Vai al contenuto
Accedi per seguire   
Socrates

Luis Monti - Calciatore E Allenatore

Recommended Posts

Joined: 04-Apr-2006
130799 messaggi
Inviato (modificato)

File:Foot-Ball Club Juventus - 1930s - Luis Monti.jpg - Wikimedia Commons

 

World Cup Heroes - Luis Monti | FOOTY FAIR

 

22 Luis monti Images: PICRYL - Public Domain Media Search Engine Public  Domain Search

 

Luis Monti – Brood en Spelen - Staantribune

 

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Inviato (modificato)

MONTI Luis: l'eroe dei due mondi | Storie di Calcio

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130799 messaggi

30414648_Juventus1931.jpg.ef43954f75277cf67aada9a7090a95e6.jpg LUIS MONTI 

 

File:FBC Juventus - 1930s - Luis Monti.jpg - Wikimedia Commons

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Luis_Monti

 

 

Nazione: Argentina  

         Italia Italia
Luogo di nascita: Buenos Aires
Data di nascita: 15.05.1901

Luogo di morte: Escobar

Data di morte: 09.09.1983
Ruolo: Difensore
Altezza: 167 cm
Peso: 76 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Armadio a due ante - L'uomo che cammina

 

 

Alla Juventus dal 1931 al 1938

Esordio: 02.09.1931 - Coppa Europa Centrale - Sparta Praga-Juventus 3-2

Ultima partita: 28.05.1939 - Serie A - Triestina-Juventus 1-1

 

263 presenze - 21 reti

 

4 scudetti

1 coppa Italia

 

Campione del mondo 1934 con la nazionale italiana

 

Allenatore della Juventus dal 1941 al 1942

 

20 panchine - 10 vittorie - 5 pareggi - 5 sconfitte

 

1 coppa Italia

 

 

 

Luis Monti, all'anagrafe Luis Felipe Monti (Buenos Aires, 15 maggio 1901  Escobar, 9 settembre 1983), è stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato italiano, di ruolo centromediano. Vicecampione del mondo nel 1930 con l'Argentina e campione del mondo nel 1934 con l'Italia. È stato l'unico calciatore ad avere disputato due finali di Coppa del mondo con due nazionali diverse.

 

Ritenuto uno dei massimi esponenti della disciplina a livello mondiale durante il periodo interbellico, era soprannominato doble ancho, cioè "armadio a due ante" per via della sua robustezza e forza fisica.

 

Luis Monti
Luis Monti 1934.jpg
Monti con la maglia dell'Argentina
     
Nazionalità   Argentina
  Italia (dal 1932)
Altezza 167 cm
Peso 76 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex difensore)
Termine carriera 1938 - giocatore
1950 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1920   General Mitre 0 (0)
1921   Huracán 4 (0)
1922   C.A. Palermo ? (?)
1922-1930   San Lorenzo 202 (40)
1923   Alvear 1 (0)
1924   C.A. Palermo ? (?)
1931   Sportivo Palermo ? (?)
1931-1938   Juventus 263 (21)
Nazionale
1924-1931   Argentina 16 (5)
1932-1936   Italia 18 (1)
Carriera da allenatore
1939-1940   Triestina
1942   Juventus
1942-1943   Varese
1944   Varese
1945-1946   Fossanese
1946   Atalanta
1947   Vigevano
1947-1948   Huracán
1949-1950   Pisa
Palmarès
 
  Argentina
 
Olympic flag.svg Giochi olimpici
Argento Amsterdam 1928
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Argento Uruguay 1930
Transparent.png Copa América
Oro Perù 1927
  Italia
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Italia 1934

 

Biografia

La famiglia Monti

Luis Monti nacque a Buenos Aires da genitori nati in Romagna.

 

La sua era una famiglia di calciatori: il fratello Enrique ha giocato nell'Huracán, nel San Lorenzo e nel Porvenir, prima di ritirarsi nel 1929, e lo zio Juan ha militato tra le fila di San Lorenzo e General Mitre fino al 1920 e ha successivamente ricoperto ruoli dirigenziali nel club di Almagro. Altri parenti calciatori, seppur di minor rilevanza, sono i cugini Antonio, che ha militato in San Lorenzo e Colegiales, Eusebio, che ha giocato nel Banfield e nello Sportivo Palermo, Luis Pedro, che ha vestito le maglie di Alvear, Platense ed Estudiantes, e Mario, che ha giocato nel San Lorenzo e nel Nueva Chicago.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
? Monti
 
 
 
?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Monti I
 
 
 
Lagomarzino
 
Juan Monti
 
 
 
?
 
Monti III
 
 
 
?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Luis Monti
 
Enrique Monti
 
 
 
Antonio Monti
 
Mario Monti
 
 
Luis Pedro Monti
 
Eusebio Monti

Dopo il ritiro

Nel 1950 tornò a vivere in Argentina, a Buenos Aires, collaborando con l'Hinduclub della città.

 

Nel luglio 1953 fu protagonista di un fatto di cronaca: un truffatore di Rosario, specializzato in frodi ai danni di piccoli industriali, fu arrestato. Non avendo documenti d'identità, affermò di essere Luisito Monti, e a dimostrazione di ciò mostrò ai poliziotti una cicatrice che sarebbe il segno di un calcio dato da un giocatore inglese nella gara nota come battaglia di Highbury. Il vero Monti, chiamato a testimoniare, fu scagionato e il truffatore fu incarcerato.

 

Nel giugno 1978 ricevette la visita della nazionale italiana, impegnata nel mondiale.

 

Morì per un arresto cardiaco il 9 settembre 1983 nella sua casa a Escobar, sobborgo della capitale argentina.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

La rivalità tra Monti e Schiavio

Monti e Angelo Schiavio furono protagonisti di numerosi episodi negativi nel corso delle rispettive carriere.

 

Il primo duro contatto tra i due avvenne il 15 agosto 1929, a Buenos Aires, nel corso della tournée estiva del Bologna, il club di Schiavio. Nella gara Monti intervenne più volte sul centravanti felsineo e fu sfiorata la rissa in numerose occasioni. Il secondo fu il primo maggio 1932, nella gara di campionato tra il club rossoblu e la Juventus: Al 44' Monti colpì violentemente, stordendolo, Schiavio, che fu trasportato a braccia fuori dal campo. Ci volle oltre mezz'ora per rianimarlo del tutto. I due furono riappacificati anni dopo da Vittorio Pozzo.

 

Monti provava antipatia anche nei confronti di Matthias Sindelar, che affrontò nel corso dei Mondiali del 1934, e da quel momento in poi si rifiutò di giocare una partita contro di lui.

 

Giocava nel ruolo di difensore centrale o centromediano, capace di svariare sul fronte difensivo. Monti era un campione noto per giocare in modo molto duro, tanto da essere soprannominato "il macellaio" dopo il Mondiale 1930.

 

Centrosostegno, rivelò negli anni argentini «la vocazione al doppio compito di spietato francobollatore del centravanti e primo motore del gioco». Carlo Felice Chiesa lo ha descritto «Fisicamente massiccio, dotato di una naturale predisposizione al tackle [...]. La durezza dei suoi interventi era proverbiale, come la sua resistenza al dolore».

 

Vittorio Pozzo ne apprezzava «modo di servire le ali, in linea diretta, con traversoni di quaranta o più metri, bassi o a mezza altezza, che facevano aprire tanto d'occhi». Il Dizionario biografico enciclopedico ribadisce la sua funzione di «motore del gioco» nella descrizione dell'Italia campione mondiale del 1934 e 1938: «[Monti] accoppia terrificanti durezze nelle chiusure difensive alla qualità dei lunghi rilanci precisi al millimetro con cui arriva il gioco offensivo [...]; è il vertice arretrato di un triangolo con i due interni [Meazza e Ferrari], che collaborano alla costruzione più che far parte del quintetto offensivo».

Carriera

Giocatore

Club

Argentina

Fu uno dei tanti giocatori oriundi che nel primo dopoguerra vestirono la maglia della nazionale italiana. Dopo aver svolto numerosi mestieri, tra cui il pastaio a Tigre, iniziò a giocare al General Mitre.

 

170px-Luismonti_1925casla.jpeg
 
Monti nel 1925 con la maglia del San Lorenzo

 

Nel 1921, sollecitato dallo zio Juan, si trasferì all'Huracán, dove rimase per una sola stagione. L'anno dopo passò al CA Palermo e poi al San Lorenzo. Nel club di Almagro visse il periodo più florido della sua carriera in Argentina, segnando 40 gol in 202 partite di campionato nel corso di nove stagioni.

 

Continuò però a giocare, parallelamente, anche in altre squadre, giacché la presenza di due federazioni, AAF e AAm, permetteva ai giocatori di partecipare a due campionati contemporaneamente.

Juventus

Si trasferì in Italia nel luglio 1931, voluto alla Juventus da Raimundo Orsi, grazie alla mediazione del procuratore Rava; si fece pagare cinquemila dollari americani al mese, più una casa nei pressi di Torino. In maglia bianconera vinse ben quattro scudetti consecutivi, divenendo uno dei maggiori artefici del cosiddetto Quinquennio d'oro vissuto dalla squadra piemontese nella prima metà degli anni 1930. Collezionò con la Vecchia Signora 263 presenze realizzando 21 gol, 19 dei quali in Serie A.

 

La carriera italiana non era cominciata però bene: dopo aver debuttato con una rete nella gara contro la Pro Patria, a causa della sua mancanza di forma che lo portava a essere in sovrappeso di 15 chili decise autonomamente di restare fuori squadra per mettersi a dieta con esercizi fisici. Ogni giorno infatti correva con addosso tre maglioni di lana lungo il viale Stupinigi, seguendo una dieta sotto la guida del massaggiatore Guido Angeli. Conservò quest'abitudine anche dopo il dimagrimento, alzandosi presto e correndo sei giri di campo con il maglione allo stadio.

 

170px-FBC_Juventus_-_1930s_-_Luis_Monti.
 
Monti nella prima metà degli anni 1930 con la maglia della Juventus

 

Dopo la fine del recupero, durato due settimane, divenne titolare sino alla fine del campionato, nel quale giocò 29 partite segnando due gol. Monti non volle aumenti salariali, nonostante le proposte della dirigenza, affermando che «Il contratto è quello e voglio rispettarlo». Durante una tournée con il club bianconero, fu protagonista di uno scandalo: per passatempo aveva rubato un antico veliero dalla hall dell'albergo parigino in cui alloggiava; fu costretto a restituire il maltolto giusto in tempo per evitare ulteriori polemiche.

 

Si ritirò dal calcio professionistico nel 1938, a trentasette anni, dopo un grave infortunio. In seguito, tra il 1938 e il 1947 giocò amatorialmente in alcuni club francesi, spagnoli, svizzeri, tedeschi, austriaci e jugoslavi.

Nazionale

Argentina

Centrosostegno massiccio ed efficace, esordì con la nazionale argentina nell'agosto 1924, disputando il torneo olimpico di Amsterdam 1928 e conquistando il secondo posto al campionato del mondo 1930 in Uruguay: qui, il gol su punizione che segnò all'81' della gara vinta 1-0 contro la Francia è passato alla storia come la prima marcatura di un calciatore argentino della storia dei campionati mondiali, nonché la prima in assoluto su calcio piazzato nella rassegna iridata.

 

220px-Final_football_Argentina_vs_Urugua
 
Monti (a destra), capitano dell'Argentina, assieme all'uruguaiano Nasazzi e alla terna arbitrale prima della finale del torneo olimpico di Amsterdam 1928

 

Nella fase a gironi del mondiale urugiaiano, nella sfida contro il Cile, fu continuamente strattonato da un avversario a tal punto che si rifiutò di giocare la successiva gara contro gli Stati Uniti; i compagni di squadra furono costretti a chiamare una delegazione da Buenos Aires, che dopo giorni di trattative lo convinse a tornare sui suoi passi.

 

Secondo indiscrezioni, suffragate dalla testimonianza di Francisco Varallo, inizialmente Monti si rifiutò di giocare anche la finale contro i padroni di casa dell'Uruguay poiché minacciato di morte da due mafiosi siciliani, Marco Scaglia e Luciano Benetti, legati al regime fascista all'epoca al potere in Italia; alla fine fu convinto a scendere in campo ma, per il timore, rimase in ombra per tutta la gara.

Italia

Grazie ai suoi avi emiliani poté giocare, fin dal dicembre 1932, con la nazionale azzurra, con cui totalizzò diciotto presenze e un gol, conquistando il titolo mondiale del 1934 agli ordini di Vittorio Pozzo. Un'altra indiscrezione afferma che Monti fu ancora una volta minacciato di morte: si dice infatti che avesse ricevuto da Mussolini una lettera che diceva: «[...] siete gli artefici del vostro destino. Se vincete bene, se perdete, che Dio vi aiuti!».

 

170px-Luisito_Monti.jpg
 
Monti nel corso degli anni 1930 con la divisa dell'Italia

 

Monti divenne così il primo e, sinora, unico giocatore ad aver disputato due finali mondiali con due casacche differenti.

 

Patì un pesante infortunio di gioco nella gara contro l'Inghilterra disputata il 14 novembre 1934 e passata alla storia come Battaglia di Highbury. Subì un duro pestone che gli fratturò l'alluce dal centravanti inglese Drake. Nonostante ciò Monti non volle abbandonare il campo, restando inutilizzabile all'ala. Nell'intervallo fu convinto da un medico ad andare all'ospedale, rimanendo a lontano dai campi da gioco per quasi un anno. Nonostante questo, la sua carriera continuò in nazionale sino al 1936.

Allenatore

Subito dopo il ritiro ottenne l'incarico di allenatore alla Triestina, ottenendo il dodicesimo posto in campionato.

 

Il 28 gennaio 1942 diviene l'allenatore della Juventus al posto di Giovanni Ferrari, portando la società bianconera al sesto posto in Serie A e, soprattutto, alla vittoria della sua seconda Coppa Italia. Nello stesso anno approda al Varese in Serie C, riuscendo a ottenere la promozione in Serie B.

 

Nell'agosto del 1945 approda alla neonata Fossanese, concludendo la Serie C al sesto posto. L'anno dopo è all'Atalanta, che conclude la stagione al nono posto. Rimarrà sulla panchina nerazzurra fino al 24 novembre, giorno del suo esonero. Nel 1947 allena il Vigevano in Serie B, ma alla fine della stagione la squadra viene retrocessa.

 

Il 22 luglio dello stesso anno ritornò in Argentina, a bordo del piroscafo "Ravello", con l'intenzione di smettere di allenare. Pochi mesi dopo viene però ingaggiato dall'Huracán. Vive l'ultima esperienza da allenatore al Pisa, che conclude la Serie B al nono posto.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

Individuale

Allenatore

Club

 

Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 04-Apr-2006
130799 messaggi

30414648_Juventus1931.jpg.ef43954f75277cf67aada9a7090a95e6.jpg LUIS MONTI 

 

monti%2B%25284%2529.jpg

 

 

 

È stato grande fra i grandi; non c’era juventino che non lo ricordasse, che non avesse negli occhi le imprese di quel gigante, che non avesse apprezzato gli enormi sacrifici ai quali si sottopose per poter dimostrare anche alle platee italiane il valore mostrato prima in Argentina, in Uruguay e ad Amsterdam, nel torneo olimpico del 1928. Ma è bene dire subito che Luis giocò senz’altro meglio in Italia di quanto non avesse fatto negli anni giovanili in Sud America. Forse anche perché nella Juventus era circondato da grandissimi campioni.
Quando fu creato il campionato a girone unico, i dirigenti della Juventus decisero di costruire una squadra favolosa, destinata a dettare legge per un lungo periodo. Gli anni Trenta in casa bianconera sarebbero stati il frutto di un’accorta e tenace fase preparatoria, avviata con la presidenza di Edoardo Agnelli, magnate di molti splendori.
Luisito Monti aveva colpito tutti alle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928 e la Juventus, di buona memoria e già fortunata con altri oriundi, pensò proprio a lui quando decise di completare la squadra. Monti, nel frattempo, aveva già interrotto l’attività agonistica: faceva il pastaio a Tigre, sobborgo di Buenos Aires, produceva (e mangiava) ravioli e tagliatelle. Aveva già compiuto i trent’anni e non era affatto allenato. Ma si lasciò convincere, anche per le insistenze di Orsi e Cesarini.
Dopo essere sbarcato a Genova il primo agosto 1931, era atteso a Torino dalla curiosità dei giornalisti e dall’altra, ben più motivata, dei dirigenti bianconeri. Rimasero tutti di stucco quando lo videro scendere dal treno a Porta Nuova, perché il nuovo centromediano pesava la bellezza di novantadue chili e dimostrava assai più dei trent’anni dichiarati. Rendendosi conto della sbalordita delusione di tutti e colpito a fondo dall’ironia dei commenti che gli si rovesciarono addosso, Monti chiese fiducia e qualche mese di tempo. Glieli concessero, anche se erano in pochi a credere che quell’omaccione, appesantito dalla pinguedine, potesse far riaffiorare i muscoli e renderli di nuovo scattanti.
Ma pochi conoscevano che razza di uomo fosse Luis. Per tutto il mese di agosto, lavorando da solo sotto il sole cocente, implacabile, deciso a spuntarla, raggiungeva il campo la mattina alle sei, correva, sudava, saltava, il torace coperto da tre maglioni, concedendosi il minimo apporto di calorie per ottenere ogni giorno una riduzione di peso. Spingeva avanti sull’erba un pallone medicinale (quelli pesanti tre o quattro chili) e stringeva i denti, sempre tornando a correre, a saltare, a sudare, perché i maligni si rimangiassero le cattiverie e i dubbi sulle sue possibilità di recupero e di rinascita.
Quando la squadra si ricompose dopo le ferie per iniziare gli allenamenti in vista della nuova stagione agonistica, Monti era riuscito a perdere qualcosa come dodici chilogrammi. E la forma era già buona. Ma sulle capacità tecniche del giocatore nessuno aveva mai nutrito dubbi di sorta. Il primo allenamento con partita fu effettuato il 22 settembre e in quell’occasione Luis segnò la sua prima rete in bianconero: una bordata dal limite di inaudita potenza. Ancora un paio di settimane di duro lavoro, poi Monti si insediò al centro della mediana, miracoloso nel recupero fisico e nella straordinaria potenza di gioco.
La sua carriera cominciava a trent’anni suonati, la Nazionale italiana l’avrebbe richiesto a trentadue, a trentatré avrebbe conquistato il titolo mondiale a Roma contro la Cecoslovacchia, dopo essere stato finalista con l’Argentina nel 1930 a Montevideo contro l’Uruguay. Infine il posto di titolare nella Juventus sarebbe stato suo sino al campionato 1938-39, quando oramai trentasettenne, totalizzò ventiquattro presenze su trenta partite.
Luisito Monti era tutto casa e famiglia, gelosissimo della propria privacy. Probabilmente, Monti è stato l’inventore del silenzio stampa, in quanto, dopo la tormentata vicenda del suo arrivo a Torino, gli rimase una diffidenza invincibile verso i giornalisti, che giudicava, nel suo risentimento, gente capace di esaltare o di distruggere un giocatore, senza tanto pensarci, ma è stato ed è rimasto un uomo di grandissima dignità.
È stato, senza dubbio, il più forte centromediano metodista apparso in Italia, dove non si era mai visto un atleta dotato di un tiro così forte con i due piedi, un bestione così grosso e pur così pulito e delicato nel tocco, incontrista feroce e praticamente insuperabile, acrobatico, sicuro negli stacchi e nelle incornate difensive. Poiché non amava correre (e con quella mole non era nemmeno facile!), Luisito veniva chiamato l’Uomo che cammina.
In effetti, faceva correre la palla e sapeva lanciarla, come nessuno, in perfette proiezioni sugli esterni. Non fu facile per nessuno superarlo, assolutamente impossibile prenderlo in giro sul terreno di gioco. Ne sanno qualcosa Schiavio e Sindelar, un italiano e un austriaco, che, con la forza o con l’astuzia, cercarono di umiliare l’erculeo Luis. E accadde che entrambi, in diverse occasioni, lasciassero il campo in barella.
Era nato a Buenos Aires il 15 maggio 1901 e aveva iniziato a giocare a calcio nelle formazioni giovanili del San Lorenzo de Almagro. Ben presto conquistò la maglia di titolare e in seguito fu acquistato dal Boca Juniors. Nazionale argentino alle Olimpiadi di Amsterdam (1928) e al primo campionato del mondo disputato in Uruguay (1930), Monti passò poi alla Juventus grazie alla sua doppia nazionalità. Luis, infatti, era figlio di genitori italiani emigrati in Argentina.
Monti è stato l’unico giocatore ad aver giocato finali di Campionato del mondo per due nazionali diverse: nel 1930 con l’Argentina contro l’Uruguay (fu sconfitta per 1-2) e nel 1934 con l’Italia contro la Cecoslovacchia (fu vittoria per 2-1).
«Con Monti forse sono l’unico della squadra – diceva Bertolini – a intendermi profondamente. Sono entrato a casa sua e nelle sue grazie. Odiava i giornalisti e i fotografi. Oggi ti esaltano, domani ti buttano in cantina, si lamentava. È stato uno dei più grandi centromediano che abbia visto. Era un uomo strano, si allenava in modo particolare. Al giovedì giocava la partitella con noi. Gli altri giorni, dalle cinque alle sei del mattino, tutto solo andava in Corso Marsiglia, ci fosse sole o ci fosse neve, finché fu in Italia si allenò sempre dalle cinque alle sei del mattino».

VLADIMIRO CAMINITI
Lo conobbi nell’estate 1978, all’Hindu Club di Baires; Gigi Peronace mi condusse attraverso un giro di quiete stanze fino a una camerata, in fondo a un tavolo era seduto un vecchione grifagno, con rughe nodose attorno agli occhi azzurri splendenti di un sorriso intenerito davanti all’ospite italiano. Gigi mi aveva fatto un piacere personale, ma prima era come se lo conoscessi da mezzo secolo quel vecchione. Me ne avevano parlato a lungo i suoi compagni di squadra Mario Varglien, Luigi Bertolini e Felice Placido Borel. Fu per il calcio italiano, dal campionato 1931-32, una leggenda vivente e scalciante in modo cinico: fu il centromediano che cammina. Aveva possanza, aveva stacco aereo, ma soprattutto un senso della posizione perfetto e si inizia con lui la Juventus più sagace e rapace, che non spreca un respiro. Il 5-3 della seconda di campionato con il Napoli è sintomatico, insegna un sacco di cose alla Juve che indossa già divise modernissime, la mutanda è come oggi, la maglia già ornata dal terzo triangolino. Il fatto è che Monti deve snellirsi, dall’Argentina era arrivato un bue, oltre ad allenarsi con lo zufolante Carcano, faceva footing di due ore all’alba per le silenziose strade di Torino.
Stabilmente centromediano lo diventa dopo una partita da mezzala contro il Genova 1893 (il fascismo imponeva l’autarchia anche nei nomi delle società). Eccolo nella Juve tipo che andrà a conquistare il secondo scudetto consecutivo: Combi; Rosetta, Caligaris; Varglien I, Monti, Bertolini; Munerati, Cesarini, Vecchina, Ferrari, Orsi. Un lungo infortunio di Cesarini consente a Ferrero di giocare ventuno volte; le presenze di Monti in quel torneo a diciotto sono ventinove. Giocherà fino a trentotto anni, assommando 225 presenze. Saranno complessivamente 263, con quelle in Coppa Italia e nella Coppa dell’Europa Centrale. Vincerà quattro scudetti e una Coppa Italia. Ventidue goal, oltre a uno nelle diciotto presenze in Nazionale.
La sua durezza, anzi la sua implacabilità nella lotta, lo fece apprezzare, ma anche redarguire in più di una circostanza da Pozzo, mentre era Viri Rosetta, con la sua calma filosofica, a consigliarlo per il meglio nel campionato. In realtà, al Mondiale 1934 fu protagonista negativo e bollato dalla stampa estera come un giocatore brutale. «Tutti i giornalisti stranieri che assistettero alle Olimpiadi del 1928 e ai due Mondiali cui prese parte, lo misero in evidenza», ha scritto Luciano Serra. «Carica troppo violenta di Monti», si legge sul “Corriere della Sera”, a firma di Emilio De Martino, in occasione del match mondiale con la Cecoslovacchia del 10 giugno 1934. Intendiamoci, non mi scandalizzo. Grande difensore centrale, dava del calcio un’interpretazione in tutto moderna, che sveltiva il gioco, con lanci alle ali di perfetta esecuzione. Coriaceo nella lotta, fu un acquisto medianico per dare alla Juventus quella solidità sprezzante che il suo gioco esigeva. Che poi legasse umanamente solo con Bertolini, è un altro discorso. Giocò fino a trentotto anni, e lamentò un unico infortunio: la frattura del piede destro il 14 novembre 1934 a Highbury, quando i leoni inglesi ci piegarono per 3-2, e non ci bastarono né le prodezze di Ceresoli né due goal del Balilla Meazza. Quella battaglia Mussolini non la vinse mai.

ALBERTO FASANO, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’OTTOBRE 1983
La notizia della scomparsa di Luisito Monti non mi ha colto di sorpresa. Sapevo da alcuni amici di Avellaneda che vecchio Luis non stava affatto bene; anche l’età avanzata (aveva ottantadue anni!) rappresentava un fattore negativo e già una volta (cinque anni fa) era riuscito a superare una crisi grazie alla sua tempra eccezionale. L’ultima volta che ci eravamo visti, era stato a Torino, in occasione della premiazione dei Nazionali bianconeri e granata effettuata a Palazzo Madama. Era ancora un uomo eccezionalmente in gamba. Sarebbe stata mia intenzione rivederlo in Argentina in occasione dei Campionati del Mondo organizzati in quel paese. Ma impegni di lavoro mi impedirono la trasferta a Buenos Aires: grazie all’affettuoso interessamento dell’amico Giglio Panza, ricevetti da Baires una cartolina con le firme e il saluto di due vecchi giocatori della Juve di altri tempi: Mumo Orsi e Luisito Monti. Fu quello l’ultimo messaggio da parte di un uomo che ebbi la fortuna di conoscere e di apprezzare in un’epoca in cui la Juventus dettava legge in campo nazionale, l’epoca dei cinque scudetti consecutivi.
Quando, il primo agosto 1931, Luisito Monti arrivò in Italia, io avevo solo dodici anni, ma giocavo già nelle file dei giovanissimi bianconeri. Ebbi modo pertanto di seguire da vicino le vicende di questo grandissimo campione, nutrendo immediatamente sincera ammirazione verso un uomo che, a prezzo di incredibili sacrifici, doveva conquistare il podio sul quale salgono solo i superman più famosi. Quando l’allenatore Carcano ordinò le convocazioni per la ripresa del campionato, Monti appariva già abbastanza tirato, aveva perso oltre dodici chili. Ma aveva sempre paura di ingrassare e per quasi tutti gli anni in cui rimase a Torino, non fece altro che percorrere i lunghi viali cittadini a piedi, senza mai acquistare un’auto. Partiva dal campo di Corso Marsiglia e arrivava a mezzogiorno alla pasticceria Stratta di Piazza San Carlo per fare quattro chiacchiere con il cavalier Capello, titolare del negozio e suo sincero amico.
Con noi ragazzini (e specialmente con il sottoscritto, che più degli altri gli gironzolava attorno) era paternamente affettuoso, ma non diceva più di tre parole: una ruvida carezza e via di corsa in campo. Luisito Monti era tutto casa e famiglia, gelosissimo della propria intimità familiare. Non si concedeva svaghi, raramente andava al cinema, mai i piedi in una sala da ballo o al night, come facevano i suoi connazionali Cesarini e Orsi. Strinse amicizia con Bertolini e aveva una predilezione per il più giovane dei campioni della Juve, per Farfallino Borel, che Luis giudicava addirittura più forte di Peppino Meazza.
Per quanto posso dire, sfruttando un’opinione fattami in età giovanile, Monti è stato non solo un grande campione di calcio, ma anche un grand’uomo, ricco di umiltà e di dignità. La Nazionale e la Juve gli devono molto.

FILIPPO FIORINI, “GS” DEL MARZO 2014
La memoria storica di uno dei più grandi campioni che abbiano mai pestato i campi di calcio dorme oggi nella penombra di una casa coloniale della cittadina di Escobar. Una casa bianca con gli scuri chiusi, nata sperduta a settanta chilometri da Buenos Aires e finita in mezzo al bolero dei palazzi nuovi, dei camion smarmittati e degli studenti in ricreazione che condiscono la lenta periferia argentina. «Non viene mai nessuno a trovarci, né dalla Federazione, né dalla FIFA. Il calcio si è dimenticato di mio padre e forse lui ne sarebbe contento, visto che odiava i giornalisti e scelse questo posto perché amava la campagna». Eduardo Monti ha settantadue anni, qualche rancore in groppa e un tempio di cimeli del suo vecchio, raccolti in comici eleganti e album di cuoio. Luisito Monti, il fantastico eroe dei due mondi, vive nei suoi ricordi come un mito di bontà: «Era un tipo taciturno ma buono. Un pane di Dio, diciamo da queste parti».
Nato da genitori emiliani nell’Argentina dei primi del secolo, Luis si fece grande nella tradizione di famiglia, il calcio, e in questo superò ampiamente i risultati del fratello, dello zio e dei suoi due cugini, tutti passati con sorti alterne per la Serie A del loro paese. Dei molti traguardi tagliati da Monti, due spiccano senza dubbio sugli altri: fu il primo calciatore della storia a segnare un goal con la maglia dell’Argentina e sarà per sempre l’unico ad aver giocato due finali mondiali con due squadre diverse. Luigi perse, infatti, nel 1930 la prima mitica Coppa del Mondo in Uruguay, dove l’Albiceleste cadde per 4-2 contro i padroni di casa, e vinse invece la finale di Roma nel 1934, quando la squadra messa assieme da Pozzo, ampliata dalla presenza di alcuni oriundi, appuntò la prima stella sulla casacca azzurra, rimandando a casa i cecoslovacchi e inaugurando la lunga stagione vittoriosa del calcio italiano. Tutto nella vita di Monti ha a che fare con il numero due, con ciò che è doppio e ha due interpretazioni. Nacque con una doppia nazionalità e lo soprannominarono Doble Ancho, che vuol dire in primo luogo armadio a due ante (ironizzando sulla sua prestanza fisica), ma che può significare anche doppio asso nel gergo delle osterie di Buenos Aires e delle loro briscole malandrine. Centromediano metodista del vecchio calcio anni Trenta, Luisito era il punto centrale della “Doppia W” che disegnava la formazione in campo. Una carta vincente avanti e in copertura, che faceva goal e rubava palla.
Agli inizi dell’attività, quando già era stato chiamato in quel San Lorenzo di Almagro che oggi vede in Papa Francesco il tifoso più famoso, Monti passava le mattine allenandosi e giocando per il Club Atletico Palermo, una squadretta di quartiere a cui doveva un voto di riconoscenza, come cittadino del barrio di Buenos Aires dov’era nato. Così, pure la sua carriera fu sempre doppia: arrivò alle stelle, le accarezzò e cadde senza poterle afferrare. Poi ebbe una seconda possibilità. Molti sostengono che la dura sconfitta incassata dall’Argentina nella finale della Coppa Rimet 1930, la prima della storia, fosse già cominciata alle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928, dove la finale era stata vinta anche quella volta dall’Uruguay sui cugini. In realtà, il dualismo era iniziato il 30 ottobre del 1927, nell’undicesima edizione della Coppa America in Perù, che all’epoca si chiamava Campeonato Sudamericano. Delle quattro squadre iscritte, Argentina e Uruguay erano di gran lunga le più forti e si disputarono il torneo in una partita senza esclusione di colpi al Nacional di Lima. «Mio padre mi ha sempre raccontato che gli uruguaiani picchiarono duro per novanta minuti», ricorda l’unico erede maschio di Luis, che conserva una foto del momento in cui (quando il risultato era già arrivato su quel 3-2 per gli argentini che sarebbe poi diventato definitivo) il padre scatenò una rissa, prendendo a pugni diversi avversari. L’arbitro inglese David Thurner fece finta di non vedere, i tifosi uruguaiani invece no.
L’anno dopo, i Charrua ebbero la loro rivincita battendo 2-1 l’Argentina nella famosa finale olimpica olandese. Avevano pareggiato 1-1 nel primo incontro e, come da regolamento dell’epoca, si rigiocò tre giorni dopo per decretare un vincitore. La rivalità storica era così inaugurata e quando, nel 1930, l’Uruguay ospitò la prima Coppa del Mondo, la sorte volle che la finale offrisse l’opportunità di uno spareggio agli arci nemici del Rio de la Plata. Si scese in campo il 30 luglio, mezzora dopo le tre di pomeriggio, sotto una neve mai vista a Montevideo. L’afflusso di pubblico fu sbalorditivo e le ore immediatamente precedenti la partita segnarono la portata di un evento che superava qualsiasi aspettativa. Gli argentini erano arrivati in massa, ma gli uruguagi riempivano il grosso degli spalti dello stadio Centenario appena costruito. Giocatori e arbitro avevano tutti subito minacce e intimidazioni di ogni genere. Monti, che nel corso del torneo aveva segnato due reti e commesso qualche fallo ai limiti del codice penale, vide una busta scivolare sotto la porta della sua camera d’albergo attorno a mezzogiorno.  «Era una minaccia di morte per mia madre e mia sorella – racconta Eduardo – mio padre si spaventò molto. Chiese al tecnico di non scendere in campo, ma non ci fu verso e allora si mise la maglia».
Fu la sua peggior partita. L’Uruguay andò in vantaggio, ma l’Argentina si rifece sotto e riuscì addirittura a rovesciare il tabellino sull’1-2 prima di andare negli spogliatoi. Nel secondo tempo, Monti si trovò tra i piedi il pallone della vittoria. Un peso secolare da prendersi nell’anima e riporre nella bacheca della storia, che però era più lontana del previsto: Doble Ancho sbagliò lo specchio e con quel tiro alto innescò l’inizio della sua prima fine. Dopo la rimessa dal fondo, vennero le due reti di Iriarte e del monco Castro, a cui mancava una mano. Venne la Coppa Rimet alzata dagli uruguagi, mentre lui fuggiva su una barca a remi salpata da un molo desolato, perché si sentiva ancora braccato dai suoi stalker. Venne il risentimento dei connazionali, la stampa che lo incolpava e la voglia di cambiare mestiere.
«Allora non esistevano i veri professionisti», avrebbe ricordato molti anni dopo Francisco Varallo, che era in squadra con lui in quei primi Mondiali del 1930 e fu poi a lungo il più grande goleador del Boca Juniors. «In tutta la mia carriera non mi hanno mai fatto una visita medica e ci allenavamo sì e no tre volte a settimana».
«Quando giocava al San Lorenzo, con cui vinse tre scudetti e fece quaranta goal in duecento partite, mio padre riceveva la paga di mezzo panino e mezza birra al giorno e dovette insistere per avere un pasto completo».
Si ritirò a Tigre, una località a nord di Buenos Aires in cui nelle sere limpide poteva vedere quell’Uruguay che gli era stato fatale. Ma in quel 1930 sabbatico che si prese, in Italia qualcuno si ricordò di lui. La Juventus di Edoardo Agnelli aveva vinto solo due scudetti e pensava a una grande squadra per il futuro, partendo anche dalla base degli oriundi. Alcuni hanno addirittura sostenuto che le minacce subite da Luisito poco prima della finale di Montevideo, gli fossero arrivate per ordine di Benito Mussolini, che avrebbe inviato sul posto due delle sue spie più fidate per distruggere il morale del campione, gettarlo sul lastrico e portarlo in Italia a un prezzo d’occasione.
Mentre questo capitolo della sua vita resta ancora oscuro, di certo c’è che il 22 settembre del 1931 Monti esordì allo stadio di Corso Marsiglia, segnando il suo primo goal in bianconero. Poco più di due mesi prima, era stato visitato a Buenos Aires dai dirigenti juventini, che l’avevano messo sotto contratto, nonostante il forte sovrappeso che avrebbe poi scandalizzato Torino il giorno del suo arrivo. «Per lui fu il periodo più bello», racconta Eduardo, che deve il suo nome allo storico presidente della Signora. «Si mise a lavorare sodo e perse tutti i chili di troppo in poche settimane». Avrebbe vinto quattro scudetti, segnato ventidue goal e lasciato la squadra dopo il suo trentasettesimo compleanno.
La sua impresa più grande resta il primo Mondiale conquistato con la Nazionale azzurra. I giocatori dovevano fare dell’Italia fascista un mito grande come quello di Roma e in cui l’ex impiegato della Pirelli, giornalista e capitano degli alpini, Vittorio Pozzo, volle addirittura tre oriundi: Monti, Guaita e Orsi. Nella coppa, i nostri esordirono a Roma travolgendo per 7-1 gli Stati Uniti negli ottavi. Poi venne il primo stop contro la Spagna: 1-1 a Firenze e ripetizione il giorno dopo alla stessa ora, che spuntammo 1-0 con goal di Meazza. Stesso risultato due giorni dopo a San Siro contro l’Austria e poi la finale con la Cecoslovacchia. La partita iniziò nella tensione generale del gremito Stadio Nazionale di Roma. I tabellini restarono a lungo senza reti. Gli avversari segnarono il vantaggio al 76’ con Puč, in una gara in cui colpirono il palo addirittura tre volte. Ma nel calcio la palla deve entrare e Orsi, all’80’, e poi il bolognese Schiavio, al quinto minuto dei supplementari, mostrarono agli avversari come fare, portando l’Italia sul tetto del mondo. Monti non fu tra i marcatori del torneo, ma si tolse quel peso che gli era rimasto dalla finale di Montevideo e finalmente baciò la coppa. «Per lui il Mondiale fu il massimo, il momento più alto», sostiene il figlio, che racconta come da allora portò sempre in tasca lo scudo italiano che aveva sulla maglia. Anche quando nel 1935 Mussolini invase l’Etiopia e gli oriundi Guaita e Orsi abbandonarono il paese per protesta contro il regime, Monti restò.
Finì per la seconda volta in vita sua la carriera da calciatore e si sedette in panchina, allenando la Juve, la Triestina, l’Atalanta e molte altre squadre. «Abbandonammo l’Italia nel 1947 solo per colpa della guerra. La nostra casa era stata bombardata e distrutta, facevamo la fame». In Argentina suo padre tentò ancora la strada del Commissario tecnico, ma si ritirò quasi subito. Stavolta il Doble Ancho era davvero andato in pensione e restò a coltivar l’orto finché il creatore non si ricordò di lui una mattina di settembre del 1983 e lo chiamò a rapporto. In tutti quegli anni, solo una volta il calcio era tornato a bussare alla sua porta. Fu quando gli azzurri di Bearzot arrivarono in Argentina per i Mondiali del 1978 e lo vollero in ritiro ogni giorno del torneo.
 
 
Modificato da Socrates

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
Accedi per seguire   

  • Chi sta navigando   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×
×
  • Crea Nuovo...