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huskylover

Tifoso Juventus
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    Juventino El Cabezon
  1. Pirlo. può solo crescere, ha fatto esperienza, non è stato un anno buttato. L'importante è tappare qualche buco nell'organico, con gente sana
  2. Malagò: «Caso Lotito-Marotta? Grave se Figc usa due pesi» Il n. 1 del Coni su Lotito: «Se ha questo tipo di consenso all'interno dell'assemblea, forse è giusto che diventi lui il presidente della Lega di Serie A» (Tuttosport - 02-03-2015 ROMA - «Stiamo verificando se è vero che ci sono stati due pesi e due misure. Questo non è accettabile». Così il presidente Coni, Giovanni Malagò, sulla deroga che la Figc ha concesso a Lotito per violare la causa compromissoria e querelare il dg dell'Ischia Iodice. Deroga che invece non è stata concessa in passato a Marotta che voleva procedere contro Lotito. «Qui i discorsi sono due - aggiunge - o è stato sbagliato a suo tempo il discorso sul dg della Juve, e attenzione deve essere dimostrato, oppure non ho capito per quale motivo qui si è ritenuto di agire in modo diverso. Se c'è una cosa su cui noi, grazie a Dio proprio possiamo e dobbiamo intervenire è proprio quella della giustizia sportiva - sottolinea Malagò oggi all'Istitituto di Medicina e Scienza dello Sport all'Acqua Acetosa -. Ci siamo spogliati del merito dell'ultimo grado ma abbiamo il diritto dovere di capire se si parte tutti allo stesso modo oppure no». SU LOTITO - «Se Lotito ha questo tipo di consenso all'interno dell'assemblea, forse è giusto che diventi lui il presidente della Lega di Serie A, così si esce fuori dall'equivoco una volta per tutte. Il mio è un ramoscello d'ulivo da una parte, ma una provocazione dall'altra». Così il presidente del Coni, Giovanni Malagò, in merito al peso politico del n.1 della Lazio in ambito della Lega. RUOLI - «Considerato questo nuovo modello di governance di cui parlano - aggiunge Malagò a margine di una presentazione svoltasi nell'Istituto di Medicina e Scienza dello Sport all'Acqua Acetosa - con il presidente che ha funzioni particolari, sarebbe giusto che il presidente della Lega lo facesse Lotito. Ora non può per un fatto statutario, ma cambiassero lo Statuto così non ci sono più interpretazioni dei ruoli». Malagò però non pone nessun veto alla partecipazione del laziale nella Commissione riforme, dopo la delega che gli è stata tolta per la telefonata con il dg dell'Ischia Iodice. Sarebbe meglio evitare una sua presenza? No, perché? Ognuno lì è padrone di farsi rappresentare da chi vuole». Il n.1 del Coni chiarisce quindi l'impegno del presidente Figc Tavecchio di avocare a sé la delega: «Si è impegnato nei miei confronti e di Delrio. Poi al tavolo delle riforme, se l'assemblea della Lega Pro o di Serie A, decidono che deve essere Lotito l'interlocutore nella Federazione, io questo non posso né impedirlo, né disconoscerlo. Ma bisogna specificare bene i ruoli»
  3. Si chiama “Vibrac Corp.”, ha finanziato i Club per 210 mln di euro(Tifoso Bilanciato - 30-9-2014) Secondo quanto riporta Alex Duff su Bloomberg, esiste una realtà poco nota (a meno di non essere addetti ai lavori) che ha investito circa 210 mln di euro nel calciomercato di Inghilterra, Spagna e Germania, finanziando l’acquisto di calciatori. In questi ultimi tempi l’attenzione è rivolta in maniera particolare al fenomeno della TPO (Third Party Ownership), sia per la recente presa di posizione della FIFA che ha annunciato di voler proibire questa pratica, sia per il caso Doyen Group/Sporting Club. Doyen Group , apparentemente il gruppo più attivo in questo tipo di mercato, si è però “limitato” ad investimenti per circa 100 mln di euro. Qui però parliamo di un soggetto che ha immesso sul mercato una cifra doppia, che da sola rappresenta circa l‘8,2% dell’intero valore delle transazioni delle Big-5 in tutta l’estate 2014. Si tratta, secondo quanto scoperto da Duff, di una società residente alle British Virgin Island, denominata Vibrac Corp. di proprietà di un investitore anonimo che possiede anche il controllo di un’altra realtà simile, Mousehole Ltd. (quest’ultima risulterebbe al momento inattiva). E non è un fuoco di paglia, perché sembra che Vibrac sia nelle condizioni di poter immettere sul mercato cifre simili con cadenza annuale. In realtà il confronto con il valore del calciomercato potrebbe essere limitante. Più che come investitore specializzato nell’acquisto di quote dei diritti economici dei calciatori, Vibrac sembra operare anche come una vera e propria banca, non disdegnando di intervenire anche a supporto del normale fabbisogno di cassa dei Club. Fra le Società finanziate risulterebbero esserci Everton, Fulham, Southampton, West Ham. Il costo delle operazioni? Un tasso di interesse compreso fra il 6,5% ed il 10%, tipicamente prendendo a garanzia del finanziamento i futuri incassi derivanti dall’attività sportiva del Club (prevalentemente i diritti televisivi).
  4. QUEL MALE OSCURO DEL CALCIO ITALIANO di GAETANO CAMPIONE (giornalaccio rosa del Mezzogiorno) Il male oscuro del calcio italiano La presenza costante della violenza negli stadi italiani è un male endemico. Neanche durante il Ventennio si riuscì a mettervi un freno. E ogni volta che la cronaca si occupadelle curve, ormai aree extraterritoriali dove può accadere di tutto, ci scandalizziamo. E a gran voce ci chiediamo: come è possibile? L'indignazione dura lo spazio di una partita. Poi, si ricomincia. In Italia, nell'ultima stagione, tra serie A e serie B, sono stati emessi 2.353 Daspo, i divieti di assistere a manifestazioni sportive. Di questi, 726, nel Sud. Gli incidenti dentro e fuori gli stadi sono costati alla comunità 25 milioni di euro. E sono aumentati gli arresti, i feriti. Soprattutto tra gli steward, truppe da prima linea, «carne da macello» in questa guerra mai dichiarata, tra bombe carte, petardi, fumogeni, lotte corpo a corpo, botte a volontà. Sono sicuri i nostri stadi? No. Risposta senza appello. Impianti vecchi e poco accoglienti, dice qualcuno. Un alibi che vale fmo a un certo punto. La verità, sempre più spesso, è che negli impianti delinquenti comuni si travestono da tifosi. La Questura di Bari ha dimostrato come all'interno del San Nicola gruppi legati ai clan criminali, mentre assistevano a una partita di calcio, si sono affrontati in una mega rissa iniziata in curva Nord e conclusa all'esterno dello stadio. Dieci persone arrestate. Due avevano anche la tessera del tifoso, proprio quella che dovrebbe ridurre al minimo il rischio violenza. Uno era un sorvegliato speciale: non poteva lasciare la propria abitazione. Inevitabili i Daspo. Che si sommeranno alle altre decine di provvedimenti già notificati: in media in ciascuno dei Commissariati di Polizia del capoluogo (tre), ogni sabato (il giorno delle partite di serie B) una quarantina di persone si mettono in coda per firmare l'apposito registro. Al conto vanno aggiunti i 52 baresi del primo Daspo collettivo notificato dopo gli incidenti di Frosinone. Cosa c'entra una rissa tra esponenti dei clan con la passione sportiva? Nulla, sulla carta. In realtà anche da noi il calcio rischia di diventare ostaggio della violenza. La brutta pagina di Bari-Avellino non è ancora cancellata dal libro dei ricordi. Lamentele, denunce e proteste sono arrivate nelle redazioni dei giornali, impazzano sul web. C'è chi ha chiesto il rimborso dell'abbonamento alla società per le minacce ricevute - mentre è in coda - da chi entra senza biglietto, i mancati controlli, i soprusi e le angherie sopportate in silenzio. E chi ha puntato il dito anche contro i centri di coordinamento, a volte troppo ambigui su questo problema. O sui trattamenti, ritenuti da molti di favore, ottenuti da quanti orbitano intorno alle Curve. Come si fa a distinguere i potenziali virtuosi dai potenziali violenti? Il questore del capoluogo pugliese, Antonio De Iesu, era a Salerno ai tempi del derby Salernitana-Nocerina. L'inizio della fine per il club di Nocera inferiore, poi escluso dai campionati professionistici proprio per i comportamenti violenti dei tifosi. «Il mondo del calcio è avvelenato da criminali: una partita coagula soggetti di diversa estrazione temperamentale e criminale: per questo ci vuole una risposta chiara delle forze dell'ordine per liberare lo stadio da personaggi di questo genere. Noi speriamo che alla fine si possa andare allo stadio serenamente, come in Inghilterra», il suo commento. Con un distinguo: «La tifoseria del Bari è composta da migliaia di persone che non hanno nulla a che vedere con dinamiche che inquinano il mondo del pallone. I genitori vivono con angoscia le giornate dei propri figli allo stadio. Per questo ci auguriamo che il Bari vada in serie A, con una tifoseria che espella i teppisti e i criminali che hanno forte potere di condizionamento in alcuni settori dello stadio». Ecco perché i veri tifosi devono «riflettere quando organizzano le trasferte, scegliendo bene le persone con cui si accompagnano». E in questa partita della legalità un ruolo importante lo devono avere le società. Il nuovo Bari ci sta provando. Ha promosso una serie di iniziative mirate per educare il tifoso del domani. Vuole cercare di continuare a portare allo stadio le famiglie e i più giovani, gli unici anticorpi in grado di arginare il virus della violenza. I vertici della società biancorossa hanno sottolineato più volte l'importanza del rispetto delle regole. La legalità non può essere un concetto astratto. La cartolina dei 60mila che cantano a squarciagola l'inno «Bari grande amore» deve restare il biglietto da visita di una città che vuole tornare a contare nel panorama del calcio italiano. Dicendo no a qualsiasi violenza. Ci riuscirà?
  5. SPORT&AFFARI Chi sono, come si muovono, e quanto guadagnano i procuratori che dominano il calciomercato. L'impero di Mendes tra società offshore e soci inattesi. Le evoluzioni e la galassia nebulosa di Raiola. Perché i top club non possono farne a meno I padrini dei calcio di Andrea Di Biase (Milano Finanza - 30-08-2014) Se dovesse riuscire nell'impresa di trovare una nuova squadra a Radamel Falcao, l'attaccante colombiano che vuole lasciare il Monaco del magnate russo Dmitrij Rybolovlev, Jorge Mendes, il superprocuratore portoghese di Cristiano Ronaldo e Josè Mourinho, chiuderebbe con l'ennesimo botto un'estate che lo ha già visto protagonista di alcuni clamorosi colpi di mercato: il passaggio del nazionale argentino Angel Di Maria dal Real Madrid al Manchester United per 75 milioni di euro, quello del giovane colombiano rivelazione di Brasile 2014, James Rodriguez, proprio dal Monaco al club presieduto da Florentino Perez (80 milioni), l'acquisto da parte del Manchester City dello sceicco Mansour del difensore francese del Porto Eliaquim Mangala (40 milioni) e del bomber dell'Atletico Madrid Diego Costa da parte del Chelsea (38 milioni). Ma anche se Falcao, che lo scorso anno Mendes ha traghettato dall'Atletico Madrid al Monaco per 60 milioni, facendo la fortuna del fondo Doyen Sports (proprietario del 55% del cartellino del giocatore), dovesse rimanere un altro anno nel Principato, si confermerebbe ugualmente come il re del mercato. Limitando l'analisi alle prime 25 operazioni di trasferimento chiuse fino ad ora, il cui controvalore complessivo ha superato gli 875 milioni (si veda la tabella in pagina), Gestifute, la società di diritto portoghese con cui Mendes cura gli interessi dei suoi assistiti, è stata regista di ben quattro operazioni, per un importo di 233 milioni, pari a circa il 25% del totale. Un flusso finanziario che in parte è finito, come compenso per l'intermediazione, nelle casse della stessa Gestifute, anche se nessuno dei club coinvolti, nemmeno il Manchester United, che pure è quotato a Wall Street, ha precisato l'ammontare destinato alla società di Mendes. Per provare a dare un ordine di grandezza ci si può basare sui dati riportati in uno studio realizzato recentemente da Pricewaterhouse Coopers per conto dell'European club asso-dation (Eca), l'associazione che riunisce i principali club europei. Secondo l'analisi di Pwc, che è riferita alla stagione 2012/13, le commissioni distribuite in Europa dai club ad agenti e procuratori hanno pesato in media per il 14,6% del controvalore delle operazioni (254 milioni di dollari su 1,74 miliardi di controvalore). Si tratta di una cifra considerevole, tanto che lo studio Eca-Pwc sottolinea la necessità che sia il ruolo ricoperto dagli agenti sia il loro livello di remunerazioni vadano «rivisti e monitorati attentamente», ma che combacia con i ricavi indicati nel bilancio 2013 della Gestifute consultato da Milano Finanza. La società di Mendes, che nella passata stagione ha curato il passaggio di Falcao e James Rodriguez al Monaco ha infatti chiuso l'ultimo esercizio con ricavi pari a 13,6 milioni, che rappresentano circa il 13% dei 105 milioni spesi da Rybolovlev per portare i due campioni colombiani al Monaco. Ma se si considera che Mendes opera al servizio dei propri clienti, tra cui figura anche l'ex difensore del Milan oggi in forza al Psg, Thiago Silva, anche quando non sono oggetto di operazioni di mercato, il conto non torna. L'utile di 6,22 milioni generato dalla Gestifute nel 2013, dopo aver spesato costi per 5,2 milioni e pagato imposte in Portogallo per 2,2 milioni, non sembra rispecchiare totalmente il volume d'affari che ruota attorno a Mendes. Sempre lo scorso anno, ad esempio, l'agente por *** toghese ha rinegoziato con Florentino Perez il contratto di Cristiano Ronaldo, esteso fino al 30 giugno 2018, con l'ingaggio salito fino a 17 milioni di euro netti l'anno. Non solo, Gestifute agisce anche in altri settori, come la gestione dei diritti di immagine e sponsorizzazioni, attravesro la controllata Polarissports e Gestifute Media. Ma l'impero di Mendes è bene più vasto. Secondo una documentata inchiesta, pubblicata lo scorso 21 luglio, sul quotidiano portoghese Diario de Noticias, il reticolo di società riferibili all'agente dello Special One e di CR7 ha ramificazioni che dal Portogallo si spingono all'Olanda, dove ha sede la società capofila di tutto il gruppo (Sociedade Start BV) all'Irlanda, dove Mendes opera attraverso la Gestifute International (3,13 milioni l'utile riportato nel bilancio 2012, l'ultimo depositato). Questa società, stando ai documenti pubblicati dal quotidiano portoghese, è a sua volta azionista al 50% di una società con sede nel paradiso fiscale di Jersey denominata Burnabay Gp Limited (l'altro 50% fa capo a Creative Arts Agency Sports, società Usa attiva nella gestione dei diritti di immagine e socio di Gestifute in Polarissport). A sua volta Burnabay Gp Limited detiene una partecipazione in Burnabay Investment Lp, un veicolo societario di diritto britannico proprietario dei cartellini di alcuni giocatori dello Sporting Lisbona e del Braga, nel cui capitale figura anche la Briskpring Ltd, società controllata dal Chelsea di Roman Abramovich (il club allenato dall'assistito di Mendes, Josè Mourinho). Secondo quanto emerso dall'inchiesta del Diario de Noticias, che ha così dato seguito alla rivelazioni fatte dal Guardian nel gennaio scorso, Mendes e Abramovich sarebbero dunque soci in Burnabay Investment. Una rivelazione che, almeno per ora, non sembra aver scosso più di tanto il mondo del calcio nonostante la battaglia avviata dal presidente dell'Uefa, Michel Platini, contro le cosiddette proprietà di terze patri (Tpo), ovvero quei fondi di investimento che si affiancano ai club nell'acquisto dei cartellini dei giocatori e che poi, come ha fatto Doyen Sports nel caso di Falcao, incassano ingenti plusvalenze dal suo passaggio da un club ad un altro. Una pratica, quella dell'acquisto da parte di soggetti terzi dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori che, tra il serio e il faceto, era stata proposta da Mino Raiola per sbrogliare il rapporto tra il Milan e Mario Balotelli, che prima di accettare la proposta di 20 milioni arrivata da Liverpool, il club guidato da Adriano Galliani aveva cercato senza successo di vendere. 11 pittoresco procuratore italo-olandese, che al pari di Mendes può essere considerato uno dei grandi registi del calcio-mercato internazionale, aveva infatti proposto di acquistare lui il cartellino di Supermario, attraverso una finanziaria appoggiata ad una società calcistica straniera, e poi girarlo in prestito ad un altro club (era stato fatto il nome della Juventus). Un'idea che, tuttavia, non si è mai concretizzata, anche perché in Italia la proprietà di terze parti, pur non essendo espressamente vietata dalle norme federali, è una pratica che non ha mai preso piede (anche se in realtà il meccanismo delle comproprietà, abolito nel giugno scorso, è stato a lungo utilizzato con le stesse finalità). Raiola, che opera attraverso la società olandese Maguire Tax & Legal BV e la Sportsman, con sede nel Principato di Monaco, oltre alla fortuna dei suoi assistiti (Zlatan Ibrahimovic su tutti) è riuscito, grazie a rapporti e abilità nella negoziazione, a fare anche la sua. Secondo la stampa sportiva gudagnerebbe più di 5 milioni l'anno, anche se lui si è ben guardato dallo smentire o confermare le indiscrezioni. «Quello che guadagno lo sanno i miei giocatori, si è limitato a commentare. Fare i conti in tasca all'universo-Raiola è tutt'altro che semplice. Il bilancio al 31 dicembre 2013 dell'olandese Maguire Tax & Legal, consultato da Milano Finanza, non offre grandi informazioni. Il documento di sole quattro pagine, depositato al registro delle imprese, non contiene un conto economico standard e si evince solo che la società, che ha in bilancio utili portati a nuovo per 95mila euro, ha girato ai propri soci un dividendo di 67mila euro. Una cifra non coerente con il giro d'affari del superprocuratore originario di Nocera Inferiore ma trapiantato in Olanda che, anche quest'anno, ha messo a segno i propri colpi. Se il passaggio di Balotelli dal Milan al Liverpool è solo la 2lesima operazione per controvalore nella graduatoria del calciomercato 2014/15, il funambolico Mino è riuscito a traghettare il 21nne attaccante belga Romelo Lukaku dal Chelsea all'Everton per una valutazione di 35,36 milioni.
  6. MARCO SI FERMA Tachicardia e depressione Van Basten dice stop Alec Cordolini - Gasport - 29-08-2014) L'ex Milan si autosospende dalla panchina dell'Az Alkmaar, non si sa fino a quando Situazione aggravata dalla morte del padre «I sintomi dei suoi problemi fisici sono gravi, servono nuovi controlli medici IL COMUNICATO UFFICIALE DELLAZ SU VAN BASTEN ALEC CORDOLCINI IIIIIIli1 Dopo la famigerata caviglia, ecco il cuore. AMarco van Basten il fisico continua a non concedere tregua. Sabato l'ex Cigno di Utrecht non siederà sulla panchina dell'Az per il match casalingo contro il Dordrecht a causa dell'aggravarsi di problemi cardiaci, con i quali convive già da diverso tempo. Van Basten soffre di tachicardia ventricolare, che, secondo quanto scritto nel comunicato diramato ieri dal club di Alkmaar, sarebbe peggiorata sensibilmente negli ultimi mesi a causa di alcuni problemi personali che hanno colpito l'ex milanista. Su tutti, una fase di depressione arrivata dopo la morte del padre Jo-op, avvenuta lo scorso luglio all'età di 84 anni. Tra i due il legame è sempre stato fortissimo, tanto che Joop van Basten diceva di essersi perso non più di 5-6 di partite del figlio, dagli inizi di carriera nel club locale dell'Edo fino agli anni d'oro con Ajax e Milan. Alla ripresa degli allenamenti dopo la sconfitta in casa del Willem II, Van Basten avrebbe comunicato alla dirigenza di sentirsi molto provato, sia fisicamente che psicologicamente, dai sempre più assidui aumenti di battito cardiaco. Da qui la decisione di prendersi un periodo di riposo forzato, sulla cui entità nessuno si è ancora pronunciato. L'unica certezza è che gli allenamenti per ora sono stati affidati ai suoi assistenti, Dennis Haar e Alex Pastoor, che guideranno la squadra sabato in campionato. Alti e bassi La carriera da allenatore di Van Basten è sempre proceduta a singhiozzo, alternando periodi intensi a lunghe pause. Costretto a un prematuro ritiro nel 1995, MvB si rilassa dedicandosi al golf e dichiarando di non essere emotivamente pronto al rientro nel mondo del calcio. Ci ripensa sette anni dopo, prende il patentino di allenatore e sceglie di cominciare con le giovanili dell'Ajax. Un approccio soft che viene completamente ribaltato nel giugno 2004, quando accetta la panchina della nazionale olandese. Bilancio: un deludente Mondiale 2006, seguito da un discreto Europeo 2008. Poi riecco l'Ajax, dove dura 33 partite, dimettendosi a una giornata dalla fine del campionato, al termine di una stagione rovente per polemiche e litigi che coinvolgono anche i giocatori (Luis Suarez in primis). MvB è stanco di allenare e decide di fermarsi tre anni. Nel giugno 2012, a sorpresa, accetta la panchina dell'Heerenveen. Un ritorno in provincia, lontano dallo stress e con l'unico obiettivo di valorizzare qualche giovane di talento. Dopo due anni però il suo stipendio non rientra più nei parametri di bilan-do del club frisone. Ecco quindi arrivare, lo scorso giugno, il più ambizioso Az Alkmaar. Un'esperienza durata finora solo tre partite ufficiali
  7. DA MARADONA A GASCOIGNE, QUANTE STORIE Quando il campione si scopre fragile di Furio Zara (gasport - 29-08-2014) Le conseguenze del dolore. Oltre il viale del tramonto, c'è un'altra quotidianità, diversa da quella di prima. Quando il campione smette di essere tale torna uomo e si scopre fragile e vulnerabile. Affiorano mali che prima venivano sopiti ora da provvidenziali punture e ora dalla gioventù che arde nell'atleta al top della forma, emergono paure nascoste, cattivi pensieri, come quelli che ha confessato Batistuta. Francesco Rocca convive con il dolore da più di trent'anni, da quando fu costretto a smettere: si definisce un asceta dello sport, ancora oggi zoppica, a schiena dritta però. Le ginocchia hanno tradito anche Alvise Zago, stellina del Toro anni '80, fatto fuori da un intervento canaglia di Victor: dopo l'infortunio per un anno ha temuto di non poter più camminare. Tomare a fare una banale passeggiata è stata un'impresa anche per Franco Liguori detto «Whisky , centrocampista all'olandese del Bologna nei '70. Le ferite del corpo, un buco nell'anima che spesso sconfina nel male di vivere: Gascoigne non si regge in piedi da tempo, è il simulacro di se stesso. Anche il più grande di tutti, Maradona, cammina storto, si dondola; ma è un destino comune, che colpisce al pari i gregari come Luciano Favero. L'ex terzino della Juventus ha smesso più di vent'anni fa, ma le sue ginocchia scricchiolano, sembrano ancora oggi violini al concerto di capodanno. Convivere con il dolore stava scritto fin dall'inizio nella storia di Roby Baggio: a diciassette anni la mappa delle cicatrici delle sue ginocchia procurava - a chi le guardava - una fitta al cuore. Molto tempo è passato, la mappa è diventata amica, ma non per questo meno dolorosa.
  8. Giuseppe Botero su La Stampa Diritti tv, arma a doppio taglio I bilanci delle società nelle mani di un numero ristrettissimo di media: Crepe del sistema CONTI IN ROSSO E MARCHI DEBOLI IL LEGAME A DOPPIO FILO CON LE TV Il gap con l'Europa: indietro nei ricavi e gestioni artigianali Sette anni consecutivi di bilanci in perdita, un indebitamento netto che ha sfondato il miliardo e mezzo. E le prospettive, spiegano dalla società di revisione Deloitte, sono cupe: «Ci aspettano altri due anni difficili», dice Dario Righetti, partner responsabile del Consumer Business Italia. A strangolare il sistema calcio, concordano gli analisti, è un mix di dilettantismo, investimenti sbagliati e conti perennemente in rosso. «Se le società fossero normali imprese private molte di loro avrebbero già portato i libri in tribunale», spiega l'economista Tito Boeri. Ci sono eccezioni, ovviamente. Nella «Football Money League», la classifica che fotografa i ricavi dei club europei, la Juventus - l'unica a poter contare su uno stadio di proprietà -6 al nono posto, e il Milan si piazza subito dietro. Gli altri arrancano. Tra le leghe europee la nostra si piazza al quarto posto, ma la Francia ha messo la freccia. Non è un caso che gli sceicchi abbiano investito sul Paris Saint Germain: nel giro di tre anni ha quadruplicato i ricavi. «Hanno intravisto spazi di crescita che qui non ci sono», ragiona Righetti. II nodo dei diritti tv Al momento l'ossigeno arriva soprattutto dai diritti tv. Masi tratta di un'arma a doppio taglio, che preoccupa anche i vertici della federazione. II mercato è «nelle mani di un numero ristrettissimo di media - si legge in un report della Figc -. Se dovessero valutare il loro investimento come non più profittevoleodecidere strategicamente di non investire più nel nostro Paese, il sistema sarebbe improvvisamente ridimensionato». L'appeal delle nostre gare, tra l'altro, è in picchiata Nella Premier League i diritti esteri valgono 908 milioni di euro, qui 117 (2013/14). II modello tedesco L'esempio, indicano gli analisti di Deloitte, è la Germania: bilanci positivi per 12 club su 18, un giro d'affari in crescita da otto anni e, nel frattempo, un titolo Mondiale. «Le fabbriche di consenso devono trasformarsi in fabbriche di profitto», ragiona Fausto Panunzi, docente di economia alla Bocconi. Traduzione. «I club sono amministrati in modo artigianale e, per troppo tempo, le società sono state legate al business principale del proprietario». Gestioni deboli, che hanno appaltato agli abusivi un pezzo di merchandising, che nei bilanci vale meno del 15%. II Real Madrid, nella prima settimana dopo l'acquisto di Rodriguez, ha incassato 15 milioni grazie alle t- shirt. Da noi fa affari soprattutto «l'industria del tarocco». I brand deboli Non stupisce, dunque, che gli sponsor tecnici guardino altrove: il Manchester United ha firmato un accordo decennale con l'Adidas da oltre 941 milioni di euro. Nella serie A comanda la Juventus che, proprio grazie all'intesa con Adidas mette in cassa, complessivamente, circa 30 milioni di euro all'anno, dieci più di Milan (Adidas) e Inter (Nike). Quello dei nerazzurri è un caso particolare, spiega Luciano Canova, Faculty member alla Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University e collaboratore de La Voce.info, perché neppure nella stagione vincente di Mourinho la società è riuscita a creare un brand forte, esportabile. Tocca a Thohir cambiare rotta: il primo passo è l'ingaggio di Michael Bolingbroke, ex direttore organizzativo al Manchester United.
  9. IL CAMPIONATO DELLE MAGLIE VUOTE (Matteo De Santis su La Stampa) Al via la A: 7 squadre su 20 non hanno scritte sulle maglie. Tra le big europee solo due casi La grande fuga degli sponsor dal calcio Gli effetti della crisi si fanno sentire anche nel calcio. A pochi giorni dall'inizio del campionato, in serie A troppe sono ancora le squadre senza una griffe in bella mostra sul petto. Un problema per sette società su venti: Fiorentina, Genoa, Lazio, Cesena, Palermo, Sampdoria e addirittura la Roma, seconda l'anno scorso e tra le favorite nella corsa al titolo. Parla l'esperto di marketing Marco Nazzari: «I club pagano dieci anni di errori, chi investe pretende strutture e progetti». Sponsor in fuga,, 7 squadre su 20 non ce l'hanno: l'appeal del nostro torneo non è mai stato così basso Non solo difficoltà economiche: è l'effetto di violenza, stadi vecchi e assenza di campioni La crisi si misura anche dalle magliette rimaste senza sponsor. Tante, troppe e portatrici di inevitabili danni economici per le squadre ancora prive di un marchio in bella mostra sul petto e d'immagine per l'intero sistema della serie A, sempre meno ricca e affascinante rispetto alla concorrenza estera. Se una volta, quando in Italia si spendeva e si spandeva con disinvoltura, ad agosto le sette sorelle erano le pretendenti per lo scudetto, ora sono quelle a caccia di una sponsorizzazione. Questo, purtroppo, passa il convento. Le maglie ancora vuote di Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria, nella settimana d'inizio del campionato, rappresentano un record negativo mai registrato in Italia e ovviamente l'ennesimo campanello d'allarme sul-l'appeal in pericoloso ribasso della serie A. Esaurite da un pezzo le vacche grasse di quando anche le provinciali potevano fregiarsi di marchi multinazionali, i tempi magri stanno andando oltre le peggiori previsioni. Lo dimostra, senza pietà, il raffronto con il resto dell'Europa che conta: Premier League, Bundesliga e Ligue 1 senza un buco libero sulle maglie delle loro squadre, Liga con spazi disponibili solo sulle casacche di Valencia e Levante. In Italia, prendendo spunto dal titolo di una famosa commedia musicale, è ancora caccia aperta a sette sponsor per sette magliette. Per ognuna di queste ci sono storie, motivazioni, valori di mercato e strategie differenti. La Roma made in Usa, ad esempio, ha fissato l'asticella per l'incasso dal «main sponsor» a 14-15 milioni e non intende abbassarla più di tanto, come dimostra il gentile rifiuto a una compagnia aerea internazionale pronta a offrirne 4-5 per vedere il proprio nome abbinato a Totti e compagni. Stesso discorso per la Lazio, ormai all'ottava stagione senza uno sponsor fisso. «Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor», il ritornello di Lotito. Il Genoa rappresenta una realtà più unica che rara: per ora ha solo un cosponsor (McVitie's) e non quello principale, ma può comunque contare sul minimo garantito dal contratto di «marketing agent» con l'advisor Infront. Casi singoli a parte, il trend negativo riguarda l'intero sistema. La principale causa della progressiva fuga o latitanza degli sponsor dall'Italia, nonostante il recente via libera all'inserimento anche di un terzo marchio sul retro delle divise da gioco, è proprio l'immagine trasmessa all'estero dalla serie A. La crisi economica generale ha influito, ma molto di più (in peggio) hanno fatto le desolanti cartoline di stadi obsoleti e sempre meno gremiti, la convinzione miope di manager e dirigenti di poter andare avanti solo con la spartizione della torta dei diritti televisivi, la progressiva sparizione dei top player e, salvo eccezioni, l'assenza di strategie concrete di marketing, di propaganda sui nuovi social media e di controllo dei diritti d'immagine dei calciatori. Triste morale della favola: il bacino d'utenza del calcio italiano è molto più spostato sul mercato interno che su quello esterno. La cartina di tornasole arriva anche da chi, per sua fortuna, gli sponsor ce G ha: quasi tutti marchi nostrani, pochissimi provenienti da fuori. Non come avviene, persino nelle serie minori, in Inghilterra, Spagna, Francia e Germania. D dislivello, d'altronde, è evidente sotto tutti gli aspetti. Anche sul prezzo d'etichetta: 15,750 milioni di euro all'anno della Tim per griffare la serie A contro 50 milioni di sterline a stagione della Barclays, a breve neanche più sufficienti per targare la Premier League. Ogni differenza non è affatto casuale
  10. Marco Iaria (Gasport, 26-08-2014) TAVECCHIO E UN'ARCHIVIAZIONE CHE SCATENA EFFETTI IMBARAZZANTI ora cosa dovremmo dire a quel ragazzo del-l'Atalanta squalificato per dieci giornate, poi ridotte a cinque, con tanto di rieducazione sociale, per aver dato del "vu' cumprà" a un avversario? E alle migliaia di tifosi lasciati fuori dagli stadi per gli odiosi buu o per i cori sui "napoletani colerosi" urlati da qualcuno? Potrebbero essere devastanti gli effetti dell'archiviazione del caso-Tavecchio disposta dal procuratore federale Palazzi, dopo che la frase su Opti Poba "mangiatore di banane" aveva suscitato un'indignazione senza precedenti. Devastanti perché non un giudice ma, addirittura, un "pubblico ministero" rischia di vanificare il senso di mille battaglie in nome dell'antirazzismo, appoggiate da questo stesso giornale: la scorsa stagione, nella sola Serie A, dieci partite si sono giocate con uno o più settori chiusi e le società hanno pagato in ammende quasi un milione di euro, anche per l'estensione alla discriminazione territoriale, ormai sdoganata. Si fa una gran fatica a comprendere come quell'offesa che associando implicitamente gli extracomunitari alle scimmie sarebbe al primo posto in un'ipotetica graduatoria delle espressioni discriminatorie, sia stata ritenuta da Palazzi non rilevante ai fini di disciplinari "sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo". Ma come? Era stato lo stesso Tavecchio ad ammettere l'errore e a scusarsi. Così si finisce per alimentare le dietrologie sui controllori-controllati e per allontanare sempre di più la gente, legittimata a pensare che la giustizia non sia uguale per tutti. È un'occasione persa per il calcio italiano: il procedimento, che magari si sarebbe concluso con ]'assoluzione di Tavecchio, avrebbe consentito di dibattere il delicato tema delle parole sul razzismo, di ciò che è giusto eticamente (no, qui non si tratta di politically correct) e dei limiti che tutti, presidente della Figc compreso, devono rispettare. Non una bella figura nei confronti dell'Uefa, che ha tuttora un'inchiesta aperta. E provate a immaginare l'imbarazzo del giudice sportivo che ogni settimana tira fuori notarilmente il tariffario delle multe, comprese quelle scattate per il "m***a" rivolto al portiere rivale dai bambini in curva allo Juventus Stadium
  11. Indagine su puntate milionarie Scommesse sospette È il ritorno di Calciopoli D. Di Santo (Il tempo) La denuncia Federbet attacca: anomala pioggia di denaro sulle quote Over nella gara di coppa Italia di Lega Pro Scommesse sospette, ancora fango sul calcio Centinaia di migliaia di euro puntati sul match Ascoli-Ancona con tanti gol: è finito 5-3 Un derby marchigiano carico di emozioni e soprattutto di gol, quello di sabato sera tra Ascoli e Ancona. Tanto da attirare - quote alla mano - i sospetti di Federbet, organismo internazionale con sede a Bruxelles attivo da tempo contro la manipolazione degli eventi sportivi, partner di federazioni e club di mezzo mondo. La partita a eliminazione diretta valida perlaterza giornata del girone G di coppa Italia di Lega Pro è finita con un punteggio pirotecnico: 5-3 per i bianconeri. Otto reti che hanno infiammato il pubblico presente allo stadio Del Duca. Ben «7.512 spettatori» tra i quali il noto attore «Neri Marcorè e il vescovo Giovanni D'Ercole, per oltre 90mila euro d'incasso», sottolinea con giustificato orgoglio la stampa pi-cena. Una raffica di reti arrivata dopo un'oscillazione quantomeno sospetta delle quote a disposizione degli scommettitori. La gara, infatti, era quotata da diversi book-maker e «un'anomala immissione di denaro a ridosso del fischio d'inizio ha determinato il crollo dell'Over 2.5», commenta Francesco Baranca, segretario generale di Federbet. Si tratta della giocata in cui lo scommettitore incassa se vengono segnati almeno tre gol. La quota in questione è scesa da 2.7 (puntando un euro se ne incassano 2.70) a 1.6. «Quella più redditizia, l'Over3.5, è letteralmente precipitata da 4.8 a 2.5 - continua Baranca - così come la Gg, entrambe le squadre a segno. Un tracollo dovuto a un'iniezione massiccia di denaro nel circuito. Parliamo di oscillazioni causate da cifre nell'ordine di centinaia di migliaia di euro piovute su una partita di coppa Italia di serie C che, sebbene si trattasse di un derby molto sentito, normalmente avrebbe attratto un numero di giocate molto inferiore. E senza nessuna notizia particolare legata a defezioni o cambi nelle formazioni». L'approccio delle organizzazioni and-fixing è squisitamente numerico: troppi soldi su una partita, troppi soldi su un range limitato di scommesse, risultato chepremiale aspettative dei maxigiocatori. A far accendere la spia di Federbet - partner ufficiale, tra gli altri, della Liga de Futbol Profesional spagnola - è anche un altro elemento. «L'abbassamento dell'Over non è coinciso con variazioni legate alle quote dell'esito della partita». In sintesi, chi hapuntato forte - anzi, fortissimo - sulla goleada non ha giocato sulla vittoria di una delle due squadre, né sul pari. L'importante, erano i gol. Per la cronaca, ad aprire le marcature è l'ascolano Mustacchio, rete bissata da Mengoni. Ancona a segno con Tulli, replica bianconera di Perez. Il primo tempo finisce 3-1, nel secondo l'Ascoli fa cinquina con Berrettoni e Chirico. Il forcing finale premia l'Ancona con le reti di Gelonese e Pizzi
  12. Palazzo di vetro RUGGIERO PALOMBO Gasport 23-08-2014 «Gioca» Tavecchio: doppia partita con Malagò e Agnelli Ora che il tiro al piccione Tavecchio da sport nazionale è diventato disciplina olimpica ci si domanda se il presidente della Federcalcio ha davvero messo in conto l'ipotesi, evocata da Giovanni Malagò nella bella e quasi interamente sincera intervista rilasciata giovedì al Corriere della Sera, di «fare un passo indietro» in presenza di complicazioni disciplinari relative alla sua celeberrima gaffe. La risposta, con buona pace di altrui appetiti, è no e i due se lo sono anche detto nel corso delle due telefonate intercorse quarantotto ore fa, Tavecchio in ufficio e Malagò in vacanza (meritata) sulle coste occidentali della Sardegna. L'eventuale e piuttosto probabile sanzione Uefa sarà solo di carattere internazionale (non è poco ma nemmeno tantissimo) e quanto alla giustizia domestica, annusata l'aria e le convinzioni che si respirano nei dintorni delle Procure federali di svariate federazioni (una per tutte: la Federciclismo dell'avvocato Giovanni Grauso ex Figc e buon conoscitore di Palazzi) non dovrebbero esserci ipotesi di reato e tantomeno deferimenti a carico di Tavecchio. Il quale, complice Malagò, ha solo una gran fretta e necessità di completare la propria squadra dopo le nomine dei vicepresidenti Beretta e Macalli e il passo indietro imposto allo straripante Lotito. Il nodo è quello del direttore generale e in ballo ci sono due ottimi dirigenti, Antonello Valentini e Michele Uva, legati da un passato prossimo in Federcalcio (il primo contribuì ad assumere il secondo) e da una sopraggiunta incompatibilità ambientale (eufemismo: in realtà si detestano vicendevolmente). Il programma di Tavecchio che piace a Malagò e che non dispiace a Chimenti e Miglietta, presidente e amministratore delegato di Coni Servizi della quale Uva è l'attuale direttore generale, è quello di una staffetta Valentini-Uva in Federcalcio. Solo che il passaggio di testimone, visti anche gli antefatti, è tutt'altro che indolore. Martedì, in un modo o nell'altro, dovrebbe essere il giorno chiave. Verrà così sminata una delle due questioni aperte tra Malagò e Tavecchio. L'altra riguarderà invece, in un futuro prossimo, la grana contributi. La Figc prende 62 milioni l'anno dal Coni ma quella cifra è destinata ad essere dimezzata per il 2015 a favore di altre federazioni (atletica in testa, che magari potrà così incrementare i suoi contingenti per le manifestazioni internazionali, dopo i «soli» 81 atleti inviati agli Europei). Malagò, che dispone di un tesoretto da assegnare a suo insindacabile giudizio, intende addolcire la pillola facendo diventare quel meno 30 della Federcalcio qualcosa vicino a meno 15/20, Ta-vecchio vorrebbe addirittura scendere a meno 10 ma sarà durissima. L'ultimo capitolo riguarda l'ice bucket challenge, la doccia gelata pro ricerca per la lotta alla Sla. Ieri come è noto è toccato ad Andrea Agnelli che ha poi «nominato» proprio Tavecchio. Il quale, non prima di avere pensato a chi nominare a sua volta (Malagò è vivamente consigliato di munirsi di un bel secchio), ha personalmente telefonato al presidente della Juventus accettando la sfida ma proponendo anche, prontamente ricambiato, un successivo tavolo per «parlare di calcio». Docce gelate, ma anche prove di disgelo
  13. La discriminazione territoriale è stata cancellata La Figc cambia le regole (contestate) dell'anno scorso. Urlare 'napoletani colerosi' non porterà più alla chiusura immediata delle curve di Giovanni Capuanopanorama.it Hanno vinto i club, che da mesi chiedevano di ridisegnare le norme sulla discriminazione territoriale che avevano portato a squalifiche di settori e polemiche. Il primo Consiglio federale dell'era Tavecchio è intervenuto con urgenza sulle norme e con effetto immediato ha cancellato la 'discriminazione territoriale'. Non costituisce più un comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, quella condotta che, ex art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva, era da considerarsi, direttamente o indirettamente, di "origine territoriale". In più, "l'offesa, denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale" viene cancellata dall'art. 12 (prevenzione di fatti violenti) come causa di responsabilità oggettiva delle società. Insultare tifosi e giocatori avversari facendo riferimento alla loro origine territoriale resterà comunque un comportamento passibile di sanzione, però viene declassato e le società risponderanno per insulti di secondo genere "con gradualità", come ha detto il presidente Tavecchio, e senza chiusura immediata delle curve perché l'obiettivo era "evitare provvedimenti drastici" e vuole favorire "interventi più ponderati". In pratica la discriminazione territoriale diventa semplice espressione oltraggiosa, viene inserita nell'articolo 12 (e non più nell'articolo 11) e viene così punita in maniera molto più lieve con ammende da 10.000 a 50.000 euro per i club di serie A, da 6.000 a 50.000 per i club di serie B, da 3.000 a 50.000 euro per i club di Lega Pro. Solo "nei casi più gravi, da valutare in modo particolare con riguardo alla recidiva, sono inflitte congiuntamente o disgiuntamente" anche sanzioni più dure: chiusura di un settore o dello stadio, oppure squalifica dello stadio fino a un massimo di due anni. Questo sulla carta, perché è evidente che il sistema viene profondamente cambiato, quasi smantellato, sino ad essere equiparato a quello in vigore nel resto d'Europa dove non esiste alcuna indicazione di punizioni per la discriminazione territoriale. Lo stesso presidente dell'Uefa, Michel Platini, lo aveva fatto notare nei mesi scorsi quando aveva commentato i problemi delle tifoserie italiane. Fifa e Uefa hanno varato una tolleranza zero nella lotta alla discriminazione razziale (e per questo le parole di Tavecchio sui mangia banane hanno provocato una reazione ufficiale), ma la questione territoriale era stata un'interpretazione della Figc che nell'agosto scorso, per dare un segnale forte, era stata portata fino alle estreme conseguenze con il risultato di mettere i club in posizione di essere ricattate dai gruppi ultras. La Figc aveva cambiato in corsa le norme e poi, davanti alla sfida continua delle curve, aveva cominciato a interpretare in senso meno restrittivo l'automatismo della punizione, inserendo il concetto di "chiara percezione" del coro e rappresentatività del numero di persone che si erano rese protagoniste dell'atteggiamento illecito. Ora si torna alle care e vecchie multe. Pagate dalle società. Ecco come era formulato fino a oggi l'articolo 11 del Codice di Giustizia sportiva e la parte che è stata modificata dall'intervento del Consiglio federale:
  14. Diritti tv calcio: il Manchester United vieta i video dei fan allo stadio tvdigitaldivide.it Già da qualche giorno la Premier League ha avvisato i tifosi del campionato di calcio inglese: non si potranno più filmare e caricare video di gol e azionicon smartphone o tablet durante le partite per poi postarli in tempo reale suisocial network. Una pratica diffusissima dai tifosi paganti durante iMondiali Brasiliani. Tra i primi club della lega inglese, il Manchester United ha deciso di vietare ai propri tifosi l’uso di tablet e grossi dispositivi elettronici all’interno dell’Old Trafford, per limitare appunto la diffusione di filmati e video “pirata”. Lo strettissimo divieto di pubblicazione dei contenuti protetti da copyrightsul web è nato da una legge sulle norme di sicurezza che regolano anche la privacy negli scali aeroportuali britannici: «In linea con le ultime direttive rivolte agli aeroporti inglesi, il massimo consentito è di 150×100 mm: ipad, tablet, grandi borse, telecamere e liquidi ad eccezione di bottiglie d’acqua piccole e senza tappo saranno proibiti». Le reali motivazioni sono invece relative alla quasi assurda (per questi tempi) necessità di limitare le riprese “pirata” dei tifosi che, tablet alla mano, condividono in un attimo lke proprie opere amatoriali sui vari social network e suiportali video. Il direttore della comunicazione della Premier League, Dan Johnson, intervistato dalla BBC, ha spiegato che la Premier sta lavorando, in collaborazione con alcuni social network come Twitter, per sviluppare degli specifici motori di ricerca per individuare gli utenti che inseriscono su tweet e pagine web gol ed azioni di gioco in modo da ridurre questo tipo di fenomeno. «Questo tipo di scelte costituisce un violazione dei diritti detenuti dalla Premier e vogliamo scoraggiare i fans dal portare avanti questo tipo di azioni» ha sottolineato Johnson. Con ogni probabilità, almeno inizialmente dovrebbe apparire un tweet o un messaggio di risposta che avverte l’utente di aver violato il copyright. Successivamente potrebbe eventualmente partire l’azione legale. Il punto interessante di questo tipo di decisione consiste nel capovolgimento del rapporto tra il proprietario dei contenuti e il mondo dei social network. Se prima i social venivano sfruttati per amplificare i contenuti al di là dei confini costituiti dagli utenti a pagamento, ora si decide di chiudere il recinto. L’ennesima battaglia in nome del dio copyright che potrebbe miseramente fallire, come già accaduto nel 2010 quando negli USA i New York Yankees vietarono questi strumenti, salvo cambiare idea due anni più tardi.
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