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Giovanni Ferrari - Calciatore E Allenatore

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Grande Ferrari @@

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944995553_juventus1931.jpg.0899c5e114dece030377747a9875623b.jpg GIOVANNI FERRARI

 

FERRARI Giovanni: l'uomo-scudetto | Storie di Calcio

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Ferrari

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Alessandria
Data di nascita: 06.12.1907

Luogo di morte: Milano

Data di morte: 02.12.1982
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 172 cm
Peso: 70 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Gioanin

 

 

Alla Juventus dal 1930 al 1935 e 1941-1942

Esordio: 28.09.1930 - Serie A - Juventus-Pro Patria 4-1

Ultima partita: 08.02.1942 - Coppa Italia - Juventus-Padova 1-0

 

193 presenze - 79 reti

 

5 scudetti

1 coppa Italia

 

 

Campione del mondo 1934 e 1938 con la nazionale italiana

 

Allenatore della Juventus dal 1941 al 1942

 

16 panchine - 7 vittorie - 4 pareggi - 5 sconfitte

 

 

 

Giovanni Ferrari (Alessandria, 6 dicembre 1907  Milano, 2 dicembre 1982) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo mezzala.

 

Annoverato tra i migliori giocatori della sua generazione (Carlo Felice Chiesa lo ha definito «una della più complete mezzali sinistre della storia») e considerato come il prototipo dell'interno sinistro nel Metodo, è uno dei calciatori italiani più vincenti, potendo vantare nel palmarès personale due Coppe del Mondo e una Coppa Internazionale conquistate negli anni 1930 con la nazionale di Vittorio Pozzo, e otto campionati nazionali, di cui cinque consecutivi con la Juventus.

 

È uno dei sei calciatori italiani (con Filippo Cavalli, Sergio Gori, Pierino Fanna, Aldo Serena e Attilio Lombardo) che sono riusciti a vincere lo scudetto in tre diverse squadre, nel suo caso con Juventus, Ambrosiana-Inter e Bologna. È inoltre l'unico atleta, assieme a Cesare Maldini, ad aver partecipato al mondiale sia nelle vesti di giocatore che in quelle di allenatore della nazionale azzurra.

 

Giovanni Ferrari
Giovanni Ferrari Juventus.jpg
Ferrari alla Juventus nei primi anni 1930
     
Nazionalità   Italia
Altezza 172 cm
Peso 70 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Mezzala
Termine carriera 1942 - giocatore
1962 - allenatore
Carriera
Giovanili
1922-1925   Alessandria
Squadre di club
1923-1925   Alessandria 15 (1)
1925-1926   Internaples 15 (16)
1926-1930   Alessandria 104 (64)
1930-1935   Juventus 187 (78)
1935-1940   Ambrosiana-Inter 108 (24)
1940-1941   Bologna 16 (2)
1941-1942   Juventus 6 (1)
Nazionale
1930-1938   Italia 44 (14)
Carriera da allenatore
1941-1942   Juventus
1942-1943   Ambrosiana-Inter
1944-1945   Pavia
1945   Brescia
1947-1948   Cantonal Neuchâtel
1948-1950   Prato
1950-1951   Padova
1958-1959   Italia
1960-1962   Italia
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Italia 1934
Oro Francia 1938
Transparent.png Coppa Internazionale
Argento 1931-1932
Oro 1933-35

 

Biografia

220px-Casa_natale_di_Giovanni_Ferrari_%2
 
La casa natale di Giovanni Ferrari in via Tripoli, ad Alessandria.

 

Crebbe nel popolare quartiere della Cararola, uno dei più poveri d'Alessandria, che prendeva il nome da un canale di scolo che l'attraversava; sin da giovanissimo mostrò interesse per il pallone, tanto che dichiarò: «la "passionaccia" per il gioco del calcio è entrata in me non appena sono stato capace di camminare». Precoce talento, diventò popolare tra i giovani della città e attirò l'interesse della squadra cittadina, da cui venne tesserato nel 1921; in quel momento lavorava come aiuto-commesso in un negozio di tessuti.

 

Convinse subito l'allenatore Carlo Carcano, che seguì in varie squadre tra gli anni 1920 e 1930; fu tra gli uomini-simbolo della Juventus del Quinquennio d'oro e della nazionale italiana di Vittorio Pozzo. Smise di giocare nel 1942, per dedicarsi all'allenamento, attività nella quale non eguagliò gli stessi risultati conseguiti da calciatore.

 

Fu per lungo tempo istruttore presso il Centro Tecnico Federale di Coverciano, rivestendo peraltro assieme a Paolo Mazza il ruolo di commissario tecnico dell'Italia durante il campionato del mondo 1962.

 

Tra le sue ultime apparizioni pubbliche vi fu la sfilata al Camp Nou di Barcellona, nella cerimonia inaugurale del campionato del mondo 1982; nell'occasione volle portare con sé la prima tessera della Federazione, datata 1921. Morì pochi mesi dopo all'ospedale San Carlo Borromeo di Milano per un collasso cardiocircolatorio, conseguenza di un'emorragia esofagea e gastrica che lo aveva colpito alcuni giorni prima; lasciò la moglie e una figlia. Gli sono stati intitolati il campo sportivo di via Alessandro Tonso, ad Alessandria, e l'Aula Magna del Centro Tecnico di Coverciano.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

Ettore Berra considerava Ferrari un modello per gli attaccanti della sua epoca; scrisse su Il Calcio Illustrato nel 1938: «è non solo il miglior giuocatore della sua generazione, ma è l'uomo che insegna a tutti come si giuochi per la squadra e non solo per il proprio tornaconto, come s'inizi un'azione, come ci si comporta negli sviluppi di quest'azione. Si può dire che tale ruolo è, dal punto di vista tecnico una creazione sua. Prima di Ferrari, il mezzo-sinistro era un giuocatore qualunque [...]. Quando darà un addio allo sport porterà con sé il segreto del suo giuoco. Nessuno finora l'ha eguagliato, nessuno lo vale». Nello stesso anno, l'ex-calciatore e giornalista francese Lucien Gamblin lo definì su L'Auto «probabilmente il miglior calciatore italiano da dieci anni a questa parte [...]. Degno successore di Baloncieri, stratega notevole e fine tecnico, il cui giuoco resta sobrio e impersonale [...]», concludendo «nessuno sa meglio di lui iniziare o condurre un attacco nelle migliori condizioni, e, se il suo tiro a rete non ha niente di speciale come potenza, non pecca certo di imprecisione».

 

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Il gol-scudetto di Ferrari alla Fiorentina il 2 giugno 1935, che permise alla Juventus di stabilire il suo Quinquennio d'oro.

 

Il paragone con Baloncieri, altro prodotto della «scuola alessandrina» fu approfondito da Gianni Brera: «normotipo di larga cassetta e solide gambe, è di gran lunga il più specializzato e dotato dei centrocampisti italiani. Non ha la nevrile eleganza di Baloncieri, ma lo supera per fondo atletico e impegno. Possiede minor senso del gol, ma è largamente più assiduo nei recuperi difensivi [...]. È il tipico mediano di spola: dove arriva lui, l'equilibrio di squadra è assicurato». Angelo Rovelli lo descrisse come «calciatore solido, pragmatico, lineare [...], stantuffo di centrocampo ma pure abile nel puntare a rete».

 

Agli esordi ebbe compiti offensivi che, a partire dal passaggio alla Juventus (1930) andarono limitandosi: in nazionale, date le presenze di Schiavio e di Piola come centravanti, Vittorio Pozzo gli affiancò Meazza per creare «una coppia costruttrice di giuoco, come poche altre in Europa». Le doti di regista di Ferrari furono evidenziate da Antonio Ghirelli: «giuocatore d'una tecnica sobria, poco portato ad osare, costruiva la partita un'azione sull'altra [...], le imbeccate pronte per tutti, gli occhi attenti a mirare l'ostacolo e a valutare una situazione tattica, un metodico che sembrava avesse un misterioso senso del ritmo».

 

Calciatore disciplinato e corretto, nel 1931 ricevette un encomio dalla dirigenza della Juventus per non aver reagito, durante una gara di campionato, allo schiaffo di un avversario.

Allenatore

Fautore di un gioco offensivo, Ferrari era ricordato da Enzo Bearzot come «un buon maestro»; infatti, pur non raccogliendo particolari successi nell'allenamento, fu a lungo istruttore dei corsi per allenatori del centro tecnico di Coverciano. Raccontò Fino Fini: «Giovanni era fatto per insegnare [...]. Ricordo il primo corso per allenatori. Spiegava la tecnica e agli esami era severo».

Carriera

Giocatore

Club

L'Alessandria e la parentesi a Napoli
220px-Alessandria_Calcio_-_Div._Nazional
 
Ferrari (in prima fila, secondo da destra) nell'Alessandria della stagione 1927-1928.

 

Entrò nelle giovanili dell'Alessandria nel 1921, a quattordici anni non ancora compiuti; tre amici calciatori, Giuseppe Rapetti, Edoardo Avalle e Cinzio Scagliotti, lo segnalarono al giocatore-allenatore Carcano, che ne apprezzò particolarmente il palleggio morbido e sicuro. Poco tempo dopo giocò per la prima volta con la squadra riserve, a Torino, mentre il debutto in prima squadra avvenne il 7 ottobre 1923, a 15 anni e 10 mesi, sul campo della Sampierdarenese (vittoria dei grigi per 2-1). Nelle prime due stagioni giocò saltuariamente, segnando la sua prima rete il 1º febbraio 1925, nel 6-1 al Mantova.

 

Nel 1925 fu segnalato da Carcano, neo-allenatore dell'Internaples, ai dirigenti, che lo acquistarono per 5 000 lire. L'interno fu decisivo nella stagione 1925-1926, in cui l'ancora inesperta squadra campana raggiunse per la prima volta nella sua storia le finali di Lega Sud, poi perse contro l'Alba Audace di Roma.

 

Considerato il successo della coppia, i dirigenti alessandrini, che uscivano da una difficile stagione in cui la squadra aveva rischiato la retrocessione, si convinsero a ingaggiare Carcano come allenatore per la stagione 1926-1927 e a riacquistare il diciottenne Ferrari sborsando 12 000 lire, più del doppio di quando avevano ricavato l'anno prima dalla sua cessione. Lo sforzo economico fu ricompensato da ottime prestazioni in campionato e dalla vittoria dell'Alessandria in Coppa CONI (Ferrari segnò un gol nella finale di ritorno, contro il Casale); a dargli sicurezza durante gli spunti offensivi fu l'innesto di Luigi Bertolini, chiamato da Carcano a coprirgli le spalle in mediana. Parte, scrisse Mario Ferretti, «di quella famosa linea attaccante che fu spauracchio – a quei tempi – d'ogni difesa: Cattaneo, Avalle, Banchero, Ferrari, Chierico», nella stagione 1927-1928 Ferrari segnò 24 reti in 32 gare, sospingendo l'Alessandria verso la vittoria dello scudetto, mancata per questione di pochi punti.

 

Sempre più frequentemente richiesto da grandi squadre, nel 1929 Ferrari rimase all'Alessandria poiché questa, non potendogli offrire un ingaggio migliore, scelse di promettergli la cessione gratuita per l'anno successivo, a patto di rimanere ancora per un campionato. Il torneo 1929-1930 fu positivo per il club e grazie alla prolificità dell'interno, che segnò 19 reti e nel corso della stagione debuttò in nazionale, si mantenne a lungo al vertice della classifica, per poi cedere posizioni nel corso del girone di ritorno. A quel punto la società fece un estremo tentativo per non svincolare il giocatore, escludendolo dai titolari delle ultime gare per scarso impegno e sperando così di poter venir meno ai patti; Ferrari giocò la sua ultima partita in maglia cinerina il 1º giugno 1930, a Udine (Triestina-Alessandria 1-0); è a oggi il terzo marcatore nella storia dell'Alessandria.

La Juventus del Quinquennio
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Ferrari (secondo da destra) con la Juve del Quinquennio nella stagione 1933-1934.

 

Ferrari fu espressamente richiesto alla Juventus da Carcano, nel momento in cui fu offerta a questi la guida della prima squadra; essendo a conoscenza degli accordi tra il calciatore e l'Alessandria, era cosciente che il suo ingaggio per la società non avrebbe rappresentato un pesante esborso. Ferrari ne ebbe 22 000 lire annue più bonus.

 

Alla Juventus, dove già erano presenti centravanti prolifici (Vecchina e poi Borel) Carcano poté sfruttare le doti di manovra di Ferrari, che andò dunque a infoltire il roccioso centrocampo della squadra fungendo da «motore». Il calciatore stesso, negli anni della maturità, raccontò: «I cannonieri c'erano già, non era necessario avvicinarsi troppo all'area. Piuttosto, bisognava servire le ali, specie Orsi, perché Cesarini si dimenticava troppo spesso di farlo».

 

Con i bianconeri vinse cinque scudetti in altrettante stagioni e fu, in tutti i cinque campionati, il secondo cannoniere della squadra, malgrado la riduzione degli obblighi d'attacco; disputò 160 partite su 166. Particolarmente importante fu la rete segnata all'81' di Fiorentina-Juventus del 2 giugno 1935 che, in virtù della contemporanea sconfitta dell'Ambrosiana-Inter sul campo della Lazio, assegnò lo scudetto ai bianconeri. Fu quella anche l'ultima gara di Ferrari con la Juventus; alla fine dell'anno fu inserito in lista di trasferimento.

Il passaggio all'Ambrosiana-Inter

Nel 1935 l'improvvisa morte di Edoardo Agnelli portò novità dirigenziali in seno alla società bianconera. Questa optò per una politica d'austerità, e quando a Ferrari fu negato un lieve aumento di stipendio, questi, che già aveva assistito all'allontanamento del mentore Carcano nel corso della stagione precedente, scelse di cambiare squadra. Rifiutò le offerte della Lazio prefendo quelle dell'Ambrosiana-Inter, determinata a ricomporre l'accoppiata con Meazza già vista in nazionale.

 

220px-Inter_1937-38.jpg
 
Ferrari (in piedi, terzo da destra) nell'Ambrosiana-Inter campione d'Italia 1937-1938.

 

Durante quest'esperienza, Ferrari diede prova di «magistero e continuità atletica», dimostrandosi «aduso a giocare allo stesso (sfiancante) ritmo dal primo all'ultimo minuto, impegnato nel lavoro di cucitura al servizio della squadra». Con Ferrari titolare, Meazza si laureò per due volte capocannoniere, e l'Ambrosiana vinse il campionato del 1937-1938, il primo della gestione di Ferdinando Pozzani. Nel 1938 gli giunse una ricca offerta dell'Arsenal; risulta essere questa una delle prime richieste di giocatori stranieri da parte di un club inglese: Ferrari rifiutò (Chiesa scrive che «non se la sentì»).

 

A partire dalla stagione 1938-1939, nonostante la vittoria del precedente campionato e il successo al mondiale francese, Ferrari (così come Meazza, bloccato da un embolo a un piede) fu gradualmente accantonato dal nuovo allenatore nerazzurro Tony Cargnelli, che gli preferiva il giovane Candiani. Nella stagione 1939-1940 Ferrari era ormai relegato tra le riserve, e vinse il suo settimo scudetto personale collezionando appena otto presenze.

Il Bologna dei veterani

All'inizio della stagione 1940-1941 Hermann Felsner, allenatore del Bologna, chiese alla società l'ingaggio di Ferrari, trentatreenne e ormai ai margini nell'Ambrosiana. Lo impiegò alternandolo, a turno e a seconda dello stato di forma, ai due interni della squadra, i trentenni Andreoli e Sansone; il Bologna andò a vincere così, con largo anticipo, il sesto scudetto della sua storia, l'ultimo del ciclo dello «squadrone che tremare il mondo fa».

 

Per Ferrari fu anche l'ottavo e ultimo scudetto in carriera; nella stagione successiva ritornò alla Juventus come calciatore-allenatore. Disputò la sua ultima partita di campionato il 1º febbraio 1942, in Bologna-Juventus 2-0, prima di giocare ancora una volta, la settimana dopo, nel quarto di finale di Coppa Italia vinto per 1-0 contro il Padova.

Nazionale

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Ferrari (sesto da sinistra) nell'Italia campione del mondo 1934

 

Il debutto con l'Italia avvenne a 22 anni, allo stadio del PNF, in Italia-Svizzera 4-2; nella stessa partita debuttò Giuseppe Meazza, che sotto la guida di Vittorio Pozzo andò a formare con Ferrari una celebre coppia di mezzali definita, nel 1938, «il duo più straordinario del mondo». Nell'aprile di quell'anno esordì anche in nazionale B, con cui collezionò 7 reti in 4 presenze.

 

Ferrari giocò cinque partite su sei del vittorioso campionato del mondo 1934 ospitato dall'Italia, segnando una rete nell'ottavo di finale, contro gli Stati Uniti, e un'altra a Zamora, nel quarto contro la Spagna. Il 14 novembre dello stesso anno fu tra i protagonisti della gara contro l'Inghilterra ricordata come "Battaglia di Highbury"; su Lo Sport Fascista scrisse: «Li abbiamo battuti moralmente a casa loro, nel cuore, e siamo stati più che alla pari per tecnica di gioco». Il 13 maggio 1933 era stato il primo italiano a segnare un gol alla nazionale inglese, che ricordò come uno dei momenti più appaganti della sua carriera: «Ho battuto Zamora nel mondiale del 1934 a Firenze, però la maggiore soddisfazione la provai l'anno precedente, a Roma, contro gli inglesi. Erano i maestri. Con un lungo tiro ingannai il portiere Hibbs; peccato che, poco dopo, Bastin abbia ottenuto il pareggio che, tuttavia, ci fece onore. Il mistero sugli inglesi, ritenuti invincibili, incominciò a svelarsi».

 

Soprattutto, Ferrari è ritenuto uno dei calciatori più importanti nella vittoria del campionato del mondo 1938 in Francia. Su Il Calcio Illustrato l'inviato Renzo De Vecchi spiegò che le due mezzali «stavano, generalmente, più arretrate, e talvolta si videro anche sulla linea dei terzini, ciò che invece non si verificò in campo francese, brasiliano e ungherese». L'Auto, uno dei principali giornali sportivi dell'epoca, scrisse: «Ferrari e Meazza, artefici della vittoria per il modo abile, chiaro, intelligente impiegato nella costruzione del gioco offensivo della loro squadra»; il corrispondente di Paris-Soir Jean Eskenazi inserì il mezzo sinistro nella formazione ideale del torneo.

 

Con gli azzurri Ferrari vinse anche la Coppa Internazionale 1933-1935. Disputò l'ultima gara il 4 dicembre 1938, a Napoli, in Italia-Francia 1-0; aveva collezionato 44 presenze (2 da capitano) e 14 reti.

Allenatore

Club

Juventus e Ambrosiana-Inter

Nel 1941-1942 Ferrari fece ritorno alla Juventus dopo sei anni per ricoprire il ruolo di giocatore e allenatore; in quella stagione, spiegò Paolo Facchinetti, «esigenze di rinnovamento» comportarono una «strana campagna acquisti, che vide la cessione fra gli altri di Borel II, di Gabetto e del portiere Bodoira». Ferrari diede le dimissioni dall'incarico dopo quattordici gare, con la squadra quinta, già nettamente distanziata dal gruppo di testa; fu sostituito da Luis Monti, rimanendo in rosa come giocatore. Al termine della stagione la Juventus si aggiudicò la Coppa Italia, l'unica della carriera per Ferrari.

 

Nella stagione successiva si legò invece all'Ambrosiana, reduce da un campionato deludente e dalle dimissioni del presidente Pozzani. La squadra rimase a lungo a contatto con le prime posizioni, per poi cedere nelle battute finali del torneo; durante le partite dell'ultima giornata contro il pericolante Venezia, i giocatori nerazzurri assunsero un atteggiamento passivo e Ferrari scelse di espellere un proprio giocatore, Ubaldo Passalacqua, «per scarso impegno». La Commissione di Controllo della Federazione multò Ferrari per questo gesto, poiché anch'esso avrebbe favorito il Venezia.

La sospensione dei campionati e il dopoguerra
220px-Brescia1946.jpg
 
Ferrari (a sinistra) allenatore del Brescia nella stagione 1945-1946

 

Nel 1944, durante la sospensione dei campionati dovuta all'evolversi della seconda guerra mondiale, Ferrari fu ingaggiato dal Pavia in un'ottica di rafforzamento della squadra voluta dal presidente Giovanni Valsecchi per la partecipazione al Torneo Benefico Lombardo 1944-1945; la squadra chiuse il torneo al terzo posto. Allenò poi il Brescia durante la Divisione Nazionale 1945-1946.

 

Nella stagione 1947-1948 seguì la prima squadra del Cantonal Neuchâtel nella massima serie svizzera; la squadra retrocesse al termine del torneo, ma l'opera di Ferrari, scrisse La Stampa in quell'anno, «fu apprezzata dai dirigenti elvetici».

 

Nella stagione successiva vinse la Serie C 1948-1949 con il Prato; allenò anche il Padova, in A, nel 1950-1951: chiamato a campionato in corso a sostituire Pietro Serantoni, venne sollevato dall'incarico prima del termine della stagione, e rimpiazzato da Frank Soo.

 

Seguì inoltre diverse squadre giovanili (Alessandria, Inter) e fu osservatore per la FIGC, notando tra gli altri Giacomo Losi.

Nazionale

Dal 1950 entrò nei ranghi federali e divenne istruttore tecnico nei corsi per allenatori. Fu dapprima aiutante di campo per la nazionale, poi nel 1958 fu chiamato a sostituire Giuseppe Viani con una commissione tecnica formata dai dirigenti Pino Mocchetti e Vincenzo Biancone. Dopo un breve ritorno di Viani, Ferrari gli subentrò in solitaria, ottenendo la qualificazione al campionato del mondo 1962 in Cile. Sotto la guida dell'ex mezzala, «la massima rappresentativa italiana conobbe tra l'autunno del 1960 e la primavera del 1962 una stagione complessivamente positiva», anche se il gioco offensivo da lui proposto poiché congeniale ai vari oriundi venne criticato dal giornalista Gianni Brera, in particolare dopo la sconfitta contro l'Inghilterra del maggio 1961. Per la fase finale, in Cile, gli furono affiancati Helenio Herrera, che rinunciò dopo poco tempo, e il presidente della SPAL Paolo Mazza.

 

A partire dall'esclusione dal novero dei convocati di Mario Corso, dopo un litigio con lo stesso Ferrari, la spedizione cilena fu travagliata sin dal principio, anche per i contrasti tra i due componenti della commissione tecnica, a causa delle diverse visioni di gioco (Mazza era un difensivista). Ferrari ricordò l'esperienza declinando le responsabilità per l'esito negativo del mondiale: «se l'Italia fu eliminata in Cile, non è colpa mia. Lo dissi allora e lo ripeto oggi. Io non contavo niente. Quando mi venne comunicata la decisione di affiancarmi Mazza, risposi che con me Mazza non avrebbe litigato. In parole povere avrei fatto decidere a lui».

 

L'Italia, considerata tra le favorite, uscì al primo turno, principalmente a causa del caotico esito della partita contro i padroni di casa del Cile, nella partita ricordata come "Battaglia di Santiago". Omar Sívori denunciò poi il pesante condizionamento della stampa, dichiarando di essere stato testimone di una conversazione in cui i due commissari si erano fatti influenzare, nella scelta dei titolari da schierare contro il Cile, da alcuni importanti cronisti fautori del difensivismo (tra i quali pare vi fosse lo stesso Brera). Al ritorno Ferrari lasciò dunque la guida nella nazionale; per il giornalista Giuseppe Signori «ebbe il torto in Cile e prima di Santiago di non opporsi a troppe cose, come a persone sbagliate. Passivamente accettò in silenzio il peggio, limitandosi a parlare dopo», come ammise lui stesso, rammaricandosene, nella lettera di dimissioni inviata alla Federazione.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Ambrosiana-Inter: 1937-1938, 1939-1940
Bologna: 1940-1941

Nazionale

Individuale

  • Inserito nella Hall of Fame - I Magnifici del calcio italiano - 2000

Allenatore

Club

 

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944995553_juventus1931.jpg.0899c5e114dece030377747a9875623b.jpg GIOVANNI FERRARI

 

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Detto Gioanin o Giovannin, esordì in Prima Divisione (come si chiamava allora la Serie A) quando non aveva ancora sedici anni, nella stagione 1923-24, nella file dell’Alessandria, allenata dall’ungherese Béela Révéezs. Le stagioni seguenti, visse in simbiosi calcistica con il grandissimo allenatore Carlo Carcano, tanto da seguirlo a Napoli nell’Internaples, la più forte squadra campana che contese all’Alba di Roma l’onore di rappresentare la Lega Sud nella finale contro la Lega Nord per il titolo italiano nel 1925-26.
L’Alba ebbe la meglio sull’lnternaples, ma i romani furono poi battuti nettamente (7-1 e 5-0) dalla Juventus che schierava: Combi; Rosetta e Allemandi; Grabbi, Viola e Bigatto; Munerati, Vojak I, Pastore, Hirzer e Torriani.
Tornato da Napoli per il campionato 1926-27, Ferrari rimase nell’Alessandria, allenata da Carcano, sino al giugno 1930. L’ultima partita in grigio di Giovannin fu a Udine il primo giugno di quell’anno, contro la Triestina. L’anno seguente emigrò a Torino chiamato, nella Juventus, dallo stesso Carcano diventato allenatore dei bianconeri.
Modesto, serio, laborioso, Giovannin si trovò a suo agio nel grande club di Edoardo Agnelli ma diretto dal barone Mazzonis che, fra gli altri, poteva schierare il divo Orsi per un premio di 100.000 lire, una Fiat 509 e 8.000 lire mensili di stipendio, e Renato Cesarini, nato a Senigallia però emigrato a Buenos Aires da bambino. Il bizzarro, allegro, mattacchione Cesarini, era una magnifica mezzala destra capace di tutto e, con l’austero Ferrari, formò una strana, straordinaria coppia in bianconero come nella Nazionale. Renato l’impenitente, ascoltava i consigli di Giovanni e la Juventus vinse cinque scudetti consecutivi.
Nel campionato 1935-36 Giovanni Ferrari emigrò a Milano, sponda neroazzurra, chiamato dal presidente Pozzani, il popolare Generale Po. Giocando a fianco di Meazza, Ferraris II, Frossi, Attilio Demaria, Ferrara I e Ferrara II (questi tre ultimi di scuola argentina), Giovannin si aggiudicò altri due scudetti con il suo gioco infaticabile, altruista, tecnico, potente e i suoi tanti goal: trentadue nell’Ambrosiana in cinque stagioni come ne aveva fatti sessantasette nella Juventus. Scaricato a Bologna, come giocatore alla fine della carriera, Ferrari andò a raccogliere l’ottavo scudetto nel 1940-41 in tempo di guerra.
Lo scorbutico piemontese Vittorio Pozzo, giornalista e Commissario Unico degli azzurri due volte Campioni del Mondo, selezionò per la prima volta Giovanni Ferrari il 9 febbraio 1930 a Roma contro la Svizzera superata (4-2) con le reti di Magnozzi, Orsi e Meazza (due): l’alessandrino giocò mezzala destra a fianco del barese Costantino. Nella Coppa del Mondo 1934, Giovanni Ferrari formò uno straordinario attacco con Guaita, Meazza, Schiavio e Orsi all’ala sinistra, invece a Parigi nel 1938 i suoi compagni di prima linea furono Biavati, ancora Meazza, Piola e Colaussi, il triestino.
Confessò: «Ho battuto Zamora nel Mondiale del 1934 a Firenze, però la maggiore soddisfazione la provai l’anno precedente, a Roma, contro gli inglesi. Erano i maestri. Con un lungo tiro ingannai il portiere Hibbs; peccato che, poco dopo, Bastin ottenne il pareggio che, tuttavia, ci fece onore. Il mistero sugli inglesi, ritenuti invincibili, incominciò a svelarsi».
Quindi la lunga attività come tecnico. Giocatore-allenatore nella Juventus, poi trainer dell’Inter, e infine l’arrivo alla Nazionale, con la quale, non riuscì a evitare il fallimento della spedizione Mondiale in Cile, patendo molto la totale mancanza di fiducia nei suoi confronti, tanto che fu affiancato da Mazza e Spadaccini, con Pasquale a tirare i fili. Ha sempre amato insegnare ai giovani, insegnava calcio, non tecniche raffinate, lui così antico e così semplice.

ALBERTO FASANO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL GENNAIO 1983
La scomparsa di Giovanni Ferrari ha addolorato tutti gli sportivi che seguono le vicende del calcio nazionale ed ha lascito addirittura sgomenti quanti ebbero la ventura di conoscere da vicino il grande campione alessandrino.
Fu nel periodo della permanenza alla Juventus di Giovanni Ferrari che ebbi modo di conoscere dalla viva voce del protagonista molti particolari della sua vita, specie di quella parte che riguarda il modo con il quale Gioanin fece il suo ingresso nel mondo della palla rotonda.
Forse la passionaccia per il calcio gli entrò nel sangue non appena fu capace di camminare. Da ragazzino, insieme agli inseparabili amici Avalle, Rapetti e Scagliotti, percorse migliaia di volte le strade adiacenti il suo domicilio, specialmente Piazza Valfrè, prendendo a calci piccole palle di gomma o fatte di stracci. Quei ragazzi disputavano partite di incommensurabile durata: iniziavano alla luce del sole e finivano sotto la flebile luce dei lampioni.
Quando aveva quattordici anni, afferrò al volo qualche frase pronunciata da gente che conosceva il calcio, gente che aveva constatato con quale arte il giovane Ferrari sapeva trattare la palla. Era un timido, il caro Gioanin, e non avrebbe mai osato presentarsi ai dirigenti delle squadre minori dell’Alessandria se non fosse stato spinto dagli amici Avalle e Rapetti.
Fu il destino a dargli una mano. Un pomeriggio, insieme agli amici, stava giocando a palla per le strade cittadine quando, urtato da un compagno, cadde a terra e andò a sbattere il mento contro una delle rotaie del tram a vapore che faceva servizio per Spinetta Marengo. Si procurò una lussazione mascellare e una larga ferita al mento. L’incidente, oltre a renderlo inabile al gioco, lo aveva anche liberato dagli impegni di bottega (era aiuto commesso in un negozio di tessuti).
Appena le sue condizioni migliorarono, sebbene ancora incerottato, un giorno se ne andò insieme all’amico Rapetti al campo dei grigi che dovevano sostenere un allenamento. Giunto allo stadio con largo anticipo sull’orario fissato per l’allenamento stesso, si mise a palleggiare (lui in borghese) con il Rapetti (in tenuta da gioco). Ferrari non sapeva di essere attentamente osservato dall’allenatore Carcano: il palleggio morbido e sicuro impressionò il tecnico a tal punto da indurlo a invitare Ferrari la sera stessa in sede per firmare il cartellino che lo legava all’Alessandria.
Fu proprio in quella squadra che il giocatore alessandrino ebbe le prime soddisfazioni, raccolse generali consensi, disputò il suo primo campionato di Serie A e fu addirittura convocato in Nazionale. Ad Alessandria, ultima venuta nell’arengo provinciale, aveva portato una nota stilistica nuova, trasformando in una scuola tecnica quella che era stata prevalentemente una scuola di ardimento e di sacrificio.
Di questa scuola Baloncieri e Ferrari possono essere considerati gli alunni migliori (come lo furono Rosetta per la Pro Vercelli e Caligaris per il Casale), cioè due atleti che riassunsero le caratteristiche di intelligenza, di intuizione, di volontà di tutta una generazione di calciatori. Cevenini III, tanto per fare un esempio, si isolava in un certo modo dalla squadra, faceva numero a sé; Ferrari, invece, vi si immergeva tutto: un giocatore che rappresentava l’ordine, la continuità, con metodicità del gioco, una macchina che pulsava continuamente, che dava al gioco un’andatura, un ritmo, una cadenza.
Posso dire, per averli visti giocare tutti e due, che Ferrari è stato il continuatore dello stile, della tecnica dell’idea di gioco del formidabile Adolfo Baloncieri. Purtroppo con la partenza di Ferrari dall’Alessandria verso la Juventus, la scuola alessandrina doveva chiudere il suo meraviglioso ciclo. Il gioco perse allora quel tanto che gli era rimasto di ispirazione provinciale e andò sempre più acquistando un netto carattere nazionale, cioè una fusione di tendenze diverse, armonizzate da un concetto tecnico più generale.
Non mi è nemmeno difficile tracciare un profilo tecnico del vecchio amico scomparso. Tante e tante volte l’ho visto giocare, ho analizzato la sua tecnica di gioco, l’intelligenza con la quale partecipava agli incontri, sia nelle squadre di club che in Nazionale. Giovanni Ferrari: il calcolo applicato al gioco del calcio. Un giocatore freddo, positivo, il buon senso fatto persona. Gli sportivi lo ricordano come la tipica mezzala del metodo, cioè mezzala di manovra, da tessitura.
Era una macchina che lavorava e funzionava a regolari colpi di stantuffo, uno dopo l’altro, continui, implacabili. Giocatore di una tecnica sobria, poco portato a osare, ma che costruiva la partita un’azione sull’altra, come le pietre di un edificio, le imbeccate pronte per tutti, gli occhi attenti a misurare l’ostacolo e a valutare una situazione tattica, un uomo metodico che sembrava possedere un misterioso senso del ritmo; giocava con una cadenza sempre uguale, apparentemente un po’ lenta, ma che faceva forse più strada di ogni altra; quello sfornare continuo di palloni scoccati per ogni direzione, quel senno di gioco che dava l’impressione di un saggio fra tanti scavezzacolli. Tutto, insomma, ha contribuito a fare di Ferrari un elemento di grandissima classe.
Gioanin Ferrari, giudicato a posteriori, è stato proprio il giocatore sorto nell’epoca sua, cresciuto nel suo più conveniente clima di gioco. Posso senz’altro affermare (confortato in ciò dall’opinione di illustrissimi competenti, quali Ugo Locatelli, Piero Rava, Baldo Depetrini e Silvio Piola) che egli è stato, nel corso di un decennio, la migliore mezzala sinistra europea. Ed è l’elogio più alto che il critico può scrivere dell’indimenticabile giocatore alessandrino.
Maestro sommo sul terreno di gioco, per gli avversari e per i compagni: una vera scienza calcistica, quella scienza che Ferrari per lunghi anni elargì poi a tutti i suoi allievi, attenti ascoltatori delle sue lezioni al Centro Tecnico di Coverciano. Per questo sono convinto che la morte di Giovanni Ferrari sia stata una grave perdita per il mondo del calcio nazionale.

RENATO TAVELLA, DA “IL ROMANZO DELLA GRANDE JUVENTUS”
Ventenne dall’aria già matura, stempiato e serafico, l’alessandrino Gioanin Ferrari quando scende dal treno a Porta Nuova e infila i portici che conducono alla vicina sede juventina, forse, per la prima volta in vita sua si sente investito da un senso di particolare nervosismo. Non è da lui, in genere così flemmatico e pacato, riflessivo. Per questo la cosa lo mette in gran sospetto e gli fa pensare che, “stavolta”, il momento è per davvero molto particolare.
E pensare che credeva di essere inattaccabile in tal senso. Vaccinato, come si usa dire. Di situazioni emotive ne aveva dovute affrontare eccome nella sua carriera, malgrado fosse pur sempre un novizio alle prime prove sui grandi palcoscenici. Gli venne in mente, ad esempio, la fuga da Napoli in piena notte. Lui e Carcano, dopo quella sconfitta che aveva mandato in bestia i tifosi partenopei al punto di promettere certi «ti aspetto fuori» da far paura. «Basta con lo stare a Napoli e basta con l’Internapoli. Mai più», avevano seguitato a ripetersi, mentre il treno dal Meridione, caldo e agitato, li riportava nella più fredda, ma assai più tranquilla Alessandria. Già, Alessandria, la sua cittadina. Dove aveva scoperto il calcio e da dove era stato pescato da Vittorio Pozzo per la Nazionale. Giusto l’altro ieri. E adesso la Juventus, la squadra di Agnelli.
«Gioanin, son qui». Come risvegliato dai suoi pensieri, Ferrari vede all’improvviso Carcano pararglisi in faccia. «Sì, sì – balbetta – buongiorno». «Dai, che il barone Mazzonis ti aspetta».

VLADIMIRO CAMINITI
Che fosse il pupillo di Carcano, è accertato. Che le cronache di calcio dei nostri nonni, e per questo, anche quelle dei nostri padri, sorvolassero beatamente su tutto ciò che non fosse pallone, nei giorni di un’Italia massimamente ipocrita, nei giornali non si leggeva di suicidi, e la cronaca nera, era ridotta all’essenziale anche questo è risaputo. Nei giorni di guerra, Emilio De Martino continuava a scrivere i suoi edulcorati romanzi sportivi, quando è evidente che, fin dal suo sorgere e poi irrobustirsi, la Juventus con Edoardo Agnelli il magnate, presidente con Giovanni Mazzonis factotum, e dirigenti ammanicati col fatto economico e quasi spilorci perché solo gli assi godevano dei loro favori, per tutti gli anni Trenta della gloria totale e della conquista della popolarità nazionale, ebbe i suoi problemi e pure problemacci, che sapeva risolvere con discrezione, perché i panni sporchi si lavano in famiglia.
Che Carcano avesse il vizietto dunque è risaputo, ma ciò non toglie che sia stato un grandissimo lavoratore, e un professionista serio, anche molto dotato sotto il profilo psicologico, come dimostrano cento episodi, e specialmente uno raccontato da Luigi Cavallero papà di Ferruccio, e ambedue diversamente sventurati (il padre morì nella fiammata di Superga col Grande Torino, il secondo si sarebbe spento a trent’anni sulla soglia di una luminosa carriera giornalistica) a proposito di Combi.
Giovanni Ferrari, in sostanza uno dei grandi meriti di Carcano allenatore della Juventus, (Carcano godeva anche l’alta stima di Pozzo tanto che ne faceva l’allenatore della Nazionale), alessandrino puro sangue, insieme a Baloncieri e a Rivera costituisce la triade delle grandi mezzeali che dopo aver rivestito la maglia dell’Alessandria, attinsero alla gloria.
Ferrari è stato il regista di centrocampo più completo, se si vuole, dell’intera storia del calcio italiano; due Campionati del Mondo (1934 e 1938), otto scudetti, ne documentano le infinite risorse. Non veloce, velocizzava il gioco con il pallone passato di prima, spesso verticalmente, con lanci di cinquanta metri, e aveva moltissimo nerbo nel contrasto. Era un grande atleta, nonché un cursore sorvegliato stilisticamente e abilissimo nel piazzamento; vince con la Juve cinque scudetti consecutivi, prima di passare a Milano, all’Ambrosiana di Meazza, per continuare a vincere; senza tricolore sul petto non viveva; la tattica che si fa strategia, lo ebbe principe della Juventus di Carcano dal 1930 al 1935, sia che si trattasse di lanciare Vecchina e Orsi o Borel II e Orsi, o di risolvere personalmente.
Monti e Ferrari furono la spina dorsale di quella squadra inimitabile, cattivissima quanto leale nel gioco, che sapeva speculare sul goal senza concedere all’avversario un’unghia di terreno, che aveva un portiere quasi eroico nelle mischie, e cominciò a declinare soltanto quando sulla diga foranea del porto di Genova, ammarando nell’idrovolante guidato da Arturo Ferrarin, il presidente Edoardo andò a incontrare un’atroce assurda morte.
«L’impasto di squadra meglio riuscita dall’epoca d’oro della Pro Vercelli». «La bella creazione dei dirigenti affidata alle sapienti mani di Carcano». «Modello ed esempio di organizzazione e di educazione calcistica». Roggi, il mancato pianista veronese, Casalbore che avrebbe poi fondato “Tuttosport”, quell’arguto umorista di Carlin, la cui matita “parlava” assai più e meglio della penna, il sentimentalismo di De Martino, la sincera retorica di Pozzo. E insieme a tutto questo, la regia equidistante e virile di Gioann Ferrari, l’alessandrino pupillo di Carcano, che pilota anche la Nazionale come la Juventus (e poi l’Ambrosiana) ai massimi traguardi. Come dire uno dei più grandi centrocampisti della storia mondiale, e forse è più giusto definirlo mezzala, la mezzala tessitrice del gioco, continuo, mai trafelato, sempre puntuale, dal tiro potente, un trascinatore e un creatore di gioco divenuto leggenda. Quanto all’uomo, e alla sua scorbutica natura (uomo di poche parole e di tanto pragmatismo) chi sa veramente sviscerare l’animo umano?

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2007/12/giovanni-ferrari.html

Modificato da Socrates

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