andrea 1,572 Joined: 01-Jun-2005 4,192 posts Posted Friday at 08:47 AM Fumavo un pacchetto al giorno, Riva di più. di Furio Zara · 8 mag 2025 Disteso nel volo a planare, allungando la sagoma scossa da un colpo di reni, mulinando il braccio come un Don Chisciotte con i guanti, la chioma da Sandokan al vento, la segreta convinzione di arrivare a schiaffeggiare anche stavolta il pallone, interrompendone la traccia e cambiandogli il destino. Ricky Albertosi è stato il portiere come è bello immaginarlo, dove il ruolo prevede istinto, audacia e attitudine a prendersi la scena, come l’acrobata che vola da trapezio a trapezio, nel silenzio dopo un rullo di tamburo che di colpo si fa muto. ▶ Albertosi, verrebbe da dire che lei non si è limitato a venire al mondo. Si è tuffato verso il mondo. «Ero un bambino e con i miei amichetti mi tuffavo da 4-5 metri in un laghetto, a Pontremoli, dove sono nato. Poi andavamo tutti al fiume, ad abbrancare con le mani le trote che si nascondevano sotto i sassi: forse è là che sono diventato un portiere». ▶ Cosa ricorda dei suoi inizi? «Non avevo ancora sedici anni quando giocai in Prima Categoria, con il Pontremoli. Il portiere titolare, tale Gregoratto, poche ore prima si era imbarcato come marinaio. Ricordo che faceva un freddo cane, presi quattro gol». ▶ A diciannove anni il debutto in Serie A con la Fiorentina. «Ero il vice di Giuliano Sarti, da lui ho imparato a giocare al limite dell’area, a fare il “libero” aggiunto. Con la Fiorentina credo d’aver disputato la partita della vita, a Glasgow, contro i Rangers, finale di andata della Coppa delle Coppe che poi vincemmo. Clima infernale, 2-0 per noi, parai tutto». ▶ Nel 1970 lo scudetto a Cagliari. «Abbiamo fatto la storia, svelato un’altra Sardegna, restituito identità e dignità ad una terra che l’Italia aveva dimenticato. Una squadra di amici veri, con Beppe Tomasini siamo fratelli, ci sentiamo ancora. Quell’anno ho subito solo 11 reti - tra cui due autogol e un rigore - in 30 partite. Se l’anno dopo Gigi Riva non si fosse infortunato in Nazionale, avremmo vinto di nuovo». ▶ Lei indossava una maglia rossa. «Ebbi l’idea guardando un portiere inglese. In allenamento Riva mi confermò che il rosso disturbava l’attaccante, diceva che sembravo più grande e lo inducevo a sbagliare». ▶ Chi fumava di più lei o Riva? «Io un pacchetto di Marlboro al giorno, ma Gigi pure di più. Scopigno lasciava fare: in campo davamo il massimo, non c’era nulla da rimproverare». ▶ Quella del 1970 è l’estate di ItaliaGermania 4-3. «Calcio d’angolo, Seeler colpisce di testa, Gerd Müller la corregge in rete. Sul palo c’è Rivera, fa una torsione strana e non la prende: 3-3. Gliene dissi di tutti i colori. Lo insultavo, lui sbatteva la testa sul palo. Poi mi fece: “Ora vado a fare gol” (ride). Fu di parola». ▶ Quattro anni prima, al Mondiale inglese del 1966, l’onta della Corea. «Durante riscaldamento li vediamo entrare in campo, ognuno ha un pallone in mano. Lo lanciano per aria, poi fanno la rovesciata. Pensiamo: “Sono matti”. La verità è che Perani nei primi 20 minuti sprecò tre occasioni da rete. Mi fece gol quel dentista, che dentista non era: Pak Doo-Ik. Ci sono partite segnate da un destino contrario: quella lo fu». ▶ Nel 1979, scudetto della Stella con il Milan. «Grande soddisfazione, avevo già quarant’anni, giocavo con la casacca gialla. Non c’erano campioni, ma eravamo tosti. Liedholm in allenamento mi bombardava con i suoi tiri. Diceva: “La metto là”. E indicava l’incrocio dei pali. E il pallone finiva inevitabilmente là. Il Barone aveva quasi 60 anni, ma non sbagliava un tiro». ▶ Subito dopo la squalifica per il calcioscommesse. Lei si è sempre dichiarato innocente. Cosa le ha tolto quel periodo buio? «La possibilità di andare a giocare in America, era già tutto fatto, il Milan mi avrebbe ceduto il cartellino. Poi l’America è venuta da me: i Globetrotters, la squadra di basket che girava il mondo, mi chiese di fare uno spettacolo all’intervallo delle loro partite. Mi mettevo in porta e gli spettatori provavano a fare gol. Mi sono divertito un sacco». ▶ Il suo dualismo con Dino Zoff ha fatto epoca. Cosa aveva lei in più e in meno del suo collega? «Possiamo dirlo? Siamo stati due grandissimi portieri. Io più agile, Dino più compatto. Lui aveva gambe grosse, strutturate, solide; io solo muscoli. Zoff è un monumento del calcio italiano». ▶ Com’è la sua vita oggi? «Bella e tranquilla, sono fortunato. Nel 2004 ho rischiato di morire di infarto. Ero all’ippodromo di Montecatini, avevo appena fatto una corsa. Stavo riguardando al monitor la gara, sono crollato a terra. Sono stati bravi con i primi soccorsi, mi hanno salvato la vita. I cavalli sono stati a lungo la mia passione, da allora non più. Vivo a Forte dei Marmi con mia moglie Betty, stiamo insieme da 50 anni. Ho 4 favolosi nipoti: Edoardo e Sofia studiano all’università, poi ci sono i piccoli Emma, che gioca a tennis, e Tommaso: lui impazzisce per il calcio, ma non vuole che vada a vederlo, mi tocca nascondermi». ▶ Chi le piace tra i portieri italiani? «Carnesecchi, un po’ mi ci rivedo. È spericolato, incosciente come si può esserlo da giovani. Io mi sono rotto due volte il setto nasale e ho perso quattro denti. Farà una grande carriera». ▶ Un’ultima cosa: ma è vero che lei aveva il vezzo di giocare senza le mutande? «No, in realtà in campo le portavo sotto i calzoncini, era nella vita quotidiana che non le mettevo mai». Share this post Link to post Share on other sites