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Socrates

Helmut Haller

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File:Helmut Haller - 1971 - Juventus FC.jpg - Wikimedia Commons
 
Helmut Haller e il lungo viaggio tra Bologna, Juventus e Germania Ovest |  Guerin Sportivo
 
1972–73 Juventus FC season - Wikipedia
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Helmut Haller - Wikipedia
 
Juventus Football Club 1968-1969 - Wikipedia
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Addio ad Haller, eroe del calcio delle figurine

 

Gloria del calcio tedesco, perse la famosa finale del 1966 a Wembley contro l'Inghilterra.

Popolarissimo in Italia, dove vinse con il Bologna lo scudetto del 1964 prima di passare alla Juventus,

con cui sfiorò la Coppa dei Campioni nel 1973 perdendo la gara decisiva con l'Ajax. Aveva 73 anni.

 

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Haller duella con Burgnich nello spareggio scudetto del 1964 vinto dal Bologna sull'Inter

 

Oct 11, 2012

 

Il tedesco Helmut Haller, scomparso all'età di 73 anni, è stato tra i grandi protagonisti di un'epoca del calcio, quello sospeso tra il bianco e nero e l'avvento del colore. Il massimo splendore come calciatore lo raggiunse negli anni sessanta, quando fu al centro di una serie di partite diventate poi epiche nella storia del calcio. Gloria della nazionale tedesca, disputò tre campionati del mondo (1962, 1966 e 1970), collezionando 33 presenze e segnando 13 reti. La più importante è senza dubbio quella che aprì la storica finale del 1966, che la Germania Ovest perse con l'Inghilterra ai tempi supplementari 4-2 con il gol fantasma assegnato al britannico Hurst che ancora fa discutere a distanza di 46 anni. Vide invece dalla panchina la leggendaria semifinale con l'Italia, il 4-3 di Città del Messico: non venne infatti utilizzato dal ct tedesco Schoen.

 

Ma quella contro l'Inghilterra nel 1966 fu soltando la seconda partita 'storica' giocata da Haller. Due anni prima infatti, il tedesco si prese una delle più grandi soddisfazioni della carriera con il Bologna. Arrivato in rossoblù dall'Augsburg, fu tra i protagonisti dell'interminabile duello con l'Inter di Herrera, che tra mille polemiche (ci fu anche uno scandalo doping) ebbe l'epilogo nello spareggio dello stadio Olimpico di Roma. Un caso unico nella storia del calcio italiano: gli interisti giunsero a Roma freschi della conquista della Coppa dei Campioni contro il Real Madrid ma fisicamente stanchi. Nel gran caldo del giugno romano, i rossoblù guidati da Fulvio Bernardini che si imposero 2-0.

 

Nel 1968 il passaggio alla Juventus, ed anche qui Haller lasciò il segno vincendo due scudetti. La partita memorabile in maglia bianconera fu la finale della Coppa dei Campioni del 1973 persa a Belgrado con l'inarrivabile Ajax di Cruyff e del calcio totale. Una sorta di passaggio di consegne tra epoche. Tramontava definitivamente con quella partita un'epoca. Il calcio elegante che piaceva ad Haller, quello dei colpi di genio, dei dribbling imprevedibili, lasciava spazio ad un calcio tecnicamente altrettanto fantastico, che però univa un agonismo ormai improponibili per le forme diventate piuttosto rotonde di Haller. Dopo la lunghissima parentesi italiana, tornò in Germania dove chiuse ufficialmente la carriera agonistica nel 1979.

 

IL CORDOGLIO DEL BOLOGNA - "Con Haller se ne va un pezzo della nostra famiglia rossoblù. Sono molto addolorato per questa notizia appena appresa, conservo il ricordo di un grande campione protagonista dell'ultimo nostro scudetto -ha detto il Presidente Albano Guaraldi-, e di un grandissimo uomo che ha vissuto a Bologna una parte importante della sua carriera. Tutti i tifosi del Bologna, ed io per primo, ci stringiamo attorno ai suoi cari manifestando il nostro dolore per la perdita di un personaggio di sport così straordinario".

 

di LUIGI PANELLA

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La Juventus piange Helmut Haller

 

Afbeeldingsresultaat voor helmut haller juventus

 

Oct 11, 2012

 

La Juventus piange la scomparsa di uno dei simboli della sua storia. All'età di 73 anni è morto Helmut Haller, ex centrocampista tedesco che ha indossato la maglia bianconera per cinque stagioni, dal 1968 al 1973. Ha legato il suo nome alla conquista degli Scudetti del 1972 e del 1973.

 

Il club bianconero si unisce al cordoglio ed è vicino alla famiglia Haller.

 

http://www.juventus.com/juve/it/home

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Oggi 21 luglio sarebbe stato il 78°compleanno di Helmut Haller, scomparso nel 2012 a causa di una polmonite. Haller era gia' gravemente malato, ma la sua dipartita ha commosso tutto il mondo del calcio tedesco. Ad Augsburg, dove e' nato, dove la sua carriera ha preso il via e dove e' terminata, dove la sua figura e' nientemeno che una divinita' calcistica, gli hanno edificato una statua. A Torino, non gli e' stata assegnata nemmeno una stella allo Stadium: una stella che avrebbe meritato. Non sentirete mai nessuno parlar male di Helmut: ne' come giocatore, ne' come uomo. Le sue finte, la sua rifinitura impeccabile, la sua fantasia, la sua visione di gioco hanno ispirato il magnifico Causio, che tutt'ora lo ricorda come un mentore. Nella giovin Signora che si affaccio' al decennio degli anni di piombo con una banda di ragazzini che avrebbero fatto la storia, il paffuto tedesco fu uno dei punti di riferimento assoluti, insieme a Zoff e Salvadore. Non digeriva le diete: le foto non mentono. Eppure, nonostante un pesoforma vario ed eventuale, il biondo faceva la differenza. Helmuttone sapeva districarsi in ogni zona del fronte offensivo: come quelli grandi, grandi davvero. In giornata di vena, era imprendibile: quando era svogliato, i compagni lo sapevano e lo cercavano meno. Non hai mai giocato in Bundesliga, eppure ha giocato tre mondiali con la maglia della Germania Ovest: un record. Overath, Matthaus, Netzer? No. In Teutonia, come centrocampista del secolo, hanno eletto lui, Helmut Haller. Puo' bastare.

 

Afbeeldingsresultaat voor helmut haller juventus

 

https://www.facebook.com/La-Maglia-della-Juve

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1737939641_juventus1931.jpg.7e25e6cda3da75543823642af57ef96c.jpg HELMUT HALLER

 

Fußball-Italien: Bologna und Juventus trauern um Helmut Haller - WELT

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Helmut_Haller

 

 

Nazione: Germania Ovest bandiera
Luogo di nascita: Augsburg
Data di nascita: 21.07.1939

Luogo di morte: Augsburg

Data di morte: 11.10.2012
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 176 cm
Peso: 77 kg

Nazionale Tedesco
Soprannome: Helmuttone

 

 

Alla Juventus dal 1968 al 1973

Esordio: 08.09.1968 - Coppa Italia - Cesena-Juventus 0-0

Ultima partita: 01.07.1973 - Coppa Italia - Milan-Juventus 1-1

 

171 presenze - 32 reti

 

2 scudetti

 

 

Helmut Haller (Augusta, 21 luglio 1939  Augusta, 11 ottobre 2012) è stato un calciatore tedesco, di ruolo centrocampista o attaccante.

 

Helmut Haller
Helmut Haller - Anni 1960 - Juventus FC.jpg
Haller alla Juventus a fine anni 1960
     
Nazionalità bandiera Germania Ovest
Altezza 176 cm
Peso 77 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Centrocampista, attaccante
Termine carriera 1979
Carriera
Giovanili
1948-1957   Augusta
Squadre di club
1957-1962   Augusta 85+ (24+)
1962-1968   Bologna 180 (48)
1968-1973   Juventus 171 (32)
1973-1976   Augusta 85 (22)
1976-1978   Schwenningen 2 (0)
1978-1979   Augusta 15 (2)
Nazionale
1961 Germania Ovest Germania Ovest U-23 1 (1)
1958-1970 Germania Ovest Germania Ovest 33 (13)
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Argento Inghilterra 1966
Bronzo Messico 1970

 

Biografia

In gioventù lavorò come camionista ad Augusta, ed esercitò la stessa attività anche durante i primi anni di calcio professionistico; buona parte della sua carriera si svolse in Italia.

Di carattere estroverso, era definito un tedesco "atipico" poiché amante del divertimento e della vita notturna; nel marzo del 1972, durante la militanza nella Juventus, fu escluso dalla squadra titolare prima di un derby (poi perso) dal dirigente Italo Allodi come conseguenza di una serata in un night di Wolverhampton, dopo una gara di Coppa UEFA.

Suo nipote, Christian Hochstätter, ha giocato per il Borussia M'gladbach e per la Germania Ovest.

Il 26 dicembre 2006 ha sofferto di un serio attacco cardiaco che è stato seguito da un progressivo declino delle sue condizioni di salute. È morto l'11 ottobre 2012 all'età di 73 anni; in suo onore la Germania ha giocato la partita di Dublino contro l'Irlanda con il lutto al braccio.

Caratteristiche tecniche

Giocava soprattutto come trequartista o ala, venendo ricordato come uno dei migliori nel suo ruolo degli anni 1960, nonché come uno dei migliori giocatori che abbiano indossato la maglia del Bologna; notevoli erano anche le sue capacità di dribbling, finalizzazione e carisma.

 

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Il bolognese Haller (sullo sfondo) batte il portiere romanista Fabio Cudicini nella sfida di campionato dell'8 novembre 1964 (1-1)

 

Era particolarmente apprezzato per la sua fantasia e per gli assist ai compagni d'attacco. Diceva di lui Fulvio Bernardini, che lo allenò a Bologna: «Era capace di creare possibilità eccezionali, inventare passaggi stupendi per un compagno che gli andava a genio».

Centrale per la maggior parte della sua carriera, fu spostato a destra dall'allenatore Čestmír Vycpálek durante la militanza nella Juventus, andando a formare un valido trio di centrocampisti offensivi con Franco Causio e Antonello Cuccureddu.

Carriera

Club

Augusta e Bologna

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Haller con la maglia scudettata del Bologna nell'annata 1964-1965

 

Iniziò la carriera nelle giovanili dell'Augusta, la squadra della sua città natale, e approdò in prima squadra nel 1957; vi restò per cinque anni, fino al 1962, quando venne segnalato al Bologna dall'ex calciatore rossoblù Raffaele Sansone; fu lo stesso presidente felsineo Renato Dall'Ara a recarsi nell'allora Germania Ovest per portare a termine le trattative, avendolo ritenuto più completo di Omar Sívori: «Vale tre volte Sívori, perché Sívori ha il sinistro, Haller ha due piedi. E poi ha un presidente come me». Il suo acquistò costò 750.000 marchi.

Si rivelò utile al gioco offensivo dell'allenatore Bernardini per la bravura nel lavoro di rifinitura per gli attaccanti, l'italiano Ezio Pascutti e il danese Harald Nielsen; questo ultimo, durante la militanza in rossoblù, vinse per due stagioni consecutive (1962-1963 e 1963-1964) il titolo di capocannoniere. In sei anni passati nelle file della società petroniana disputò quasi 200 partite, mettendo a segno 48 gol; nel 1964 il Bologna vinse allo spareggio contro l'Inter il suo primo e unico scudetto del secondo dopoguerra, cui Haller contribuì con 7 reti. Negli anni successivi il Bologna declinò e, in particolare, l'intesa tra il tedesco e Nielsen venne meno, anche a causa di contrasti personali tra i due.

Juventus e ritorno all'Augusta

220px-Serie_A_1969-70_-_Roma_vs_Juventus
 
Da sinistra: gli juventini Salvadore, Leonardi, Haller e Anastasi escono dal campo al termine della vittoriosa trasferta di Roma del 28 dicembre 1969 (3-0)

 

Nel 1968 passò alla Juventus, nell'ambito di un'ambiziosa campagna acquisti voluta dal presidente bianconero Vittore Catella; da regista offensivo, a Torino dedicò il suo lavoro di rifinitura a Pietro Anastasi e Roberto Bettega. Con la squadra piemontese vinse altri due scudetti (1972 e 1973) e disputò le finali di Coppa delle Fiere, persa nel 1971 col Leeds Utd per la regola dei gol in trasferta, e di Coppa dei Campioni, persa nel 1973 contro l'Ajax di Johan Cruijff, nella quale il tedesco subentrò a Bettega al 49'. Al termine della stagione fece ritorno in patria.

Ripartì così dall'Augusta restandovi fino al ritiro, avvenuto nel 1979, fatta eccezione per una piccola parentesi con lo Schwenningen tra il 1976 e il 1978.

Nazionale

Fece il suo debutto internazionale con la Germania Ovest a 19 anni, nel 1958. Quattro anni dopo prese parte al suo primo Mondiale, quello di Cile 1962; la nazionale tedesca passò il girone battendo i rivali dell'Italia, i padroni di casa del Cile e la Svizzera, ma venne eliminata ai quarti di finale dalla Jugoslavia.

Quattro anni dopo la Germania Ovest, con un centrocampo formato da Haller, Wolfgang Overath e Franz Beckenbauer, si presentò al Mondiale di Inghilterra 1966 dove riuscì a raggiungere la finale contro i padroni di casa dell'Inghilterra; la partita terminò 4-2 per gli inglesi, ma Haller segnò la prima rete dell'incontro e, con i suoi sei gol totali, arrivò secondo nella classifica marcatori dietro al portoghese Eusébio.

Venne convocato anche per i Mondiali di Messico 1970, ma a causa di problemi fisici giocò solo la partita del primo turno contro il Marocco, dove venne sostituito da Jürgen Grabowski; la Germania Ovest concluse quell'edizione del torneo al terzo posto.

In totale ha giocato 33 partite in nazionale, segnando 13 reti.

 

Palmarès

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Marchetti, Morini, Haller e Anastasi festeggiano la vittoria della Juventus nel campionato 1972-1973

Club

 

 

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1737939641_juventus1931.jpg.7e25e6cda3da75543823642af57ef96c.jpg HELMUT HALLER

 

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Nato ad Augsburg, in Germania, nel 1939, dopo una lunga e onorata carriera nel Bologna, oramai grassottello e appagato, si trasferisce alla Juventus nel 1968, convinto di poter terminare la sua carriera in pace e tranquillità. A Torino, trova il Ginnasiarca Heriberto Herrera, che lo torchia come un’oliva e lo restituisce alla più invidiabile delle condizioni fisiche. Comincia, così, una nuova vita da attaccante di fascia al servizio di una squadra giovanissima che trascina, con la sua classe e l’innegabile mestiere, alla conquista di grandi successi; addirittura, ritorna in Nazionale per i Mondiali del Messico del 1970, dopo essere stato protagonista assoluto ai Mondiali inglesi del 1966, portando la Germania in finale.
Lo scudetto del 1971-72, conquistato senza Bettega, lo vede grande protagonista, offrendo scampoli di grande classe: suo il goal che, all’indomani del derby perso, sconfigge il Varese e rida speranza all’ambiente juventino. Sua, ancora, la rete che sblocca il risultato nel giorno più bello, quello che permette di festeggiare lo scudetto, contro il Vicenza.
Haller è un tipo strano, molto simpatico: al primo posto dei suoi pensieri c’è il divertimento, è sempre a caccia della buona cucina, del buon bere e della risata sopraffina. Quando decide di giocare, in campo vola, unendo la forza tedesca alla classe brasiliana, accarezzando il pallone con perfezione a ogni tocco, dribblando, concludendo a rete oppure fornendo l’assist vincente al compagno meglio piazzato. Vycpálek, spesso, chiude entrambi gli occhi sulla vita non propriamente da professionista del tedesco. Scappatelle che costringono i dirigenti bianconeri a prendere, nei suoi confronti, provvedimenti anche severi e che vengono anche duramente censurate dalla moglie, la terribile signora Waltraud che lo gestiva come procuratrice. Cercava sempre di fare gli interessi del suo eterno ragazzo e, se qualche volta Helmut non riceveva giudizi lusinghieri dalla stampa, prendeva il telefono e, con un tono che non ammetteva repliche, caricava di insulti il giornalista che si era permesso di censurare il marito.
E una volta, una di queste fughe gli costò molto cara. Era stato il migliore in assoluto nella Juve-baby battuta 2-1 sul campo del Wolverhampton, il 22 marzo 1972; su rigore, aveva trasformato il punto della bandiera. Poiché la qualificazione era già stata compromessa con l’1-1 dell’andata, Vycpálek aveva tenuto a riposo alcuni titolari, pensando al derby in programma la domenica successiva, sfida importantissima per la corsa allo scudetto. Per non mandare allo sbaraglio giovani come Piloni, Longobucco, Viola, Novellini e Savoldi II, l’allenatore aveva chiesto a Helmut di sacrificarsi in questo impegno internazionale di metà settimana. Haller fu ligio al dovere, fornendo una grande prestazione e strappando applausi agli stessi fan dei Wolves. Ritenendo di esserselo meritato, dopo cena chiese di fare un salto fuori albergo; richiesta bocciata, sia dal tecnico sia dai dirigenti.
Con la complicità di italiani residenti in Inghilterra, Haller preparò la fuga di soppiatto; ma Vycpálek e il Direttore Generale Giuliano vigilavano e lo sorpresero al night, con una coppa di champagne in mano. Il tedesco fu messo fuori rosa. Boniperti spiegò: «Haller ha sbagliato e deve pagare; so i rischi che correremo nel derby, ma debbo dare un esempio ai giovani che sono su questo aereo».
Sarebbe entrato di diritto nel Gotha dei grandissimi, se solo si fosse concesso qualche sacrificio in più. Nel 1999 è stato eletto centrocampista tedesco del secolo, a testimonianza della sua grande classe.
Aveva una visione di gioco totale ed era portato a deliziare il pubblico con autentiche magie; ai compagni che gli chiedevano il pallone, Helmut Haller replicava: «Tu non chiama. Io vedo e ti dà».
Lascia nel 1973 dopo aver contribuito a due scudetti e aver totalizzato 170 presenze e 32 reti.

GIANNI GIACONE, “HURRÀ JUVENTUS” LUGLIO 1974
Sarebbe stato facile scriverne un anno fa, di questi tempi. Sarebbe stato facile, ma forse si sarebbe corso il rischio di lasciarsi influenzare da ricordi troppo vivi. Helmut Haller che dopo la finale di Coppa Italia a Roma contro il Milan, saluta e se ne torna nella sua Germania, è per la verità difficile da scordare anche adesso, men che mai adesso. Questione di personalità del soggetto, non certamente di romanticherie italiote: forse che in Germania, dopo dieci anni buoni di assenza, gli stuoli di suoi fan lo avevano dimenticato?
Ma è un preambolo assurdamente lungo e pretenzioso, questo, che vuole in fondo soltanto introdurre l’Haller juventino, e non già spiegare il complessissimo personaggio, gran fuoriclasse della “pelota” e strambissimo esemplare di vichingo quale mai si era visto dalle nostre parti.
Haller è juventino per cinque stagioni e sono tantissime, se si pensa che arriva quasi trentenne e quasi per caso. Non segna l’avvento di un ciclo, per il semplice fatto che di cicli bianconeri ne vede sorgere almeno tre, e non tutti lieti e trionfanti. Così come per nulla regolare e costante è il rendimento suo: gli umori di un fuoriclasse sono passeggeri, è risaputo, c’era Sivori il Cabezon che aveva giornate nerissime in stagioni di luminosa classe, e tornando ancora più indietro negli anni, c’era Cesarini, gran furbacchione nonché ira di dio quando tutto gli girava per il giusto verso, la qual cosa fortunatamente doveva capitargli sovente. Ecco, l’Haller juventino ha antecedenti illustri nei due tipi summenzionati, e dunque non fa che continuare un certo stile, una certa tradizione di “juventinismo” ad alto livello.
Ma come diavolo succede che Haller capiti alla Juve? Quasi per caso, abbiamo detto prima. Il che, naturalmente, non può essere del tutto vero, almeno per chi crede in una certa predestinazione o fatalità degli umani eventi. Con il Bologna che è stato pure protagonista scudettato con un distinto signore di nome Bernardini, Helmut è entrato nel modo giusto tra le cose del nostro campionato.
Mezzala di enormi mezzi tecnici, con due Campionati del Mondo alle spalle alla faccia dei soli ventitré anni, il tedesco ha trasformato la squadra rossoblu in una formazione di primissimo ordine, complici quel delizioso palleggiatore e regista nostrano che si chiama Bulgarelli e un centravanti grosso e virulento, capace però pure di fiorettare nelle aree infuocate con freddezza tutta nordica, Nielsen vale a dire.
Finché tra i tre le cose sono andate lisce, il Bologna ha conosciuto attimi di vera gloria: basterebbe ricordare lo scudetto strappato all’Inter già europea nello spareggio di Roma, per rendere l’idea. Ma piano piano affiorano dissapori, Nielsen cambia aria e non lo ritroveremo più su certi livelli, e nel 1968 tocca a Haller fare fagotto. Un cambiamento d’aria perlomeno esaltante, con la Juve che offre al Bologna ponti d’oro per accaparrarselo. Ma nel contempo, un carico non indifferente di responsabilità.
La Juve 1968-69 vuole lasciarsi dietro certi atteggiamenti di mediocrità tecnica e di modestia nei risultati, puntando a un rilancio immediato e in grande stile: Haller non è il solo arrivo importante, c’è Anastasi fresco di Nazionale e di titolo europeo e ci sono altri ancora a garantire un campionato di prim’ordine. Riuscirà Haller a non deludere le attese, e cioè a essere veramente Haller? Intanto, le premesse sono incoraggianti, con prestazioni rodomontesche in Coppa Italia, tanto che la gente di parte juventina si domanda chi mai potrà fermare quella Juve nuovamente fatta di super assi.
Ma presto qualcosa comincia a non funzionare a dovere, Anastasi è troppo solo, il centrocampo non lega, Haller si concede lussuose divagazioni di sottile arte pedatoria, ma pure arranca e sbuffa, e tiene la panza di chi si sente oramai divo arrivato. Non va, e il pubblico si spazientisce.
Tecnicamente, nessun mette in discussione Helmut, che difatti risolve da par suo partite importanti; ma il tedesco patisce una strana involuzione tecnica che lo porta a giocare in zone ibride, a estraniarsi dal contesto della manovra, a non giocare insomma per la squadra. L’apporto di Haller, alla sua prima stagione in bianconero è fatto di sporadici ancorché imperiosi guizzi di estro: 10 novembre 1968, per esempio, sconfitta interna con il Cagliari di Riva e Boninsegna con prodezza di Helmut che apre le marcature alla sua maniera.
O ancor meglio, 4 maggio 1969: Juve-Inter grandi deluse si affrontano al Comunale e vince la Juve, perché a un certo punto il suo strambo tedesco decide che deve fare goal, e non c’è neroazzurro che possa impedirglielo. Appena sette giorni dopo la prodezza, ecco subito il tonfo: Juve-Fiorentina 0-2, è il secondo scudetto dei viola, Haller nella ripresa letteralmente non tocca palla, il suo guardiano Esposito fa il bello e il cattivo tempo.
Tra l’Haller deludente del 1968-69 e quello incontenibile dell’inverno e della primavera successiva, capace di riprendersi il posto nella Nazionale tedesca per i Mondiali messicani, c’è di mezzo l’ennesima contraddizione tecnica. Il 1969-70 è cominciato con in panchina uno strano e attempato signore argentino, Carniglia si chiama costui, che ha idee assai personali sul conto del rodomonte e cerca di applicarle anche in casa juventina.
Dunque, dice questo signore a Haller e a Bob Vieri il “sivoreggiante”, di fresco arrivo, la classe è tutto, e chi ne ha da vendere (come per l’appunto i due “professionial” summenzionati) è a posto, non è indispensabile sacrificarsi per servire alla squadra. Perbacco, ma allora Del Sol il vecchio sivigliano e Furino già detto Furia stanno sbagliando tutto, a galoppare perpetuamente su e giù per il rettangolo di gioco!
Eppure, i risultati danno inequivocabilmente ragione a questi ultimi e torto al Mister. Haller e Vieri recitano a soggetto, qualche volta davvero bene, ma intanto la manovra ristagna e il centrocampo juventino deve chiedere sempre più apporto dinamico ai cursori, visto che gli artisti si rendono irreperibili in fase di interdizione. Dopo la doppia sconfitta con Torino e Vicenza, la situazione precipita e Carniglia lascia il posto a Rabitti. Tutti ricordano la stupefacente metamorfosi della squadra nel giro di un paio di settimane.
Ma che cosa avrà mai portato di nuovo o di diverso la nuova conduzione tecnica? Pochissimo: un ritocco di numeri e compiti tattici. Haller è il principale interessato, naturalmente. Nessuno si sogna di rinunciare al suo elevatissimo tasso di classe e men che mai Rabitti. Si tratta di incanalarne le genialità al servizio del collettivo. Il tedesco non si sente portato all’interdizione? Ebbene, giocherà di punta, come appoggio al centravanti Anastasi.
Con il sette sulle spalle, Helmut può finalmente spaziare a suo piacimento senza creare scompensi dietro. È naturale che le cose vadano subito meglio. Otto vittorie consecutive, record eguagliato, prestazioni ad altissimo livello di una squadra che ha nel tedesco il suo asso nella manica. Partita capolavoro all’Olimpico contro la Roma (3-0) con goal da antologia, e poi tanti altri episodi degni di essere ricordati.
Basta ricordare questo: 29 marzo, Juve-Milan 3-0, è una delle più limpide affermazioni della squadra bianconera. Sul 2-0, Helmut conquista la palla nella sua metà campo, allarga sulla fascia sinistra e semina uno dopo gli altri quattro difensori, per poi crossare al millimetro per l’accorrente Leonardi che sbatte dentro. È un’azione da ala vecchia maniera, Præst non avrebbe saputo fare di meglio. Resta solo il rammarico di uno scudetto compromesso dalla disastrosa partenza.
L’anno dopo, 1970-71, vede una Juve tutta nuova, ricostruita da cima a fondo con l’arrivo di giovani talenti in gran copia. In questa squadra rinnovata, Haller è più che mai punto di riferimento, pedina chiave. Si capisce che certi traguardi non si possono raggiungere subito, ma le premesse sono a dir poco incoraggianti. Se nel campionato c’è qualche battuta a vuoto di troppo, è però vero che in campo internazionale la giovane Juve si fa rispettare, portando in giro per l’Europa un gioco d’assieme di primissimo ordine.
Le mansioni di Haller non sono cambiate che marginalmente: adesso, sulla fascia destra, si è formato un tandem nuovo di zecca, con il tedesco all’estrema e Causio interno, e i due dimostrano di intendersi alla perfezione. La stagione si chiude con le esaltanti e sfortunate imprese in Coppa delle Fiere: a Colonia, nelle semifinali, forse la migliore partita della stagione per Haller, che anche a Leeds fornisce un saggio, della sua classe, per di più correndo non poco dietro ai forsennati inglesi.
Il tempo vola e il meglio deve ancora venire. È la stagione successiva, 1971-72, a dare le soddisfazioni più consistenti alla squadra e, nello stesso tempo, a fornire la miglior versione del tedesco bianconero.
Anzi, Haller è in pratica il protagonista, in tutti i sensi, della stagione del quattordicesimo scudetto. Il cliché del rodomonte non potrebbe forse trovare espressione migliore che in quest’occasione. Un girone di andata esemplare, a livello mondiale, con partite capolavoro, come quelle interne con il Napoli e con la Fiorentina, o la trasferta trionfale di San Siro contro il Milan. Poi, qualche intoppo, viene a mancare Bettega e la squadra risente non poco della mezza rivoluzione tattica che la sua sostituzione impone di compiere. E c’è l’episodio di Wolverhampton, chi non ricorda il particolare, giusto alla vigilia di un decisivo derby, con Haller al centro della polemica, e che alla fine deve pagare.
E non giocherà con il Toro. Cesarini, poi Sivori, poi Haller: come si fa a non tentare l’accostamento? Cambiano soltanto i contorni, nel senso che adesso il rodomonte è pur anche e prima di tutto “professional”, cui non gli si può perdonare la scappatella in nome della classe cristallina. Il Toro batte la Juve priva del suo tedesco mattacchione e la gente mugugna, lo scudetto torna in discussione.
Ma no, non si getta alle ortiche una stagione così ben impostata: Haller rientra dopo l’assenza punizione e si prende una personale rivincita, da campione, battendo da solo il Varese in una giornata di grigiore generale per i compagni. E sul rettilineo d’arrivo, la sua classe risolve le ultime ansie bianconere: battuto il Cagliari con prestazione memorabile, battuto il Vicenza nell’ultimo assalto con rete capolavoro doppiamente importante perché rompighiaccio nel giorno della grande speranza e della grande paura di non farcela.
Siamo agli sgoccioli: la quinta stagione di Helmut bianconero conosce ancora momenti esaltanti tanto in campionato che in Coppa Campioni: ma è superfluo ricordare, tanto sono vicini alla memoria e al cuore del tifoso. Lascia la Juve e il calcio italiano, ma nessuno si stupisce nel leggere che, nella sua Augsburg, faccia ancora parlare di sé con entusiasmo le cronache calcistiche. Haller è un campione senza eguali, un rodomonte. E i rodomonti, si sa, non hanno età.

VLADIMIRO CAMINITI
Rappresentava il di più, come lo era stato Sivori, e più ancora di Sivori, se ci è consentito, a tutto campo, almeno quando la musa lo ispirava. Quale fosse questa musa, non è dato dubitare; si è saputo che, smesso di giocare, Helmut il giocoso, Helmut il fanciullone, Helmut il biondone rubizzo portato a divertirsi sempre e dovunque, tedesco ma di più wagneriano, strapazzato dagli agi ma di più dalla sua Santippe personale, la possessiva magrissima sanissima amministratrice Waltraud, ha voltato pagina. Ha cioè smesso di fare sacrifici e per prima cosa si è separato dalla sua Santippe. Verosimilmente la moglie ne sopportava le divagazioni extraconiugali quando erano giustificate dalle occasioni offerte dai continui viaggi sul cocuzzolo del mondo.
Una volta, Furino mi disse: «La squadra respirava e acquistava armonia, è stato con lui il nostro periodo più bello anche dal punto di vista perfettamente tecnico. Ricordo quella partita di Milano (31 ottobre 1971) con Rocco disperato, costretto a cambiargli sempre marcatura, fare delle cose eccezionali a profitto di tutti, che è il modo vero e assoluto di essere fuoriclasse».
Haller aveva nel gioco un portamento tecnico-atletico trascendentale, in grado di ispirare dalle fasce l’azione con traversoni passanti di rara euclidea precisione e di far tutto con due piedi divini, dribblando l’avversario nel senso dell’anticipo e della velocità di base, né più mai vedrò giocare di prima intenzione verticalizzando come lui.
Allenava la Juventus, nei giorni in cui vi approdava Haller, per dotare finalmente la squadra di classe pura, il paraguaiano Heriberto Herrera; come tipo umano, come persona, tutto l’opposto di Helmuttone, quindi un disperato compare tutto ossa, dalle lunghe mani nodose e dagli occhietti neri cavallini. Helmuttone era grasso, troppo grasso. Le mani terribili di Heriberto lo torchiano e gli ridanno credibilità atletica. Però, non può bastare da solo, e Rabitti, subentrato a Carniglia, se ne accorge, bisogna riedificare la squadra e innestarvi il nuovo Haller così che risulti determinante.
Ci vuol il beato e bonario Cesto Vycpálek perché la Juventus cominci a vincere; lo ha detto Furino, l’ordito della manovra si realizza in modo perfetto soltanto quando Haller è ispirato. Non capita spesso; ne sa una più del diavolo; nelle trasferte di Coppa, quando gli salta il ticchio, lascia la comitiva e si infila al tabarin; senza sapere che con Boniperti è proprio cambiato il mondo; e puntualmente la paga.
Nelle giornate di vena accarezzava il pallone sprigionando perfezione in ogni impatto e ogni tocco, eseguire un disimpegno o un passaggio, laterale o frontale, indispensabile. Era tutto uno svolazzo senza esserlo in nulla. Si può dire che somigliasse all’acuto del tenore, quando tremano tutti i cristalli dei lampadari; all’assolo di Pavarotti.

ANGELO CAROLI, DAL SUO LIBRO “HO CONOSCIUTO LA SIGNORA”
Haller era alla sua penultima stagione juventina, era grandissimo, ma non sempre. Faceva leva sulla straripante vitalità di Causio, per concedersi pause che spiegano la lunga carriera. Il suo astro aveva cominciato a brillare ai Mondiali cileni, nel 1962. In Coppa Uefa i bianconeri non fecero troppa strada, con il Wolverhampton caddero al ritorno in Inghilterra, dove Helmut fu al centro di un curioso episodio di vita notturna.
Quando all’ora della ritirata i bianconeri spensero le luci o si dedicarono alle letture, il fantasista tedesco uscì dalla stanza e se ne andò in giro, in compagnia di vecchi amici che aveva incontrato in Inghilterra. Cesto, placido come un monumento, volle dare un ultimo controllo ai suoi ragazzi. Appena vide il letto di Helmut vuoto, fu come scosso da un terremoto. Chiamò il dottor Giuliano. Pietro stava leggendo un libro giallo e fu sorpreso dall’irruzione inconsueta. Si vestì in fretta, si infilò con Cestmír in un taxi.
Dopo un quarto d’ora trovarono il night galeotto. Wolverhampton è una città piccola. Quando misero il naso dentro il locale, Vycpálek e Giuliano videro subito Haller. Era seduto con amici italiani, in mezzo ad una nuvola grigia di fumo e l’aroma inconfondibile del whisky. Helmut si accorse del tecnico e del dirigente, sorrise, non gli restava altro da fare, si alzò, salì sempre in silenzio sul taxi prenotato da Vycpálek e da Giuliano e rientrò con loro in albergo.
In Italia mi raccontò l’episodio, parlava e rideva era un picaro stravagante, con la risata a raffica sapeva farsi perdonare. La spiegazione di Helmut riportò il buon umore in Cestmír, il quale però propose il tedesco per una multa. Boniperti non si fece pregare due volte. Vincere e incassare erano, per lui, due hobby irrinunciabili.
Helmut era un tedesco fuori dagli schemi, aveva sempre voglia di parlare se la luna non gli andava di traverso, magari per ragioni banali ma, per lui, importantissime. Quando instaurava il black-out non c’era verso di cavargli una parola. Nei periodi di eclissi, lasciava che la bella moglie Waltraud rispondesse al telefono: «Helmut non parla!»
E riattaccava rumorosamente la cornetta, dopo aver salutato con tono molto scortese. Passavano ventiquattro ore e il sorriso tornava a splendere sul volto di tedesco nato ad Augsburg, città vicino a Monaco, ma che aveva le caratteristiche di un latino sfaccendato.

GIANFRANCO CIVOLANI, “GS” DICEMBRE 2012
Primavera del sessantadue. Il presidente del Bologna Renato Dall’Ara si innamora follemente di quel tedesco che nelle varie amichevoli pre Mondiali (i Mondiali cileni) fa sfracelli a tutto campo. Dall’Ara non ci pensa tanto. Invia il fido Raffaele Sansone, già campione del Bologna negli anni Trenta, a proporre a Haller (che vive ad Augsburg, in Baviera, e gioca lì) un precontratto al quale non si può proprio dire di no. E nel mese di maggio. Dall’Ara decide: si va a casa di Aler (Dall’Ara non sapeva aspirare l’acca e dimezzava le elle) per farlo firmare. «E ci vado proprio io di persona», dice.
Dall’Ara parte in Mercedes con l’autista, fa firmare a Haller tanto di contratto pluriennale, ma nel viaggio di ritorno l’auto si rovescia in un fosso e l’autista è disperato. Dall’Ara ha settant’anni ed è rotolato tra le erbacce. Sorpresa: il presidente rossoblu emerge dalla melma e urla: «Io sto benissimo e il contratto di Aler è salvo».
Ho seguito la carriera di questo tedesco funambolico e fracassone, diciamo pure un fantasista anarchico e spesso incontenibile fin da quando è arrivato a Bologna, luglio di quello stesso anno. Lui mi chiamava «giornalista di ciornale di Torino» perché io scrivevo per “Tuttosport” e chiaramente non mi considerava proprio uno di famiglia. Ma com’era possibile non fraternizzare con uno così? Napoletano di Baviera, scrivevamo e scrivevano tutti. Napoletano di giorno e di notte quando si concedeva qualche scappatella per sfuggire alle grinfie della terribile moglie Waltraud, una leggiadra signora che odiava tutti i giornalisti che non stravedevano per il suo augusto marito, una bollente e ruggente signora che a una giornalista bolognese diceva sempre: «Tu tifi per Nielsen, tu non vuoi bene a Helmut, tu p*****a».
L’uomo era un po’ così, madornale nel bene e nel meno bene, ma il calciatore era sublime, il miglior straniero arrivato a Bologna negli ultimi settant’anni, una delizia degli occhi e del cuore per chi lo ha visto giocare, ma giocare come e dove? Come e dove gli pareva perché il grande Fulvio Bernardini gli diceva solamente: «Lei giochi come sa».
Uno scudetto a Bologna, due alla Juve, tre Mondiali disputati con la sua Germania e vicecapocannoniere (nientepopodimeno dietro al grande Eusébio) ai Mondiali d’Inghilterra. E poi quella storia della feroce inimicizia con il danese Nielsen. Erano nati e sputati per giocare insieme, la fantasia al potere e il cinismo del bomberissimo. Ma una sera Haller con un giornalista (ebbene sì, con me) si sfogò contro il danese, io riportai pari pari e per un po’ di tempo scoppiò una tempesta che coinvolse metà squadra (l’allenatore Bernardini e Janich con il danese, Bulgarelli e Perani con il tedesco e Pascutti solissimo con i suoi pensieri e sentieri) prima di riconciliarsi la sera di quel magico settimo scudetto a Roma e di ridiventare amici quando si ritrovavano con i capelli bianchi per qualche allegra rimpatriata.
Helmut Haller detto il Panzer arrivò a Bologna nel mese di luglio e tre mesi dopo Bernardini annunciò urbi et orbi che quel suo Bologna giocava «come si gioca in Paradiso». E adesso in Paradiso o lì nei dintorni ci stanno Giacomo Bulgarelli e il Panzer, là seduti nel trespolo a guardare qui da noi cose più terrene e più tristi.
Chi fu Helmut Haller? Uno così, a Bologna, io non l’ho mai più visto.

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2012/07/helmut-haller.html

Modificato da Socrates

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