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Socrates

Pietro Fanna

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File:Serie A 1979-80 - Juventus v Avellino - Pierino Fanna e Salvatore Di  Somma.jpg - Wikipedia
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PIETRO FANNA - Intervista aprile 1981 | Storie di Calcio
 
Panini footballers 1978-79 197 no.143 Pietro Fanna Juventus figures | eBay
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1175154214_juve1977.jpg.79d9793eaaed158097a142e334a103fd.jpg PIETRO FANNA

 

File:Pietro Fanna, Juventus.jpg - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Pierino_Fanna

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Grimacco (Udine)
Data di nascita: 23.06.1958

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 178 cm
Peso: 72 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Pierino

 

 

Alla Juventus dal 1977 al 1982

Esordio: 21.08.1977 - Coppa Italia - Sambenedettese-Juventus 0-2

Ultima partita: 16.05.1982 - Serie A - Catanzaro-Juventus 0-1

 

148 presenze - 20 reti

 

3 scudetti

1 coppa Italia

 

 

Pierino Fanna (Grimacco, 23 giugno 1958) è un ex allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista.

È uno dei sei calciatori italiani (insieme a Giovanni Ferrari, Filippo Cavalli, Sergio Gori, Aldo Serena e Attilio Lombardo) ad aver conquistato lo scudetto con tre società differenti, nel suo caso Juventus, Verona e Inter. 

 

 

Pierino Fanna
Fanna Verona.jpg
Fanna al Verona nella stagione 1983-1984
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 178 cm
Peso 72 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1993 - giocatore
2002 - allenatore
Carriera
Giovanili
    Udinese
Squadre di club
1975-1977   Atalanta 55 (6)
1977-1982   Juventus 148 (20)
1982-1985   Verona 85 (14)
1985-1989   Inter 97 (4)
1989-1993   Verona 103 (6)
Nazionale
1976-1980 Italia Italia U-21 13 (3)
1979-1980 Italia Italia Olimpica 6 (3)
1983-1985 Italia Italia 14 (0)
Carriera da allenatore
1998-2000   Verona Vice
2000-2002   Venezia Vice

 

Caratteristiche tecniche

Ala destra in grado di svariare su ambo i fronti del campo Era dotato di tecnica, velocità e fantasia. Negli anni alla Juventus fu utilizzato anche come seconda punta, pur non essendo quello un ruolo adatto alle sue caratteristiche. Rese al meglio in compagini di medio livello, dove poteva essere spesso coinvolto nel gioco della squadra, mentre soffrì molto a causa del suo carattere la pressione delle grandi piazze.

Carriera

Giocatore

Club

Atalanta e Juventus
150px-Pietro_Fanna%2C_Juventus.jpg
 
Fanna alla Juventus a fine anni settanta

 

Arrivato all'Atalanta a quattordici anni, dopo tre anni di giovanili, Fanna esordisce in prima squadra nella serie cadetta con 20 presenze e due gol. Nella stagione 1976-1977 l'ala friulana è una pedina fondamentale della squadra e ottiene la promozione in Serie A con i bergamaschi.

Nel 1977 approda alla Juventus. Fanna nei primi tre anni non si esprime al meglio, penalizzato da ruoli non adatti alle sue caratteristiche e anche dal suo carattere introverso. Nelle stagioni 1980-1981 e 1981-1982 trova spazio tra i titolari e contribuisce con alcuni gol e numerosi assist alla conquista dello scudetto; in particolare, suo fu il tiro che, fermato con un braccio da un difensore del Catanzaro, procurò il rigore che valse ai bianconeri lo scudetto 1981-1982.

Verona e Inter

Nell'estate 1982 viene ceduto al Verona di Osvaldo Bagnoli, squadra neopromossa, per la cifra di un miliardo e mezzo di lire. Nei suoi anni in Veneto, Fanna rappresenta un'importante pedina tattica nello sviluppo del contropiede, creando gli spazi e i presupposti per una rapida ripartenza senza palla da parte di Roberto Tricella: la scelta di tempo di questi due giocatori determinava lo spostamento e l'inserimento di un compagno che finalizzava l'azione. Due anni dopo in gialloblù conquista, nel campionato 1984-1985, uno storico scudetto.

 

220px-Serie_A_1986-87_-_Inter_vs_Juventu
 
Fanna, con la maglia dell'Inter, esulta dopo la sua rete nel derby d'Italia del 15 marzo 1987.

 

Nell'estate 1985 passa all'Inter per 5,2 miliardi di lire. Nel 1988-1989, con 13 partite, è uno dei comprimari nello scudetto dei record vinto sotto la guida di Giovanni Trapattoni, tuttavia nelle stagioni a Milano non riesce mai a replicare il rendimento mostrato in maglia scaligera.

Nella stagione 1989-1990 torna quindi a Verona, in un campionato che culmina con la retrocessione in Serie B, riconquistando prontamente la Serie A l'anno dopo ma tornando nuovamente fra i cadetti al termine del torneo 1991-1992. L'annata successiva Fanna lascia definitivamente l'attività agonistica.

Nazionale

Nel 1977 esordisce nella nazionale Under-21. Con la nazionale maggiore totalizza 14 presenze.

Allenatore

Si è occupato del settore giovanile veronese per qualche anno e, con l'arrivo di Cesare Prandelli nell'estate 1998, è stato allenatore in seconda. Seguì poi Prandelli al Venezia.

 

Palmarès

Club

Competizioni nazionali

Juventus: 1977-1978, 1980-1981, 1981-1982
Verona: 1984-1985
Inter: 1988-1989

 

 

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1175154214_juve1977.jpg.79d9793eaaed158097a142e334a103fd.jpg PIETRO FANNA

 

fanna-intervista3-aprile-1981.jpg

 

 

 

Arriva alla Juventus nel 1977 dopo essersi messo in evidenza, nell’Atalanta, come uno dei talenti della nuova generazione. È molto dotato: tecnica individuale, velocità, fantasia, un calcio magnifico e, considerato che ha solamente 19 anni, si pensa che certe alcune agonistiche e di combattività verranno presto colmate: «Essere alla Juventus è una cosa magnifica, esaltante, il sogno di ogni calciatore e il fatto mi ha lusingato parecchio, anche se forse, da buon friulano, non l’ho dato da vedere».
Il titolare è il Barone Causio, ancora inamovibile e Fanna può vedere, imparare dal campione, fino al momento giusto per sostituirlo. Fanna è utilizzato in ruoli e mansioni non adatte alle sue caratteristiche. Seconda punta con Bettega, in altre occasioni al fianco di Virdis. Pierino Fanna, oltre allo scudetto conquistato nel ‘78, che lo vede più spettatore che protagonista, diventa comunque uno degli artefici di altri due campionati vittoriosi: ‘80-81 e ‘81-82.
«Sapeste quanto mi carico al pensiero che qualcuno creda in me! Ho superato in questo modo le perplessità che mi hanno assalito nel vestire la maglia bianconera. Si arriva a Torino e si prova l’impressione di toccare il cielo con un dito; poi, si rimane come schiacciati dal peso di tanta responsabilità».
Nonostante questi successi, Fanna non riesce completamente a convincere. Emerge una certa fragilità atletica e, nell’estate del 1982, è ceduto al Verona, dove troverà finalmente la sua vera dimensione che lo condurrà trionfalmente allo scudetto del 1985 e alla Nazionale. Eccellente nell’Atalanta, deludente alla Juventus, strepitoso nel Verona, di nuovo deludente a Milano, sponda Inter: è il tipico giocatore che deve essere nel cuore di una squadra, che deve essere sempre chiamato in causa, per il quale deve passare il gioco. Tutto questo è, chiaramente, possibile a medio livello, impossibile ad alto livello, con gente come Brady, Bettega e compagnia. Al primo dribbling non riuscito, si smarrisce, evapora, passano interi minuti senza che tocchi palla; con gente così, il Trap non è in grado di instaurare neanche un linguaggio comune, figurarsi un rapporto fruttuoso.
In poche parole, un grande talento bisognoso di essere coccolato, viziato e amato.
 
GIANNI GIACONE, “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 1982
In molti continuano a domandarsi chi effettivamente sia, calcisticamente parlando, Pietro Fanna da Moimacco, ventiquattro anni e ormai cinque stagioni di Juve sulle spalle. In pochi, molto pochi a dire il vero, almeno crediamo, possiedono la risposta sicura, quella con tanto di prova.
Il ragazzo di cinque anni fa è diventato uomo, ha messo su famiglia, ma queste, forse, son cose che riguardano assai più il personaggio che non il calciatore.
Che differenze, e quali similitudini eventualmente, ci sono tra quel Fanna, quello di Bruges tanto per esemplificare, e questo, contraddittorio eppure vivo, altalenante eppure consistente, in una parola difficile da capire e ancor più da spiegare?
Poiché non siamo tra quelli che hanno la risposta sicura, andiamo per approssimazione, e intanto ne parliamo, convinti che a molti interessi cercare vie magari nuove di avvicinamento al personaggio.
Che davvero rischia di essere lontano, dagli occhi come dal cuore.
Il ragazzo che approda a Torino da Bergamo, dove è idolo autentico, una specie di bambino prodigio capace di destare entusiasmi antichi, è già un tipo assai speciale, caratterialmente non ben definibile. Il primo impatto con i cronisti lascia interdetti personaggi navigati e abituati a fare i conti con ogni genere di giovin talento. Il ragazzo «c’è», si capisce che ha personalità e voglia di arrivare, ma è quasi spaventato dall’attenzione che lo circonda, sembra quasi chiedere il permesso di ritirarsi in santa pace e di uscire allo scoperto solo quando si sentirà pronto, caricato il giusto. Si intuisce al primo assaggio col terreno di gioco, al primo allenamento vero, che le doti ci sono, che il giovanotto mastica calcio come pochi altri, ma con una convinzione che va e viene, e più spesso la convinzione non c’è. Occorrono momenti particolari, climi speciali, per esaltare il ragazzo, la cui disarmante timidezza conquista comunque larghe fette di simpatia tra i supporters.
La stagione dell’arrivo di Pierino, del resto, ribadisce il legittimo intendimento della Juve a dominare la scena nazionale: la squadra sembra continuare sullo slancio dei 51 punti strappati l’anno prima, e molte cose notoriamente difficili riescono invece facili, quasi automatiche. Fanna è ala destra, ha sempre giocato ala destra ed ha le caratteristiche tecniche dell’ala destra classica. Con la maglia numero sette gioca un certo Causio, all’apice della condizione, e Causio proprio non si discute, ci mancherebbe altro. Allora Fanna ha chiuso prima ancora di cominciare? No, perbacco. Il calcio moderno richiede universalità, adattamento a più ruoli, a diverse incombenze. Fanna trova spazio al centro o a sinistra, e gli inizi sono assai incoraggianti. A Pescara, i suoi dribbling e le sue serpentine in progressione scardinano una difesa intera e regalano una vittoria di slancio. In casa, con la Roma, su un terreno infame, Pierino scavalla nel fango e va a segnare un gol antologico a Paolone Conti. Un gol che lo consacra beniamino dei fans, che gli dà fiducia, convinzione.
E poi, c’è la Coppa Campioni. La notte di Bruges.
Non è il caso di raccontare nei particolari; certi episodi di storia recente sono stampati nitidamente nella memoria. Per la stragrande maggioranza dei tifosi juventini, Bruges si identifica con un arbitro svedese in serata di cattiva vena che dà una grossa mano alla Juve per non consentirle di avere ancora qualcosa da vincere. Per molti, però, quella partita è anche la rivelazione di un talento grande, di uno che farà sicuramente parecchia strada. Di Pierino Fanna da Moimacco, insomma. Su un palcoscenico ostico, e in una serata assai poco favorevole agli exploit individuali, Fanna disegna una prestazione assolutamente da incorniciare, senza sbavature, con momenti lirici, di tecnica assoluta. Una specie di magia, forse irripetibile o forse no, chi lo sa. Certo, una gran bella serata, un contrasto stridente con l’esito della gara, che rimanda la Juve a casa a rimpiangere e meditare rivincite.
Bruges resta un episodio isolato, ahinoi. Ma è Fanna stesso un personaggio isolato, alle prese con sbalzi di umore che ne condizionano il rendimento nell’ambito magari di una stessa partita.
Il ‘78-‘79 ripropone eccellenti momenti di calcio alternati a fasi di involuzione anche tecnica. Qualcuno comincia a mugugnare, a dire che, con quel fisico, con quei mezzi tecnici, se non sfonda è solo e unicamente questione di carattere, di maturità. Ma si è maturi, a vent’anni? Si può esserlo o non esserlo. In passato, ci furono campioni grandi e maturi a diciassette anni e altri che non maturarono mai, pur avendo quella dote strana e indefinibile che si chiama classe. Ma Fanna, quel Fanna, ha classe?
Fior di tecnici, Trapattoni compreso, non hanno dubbi. Sissignori, Fanna ha classe, è un fior di campione allo stato semi-latente. Maturerà più tardi di altri, ma maturerà, se lo vorrà.
Nella primavera dell’80, in chiusura di un’altra stagione ricca di contraddizioni, Fanna innesta marce altissime e torna a far sognare. Segna all’Inter un gol da album dei ricordi, scartando tutti sulla fascia e facendo passare la palla tra palo e portiere, con millimetrica precisione. Perché Fanna sa dribblare su una moneta da cento lire, ma anche tirare. E quelle poche volte che si decide a tirare sono gol d’autore, come contro l’Avellino, in una strana partita di fine stagione, finita 3 a 3 con alcuni numeri d’alta scuola del friulano.
La partenza di Causio potrebbe rappresentare qualcosa di decisivo, per il destino di Pierino. Ma tutti sanno che non è così. Fanna, forse, per primo. La stagione del diciannovesimo scudetto ha avuto bisogno di parecchio Fanna, in ruoli e incombenze diverse. E Fanna è stato diligente, bravo o almeno bravino, ma sempre tentennante: un dribbling di troppo, un tiro col contagocce. Esplode Marocchino, che ha in partenza gli stessi problemi di Fanna, morde poco, anche se tiene piedi ottimi, ma alla fine vince Marocchino la sfida con Fanna, e la vince con la forza, la determinazione con la quale sradica il pallone dai piedi degli avversari e lo deposita a centro area per le giocate che decidono.
Fanna è meno potente di Marocchino, ma potrebbe essere più rapido, più veloce, più essenziale. Lo stesso Marocco, in tutta sincerità, lo ammette davanti a stuoli di cronisti.
E la storia si ripete, è roba di questi ultimi mesi, con l’esplosione di Galderisi, che ha cinque anni meno di Fanna, ma sembra che ne abbia dieci in più, quanto a determinazione, e, perché no, furore agonistico. La partita domenicale è una battaglia, dove si prende e si dà. Galderisi incarna alla meglio questo modo di vivere il ruolo offensivo. Fanna si approssima a incarnarlo, e magari presto lo riprodurrà al meglio: non mancano premonizioni, segni concreti. A ventiquattro anni, non sogna più gli svolazzi romantici sui campi dell’onor, ed ha capito qual è l’unica, sicura strada per arrivare alla meta. Crederci, fortissimamente, e considerare la panca come un trampolino di lancio, da cui decollare appena se ne presenta l’occasione.
Inutile recriminare o rimpiangere quel che poteva essere e non è stato, inutile anche appigliarsi alla sfortuna.
 
VLADIMIRO CAMINITI
Sfortunato o presago, Pierino Fanna soggiorna cinque anni nella Juventus senza andare d’accordo col Trap. Forse, l’allenatore si incaponiva nel disegno tattico che certe divagazioni del ragazzo frastornavano; Furino ne parlava benissimo, come dell’attaccante più evoluto della squadra: «In tutti i punti del campo è utile, sa giocare in qualsiasi posizione».
I tifosi di Madama sono abituati al meglio. Hanno ancora negli occhi i traversoni barocchi di Causio e conquistare la Juventus non è facile. Non basta avere un’anima cerulea, come ha gli occhi Pierino, e una moglie che gli ritaglia tutti gli articoli dei giornali e ne fa album per posteri; un tornante per Trapattoni, che riusciva a trovare difetti perfino in Causio, deve rispondere a certe esigenze, chiudere, coprire, aderire alla fascia di competenza, insomma sono continui rabbuffi, le guance di Pierino si imporporano, a casa si sfoga con la mogliettina bruna «ritagliera».
Ora, dico la mia. Per la Juventus, nel quinquennio in cui vi ha militato, Pierino Fanna è stato un’occasione sprecata. Trapattoni non l’ha capito; si è attardato sui difetti tecnici e non ha messo il ragazzo a suo agio. Si sbaglia, tutti, e queste sono briciole per un tecnico virtuoso quanto il Trap; ma i fatti dicono di un Fanna che nel triennio veronese si mette a disegnare partite favolose, partecipando in primis alla conquista di quello scudetto che adorna indelebilmente il gonfalone gialloblù. E forse, voglio dire, più circostanze casuali, e il carattere un po’ troppo introverso e complicato del ragazzo, impedirono che con la Juventus sbocciasse vero amore.
Come cronista non ho rimorsi. Io lo accettai sempre all’altezza delle sue doti tecniche superlative e del suo plafond atletico più che buono; in fondo, rimaneva il miglior allievo del padre, che avrebbe rimpianto non fosse ancora vivo a vederlo trionfare; il padre che gli aveva insegnato bambino a portare palla nella salita del paesello, per poi tenerla tra i piedi correndo in discesa; e fu un insegnamento basilare per il tornante superbo che sarebbe diventato, a tratti, solamente a tratti, anche nella Juventus del Trap.
 
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