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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Zeman in testacoda

«Abete nemico del calcio»

Poi: «Non ce l'ho con lui»

Il tecnico della Roma: «Il pallone fuori da finanza e politica». Ma in

serata la retromarcia: «Mi riferivo al sistema». Rischia il deferimento

«Ci sono dei progressi, ma più per paura». Il club contatta la Figc per un chiarimento

di MASSIMO CECCHINI (GaSport 13-09-2012)

L'Angelo Vendicatore ha sguainato ancora la sua spada, ma stavolta ha dovuto rinfoderarla in fretta. Un incidenti di percorso, ovvio, che comunque non ha impedito a Zdenek Zeman di rubare la scena ad una Roma impegnata in continui e serrati confronti politico-istituzionali per il miglioramento dell'hospitality dell'Olimpico e per l'individuazione dell'area destinata al nuovo stadio. Ma il danno era fatto, visto che l'allenatore — in una intervista che sarà in edicola domani con «Sette», supplemento del Corriere della Sera — alla domanda se andrebbe a cena col «nemico» Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, risponde sereno: «Perché no? Abete non è nemico mio. È nemico del calcio».

Dirigenza irritata Inutile dire come la bufera sia scoppiata subito. Grande come l'irritazione della dirigenza per una sovraesposizione inutile e lo stupore della Figc per essere stata presa di mira senza alcuna ragione specifica. Non a caso lo stesso Zeman ha chiesto che la Roma si mettesse in contatto con Via Allegri spiegare la sua posizione, cosa che ha portato in serata a un comunicato in retromarcia. «Quanto dichiarato non era riferito alla persona del presidente della Figc, ma al sistema calcio nel suo complesso, che negli ultimi anni ha perso occasioni importanti per riformarsi». Questo, però, potrebbe non stoppare un possibile deferimento dell'allenatore, la cui presa di posizione ieri ha persino diviso la tifoseria giallorossa. I perplessi infatti mugugnavano: non è che poi con tutte queste sparate ce la faranno pagare sul campo?

Le parole di Moratti Nell'estratto dell'intervista, poi, Zeman aggiungeva: «Il calcio dovrebbe puntare su serietà e impegno. C'è qualche miglioramento, ma temo che sia più paura di essere scoperti che per convinzione. Servono più esempi positivi». Insomma, il pallone «dovrebbe essere semplicità. Bisogna vincere dimostrandosi superiori sul campo e non fuori dal campo». E su Massimo Moratti che in passato lo aveva corteggiato dice freddo: «Molte parole, ma poi bisogna vedere se ci sono le condizioni per lavorare bene. E non parlo di giocatori da acquistare».

Via dalla Borsa La Roma, perciò, dovrebbe rappresentare il suo habitat naturale, ma è proprio così? Il dubbio è lecito, visto che il boemo è critico anche sul rapporto tra le società di calcio e la Borsa. «Non dovrebbero essere quotate, e i risultati mi danno ragione. Il calcio deve stare fuori dalla finanza e dalla politica». Affermazione ricca di buon senso, se il suo club non fosse controllato al 40% da un istituto di credito di dimensioni internazionali. Non a caso il commento off records che proviene da ambienti UniCredit è ironico: ma Zeman lo sa che la Roma è quotata in Piazza Affari (ancora per poco, ndr) e che, visto l'assetto proprietario, parte del suo stipendio arriva da quella banca che fornisce anche un proprio uomo anche alla presidenza di Lega? Chissà. Forse non se ne sarà accorto. Oppure pensava di essere rimasto ad arringare dalle nobili e donchisciottesche tribune di Pescara.

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RETROSCENA

La dirigenza gli ha

chiesto basso profilo

di MASSIMO CECCHINI (GaSport 13-09-2012)

Per ora non si sono messi a pregarlo in ginocchio, ma non è da escludere che la prossima mossa sia questa. Stiamo scherzando, ovvio, ma una cosa è certa: alla Roma le polemiche innescate da Zeman non fanno piacere. Anzi. E la cosa gli è stata fatta presente fin dalle prime uscite pubbliche, quando nel mirino era finita soprattutto la Juve. Ma i consigli sono stati tutti rispediti al mittente. «Lui fa come vuole — sussurrano sconsolati a Trigoria — però così si incendia una piazza che non ne ha bisogno». D'altronde l'allenatore sa che la cassa di risonanza offertagli da questi argomenti è superiore a qualsiasi invenzione tattica e così prosegue nel suo stile, mettendo in imbarazzo una società che sta stabilendo rapporti sempre più solidi col mondo politico-finanziario e cercando nel contempo di disinnescare i possibili focolai di violenza. Eppure il messaggio del club è semplice: questa non è Zemanlandia (termine infatti poco gradito), ma la Roma «made in Usa», cioè rinnovata anche nella capacità d'interagire con altri club e istituzioni. Non a caso appena un anno fa la dirigenza aveva persino promesso di non parlare più degli arbitraggi. Ma non aveva fatto i conti con Zeman, naturalmente.

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Il tesoro è in Svizzera

Così riciclavano

i fiumi di denaro

delle combine

Da Berna è stata chiesta una maxi rogatoria

Il conto segreto riconduce a un giocatore

italiano «importante» già indagato a Cremona

Le novità della Procura elvetica confermano la pista «transnazionale»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 13-09-2012)

Il tesoro sarebbe custodito in Svizzera, come da tradizione. Un tesoro alimentato negli anni da un flusso costante di denaro e legato a doppio filo con scommesse e combine. Non solo, la Procura di Berna-Mittelland è convinta che dietro ci sia la criminalità organizzata: le modalità fanno pensare al riciclaggio. Al centro di questa brutta storia ci sarebbe un calciatore italiano che fonti investigative definiscono «importante». Il conto segreto riconduce a lui. E gli indizi non finiscono qui. Ha già avuto problemi con la giustizia per fatti simili: è indagato a Cremona per associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Insomma, il cerchio si restringe notevolmente, ma lascia lo stesso aperte molte porte. A breve il nome sarà noto: i magistrati svizzeri hanno chiesto di sentirlo, insieme con altre 5 persone. È probabile che il giocatore sia convocato dagli uomini della squadra mobile di Cremona e dello Sco di Roma per rispondere alle domande del gip Salvini, alla presenza quasi scontata del procuratore capo Di Martino. Le novità svizzere rafforzano la pista italiana legata a un'organizzazione «transnazionale» in grado di spostare capitali importanti da una parte all'altra del mondo, poi utilizzati per le combine.

Punti di contatto Ma Berna non si è limitata a chiedere l'interrogatorio del calciatore. Da fonti attendibili si apprende di una maxi rogatoria per avere quasi tutti gli atti, intercettazioni comprese. Migliaia e migliaia di pagine, da spulciare evidentemente alla ricerca di altri punti di contatto tra le due inchieste. L'ipotesi è la stessa che da tempo sostengono diverse procure italiane: combine e scommesse hanno attirato l'attenzione della criminalità organizzata. Non si tratta solo di lucrare attraverso le partite taroccate, ma soprattutto riciclare fiumi di denaro nel modo più semplice. Ci sarebbero vari strati per rendere difficile l'individuazione dei registi di queste operazioni spericolate.

Il ruolo dei giocatori I primi a essere scoperti, secondo chi indaga, sono proprio i calciatori. Utilizzati per ovvie ragioni, corruttibili in modo semplice e indispensabili per avere certezze sui risultati. Salendo c'è una prima «eminenza grigia» composta dai finanziatori e persone facoltose. Spesso sono loro ad agganciare i giocatori, coinvolgendoli prima nelle scommesse per poi trascinarli al passo successivo (gli illeciti). L'inchiesta di Bari sta proprio portando alla luce questo tipo di sistema. Risalendo ancora si arriva alla criminalità che gestisce direttamente le agenzie di bookmaker e si muove tramite «persone fidate». Che possono essere anche calciatori. Sarebbe il caso in questione.

Altri sospetti e Gegic Il giocatore «importante» avrebbe aperto il conto (forse attraverso un prestanome) dove sono transitate somme elevate e di provenienza sconosciuta. A Berna non hanno dubbi: si tratta di riciclaggio. E dentro ci sono i proventi delle combine. Ecco il perché della rogatoria con richiesta d'interrogatorio. Un passo che potrebbe preludere a qualcosa di più serio. Non solo, visionare quasi tutti gli atti può voler dire una cosa: si stanno cercando nuovi punti di contatto e forse altri giocatori invischiati nello stesso giro. Non resta che attendere gli sviluppi nei prossimi giorni. Quando tra l'altro dovrebbe finalmente costituirsi il latitante Almir Gegic. A Cremona tutto è pronto per accoglierlo.

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Scommesse, caccia al tesoro in Svizzera

Inchiesta a Berna per riciclaggio: i soldi sul conto di un calciatore italiano

Nuovi sviluppi attesi dal ritorno imminente di Gegic in Italia. È gelo tra gli inquirenti e la Figc per la gestione dei processi

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 13-09-2012)

Seguendo i soldi, inevitabilmente si arriva in Svizzera. E anche la storia sempre più ingarbugliata del calcioscommesse italiano non è sfuggita alla regola. Così nessuno si è stupito quando, nei giorni scorsi, al tribunale di Cremona è arrivata una maxi rogatoria internazionale avviata dalla procura di Berna Mittelland. Un po´ più di stupore c´è stato quando gli investigatori, leggendo quel documento, hanno capito su cosa stanno indagando i magistrati elvetici: il tesoro del calcioscommesse. La cui forma giudiziaria è quella di un gigantesco caso di riciclaggio, un fiume di euro in transito per la Svizzera attraverso il conto corrente di un giocatore italiano («un giocatore di un certo prestigio, già coinvolto nelle nostre indagini», riferisce una fonte attendibile).

Principale strumento di questo riciclaggio, secondo l´ipotesi della procura elvetica, le scommesse sulle partite combinate in Europa e, in particolare, in Italia, dove l´organizzazione internazionale individuata nell´inchiesta della procura di Cremona era particolarmente attiva. Dopo aver studiato attentamente le carte delle indagini italiane - stando a quanto è stata possibile ricostruire - gli svizzeri hanno avviato una serie di accertamenti su alcuni "personaggi chiave" e avrebbero osservato un movimento alquanto anomalo su un conto cifrato riconducibile al «giocatore di un certo prestigio». Giocatore che nei prossimi giorni verrà interrogato dagli uomini della squadra mobile di Cremona e dello Sco di Roma, guidati dal giudice per le indagini preliminari Guido Salvini. All´interrogatorio, con ogni probabilità, parteciperà anche il procuratore capo Roberto Di Martino, particolarmente interessato ad una indagine che di fatto conferma l´intera intuizione investigativa iniziale, quella di un´organizzazione "transnazionale" in grado di muovere giganteschi capitali in giro per il mondo per poi investirli (e spesso anche "pulirli") attraverso le partite combinate in Italia.

La rogatoria bernese non sarebbe l´unico nuovo spunto dell´indagine "cremonese". Nei prossimi giorni è infatti atteso il ritorno in Italia di Almir Gegic, il "numero due" degli zingari, il braccio destro di Hristian Ilievsky. Le sue dichiarazioni potrebbero essere assai importanti, secondo i pm, e riaprire molte posizioni - anche di primo piano, con squadre e giocatori di serie A - oggi considerate chiuse. Quasi tutti i "de relato" di cui sono piene le dichiarazioni dei pentiti Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni hanno infatti proprio Gegic e gli "zingari" come fonte originaria. A proposito di Gervasoni e Carobbio c´è infine da registrare un certo "fastidio" da parte degli inquirenti «per il modo contraddittorio e parziale» con cui la giustizia sportiva ha trattato le loro dichiarazioni durante i numerosi processi sin qui svolti. Processi dai quali i due pentiti - che continuano ad essere ritenuti attendibili, a livello penale - sono usciti indeboliti.

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Scandalo scommesse

Il capo degli «zingari» pronto a costituirsi a Cremona

di GILBERTO BAZOLI & FRANCESCA MORANDI (Libero 13-09-2012)

Pare che stavolta si sia davvero stancato di essere un fuggiasco: Almir Gegic, il capo degli “zingari”, sarebbe pronto a costituirsi e dire la sua verità sul Calcioscommesse. In questi mesi Gegic, che ha concluso la sua carriera in Svizzera (nel Chiasso) dopo aver giocato anche in Italia, avrebbe vissuto in una località di montagna semisperduta della Serbia, dov’è nato. Un autoesilio per niente dorato. Lo slavo ha un ruolo centrale nelle inchieste della procura di Cremona. Basta leggere quello che di lui scrive il gip Guido Salvini nell’ordinanza: «Gli “zingari” erano capeggiati da Gegic, ed erano caratterizzati da un “modus operandi” costante nel senso che provvedevano ad anticipare le somme per la corruzione dei calciatori che venivano contattati personalmente, a volte con esibizione delle “mazzette” loro destinate, e prediligevano partite di serie A o al più di serie B». Gegic ha disseminato decine di insinuazioni nelle interviste concesse durante quasi un anno e mezzo di latitanza. «Le scommesse sono una malattia - ha detto in un’occasione -. E in Italia il virus è in tutte le squadre, serie A compresa. Anzi, ancora non avete visto nulla». È anche vero che negli ambienti investigativi l’eventuale arrivo di Gegic non sembra suscitare particolari sussulti. Intanto, il ministero pubblico federale svizzero ha chiesto alla procura di Cremona buona parte degli atti dell’inchiesta. La magistratura elvetica, che ipotizza il reato di riciclaggio, indaga su un calciatore italiano tuttora in attività il cui nome era già emerso nelle precedenti indagini.

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Si tolsero tutti le maglie

Preziosi e Genoa deferiti

Il club rischia una piccola penalizzazione o una forte multa,

i giocatori un'ammenda. E' di Sculli la posizione più grave

«Con il Genoa due pesi e due misure. Non ci sto a essere ċornuto e mazziato»

di MAURIZIO GALDI (GaSport 13-09-2012)

«Si tratta di un caso senza precedenti, che farà sicuramente giurisprudenza, con l'aggiunta del deferimento di massa per quasi tutta la rosa della prima squadra del Genoa», Mattia Grassani, l'avvocato della società ligure e del presidente Enrico Preziosi sintetizza così la decisione della Procura federale, di portare a giudizio sportivo sedici calciatori, la società, il presidente e il team manager. E il presidente Preziosi tuona: «Ora basta perchè con il Genoa vengono sempre usati due pesi e due misure, guardate cosa era accaduto nel derby a Roma perchè si erano inventati un morto e nessuno li ha deferiti. Non accetto di essere mazziato e ċornuto perchè se le forze dell'ordine hanno usato il buon senso anche noi in campo lo abbiamo fatto». Davanti alla Disciplinare e poi alla Corte di giustizia federale sarà un altro maxiprocesso, ma questa volta non c'entra il calcioscommesse, ma il rispetto della «maglia».

I deferimenti I fatti sono noti a tutti: all'8' del secondo tempo della partita Genoa-Siena un gruppo di ultrà entrò nei distinti e chiese ai calciatori di togliersi le maglie. I calciatori cominciarono a farlo e Sculli andò poi a parlare con i capi ultrà e la contestazione non ebbe ulteriori sviluppi. Poi fu il caos. Chi aveva dato l'ordine di togliersi le maglie. Palazzi non ha dubbi c'è comunque la violazione dell'articolo 1 del codice di giustizia sportiva e da questo scatta il deferimento. Grassani spiega: «Non ce lo aspettavamo ma siamo assolutamente convinti di poter dimostrare la totale estraneità del club e dei tesserati da qualsivoglia addebito».

Ruoli diversi In realtà il Procuratore federale Stefano Palazzi ha disposto quattro diversi deferimenti con «motivazioni» diverse che dovrebbero portare anche a richieste diverse di sanzioni. Intanto vediamo cosa può rischiare il club. Il ventaglio di possibilità è enorme, ma non si può escludere che possa arrivare una penalizzazione anche se piccola, o una multa molto pesante. Il presidente Preziosi potrebbe avere una inibizione, così come il team manager Salucci. I calciatori Frey, Granqvist, Rossi, Palacio, Mesto, Bovo, Kucka, Gilardino, Biondini, Veloso, Bischofe, Birsa, Kaladze, Jorquera, Antonelli dovrebbero rischiare un'ammenda anche il capitano Rossi potrebbe anche prendere qualche giornata di squalifica. Chi rischia di più è Giuseppe Sculli. Nei suoi confronti Palazzi è durissima e a inchiodarlo ci sono anche le relazioni della polizia di Genova: ha reso dichiarazioni «non veritiere» alla Procura federale e soprattutto «sapeva» della protesta dei tifosi. Il mentire alla Procura federale viene in genere ritenuto grave dagli organi di giustizia sportiva e i precedenti vedono squalifiche di un anno per chi ha «reso dichiarazioni non veritiere», a questo Sculli potrebbe aggiungere anche l'aggravante di non aver avvertito la società e la Digos delle intenzioni dei tifosi, una sorta di omessa denuncia.

Altre aggravanti Il quadro dell'accusa, comunque, viene reso molto più pesante anche dalla gestione dei fatti soprattutto per quanto riguarda «l'occupazione» da parte degli ultrà del settore distinti attraverso un varco che era stato aperto dall'interno e non sfondato visto che nella relazione si legge che alla Procura «in seguito veniva fornita una versione parzialmente diversa dei fatti accaduti». Inoltre dall'attività della Procura sono emersi anche altri atti di violenza nei confronti dei calciatori e anche che uno di essi era stato anche schiaffeggiato presso il campo di allenamento di Pegli.

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Il caso

Maglie ai tifosi, cinque mesi

per deferire tutto il Genoa

A giudizio Preziosi e sedici giocatori: "Sculli sapeva dei tumulti". Procura ancora lenta

di GESSI ADAMOLI (la Repubblica 13-09-2012)

GENOVA - Ancora un caso di incredibile lentezza nella giustizia sportiva, occorrono infatti quasi cinque mesi per deferire il Genoa (per responsabilità diretta e oggettiva), il suo presidente Preziosi, il team manager Salucci e 16 giocatori per i fatti relativi alla partita con il Siena. Eppure cos´era successo quel giorno a Marassi era sotto gli occhi di tutti, le immagini del capitano Marco Rossi che, con i capelli arruffati e lo sguardo perso nel vuoto, tiene in mano le maglie da consegnare agli ultrà avevano fatto il giro del mondo. Così come quelle di Sculli che si arrampica sulla griglia e viene a patti con i tifosi.

Nel dispositivo del deferimento si legge che il procuratore federale Palazzi ha avviato l´attività istruttoria solo dopo aver ricevuto, il 13 luglio scorso, gli atti dalla Procura della Repubblica di Genova. Carte dalle quali emerge che "Sculli era a conoscenza dell´organizzazione preventiva della contestazione nonché della preordinazione dei tumulti per la gara Genoa-Siena, perché riferitagli direttamente da uno dei capi ultrà della tifoseria del Genoa e per aver poi intrattenuto contatti con alcuni esponenti della tifoseria ultrà».

La posizione di Sculli, che era stato intercettato mentre parlava al telefonino con un capo ultrà, è certamente la più delicata. Quanto al presidente Preziosi, Palazzi l´accusa non solo di non essersi opposto al fatto che i suoi giocatori si togliessero le maglie, «cedendo così ad un´illegittima pretesa e di fatto legittimando un comportamento violento, intimidatorio ed aggressivo da parte di sedicenti tifosi», ma addirittura di averli invitati a farlo.

Un deferimento di massa che non ha precedenti. L´avvocato Grassani, il legale al quale il club rossoblù si è rivolto, ammette che è impossibile fare previsioni sulle eventuali pene: «Non esistendo una casistica si rischia dall´ammonizione alla radiazione. Viene infatti contestata la violazione dell´articolo 1, quello della lealtà sportiva, che ha un ampio spettro sanzionatorio».

Nessuno al Genoa si aspettava questo deferimento, che arriva proprio il giorno dopo l´archiviazione dell´inchiesta sul derby da parte della Procura della Repubblica di Genova: «Da vittime adesso diventiamo addirittura complici, com´è possibile che giocatori come Granqvist o Jorquera che non parlano una parola d´italiano fossero conniventi con gli ultrà. E Mesto? L´hanno visto tutti che ha avuto una crisi di nervi e che piangeva come un bambino». Preziosi in serata attacca: «Verrebbe voglia di mollare tutto. Nessun rispetto per il Genoa, mentre a Roma gli ultrà e i due capitani sospesero un derby». I 16 giocatori deferiti sono Frey, Granqvist, Rossi, Palacio, Mesto, Bovo, Kucka, Gilardino, Biondini, Veloso, Zè Eduardo, Birsa, Kaladze, Jorquera e Antonelli. Mancano solo Alhassan, sostituito nel primo tempo, e Lupatelli.

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Calcio, combine e clan

La caccia non è finita

A Bari nuove indagini sui conti bancari

di VINCENZO DAMIANI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 13-09-2012)

BARI — La prima fase dell'inchiesta bis sul calcio scommesse, dedicata agli interrogatori, è terminata con l'audizione di Antonio Conte (ascoltato come persona informata dei fatti), ma le indagini di carabinieri e Procura di Bari vanno avanti. Dagli interrogatori di 25 ex calciatori biancorossi (tutti indagati per frode sportiva) sono emersi nuovi elementi e, soprattutto, qualche conferma alle rivelazioni fatte da Andrea Masiello su altre partite giocate dal Bari nei campionati 2007-2008, 2008-2009, sino all'ultima serie A disputata dal club barese. Match che alcuni ex giocatori pugliesi avrebbero deliberatamente perso sul campo per incassare cifre non indifferenti, sino a 250mila euro per Salernitana-Bari. Adesso i carabinieri stanno svolgendo ulteriori accertamenti, a cominciare dalle verifiche bancarie per individuare quale giro abbiano fatto i soldi, chi li ha effettivamente incassati e da dove provenivano.

Gli inquirenti, infatti, sono convinti che il danaro non sia stato offerto solamente dai calciatori delle squadre interessate ad ottenere i tre punti contro il Bari (vedi Salernitana): a lucrare sarebbero stati anche scommettitori e malavita. Per questo motivo, gli investigatori stanno passando al setaccio i conto correnti dei giocatori, per individuare chi ha accettato di taroccare le partite sott'accusa, ma anche quelli di altri sospettati, di persone che avrebbero ottenuto le informazioni sicure sui risultati dei match incriminati. Ricostruendo i flussi di danaro, gli inquirenti sperano di ricostruire la vasta rete di scommettitori che avrebbe lucrato sulle sconfitte del Bari decise a tavolino.

Intanto, sul fronte della giustizia sportiva il club biancorosso si prepara ad incassare un'ulteriore penalizzazione da scontare sulla classifica attuale. Lunedì prossimo, quando i pugliesi si staranno preparando a scendere in campo a Varese, si conoscerà quanti punti verranno sottratti per le pregresse inadempienze Irpef (trimestri aprile-giugno / ottobre-dicembre 2011 e gennaio-marzo 2012).

La forbice oscilla tra i due e i tre punti, per limitare i danni la dirigenza sta studiando la strategia difensiva: ad esempio, l'accordo raggiunto con l'agenzia delle Entrate per dilazionare il pagamento dei debiti potrebbe essere premiata dalla commissione disciplinare.

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THE TIMES 13-09-2012

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Lo stadio, l’indagine

Sabotaggio, inchiesta sul prato del San Paolo

All’esame dei pm i contratti con le società di manutenzione. Sullo sfondo il caso del boss Lo Russo

Il fascicolo La Procura rimette insieme tutti i tasselli di diversi episodi di teppismo

di LEANDRO DEL GAUDIO (IL MATTINO 13-09-2012)

Il virus che ha divorato l’erba del San Paolo, i contratti tra la società Calcio Napoli e due ditte di giardinieri che si sono avvicendate nella cura del manto di Fuorigrotta. E non solo. Anche l’improvviso black out di alcune telecamere interne allo stadio napoletano, i rapporti tra club e tifo azzurro, specie quello capace di fare la voce grossa firmando episodi che nulla hanno a che vedere con le sorti calcistiche della squadra di casa.

Eccoli i punti che hanno spinto la Procura di Napoli a non lasciare nulla di inesplorato sotto il profilo investigativo, tanto da aprire un’inchiesta che prende le mosse da quanto accaduto due domeniche fa, nel corso del match Napoli-Fiorentina.

Centomila euro di danni, tanto è costato portare le zolle da Milano a Napoli in vista della prossima partita casalinga. Cosa c’è dietro le condizioni del prato? Colpa o dolo? Da ieri c’è un fascicolo, un nucleo di polizia giudiziaria investito del problema. La Procura ha infatti delegato un’attività di accertamento conoscitivo alla Digos del primo dirigente Filippo Bonfiglio, nel tentativo di rimettere insieme i tasselli di una storia che ha danneggiato nelle casse e nell’immagine la società calcio Napoli. Nessuna ipotesi di reato preconfezionata, tanta voglia di capire, di mettere a fuoco.

Indagine condotta dal pm Antonello Ardituro, magistrato di punta del pool anticamorra, ma anche da anni impegnato al fianco dei colleghi del pool reati da stadio, gruppo di pm guidato dal procuratore aggiunto Gianni Melillo. Qualche punto di domanda: cosa ha consumato l’erba del San Paolo? Un fungo? Un errore di manutenzione o cosa? È possibile sostenere l’ipotesi sabotaggio, come per altro accennato da alcuni componenti del mondo politico-amministrativo cittadino? E non è solo una questione di manto erboso. C’è un legame tra il caso Napoli-Fiorentina e lo stop delle telecamere interne all’impianto partenopeo? Siamo tornati ai tempi dei petardi di Napoli-Frosinone, quando un gruppo di teppisti provò a taglieggiare il Napoli o c’è dell’altro? Si rileggono le carte, non è impossibile immaginare le prossime mosse investigative. Si va dall’analisi del cambio di ditta di giardinaggio dello scorso anno, sotto i colpi del clamore mediatico dettato da un episodio non ancora del tutto chiaro: la presenza a bordo campo, durante le partite del Napoli, di Antonio Lo Russo, rampollo latitante dell’omonimo clan dei cosiddetti «capitoni» di Secondigliano. La storia è nota e c’entra - ovviamente solo per inciso - l’erba del San Paolo: Lo Russo jr aveva una pettorina da giardiniere e poteva stazionare a bordo campo durante le partite del Napoli grazie all’amicizia del titolare della ditta di giardinaggio che fino a qualche tempo fa curava il tappeto verde di Fuorigrotta. Rapporti di amicizia gli hanno consentito di stare a pochi passi dal campo, ma anche di mostrarsi come capo ultrà, almeno secondo quanto ricorderà Lavezzi ai pm di Napoli nel corso di un’altra inchiesta: «Ricordo la foto di Antonio Lo Russo, è un tifoso, veniva a trovarmi a casa, era un ultrà». Il figlio del boss della camorra aveva libero accesso al San Paolo, grazie all’amicizia del capo dei giardinieri.

Tanto clamore, troppo clamore, possibile che ora la Procura voglia ascoltare i protagonisti di questa e di altre vicende. Possibile che voglia incontrare i vertici societari, rileggere le note di polizia e carabinieri sugli incontri interni del Napoli disputati nel corso degli ultimi mesi. Si procede con il bisturi, anche se la sensazione di molti è la stessa di qualche anno fa: esistono zone franche lì al San Paolo, troppi punti oscuri, che ora spingono gli inquirenti ad aprire una sorta di fascicolo contenitore, a partire proprio dalla prima casalinga del Napoli.

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Lo scenario

Videocamere e ingressi facili

nel mirino l’impianto colabrodo

Da mesi arrivano in Procura esposti che chiedono

di far luce sull’attività degli occhi elettronici

di GIUSEPPE CRIMALDI (IL MATTINO 13-09-2012)

Lo stadio colabrodo, quello nel quale si riesce a entrare portandovi all’interno di tutto (droga e armi comprese), facendosi spesso beffe non solo dei cordoni di prefiltraggio delle forze dell’ordine, ma persino degli impianti di videosorveglianza.

Non molti mesi fa proprio sugli aspetti legati al funzionamento della rete di telecamere a circuito chiuso la Procura di Napoli delegò la polizia a indagare per verificare - appunto - il corretto funzionamento di uno strumento diventato indispensabile anche e soprattutto per identificare, sia internamente che esternamente allo stadio San Paolo, eventuali ultrà facinorosi che si rendessero protagonisti di intemperanze, quando non addirittura di veri e propri fatti violenti. Non a caso, proprio in pieno svolgimento della Champions League - e precisamente in occasione della partita contro gli inglesi del Manchester City - fu grazie al corretto funzionamento degli impianti che si riuscì a evitare un vero e proprio agguato programmato da parte di un gruppo di violenti supporter azzurri ai danni di alcuni turisti londinesi in trasferta a Napoli.

Eppure, ciclicamente, negli uffici della Procura giungono esposti e denunce in cui si chiede di «far luce» sulla videosorveglianza dell’impianto di Fuorigrotta. Talvolta si tratta della (prevedibile) «guerra» che riporta a ditte concorrenti; ma in qualche altro caso gli approfondimenti dei pm puntano a verificare la presunta mancata manutenzione di questa fondamentale rete di «occhi indiscreti» capaci di scrutare e definire anche i minimi particolari di personaggi che si muovono sugli spalti e all’esterno delle curve. Il sospetto - essendo le centraline sistemate per strada, esternamente alla cinta dell’impianto sportivo - resta sempre lo stesso: boicottaggio. Ma, e anche questo va detto, mai come in questo momento il funzionamento dell’impianto di sorveglianza videoregistrata al San Paolo procede con una copertura del cento per cento, senza creare inconvenienti al lavoro delle forze dell’ordine.

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L’allarme di Foti

divide Lega e Aic

La proposta del presidente della Reggina di poter ridiscutere i contratti per tutelare le società

in crisi riapre il dibattito. Ma non bisognerà incidere sui diritti dei calciatori. Parti distanti

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 13-09-2012)

Lillo Foti ha lanciato il sasso nello stagno: i giocatori che rifiutano i trasferimenti garantiti dai vecchi contratti appesantiscono i bilanci delle società. Al patron della Reggina, che aveva parlato attraverso il nostro giornale, rispondono Damiano Tommasi, presidente dell’Aic, cioè la controparte, e Andrea Abodi, capo della Lega di Serie B. Il tema è destinato inevitabilmente a dividere, nonostante l’ottimismo quasi istituzionale di Abodi. La questione lo scorso anno rese incandescente e fece incagliare la trattativa tra Serie A e calciatori per il rinnovo dell’accordo collettivo.

Nel frattempo, la crisi economica che sta attraversando non solo il nostro Paese ha notevolmente complicato la situazione, mentre il mercato estivo è stato asfittico e assolutamente lontano dai tempi migliori con poche operazioni e un giro d’affari irrilevante. Foti lo ammette: i presidenti portano sulle loro spalle una parte cospicua di responsabilità per scelte del passato. Ma il latte è stato versato e bisogna trovare una soluzione ragionevole. A fronte della responsabilità dei club, bisogna segnalare una certa tendenza dei calciatori a guardare la realtà con gli stessi occhiali di qualche anno fa, quando le vacche erano grasse. E’ una strettoia da cui non sarà facile uscire perché un nuovo atteggiamento da parte dell’Aic non potrà che essere figlio di un mutamento di registro da parte delle società nella programmazione tecnica (e quindi, economica). Insomma, se gli uni devono mostrare maggiore realismo, gli altri devono esibire maggiore coerenza.

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Il presidente della Lega di B

Abodi: I nodi da sciogliere?

Trasferimenti e rescissioni

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 13-09-2012)

«Le preoccupazioni di Foti sono patrimonio dell’intera categoria». Andrea Abodi, presidente della Lega di B, conferma la denuncia del presidente della Reggina («Le situazioni sono differenziate, ma è chiaro che i rifiuti ai trasferimenti opposti da calciatori con vecchi contratti appesantiscono i bilanci») ma è fiducioso di poter trovare un’ intesa sul tema con l’Associazione Calciatori.

Presidente, come considera quel grido di dolore?

«E’ un problema diffuso, riguarda le nostre società e riguarda anche la A. Noi stiamo cercando da un lato di consolidare i ricavi e dall’altro di razionalizzare i costi. Stiamo provando a realizzare questi obiettivi usando gli strumenti del nuovo accordo collettivo e puntando sui giovani. Ma ci sono nodi irrisolti che non dipendono dall’attività negoziale ma dagli strumenti».

In dettaglio?

«I temi che abbiamo posto all’attenzione dell’Aic sono due: i rifiuti al trasferimento a parità di garanzie; la possibilità di rescindere contratti medio-lunghi sulla base di condizioni pre-determinate. Su questi temi c’è un dialogo aperto con l’Associazione Calciatori».

Ne è sicuro?

«Noi con Tommasi ci confrontiamo continuamente, con grande serenità, a trecentosessanta gradi. Abbiamo fatto un accordo collettivo molto innovativo che lascia spazio ad ammodernamenti nel corso del triennio».

Lei vuol dire che potreste inserire già nell’acccordo collettivo in vigore delle norme capaci di risolvere il problema sollevato da Foti?

«Sì, potremmo inserire anche in questo accordo soluzioni nuove sull’argomento sollevato dal presidente della Reggina. Abbiamo necessità di innovare anche su altri fronti».

Quali?

«Abbiamo necessità di inserire più forti tutele economiche a favore delle società in presenza di illeciti sportivi. L’accordo in vigore prevede che i contratti si possano rescindere non solo in presenza di una vicenda di doping ma anche quando un calciatore viene riconosciuto colpevole di aver partecipato a una combine. Il meccanismo può essere attivato dopo il giudizio di primo grado. Ma dal momento della contestazione dell’accusa a quello della condanna, il club continua a pagare lo stipendio. Ecco, bisogna creare un meccanismo per risarcire in qualche maniera la società».

La questione sollevata da Foti, però, lo scorso anno fece saltare il negoziato tra la A e l’Aic. E’ proprio sicuro che Tommasi possa essere disponibile a inserire delle novità nella direzione indicata da Foti?

«Della questione tra di noi si parla da tempo. Credo che prima o poi dovremo arrivare a un confronto tra Consiglio di Lega e Aic. C’è disponibilità. Poi quale potrà essere la conclusione di questo confronto non sono in grado ora di prevederlo».

-------

Il presidente dell’Aic

Tommasi: Chi ha sottoscritto

i contratti dovrà rispettarli

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 13-09-2012)

«Quei contratti sono stati liberamente sottoscritti e chi li ha sottoscritti ha l’obbligo di rispettarli». Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, sembra «spegnere» l’ottimismo di Andrea Abodi. Per L’Aic la questione non può essere affrontata nella maniera in cui i club sembrano intenzionati a metterla sul tavolo del negoziato. Ammesso e non concesso che un negoziato possa essere avviato.

Presidente, che idea si è fatto del «grido di dolore» lanciato da Foti?

«La questione sollevata dal presidente della Reggina la conosciamo perfettamente, siamo in contatto con i ragazzi titolari di quei contratti che Foti vorrebbe risolvere. Dell’argomento ho anche parlato personalmente con il presidente. Ma i contratti nel suo mirino sono stati liberamente sottoscritti. E non sono nemmeno particolarmente vecchi».

Cioè sono stati firmati nell’ultima stagione?

«Alcuni di quei sette anche nell’ultima. In ogni caso, i più antichi risalgono al 2009, gli altri sono stati sottoscritti negli ultimi due anni. Insomma, tutti sono stati firmati quando la Reggina era già in B».

Conclusione?

«I contratti vanno rispettati. D’altro canto, le società hanno un vantaggio dagli accordi pluriennali, possono allungare i tempi di ammortamento dei costi sostenuti per l’ingaggio del calciatore. Ma c’è, poi, il risvolto della medaglia: una volta firmati, bisogna portarli a termine».

Però sui bilanci dei club pesano...

«Ma le colpe non sono dei calciatori. Il fatto è che non ci sono limiti alla moltiplicazione dei contratti. Soprattutto le società non se li pongono confidando poi nella possibilità di cedere i giocatori in esubero nel corso del mercato. Il contratto di lavoro impegna tutte e due le parti sino a una certa data. Così come il calciatore ha l’obbligo di andare in campo, allo stesso modo la società ha l’obbligo di pagargli lo stipendio per tutte le stagioni previste dall’accordo».

Eppure il capo della Lega, Abodi, è convinto che su questo argomento si possa avviare un confronto.

«Noi abbiamo sempre detto che l’articolo 7 lo difenderemo con le unghie e con i denti. Il contratto pluriennale non può essere sciolto unilateralmente. Non lo può fare il calciatore, non lo può fare il presidente. Anzi, il presidente può farlo...»

Come?

«Pagando sino all’ultimo euro gli importi previsti dall’accordo pluriennale».

Non c’è soluzione?

«La soluzione c’è: legare i calciatori ai club con contratti annuali. Ma le società puntano a trasformarli in patrimonio e con i contratti annuali non ci riuscirebbero. Foti lo ha detto chiaro e tondo: la Reggina sopravvive grazie alle plusvalenze. Ripeto: il contratto è liberamente sottoscritto da due parti, una delle due non si può svegliare al mattino e dire: non vale più».

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Scommesse, caccia al tesoro in Svizzera

Inchiesta a Berna per riciclaggio: i soldi sul conto di un calciatore italiano

Nuovi sviluppi attesi dal ritorno imminente di Gegic in Italia. È gelo tra gli inquirenti e la Figc per la gestione dei processi

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 13-09-2012)

Seguendo i soldi, inevitabilmente si arriva in Svizzera. E anche la storia sempre più ingarbugliata del calcioscommesse italiano non è sfuggita alla regola. Così nessuno si è stupito quando, nei giorni scorsi, al tribunale di Cremona è arrivata una maxi rogatoria internazionale avviata dalla procura di Berna Mittelland. Un po´ più di stupore c´è stato quando gli investigatori, leggendo quel documento, hanno capito su cosa stanno indagando i magistrati elvetici: il tesoro del calcioscommesse. La cui forma giudiziaria è quella di un gigantesco caso di riciclaggio, un fiume di euro in transito per la Svizzera attraverso il conto corrente di un giocatore italiano («un giocatore di un certo prestigio, già coinvolto nelle nostre indagini», riferisce una fonte attendibile).

Principale strumento di questo riciclaggio, secondo l´ipotesi della procura elvetica, le scommesse sulle partite combinate in Europa e, in particolare, in Italia, dove l´organizzazione internazionale individuata nell´inchiesta della procura di Cremona era particolarmente attiva. Dopo aver studiato attentamente le carte delle indagini italiane - stando a quanto è stata possibile ricostruire - gli svizzeri hanno avviato una serie di accertamenti su alcuni "personaggi chiave" e avrebbero osservato un movimento alquanto anomalo su un conto cifrato riconducibile al «giocatore di un certo prestigio». Giocatore che nei prossimi giorni verrà interrogato dagli uomini della squadra mobile di Cremona e dello Sco di Roma, guidati dal giudice per le indagini preliminari Guido Salvini. All´interrogatorio, con ogni probabilità, parteciperà anche il procuratore capo Roberto Di Martino, particolarmente interessato ad una indagine che di fatto conferma l´intera intuizione investigativa iniziale, quella di un´organizzazione "transnazionale" in grado di muovere giganteschi capitali in giro per il mondo per poi investirli (e spesso anche "pulirli") attraverso le partite combinate in Italia.

La rogatoria bernese non sarebbe l´unico nuovo spunto dell´indagine "cremonese". Nei prossimi giorni è infatti atteso il ritorno in Italia di Almir Gegic, il "numero due" degli zingari, il braccio destro di Hristian Ilievsky. Le sue dichiarazioni potrebbero essere assai importanti, secondo i pm, e riaprire molte posizioni - anche di primo piano, con squadre e giocatori di serie A - oggi considerate chiuse. Quasi tutti i "de relato" di cui sono piene le dichiarazioni dei pentiti Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni hanno infatti proprio Gegic e gli "zingari" come fonte originaria. A proposito di Gervasoni e Carobbio c´è infine da registrare un certo "fastidio" da parte degli inquirenti «per il modo contraddittorio e parziale» con cui la giustizia sportiva ha trattato le loro dichiarazioni durante i numerosi processi sin qui svolti. Processi dai quali i due pentiti - che continuano ad essere ritenuti attendibili, a livello penale - sono usciti indeboliti.

Chissà se Di Martino & C. si sono infastiditi anche che i loro colleghi di Genova hanno archiviato la "madre di tutte le combine", quella che riguardava Genoa-Samp e per la quale ha inquisito Criscito e messo in gattabuia Milanetto. Come disse Di Martino al proposito? "una verità devastante"? E l'hanno archiviata? Che cattivoni alla procura di Genova. Perchè non ci manda i suoi amichetti Foschini e Mensurati a manifestare le sue rimostranze per avere smontato il castello di scemenze costruito?

Comunque abbiamo capito che tra Procura di Cremona, redazione de La Repubblica e Procura Federale "Pippo" è di casa e guai a chi si permette di metterne in discussione le "fatwa": lo difendono con le unghie e con i denti!

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GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 13-09-2012)

A proposito di Gervasoni e Carobbio c´è infine da registrare un certo "fastidio" da parte degli inquirenti «per il modo contraddittorio e parziale» con cui la giustizia sportiva ha trattato le loro dichiarazioni durante i numerosi processi sin qui svolti. Processi dai quali i due pentiti - che continuano ad essere ritenuti attendibili, a livello penale - sono usciti indeboliti.

Chissà se Di Martino & C. si sono infastiditi anche che i loro colleghi di Genova hanno archiviato la "madre di tutte le combine", quella che riguardava Genoa-Samp e per la quale ha inquisito Criscito e messo in gattabuia Milanetto. Come disse Di Martino al proposito? "una verità devastante"? E l'hanno archiviata? Che cattivoni alla procura di Genova. Perchè non ci manda i suoi amichetti Foschini e Mensurati a manifestare le sue rimostranze per avere smontato il castello di scemenze costruito?

Comunque abbiamo capito che tra Procura di Cremona, redazione de La Repubblica e Procura Federale "Pippo" è di casa e guai a chi si permette di metterne in discussione le "fatwa": lo difendono con le unghie e con i denti!

Hanno venduto pure i diritti cinematografici del loro «romanzo» sul calcioscommesse (lo scrive Pagani del Fatto Q.). Come siam messi bene!

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Moggi bocciato di nuovo

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del'ex direttore sportivo della Juventus, che chiedeva la revoca della radiazione per i fatti di 'Calciopoli'. Adesso dovrà tornare a pronunciarsi sulla questione il tribunale amministrativo del Lazio

di DOMENICO LUSI (l'Espresso.it 12-09-2012)

Nuova battuta d'arresto per Luciano Moggi nella battaglia legale intrapresa contro la Figc per la radiazione decisa in seguito allo scandalo di "Calciopoli". Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di sospendere il provvedimento con cui il 4 aprile scorso l'Alta Corte di Giustizia del Coni aveva confermato per l'ex direttore generale della Juventus il divieto «alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Federazione italiana gioco calcio». Nell'ordinanza con cui ha respinto il ricorso dell'ex dirigente bianconero la Sesta sezione di Palazzo Spada, presieduta da Giuseppe Severini, scrive che non ci sono i requisiti minimi per accogliere la domanda cautelare, né «appare sussistere, anche alla luce della pronuncia della Corte costituzionale dell'11 febbraio 2011, n. 49, la giurisdizione del giudice amministrativo» sulla questione.

Sulla competenza a decidere, secondo i giudici amministrativi di secondo grado, dovrà comunque tornare a pronunciarsi in sede di merito il Tar del Lazio, in una udienza da fissare in tempi rapidi. Nell'ordinanza con cui il 3 agosto scorso aveva respinto il ricorso di Moggi il Tar aveva già stabilito, al riguardo, che la radiazione dell'ex direttore generale della Juventus ha «natura disciplinare» e in quanto tale «rientra nei casi che il giudice delle leggi ha ritenuto sindacabile solo ed esclusivamente dinanzi al giudice sportivo».

Nel ricorso il pool di legali di Luciano Moggi, coordinato dall'avvocato Federico Tedeschini, aveva sostenuto che la radiazione confermata dall'Alta Corte di Giustizia del Coni è prescritta, dal momento che il termine «spirava al concludersi della quarta stagione successiva alla commissione dell'ultimo atto diretto a compiere l'illecito», ovvero il deferimento intervenuto nella stagione sportiva 2005-2006.

Per i difensori dell'ex dg, inoltre, «il Procuratore federale ha automaticamente e senza alcuna attività istruttoria esercitato l'azione disciplinare sulla base delle sentenze rese», mentre avrebbe dovuto «esplicitamente menzionare quali fatti e circostanze, certe e provate» fossero alla base dell'azione. Oltre alla sospensione della radiazione, Moggi chiedeva il riconoscimento di un risarcimento per il danno all'immagine a lui derivato da una decisione che nel ricorso definisce illogica, contraddittoria e contraria alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo «perché è fin troppo evidente che il trattamento riservato al ricorrente ha avuto, anche sotto il profilo processuale, carenze gravissime rispetto ai parametri europei, oltreché della giustizia nazionale». Anche di questa questione dovrà occuparsi adesso il Tar nell'udienza di merito.

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As Roma: possibile delisting per nuovo stadio

di LUCIANO MONDELLINI (MILANO FINANZA 10-09-2012)

Un futuro senza borsa, ma con la possibilità concreta di avere uno stadio di proprietà tutto nuovo da oltre 50 mila spettatori. È questo lo scenario probabile che si profila all’orizzonte per la nuova Roma di James Pallotta, il businessman americano eletto presidente del club lo scorso 27 agosto, che sta cercando di far entrare stabilmente il club giallorosso nel gotha del calcio europeo.

L’idea di fondo è quella di creare un progetto che possa crescere stabilmente nel tempo e che possa essere il più possibile indipendente da quelli che sono i risultati contingenti della squadra. Per questo, oltre alla gestione sportiva, nella nuova Roma si darà grande importanza alle politiche commerciali, che peraltro potranno sfruttare il know-how in termini di marketing arrivato in dote con la nuova proprietà americana. Queste strategie punteranno, in particolare, a sfruttare al meglio non solo l’appeal della Città Eterna nel mondo, ma anche il fatto che l’As Roma è tra le poche società calcistiche in Italia che può contare su un bacino di oltre 1 milione di tifosi nella città di riferimento.

Il primo passo della nuova politica potrebbe essere il delisting da Piazza Affari. Il club al momento è controllato al 78% dalla Neep Roma Holding, un veicolo a sua volta posseduto per il 60% dai soci americani guidati da James Pallotta e per il restante 40% da Unicredit. Ciò significa che il flottante sul mercato è abbastanza limitato e, siccome il titolo non registra grandi volumi nelle contrattazioni, è altamente probabile che l’azione della squadra giallorossa possa presto lasciare il listino milanese. L’ipotesi peraltro troverebbe d’accordo gran parte degli addetti ai lavori. Infatti, dopo l’euforia dei primi anni 2000, molti analisti finanziari e numerosi dirigenti di società calcistiche ritengono ormai tramontata l’epoca del calcio in borsa. Se infatti, è vero che il Manchester United è tornato sul listino quest’anno (a New York), è altrettanto vero che la maggioranza degli analisti ha giudicato questa operazione mancante di una vera logica economica reputandola un semplice mezzo di reperire risorse dai tifosi più accaniti. Inoltre non è un mistero che molti altri club europei quotati, la Juventus tra questi, abbiano già valutato attentamente l’opportunità di uscire dai listini regolamentati.

Prima però di arrivare al delisting del club i grandi soci della As Roma dovranno portare a termine altre incombenze. La prima in ordine di tempo è l’aumento di capitale da 50 milioni che dovrebbe partire nelle prossime settimane. Una pratica che non dovrebbe comportare grandi difficoltà, visto che i soldi (20 milioni da Unicredit e 30 dai soci americani) sono già stati versati nelle casse societarie, ma il perfezionamento è stato fatto slittare dalla data prevista di fine luglio per non sovrapporsi con la campagna acquisti. Più incerto, invece, appare l’esito della ricerca che sta conducendo Unicredit per trovare un terzo socio forte. Paolo Fiorentino, chief operating officer dell’istituto di credito milanese e uomo di riferimento della banca nella società giallorossa, vorrebbe infatti ridurre la quota di Unicredit nell’As Roma di circa il 20 o il 30% e per questo sta cercando un azionista disposto a subentrare. L’ideale sarebbe un socio dell’Estremo Oriente o arabo che potesse aprire i mercati asiatici alla penetrazione commerciale del brand giallorosso. Oppure, sulla falsariga di quanto fatto dall’Inter con i soci cinesi, che potesse garantire alla Roma la costruzione di un nuovo stadio. Un eventuale impianto di proprietà, d’altronde, potrebbe rappresentare il vero volano per far lievitare i ricavi. Pertanto non sorprende che il club giallorosso abbia già incaricato l’advisor Cushman&Wakefield (società peraltro controllata dalla Exor della famiglia Agnelli) di valutare i progetti per uno stadio che potrebbe arrivare a contenere oltre 50 mila spettatori. «L’As Roma, d’altronde, è una delle poche società in Italia che può vantare oltre 1 milione di tifosi nella propria città di riferimento», spiega a MF-Milano Finanza il tedesco Christoph Winterling, ex manager Adidas che è responsabile marketing per la società giallorossa da gennaio. La Roma preferirebbe location situate in zone ben connesse con le principali arterie della città, in modo che si possa agevolare afflusso e deflusso dei tifosi. Al momento le ipotesi si contano sulle dita di una mano. Tuttavia, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, recentemente se ne sarebbe aggiunta un’altra. L’Eni, infatti, avrebbe proposto alla Roma di utilizzare l’area dell’ex gasometro a Testaccio. L’offerta, che se realizzata avrebbe la suggestione di riportare a giocare la squadra capitolina nel quartiere che le ha dato i natali, avrebbe però poche chance di concretizzarsi anche perché la bonifica dell’area comporterebbe non pochi problemi.

In questo quadro il merchandising, cresciuto del 40% sotto al guida di Winterling, e le attività commerciali collaterali rivestiranno un peso sempre maggiore nell’economia del club. In particolare, la Roma punta molto sui bambini per far crescere un progetto volto a rafforzare ulteriormente il radicamento che il club ha con la città e in questo senso non va sottovalutato che il club può già vantare un accordo con la Disney che comporterà nelle vacanze di Natale il viaggio della squadra a Disneyworld a Orlando (Florida). Sempre in tema di merchandising i dirigenti del club capitolino cercheranno inoltre di combattere il mercato del falso (che rappresenta uno svantaggio competitivo dei club italiano rispetto ai concorrenti europei) grazie a un’opera di sensibilizzazione che punterà a far capire ai tifosi che acquistare una maglia originale del club, per quanto sia molto più costosa rispetto ai falsi venduti al di fuori dell’Olimpico, rappresenta un modo concreto per sostenere la propria squadra, almeno quanto un coro sulle gradinate dello stadio.

___

Calcio, politica, finanza

e l'autogol di Zeman

L'ultimo attacco del boemo al sistema calcio e i legami tra la Roma e Unicredit e il ruolo della politica nella crisi che portò quasi al fallimento del club nel 2009

di GIOVANNI CAPUANO (PANORAMA.IT 13-09-2012)

Romantico e personaggio fino in fondo. Uomo che non riesce più a sottrarsi al ruolo di oracolo e finisce quasi con l'esserne diventato prigioniero se è vero che, anche in un momento in cui la sua Roma sta crescendo circondata da consensi ed entusiasmi, Zdenek Zeman continua a far parlare di sè soprattutto per le sue bordate anti-sistema. L'attacco al presidente federale Abete e agli intrecci pallone-politica-finanza rischia, però, di essere un vero autogol per il boemo.

Zeman siede infatti sulla panchina della società che è il simbolo dell'influenza di politica e finanza nel mondo del calcio. A chi parlava quando ha detto che "i club non dovrebbero essere quotati in Borsa" e "il calcio dovrebbe star fuori dalla finanza e dalla politica"? Di sicuro non ai suoi dirigenti. La Roma è quotata in Borsa dal 23 maggio 2000, unica società italiana insieme a Lazio e Juventus. Certo, i risultati danno ragione al boemo considerato che il titolo fu collocato a 5,50 euro e oggi vale poco più di 60 centesimi (-89%), però il delisting di cui i vertici di Unicredit hanno parlato nei mesi scorsi non è ancora nemmeno un progetto e, per paradosso, proprio l'avvento di Zeman ha rilanciato le azioni che nell'ultimo mese hanno fatto segnare un performance record da +32%.

E di sicuro sottolineando la necessità di tenere la finanza fuori dal calcio il tecnico boemo non pensava alla composizione azionaria dell'As Roma dove c'è la holding Neep Roma che detiene il 78% delle quote e che a sua volta è divisa tra i soci americani (60%) e Unicredit (40%) con un uomo dell'istituto di credito come Claudio Fenucci presente nel Cda con il ruolo di amministratore delegato.

Del resto, è quasi impossibile scindere la storia recente della Roma da Unicredit e dal ruolo avuto dalla banca nella durissima vertenza con la famiglia Sensi per il rientro dai debiti di Italpetroli sotto cui ricadeva la Roma. Vicenda di trattative estenuanti e compromessi in cui Unicredit alla fine ha accettato di evitare al club il fallimento, pilotarlo verso Di Benedetto e soci e poi restare in società finanziandone anche le perdite. E' accaduto in modo clamoroso nel febbraio 2011 quando con 25 milioni di euro cash fu evitato alla squadra di incorrere nelle penalizzazioni previste dalla Figc per le società non in regola con i pagamenti ai tesserati). O, ancora, quando nell'estate 2010 fu finanziato l'acquisto di Marco Borriello dal Milan (15 milioni) per regalare a Ranieri la punta richiesta. La spiegazione? "Non svalutare il valore dell'asset".

Più di una volta l'intreccio tra Unicredit e la Roma suscitò polemiche e dubbi. E qui entrò in gioco la politica che ora Zeman chiede di tenere fuori. Celebre il tavolo apparecchiato dal sindaco di Roma Alemanno nel novembre 2009 cui si sedettero Mediobanca, Unicredit e i Sensi per cercare una soluzione ed evitare che il crac Italpetroli coinvolgesse anche il calcio. In un paio di occasioni la Lega Nord protestò con tanto di interrogazione al Ministro delle Finanze. Ma come? In piena crisi Unicredit chiude i rubinetti agli imprenditori del Nord Est e aiuta una società di calcio indebitata?

"Pura demagogia" gli rispose Massimo Calearo, uomo del Veneto finito all'Api dopo essere transitato per il Pd. Far fallire la Roma sarebbe stata operazione altamente impopolare. "Questo club non è solo dei Sensi ma è un capitale sociale e collettivo, una sorta di bene comune per la città e per gli oltre due milioni di tifosi fuori dalla Capitale" spiego Paolo Cento, uomo di sinistra alleato con Alemanno al grido 'Salviamo la Roma'. Sintesi perfetta e giova ricordare anche come la passione per i colori giallorossi ha unito le ideologie nel Roma club Montecitorio fondato nel 2003. Presidente onorario Giulio Andreotti, uno che nella storia della Roma e nei passaggi da un presidente all'altro ha contato qualcosa.

La Roma e la politica sono entità vicine, molto vicine. Basta dare un'occhiata alla tribuna autorità dell'Olimpico il giorno della partita. Ci sono parlamentari di destra e di sinistra, senza distinzione. In fondo non è un caso che, quando gli americani hanno annunciato una stretta sui biglietti omaggio ("Vogliamo trattare tutti i tifosi allo stesso modo"), il primo a rispondere sia stato Maurizio Gasparri: "Forse dovrebbero occuparsi di più della squadra". Diretto e immediato. Qualcuno avvisi Zeman prima della prossima esternazione.

Modificato da Ghost Dog

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Banning journalists for doing

their jobs shows Ferguson

has forgotten his union values

by DOUG GRATTON (the game Blog | THE TIMES 13-09-2012)

Sir Alex Ferguson is rightly proud of his family’s working-class roots. His father, Alex Sr, was a worker at the Fairfield shipyard in Govan and his son would later name his Cheshire home after it. Ferguson himself was a toolmaker, initially for a company called Wickman Lang’s before transferring to Remington Rand, an American firm which was famous for its typewriters and electric shavers.

It was there that Ferguson first became active in his trade union – the Amalgamated Engineering Union – and during his six years at Remington, he was involved in two significant labour disputes; the first was in the spring and winter of 1960 over engineering apprentices’ poor rates of pay, an unofficial action that would eventually affect the whole of Britain, and the second four years later over the controversial sacking of a man called Calum Mackay, who had been Remington’s long-standing union convener.

Ferguson, still only 22 in 1964, would take over from Mackay as the toolmakers’ shop steward, and although there is some debate over the extent of his leadership of that particular dispute, the man himself was unequivocal about his role. “Nobody else was stepping forward to organise the protest against what had been done to Calum, so there was no option but for me to accept the job and get the troops out on strike,” Ferguson would later write in his autobiography, Managing My Life.

Fresh from securing a historic treble of Premier League title, FA Cup and Champions League with Manchester United in 1999 and a knighthood from the Queen, Ferguson would also come to reflect that his membership of a trade union and the decision to rail against “the kind of injustice done to our shop steward” was less about “me being anti-Establishment” and more a question of fairness.

“Any proper trade union background is about the fairness of how the worker is treated and that was uppermost in my mind,” he said.

“There were many things that I disliked about trade unionism in my time before I became a professional footballer. The continual strikes, which were for no benefit, had no rhyme or reason and which helped to destroy the union, were totally counter-productive.

“It was the fight for the unfairness of things that always got to me. I was prepared to stand up against the unfairness of things and I think the reason for knighting someone like myself is because of the fairness of the British people.”

Establishing a clear line on Ferguson’s stance on fairness and perceived injustices as far as the rights of workers are concerned is necessary when examining the United manager’s decision last month to ban two more journalists from his weekly Friday press conferences at the club’s Carrington training ground.

The sight of Ferguson excluding reporters and newspapers from his personal fiefdom is nothing new. Indeed, it has been such a frequent occurrence down the years that barely an eyelid tends to be batted when the news circulates, and in those cases where a salacious untruth has been reported, Ferguson’s behaviour has sometimes been met with a degree of understanding.

But the decision to ban Mark Ogden, the Daily Telegraph’s Northern Football Correspondent, and Paul Hetherington, of the Daily Star Sunday, resonated because it was seemingly the first time Ferguson has meted out such a punishment for writers reporting factually accurate stories.

The pair had discovered through sources that Rio Ferdinand had suffered an injury in training and wrote on Sunday August 18 that the defender would miss United’s opening game of the new Barclays Premier League season away to Everton the next day. Ferdinand was duly absent, with Ferguson having to draft Michael Carrick into central defence as United slumped to a 1-0 defeat.

By way of defending his actions, it is thought Ferguson argued that the leaking of Ferdinand’s injury handed David Moyes, his Everton counterpart, a tactical advantage and that in the interests of protecting his team, he had no choice but to exclude the journalists responsible for the story.

It is not an entirely unreasonable explanation from a man whose mistrust of leaks and desperation to keep information “in house” has bordered on the obsessive. The extent to which Ferguson has managed to successfully exert almost total control at Old Trafford is one of the rewards of longevity and a significant factor in his profound success.

Yet there is exerting control and there is undermining the very principles you have held dear for much of your life, and by banning two journalists for doing their jobs properly, Ferguson is guilty of the kind of unfairness and injustice he once protested against.

That is not to say being omitted from a Friday press briefing is anything like as serious a matter as a worker losing his job on unfair grounds, just as United fans could not care less how Ferguson conducts himself so long as his team continue winning.

But the intention is not to draw sympathy but to illustrate the rank hypocrisy at the core of Ferguson’s actions in this case, one considered so disconcerting that it has been met with uneasiness by many at Old Trafford and even found itself on to the pages of Private Eye.

Ferguson is no stranger to venting his spleen when something happens that he does not like or, moreover, something happens that he considers a direct threat to United. In so many ways, that is an admirable quality. But raging against an authority, official or a referee - unpleasant as it may be for that person - does not prevent them from being able to do their job. Banning a reporter for doing their job properly does, though.

There is much to admire about Ferguson. Often lost amid this image of the United manager as some sort of fire-breathing tyrant is a man capable of great compassion and warmth. When a fellow reporter who regularly covers United suffered a stroke a few years ago, Ferguson took the time out to record a personalised video message wishing him a swift and speedy recovery.

“There’s a lot there to like,” Hugh McIlvanney, the esteemed sports writer and Ferguson’s collaborator on Managing My Life, has said. “He is often misrepresented. He has a huge heart. Alex is one of those guys who, if you were in real trouble, you can be certain would come to the call. When he’s had problems in his own life, that pronounced sense of justice and loyalty has often been at the root of them. Those who know Alex best, like him best, in my experience. I have never met anyone who knew him really well and thought he was a s***. At the same time you have to realise that, in Alex’s mind, if you are not with him, you are against him.”

The journalists who dared to write an accurate injury story were not against him. They were doing their jobs properly. There was a time when Ferguson would have acknowledged that, and perhaps been appalled at the unfairness of somebody trying to prevent them from continuing to do so.

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Nel calcio ora c’è più pulizia ma è solo paura di essere scoperti

"Dopo gli scandali ho visto qualche miglioramento, ma servono più esempi positivi", dice l'allenatore della Roma. "Molti giocatori che hanno guadagnato molto finiscono in mezzo a gente che li sfrutta".

Vittorio Zincone - Sette - Corsera -14-09-2012

Roma, Trigoria. Casa madre dei giallorossi. Intervista di profilo Zdenek Zeman, 65 anni, è seduto accanto a me ma guarda di fronte a sé. Quando una domanda gli interessa in modo particolare, resta in silenzio qualche secondo, si gira lentamente, muove qualche muscolo del volto per formare una specie di sorriso e spara la risposta. Lapidaria.

Solo in due occasioni abbandona questo “schema sfinge”: quando affrontiamo l’esonero del figlio Karel dalla panchina del Fano (“C’è molta invidia in giro. E troppi dirigenti impreparati”) e quando Catia Augelli. portavoce dell’AS Roma, fa capolino per comunicargli che riceve dozzine di richieste di persone che vogliono giocare a golf con lui: “Sono un avversario pericolosissimo”.

Zeman lo Jedi del calcio. Zeman il fustigatore del malcostume. Zeman l’incubo delle difese. Zeman categoria dello spirito. Il coro: “Zeman perchè no!?!”. Antonello Venditti gli ha dedicato una canzone: La coscenza di Zeman. Il Wall Street Journalun lungo reportage : He’s both bohemian an Bohemian. All’inizio del più austero dei campionati a trazione bianconero, è bastato che la sua Roma strapazzasse l’Inter alla seconda giornata per farlo riapparire sulle prime pagine dei quotidiani a caratteri cubitali.

Dopo anni di esilio dalla Serie A, dopo che le sue denunce sul doping, sulla GEA di Luciano Moggi e sull’invasione della finanza gkli avevano inimicato il “sistema calcio”, Zeman è tornato. Con tutto l’armamentario di dichiarazioni ustionanti. Già, perchè da Zeman ci si aspettano verticalizzazioni fulminee in campo e bastonate dialettiche davanti ai microfoni. Anche con Sette non delude le aspettative. Chiedo “A cena col nemico?”. Replica “Perchè dovrei cenare con un nemico?”. Insisto “Andrebbe a cena con Giancarlo Abete, presidente di Federcalcio?”. E lui, dopo aver inserito la modalità sfinge: “perchè no? Abete non è nemico mio. E’ nemico del calcio, non mio”. Bang.

I tifosi dell’Inter lo hanno accolto allo stadio con uno striscione Onore a Zeman icona del calcio pulito. Gli ricordo mentre lo vedo sfogliare le prime pagine del Manuale del calcio (edizioni Fandango) scritto da Agostino Di Bartolomei (leggendario capitano della Roma anni Ottanta, morto suicida nel 1994) che sta per uscire in libreria e che è dedicato proprio alla pulizia del calcio giovanile. Nel libro c’è anche un decalogo. L’ultimo punto è decisamente zemaniano: “Il calcio è semplicità”. Partiamo da quì.

Il calcio è semplicità?

“Dovrebbe essere semplicità”

Non lo è?

“Molti giocatori si complicano la vita. Si vogliono mettere in mostra e far vedere che sanno fare qualche cosa in più”

Succede anche tra i suoi?

“Chi sa di più dovrebbe aiutare chi sa di meno”

Invece?

“Il calcio è sempre di più uno sport individuale. I giocatori pensano: faccio più gol, divento più famoso, guadagno più soldi. Ci sono giocatori che hanno bonus legati alla quantità di rigori che ottengono durante la stagione”

Anche Totti & Co.?

“Non credo. Contratti simili spingono a simulare cadute in area, no?”

“Ago” Di Bartolomei diceva: “Talento e serietà valgono allo stesso modo”

“Ho visto giocatori con talento perdersi e non giocatori diventare giocatori dopo anni di allenamento”

La sua priorità qual’è? La serietà o il talento?

“Serietà e e impegno”

Lei ha la fama di essere molto duro con i suoi giocatori se non si comportano in maniera corretta

“Ci sono giocatori di cui si dice che hanno carattere perchè non si contengono nelle proteste. Il carattere in realtà non c’entra. Devono imparare a dominarsi e a rispettare l’avversario e gli arbitri”

Avrebbe strigliato Totti quando diede un calcione gratuito da dietro a Balotelli?

“Certo. Un allenatore deve cercare di eliminare questi atteggiamenti negativi”.

Attegiamenti negativi. Si è mai pentito di averli denunciati? Lei è stato il primo a parlare di doping, dello strapotere della Gea…

“se un giornalista mi fa una domanda io rispondo quello che penso. Mi dispiace che certe volte le mie dichiarazioni vengono strumentalizzate”

Quando sarebbe successo?

“Con Antonio Conte, per esempio”

Bè, lei quest’estate ha detto che se un allenatore è squlaificato per tanti mesi, non dovrebbe allenare

“Dicevo in generale”

Passare dal generale al particolare non era complicatissimo

“Ci siete passati voi giornalisti. Non io”

Stampa e giornalisti hanno influenzato la sua carriera?

“Soprattutto tra il 1998 e il 2006. In modo negativo”

In quel periodo ha alelnato molte squadre cosiddete minori. E’ finito pure in Turchia, al Fenerbache. Ora è tornato. Osannato. Gianni Petrucci presidente del CONI ha dichiarato “Zeman dice spesso cose che la gente pensa ma non ha il coraggio di dire”.

“Sono contento che Petrucci si accorga che la gente la pensa in maniera diversa da quello che sostengono i vertici”

I tifosi credono che che sia meglio vincere che giocano bene. Lei ha sempre detto il contrario.

“Per me è meglio vincere dimostrandosi superiori sul campo e non fuori dal campo”

Sta parlando di intrighi di palazzo o farmacie?

“Si, di tutto questo”

Gli scandali contribuiscono a fare pulizia? Doping, calcioscommesse….

“C’è qualche miglioramento. Ma temo che sia più per paura di essere scoperti che per convenzione. Servono più esempi positivi”

Bisogna partire educando i giovani dalle scuole calcio?

“Ho sempre spiegato ai miei giocatori il concetto di del collaborare, del recuperare un risultato uniti. La mia “zona” è questo: il contrario di un calcio in cui i giocatori pensano solo al proprio spazietto”

La “sua” Roma è questo?

“Ci sto lavorando”

C’è chi dice “Zeman è cambiato. Non è più quello ultra-offensivista della zemanlandia foggiana e del ferreo 4-3-3″

Il mio pensiero sul calcio non è cambiato. Possono essere cambiati gli interpreti.”

E il suo modo di percepire il derby è cambiato? Disse: “Per me è una partita come un’altra”. E i tifosi giallorossi non le perdonarono quei quattro derby di fila persi con la Lazio alla fine degli annia Novanta.

“Distinguiamo tra tifosi e accecati. la Lazio era una grande squadra che aveva comprato tanti campioni”

Le ha sempre ottenuto risultati migliori alla Lazio (un secondo e un terzo posto) che alla Roma

“La Lazio era penalizzata, ma meno della Roma”

In che senso?

Nel mio secondo anno alla Roma (’98/’99) la squadra perse 20 punti. Non sul campo”

Ha detto più volte che eravate sfavoriti nel cosiddetto “sistema”. Il “sistema” non esiste più?

“E’ quello che mi auguro”

Ora ha l’occasione di rifarsi. E’ per questo che sembra così felice di essere tornato alla Roma?

“Sono felice perchè sono tifoso della Roma. Quando allenavo il Licata a inizio Anni 80 e già facevo giocare un bel 4-3-3 un amico romanista mi ossessionava le imprese dei giallorossi. Non capivo perchè. Quando sono arrivato quì è stato tutto chiaro. la squadra è nei cuori di molti romani”

Dopo solo due giornate, anche i suoi detrattori più accaniti sembrano rinsaviti.

“Un’esagerazione. Ma non mi stupisce. A Roma è facile esaltarsi. Ma anche deprimersi. Serve equilibrio. E io ce l’ho”.

Massimo Moratti ha detto che negli ultimi anni lei è stato vicino a un accordo con l’Inter.

“Molte parole. Ma poi bisogna vedere se ci sono le condizioni per lavorare bene. E non parlo di giocatori da acquistare”

È più facile che un giocatore nasca zemaniano o che lo diventi?

“Sono più quelli che lo sono diventati”.

Baiano, Rambaudi, Vucinic, Immobile, Insigne…

“Ne aggiunga un’altra ventina”

Beppe Signori… Ora indagato per il calcioscommesse.

“L’ho sentito più di una volta. E mi dispiace per quel che è successo. Lui era un esempio positivo. Si è sempre comportato bene. A fine carriera, parecchi giocatori che hanno guadagnato molto, finiscono in mezzo a gente che li vuole sfruttare”.

Sfruttamenti sportivi. Il giorno dopo la vittoria della Roma sull’Inter il titolo giallorosso è schizzato in Borsa del 5% e passa.

“Penso che le società di calcio non dovrebbero essere quotate in borsa. I risultati mi danno ragione. Il calcio deve stare fuori dalla finanza e dalla politica”.

Le hanno mai proposto di fare politica?

“Sì, certo. Ho avuto tante offerte””

Da destra o da sinistra?

“Io non ho mai dichiarato le mie preferenze, ma le proposte sono arrivate da tutti gli schieramenti. È normale: siamo in Italia”.

Lei ha un gruppo ristretto di amici?

“Molto ristretto”.

Un nome?

“Gastone, pescivendolo laziale, da cui non ho mai comprato neanche una sardina”.

Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?

“Decidere di fare l’allenatore di calcio”.

Ricorda il momento della decisione?

“Nel 1974. Ero già stato allenatore di pallavolo, nuoto, ginnastica… Quell’anno sono entrato nel settore giovanile del Palermo. Guidavo quattro squadre. Non ho più smesso”.

Chi è venuto fuori da quel settore giovanile?

“Tanti nazionali”

L’errore più grande che ha fatto?

“…Non ho fatto grandi errori!”

È vero che lei non urla mai con i suoi giocatori?

“Non c’è bisogno di urlare. Se urli non si capisce. Basta spiegare, anche a voce bassa”

Che cosa guarda in tv?

“Lo sport. E quando non c’è niente che mi interessa, qualche film, di cui il giorno dopo non ricordo nulla”

Il film preferito?

“Qualcuno volò sul nido del cuculo con Jack Nicholson”

La canzone?

“La donna cannone di Francesco De Gregori”.

Il libro?

“Ora leggo poco. Mi piace Alexandre Dumas”.

Lo scrittore della vendetta. Chi ha scritto: “La prima minuscola ingiustizia commessa nell’interesse della giustizia… significa inequivocabilmente l’inizio della fine”?

“Non lo so”.

Vaclav Havel, il leggendario presidente cecoslavacco. Condivide?

“No. La vita ti insegna che non è così”.

Quanto costa un pacco di pasta?

“Dipende. Circa un euro”

Conosce l’articolo 21 della Costituzione?

“Non lo conosco”.

È quello sulla libertà di espressione e di stampa.

“Ma la stampa non è libera: è prigioniera della politica e della finanza”.

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Mauri, Cannavaro e Conte

Palazzi, pronto a deferire?

Fulvio Bianchi - Spy Calcio - Repubblica.it -14-09-2012

E' passato più di un mese e Sherlock Holmes-Palazzi sta ancora indagando sui comunicati della Juve contro la giustizia sportiva (definita "barbara"), sulle dichiarazioni di Antonio Conte ("vergogna", sempre contro la giustizia sportiva), sulla decisioni di De Laurentiis di non presentare a Pechino (11 agosto) il Napoli alla premiazione della Supercoppa. Non sembrano, almeno queste, inchieste complicate. Non si sa ancora se il superprocuratore della Figc archivierà. Oppure deferirà. Molto probabile che almeno per Conte possa arrivare un altro processo. Anzi, il provvedimento era pronto in via Po: si aspettava uscisse in questa settimana. Invece slitta. Perché? Mistero di Palazzo (anzi di Palazzi). Che ci sia stato un ripensamento?

Sono pronti, o quasi, anche alcuni deferimenti che riguardano il calcioscommesse: si tratta della Lazio (Mauri), del Genoa, del Napoli (l'ex portiere Giannello ha tirato in ballo Paolo Cannavaro e Grava, rischiano un'omessa denuncia). Per i club coinvolti per responsabilità oggettiva, nessun rischio in Italia e nemmeno in Europa (riguarda Lazio e Napoli). Mauri era stato già interrogato ma probabilmente non verrà risentito: di recente Lotito si è schierato al suo fianco, "non ha fatto nulla". Palazzi, si sa, va a rate: prima ha voluto fare i processi a chi rischiava la retrocessione (vedi Lecce e Grosseto, poi salvo), ora sta per muoversi contro gli altri. E se qualche calciatore che ha già iniziato il campionato o la Coppa fra un mese o due fossesqualificato? Non sarebbe certo una bella cosa per la regolarità della stagione. Non c'è dubbio che il fronte del calcioscommesse sia estremamente complicato: ogni giorno ce n'è una nuova, ora a Cremona sono sulle piste di mister X che avrebbe riciclato i soldi delle scommesse in Svizzera. Si tratterebbe di un nome importante, un calciatore in attività. Ma le strategie di Palazzi, a volte lasciano perplessi, pur considerato, a sua ... attenuante, la mole immensa che ha dovuto affrontare (e non ha certo finito). Il pareggiamento per Conte, quei tre mesi poi rigettati dalla Disciplinare, non solo hanno scatenato polemiche infinite ma non hanno convinto nemmeno all'interno della Procura e della Figc. Possibile che uno preciso, pignolo come Palazzi sia stato così ingenuo? Ora Conte è andato al Tnas, che deciderà entro il 7 ottobre: gli avvocati puntano dritti al proscioglimento, più probabile forse uno sconto di 2-3 mesi ai 10 confermati anche in appello. Ma certo, in futuro, la giustizia sportiva andrà riformata. Non rivoluzionata come dice Abete, ma bisogna consentire a chi è imputato un minimo di difesa. Carobbio ha accusato Conte il 29 febbraio: possibile che fra i due non ci sia mai stato un confronto? Su certi pentiti, e mezzi pentiti, c'è molto da discutere. E poi, i tempi: Genoa-Siena è del 22 aprile scorso, d'accordo che è un caso inedito e che la procura della Repubblica di Genova ha mandato al già oberatissimo Palazzi le carte solo a luglio ma non ci si può mettere tanto così. Altrimenti, si accavallano i campionati. Non finirà sul banco degli imputati invece l'Inter: non è bello spiare i propri dipendenti (vedi Vieri, Jugocic, Ronaldo, eccetera), peggio ancora se venisse confermato che il club di Moratti ha "attenzionato" anche designatori (Paolo Bergamo), arbitri (Massimo De Santis) e dirigenti avversari (Moggi e c.) Ma per la giustizia sportiva il caso è chiuso. Prescritto da tempo. Che c'è la scampa e chi no. Ma questo non succede solo nella giustizia sportiva.

Federboxe, un poliziotto al vertice? E nel canottaggio...

Tempo di elezioni: molte Federazioni, più del previsto, dovrebbero cambiare il vertice. Di sicuro il rugby, dove Dondi non si ricandida più. Così come il pugilato: l'attuale n.1, Franco Falcinelli, si è fatto da parte a appoggia Antonio del Greco, Dirigente Superiore della Polizia di Stato e presidente vicario in carica, che ha ufficializzato la sua candidatura alla presidenza. La sua campagna elettorale sarà incentrata su tre aspetti fondamentali, sintetizzati nei concetti di "rigore, trasparenza e attenzione alle realtà locali". Al momento sono quattro i candidati alla massima carica della Federboxe: oltre a Del Greco, restano in corsa l'attuale vice-presidente Alberto Brasca, il consigliere federale Gualtiero Becchetti e l'ex dg della Lega Pro Boxe Carlo Nori. Molta agitazione anche al canottaggio: Giuseppe Abbagnale (due volte olimpionico) scende in campo, anzi in acqua, contro l'attuale presidente Enrico Gandola. Dopo il flop di Londra ci sono state molte polemiche, con il licenziamento del dt Beppe De Capua. Le elezioni si terranno il 18 novembre.

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hanno tagliato la domanda su abete?

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A Stadio Sprint opinionista Don Albertini

Al.Gu. - Il Messaggero - 14-09-2012

La Rai che perde i primi diritti in chiaro per «Quelli che…» e «Novantesimo minuto» allunga «Stadio sprint» di un quarto d’ora con un opinionista speciale. Finiti i tempi di suor Paola ecco don Alessio Albertini, fratello dell’ex calciatore ora vicepresidente della Figc. «Stadio Sprint» torna in onda dopodomani con al timone sempre Enrico Varriale. Nella prima puntata si parlerà di Simone Farina, il giocatore del Gubbio che denunciò una combine e che ora è senza squadra.

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Mediaset, direttore sfiduciato

E la Rai si affida a don Albertini

Fulvio Bianchi - Spy Calcio - repubblica.it - 13-09-2012

184602437-e5b42327-f9bc-4bbe-a425-108d74640e03.jpgDon Alberto Albertini

Tv, tempo di grandi manovre ora che il campionato entra nel vivo. A Mediaset, si sa, sono momenti di crisi: non per niente, per la prima volta dopo vent'anni, il direttore dello sport, Ettore Rognoni, è stato sfiduciato dalla redazione. Cento per cento di votanti: 44 contro, 13 a favore, 7 astenuti. Il motivo? Non è stato presentato un piano editoriale e il direttore ha affidato all'azienda un pacchetto di tagli, senza gestirlo in prima persona. Sei anni fa quando scoppi il caso Bonolis (che accusò Rognoni, definendolo "il penombra") la redazione- sport si schierò compatta con il suo direttore. Stavolta no. "Controcampo", che per anni era stata la rivale della Domenica Sportiva, è stata chiusa. Mediaset punta (quasi) tutto il digitale terrestre, dopo essersi accordata con Sky per Champions ed Europa League. Niente accordo invece fra Rai e Sky, come si è visto: la tv satellitare, che possiede anche il canale digitale in chiaro Cielo, si è aggiudicata i diritti che le consentono di trasmettere per prima (la domenica dalle 18 alle 18,30) i gol "gratis". Non solo: Cielo potrà entrare negli stadi (ma senza fare vedere le immagini della partita) consentendo la messa in onda di una trasmissione tipo "Quelli che il calcio e...". La conduttrice potrebbe essere Simona Ventura, avvelenata con la Rai.

E' strano come la tv pubblica si sia fatta soffiare quei diritti, gli ultimi in vendita, per una cifra modesta (3 milioni all'anno). Novantesimo arriverà appena finito Cielo. Non cambia invece la formula di Stadio Sprint (in onda da domenica). Il conduttore Enrico Varriale, "allungherà" la sua trasmissione di un quarto d'ora, fino alle 18,15: il volto nuovo sarà quello di Don Alessio Albertini - fratello dell'ex campione del Milan Demetrio, ora vicepresidente della Figc -, ospite fisso della trasmissione in onda su Rai 2. ''La novità significativa è proprio questa - spiega Varriale, dal 2000 alla guida di Stadio Sprint -: don Alessio è il vicario della comunità Giovanni Paolo II di Pero ed è anche il responsabile dell'ufficio sport della diocesi di Milano, è abituato a parlare agli allenatori delle squadre giovanili, affronta tematiche legate all'etica. Stessi temi che proporremo in studio, con al centro proprio i valori legati allo sport''. Spiega ancora Varriale:"'Ci allungheremo fino alle 18,15 - dice -. Ma sulle interviste in chiaro sta a noi la priorità, insomma saremo noi i primi a trasmetterle in base al contratto tra Lega e Rai. Diciamo che cambia poco, è più un fatto di immagine''. Chissà: a gioco lungo potrebbe diventare anche di ascolti. Cielo è una nuova realtà che non va sottovalutata.

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hanno tagliato la domanda su abete?

no, c'è, all'inizio, nella parte introduttiva

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Zeman-Abete, a Roma si teme l’effetto boomerang

Dopo l'attacco è tregua tra il tecnico e il presidente Figc

Paolo Marelli - Corsera -14-09-2012

Tace (per ora) il «nemico» del pallone. Giancarlo Abete non risponde all’attacco sferrato da Zdenek Zeman («Abete è nemico del calcio»). Una stoccata anticipata da alcuni stralci dell’intervista all’allenatore boemo che esce oggi su Sette.Ma il giorno dopo, il presidente della Federcalcio preferisce la consegna del silenzio: vuole prima leggere l’articolo e poi deciderà se replicare o meno. Chi parla invece è Unicredit. Le sciabolate di Zeman al magazine del Corriere della Sera, con l’auspicio che le società «non dovrebbero essere quotate in Borsa» e con l’appello al calcio affinché stia «lontano da finanza e politica», non potevano passare sotto silenzio. Primo, perché il gruppo bancario possiede una quota (il 40%) della società giallorossa. Secondo, perché la Roma è nel listino di Piazza Affari. «L’uscita dalla Borsa per il momento non è in agenda», risponde il vice direttore generale di Unicredit, Paolo Fiorentino, che però non nasconde di condividere in parte le critiche di Zeman. Ancora Fiorentino: «È vero che in queste condizioni non ha senso che una società sia quotata, a meno che il calcio non riesca ad ampliare la capacità di generare reddito. Se così fosse, è evidente che allora il discorso sarebbe totalmente diverso». Nell’estate del suo ritorno alla Roma dopo 13 anni, Zeman ha giocato sempre all’attacco: dalle frecciate alla Juventus, prima sugli scudetti («I trenta scudetti bianconeri? Anche 28 sono troppi, saranno al massimo 22-23») e poi sull’esilio dalla panchina di Conte («Con una squalifica così lunga, penso che un tecnico non dovrebbe allenare»), ai messaggi sul «calcio di oggi che non è più credibile» e alla convinzione che la «gente vuole un pallone più pulito». Ma il tecnico boemo ha deciso di affondare il colpo anche nell’intervista a Sette, interpretando fino in fondo il ruolo di personaggio scomodo: nel mirino Abete e la Figc, anche se poi ha fatto retromarcia («Quanto dichiarato non era riferito alla persona, ma al sistema calcio nel suo complesso»); l’ammissione che nel mondo del pallone serve più «serietà e impegno» e che «c’è qualche miglioramento, ma temo che sia più per paura di essere scoperti che per convinzione»; infine l’invito a una separazione tra calcio e finanza. Ma le accuse scagliate da Zeman mettono in imbarazzo la Roma «made in Usa». Un club che con il passaggio di proprietà dai Sensi a Pallotta e alla cordata italoamericana vorrebbe anche cambiare stile comunicativo. Ecco perché le stoccate dell’allenatore boemo non sono piaciute. Anzi, l’ultima bufera sollevata dal tecnico, suscita una dose di irritazione a Trigoria. Al punto che persino i tifosi giallorossi storcono il naso e adombrano un sospetto: non è che queste bordate in qualche modo Totti&C. le pagheranno sul campo? A rassicurare l’ambiente giallorosso e a stemperare la tensione ieri sono arrivate le dichiarazioni del vicedirettore generale di Unicredit: «Il fattore di volatilità legato ai risultati dà alle dichiarazioni di Zeman, per quanto qualche volta folcloristiche, delle dosi di saggezza ». Alle parole di Fiorentino, si somma il commento stringato di Mattia Destro a Sky Sport: «È un tecnico di poche parole, ma quando parla si fa sentire». Mentre Renzo Ulivieri, presidente dell’associazione allenatori, su queste polemiche innescate dal tecnico boemo, non ha dubbi: «Zeman parla sempre di calcio, poi gli strappano anche argomenti extra- calcistici. Ebbene io preferisco la sua parte essenziale: ovvero insegnare calcio».

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Oggi in Figc si decide sulla frase di Zeman

Alberto Ghiacci - Corsport -14-09-2012

ROMA - Attesa per l’uscita del settimanale Sette, che nel numero che sarà oggi nelle edicola conterrà l’intervista in cui Zeman, prima di manifestare la precisazione, aveva duramente attaccato il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete. L’anticipazione uscita mercoledì, in cui al boemo viene attribuita la frase «Abete è nemico del calcio», non è stata presa in considerazione in Via Allegri. La Federazione si è riservata di leggere l’intera intervista prima di prendere eventuali provvedimenti: «La frase potrebbe essere stata estrapolata da un discorso più generale» filtra dalla Figc. Certo è che la precisazione di Zeman, «ce l’avevo con il sistema», arrivata nella serata di mercoledì, fa capire come la dichiarazione abbia creato imbarazzo a Trigoria. Cosa può accadere ora? Tre ipotesi: silenzio, replica della Figc (difficile) o possibilità di un deferimento per il tecnico giallorosso.

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Seconde squadre: la A accelera sul progetto

Pietro Guadagno - Corsport - 14-09-2012

“La serie A vuole le “seconde squadre”. Il progetto allo studio, in linea con il modello spagnolo (ma esiste anche in Francia e Germania), prevede infatti di concedere ai club della massima categoria la possibilità di creare una propria emanazione in un campionato di livello inferiore. In queste formazioni bis giocherebbero gli elementi in esubero e quei giovani non più in età per far parte della Primavera. E le “prime squadre” avrebbero la facoltà di attingere da questo serbatoio anche a campionato in corso. I tempi non saranno brevi e soprattutto ci sarà da battagliare con la Lega Pro (finora contraria). L’argomento è stato dibattuto ieri in via Rosellini all’interno di un’apposita commissione a cui hanno partecipato 12 società su 20 (Napoli, Catania, Torino, Genoa, Fiorentina, Palermo, Pescara, Siena gli assenti). Probabilmente già la prossima settimana si terrà una nuova riunione, in modo da arrivare ad un progetto da approvare in via definitiva in Assemblea. L'iter prevede poi che venga portato in Federazione.

CAMPIONATO RISERVE - Per arrivare all'obiettivo finale, comunque, ci saranno certamente alcuni passaggi intermedi. Il primo, che ha il sostegno di tutte le squadre di A, è quello di eliminare l'articolo delle Noif che impedisce ai proprietari di club di possedere quote anche di un'altra società. In tal modo verrà regolarizzata definitivamente la posizione di Lotito, che oltre alla Lazio controlla pure la Salernitana. Secondo la Lega non ci dovrebbero essere ostacoli particolari in Consiglio Federale. Nell'attesa di arrivare alle "seconde squadre", sul tavolo c'è pure il cosiddetto campionato riserve. Essendo un torneo a parte, si potrebbe creare già il prossimo anno, tanto che qualche idea è già trapelata: ci sarà un numero minimo di giovani, probabilmente almeno S under 21; proposta l'intitolazione a Piermario Morosini.

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La Lega di A dice sì alle seconde squadre

Club al lavoro per studiare la riforma da portare in Figc Nell’attesa si punta a un torneo riserve

MARCO IARIA - Gasport -14-09-2012

La Lega di A compie un primo, significativo passo verso la creazione di seconde squadre da far giocare in un campionato preesistente, professionistico o, in alternativa, dilettantistico.

Lo fa riunendo 12 società su 20 (Atalanta, Bologna, Cagliari, Chievo, Inter Juventus, Lazio,

Milan, Parma, Roma, Sampdoria, Udinese), mettendo sul tavolo le esperienze estere e gettando le basi per una proposta di riforma che ha l’ambizione di rimodulare l’attività calcistica in Italia dalla A alle giovanili. Perché su un punto tutti sono d’accordo: il sistema, così com’è concepito, non regge più e non favorisce la valorizzazione dei talenti.

Primogenitura L’idea delle seconde squadre fu lanciata all’indomani del fiasco in Sudafrica da Demetrio Albertini, vicepresidente della Figc. Due anni dopo è ancora chiusa in un cassetto per la ferma opposizione del presidente di Lega Pro, Mario Macalli.

Finora i club di A si erano mossi in ordine sparso. Il gruppo di lavoro insediato ieri in via Rosellini potrebbe aprire nuovi orizzonti. La Lega, in questa delicata fase pre-elettorale, si muoverà cautamente evitando conflitti con le altre componenti. Ci saranno ulteriori riunioni prima dell’approvazione in assemblea di un piano da portare in consiglio federale, laddove il diritto di veto è una montagna dura da scalare. Sarà, comunque, un processo graduale. Ecco perché il prossimo anno potrebbe partire il campionato riserve, da collocare il lunedì (qualcuno propone di intitolarlo a Piermario Morosini): una soluzione intermedia in attesa di arrivare, entro un paio di stagioni, alle seconde squadre — facoltative, ovviamente — in Lega Pro o, perché no?, in Serie D. Sono le grandi a spingere per l’approdo finale, convinte che il torneo riserve non sia la risposta alla crisi. L’esigenza avvertita da tutti è quella di valorizzare i giocatori in uscita dalla Primavera (ora che è stato abbassato il limite d’età), non ancora pronti per la prima squadra. Il ragionamento dei club è il seguente: piuttosto che mandarli in prestito, sostenendone anche i costi, meglio tenerli in casa, seguirli da vicino, farli crescere in un contesto competitivo e magari richiamarli nel corso della stagione in caso di necessità. Si stanno studiando gli esempi oltre confine: in Germania le seconde squadre militano nei tornei amatoriali, in Spagna invece possono arrivare sino alla seconda divisione (come il Barcellona B)

Multiproprietà La Lega tornerà poi alla carica sulle multiproprietà, dopo la moratoria di un anno concessa dalla Figc al Salerno di Claudio Lotito. La Serie A chiede di ripristinare la norma che consente a uno stesso presidente di gestire più società professionistiche.

A giugno l’Aic si mise di traverso, ma una riforma organica del sistema è tutta un’altra cosa.

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VIA LA PROSSIMA STAGIONE, TORNEO INTITOLATO A MOROSINI?_

Serie A, il campionato riserve si fa

Accordo tra i club: soluzione temporanea in attesa dell'accordo con la Lega Pro per le squadre B così in Europa: solo rInghilberra senza squadre B in tornei minori

STEFANO SCACCHI - Tuttosport - 14-09-2012

La maggioranza dei club di Serie A vuole le squadre B da utilizzare nelle categorie inferiori. E l'esito della prima riunione operativa su questo tema, andata in scena ieri in Via Rosellini. Erano dodici le società presenti, a dimostrazione che il tema è particolarmente sentito: Inter, Juventus, Roma, Lazio, Sampdoria, Bologna, Atalanta, Milan, Udinese, Parma, Cagliari, Chievo. Questa novità permetterebbe alle società italiane, come succede già in Spagna, Germania e Francia, di dotarsi di seconde formazioni che possano misurarsi in Serie B o Lega Pro (più probabile la seconda soluzione). Sarebbe il palcoscenico ideale per valutare le potenzialità dei giovani più interessanti senza lunghissime trafile di prestiti, mantenere in organico i calciatori non più in età da Primavera e schierare elementi fuori dal progetto della prima squadra. E necessario vincere la resistenza della Lega Pro, finora contraria. Favorevole invece l'Aic. Ma la proposta della Serie A dovrà tenere conto del dibattito più ampio sulla riforma dei campionati professionistici che interessa tutte le componenti federali. Se, ad esempio, la Serie B verrà divisa in due gironi, le seconde squadre potrebbero anche partire dai cadetti. E bisognerà vedere fino a che punto saranno compresse Prima e Seconda Divisione.

BASTA PREMI L'introduzione del nuovo modello innescherebbe una rivendicazione della A verso la Lega Pro: la cancellazione dei premi di valorizzazione per i calciatori acquistati dai club di massima divisione e cresciuti dallex Serie C. La logica della richiesta viene sintetizzata così da un dirigente: «La presenza delle nostre squadre B aumenterebbe l'attenzione sulla Lega Pro con conseguente aumento di possibilità di sfruttamento economico». Dalla riunione di ieri è emersa anche la volontà di chiedere alla Figc di cancellare il divieto dellarticolo 16 bis delle Norme organizzative interne federali che impedisce di avere partecipazioni in più di una società professionistica. E il caso di Lotito che controlla Lazio e Salernitana grazie a una deroga. Cè fiducia sul via libera, considerato che anche in Spagna e Francia è consentita la possibilità di gestire più club da un unico soggetto. Ma non dovrebbero essere in molti a sfruttare questa facoltà.

SOLUZIONE TEMPORANEA In attesa che si chiarisca il quadro normativo necessario al varo delle squadre B, già dalla prossima stagione potrebbe partire il campionato riserve interno alla Serie A, come succede in Inghilterra e come succedeva in Italia fino agli 70 con il torneo De Martino. Ma sarebbe solo una soluzione temporanea. Qualcuno ieri ha suggerito di intitolare questa competizione alla memoria di Piermario Morosini.

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Quasi tutti i principali campionati europei scelgono la strada delle ''squadre B". Germania, Spagna e Francia adottano questo sistema, seguito anche in Portogallo a partire da questa stagione. Diversi i livelli ai quali possono arrivare le seconde formazioni dei club di massima divisione. In Francia non possono spingersi oltre il settore dilettantistico (quarta divisione). In Germania possono arrivare fino alla terza serie, la Regional Liga costituita in gran parte dai satelliti delle società di Bundealiga. In Spagna lo sbarramento è fissato alla seconda divisione. Impossibile la promozione oltre questi limiti, come dimostra il Barcellona B 2010-11 (allenato da Luis Enrique) escluso dai playoff per salire in Liga nonostante il terzo posto al termine della stagione regolare. Solo l'Inghilterra fa eccezione: la Premier League opta per un campionato riserve aperto a giovani e panchinari delle 20 partecipanti. Ma in questo ambito tutti sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni, spesso studiate da modelli stranieri: ad esempio, la Spagna ha studiato a lungo il nostro campionato Primavera.

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Come crescere i giovani:

dal torneo riserve ai club satelliti

Laura Bandinelli - La Stampa - 14-09-2012

Prima la multiproprietà, poi il campionato riserve. Il progetto della Lega di serie A per costituire le squadre B sul modello spagnolo inizia ad avere una forma. Ieri c’è stato un primo incontro, dodici club si sono presentati in via Rosellini a Milano per esporre idee e strategie. Si rivedranno la prossima settimana e se tutto filerà liscio il frutto del loro lavoro verrà presentato all’Assemblea.

L’obiettivo è avere delle seconde squadre appartenenti ad altri campionati (minori) non necessariamente nella stessa città. E infatti per prima cosa si dovrà riprendere in mano la legge delle Noif (norme organizzative interne della Figc) sulla multiproprietà e consentire ai presidenti di possedere quote di altre società. Su questo tema c’è l’unanimità: Inter, Milan, Juventus, Bologna, Roma, Atalanta, Udinese, Parma e Cagliari ieri hanno votato nella stessa direzione. L’ultima parola spetterà al Consiglio federale. Claudio Lotito che possiede la Salernitana farà scuola, gli altri non vedono l’ora di accodarsi. La crisi economica ha tagliato i viveri al mondo del calcio ma non ha immobilizzato il suo sviluppo. La volontà dei presidenti di serie A è far crescere i giovani in un contesto diverso, avere una vetrina in più per esporre la propria mercanzia e poter attingere da questo serbatoio anche a campionato in corso. Il primo passo sarà quello di istituire un campionato facoltativo riservato agli esuberi. Sono tanti i ragazzi da piazzare, soprattutto quelli che arrivano dai campionati Primavera. Anche Arrigo Sacchi, responsabile delle nazionali giovanili spinge per questa soluzione.

Adesso si tratta di passare dalle parole ai fatti sconfiggendo l’ostracismo della Lega Pro che non ha interesse a ritrovarsi club potenti nei suoi campionati (addio premio di valorizzazione). La macchina è partita. Ieri c’era già chi pensava al nome del nuovo torneo. Un club ha proposto di intitolarlo a Gianmario Morosini. L’altro argomento caldo riguarda l’età dei giocatori ammessi, l’idea è scimmiottare il modello della lista Champions con 25 nomi e 5 under 21.

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ARRIGO SACCHI

«Anche l’Austria ci sorpasserà»

Il responsabile giovani Figc: «In A tanti Under ma senza accademie siamo finiti»

di TOMMASO LORENZINI (Libero 14-09-2012)

Destro e Insigne in nazionale maggiore, El Shaarawy e Immobile presenze stabili in serie A, insieme ad altri talenti in erba. Ma allora, dopo l’ottimo Europeo, il calcio italiano è ripartito?

«No, finché non c’è richiesta di giovani e mentalità giovane», esclama Arrigo Sacchi, responsabile del settore giovanile Figc, «nel 2005 avevamo il Real dei Galacticos, eppure ci criticavano perché non giocavano spagnoli e ragazzi della cantera. Avete mai sentito una cosa del genere in Italia?».

Siamo senza speranza?

«Il nostro è un calcio per vecchi, l’ambiente non è paziente, né equilibrato, né programmatore».

Colpa dei club?

«Quando i dirigenti vivono alla giornata, come fanno a programmare? I nostri settori giovanili sono quelli con meno investimenti in Europa, l’anno scorsoavevamo le squadre più vecchie del continente, solo Cipro faceva peggio».

Motivo?

«Il calcio che pratichiamo non è un calcio per giovani. È prevalentemente difensivo, fatto di mestiere, mestieranti, astuzie. I ragazzi non possono già possedere tutto questo. Hanno bisogno di un compagno che sia leader e che si chiama “Gioco”: allora questo dà loro personalità e capacità».

La crisi sembra essere un’opportunità per rivedere certe strategie.

«Dicono “non ci sono più soldi, e quindi hanno bisogno dei giovani”. Ma non c’entra niente. La Juve invece si è mossa bene, ha creato la prima Accademia in Italia. I ragazzi studiano e giocano, vuol dire che in una settimana lavorano il doppio rispetto a chi non ha un’accademia all’interno».

Un chiaro vantaggio.

«Che paga. Incominciò la Francia nel 1970, è passata da nazione di seconda fila a una delle maggiori esportatrici di campioni. Dopo la crisi del 2000, anche la Germania ha obbligato tutte le società professionistiche ad avere questo tipo di accademie. E pure Austria e Svizzera hanno fatto lo stesso».

Finiremo dietro gli austriaci?

«Prima non c’era gara, ora se la giocano. Noi abbiamo un grande vantaggio, la storia e l’amore per il calcio: spero che i club investano di più eaprano queste accademie. E spero che il super-corso per allenatori di Coverciano venga portato ad un anno scolastico come quando lo facemmo noi e non a 32 giorni come adesso. In Spagna dura quasi due anni».

La Federazione come sta agendo?

«Ci ha consentito di organizzare circa 100 partite internazionali in un anno, aprirsi all’estero è decisivo. Guardate i bimbi di 8 anni del Barcellona: ripetono già quello che faranno da grandi. Dobbiamo creare i giocatori del futuro».

Nelle prime due giornatedi serie A hanno giocato 18 calciatori in orbita under 21: non è un po’ poco?

«È moltissimo. Un anno e mezzo fa siamo stati in Germania per un’amichevole con l’under 21: i ragazzi avversari vantavano complessivamente già 250 presenze in massima serie, i nostri solo 10».

Qual è la filosofia vincente?

«Con le nazionali abbiamo poco tempo, l’input è semplice: ci vuole un calcio che esalti i ragazzi e li costringa a essere propositivi, a vincere costruendo, non aspettando di “uccellare” l’avversario».

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GIUSTIZIA GIUSTA?

Arbitri girevoli

Pochi e indaffarati, i giuristi del Tnas si sdoppiano in Scommessopoli:

difendono la Figc, ma fanno anche i giudici. Gli imputati tremano...

di FRANCESCO PERUGINI (Libero 14-09-2012)

«Agghiacciante»: così Antonio Conte - quello interpretato da Maurizio Crozza, ma forse anche l’originale - definirebbe anche l’ultimo grado della giustizia sportiva, il Tnas.

Il Tribunale nazionale di arbitrato sportivo è l’ultima speranza per l’allenatore della Juve di tornare subito in panchina. L’udienza è fissata per il 21 settembre, la sentenza dovrebbe arrivare entro il 7 ottobre. Tra chi spera nell’assoluzione e chi si accontenterebbe di uno sconto di pena, c’è anche una parte di tifo bianconero che teme l’ennesima delusione. E non solo per la dura sentenza di appello che ha paventato l’illecito sportivo per AlbinoLeffe-Siena («gli è andata bene», commentò a caldo il giudice Piero Sandulli).

La “Cassazione dello sport”, infatti, è un organo molto particolare all’interno del Coni. Sebbene sia l’ultima istanza per le controversie di tutte le federazioni, ha una struttura molto ridotta. In passato, quando c’era la Camera di arbitrato e conciliazione, chi faceva ricorso (parte istante) e chi si difendeva (parte intimata) potevano scegliere liberamente il proprio arbitro. E solo il presidente del collegio doveva essere scelto da un elenco predefinito. Con l’avvento del Tnas, si è ristretto il novero degli arbitri a una trentina appena di candidati. Con un sovraccarico di lavoro - al momento ci sono 34 procedimenti aperti - ma anche con delle evidenti sovrapposizioni di ruolo.

Capita infatti che la stessa persona faccia da arbitro in un “processo” e da presidente - imparziale - in un altro. Nessun problema se i casi riguardano federazioni o ambiti diversi. Qualche imbarazzo invece se si finisce con due ruoli opposti nella stessa vicenda, come accade per il calcioscommesse. C’è un caso che risale all’anno scorso, ad esempio, di un magistrato chiamato a far da presidente nell’arbitrato chiesto da Giuseppe Signori, mentre nello stesso periodo era stato nominato come arbitro di parte dalla Federcalcio contro i ricorsi di Vincenzo Sommese e dell’Ascoli. Da una parte quindi doveva giudicare la correttezza delle sentenze che difendeva dall’altra. Difficile restare imparziali, anche per un evidente conflitto di interessi: a differenza della giustizia “volontaria” della Figc, gli arbitri ricevono un compenso (dai 1. 500 a 3. 000 euro spese escluse). Ed è complicato dare torto al proprio “datore di lavoro”.

La stessa situazione si sta ripresentando quest’anno con alcuni giuristi chiamati a far sia da giudice che da arbitro in procedimenti paralleli, ma riguardanti entrambi l’ultimo filone del calcioscommesse. Pochi pericoli per Conte da questo punto di vista, anche se il presidente del suo procedimento, Massimo Zaccheo, è stato arbitro per la Figc in altre occasioni. Una soluzione potrebbe essere la creazione di due albi paralleli, per arbitri e presidenti. Intanto, non resta che affidarsi all’imparzialità dei principi del foro. E sperare di non rimanere «agghiacciati».

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Deferimenti, l’ira di Biondi

“Quei giudici contro il diritto”

Appello a Preziosi: si ricordi del suo “non mollo”

“Giustizia sportiva? Una casta gestita da un gruppo che non accetta le leggi dello Stato”

di GESSI ADAMOLI (la Repubblica - Genova 14-09-2012)

Onorevole Biondi, Enrico Preziosi, come presidente del Genoa, ha detto di sentirsi «ċornuto e mazziato»...

«E se già non fa piacere essere cornuti, essere mazziati dispiace ancora di più. La verità è che è in questa storia c’è una contraddizione di fondo macroscopica: come si fa ad accusare Preziosi ed i giocatori di comportamento antisportivo, se sono loro ad aver subito la violenza? Sono stati vittime di una sopraffazione, anche se la minaccia era indiretta perché non riguardava direttamente loro ma gli spettatori».

Ma può la giustizia sportiva arrivare al punto di anteporre il regolare svolgimento di una partita di calcio all’incolumità di donne e bambini presenti allo stadio?

«Che cosa sia la giustizia sportiva io e il professor Coppi l’abbiamo appurato quando dibattevamo in aula il caso Genoa-Venezia e i giudici disegnavano su dei foglietti, divertendosi a fare la caricatura di Preziosi. È una giustizia di casta gestita da un gruppo dirigente che non accetta nemmeno le leggi dello Stato, sovvertendo anche i più elementari principi del diritto. E, sino a prova contraria, il nostro è uno Stato di diritto ».

È innegabile che ci sia un accanimento nei confronti del Genoa...

«Siamo il club più antico di Italia ed è normale, anche solo per una questione anagrafica, essere incappati in numerose disavventure. Però avremmo diritto ad un giudizio equilibrato e sereno, invece la sensazione è che ci sia del pregiudizio. Lo dico da genoano e con quel nostro stato d’animo che passa di continuo dall’entusiasmo alla costernazione. Però questo deferimento, proprio alla vigilia di una partita importante come quella con la Juventus, è sicuramente inopportuno».

Per i poteri forti del calcio Preziosi resta “l’uomo della valigetta”...

«Si è creato un feticcio: la valigetta non è mai esistita, era una volgarissima busta. Ma il Genoa ha pagato e più di qualunque altro. E allora, per favore, vediamo di eliminare ogni sorta di pregiudizio».

Preziosi nell’intervento in diretta mercoledì sera a Telenord è sembrato provato nel fisico e nel morale...

«Era stravolto, ma lo posso capire: questo deferimento è davvero una follia. Il giorno di Genoa-Siena gli feci i complimenti, aveva dimostrato una grande generosità. Avrebbe potuto starsene tranquillamente in tribuna e invece è entrato in campo per tranquillizzare i suoi giocatori ed evitare il peggio».

Da amico qual è il consiglio che si sente di dare a Preziosi?

«Deve ricordarsi di quel “non mollo” che era diventata la sua parola d’ordine. È un emotivo, si accende e si spegne di continuo. Ora è amareggiato, ma non merita che una parte della tifoseria, anche se minima, lo contesti. E allora, rifacendomi alla Divina Commedia, gli dico: “non ti curar di lor ma guarda e passa”...».

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Marca la differenza di SANTIAGO SEGUROLA (GaSport 14-09-2012)

LA BUGIA CHE RENDE VIVO IL CALCIO

E IL GIOCATTOLO ROTTO DEL BILBAO

Il calcio professionistico è costruito su una bugia necessaria. I tifosi sostengono incondizionatamente le proprie squadre, in cambio però — qui affonda la bugia — devono credere ciecamente che i giocatori manterranno vivo un amore incrollabile per i loro club. Questa premessa, così semplice, è la radice del successo del calcio. La popolarità universale, le tremende conseguenze economiche, il successo mediatico, tutto quello che ha trasformato questo semplice gioco in un fenomeno del nostro tempo, si deve all'appassionato vincolo che si stabilisce tra il pubblico e gli attori.

Il cinismo ammazzerebbe il calcio, o lo trasformerebbe in un'altra cosa, meno ossessiva, più calcolatrice e, pertanto, meno portata al coinvolgimento. È quello che probabilmente succederà quando gli sceicchi arabi o gli oligarchi russi si stancheranno dei loro nuovi giocattoli: i club crolleranno e la maggioranza dei tifosi ritirerà il proprio sostegno, perché a motivarli erano solo il successo e la fama. Un'altra possibilità è la consacrazione di un modello selvaggio, rappresentato da un'aristocrazia dittatoriale composta da poche squadre che condannerà tutte le altre alla povertà, alla mancanza di stimoli e alla depressione.

Qualcosa di simile sta succedendo in Spagna: non c'era mai stata così tanta distanza tra il Real Madrid e il Barcellona da una parte e le altre squadre della Liga dall'altra. Mentre il 90 percento dei club sono sempre più poveri, i due più importanti incrementano la propria ricchezza. I risultati si apprezzeranno in un futuro ormai non troppo lontano. La competizione si degraderà, gli stadi si svuoteranno, i debiti diventeranno insopportabili e il grosso del calcio sarà esposto a un totale scoraggiamento.

Nel frattempo, ancora sopravvive la relazione poetica tra squadre e tifosi. Uno dei posti in cui appare più romantica è Bilbao, dove l'Athletic mantiene da decenni un modello che può definirsi singolare, unico, eccentrico, stravagante, ammirevole o pazzo. Ognuno scelga l'aggettivo più appropriato. Quello a cui ci stiamo riferendo è il grado di coinvolgimento della tifoseria nei confronti della propria squadra. Il sostegno è di tale portata da generare l'energia sufficiente a salvare l'Athletic dal destino che per logica gli spetterebbe: la retrocessione in Segunda División.

Benché sembri sorprendente, l'Athletic è una delle tre squadre che non sono mai scese nella serie cadetta. Le altre due? Il Real Madrid e il Barcellona. Il miracolo dell'Athletic sarà testato in questa stagione. In nessun posto si è tanto idealizzata la relazione tra i giocatori e la squadra. Si tratta di un'idea romantica, ma falsa. Fino a quest'estate tutti i giocatori dell'Athletic trovavano un eccellente alibi quando abbandonavano il club per inseguire i loro logici obiettivi professionali trasferendosi al Barça (Alexanco, Zubizarreta, Eskurza), al Real (Alkorta, Karanka), o al Chelsea (Del Horno). L'Athletic riceveva un buon compenso per la vendita, così da permettere ai calciatori di sentirsi legittimati a dire che andavano via perché il club li obbligava. Il presidente Iosu Urrutia ha dichiarato che non avrebbe venduto Fernando Llorente e Javi Martínez, le due stelle della squadra. Tuttavia, tale mossa ha provocato tanta disperazione quanto quella che cagiona ai bambini la scoperta dell'inesistenza dei Re Magi.

Sia Javi Martínez, che ha firmato per il Bayern di Monaco dopo il pagamento dei 40 milioni della clausola di rescissione, sia Llorente avevano manifestato il desiderio di abbandonare il club perché volevano giocare in squadre migliori, un'aspirazione professionale e legittima che ha spezzato il romantico discorso che proteggeva l'Athletic. Il mito si è rotto e le conseguenze sono imprevedibili per il futuro del club.

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PROCURA FEDERALE

Palazzi chiama Serena

e due ex del Grosseto

Nuove audizioni sul filone di Cremona: con

il tecnico dello Spezia, Consonni e Narciso

di MAURIZIO GALDI (GaSport 14-09-2012)

Torna a lavoro la Procura federale sul calcioscommesse. Torna a lavoro sul filone «Cremona» e per martedì ha convocato l'attuale tecnico dello Spezia Michele Serena e gli ex calciatori del Grosseto Luigi Consonni (già deferito e prosciolto nel procedimento sportivo del 31 maggio) e Antonio Narciso (squalificato per un anno e tre mesi). Nel mirino della Procura sarebbe entrata un'altra partita del Grosseto e probabilmente della stagione 2010-2011 visto che Michele Serena è stato tecnico dei toscani cinque mesi dal 13 gennaio al 13 giugno 2011. La nuova partita è emersa nell'ambito delle indagini che sta conducendo proprio la Procura federale e dalle audizioni che sono state fatte nelle ultime tornate.

L'audizione di Turati «In relazione a Crotone-Grosseto del 21 maggio 2011, il nostro ds Imborgia ci disse che parlando con il suo collega del Crotone, era emerso che un pareggio potesse andare bene ad entrambe le squadre e, pertanto ci chiese di "giocare accorti"». Probabilmente nasce da queste dichiarazioni di Turati (che sarà giudicato dalla Disciplinare i 26 settembre) l'«approfondimento» voluto dal Procuratore federale Stefano Palazzi per cui sono convocati Serena, Consonni e Narciso.

Al Tnas Intanto al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (Tnas) sono arrivate le istanze di Luca Fiuzzi (inibito 4 anni), di Mirko Stefani (inibito 4 anni), di Vincenzo Iacopino (inibito 3 anni e 6 mesi) contro la Federcalcio; sono state poi fissate al 26 settembre l'udienza di Nicola Ventola, rinviata all'8 ottobre quella di Vincenzo Italiano, mentre il Tnas ha respinto la richiesta di sospensione della sanzione di Daniele Portanova.

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Cavalli di razza

Forza Cagliari,

visto che lo paghiamo tutti

Non è la prima volta che lo Stato diventa sponsor di

una squadra. Ma che i soldi arrivino attraverso i traghetti

che ne hanno presi molti per salvarsi, ancora fa effetto

di GIAN ANTONIO STELLA (SETTE | 37 - 14.09.2012)

Evviva il Cagliari, evviva l’allenatore Massimo Ficcadenti, evviva uno per uno tutti i suoi giocatori, da Michael Agazzi a Mauricio Pinilla. In bocca al lupo per una salvezza tranquilla, per la coppa Uefa e magari chissà anche per lo scudetto. Ma che i soldi per la sponsorizzazione di una squadra di calcio vengano tirati fuori da un ente pubblico è insensato. E a maggior ragione se a questo sponsor si affianca una società privata sì, ma “all’italiana” e cioè coi bilanci aggiustati col pubblico denaro. Vale a dire la regione Sardegna e la Tirrenia.

Si dirà che non è la prima volta. Verissimo. Tra i tanti, ricordiamo i casi della regione Sicilia che ai tempi di Cuffaro, per mostrare che mamma chioccia ama tutti i suoi pulcini, regalava 105. 492 euro al Palermo, 105. 492 al Catania e 105. 492 al Messina. O ancora quello della Provincia di Lecce che dava un milione e 200mila euro alla squadra giallorossa salentina o quello dell’Agsm, la municipalizzata che dà luce e gas a Verona e appartiene al 100% al Comune, la quale sponsorizza con un contratto da 700mila euro in due anni il Verona Hellas. Prova provata che un certo tipo di rapporto affettivo (clientelare, direbbero i più maligni) con gli elettoritifosi non riguarda solo il Mezzogiorno.

ORGOGLIO SARDO FERITO. In tempi di crisi come questa, però, con gli operai isolani che si arrampicano sui tralicci o si barricano quattrocento metri sotto terra, la scelta della regione Sardegna di dare due milioni e mezzo di euro alla squadra di calcio mettendo soldi nei “circenses” mentre in certe aree manca il “panem”, fa un certo effetto. Aggravato dall’arrivo del secondo sponsor, la Tirrenia. Un arrivo che ha infastidito molto gli amministratori sardi. «Mi sembra un’operazione da pataccari», ha detto il governatore Ugo Cappellacci. «Quel marchio associato al Cagliari mi fa un po’ senso. Mettere accanto all’orgoglio sardo il nome Tirrenia che è sinonimo di nefandezze che per anni hanno colpito la Sardegna è sbagliato ». È proprio alla compagnia simbolo di tutti i carrozzoni pubblici che i sardi addebitano la crisi del turismo isolano. Turismo massacrato da tariffe che hanno spinto la Regione (oltre che a farsi carico della Saremar e dei buchi che si tirava dietro) a creare una propria compagnia di traghetti con la penisola.

Ma non è solo una questione di antichi rancori. È una questione di soldi pubblici. C’è chi dirà: ma la Tirrenia oggi è privata, è in mano alla Moby Lines e dunque i proprietari possono spendere i soldi come pare e piace a loro. Fino a un certo punto. Spiega infatti la rivista specializzata Capo Horn di Bruno Dardani e Oscar Giannino, che dal 12 settembre è allegata al Sole 24 Ore, che purché comprassero la Tirrenia e prendessero in carico i suoi dipendenti e la sua flotta di 18 navi per lo più obsolete, il governo non solo si è accontentato di 200 milioni più altri 180 in comode rate, ma ha riconosciuto ai compratori «582 milioni di euro delle cosiddette sovvenzioni di equilibrio, che lo Stato verserà nelle casse della Cin in otto anni» fino al 2020. Per capirci, la Cin (la newco che ha rilevato Tirrenia) deve ancora pagare «55 milioni alla fine del terzo anno dal trasferimento dell’azienda, 60 al sesto e 63 alla scadenza dell’ottavo» ma «le tre tranche di pagamento a saldo del debito saranno pagate a una precisa condizione: che Cin incassi interamente dallo Stato, ogni anno, i 72,68 milioni di euro previsti dalla convenzione». In pratica, anche i soldi che vanno al Cagliari con gran dispetto della Regione sono in parte soldi pubblici. Anche di chi, magari, invece che per il Cagliari, fa il tifo per altre squadre.

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