai commenti alla quale emerge una doppia verità. Quella di Gigi Buffon che ha detto saggiamente “ci metterei la firma a perdere una partita ogni 50”, e quella di Massimo Moratti che ha definito l’errore di Tagliavento che non ha espulso Lichtsteiner un “errore voluto”. Non sto facendo dell’ironia, non ho scherzato sulle scommesse del portierone né sulla permalosità quasi leggendaria del presidente dell’Inter. No, perché hanno ragione entrambi, lo sconfitto e il vincitore. Alla Juve va comunque di lusso almeno in Italia, mentre deve fare molta attenzione a riqualificarsi in Champions dove è oggettivamente in bassa marea, all’Inter e a tutta l’Italia non bendata la omissione grave di fischiata dell’arbitro con la cacciata del difensore campione d’Italia non può che essere sembrata volontaria. Ha deciso di non punire come da regolamento un fallo almeno da ammonizione e forse da “rosso diretto”, per non guastarsi i rapporti con un club piuttosto che con un altro. Non se l’è sentita, dicono: alla faccia, ma allora ci vada un altro... E mentre il discorso sulla Juve tatticamente un po’ più arrangiaticcia del solito, meno coriacea agonisticamente e poco pericolosa per un deficit pre-cronico di stoccatori rientra in una qualunque disamina tecnica, quello sull’Inter attiene allo stato comatoso dei nostri arbitri. Non mostrare cartellini all’aggressione di Lichtsteiner perché già ammonito è stata una sorta di provocazione, davvero alla Marchese del Grillo, “io so’ io e voi nun siete ‘n c****”. E l’averlo fatto nel derby d’Italia, nella partita più importante per entrambe da molto tempo, a una settimana dai misfatti dei suoi colleghi a Catania, bè, è stato come sanzionare tutta la credibilità della magistratura pallonara al di sotto di ogni ragionevole dubbio. E mi ostino – come molti, peraltro – a lasciare tra parentesi il fuorigioco del primo gol, ibrida caricatura di giudizio se a confronto con il gol annullato a Bergessio a Catania e con quello successivo annullato giustamente ma per un pelo a Palacio, guarda caso dell’Inter, nel medesimo match. Voglio pensare che la “volontarietà” sub specie morattiana in qualche modo nel caso sia stata nebulizzata dalla necessità di vedere bene e in fretta, anche se è sospettissima la regolarità unidirezionale a favore della Juve oggi come in passato dell’Inter o del Milan o di chi manteneva uno straccio di potere stagionale. Gli arbitri servono, come diceva Totò senza citare esattamente i fischietti…

Ma il discorso sulla mancata espulsione va al di là di quel ragionevole dubbio, significa una arbitrarietà che fa a pugni con l’equanimità o l’uniformità auspicate dei direttori di gara, getta una luce fosca su tutto un demi-monde rotondolalico che accetta questo stato di cose, sperando di poter godere dei vantaggi di chi a volte è martello e non sempre incudine. Ed è una flebo di alibi per tutti, oltre che una cambiale di rischio per la stessa salute dei calciatori, tutelati in modo assai diverso tra loro: davvero un attentato a ogni sorta di regolarità, materiale e morale. Del resto perché nessuno fa mai una bella inchiesta sugli stessi giocatori presi per i fondelli – che so – nel Chievo e invece rispettati – che so – nel Napoli, per non restare alle solite squadre? Gli stessi, le stesse persone. Perché direbbero che a seconda dei club cambia tutto. Questo è tacito, e implicito, Tagliavento e i suoi sodali lo hanno reso esplicito con la faccenda-Lichtsteiner. Bravi dunque, almeno ci hanno diradato qualunque avanzo di nebbia. Ma avevo cominciato parlando di spot positivo per la sfera derelitta, e dunque tutto ciò parrebbe contraddittorio. Non lo è, perché l’Inter ha vinto comunque e con merito, e ha creato le condizioni di una nuova, magari solo episodica adorazione del Dio pallone. Alla fine vince il migliore, si dice, anche se il retropensiero è “almeno stavolta”. Nel frattempo buone nuove dalla Fiorentina e cattive dalla Roma. Ellalà, si obietterà giacché hanno vinto entrambe largamente e con lo stesso punteggio. Sì ma a Firenze sembrano aver imboccato una navigazione seria, e dopo aver pungolato i Della Valle in tutti i modi giova ed è giusto riconoscerlo: forse è stata benedetta la rissa estrema Delio Rossi-Lijaic, rissa che deve aver convinto la proprietà che era stato toccato davvero il fondo (torto di entrambi, e vergognoso, più stimabile il tecnico ma anche più responsabile del mezzo-genio cioccolatofilo). Comunque sia, tecnico bravo e ambiente rigenerato con una società finalmente presente e quasi “sociale”. E la Roma? Temo il peggio, perché da come si sta comportando il club o meglio il binomio Baldini-Sabatini con un “core” o “fegato” di Roma come De Rossi e con lo stesso Zeman i tempi potrebbero diventare sempre più cupi. Uno Zeman timido, a fine carriera, più facile da gestire e da usare come parafulmine, un giocatore gladiatorio, un po’ antico e molto moderno come il centrocampista che cercano palesemente di vendere. Poiché sono abituato a pensare bene, non voglio neppure lontanamente ipotizzare “accordi grigi” con club esteri. Ma certo se dovesse avvenire sarebbe un’operazione in perdita per (quasi) tutti. E chi riguarderebbe quel “quasi”? Ah, saperlo…

P.S. Nel frattempo il capo della Polizia, Manganelli, si distrae per un attimo dai guai che gli provoca in procura il suo vice Izzo per annunciare “sfracelli” nella prossima tornata dello scandalo-scommesse. Ma tutti cadranno dal pero, come sempre, sul morbido…

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13 11 2012

In panchina

cuore e portafogli

DA MAZZARRI A STRAMACCIONI, DA MONTELLA A ZEMAN... SOFFRIRE E ARRABBIARSI SUL SERIO, METTENDO A RISCHIO PERFINO LE CORONARIE, IN UN MONDO DOVE TUTTO È TAROCCATO... EPPURE NEL CALCIO ITALIANO SUCCEDE ANCHE QUESTO

RE TRAVICELLO B. è padrone di affidare il Milan pure ad Alfano,

ma l’idea di tenere Allegri solo per non pagare altri stipendi fa sorridere

Questioni di cuore e di portafoglio sulle panchine italiane, avvicendamenti di classifica e strane congiunzioni astrali di calendario che in parte dettano il corso del campionato. Si dice “cuore” e si pensa a un tecnico fumantino ma capace come quel Mazzarri del Napoli, cardiologicamente in difficoltà. Augurandogli che non debba smettere di allenare, lui che ha contribuito pesantemente a costruire il primo Napoli davvero competitivo a vent’anni dall’era Maradona, è forse un po’ presto collegare lo stress di un mestiere da “fusibili” nel corto circuito calcistico con le sofferenze di cuore. Anche perché c’è in atto un paradosso neppure troppo sotterraneo: se identificassimo questo nesso patologico tra l’alea del campo e uno spasimo ventricolare per chi guida le squadre, dovremmo far finta di ignorare tutta quella zona nera o comunque grigia dei trucchi del mestiere.

SAREMMO all’assurdo di un pallone che da un lato inguaia la salute di un Mister la cui squadra perde per un rigore fasullo (o un palo preso) e dall’altro fa dire al capo della polizia che sotto quel mondo, tolta la pietra di ciò che si vede in grande spolvero nel calcio iperprofessionistico spacciato come vero, è tutto un verminaio. Soffrire per partite arrangiate? Ci mancherebbe solo questo... E questo è il Napoli terzo in classifica. La seconda e la quarta sono rispettivamente l’Inter di Stramaccioni perdente e lamentosa contro l’arbitro e la Fiorentina bella a vedersi ma adesso anche attrezzata per vincere di Montella. Due tecnici giovani, che comunque continuino hanno già marcato la loro stagione. Come da due anni fa all’Atalanta un loro più ruvido e meno “scolastico” fratello maggiore, quel Colantuono che evidentemente oltre a mettere bene le squadre (l’Atalanta) in campo, sa come parlare ai giocatori. Invece in testa c’è il Mister assente, il fantasmatico Conte da Sky box, mago dei patteggiamenti, che ha scoperto addirittura “il giornalismo tifoso”. Eureka, caro Antonio, ci siamo arrivati. Dopo anni in cui meritatamente hai raccolto scalpi prima da giocatore e poi da tecnico, adesso che stai pagando (leggero) dazio alla storiaccia delle scommesse ti accorgi che quello stesso giornalismo che fa da ufficio stampa all’Affare Rotondo ne è anche la tabe profonda, fonte di incultura sportiva e di faziosità fin nelle viscere. Ma da Conte ad Allegri passando per Zeman il percorso lungo le attuali panchine italiche è lunghissimo. A Roma uno Zeman abbrunato dopo aver perso anche il derby è destinato a fare da parafulmine a una società almeno dubbia e assai meno promettente della “rosa” dei suoi giocatori. Sul caso De Rossi ho già dato. . . Sono l’ultimo a meravigliarsi che abbia sbroccato – colpevolmente, per carità – giacché dietro ci sono le spire di un mercato pochissimo chiaro.

E VENIAMO a un’altra assai visibile vittima del mercato, ma estivo, quell’Allegri trasformato in quattro e quattr’otto o insomma in un terzo scarso di campionato da ottimo allenatore a manutengolo provvisorio del club di via Turati, che appunto dopo i campioni si sta per vendere anche gli uffici (di via Turati...). Niente da obiettare sulle strategie di Berlusconi, per carità, neppure se decidesse di far gestire la società ad Alfano, ma insomma quest’idea di tenere Allegri solo per non pagare altri stipendi a un nuovo allenatore sta facendo sorridere. E non porta a quel che pare nulla di buono al presente, in attesa che diventi futuro. È inutile confermarlo in panchina ogni 3x2 con enfasi mentre a caratteri cubitali si legge che qualcuno del Milan ha incontrato Guardiola, il fratello di Guardiola, la cugina di Guardiola, il nipotino di Guardiola... Si ottiene il risultato di delegittimarlo completamente di fronte alla squadra e poi si commenta che essa, la squadra, non ha una fisionomia: e grazie, si raccoglie come sempre quel che si semina. Il calcio è strano e bizzarro in qualche aspetto, perché la palla rimbalza (sui campi praticabili. . . ), ma lineare e comprensibile in tutto il resto. Pensavate che il Genoa facesse meglio cacciando un allenatore perché si faceva rimontare troppo spesso? Et voilà, ecco l’ennesima rimonta subita e l’ennesima sconfitta. E non c’entrano né De Canio né Delneri, ma un modo dirigenziale di amministrare il pallone che mette i brividi, e che riguarda troppi presidenti. Al contrario del Berlusconi risparmiatore che non vuol mettere mano al portafoglio, se non in altri settori evidenziati dalle udienze in tribunale, loro giocano esonerando i Mister, come fosse un Monopoli. Anche questo eccesso di leggerezza tecnico-amministrativa contribuisce a ridurre il calcio nella sua misera condizione.

CI SI CONSOLA con l’equilibrio del torneo, Juve esclusa che invece comunque pena oltre frontiera. Ebbene, tra le bizzarrie di un campionato incerto, c’è anche una constatazione che di solito rimane sottotraccia: mentre non è vero né è stato mai vero che torti e favori arbitrali si compensano, invece il fato (una “t”) gioca un suo ruolo nel calendario. Incontrare una squadra nel momento in cui è “bassa” è un aiuto della sorte, e se questo si ripete la fortuna può favorire serie positive o comportarne di negative. Per esempio per la Fiorentina giocare a Milano oggi con un Milan così malridotto è stato comunque un vantaggio, mentre affrontare in casa prima il Cagliari in formissima e domenica l’Atalanta ammazza-Inter risulta difficile. Fateci caso, è un altro modo di pesare le stagioni. E poi si rientra nella circonferenza del pallone. Rotondolalia, insomma…

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20 11 2012

Uno strano weekend di cialtroni

SE MORATTI SOSTIENE CHE QUELLA DEGLI ARBITRI ITALIANI SI AVVICINA MOLTO

A UNA PAGLIACCIATA, HA RAGIONE. MA LO DEVE DIRE SEMPRE, ANCHE QUANDO

HA DECISIONI A FAVORE. E NE DEVE FARE UNA QUESTIONE SERISSIMA IN LEGA

CARRIERA FINITA Daspo di tre anni per Pietro Arcidiacono, l’attaccante del

Cosenza solidale con l’ultras condannato per la morte dell’ispettore Raciti

Hanno cominciato sabato con le due partite d’alta classifica. A Torino non c’è stato che un pari sterile di gol ma – udite udite – senza particolari polemiche arbitrali. Quasi il calcio di una volta, non fosse stato per l’esposimetro tv. A Napoli invece si sono giocate due partite, in senso letterale. In quella del pomeriggio, in occasione del match tra il Campania e il Foggia in Serie D, nello stadio minore del Vomero una volta maggiore, assalto a un pullman di tifosi del Foggia da parte di quelli del Napoli e scene di guerriglia con ferimenti e ricoveri a colpi di botti e coltellate, pare solo perché il Foggia ha gli stessi colori del Milan atteso al San Paolo in serata.

IL MILAN che ha rabberciato un pari prezioso dopo la sventura di Abbiati definito in tribuna “portiere di ɱerda…!” dal tifoso Galliani, che poi si è scusato (è la stampa e la dimensione pubblica, bellezza, guai se ti metti le dita nel naso mentre la telecamera indaga...). Nel frattempo sempre quel sabato tal Arcidiacono, attaccante del Cosenza in Serie D, aveva già mostrato per festeggiare un gol una maglietta che inneggiava a Speziale, condannato in via definitiva per l’omicidio dell’ispettore di polizia Raciti in un derby siciliano anni fa. Adesso il questore competente gli ha dato il Daspo, l’interdizione al campo per tre anni, e il calcio si sente più tranquillo perché un Arcidiacono, inteso come categoria di simpaticoni, la prossima volta ci penserà un momento di più prima di mischiare così efferatamente le carte del campo e del penale. Poi, nella domenica in cui la Fiorentina ha preso a volare grazie a club, staff tecnico e squadra in scala opportuna dopo anni di errori e dunque premiata anche se non benedetta dagli arbitri, ecco lo scandalo di Inter-Cagliari e di un pari sul terreno strameritato dai sardi, ma certamente viziato da un arbitraggio infelice. Moratti se ne è doluto pubblicamente tantissimo, avendone la bisaccia piena dopo alcune partite storte, una raddrizzata con merito contro la Juve imbattuta e poi battuta, l’altra persa di misura a Bergamo. Moratti ha ragione, ed è fuor di dubbio. Grottesco il negare da parte dei giocatori avversari, il rigore rivisto era solare, grottesco il comportamento di arbitro, assistenti (ex guardalinee...) e giudice d’area di porta, che non hanno neppure (in tre, nel caso) partorito una punizione dal limite, giacché effettivamente tutto si è svolto sui centimetri di linea. Se son codardi, almeno ci fosse stata l’ipocrisia di una fischiatina arretrando il tutto come accade spesso. Per non parlare del secondo gol sardo a colpi di braccio. Se Moratti sostiene, come altre volte i suoi colleghi di altri club, che quella degli arbitri italiani si avvicina molto a una pagliacciata peggiorata dal complemento dei sodali di porta, ha ragione. Ma lo deve dire sempre, anche quando ha decisioni a favore. E soprattutto ne deve fare una questione serissima in Lega e Federazione, a bocce ferme, cercando garanzie di regolarità per tutti e non protezionismo individuale quando gli va di traverso. Insomma, certo il rigore su Ranocchia, domenica, ma pure quello su Gomez in Inter-Catania di un mese fa. E anzi, se si dà un’occhiata a tutte le partite anche solo rimanendo alla Serie A, trovare un arbitraggio decente, che giudichi con un’uniformità e una severità europee quello che avviene in campo e soprattutto in area di rigore, è estremamente difficile. Quindi per non cadere nella noia ripetitiva, o si affronta la questione arbitrale oppure significa che a tutti va bene così, nella tragicommedia pallonara di sempre.

VI PARRÀ esagerato tragicommedia, forse avreste preferito commedia alla latina o addirittura farsa, meglio se plautina. E invece su questo terreno brullo di etica e legalità cresce appunto la piantina della violenza: se è tutto inattendibile, anche l’esasperazione di toni, botte, bombe carta ecc. diventa comprensibile e dal punto di vista degli attori pessimi di questa pièce quasi giustificabile. Per carità, mettere insieme gli straveri di Moratti, le imprecazioni di Galliani (di gran lunga le meno gravi...), gli incidenti troppo frequenti negli stadi ecc. può sembrare un discorso da screanzati (cfr. Tommaso Landolfi, finissimo centravanti arretrato nel Frosinone del dopoguerra, lui era di Pico...). Ma a giudicare dal clima del Paese, con l’Italia disperata in piazza sempre più sfinita dalla crisi, perché uno non dovrebbe preoccuparsi di un eventuale collante pubblico tra manifestanti di varia estrazione? Obietterete anche qui: che cosa c’entrano le proteste degli studenti, le manifestazioni di disoccupati e precari, i cortei delle fasce più deboli di un Paese slabbratissimo con gli eventuali nefasti da stadio e gli eccessi di un tifo che da sempre non riesce ad autoregolarsi? Insomma, che c’entra Arcidiacono con Speziale? Già, bravi, che c’entra: lo vogliamo chiedere alla maglietta di cui sopra, sotto Daspo, oppure i vasi sociali comunicanti di una rabbia esplosiva li potete vedere da voi? E nel caso non credete che in una (questa sì) tragicomica equazione italiana, la disperazione da strada sta alla classe dirigente di questo Paese come il teppismo da stadio e comunque il parossismo del tifo sta alla casta dirigenziale rotondocratica, agli Agnelli e ai Moratti e a tutti gli altri che giocano a fare i presidenti e sono specialisti nel lamentarsi di scandali e arbitraggi sempre e solo dal loro punto di vista senza alcuna preoccupazione per la temperatura che biecamente si alza?

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27 11 2012

B. e le primarie del pallone

SIA NELL’ARENA POLITICA CHE IN QUELLA CALCISTICA, IL C. T. (CAIMANO TECNICO)

VEDE COME VA, INCIDE DA FUORI E SI REGOLA PER IL FUTURO. ALTRETTANTO FA IL SUO

MILAN CHE BATTE LA JUVE CON UN RIGORE DUBBIO, CHE FA GODERE IL CAVALIERE

IN CAMPO Il Napoli si avvicina ai bianconeri e nei paraggi c’è la Fiorentina

che gioca bene, sempre. Montella mostra che, se si vuole e si sa, si può

Giornata spezzettata e al rallentatore per la testa della classifica. Il Napoli si avvicina a sfiorare la Juve in una serata ardua a Cagliari nella quale anche senza Cavani incamera tre punti benedetti grazie al solito “Marechiaro” Hamsik. E il campionato apertissimo si deve a un’equazione imprevista di domenica sera. L’equazione è stata pressappoco questa: Berlusconi sta alle primarie del centrosinistra come il Milan sta alle primarie dell’ultima giornata di campionato. Cioè vede come va, incide da fuori e si regola per l’immediato futuro. E lui, il C.T. che sta per Cavaliere (o Caimano sempre più somigliante alla facies dell’attore di Nanni Moretti…) Tecnico una volta del Paese e oggi solo del Milan, mischia alla grande le due situazioni. Per Bersani e Renzi sta alla finestra e mette pressione, alludendo a una ridiscesa se vince il “vecchio” (che pur nato nello stesso giorno di Silvio ha una quindicina d’anni di meno) e una empatia politica con il “nuovo”, entrato a piè pari nella lizza un po’come aveva fatto lui quasi un ventennio fa. Per il pallone e il Milan meritatamente a raccolta delle spoglie della odiata (ma quanto? tanto?) Juve, il presidentissimo sempre in cerca di soci finanziatori in giro per il mondo dice “c’è più gusto a vincere con un rigore dubbio”.

E IL BELLO, a dimostrazione sempre più lampante della calcistizzazione dello Stivale, è che i proclami ormai li fa indifferentemente nei due campi da Milanello, o dal Meazza. Lasciando qui e ora ad altri l’esegesi del riberlusconismo, restiamo al Milan. Ben messo in campo, ha dato tutto quello che poteva dare, dal tecnico sempre in discussione con il naso aquilino che si profila a schiera in panchina con quello simile del suo vice Tassotti a tutti i giocatori in campo, fino al grande tifo rossonero (che non si è neppure fatto mancare la vergogna di ignobili cori anti-Pessotto, per ricordarci che Paese siamo o siamo diventati...) sugli spalti. Ed era quello che si chiedeva a una squadra certo molto indebolita dalle cessioni estive dell’ex nababbo olgettinico, ma non così “accia” come spesso è apparsa finora. Qualificata agli ottavi della Champions sempre con la spada di Damocle/Guardiola sulla testa di Allegri, prima o poi doveva trovare la “quadra”. Lo ha fatto nell’occasione più prestigiosa anche se una Juve imbattuta sarebbe caduta più a fagiolo. Invece i campioni erano molto stanchi, forse più di testa, e con il retropensiero probabile che comunque sarebbero riusciti a recuperare il match. È saltato quel “comunque” perché il Milan ha loro impedito ogni reale occasione da gol, ha corso di più e meglio, ha esibito un Montolivo alla Pirlo in grande spolvero, mentre dall’altra parte c’era un Pirlo alla Montolivo minore. Quindi, certo, un gol su rigore fasullo come capita spesso di solito a chi ha una classifica migliore del Milan attuale… una specie di rigore alla memoria, una nostalgia di rigore… ma una vittoria strameritata. È esattamente il commento che di solito fa la Juve dopo qualche fischiatina favorevole. Stavolta tocca al Milan. Ciò mi fa dire che i favori e gli sfavori arbitrali si compensano? Ma per carità, non vi fate prendere per i fondelli da questa panzana positivista. Alla fine qualcuno è nel libro dei vantaggi (quasi sempre gli stessi) e qualcun altro in quello dei danni.

Né la moltiplicazione dei giudici di gara ha sortito effetti positivi. Anche nel rigore pro-Milan nessuno ha obiettato che non era tale, magari per la pressione delle decisioni inclini alla Juventus di questo abbozzo di stagione. Così il Milan si è ringalluzzito, e la Juve ha appunto rallentato, facendo avvicinare le altre in classifica. In ogni caso è più sotto la Fiorentina, il cui pari a Torino contro una squadra migliore di quel che sembri va accolto con grande soddisfazione. Anche qui invece che discutere di una prestazione di entrambe più che buona relativamente all’organico del Toro e a quello falcidiato dalle assenze e dagli incidenti in corso d’opera della Fiorentina, si opina di un rigore giudicato fasullo da parte granata. Basterebbe rimarcare ciò che tutti pensano, e cioè che è un rigore che spesso, troppo spesso non viene dato, per far convenire che era effettivamente un rigore “ipotetico”.

MA SE venissero fischiati sempre, specie nelle mischie, diciamo all’europea, sarebbe un gran bene per tutti. Invece di solito niente rigori, o rigori mirati, e polemiche a non finire nell’abituale indotto di chiacchiere tifose. La Rotondolalia che mischia giornalisti e ultras con una facilità straordinaria. E a proposito di stampa, segnalo che Zeman avrà forse vinto a Pescara in modo e punteggio non tonitruanti (apotropaico era la scorsa settimana…) ma di sicuro ha segnato un gol lui nel dopo-gara quando ha rinfacciato a una collega una domanda che cominciava più o meno così: “Lei dice che la Roma spesso a volte…”, obiettando “Scusi: spesso o a volte?”. Mi aspetto per il futuro proficue lezioni di congiuntivo a una categoria che troppo “spesso a volte” bercia perché “tanto è un gioco”. Tornando a noi chi interpreta come gioco il pallone è piuttosto soprattutto la Fiorentina. Ha giocato per vincere, ha rimontato due volte, altri dieci minuti e avrebbe certamente vinto. O perso (negli ultimi anni una partita così era persa). Senza Jovetic e Pizarro, fuori Aquilani e Toni, con il marocchino volante di complemento effettivo, ha dato l’idea di essere una squadra vera. Capisco dunque che per il tifoso fiorentino – vinca Renzi o Bersani – il ballottaggio sia un piacere domenicale nel vederli giocare, come non accadeva dai tempi di Terim. Non me ne voglia Prandelli, uomo dabbene, ma a Montella comunque vada dobbiamo gratitudine da spettatori, tifo a parte. Perché è la dimostrazione che se si vuole e si sa, si può. Hai detto niente…

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04 12 2012

Dove c’è calcio, c’è violenza

LO STRISCIONE DELLO JUVENTUS STADIUM SUI TORINISTI MORTI A SUPERGA, UN BUCO NERO DI CIVISMO E DI RISPETTO. SE LO SPORT È CULTURA, QUESTO È L’ULTIMO STADIO DI UN’IGNORANZA CHE SI RITROVA ANCHE NEL MODO DI GIOCARE IN CAMPO

COSÌ FAN TUTTI Un argentino e un polacco si sono adeguati al nostro andazzo picchiatore; un po’ come i tedeschi in vacanza che buttano buttano in terra le cartacce

In molti sottolineano come il temporale di gol dell’ultima giornata di campionato, andati soprattutto a segno nella porta delle squadre peggio messe in classifica con l’eccezione della stanca e rimaneggiata Fiorentina, serva a rivitalizzare un calcio asfittico e negativo come il nostro. Certo, Giuan Brera fu Carlo teorizzava provocatoriamente la partita perfetta in assenza di gol, cioè di errori delle difese, ma era un mattacchione colto che voleva semplicemente vedere neanche tanto di nascosto “l’effetto che fa”. Non fu lui a teorizzare che se Sandro Mazzola avesse fatto di cognome Pettirossi non avrebbe mai giocato in Serie A? Non era un abbaglio, naturalmente, ma un sapiente allarme contro il nepotismo in calzoncini… Tornando ai gol (e Mazzola ne ha fatti tanti e per questo farebbe bene a tenersi lontano dalla politica politicante pallonara), ne hanno segnati a grappoli e questo sembra aver fatto passare come sempre in seconda linea alcune piccole questioni che hanno ridotto la Rotondocrazia italiota in queste condizioni. Il gol esorcizzerebbe le cattive notizie, come in una fiaba. E giù a recensire triplette e doppiette che costituirebbero “lo spot migliore per il nostro campionato”, così livellato ed equilibrato. Prendiamo i tre gol del Milan a Catania, una delle squadre più martirizzate dagli arbitri negli incontri con Inter, Juventus e appunto Milan (ma più Inter e Juventus, in proporzione…). Oppure prendiamo i tre gol della Juventus nel derby. Sembrerebbe tutta una questione di gol.

POI VAI A LEGGERE tra le pieghe delle due partite e l’andamento di esse e assai probabilmente (manca sempre la controprova) il risultato finale risultano condizionatissimi da due espulsioni, tra l’altro sacrosante, quella del talento argentino acefalo Barrientos, del Catania, e quella del cocciuto polacco Glick, del Torino. Perché picchiano tanto, e tanto stupidamente? E perché si picchia così spesso e così male nel campionato italiano? Da che viene questa abitudine al gioco scorretto e pericoloso che niente ha a che vedere con il leggendario “non è sport per signorine” di altre generazioni e soprattutto di altri Paesi, contro i cui club ci si misura in Europa spesso con risvolti risibili per le squadre italiane? Commentando l’effetto Glick, qualche suo compagno ha detto – non si capisce bene se per alleggerirlo o per rincarare la dose – che “entra così anche in allenamento”: bene, magnifico. Non mi pare che si tenga ben presente l’aspetto rischioso e fesso di tutto ciò, né quanto questo poi penalizzi i singoli e le squadre quando al gioco irregolare si contrappone il gioco semplicemente duro. L’obiezione nel caso dei due citati ma esemplari, che si tratta di un argentino e di un polacco nella globalizzazione della cattiveria, non vale più di tanto. È un po’ come un turista tedesco o austriaco che da noi butta le carte per terra e si commenta in tanti, con accenti indignati, “a casa loro non lo farebbero mai”: collego infatti tutto ciò a una deficitaria cultura sportiva che inguaia spesso lo sport italiano e quasi sempre il pianeta pallonaro. Di solito tutto ciò viene inscatolato appunto nella formula, reale eppur riduttiva, secondo la quale poi “picchiando così all’estero gli arbitri ci penalizzano”. Che è certamente vero, come detto, ma è solo l’aspetto pratico della faccenda. Che cosa ci sia dietro, “a monte”, sembra di nessun interesse. E la dizione “cultura sportiva”, nel senso di una lacuna profonda del concetto e dei comportamenti consequenziali, è da sempre e sempre più lettera morta. È invece lettera viva, vergognosamente viva, lo striscione dello Juventus Stadium sui torinisti morti a Superga nel ’49.

PER UN PAESE di lotofagi, nel calcio e nel resto, di cacciatori di oblio, di senza-memoria, recuperare la tragedia di allora in forma di scherno non è soltanto un’operazione riprovevole e condannata dallo stesso Andrea Agnelli (e vorrei vedere…). È un buco nero, di rispetto, di civismo e se volete anche proprio di “cultura sportiva” che ha vaghi apparentamenti con la violenza da campo, sia pure ovviamente etichettabile sotto tutt’altra luce. E mi mette francamente i brividi il punto di vista fatto proprio dal ministro Cancellieri, notoriamente persona seria nonché grande tifosa romanista, che ipotizza una sorta di Daspo (le misure che tengono lontani dallo stadio gli ultrà rei di violenze contro persone e cose beccati in flagrante e anche successivamente) anche per manifestanti di qualunque tipo – immagino solo se responsabili di qualcosa di diverso e di peggiore che non sia il manifestare contro qualcuno –. “Come nel calcio”, ha detto il titolare del Viminale, creando psicologicamente le premesse per una commovente osmosi tra il peggio del pallone e del tifo e il peggio dei manifestanti “facinorosi”, virgolettati di conseguenza. Quindi la società e le sue misure di ordine pubblico prenderebbero sì qualcosa da un mondo rotondolatrico culturalmente agonizzante, ma sarebbe appunto un qualcosa di peggio, una firma alla degenerazione che ovviamente va contrastata fuori e dentro gli stadi. Ma magari ponendosi anche delle domande sul perché ci siamo ridotti così. Mi viene l’atroce dubbio che la latitanza di cultura sportiva di cui sopra sposi fin troppo bene il deficit di consapevolezza di una società impantanata e che ahimè lo stadio non sia più lo Juventus Stadium (o un altro omologo), bensì il nostro neppure troppo metaforico Colosseo nazionale. Per quanto ancora basteranno i gol dei Reziarii a distrarci?

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11 12 2012

Totti, Messi e quel

birbone di Palazzi

IL PROCURATORE RICHIEDE UN PUNTO DI PENALIZZAZIONE DA SCONTARE IN CORSA

PER IL NAPOLI E NOVE MESI DI STOP AL SUO CAPITANO CANNAVARO. NE VALE LA PENA

PER UNA PARTITA DI DUE ANNI FA? VIA, ASPETTIAMO LE PROSSIME SCOMMESSE...

EURO ELFO Con 86 gol Lionel Messi batte il record di Gerd Müller, il topo

tedesco delle aree di rigore degli anni 70. Ormai solo i Maya possono fermarlo

È davvero uno screanzato il procuratore federale Stefano Palazzi, ovvero l’accusa nella serie televisiva di grande ascolto “Scommettete, scommettete, qualcosa resterà”, che ha regalato l’ultima emozione ieri, con la richiesta da parte del Palazzi medesimo di un punto di penalizzazione da scontare in corsa, nel torneo odierno, per il Napoli terzo in classifica per responsabilità oggettiva, di 9 mesi di stop per il suo capitano, Cannavaro junior, e di una multa alla spicciolata al club. Il tutto per cose vecchie, stradimenticate, come un Sampdoria-Napoli del 2010. Ma via, siamo seri: come si fa a marchiare il calcio col fuoco dell’infamia per qualche omessa denuncia, come se fosse una gran notizia, e poi per mano o bocca di un Palazzi di cui ricordiamo le performance estive su Conte e compagni? Un Palazzi riconfermatissimo nel ruolo accentratore dell’accusa federale, come se fosse tutto limpido, efficiente nei processi pallonari? Ricordate la telenovela (della stessa serie) del “patteggiamento”, del quanto vuoi quanto ti do quanto mi prendo?

DOVRESTE ricordarvela, perché proprio domenica scorsa, a Palermo, l’allenatore tricolore Conte Antonio ha smesso i suoi panni di suora di clausura negli Sky-boxes di tutta Italia per tornare in panchina e continuare a vincere, essendo al timone di quella che per ora è l’unica squadra davvero europea del nostro campionato. Tornando a Palazzi, in un clima di meravigliosa omertà generale che le partite e i gol si incaricano di “obliterare” nell’immaginario di un popolo calcistizzato fino al midollo come Berlusconi ha capito benissimo da 26 anni, mischiando a Milanello Alfano con Robinho, davvero si vuole permettere all’occhialuto procuratore d’origine giuridico-militare di intromettersi nei sogni di quei bambini che ci hanno fatto ridiventare? E di pregiudicare la serenità degli affari per lo più grigi nella mediazione sempre più fosca tra l’economia pallonara bianca e quella nera, trionfante meglio se all’ombra della camorra? E solo perché qualcuno, il Cannavaro di turno, avrà finto di non capire che c’era combine, una delle tante, su cui piazzare una bella scommessa? Davvero per così poco, in un ambiente che anche se non partecipa attivamente sa passivamente tutto di tutti, vogliamo bruttare la figura di un elfo inarrivabile come Messi, che in Europa (e sul pianeta) inanella record, ed è arrivato a bypassare Gerd Müller, il topo tedesco delle aree di rigore degli anni 70, realizzando 86 gol finora nel solo anno solare 2012 prima che i Maya gli interrompano bruscamente la carriera? E le obiezioni del tipo “Vostro Onore, ma gioca nel Barcellona lunare!” valgono solo fino alla risposta “Ma ci giocano anche gli altri, in quel Barcellona, e dunque la “pulce” ha qualche numero divino in più”. O vogliamo farci distrarre per “colpa del Palazzi” dalla leggendaria e infinita Totteide, l’epos di Francesco che insegue Nordhal nella prolificità della massima serie e tinge di sé gli ultimi vent’anni di calcio romanista? Che c’entra il calcio extra-campo con le giocate che ci fanno venire la pelle d’oca? Già, che c’entra… Tutto, direi io ma lo dico e scrivo vanamente da troppi anni, e quindi mollo Palazzi alle sue accuse dopo che il super Procuratore ha sfoggiato troppe stagioni improprie, da capitolino “porto delle nebbie” per simpatia con il Palazzo di Giustizia romano, colpendo qualcuno e lasciando in prescrizione qualche altro e in definitiva attaccando sempre e comunque l’asino (il branco di asini…) dove voleva il padrone, in vista di opportune riconferme nel suo delicato ruolo di Inquisitore Rotondocratico. Meglio restare al calcio dei piedi, allora, magari per rovesciare quasi completamente la clessidra del tifoso per la partita definita “la più bella di questa stagione finora”, ossia Roma-Fiorentina. Non intendo togliere nulla a Zeman e tantomeno a Totti, calciatore fenomenale (gol a parte, perché ogni respinta della sua difesa a un certo punto capitava a lui e solo a lui?) e uomo buono e intelligente, con un’ironia e un’autoironia (non è una concessionaria d’automobili, Francesco…) straripanti negli spot pubblicitari, né alla squadra.

MA RAGAZZI, l’abbaglio è colossale: pur mostrandosi la guarnigione zemaniana un poco più attenta nelle fasi difensive, una squadra continentale di livello avrebbe atteso la Roma per rovesciarla come un guanto nelle ripartenze, cosa accaduta perfino a una sbadata, sbafata e impotente Fiorentina in qualche occasione. Aggiungete che a portieri invertiti il risultato sarebbe stato molto probabilmente diverso, e avrete un quadro più realistico della situazione, di quella partita e più in generale del nostro calcio. Se misuriamo la qualità del gioco su svarioni e numero dei gol, compiamo lo stesso misfatto che accade per molte trasmissioni tv, di calcio parlato o di politica: esse fanno ascolti se la gente litiga, qualunque cosa dica. Nello specifico, le parole o parolacce sarebbero errori e quindi gol: poi ci si sveglia quando una squadra è più equilibrata e tiene meglio il campo, oppure quando un programma si svolge seguendo la logica di un discorso che apra invece di serrare le menti, nel tifo per il pallone o la politica. Per tutto questo penso che il Palazzi sia un birbone e che in parallelo continuerà l’epopea della Juve e quella delle scommesse condivise, ahimé quanto condivise…

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18 12 2012

L’importante è esonerare

SALTANO LE PANCHINE DI COSMI E FERRARA. D’UN TRATTO CI SI DIMENTICA CHE

IL PRIMO HA RECUPERATO I PUNTI DI PENALIZZAZIONE DEL SIENA E IL SECONDO

ANCORA DUE MESI FA ERA OSANNATO COME IL NUOVO ARCHIMEDE PITAGORICO

IL GRUPPO È questo il più grande merito dell’ottima Fiorentina di Montella;

ma come può un tecnico costruirlo se non gli si lascia il tempo?

Questo virus dell’esonero nel mondo italiota del pallone (non succede solo da noi, intendiamoci, ma qui è tutto all’eccesso) ha qualcosa di misteriosofico. Racchiude simbolicamente, nel gesto di un presidente che caccia un allenatore, la voglia di licenziare, la volontà di potenza, la sindrome da album di figurine, il piglio da padrone delle ferriere, la battaglia per l’abolizione dell’art. 18 giacché qui la giusta causa fa sghignazzare, l’idea di un lavoro che è in fondo un gioco e quindi da affrontare come tale anche di fronte al licenziamento, meglio se – come spesso – ignominioso, quasi che tutti scherzassero nel Pianeta Rotondo, sia quando ingaggiano che quando espellono come corpo divenuto estraneo un Mister purchessia. La società italiana, sempre più piena di contraddizioni nel mondo del lavoro e sempre più vuota di lavoro, diventa schematicissima nell’industria atipica per eccellenza del pallone semplificando in modo binario: o dentro o fuori, i giocatori non si possono cambiare se non con il mercato estivo e risicatamente nella prossima finestra di gennaio e dunque la soluzione apparente è allontanare un tecnico, e a volte due, e nei casi sublimi tre in una stagione.

INTENDIAMOCI, solo un dirigente sportivo vero (ce ne sono sempre meno, e nel calcio addirittura siamo all’analfabetismo in senso lato della categoria che dovrebbe essere la prima a rinnovarsi) può sapere quanto nell’ambiente conti conservare o esonerare un tecnico. Ma l’epidemia dimostra che davvero conta troppo spesso molto più l’uzzolo del Patron, spinto dalla piazza o da qualche consigliori d’occasione, che non analisi ragionate di una situazione di gruppo. Un esempio banale, prima di chiosare la cacciata di Cosmi dal Siena e di Ferrara dalla Samp. La squadra che è cambiata di più in meglio in confronto alla stagione passata in fatto di risultati, punti e gioco non è come si sarebbe indotti a pensare la Juventus di Conte che tiene a distanza chiunque dimostrandosi per ora l’unico competitor europeo credibile, barattando la fisima dell’imbattibilità con più vittorie e meno pareggi. No, la squadra la cui metamorfosi ha colpito di più secondo tutti gli indicatori, compreso la voce di mercato del dare/avere che non l’ha vista certo svenarsi come in altre più acefale circostanze, è la Fiorentina del cui merito si parla spesso: ma la prima cosa che ha costruito un Montella così è appunto il gruppo, come si è visto domenica per l’abbraccio di stadio e compagni a Pizarro che stava elaborando il suo grave lutto famigliare. Applausi, lacrime, il rigore spinto dentro più dal sentimento che dal piede, gli abbracci davvero corali di tutti i compagni. Certo, poi si parla di Montella perché ha architettato un centrocampo che tiene palla riducendo il gioco altrui il più possibile e si evocano paragoni con il Barcellona che sanno per ora di ribollita… Ma senza il mastice di un ambiente concorde non sarebbe possibile.

È QUESTO il vero segreto per ogni squadra o progetto d’insieme che funzioni. Il resto è cronaca specifica, il rientro a scartamento ridotto di Jovetic, un portiere come Neto che si affaccia alla finestra, distrazioni difensive che se non corrette faranno molto soffrire anche a breve gli pseudo-catalani del centrocampo. Tornando a Cosmi, ci si dimentica che ha recuperato i punti di penalizzazione e il Siena è ancora salvabilissimo. Con tutto il rispetto per Iachini, cui prodest il cambio? Per non parlare di Ciro Ferrara, osannato per un mazzo di partite come un Archimede (anche solo Pitagorico…) della panchina della Sampdoria, e ora come già alla Juve già defenestrato. Non è lo stesso Ferrara di due mesi fa? Non è lo stesso organico, infortuni a parte ? Resta il discorso del Mister come “fusibile” del circuito elettrico di un calcio da leggere sempre di più con altre lenti. Per esempio quelle della politica. Prendiamo il Berlusconi ospite in tv della D’Urso, alla quale va tutta la mia personale solidarietà: se ha fatto un’intervista adorante ha solo fatto smaccatamente e quindi trasparentemente quello che fanno in giro quasi tutti, ma almeno se lo è lasciato dire. Le “d’ursate” sono all’ordine del giorno, ma di solito vengono infiocchettate con l’aura del gran giornalista, con il Berlusca come con tutti gli altri, sodali o avversari che siano. La D’Urso è stata invece perfetta, senza ambagi né infingimenti. E il Cavaliere Inarrestabile da lei era sciolto come è sempre più di frequente a Milanello.

E DIFATTI la sua ridiscesa in campetto nella devastazione del terreno politico porterà invece buone nuove soprattutto ai tifosi milanisti, dunque anche aficionados di Grillo, perché rinforzerà il Milan riaprendo la borsa di Galliani e non quella del rag. Spinelli (cfr. la voce “olgettine”). Così il Milan continuerà magari a intermittenza il suo inseguimento al terzo posto, cioè la Champions con preliminari, che è il suo obiettivo minimo e che ormai intravede in classifica. Mentre la notte passata come quella tra domenica e lunedì sarà stata un’altra pessima notte per gli hinchas napoletani. La squadra che perde, la mazzata in arrivo tra penalizzazione e squalifiche a Cannavaro e Grava per i postumi delle scommesse di ieri, in attesa dei barbagli di quelle di oggi. Sbertucciata l’accusa del dott. Palazzi, stamani la mini-stangata. Si dice: tutto ‘sto casino per un’omessa denuncia? È vero, avete ragione. Ma non è soltanto un’omessa denuncia, è più in generale un omesso calcio che non se ne dà per inteso.

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28 12 2012

Lo spread del calcio nostrano

NON SOLO CONTI (E DEBITI): COME NELLA POLITICA, ANCHE NELLO

SPORT MANCA LA CIVILTÀ PER USCIRE DALLA CRISI. E LA STAFFETTA

PETRUCCI-PAGNOZZI AL VERTICE DEL DISASTRATO CONI NE È L’ESEMPIO

RICCHEZZA SEGRETA Secondo uno studio della Bocconi, l’attività sportiva

diffusa farebbe risparmiare 32 miliardi di euro l’anno alla sanità. E Monti che fa?

Nel 2013 non siamo in vista solo delle elezioni politiche montiane o submontiane, né di alcune regionali e amministrative assai importanti: ci sono anche le elezioni politico-sportive, cioè quelle delle Federazioni e del Coni, che è la Federazione delle Federazioni. Lo so, state pensando “e a noi che ce ne frega?”, presi come siamo dall’agenda del premier in uscita, dalle fantozzate tv di Berlusconi, dalle preoccupazioni di Bersani orfano di Ichino, dalle firme per il Movimento 5 Stelle o quello Arancione…

In verità non sembrerebbe neppure politica, quella sportiva. Come quando ci si inebria – che so – del gioco di Zeman che strapazzava il Milan e non si aveva occhio per le scuri (sì, scuri) con cui ci sono state aggressioni fuori dall’Olimpico, in quel sabato sera così poco pre-natalizio. Quella è “cronaca nera”, il calcio in campo invece è sport, o gioco. Idem per la politica: Monti sì che conta politicamente, Petrucci in uscita dal Coni dopo un secolo di governo invece è “solo” il massimo dirigente di un Ente che esce allo scoperto solo per i Grandi Eventi, i record, le manifestazioni ecc. Che c’entra la politica con tutto ciò? E c’è un nesso tra elezioni “sportive” e tutto l’ambaradan sub specie napolitanesca cui andiamo incontro nella nebbia?

SÌ, C’È UN NESSO che viene sottaciuto, o meglio ci sarebbe o ci dovrebbe essere: un nesso con la politica migliore che metta le basi a un’idea futura di Paese, un nesso con le elezioni regionali il cui bilancio va per oltre l’80% nelle spese sanitarie, un nesso con le elezioni amministrative se ogni comune può rendersi la vita più vivibile se abbina alla sua gestione un’idea sportiva, quindi ambientale, educativa, culturale ecc. Detto altrimenti, se l’Italia è indietro anni luce in quanto a civiltà sportiva nei confronti degli altri Paesi europei, questa arretratezza confluisce nel discorso più generale dello “spread” che Monti traduce solo in conti e debiti. E adesso scommetto che in nessuna agenda elettoral-programmatica, a partire da quella del sobrio premier, c’è una riga che colluda con quello che avete letto finora. Eppure Monti è un super-bocconiano, nevvero? E allora sapete che cosa c’è nell’ultima parte del Libro Bianco sullo sport recentemente diffuso dal Coni a firma di un ricercatore della stessa Bocconi che qui riprendo nella sintesi di Eugenio Capodacqua (www. sportpro. it)? Ci sono numeri che dovrebbero indirizzarci in una direzione opposta a quella imboccata finora, e invece vengono pubblicati esclusivamente per essere “obliterati”, cancellati dalla memoria. E lo “spread” si allargherà… “L’attività sportiva moderata (da distinguere nettamente dallo sport agonistico) eviterebbe circa 52. 000 casi di malattia grave all’anno (i dati sono riferiti alle 5 malattie che incidono di più sulla popolazione secondo l’Oms e cioè: malattie cardiovascolari, ictus, cancro al seno, cancro al colon e diabete II) con un risparmio della spesa sanitaria e non di circa 14, 5 miliardi di euro. Evita inoltre circa 22. 000 casi di morte per un valore riferito alla vita “salvaguardata” di circa 32 miliardi di euro. Il valore di una finanziaria”.

Dalle idee alle persone che dovrebbero rappresentarle. Al Coni si daranno il cambio nel 2013 il succitato Petrucci con il suo segretario Pagnozzi. Petrucci è un democristiano più affabile e scherzoso del sodale predecessore Pescante, sempre democristiano ma di riffa e un po’ di raffa berlusconiana. Pagnozzi è un satirello che gli tiene bordone da un secolo. L’unico avversario possibile sarebbe il “generone” romano versante Canottieri Aniene, Vincenzino Malagò, che sta a Montezemolo come Montezemolo stava ad Agnelli (Gianni, quello vero). Si attende con curiosità chi starà a Malagò. . . Nessuno di essi è innocente, ve lo giuro, se si misura il crimine “pasoliniano” di aver infilato lo sport in questo imbuto di consumo che ne ha spolpato l’essenza. Parlate loro di “gratuità” dell’attività sportiva, e vi guarderanno assai peggio del “marziano” di Flaiano. Che sia una forma decisiva di cultura è per loro ostrogoto.

NEGOZIANO voti nelle segreterie di partito (peraltro ignare di qualunque valore del fenomeno, se non in termini elettoralistici) coprendosi le pudenda politiche con la foglia di fico di “ma è sport, non è politica”. Nel frattempo Petrucci è stato meritatamente eletto sindaco di San Felice Circeo. Quanto alle Federazioni, la principale di esse in termini di denari, potere e richiamo politico-economico è la Federcalcio. Per ora l’unico candidato dichiarato è il presidente uscente, Giancarlo Abete. Basterebbe per non votarlo il disastro del calcio professionistico italiano, giacché ne è il maggiore in grado. Ma di tutto il discorso del valore sociale del pallone a lui che importa? Importa molto di più, dati alla mano, al suo vicario e presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Carlo Tavecchio, i cui conti almeno tornano e il cui movimento è mille volte migliore di quello professionistico, pur in mezzo alle contraddizioni dello sport in Italia. Quindi come si può pensare a tenerci il vecchio se il nuovo ha fatto meglio? Eppure il rischio di continuare così c’è se il calcio è quello che non riesce a eleggere un presidente di Lega di Serie A da una vita, e ancora combatte con figure di risulta come il finiano Abodi “perché non c’è nessun altro”. Ebbene, sappiate che anche questo è “spread”, e lo pagheremo caro.

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30 12 2012

Un sogno (sportivo) che non si avvera

CALCIOSCOMMESSE, CAMPIONATO MONOTONO, VERTICI INCOLLATI ALLE POLTRONE

DOPING E APPALTI: IL 2013 POTREBBE ESSERE L’ANNO DELLA SVOLTA

INVECE ASSISTEREMO AI SOLITI TEATRINI POLITICI DI CASA NOSTRA

CONI E FIGC Al posto delle vere primarie ci sarà solo il passaggio

del testimone tra Petrucci e Pagnozzi e la riconferma di Abete

Ci sono almeno due modi per parlare dell’anno che verrà, riferito allo sport, lasciando quindi a Mario Monti il peso del futuro del Paese. Non ha forse detto ieri “Il 2013? L’Italia migliorerà se tutti lavoriamo”? E bravo, bravissimo, in un Paese di precari e disoccupati la formula vincente è senz’altro questa… Ma dicevo dello sport e in special modo del calcio, e dei due modi, ossia vediamo che cosa vorrei che succedesse e che cosa invece succederà.

CAMPIONATO. Vorrei che il livello del gioco migliorasse e l’equilibrio si spostasse verso l’alto, così da insidiare l’unica squadra davvero europea attualmente in circolazione, la Juventus. Vorrei che corressero come la Juve anche gli altri, così da non far venire sospetti di doping a nessuno oppure farli venire a tutti, e non sempre e solo per loro… Vorrei che fino alle ultime due/tre partite lo scudetto fosse in bilico, e la Lega fosse costretta a rivedere gli orari con le tv private per rimettere tutti gli incontri in contemporanea. Si possono sempre arrangiare, ma è più difficile. Mi sta bene la vittoria di chiunque, ma alle condizioni accennate (meglio per tutti se accadesse alla Fiorentina, sarebbe la catarsi di una città, di una società, di una squadra e di una proprietà cui andrebbe e va comunque l’onore della resipiscenza dopo stagioni sbagliate). E vorrei che da gennaio a maggio non venisse esonerato più alcun allenatore, ma venissero eventualmente espulsi presidenti e/o dirigenti. Ecco invece che cosa accadrà. Continueranno a cacciare allenatori magari riprendendo i vecchi per risparmiare, nessun presidente se ne andrà sua sponte, la Juve continuerà a correre e sarà la sola a farlo con questa intensità e con i sospetti relativi, il livello del calcio non salirà ma scenderà ancora: troppe botte, troppe partite, troppo poco ricambio, troppa poca fiducia nei vivai.

COPPE EUROPEE. In Champions vorrei che la Juve facesse ancora strada, sia per la quotazione italiana in Europa sia perché è l’unica ipotesi che preveda suoi rallentamenti in campionato. E credo che la farà. Per il Milan è già stato miracoloso arrivare agli ottavi e perfino il sorteggio con il Barcellona è uno straordinario alibi all’eventuale eliminazione. Ma nel frattempo Berlusconi fa la sua campagna elettorale che contempla un rafforzamento della squadra comunque. Quindi il Milan potrebbe risalire in campionato alle spalle di quella (o quelle) delle tre che insisterà in Europa League tra Lazio, Inter e Napoli con l’effetto-rallentamento in simil Juve.

SCOMMESSE e giustizia sportiva. Vorrei che sulla base dei nuovi interrogatori venisse fuori tutto, tutto quello che si sa e che rende il calcio italiano eticamente e logisticamente un colabrodo. Tenete a mente questo assioma. In molti non partecipano necessariamente al business sporco del betting e dei “biscotti”, ma tutti sanno tutto e o tacciono o fingono di non sapere. Invece credo che pochi o quasi nessuno parlerà, che tra la giustizia ordinaria e quella sportiva si allargherà il baratro in cui tutto è lecito e niente lo è, che Palazzi e soci continueranno a imperversare confermati nei loro incarichi con lo stesso atteggiamento irresponsabile con cui si continuerà a maneggiare la “questione arbitrale”: è uno scandalo che fa comodo.

CONI E FEDERCALCIO. Vorrei che per il Coni ci fossero una sorta di vere primarie, e si aprisse una autentica “questione sportiva”, in chiave di salute, educazione, ambiente, cultura ecc. Invece assisteremo al passaggio del testimone tra Petrucci e Pagnozzi. Vorrei che anche per la Federazione più ingombrante, la Figc, ci fossero le primarie aperte a dirigenti sportivi degni di questo nome, quelli che di fronte agli “zingari” scommettitori per esempio reagiscono denunciando… Quelli che non hanno condotto il pallone nel suo speciale baratro in sintonia con quello più generale del Paese. E invece a meno di ribaltoni ci ritroveremo ancora con Abete (e neppure con Tavecchio, titolare di un movimento di massa come il calcio dilettantisco), che ha tinto di sé quest’ultimo quadriennio, che è uscito da sotto il cavolo di Calciopoli pur rimanendone intricato, che si è affrettato a confermare il Palazzi di turno in una giustizia sportiva che è incredibile, impresentabile, inefficace, intempestiva (ma uno Zoff dov’è?).

STADI NUOVI. Gli stadi italiani sono un grosso problema, e non da oggi. La legge su di essi non è passata. Vorrei che il nuovo Governo affrontasse seriamente la questione come non hanno fatto né Monti né Gnudi (c’era in piccolo la voce “sport” nel suo ministero), troppo letteralmente ignoranti nella materia e politicamente preoccupati di fare alcunché dopo il sacrosanto Gran Rifiuto dei Giochi a Roma. Basterebbe che si legasse la proposta di legge a ferrei vincoli edilizi e a doveri di impiantistica pubblica e scolastica per far uscire la storiaccia dalle secche. Invece, a meno di miracoli (qualcuno che ci capisca e sia sufficientemente forte e per bene) si rimarrà come stiamo. Cioè malissimo.

NÉ OLIMPIADI né Mondiali pallonari. Nell’anno dispari, l’anno buco per le discipline olimpiche e per la Rotondolatria Planetaria, in cui ci si prepara con minor stress, di solito si assiste a qualche record spaziale in particolare nelle discipline regine, come l’atletica e il nuoto. È molto ineguale il rendimento tra i due sport. Vorrei che l’atletica leggera fosse del tutto rifondata, per gli scarsissimi risultati di Londra – doping di Schwazer a parte – e perché essa non è solo uno sport, ma un modo di vivere. Invece se non si scioglie questo nodo culturale che il Coni contribuisce a tenere aggrovigliato, non mi aspetto miglioramenti. Il discorso vale anche sia pure in modo relativo per il nuoto, dove l’Italia raccoglie di più anche in anni non leggendari come l’ultimo. Ma anche qui sembra che per molti conti quasi di più l’alone mondano delle piscine che non la fatica e la qualità tecnica di atleti e allenatori.

IL CICLISMO e il doping. Tra Giro e Tour la domanda è sempre la stessa. Sono tutti ancora e sempre dopati, oppure no? Vorrei che la defenestrazione totale di Armstrong da ogni albo d’oro internazionale non servisse da bianchetto alla questione, che è decisiva specie per la marea di giovani, dilettanti, amatori, veterani che ne assumono farmaci e cattivi esempi. Sono molto poco ottimista che ciò accada, almeno finché l’interesse scemato o scematissimo dei “consumatori” delle due ruote storiche non metterà sull’avviso i commercianti del business tv. Anche qui, come per le scommesse, chi vuole sapere può farlo senza troppe inchieste della Digos… nel 2012 come nel 2013.

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15 01 2013

Il solito pallone per procura

CALCIOSCOMMESSE, CLASSIFICHE CONDIZIONATE E I SOLITI BURATTINAI AL POTERE

IL CALCIO ITALIANO SPROFONDA, MA “PRESADIRETTA”, CHE LO RACCONTA IN PRIMA

SERATA SU RAI3, RACCOGLIE SOLO IL 6% DI SHARE. NESSUNO TOCCHI IL GIOCATTOLO

OCCHIO NON VEDE... Il popolino storna i cattivi pensieri e invece di invocare un

rinascimento preferisce prendersela con l’arbitro reo sospetto di qualche favoritismo

Domenica sera nessun gol a Marassi, tra Sampdoria e Milan, e invece, in contemporanea su Rai3, gragnuola di gol giornalistici nell’inchiesta di Presadiretta di Iacona su calcio e ’ndrangheta. Inchiesta che ci ha illustrato oltre ogni ragionevole dubbio come il pallone sia – in questo caso in Calabria, ma direi ovunque con le debite differenze di intensità mafiosa e di modi – una formidabile leva sociale, economica e quindi politica di malaffare. E ambientalmente di malessere per tutto l’ecosistema pallonaro che si intreccia con il sistema-Paese. L’avrete letto qui tante volte, fino alla noia. Per la serata domenicale di Rai3, con un pubblico abituato alla Gabanelli e appunto a Iacona, quindi presumibilmente acculturato e politicizzato, un’inchiesta su tale tema era invece una novità. Premiata dagli ascolti? Macché, un piccolo 6 per cento di share, la metà del solito, e l’ennesima dimostrazione nel tempo e nei palinsesti che il calcio sembra interessare solo per la sua parte emersa e spettacolare (diciamo a volte spettacolare), per il tifo, per i simboli, le metafore, la retorica della fede, della messa, della guerra e vai col tango.

È UNA GIGANTESCA corsa alla rimozione per non guastarsi il rito collettivo, è l’equivalente aggiornato e sempre più triste del “non mi levate anche il pallone...”. Questo non significa che, se indotto a ragionare, anche il popolo tifoso non si renda, magari faticosamente, conto della gigantesca presa dei fondelli da parte dei Signori del Pallone, che difendono il loro Reame Rotondocratico facendosi e disfacendosi le regole a loro piacimento. Ma se ci riesce, il popolino storna i cattivi pensieri e invece che dedicarsi a un rinascimento pallonaro preferisce prendersela con il singolo arbitro se reo sospetto di qualche favoritismo (pensate all’arbitraggio di Lazio-Atalanta, con il mani di Floccari commovente e tutti gli omini gialli del direttorio arbitrale che han fatto finta di non vedere; oppure a quel Romeo di Udinese-Fiorentina che ha letteralmente capovolto le sorti della partita). Insomma, il calcio malatissimo alla fine sta bene a (quasi) tutti così, e non ci sono inchieste che tengano.

Non è bastato il serial ancora in corso del calcio-scommesse, che ridurrà sicuramente in cenere quell’avanzo di credibilità delle partite come è accaduto con l’ippica o la boxe. Non è bastata la trilogia delle Procure, tra Cremona, Bari e Napoli, con sentenze distribuite diacronicamente in modo inconsulto e contraddittorio, per cui è una specie di lotteria: quando vieni giudicato? E se ritenuto colpevole quando sconterai la tua penalizzazione? E la classifica virtuale che classifica reale è, essendo abituati ormai da tempo a stagioni segnate da asterischi profusi vicino ai nomi delle squadre? Mauri, capitano della Lazio anti-Juventus oggi in grande spolvero con il latinorum di Lotito, c’entra oppure no con lo scandalo?

E IL NAPOLI riavrà i 2 punti di penalizzazione per una responsabilità oggettiva che è un istituto più antico – che so – di quello delle Orsoline? E Conte, sotto il cui naso è passato di tutto a giudicare da ciò che esce “con grande dispiacere” sulla stampa per motivi analoghi al rifiuto nei confronti dello Iacona da stadio? Conte è un derviscio della sfera, un distratto, un timido o un superbo Mazzarino? Ci dica lui se trova tutto l’insieme “agghiacciante”, una congiura contro, oppure semplicemente (come penso io) una “normale” fotografia dell’attuale drink calcio-delinquenza-Italia, miscelato bene e versato in calici adeguati così che venga assunto “fino alla feccia”. Non è bastato lo scempio della giustizia sportiva che se è possibile in questi anni ha fatto in un certo senso più danni di chi doveva indagare, processare e punire (giacché se la guardia è più dubbia del ladro è tutto il sistema che va a farsi benedire) o almeno ne ha completato l’infausta opera? Eppure all’indomani del flop-Iacona, e mentre filtrano o addirittura grondano le notizie sugli scandali tra una Procura e l’altra, viene rieletto con il 94% dei consensi presidente della Federcalcio Giancarlo Abete, che fino a subito prima e da subito dopo le sue annose rielezioni subisce spernacchiamenti a non finire: non c’è nessun altro, è la spiegazione a tale suffragio più uzbeko che bulgaro, non c’è alcuna dialettica, nessun altro candidato, c’è sempre e solo lui dal 2006 e Calciopoli perché essendo così debole fa l’effetto del Libano prima delle guerre intestine. Era la Svizzera del medio-oriente, abbiamo visto come è finita.

MA PER ORA i capataz della Lega di Serie A, mandanti di tutto, di Abete, della (in)giustizia sportiva, degli arbitri, preferiscono tenere a bagnomaria l’alberello Giancarlo protetto da un sistema di potere che riguarda l’Italia, non solo il calcio italiano. E la prima dichiarazione di Abete, dopo una domenica di ignobile teppismo questa volta a Parma da parte di ultras juventini, è: “Il calcio non rappresenta i mali del Paese”, ergo “sta meglio del Paese”. Si dimentica di dire quello che dovrebbe far comodo a tutti i poteri forti o marci che siano che il calcio funzionasse bene, come arma oppiacea di distrazione di massa mentre l’Italia sprofonda. Ma non è così. Perché? Perché il calcio in realtà è guidato dagli stessi burattinai del sistema-Paese, e quindi entrambi i sistemi vanno male. Ma come si diceva non c’è alcuna reazione dell’opinione pubblica, perché almeno in questo non ha opinione e difende una ricreazione di massa che va alla deriva come il resto che dovrebbe esorcizzare.

Modificato da Ghost Dog

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22 01 2013

Dirigenti nei secoli fedeli. A se stessi

MAGARI FOSSERO GATTOPARDI NELLE URNE DELLO SPORT ITALIANO NON CAMBIANO

NEMMENO I NOMI: ABETE ELETTO AL POSTO DI ABETE, BERETTA AL POSTO DI BERETTA.

E SE PETRUCCI DEVE PASSARE LA MANO, ALLUNGA IL TESTIMONE AL SUO SEGRETARIO

CANDIDATO UNICO Con tutto quello che è accaduto dal 2006 in poi, che altro sarebbe dovuto succedere perché ci fosse almeno un altro a duellare per la presidenza Figc?

Non ricordo da molte stagioni un calciomercato invernale tanto movimentato in quantità e (forse... Juve, Milan, Inter... vedremo) in qualità. E neppure ricordo da varie cadenze elettorali una campagna così confusa, con la miriade di liste e la degenerazione di idee (pochissime) e comportamenti (per lo più deprecabili) delle figurine più esposte. Eppure il bello è che le due cose vanno insieme, in contemporanea: recupera Berlusconi nei sondaggi e recupera il Milan in classifica, avvicinandosi l’uno a una percentuale di interdizione parlamentare fino a due mesi fa lontana anni luce e l’altro all’allora remota Europa pallonara. Certo, entrambi hanno bisogno di congiunture favorevoli. Per il Caimano ci vuole un Senato dove in sostanza si pareggi, e quindi necessita di suffragi parcellizzati a sinistra. Per il Milan bisogna che in parecchi tra i concorrenti in alto impattino decelerando così da farlo riavvicinare. E se per il primo garantirebbe vantaggi sbarcare la zavorra degli impresentabili, per il suo Milan ci sarebbe voluto qualche bel colpetto tecnico-tifoideo, alla Kaká. Lasciando almeno qui la prima traccia, buttiamoci su quella calcistica pure così influente sul versante dell’immagine e della popolarità, ossia ahinoi il principale versante politico oggi in Italia. Che sta succedendo? Quasi tutti vogliono comprare quasi tutto, dimenticando l’aurea regola comprovata dal campo in base alla quale è veramente raro il caso di un giocatore (o due) che a metà campionato abbia cambiato decisamente il destino di una squadra. Però tra la Juve che cerca il “bombere” (alla romana), l’Inter che adesso rimpolperà la rosa, la Lazio in agguato e il Milan come detto vocato alla caccia alla volpe, c’è un movimento da parate militari.

AGGIUNGETE il terzo allenatore cambiato dal Genoa per non finire in B da Preziosi nel mirino dei tifosi, e il panorama della mobilità sarà significativo. Per non parlare poi di arbitri. Il livellamento, con tutte quelle squadre in lizza per Champions e Europa League che vogliono dire rispettivamente molti o abbastanza milioni, è garanzia di bizzarrie arbitrali. Il fischio va a favore di chi ha il potere in quel momento. E quindi preparatevi a qualche beneficiata per il Milan in rimonta. Oppure considerate come tesi di scuola l’arbitraggio di Bergonzi a Firenze: si ammonisce chiunque a torto o a ragione per mezz’ora, e poi si risparmia un palese secondo giallo a un ammonito. È della Fiorentina? No, è del Napoli (Behrami...) che guarda caso in questo momento conta assai più del club dellavallesco nelle stanze neppure tanto segrete della Rotondocrazia, di Lega e Federcalcio. E così sarà fino alla fine della stagione. Arbitri corrotti? Ma per carità, e magari, sarebbe faccenda lineare: sono arbitri in “buona cattiva fede”, se mi permettete questo ossimoro obbrobrioso, che comprensibilmente puntano a far carriera e quindi a non scontentare il potente di turno.

CON IL NAPOLI nella parte destra della classifica Behrami sarebbe stato già a casa da un pezzo… Dunque movimento eccome, in politica, negli affari rotondopatici e in campo: ma non in politica sportiva. Qui è tutto fermo, non si muove paglia almeno all’apparenza, i burosauri del calcio e dello sport rinnovano se stessi senza tema di invecchiare. In proporzione alle liste elettorali pur tutt’altro che commendevoli e a una campagna piena di botti, negli uffici si celebra la conservazione o la continuità. Non ci si crede, ma con tutto quello che è accaduto nel mondo del calcio dal 2006 in poi, leggi Calciopoli, che resista ancora Abete rieletto Presidente “come unico candidato” è davvero commovente. È lecito domandarsi che cosa dovrebbe succedere in più e in peggio al pallone (risparmio l’elenco per bontà e lotta al tedio…) perché ci fosse almeno un altro candidato a duellare con Abete… Certo, poi guardi quello che è avvenuto nella Lega della Serie A, dove è stato rieletto Presidente sempre “come unico candidato” Maurizio Beretta – che i più chiamano Mario per ignoranza, scambiandolo per il tecnico leggermente più noto… –, dimissionario dal secolo scorso, e stupisci. E se vi dicessi che è suo vice Adriano Galliani, che di tal Lega è già stato nelle varie ere geologiche presidente, reggente, commissario e forse siniscalco ecc.? E ancora che consiglieri federali sono stati eletti Lotito (in latino) e Pulvirenti (Catania) che ha intavolato subito un gradevole scambio con Andrea Agnelli chiamandolo “isterica zitella”? Mica male, nevvero? Questo mentre al Coni, spentasi serenamente tra l’affetto dei suoi l’ennesima presidenza di Petrucci, sembra toccare la soglia del Coni a Pagnozzi, suo longevissimo segretario… Qui sullo sfondo si muove anche Giovannino Malagò come eventuale contendente. Gli getteranno qualche offa per tenerlo buono. Rimane quell’infinitesimale problema di democrazia nella politica sportiva, che dovrebbe vigilare dall’alto sull’andamento di Federazioni e pratica conseguente, con tutti i soldi dello “show-biz”. In realtà i capataz o sono collegati strettamente ai poteri politico-economici del Paese, oppure (cfr. la pallonocrazia) coincidono esattamente essendo le stesse persone nei differenti territori. Ho cominciato con Berlusconi, Cosentino, il Milan, Kakà… Debbo aggiungere altro?

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26 02 2013

Dalle urne solo la Juventus

DI GOVERNABILE È RIMASTO GIUSTO IL CAMPIONATO. IN UN PAESE SUPERFICIALE,

TIFOSO, CALCISTIZZATO NEL PROFONDO, LE MILANESI RALLENTANO LA CORSA

ALL’EUROPA IN UN DERBY FINITO PARI ANCHE NELL’IGNOBILE SFIDA DELLE OFFESE

NULLA DI NUOVO Nel frattempo si continua cambiando allenatori, come fa

Zamparini già scontento di Malesani e pronto a rivedere sulla panchina Gasperini

Di governabile dunque è rimasto solo il campionato, e ci pensa la Juventus. Il resto è deuteragonismo. Interessante certo, perché ci sono sei/sette squadre (a comprendere anche Catania e Roma) in grado di indirizzare direttamente, per sé, o indirettamente, facendo perdere punti a Calandrino piuttosto che a Bruno o Buffalmacco, il piazzamento finale e la qualificazione europea. Ma un deuteragonismo anche se non soprattutto maleducato con striature di razzismo a grande livello di imbecillità. E dalle urne del Meazza, ex San Siro, ex Scala del calcio, non è uscito solo un pari nel derby che lascia tutto intatto rallentando la corsa all’Europa, ma anche un pari ignobile nel derby delle offese. Tra le banane mostrate a Balotelli, gli urlacci, i cori macabri per Cassano e Milito ecc., c’è un sentore di sconfitta generale dello stadio, del calcio, del sistema-Paese che la confusione emergente dalle urne rispecchia pienamente. Lo scrutinio di Milano aveva avuto come prologo un’intervista con un campione che ha fatto epoca nel Milan di Sacchi, l’ex lungocrinito strisciolato Ruud Gullit. Aveva detto, coinvolto sul tema “razzismo, Boateng, Balotelli, partite da sospendere” , che mentre non voleva dare giudizi sul razzismo negli stadi italiani perché non toccava a lui di certo a suo parere “allo stadio di Milano non si sarebbe mai sospesa una partita per motivi del genere”. Troppi interessi.

QUESTO nella sostanza. E difatti, difatti… Ecco sciorinata l’inciviltà alla moviola, in una domenica sera di maltempo elettorale, mentre ci si chiedeva se una vittoria – poi sfumata – del Milan avrebbe spinto forte nelle urne il Cavaliere Inarrestabile oppure se le cose fossero da tenere opportunamente separate. Il Milan non ha neppure vinto, per merito di Handanovic e malgrado la lentezza tattico-decisionale di Stramaccioni fortunato come non mai ad andar sotto di una sola rete dopo un tempo da incubo. Ma sulla teoria della slitta di Berlusconi trainato dalle tv e dal Milan di cui festeggia il ventisettesimo compleanno da Presidente sparando sulla magistratura “peggio della mafia” da Milanello (già fa ridere così, o piangere, se preferite…) una cosina da aggiungere l’avrei, a urne chiuse o aperte, cambia poco nel breve o medio periodo. Il punto non è che si voti o si continui a votare in (para) massa per Berlusconi anche grazie al Milan, che quindi sia stato milanesizzato l’elettorato. Che i voti li prenda perché il Milan è risalito, perché è stato acquistato Balotelli (per mostrargli le banane facendogli immagino rimpiangere di essere tornato su queste basi in un’Italia peggiore di quella che aveva lasciato), perché è stato battuto giusto in tempo il favoloso Barcellona (sulle cui maglie impresentabili ha ragione perfettamente lo stilista Gianni Mura). Il punto è che sagacemente, con ogni sprezzo della consapevolezza civile e culturale che può allignare a sinistra come a destra, non credendo personal-mente ai “buoni” e ai “cattivi” per definizione, Berlusconi ha calcistizzato il Paese nei modi più padronali possibili. Lo ha reso superficiale, tifoso, per lui o contro di lui, polverizzandone la facoltà critica e riducendolo poderosamente a un campo di calcio. E mentre il calcio sembra fatto apposta per incanalare le passioni, oggi stravolte dagli interessi, il sistema-Paese trattato alla stregua di uno stadio si è mosso regressivamente restringendo sempre di più la sua dimensione politica, nell’etimo letterale dell’aggettivo. Per questo c’è un nesso fenomenale non tanto tra Cassano e Balotelli, o l’Inter e il Milan, e i risvolti elettorali di cui parliamo con più o meno cenere in testa, bensì tra le banane e i cori degli ultras della barbarie e lo stravolgimento di una società rispecchiato nelle schede. Compresa la “disperazione attiva” dell’elettorato di Grillo. Nel frattempo si continua, giocando tutti i giorni, cambiando allenatori con il richiamo per animali come fa Zamparini già scontento di Malesani e pronto a rivedere sulla panchina Gasperini, temendo gli effetti sottotraccia dello scandalo delle scommesse, fingendo che quest’ultimo sia andato in pensione solo perché se ne sente parlare meno. E perché la Procura federale è assai più lenta sul tronco della Procura di Cremona che non è federale per niente…

IN ATTESA di leggerne di più, ribadisco un parere già espresso e che ancora aspetta di essere smentito o rettificato. Mentre non tutti fortunatamente truccano le partite, e molti invece scommettono direttamente o indirettamente sulle partite truccate da altri, è materialmente impossibile che tutto l’ambiente ignori quello che sta succedendo. È il trionfo dell’omertà, di chi sa ma non denuncia perché passerebbe nella statistica ambientale tra i “rei” (di denunciare) come è capitato al biondo Farina del Gubbio, non a caso emigrato. Quindi tutti sanno o meglio sono costretti a sapere tutto di come è ridotto il calcio, anche se per sopravvivere fanno come le tre scimmiette: non sto parlando dei colpevoli, anche se per regolamento gli omissivi sono tali, sto parlando di un sistema che non si vuole riformare perché va bene così o perché si ritiene che costi troppa fatica provarci. Anche qui trovare un riflesso speculare tra il mondo rotondolatrico e le urne mi pare di una facilità quasi offensiva. Mi direte: ma non c’è un Grillo… È vero, risponderei…

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12 03 2013

Presidenti fuori palla

DAL PROTAGONISMO CONFUSIONALE DI ZAMPARINI E CELLINO FINO ALLA MUTA

RASSEGNAZIONE DI MASSIMO MORATTI: I PROPRIETARI DELLE SQUADRE SEMBRANO

VOLER FARE CONCORRENZA AL SORDI DEL BORGOROSSO FOOTBALL CLUB

COMPULSIVO Ieri “Zampa” ha riportato in panchina Sannino ed

esonerato Gasperini, ma forse stamattina ha cambiato ancora idea...

Mezzo secolo fa il presidente del Coni, Giulio Onesti, chiamato per la sua intelligenza superiore l’Andreotti dello sport sia agiograficamente che criticamente, aveva coniato la formula: “Ricchi scemi”. Tali erano secondo lui i presidenti del calcio di allora. Non tutti, per carità: non si sarebbe mai permesso di ironizzare sull’Avvocato Agnelli, con il quale non aveva in comune il gusto per l’antiquariato né per le donne né per i mobili. Oppure di prendersela con il petroliere sommo Angelo Moratti, per dire. Ma quanto agli altri, era una goduria. Adesso al Coni c’è Malagò, una ventata di novità e attenti ai raffreddori, che pure una sana diffidenza nei confronti del calcio attuale ce l’avrebbe. Gliel’ha fatta metabolizzare ed espellere con la consueta eleganza elettorale l’unico nume sportivo rimasto in circolazione, Franco Carraro, durante il Conclave dove un Cardinaletto è uscito Papone. E del resto non ci sarebbe neppure bisogno di un Malagò per stigmatizzare ciò che accade a molti dei Presidenti di questo pallone in ambasce che ricorda da vicino un film insieme orrido e significativo, Il Presidente del Borgorosso Football Club. Con Sordi... Mentre scrivo, ad esempio, non so se il capoccia del Palermo, Zamparini, ha di nuovo cambiato allenatore: calma, sono al corrente dell’ennesimo richiamo ieri del Sannino delle origini al posto di Gasperini II, ma non escluderei che a giornale in edicola ne avesse ingaggiato un altro ancora. E va detto che è il metodo che lascia leggermente perplessi, comunque funzioni l’esonero.

Perché per un Palermo che affonda malinconicamente dopo l’ennesimo ribaltone pur non avendo in sé giocatori malvagi bensì mal accroccati e forse demotivati, c’è un Genoa che gioca benissimo e raccoglie addirittura poco specie se il Milan incassa arbitraggi di favore: ma lo Zamparini ligure, in arte il Preziosi, sulle panchine ha operato in modo analogo e molto ha sfruculiato prima di trovare un Ballardini d’annata. Il che, appunto, non vuol dire che un De Canio o un Delneri fossero degli incapaci. Altrove han fatto bene. E fin qui siamo in fondo alla classifica, dove l’idea che comunque qualcuno alla fine debba pur retrocedere sembra non sfiorare neppure quelle menti illuminate. Programmazione? Ma via... Fasi alterne della vita e della vita sferica? Ma che dite mai...! Fiducia all’inglese davvero oltre ogni limite in un tecnico di cui hai stima? Non si può, perché “i tifosi non lo permetterebbero”. E così si cambia, e l’allenatore “fusibile” dovrebbe salvare l’impianto elettrico mentre il management pallonaro fa acqua quasi sempre quasi dappertutto e i giocatori vengono ingaggiati a montagne anche se non servono perché c’è un giro d’affari e di procuratori e di “cessione del quinto” che innamora. Così sembra sempre che una squadra di calcio non sia una doverosa filiera tra dirigenti, staff tecnico e calciatori, in cui ovviamente dovrebbe essere compresa la semina giovanile. No: è tutto a segmenti separati. E il buon Cagliari del duo casereccio Pulga-Lopez sembra una pianta grassa cresciuta nel nuraghe di un presidente, Massimo Cellino, che traffica in stadi. E per la Roma c’è sempre una trasvolata oceanica in corso verso gli “amerikani”, oppure una scampagnata dallo sceicco di turno.

E di nuovo guai a collegare la filiera di cui sopra, che funziona nel bene e nel male, come ha dimostrato la Fiorentina dei Della Valle oggi rigenerata ma fin dal clima in società rispecchiato dal campo e dai risultati. E l’onnivoro Milan di Berlusconi di questi tempi comunque cresce su una società che funziona anche senza “legittimi impedimenti”, e la Juve si è ripreso scettro e fama grazie a una rifondazione societaria costosissima seguita alla defenestrazione del manager più vincente in assoluto, Luciano Moggi una volta detto “Licio” e oggi a leccarsi le ferite per la trappola in cui si è andato a cacciare. Un Conte sempre d’attualità per le scommesse (adesso tocca al caso Salernitana-Bari...) dice il vero individuando in Giaccherini, il puffo “matador” del Catania, l’autentico spot di questa Juve assatanata in Italia e in Europa. Ma non si arriva a tanto se non si hanno le spalle societarie protette. Come è accaduto per la grande stagione dell’Inter morattiana, dei tempi di Onesti da cui sono partito e dei tempi di Abete, l’altroieri, tra le brume di Calciopoli. Adesso, purtroppo, per la Beneamata c’è confusione un po’ dappertutto, e il campo ne è solo uno specchio convesso. Moratti ama le figurine, e qualche volta per troppo amore brucia gli album: delegare a gente di cui ti fidi in questo come in altri campi è indispensabile e difficile, non sempre c’è un Mourinho che si accolla un po’ tutto perché pensa a torto o a ragione (magari a ragione…) di essere tre spanne al di sopra degli altri. E del resto vi parrebbe possibile che in una crisi generale il calcio nostrano colmo di nefandezze potesse scamparla? Non ci sono a cassetta gli stessi contro cui tuona Grillo che di pallone sa poco e niente?

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Inviato (modificato)

19 03 2013

Si può non giocare, purché se ne parli

POSSIBILMENTE CHE “SI PARLI BENE”, COME HA RACCOMANDATO L’ARBITRO

MAZZOLENI AL PRESIDENTE DEL PESCARA. E SI DISCUTA DI VOLTA IN VOLTA DEI

RINVII PER MALTEMPO, DOVE MANCA UNA REGOLA CHE NON SIA UN’OPINIONE

CORI RAZZISTI La Uefa di Platini costretta a richiamare i tifosi interisti:

l’ennesimo segnale di un calcio che sembra star stretto persino a Conte

Parole, parole, parole… L’indotto principale del calcio giocato, cioè la sua dimensione parlata, urlata, scritta, letta ecc., continua ad avere la meglio sulla materia prima, ciò che succede in campo. In Italia e in pochi altri Paesi è cosa nota, figuriamoci quando lo spettacolo rotondoludico lascia molto a desiderare come di questi tempi. Non lo dico io bensì i ranking di vario tipo. Una sola squadra italiana tra le prime otto di Champions, la Juve ossia l’unica di dimensioni, fattezze e testa europee, una sola, la Lazio, tra le prime otto della Coppa di riserva, ma a prezzo di una marcia a gambero in campionato. E una Nazionale, di cui la settimana celebrerà due amichevoli di interesse leggermente differente, tra Brasile e Malta, per la quale ci si infiamma patriotticamente solo nelle circostanze deputate, come Mondiali o Europei.

PER IL RESTO non frega niente a nessuno, salvo che non si attizzi qualche speciale fiammella tifosa in un’Italia rimasta quella delle piccole patrie di Comuni e Signorie. Così ecco che fa notizia il tranquillo democristiano che presiede al nostro orgoglio mutandesco, Claudio Cesare Prandelli, se convocando – e giustamente – i ventenni ha una parola buona per il Papa laico e rotondocratico, Francesco Totti (a quando l’incontro con Sua Santità?). Dice Ave Cesare che se quel desso manterrà questa straordinaria condizione psicofisica (che Totti accredita alla preparazione di Zeman senza che nessuno ne tragga però le debite conseguenze...) convocherà il trentaseienne (sarà trentasettenne, però...) “pupone” per i Mondiali brasiliani. Giubilo delle genti. E poca memoria. Totti in Germania, dove divenne a meno di trent’anni cioè nel pieno della sua stagione pallonara Campione del Mondo, ci andò per stima. Veniva da un’operazione, era certamente il dottore morto in mezzo ad asini vivi da quanto erano incazzati e preoccupati di perdere prebende e status per Calciopoli, e Lippi se ne avvalse più come deterrente che come giocatore. Poi quello che è forse il miglior italiano della sua generazione lo ripagò segnando senza tema il rigore all’Australia. Ma insomma, nel 2006 non c’era Totti, ma la sua immagine e la sua erma del Gianicolo sferico. Del resto spesso con i numeri 10 la Nazionale ha combinato scherzetti. Chi ricorda quel fenomeno di Baggio schierato nella finale con il Brasile da invalido attivo, nel 1994, vent’anni fa? Rigore sbagliato a parte... E chi ha dimenticato che nel ’98, in Francia, tra un Del Piero acciaccato e un Baggio veterano sì ma super, Maldini insisté stolidamente sul primo? Corsi e ricorsi di interessi e business, dunque, e persino Totti “meglio di Nordhal” ci può stare... Tra le parole, perlomeno.

Sono parole anche quelle dei cori razzisti che muovono l’Uefa di Platini contro l’Inter, non la squadra che a San Siro aveva riverniciato quasi del tutto il Tottenham, ma i suoi tifosi, altro esempio tra i tanti che rimarca la barbarie regressiva di un ambiente che adesso sembra star stretto persino a Conte. Carissimi, abbiamo il calcio che ci meritiamo, tra ineducazione sportiva, assenza di politica nel campo (i ministri deputati vengono scelti in base al fatto che vadano in bicicletta oppure no…), stampa correa al bancone del famoso e stracitato indotto, etica sotto i tacchi o i tacchetti, scommesse ovunque anche se furbescamente denegate ecc. E parole sugli e dagli arbitri. Vi ricordate quando Conte dopo un Juve-Genoa di due mesi fa tuonò che l’arbitro Guida su un rigore pro-Juve non concesso in extremis s’era giustificato con un commovente “non me la sono sentita”? Come è finita la querelle? Chi se la ricorda? E questa settimana come la mettiamo con un arbitro, Mazzoleni, internazioinale of course, che ha detto di fronte a testimoni – dopo una direzione di gara riprovevole – al presidente del Pescara, Sebastiani, “bisogna imparare a parlar bene in settimana”?

SÌ, PERCHÉ Sebastiani aveva già lamentato “in settimana” una serie di errori sempre a suo sfavore da parte degli arbitri, che dovendo scegliere – che so – in un Milan-Palermo se dare un rigore a Balotelli ed espellere per fallo di mano patentissimo con “chiara occasione da gol” l’altro milanista Zapata, sceglie per il rigore e la sola ammonizione. Intendiamoci, il punto vero che con sprezzo del ridicolo non si vuol riconoscere è che un rigore analogo dato al Palermo contro il Milan non si è mai visto nella storia, e che invece degli Zapata palermitani espulsi con rosso diretto son piene le fosse (gli annali…). Dunque anche qui parole, parole, parole… E parole anche sulle condizioni dei campi, la meteorologia, i rinvii, il tutto shakerato qualche volta con logica (cfr. Sampdoria-Inter e questo colpo di fortuna per Cassano e C.), altre volte senza, ma assolutamente orfano di una regola accettata e comune. Una specie di roulette, da cui esce un campo, un orario, una data… Ma non importa, tra gli alti lai dei penalizzati o supposti tali (la forza del calcio è l’indimostrabilità reale del suo contrario) si va avanti allegramente celebrando i circenses mentre il pane latita. E basta poco, il poco del campionato, per giustificare una distrazione di massa. In attesa delle prossime parole…

Modificato da Ghost Dog

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02 04 2013

Una squadra e 1/2 da esportazione

LA JUVE ORMAI SENZA RIVALI. MA A GIUDICARE DAGLI ULTIMI QUATTRO MESI

È EVIDENTE CHE L’UNICA CERTIFICATA RIVALE DI RESPIRO INTERNAZIONALE SI

CONFERMA IL MILAN. CHE SE NON AVESSE AVUTO QUELLA PARTENZA DISASTROSA...

SECONDO TITOLO Se quello scorso è stato eccezionale, questo sembra

“normale” e dunque, da un certo punto di vista, fa ancora più effetto

Più che una maledetta domenica è stato un maledetto sabato, passato a rimpiangere Enzo Jannacci e a piangere il “Califfo”, rispettivamente forte matrice milanese e romana, ma tifoso l’uno del Milan e l’altro dell’Inter. In campo a dire il vero si sono visti gol e perfino sprazzi di gioco, per merito soprattutto della Juventus. Al Napoli ancora secondo è rimasta la soddisfazione della goleada e del risultato eclatante in trasferta, ma temo che non siano questi gli “scores” che vidimino la levatura e la tenuta di una squadra. Quasi quasi fa più testo lo striminzito golletto con cui il Milan ha battuto il Chievo, ma a Verona, difendendo la porta con il gioco. Non stupisca quindi la conclusione: l’ex “campionato più bello del mondo” ha all’incirca una squadra e mezza di autentico livello continentale, ossia la Juventus in toto e il Milan in parte. A giudicare dagli ultimi quattro mesi, non è impudico sostenere che l’unica certificata rivale di lungo respiro della Juve sia ancora e sempre il Milan. Paga in classifica il dazio di un inizio disastroso, con Berlusconi neppure in panchina ma solo e a malapena in tribuna mentre in campo, in un ruolo spettrale da centravanti arretrato, andava ancora Alfano Angelino, Angelinho per alcune giocate dialettiche da Zelig.

Come ha fatto a risollevarsi così in fretta nello stesso torneo, dalla zona retrocessione alla fondata ipotesi che arrivi secondo e quindi si faccia una Champions senza preliminari? Beh, intanto gode di uno furbissimo anche se esteticamente discutibile specie quando sbraita sugli spalti, nonché assai competente di rotondologia, Adriano Galliani, che ha messo toppe sapienti alla squadra, al club, all’ambiente quando in autunno Caporetto sembrava un pareggio... Con Allegri pur inviso a Berlusconi, e una squadra ricompattata orchestralmente da Montolivo, il Milan ha ripreso a far punti come gli compete godendo di commoventi favori arbitrali, cui il callido Gallianenko deve ormai aver fatto la bocca... Pensate che quando alla vigilia del sabato pasquale ha lamentato “l’irregolarità del campionato” perché la sub-rivale Fiorentina giocava a Cagliari in uno stadio “chiuso”, il vicepresidente del Milan sapeva benissimo che casomai sarebbe stato uno svantaggio per gli ospiti, già labili di loro senza bisogno di un’atmosfera stregata quale quella di quando si gioca senza pubblico, come ormai il Cagliari è abituato a fare in una delle vicende più grottesche di questa stagione. E invece con la sapienza del potere, calcistico e non, il Milan galoppa da un pezzo, da prima che arrivasse un Balotelli a perfezionarlo, appunto da quando Montolivo gli quadra il centrocampo e il “Faraone” cugino del nipote di Mubarak gli tiene su l’attacco (a Verona anche il resto del campo...).

La rosa era già più che discreta e dunque il Milan, prima esaltato e poi sbertucciato dal Barcellona, si avvia a completare il suo “miracolo” di squadra risorta benedetta appunto dai poteri forti, di cui sfericamente fa parte Galliani: la treccia elettoral-pallonara del Berlusca essendo invece sotto gli occhi di tutti. Dopo l’eclissi di Calciopoli, dai cui ultimi svolgimenti giudiziari mi aspetto qualche sorpresa... la Juve ha ricominciato a far la Juve e per certi versi fa più impressione la continuità “con forature” con cui sta per vincere il secondo scudetto di fila che non l’iperbole del primo, consegnato alla riscossa e all’imbattibilità. Se quello scorso è stato eccezionale, questo sembra “normale” e dunque da un certo punto di vista mi fa ancora più effetto. Rientra nella logica di un club e di una squadra dalla centenaria stamina internazionale, cui è arrivato un allenatore adatto che mischia il provincialismo alla tradizione immagazzinata da giocatore. Non indulgo sul versante scommesse: a meno di non ritenerlo un cretino, e non lo è, Conte imitato da Crozza o viceversa sa benissimo (non può non sapere) come vada il pallone oggi, scommesse comprese. Lui come tutti coloro che hanno voce in capitolo con qualche ottava di riguardo. Quindi il problema è esattamente quello di Calciopoli: se ne prendi uno solo ti sembra di far pulizia, ma in realtà stai compiendo un “delitto”, il summum ius summa iniuria steso sul campo. Soprattutto perché chi giudica non è indipendente, ma risponde allo stesso potere calcistico correo in tutte le vicende di cui parliamo. Ma su questo, da sempre e più recentemente senza competenze specifiche, si è duri di orecchio. Tornando a Conte, stasera a Monaco contro una delle tre/quattro squadre attualmente più in vista in Europa si gioca la credibilità meritatamente guadagnata in questi due anni.

Si affiderà a Pirlo, o meglio alla regia di un’orchestra in cui funzionano sia i fiati che gli archi, giacché la Juventus è un insieme come nessun’altra squadra italiana, in fatto di tecnico-tattica, di agonismo, di autostima. Pensare che Pirlo ce l’aveva il Milan. . . Ma adesso ha appunto Montolivo, e si vede. . . Segnalo di Conte un episodio sotto gli occhi di tutti, dico del modo in cui ha ammansito e normalizzato Cambiasso, un secondo dopo il fallaccio e l’espulsione del medesimo. Nella soddisfazione e nel tripudio ha avuto la naturalezza di fare la cosa giusta con un avversario di rispetto, in quella lingua, il “calcese” dei gesti, che conoscono solo gli uomini di campo. Non è poco, mentre impazzano i cori razzisti e l’imbarbarimento da emulazione: che continuerà, finché davvero non si sospenderanno le partite.

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