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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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AS color 08-10-2013

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 08-10-2013)

Quei "bravi ragazzi" che

stanno sfasciando tutto

Come se ne esce? Come si accoppia il giusto rigore, il pugno duro, la tolleranza zero all'evidenza di aver consegnato nelle armi del nemico una pistola carica, quella del ricatto? Non se ne esce facendo come Allegri, Galliani e la loro teoria dei bravi ragazzi che sfottono: hanno fatto chiudere San Siro, quei bravi ragazzi, e si sapeva che l'avrebbero fatto. Lo faranno ancora, e altrove, gli ultrà che campano con la fetta di piccolo grande potere conquistata negli stati italiani grazie a decenni di tolleranza mille, rigore zero, morbide carezze. Ma adesso che è cominciata una guerra - quella agli incivili e ai razzisti dichiarata dall'Uefa e recepita dalla Federcalcio - il calcio italiano la deve combattere, anche se non ne aveva probabilmente nessunissima voglia. Non può tornare indietro, neppure se sotto ricatto: al Milan le prossime infrazioni costerebbero punti in classifica, partite perse a tavolino, magari l'esclusione dalle Coppe. Danni così incalcolabili da chiarire perfettamente la posta in palio e l'inadeguatezza di una politica di connivenza con chi, da uomo in più in campo, si sta trasformando in carnefice sugli spalti.

Come se ne esce? Davvero, come dicono Galliani e i presidenti in coro, la discriminazione territoriale va depenalizzata? Siamo sicuri che l'Uefa, che ha appena chiuso l'Olimpico per i cori dei tifosi della Lazio contro "i polacchi che puzzano", chieda questo? O che Vesuvio lavali col fuoco non sia razzismo? No, non siamo sicuri. E allora, forse se ne esce eliminando intanto le contraddizioni nelle sanzioni, fissando chiaramente (molto più di oggi) i confini di cosa sia razzismo, discriminazione e insulto. Gli ispettori della Figc danno l'impressione di non vedere e sentire tutti alla stessa maniera, e questo non è più tollerabile quando in ballo ci sono decisioni che alterano il campionato.

Ma non basterebbero neppure i più perfetti, fedeli e onesti degli osservatori a bordo campo per risolvere la questione. Serve soprattutto una discontinuità definitiva da parte di dirigenti, allenatori, giocatori nel loro modo di intendere i rapporti con gli ultrà. Serve che i testimonial del calcio diventino i primi artefici della lotta contro chi il calcio sta rovinando, e da anni. Serve il coraggio di quelli come Giampaolo, che hanno detto no, grazie, io gli ultrà nello spogliatoio non li voglio più, me ne vado. E serve anche l'aiuto dello Stato, che non può lasciare il calcio solo a fronteggiare il problema: i dieci, venti, cento "bravi ragazzi" che stanno sfasciando tutto, costringendo 30 mila abbonati a stare a casa mentre lo stadio si chiude, vanno presi uno ad uno e cacciati via per sempre. Non lo possono fare i club, né gli ispettori di Palazzi. Lo deve fare la polizia. Lo faccia, presto.

Davvero bravo Pontani, senza scherzi.

Sprecato alla direzione sportiva di Repubblica.

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COERENZA E MENTALITÀ

DEI TIFOSI DI CURVA B

di DAVUT GROSSI (la Repubblica - Napoli 09-10-2013)

Ha destato polemiche il gesto compiuto dalla tifoseria organizzata della Curva B domenica scorsa al San Paolo. Poco prima del fischio d’inizio gli Ultras del Napoli hanno esposto striscioni offensivi nei confronti dei napoletani intonando cori che solitamente vengono eseguiti dalle tifoserie avversarie come gesto di disprezzo. Insomma i tifosi azzurri hanno inneggiato contro se stessi usando le stesse parole con cui sono diffamati negli stadi ostili. Perché lo hanno fatto? Secondo alcuni si è trattato di una clamorosa reazione alla decisione del giudice sportivo di chiudere la curva del Milan a causa dei cori eseguiti dai tifosi milanisti durante lo scorso Milan-Napoli, secondo altri si è trattato di un gesto provocatorio e solidale tra curve. Il significato di questo gesto assolutamente unico può essere messo in relazione con ciò che costituisce la duplice essenza della coscienza Ultras: ciò che gli Ultras chiamano “coerenza” e “mentalità”. Senza questi riferimenti è impossibile capire la portata del gesto di domenica scorsa e, più in generale, è impossibile capire qualcosa delle tifoserie organizzate. Mentalità: l’espressione non designa la semplice appartenenza allo stile di vita Ultras, essa indica il fatto che l’Ultras ha posto al centro della propria opera la consapevolezza. L’espressione trova riscontro nell’uso che la tradizione filosofica idealistica napoletana ne ha fatto nella seconda metà dell’Ottocento. Con Bertando Spaventa, maestro degli hegeliani d’Italia, prendeva avvio la consuetudine di tradurre il termine tedesco Selbstständigkeit con il termine Mentalità.

Farneticazioni? Eppure l’Ultras intende la Mentalità come regola, come posizione della centralità del tifo rispetto al calcio. Veniamo alla “Coerenza”: l’idea che sostiene questo principio consiste nella persuasione che la fede vada testimoniata fino al paradosso. Tale è la disciplina che orienta l’Ultras verso il concetto del proprio compito: egli sarà disposto ad auto-togliersi (offendersi) pur di rispettare il principio di autonomia che determina la Mentalità. Nei comportamenti del Capo-Corifeo sono manifesti questi tratti. Egli dà le spalle al campo per guardare la gradinata che intona il canto in cui si ri-conosce la comunità, il coro diventa allora l’eco della parola che muove verso la curva e dalla curva. Nel campo non avviene alcuno spettacolo, esso è ora l’astratto, la pura idea, un colore, un nome ma quando il coro si rivolge al campo allora, solo allora, incomincia la storia e appare un mondo, la partita. Per questo l’Ultras è ostile al coro per il singolo calciatore, che è nient’altro che idolatria. Egli tiene ferma la verità della maglia, ciò che è comune e che pertanto è l’unica cosa ad avere valore e quindi a meritare sostegno.

Dunque solo in prima istanza l’auto-razzismo di domenica scorsa rappresentava una reazione ai provvedimenti repressivi con i quali il giudice sportivo aveva sanzionato il Milan. Gli Ultras non intendevano manifestare solidarietà ai milanisti, ma affermare la propria libertà come opposizione al tentativo di distinguere il canto dal suo contenuto, che qualcuno possa decidere sopra di esso. In secondo luogo, ed è questo l’aspetto essenziale, l’Ultras, facendosi carico dell’offesa più ignobile, si portava al di là di qualunque offesa. Ora quel coro nemico diventa segno dell’identità napoletana come affermazione, come valore non più negativo ma positivo. Cantando contro se stesso l’Ultras si porta al di là di se stesso, egli compie il gesto che trascende l’opposizione tra squadre. Il napoletano è ora il concetto stesso del cantare, dell’offendere, dell’opporre, del tifare. Egli è l’universale, e più che questo. La sua lotta, quella per il diritto al coro e all’odio, è diventata lotta per sé come individualità.

Nessuno potrà infatti più cantare “coleroso” e “lavali col fuoco” senza sentire le voci dei napoletani che hanno reso proprie queste bestemmie. Il napoletano non canta più contro quel coro, egli è dentro quel coro. L’odio non può più colpirlo. Perché il napoletano ha cantato contro di Sé per la giustizia dell’odio. Per la sua legittimità. La curva non accetta per questo l’insulto ma lo afferma, diventa artefice. Dice No a se stesso per dire Sì al proprio opporre, al proprio grido. Si tratta da ultimo, per l’Ultras, di contrastare la volontà di rendere l’agone calcistico un puro sfondo televisivo. L’idea di base consiste in ciò: che la maglia non veste soltanto i calciatori ma rappresenta una città intera. La città non deve divertirsi allo stadio ma partecipare dell’azione, dell’atto col quale essa incontra le altre nel torneo in cui si riconoscono scontrandosi come coscienze, collettività, identità.

Questo è in gioco per l’Ultras nel calcio ed è perché si tratta di una cosa seria che egli si è reso capace della più alta ironia, quella che lo ha fatto abile a distaccarsi finanche dai propri colori pur di affermarli, pur di affermare il modo dell’affermazione: il tifo ultras. Che non è il tifo occasionale, che non è il tifo della pay-tv, del salotto, delle pubblicità. Ma è il tifo dell’abbraccio, del canto, della scrittura, della partecipazione, dell’occhio che tocca, dell’urlo che è vita. Ecco che i tifosi per i colori sono andati oltre i colori dimostrando d’esser loro tanto più in alto degli sporchi cori nordisti da poterli ripetere, da poterli assumere e quindi superare. Essi domenica si sono portati oltre il razzismo. Sono diventati indifferenti al razzismo, lo hanno annientato. Quei cori sono ora in loro, non più fuori. Ne sono i padroni. Quale affronto più grande ai milanisti e quale più alta coerenza alla propria idea? L’idea che nessuno può essere discriminato per un motto, per un lazzo, per un coro.

Beninteso: l’Ultras combatte il razzismo e ha in spregio le infamie dei milanisti, ma rispetta l’odio e l’iperbole perché vede ancora dietro gli insulti di Bergamo, Brescia, Terni, Verona, Vicenza, Bari, Roma, l’odio fondamentale e le città in gioco, la dismisura ebbra di violenza: catarsi necessaria della città. Dietro l’odio s’agita lo scontro che mette in ordine; l’appartenenza geografica resta così irriducibile alla semplice preferenza. D’altronde il progetto del calcio moderno è quello di smantellare questa struttura dell’affezione in favore della pura mania televisiva, di ridurre a spettacolo la lotta e di formare tifosi da salotto spersonalizzati e non radicati nell’identità della propria tifoseria-città. Tutto questo sta dietro l’idea dello stadio come centro commerciale che l’Ultras combatte. Il calcio moderno ha bisogno di consumatori, non di tifosi, e il progetto di demonizzazione delle curve appartiene alla volontà di rimuovere il residuo agonistico-politico del tifo.

Ma il tifoso Ultras sa che è tragico il proprio destino, che il mondo nel quale vive non cambierà in virtù del proprio No, eppure egli canta. Questa la sua legge, il suo comando, l’intima coerenza della mentalità: cantare. E in questo “eppure” risiede la sua passione e la sua forza. Dal San Paolo un coro più d’ogni altro attesta dell’Ultras quest’etica della violenza non-violenta, più efficace di qualunque provvedimento politicamente corretto: “In un mondo che non ci vuole più, canterò di più, canterò di più”. Conserva l’Ultras dell’agonismo antico e delle antiche tragedie i valori più alti: la volontà di supremazia e il canto.

T.s.o.

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Abete: I club hanno

scoperto l’acqua calda...

Il presidente della Figc: «La discriminazione territoriale?

La norma esiste da anni, ora sono state inasprite le sanzioni

Prima le multe, oggi si chiudono gli stadi. Aspetto proposte»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 09-10-2013)

ROMA - «Possiamo discutere per migliorare ma una cosa è evidente: in materia di discriminazioni il punto di riferimento è e resta la normativa dell’Uefa». Giancarlo Abete, presidente della Figc, non chiude la porta ad Adriano Galliani e alla Lega ma non la spalanca nemmeno. Lunedì ha seguito da lontano le vicende calcistiche italiane essendo impegnato a Budapest per conto dell’Uefa. Lì lo ha raggiunto la telefonata del vice-presidente del Milan. Ora aspetta di leggere la lettera che gli invierà Maurizio Beretta, presidente della Lega. Il cuore della questione è semplice: la norma, almeno per quanto riguarda la discriminazione territoriale, va riformata.

Presidente, è pronto a rimaneggiare i codici?

«Aspetto che venga articolata una proposta. Quando ci sarà, la valuteremo».

Con quali margini?

«La normativa fa riferimento a un quadro internazionale strutturato. Noi non abbiamo fatto altro che inserirci nell’alveo regolamentare definito dall’Uefa, per giunta approfondendo la questione».

Cosa intende dire?

«La normativa ha avuto due passaggi in Consiglio Federale. Gli approfondimenti non sono mancati. In più, qualsiasi novità inserita nelle Noif o nel codice di giustizia sportiva passa al vaglio del Coni».

Procedura seguita anche in questo caso?

«Senza alcun dubbio».

Discorso chiuso?

«Se ci sono da fare delle riflessioni su alcuni aspetti relativi all’applicazione della norma, ad alcune fattispecie, le faremo. Ma, ripeto, il quadro di riferimento è ben strutturato».

Galliani e i presidenti di A sollevano una questione specifica: la discriminazione territoriale, riferimento che manca nella disciplina europea.

«E’ vero ma la Uefa propone un concetto anche più generale: la dignità delle persone. E se si legge con attenzione la motivazione che ha portato alla condanna della Lazio dopo la partita con il Legia, ci si rende conto che la sanzione non è scattata per una offesa razzista, ma proprio per ingiurie che hanno riguardato la dignità personale».

I presidenti dicono, però, che questo riferimento rende la norma italiana più dura. Concorda?

«Ogni legislazione fa i conti con le situazioni specifiche. E la discriminazione territoriale non è un fungo spuntato all’improvviso nei nostri codici. C’è da tempo».

Da quanto tempo?

«Guardi, ho fatto rapidamente una ricerca: il riferimento è presente nei nostri codici dal 1990».

Non è nata con questo giro di vite richiesto dall’Uefa.

«No. L’unica novità è nel complesso sanzionatorio».

Prima arrivava una multa, adesso...

«Adesso si chiudono le curve e gli stadi. E’ questa la diversità e questa diversità ha fatto scattare l’attenzione. Ma la discriminazione territoriale era già uno strumento di contrasto: è stata solo rafforzata la pena».

Conseguenza?

«La questione della non punibilità della discriminazione territoriale i presidenti avrebbero dovuto sollevarla prima, molti anni fa. Un certo atteggiamento è punibile tanto che venga sanzionato con una multa quanto che venga colpito con la chiusura di uno stadio. Ripeto: la discriminazione territoriale è presente nei nostri codici da anni. La Uefa, nel frattempo, ha ampliato il raggio di azione parlando di dignità della persona. A volte scopriamo l’acqua calda. Prenda la storia della Lazio...».

In che senso?

«Il Fare (Football against racism in Europe, ndr) non è un soggetto sconosciuto, è una rete che collabora con la Uefa per combattere il fenomeno della discriminazione razziale. Sembra quasi, invece, che la denuncia contro la Lazio sia partita da un passante che si trovava lì per caso».

I presidenti dicono: così siamo ostaggi degli ultras. Non pensa che abbiano qualche ragione?

«Il principio della responsabilità oggettiva è la colonna portante dei codici di disciplina della Fifa e della Uefa. E’ evidente che si tratta di un principio che finisce per scaricare su un soggetto le colpe di terzi. Ma si tratta di un punto di riferimento internazionale. Quando la sanzione era di tipo pecuniario, nessuno parlava di azioni ricattatorie».

Le società devono farsene una ragione?

«C’è una disciplina internazionale a cui noi ci siamo adeguati, una disciplina di forte contrasto. Cinque-sei società italiane partecipano alle Coppe europee e si ritrovano a fare i conti con le medesime sanzioni: non ci sarà il riferimento alla discriminazione territoriale ma quello alla dignità umana è anche più generale e coinvolge veramente tutto».

Ma non si potrebbero prevedere delle attenuanti?

«L’indicazione data con le norme è chiara. Poi è doveroso un approfondimento sulle procedure, sulle fattispecie, sulle condizioni. La Federazione è aperta al confronto ma il quadro di riferimento internazionale è quello».

Il sociologo Libro sul fenomeno

«La discriminazione territoriale

è punto cardine della norma»

Valeri «È qualcosa che coinvolge tutti, giusto contrastarlo. Occorre una cultura sportiva»

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 09-10-2013)

Il razzismo nello sport. Un tema scottante trattato in diverse pubblicazioni da Mauro Valeri, sociologo e psicoterapeuta, responsabile dal 2005 dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio, autore del volume «Che razza di tifo», edito da Donzelli. «Stiamo attenti al monitoraggio di tutte le sentenze del giudice sportivo sui fenomeni di razzismo e discriminazione territoriale associati al calcio. E sono già numerosi gli episodi segnalati nel corso degli ultimi anni, adesso la risonanza è maggiore perché la norma è stata applicata più volte a distanza ravvicinata».

La norma sulla discriminazione territoriale, si è acceso un ampio dibattito: qual è la sua posizione?

«La norma è inserita nel codice di giustizia sportiva, la discriminazione territoriale è un punto cardine ed è uno degli elementi da contrastare con maggiore fermezza negli stadi. Giusto, anzi direi doveroso, che il giudice sportivo la applichi quando sia riscontrata la violazione di questi principi».

Galliani ha proposto l’abrograzione della norma...

«Sarebbe la cosa peggiore in questo momento perché si farebbe solo una cortesia ai razzisti. E poi la norma s’ispira a quella presente nel codice di disciplina dell’Uefa che definisce quattro punti di discriminazione territoriale collegati alla razza, alla religione, all’origine etnica e alla lingua».

I cori antinapoletani rientrano tra quelli di discriminazione territoriale?

«La valutazione di caso a caso a caso spetta al giudice sportivo. Di base i cori contro i napoletani, quelli inneggianti al Vesuvio e che ricordano il colera e il terremoto sono palesemente discriminatori. Ma il fenomeno non riguarda solo i napoletani, oppure la divisione tra il nord e il sud. È molto più esteso ed è giusto contrastarlo».

Ritiene opportuna la chiusura degli stadi?

«È prevista dalla norma e quindi va applicata, può essere un deterrente. Sicuramente in Italia va migliorata la cultura sportiva e va fatta una migliore informazione sul tema. Cioè va fatta una netta distinzione tra gli sfottò e i fenomeni di discriminazione territoriale, che sono cosa ben diversa. Alla base sarebbe opportuna una maggiore chiarezza ma soprattutto una maggiore educazione».

Le curve solidarizzano con i tifosi del Milan...

«Questo fa parte di un codice comportamentale tra tifosi. La norma va interpretata dal giudice sportivo e comunque varia da nazione a nazione perché in Italia gli elementi discriminatori possono essere diversi rispetto a quelli degli altri paesi. Sicuramente vanno debellati gli episodi di discriminazione territoriale con la stessa fermezza degli episodi di razzismo perché tutti e due fanno male».

«Laziale burino è discriminazione?»

Contucci: «È necessario chiarire il prima possibile cosa si intende

per discriminazione territoriale. Chi vive lo stadio in un certo

modo non si offende di fronte a certi insulti. A me preoccupa

quando l’insulto me lo fa il presidente di un partito politico»

«Non dimentichiamo che il calcio è uno spettacolo che si basa sul campanilismo»

di PIETRO ANDREA COLETTI (IL ROMANISTA 09-10-2013)

Dopo la decisione del Giudice Sportivo di chiudere San Siro dopo i cori dei milanisti contro i napoletani, il mondo del calcio si interroga sulla norma che uniforma la discriminazione territoriale a quella razziale. «È necessario chiarire il prima possibile cosa si intende per discriminazione territoriale. Ci devono dire cosa si può e cosa non si può più dire». Così l’avvocato penalista Lorenzo Contucci, vice-presidente di MyRoma e storico tifoso giallorosso, ha commentato a Il Romanista la controversa norma che rischia di investire anche la Roma. Infatti in caso di cori discriminatori durante Roma-Napoli del prossimo 18 ottobre lo stadio Olimpico potrebbe essere chiuso al pubblico.

Avvocato, qual è la sua opinione in merito all’applicazione della norma sulla discriminazione territoriale?

Ci tengo a precisare che parlo a titolo personale. Credo di essere abbastanza equilibrato se dico che in assenza di parametri certi si stia esagerando. O si dice apertamente e chiaramente cosa significa e cosa si intende per discriminazione territoriale, e allora si sa quali sono i paletti che non possono essere superati, o, se non si ha questa certezza, si rischia di arrivare a delle situazioni assurde a seconda di chi è l’ispettore della Lega che si trova in campo. Faccio un esempio: se io faccio uno striscione con scritto "laziale burino" è discriminazione territoriale perché per burino si intende magari una persona che viene dai campi e che non è residente a Roma? Se così è, allora posso dire che se dovessero chiudere lo stadio alla Roma per uno striscione di questo genere saremo di fronte a qualcosa di incredibile perché quello è da sempre il modo con cui i romanisti sfottono i laziali. Ritengo che la vera discriminazione sia quando si è in presenza di epiteti che sono biecamente razzisti, bisogna riflettere se un coro contro i tifosi del Napoli che viene cantato da vent’anni possa essere ritenuto tale. Non dobbiamo mai dimenticare che il calcio è uno spettacolo che si basa sul campanilismo. Mi chiedo: in quale modo si potrà prendere in giro un tifoso rivale? Qual è il limite? Si chiarisca quello che si può e non si può dire così i tifosi sapranno come comportarsi, se però si rimane sul vago è un qualcosa che fa si che la discrezionalità sia assoluta. Senza considerare che tutto questo dà un enorme potere a chi vuole chiudere uno stadio. È sufficiente che un centinaio di persone, come accaduto a Torino con i tifosi del Milan, facciano un coro discriminatorio che a quel punto pagano 50 mila che non hanno nulla a che fare con quei 100. E ci rimettono anche le società da un punto di vista d’immagine ed economico. Io credo si stia veramente esagerando. Perché poi da cosa nasce cosa. In futuro non si potrà neanche più dire "arbitro ċornuto" perché è una discriminazione nei confronti delle donne che vogliono andare giustamente a letto con altri che non siano il marito? Si potrà dire "arbitro panzone" o "Lorenzo Contucci pelato"?

Il presidente del Coni Malagò ha detto che è necessario uniformarsi alle disposizioni dell’Uefa mentre Abete ha proposto di riflettere sulle modalità applicative della norma.

Capisco l’imbarazzo di questi organisimi. Del resto ci sono delle indicazioni che dovrebbero tenere conto delle diversità dei paesi europei. L’Italia è nazione da 160 anni, l’Inghilterra da più di 500. Determinati campanilismi sono duri a morire. D’altronde simili insulti si ascoltano anche da parte di esponenti del partito denominato Lega Nord che ha avuto il suo attuale presidente come Ministro dell’Interno, è questo il vero problema. Si parte sempre dagli stadi e dagli strati popolari quando noi abbiamo un partito che fa della discriminazione territoriale uno slogan. Bisognerebbe fare pulizia nel parlamento italiano prima che nelle curve.

Che soluzioni possono proporre le associazioni dei tifosi?

Come associazione penso che dovremmo riuscire a capire cosa si intenda per discriminazione. Da tifoso della Roma sono certo che io il prossimo anno non mi farò l’abbonamento. Nel momento in cui la politica è quella di chiudere le curve e chiudere gli stadi, e io non ho alcun potere di controllo su tutto questo, l’unica soluzione è non abbonarsi. Anche perché se io mi abbono, abbiamo visto che se chiudono la curva io non posso comprare il biglietto in un altro settore.

La Curva Nord dell’Inter ha invitato tutti gli ultrà ad azioni congiunte per far chiudere tutti gli stadi.

È una provocazione. Basterebbe riflettere su questo: se tutte quante le curve dovessero raccogliere l’invito della Curva Nord dell’Inter, noi avremo nel giro di due settimane tutti gli stadi chiusi. Non so se questo è il modo per sconfiggere il calcio moderno...

Il 18 ottobre c’è Roma-Napoli. In caso di cori discriminatori la Roma rischia la chiusura dell’Olimpico.

Abbiamo visto che bastano 100 persone quindi è impossibile controllarne 40 mila. Per quanto mi riguarda, facessero come credono. Se accade, chiuderanno probabilmente lo stadio. Roma-Napoli è sempre stata una partita connotata da una verbosità particolare. Questi rimedi eccessivi sembrano che valgano soltanto contro Napoli, perché quando a Milano dicono "romano bastardo" nessuno dice niente. È lì che è necessario che si abbia un chiarimento su cosa è discriminatorio e cosa no. Io ritengo che almeno tra tifoserie di curva queste forme di insulto sia paradossalmente accettata. Io non mi offendo se a Milano mi dicono "romano bastardo". Chi vive lo stadio in un certo modo non si offende di fronte a certi insulti. A me preoccupa quando "romano bastardo" me lo dice il presidente di un partito politico.

Stagliano: «Nel caso della Roma

al primo episodio Olimpico salvo»

di DANIELE GALLI (IL ROMANISTA 09-10-2013)

Olimpico chiuso se in Roma-Napoli si dovessero verificare dei cori contro i napoletani? C’è chi dice no. «Nell’ipotesi della Roma, ho serissimi dubbi che al primo episodio possa essere sancita la chiusura dello stadio». Mario Stagliano ne è discretamente convinto. E al "Romanista" spiega perché. «Non ritengo - spiega l’ex braccio destro di Italo Pappa alla Procura federale - che ci sia la recidiva prevista dalla normativa del 5 agosto. La sanzione della chiusura della Curva è infatti antecedente a quella data». In pratica, secondo Stagliano, la Roma è "vergine". Ha pagato in occasione della prima giornata di questo campionato i cori contro Balotelli, che risalivano alla passata stagione ed erano stati puniti sulla base di articoli precedenti al 5 agosto.

Ma cosa dice esattamente la nuova normativa? Uniformandosi ai principi della Uefa, è stato azzerato il sistema di esimenti che consentiva ai club che collaboravano di evitare, in presenza di episodi di discriminazione, le sanzioni severissime previste dall’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva. Articolo che ora, in caso di prima violazione, dispone automaticamente - attenzione: automaticamente - la squalifica del settore responsabile, in caso di seconda violazione la chiusura dello stadio e, al terzo episodio, lo 0-3 a tavolino, la penalizzazione in classifica e, addirittura, «l’esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore».

3 domande a... WILLIAM GAILLARD

CONSIGLIERE DEL PRESIDENTE UEFA

«Razzismo o campanilismo?

Decide la Figc come agire»

In Italia si discute sulla differenza tra discriminazione razziale

e territoriale. Ecco l’intervista a Gianni Infantino, segretario

generale dell’Uefa che è riunita in questi giorni a Strasburgo.

di MAURIZIO GALDI (GaSport 09-10-2013)

1 L’Uefa ha introdotto sanzioni definite dure quando non si tratta di razzismo ma di discriminazione territoriale?

Abbiamo letto anche noi delle vicende legate alla chiusura di San Siro. La posizione dell’Uefa è chiarissima e il nostro regolamento di disciplina è altrettanto chiaro. Abbiamo introdotto delle punizioni esemplari per le discriminazioni in generale. Noi vogliamo che passi un messaggio: zero tolleranza verso le discriminazioni.

2 Ma esiste una differenza tra razzismo e campanilismo, che molti sostengono si celi dietro quello che viene tacciato di discriminazione territoriale?

Noi parliamo in generale di discriminazioni, ma siamo in contatto con le Federazioni e con loro il confronto è sempre aperto e chiaro. Era necessario dare un segnale forte contro le discriminazioni e aver previsto sanzioni dure è importante. Poi la differenziazione tra le tipologie delle discriminazioni è compito delle Federazioni.

3 L’Uefa in futuro potrebbe fare delle differenziazioni tra le discriminazioni e le sanzioni?

Non voglio parlare dell’Italia, ma della Scozia. In quella Federazione era molto importante la discriminazione religiosa e hanno ritenuto che fosse necessario intervenire. Perciò in virtù di questa interpretazione sia a livello nazionale sia per impegni internazionali, teniamo conto questi aspetti.

Lotito: “Il razzismo non c’è

e i club sono solo ostaggi”

di MARCO MENSURATI (la Repubblica 09-10-2013)

Claudio Lotito, la Lazio ha avuto un problema simile a quello del Milan.

«Sì, identico. Siamo club sotto ricatto, ostaggi».

Magari avrete anche qualche responsabilità...

«Ma che scherziamo? Che colpa abbiamo noi?»

Non potreste prendere maggiormente le distanze da certi tifosi?

«Proprio a me lo dice? Io ho combattuto una guerra senza quartiere a certa gente. E allo stadio mi fischiano ancora oggi. Il problema è molto più grande, e va capito».

Capiamolo.

«È in primis una questione antropologica. Prima nella società c’erano i punti di riferimento. C’era la sinergia tra famiglia e scuola, c’era l’oratorio, c’erano i partiti. Oggi tutto questo non c’è più. Ci sono solo giovani psicologicamente fragili. Che si rafforzano nella più banale logica del branco. È attraverso il branco che questi ragazzini, che poi sono tutti tra i 14 e 18 anni quelli che fanno certe cose, si costruiscono un’identità. E lo stadio è il luogo dove si compiono i riti del branco».

Bene. Quindi?

«Quindi bisogna reprimere i fenomeni che arrecano nocumento alla collettività, i fumogeni, le bombe carta, le botte. Ma per quelli di maleducazione occorre intervenire con intelligenza e nelle sedi opportune».

Insomma, è sbagliata la norma della Figc.

«La Figc ha recepito una regola europea. Io l’avevo detto subito che andava recepita cum grano salis, le norme devono attagliarsi agli usi e ai costumi dei posti dove si devono applicare, e alle infrastrutture ».

Alle infrastrutture?

«Già, se avessi uno stadio mio, da 30mila posti, dopo un po’ i tifosi li conoscerei a uno a uno, e potrei rifiutarmi di vendere i biglietti a chi so che si comporta male. Questo avviene negli stadi inglesi, dove c’è un rapporto empatico, intimo col club».

In Italia invece...

«Io avevo proposto come prima cosa di trovare un modo per dare una dimensione omogenea e univoca al fenomeno. Come faccio a punire uno stadio, un club, una città per venti cretini? Ci vuole che la cosa sia almeno numericamente rilevante. Poi occorre distinguere: ci sono le sfaccettature territoriali, che sono frutto di una cultura sbagliata ma che non sono offensive. E ci sono i buu: non sono razzismo, sono stupidità e maleducazione, sono la classica azione i cui effetti vanno molto oltre la volontà di chi li compie».

Insomma, come se ne esce?

«Con l’intelligenza di capire quali sono i veri problemi, con la capacità di applicare le norme tenendo conto delle situazioni e con il buon senso di non drammatizzare: in Italia non siamo razzisti, in Italia il razzismo lo abbiamo solo subito».

Il caso San Siro

Due tifosi, un avvocato e un professore

commentano la chiusura per i cori sul Napoli

“La decisione è giusta, tocca

alle società isolare gli estremisti”

Onado: si sa chi sono gli urlatori

di MATTEO PUCCIARELLI (la Repubblica - Milano 09-10-2013)

«Le direttive Uefa sono giuste, la chiusura è giusta. Bisogna rivalutare le questioni di principio», dice Marco Onado, professore nel dipartimento della Finanza alla Bocconi, commissario della Consob dal 1993 al 1998, ma soprattutto appassionato tifoso milanista per anni abbonato al secondo anello («erano gli anni di Fabio Capello, quanta nostalgia», ammette).

Fosse stato ancora abbonato, non le avrebbe dato fastidio dover pagare per dei cori di pochi?

«E certo, mi sarebbero girate le scatole e anche parecchio. Sarebbe stato anche un danno economico oltretutto. Ma sa qual è la cosa che più mi fa arrabbiare? Che non ci si decida una volta per tutte di identificare chi sono quelli che fanno questi cori. Ormai entrare allo stadio è più difficile che fare un attentato terroristico a Guantanamo. Sei iper schedato, iper controllato, steward ovunque, mille tornelli da superare, carte di identità e così via. E mi venite a dire che non si sa chi sono gli urlatori? Ma dai».

Galliani dice che comunque la sanzione è troppo dura, che cosa ne pensa?

«Ma la società deve semplicemente dissociarsi dalle frange estreme del proprio tifo. Invece di lamentarci della punizione, appunto, impegniamoci a capire chi sono questi imbecilli. Non è possibile che tutti siano sempre in balia e spesso collusi con pezzi di curva razziste e naziste ».

Ma secondo lei non c’è differenza tra razzismo e questione territoriale?

«L’insulto territoriale è comunque una forma di razzismo. Ho sentito le parole di Massimiliano Allegri, giustifica gli sfottò come li chiama lui, una cosa vergognosa. Ah, ci fosse un galantuomo come Paolo Maldini in quella società... ».

Allegri è livornese. Un coro dei livornesi contro i pisani, per dire, è razzista?

«Ma sa, i toscani sono campanilisti, poi ci vuole sempre un po’ di buon senso per rendersi conto qual è il confine. L’ultimo caso contro i napoletani era un fatto tendenzialmente razzista».

Gli ultrà milanisti e interisti protestano insieme contro la decisione, che insomma alla fine sembra aver affratellato due tifoserie nemiche...

«Eh già, la nuova frontiera della collusione, poveri noi mi viene da dire».

Resta il fatto che se il piano degli ultrà andasse in porto, si finirebbe con un campionato a porte chiuse. Non sarebbe un boomerang?

«Ma proprio per questo le società sono la chiave di tutto. Si possono dare degli incentivi a quelle che collaborano, che si schierano contro questo tifo irresponsabile, perché questo piagnucolare è insopportabile. Collabori davvero? E allora niente 0-3 a tavolino».

Ma lo stadio resta chiuso.

«Guardi a pensarci bene non sottovaluterei comunque lo 0-3 a tavolino, di questi tempi per il Milan non sarebbe un cattivo risultato».

“Così il meccanismo si presta

ai ricatti, bisogna rivederlo”

Arnaboldi: vietate le trasferte ai tifosi

di LUCA BOLOGNINI (la Repubblica - Milano 09-10-2013)

Luca Arnaboldi, avvocato, senior partner dello studio legale Carnelutti, soprattutto (in questo caso) appassionato di calcio e interista, è quasi rapito dalle ultime vicende: «I cori, la chiusura di San Siro, la Nord che invita al razzismo per far chiudere gli stadi... Siamo tra Beckett, Buzzati e Kafka. Un racconto impossibile e iper-realistico».

Tutto vero invece.

«E i problemi sono serissimi: la mancanza di senso civico e sportivo, il razzismo, l’ordine pubblico. Va impostato un lavoro di anni: cambiare la testa della gente e prendere provvedimenti ben precisi, sulla scia di quelli inglesi».

Ovvero?

«L’Inghilterra era messa peggio, con gli hooligan. Ricorderà l’Heysel. La repressione fu durissima, ma con criterio, non alla cieca, e si lavorò sulla cultura sportiva, si fecero stadi per famiglie. Da noi ci sono provvedimenti inutili e scioccamente penalizzanti, tipo la tessera del tifoso. E stadi difficilissimi, scomodi. Il luogo dell’evento determina il comportamento dell’uomo. Stadi concepiti per star insieme: si lavori su questo».

Altro?

«Il Milan dice che i cori anti-Napoli sono avvenuti in trasferta, dove non ha potere. Vero. Ma allora si vietino le trasferte».

Prego? Ma non è incostituzionale, tra l’altro?

«Sul serio. Pensi a quanti problemi si risolverebbero. Niente scontri, a parte tifosi kamikaze contro la polizia, niente lotte tra cori beceri. Sarebbe costituzionale, perché le partite per legge sono spettacoli privati, per questo le si può trasmettere in pay tv e non in chiaro. Chi le organizza fa entrare chi vuole».

Nell’attesa non si può ragionare sui cori?

«Certo. Serve un codice che precisi cos’è discriminazione razziale e cosa discriminazione “territoriale” l’innocente ironia sui luoghi comuni. Dovremmo vietare il Palio di Siena perché i contradaioli si insultano pesantemente? E poi, cos’è la discriminazione razziale? Se uno dice che Balotelli è scemo è razzismo o no? Sono cose da stabilire con certezza, non lasciate a interpretazioni. Sennò il meccanismo si presta ad abusi e ricatti. Però...».

Però?

«Però la chiusura di uno stadio può portare i tifosi estranei a reagire. Se chi è innocente rintuzzasse certe azioni di certi ultrà sarebbe il modo di non far passare l’equazione curva=violenti».

Dell’idea della Nord cosa pensa?

«Come giochino è divertente, tanto di cappello all’auto-insulto che i tifosi del Napoli si sono riservati domenica, geniale e autoironico. Ma le sanzioni sono serissime: ora il Milan rischia partite perse a tavolino, penalità, l’esclusione dalla serie A».

Da interista sarà contento dell’ipotesi.

«Come battuta sì. Seriamente, i danni sportivi ed economici sarebbero clamorosi. Le società spendano per migliorare gli stadi ed educare allo sport: se scattassero sanzioni così gravi perderebbero molto di più».

«Ma allo stadio lasciateci

la possibilità di sfotterci»

Intervista a Nino D’Angelo «Con queste nuove regole si

penalizza l’ironia. E nessun napoletano si è sentito offeso»

di RAFFAELE NESPOLI (l'Unità 09-10-2013)

«LASCIATECI ALMENO LA POSSIBILITÀ DI PRENDERCI UN PO’ IN GIRO, SE CONTINUA COSÌ FINISCE CHE ALLO STADIO CI DOVREMO ANDARECON IL BAVAGLIO». L’ex “ragazzo della curva B”, Nino D’Angelo, commenta così la squalifica inferta al Milan per “cori razzisti”. D’Angelo, simbolo di una città che ha sempre fatto dell’ironia negli stadi un vanto, si unisce ad un altro coro, quello di quanti ritengono che le nuove regole siano «troppo rigide».

Non crede che fosse arrivato il momento di finirla con i cori razzisti?

«I cori razzisti vanno sempre stigmatizzati, sono odiosi. Ma quello che stiamo vedendo è diverso. Qui si penalizza l’ironia, lo sfottò che ha sempre contraddistinto le partite. Al San Paolo si sono sempre sentiti cori sulla rivalità tutta italiana tra Nord e Sud, ma non credo che nessun napoletano si sia sentito offeso. Abbiamo sempre trovato il modo di rispondere con ironia».

Ad esempio?

«Tutti si ricordano una partita nella quale in curva B campeggiava uno striscione con su scritto “Giulietta è na’ zoċċola!”. Io se ci ripenso rido ancora. Ma il calcio è anche questo».

E come si fa a decidere se è razzismo o sfottò?

«Basterebbe un po’ di buon senso. Ascoltare dei “bu” quando un giocatore di colore prende palla, questo sì che mi infastidisce. Ma non mi venite a dire che non si può più urlare “chi non salta juventino è”, l’importante è che gli avversari siano lì a controbattere. Non mi piace sentire cori contro i napoletani in una partita che non vede il Napoli in campo. In quel caso è odio ingiustificato».

Cosa pensa degli striscioni “autorazzisti” comparsi al San Paolo?

«Sono la prova che non si deve esagerare, che le regole devono essere applicate con criterio. Del resto sanzionare le società per responsabilità oggettiva è una follia. Così si rischia anche di offrire a certe frange di tifo estremo un’arma di ricatto».

Lei va ancora allo stadio?

«Quasi mai, la partita la vedo in tv.A me mi squalificherebbero subito… Scherzo».

Non le capita di urlare comunque qualche sfottò?

«Sempre. Io poi sto messo male perché ho moltissimi amici juventini, milanisti e romanisti. Quindi è un continuo prenderci in giro».

Si sente di lanciare uno sfottò in vista del match dell’Olimpico?

«Preferisco evitare, da buon napoletano aspetto il risultato prima di parlare. Però vorrei che si riflettesse su una cosa: uno degli striscioni più belli che io abbia mai visto risale all’anno dello scudetto azzurro. Non comparve allo stadio, bensì al cimitero. Nessuno però si arrabbiò, sopra c’era scritto solo “E che ve site perso!”».

Teo Teocoli Il comico chiede il rispetto dello stile rossonero da parte (anche) di Balotelli e Mexes

«San Siro chiuso per colpa di quattro pirla? Triste

ma fanno peggio certi comportamenti in campo»

di NICOLA PALMA (Quotidiano Sportivo 09-10-2013)

«Devo dire che ne ho sentiti di più spiritosi...». E giù l’elenco di sfottò anni Ottanta: dal celebre striscione “Giulietta è ’na z...” esposto dagli ultrà napoletani a Verona al “Forza Etna” indirizzato ai sostenitori del Catania. Teo Teocoli, storico tifoso rossonero, ne ha viste di tutti i colori: «Quello che cantano oggi non mi fa ridere», chiarisce l’attore.

Ma basta un coro a far chiudere uno stadio intero?

«Non ero allo stadio di Torino domenica, ma non mi sembra che i presenti abbiano avvertito cori così ripetuti. Detto questo, non possono certo essere quattro pirla a far chiudere uno stadio come San Siro».

Come giudica quei cori?

«Fanno parte di quelle rivalità tra tifoserie che spesso vanno al di là del calcio e che c’entrano poco con lo sport. Secondo me, all’estero si stanno facendo una bella risata. Per non piangere».

Cioè?

«Voglio dire: il Meazza chiuso al tifo è una cosa enorme. Vi immaginate il vecchio Wembley o il Santiago Bernabeu chiusi per una cosa del genere?».

Difficile immaginarsi anche San Siro deserto, a dir la verità.

«In effetti, non riesco a crederci anch’io: sarà una tristezza, non voglio nemmeno pensarci».

L’ad rossonero Adriano Galliani ha chiesto l’abolizione della norma sulla discriminazione territoriale: d’accordo?

«Be’, direi che di questi tempi Galliani si dovrebbe occupare d’altro...».

Vale a dire?

«Di quello che succede sul terreno di gioco, ad esempio. Due anni fa era capitato a Ibrahimovic: fuori per tre giornate. Quest’anno è capitato prima a Balotelli, fuori per tre giornate, e poi a Mexes, squalificato per quattro turni. Non sono comportamenti da Milan, una società che ha sempre fatto della lealtà un valore fondante e che ha vinto tanto in Italia, in Europa e nel mondo. Bisogna correggere anche queste cose per tornare grandi».

PARLA L’ESPERTO

«Applicate rigidamente le regole»

Spiega il professor Colantuoni: «Serve più autonomia da parte

di chi giudica. Invece il sistema sanzionatorio è automatico»

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 09-10-2013)

Una modifica della norma che porti verso una maggiore flessibilità. Ma anche la consapevolezza che non si può recedere dalla lotta al tifo più becero. E’ questo il parere del professor Lucio Colantuoni, docente di diritto sportivo, arbitro del Tas di Losanna e direttore del master in Diritto Sportivo dell’Università degli Studi di Milano (la nuova edizione sarà presentata a inizio novembre con un convegno proprio su queste tematiche).

Professor Colantuoni, cosa pensa della chiusura di San Siro in occasione della prossima partita casalinga del Milan?

«Credo che il giudice sportivo abbia semplicemente applicato la nuova normativa che non lascia molti margini di manovra. Il sistema sanzionatorio, introdotto nei mesi scorsi da Uefa e Figc, prevede un’assoluta automaticità: il giudice non può che prendere atto del referto, valutare le condotte ed irrogare le sanzioni tenendo conto dei casi di recidiva».

In questo caso, però, molti sostengono che i cori allo stadio di Torino non si sono sentiti.

«Sì, ma bisogna capire che il punto di osservazione che conta, secondo la normativa, è quello di chi è sul campo o vicino all’azione per rilevare certi fenomeni. I sostituti procuratori federali sono lì apposta. Se un calciatore viene squalificato per qualcosa che succede nel tunnel degli spogliatoi, è ovvio che nessuno può averlo visto dalla tribuna. Immagino che, in questo caso, chi ha rilevato i cori abbia agito con scrupolo».

La Figc come potrebbe modificare la norma dopo le proteste dei club?

«Si potrebbe concedere più autonomia a chi giudica. Poi introdurre un maggior contraddittorio nel processo. Almeno per queste materie così delicate, sarebbe possibile immaginare un confronto - magari una rapida difesa scritta - anche davanti al giudice sportivo che invece decide “inaudita altera parte” (senza ascoltare la controparte, ndr). E poi una riforma potrebbe consentire alle società di mostrare una fattiva presa di distanza dagli autori dei cori discriminatori».

In che modo?

«So bene che non è facile ed è vero, come dicono i dirigenti, che in questo modo si rischia di attribuire un notevole potere di ricatto agli ultrà. Ma è altrettanto vero che le società devono contribuire a emarginare queste frange. Non basta una telefonata di facciata in questura o un annuncio dello speaker. Servono interventi concreti per facilitare l’individuazione dei colpevoli. Ecco, di fronte a queste condotte virtuose, si potrebbe pensare di non ricorrere rigidamente alla responsabilità oggettiva».

Qual è il confine tra discriminazione territoriale e sfottò di campanile?

«Non è facilmente individuabile. Anche questo va lasciato al libero apprezzamento del giudice tenendo conto del buon senso, della sensibilità collettiva e del contenuto dell’insulto. Sicuramente non si possono più ascoltare negli stadi cori insultanti, “buu” razzisti ma anche manifestazioni di apologia di fascismo e nazismo. In questo la federazione bene fa ad adottare un criterio di fermezza».

Qualcuno si interroga sul danno subito dagli spettatori incolpevoli.

«E’ un problema spesso sottovalutato. Purtroppo non hanno molte possibilità perché i regolamenti dei club italiani escludono espressamente risarcimenti in questi casi. Proprio per questo motivo suggerisco una maggiore selettività delle sanzioni».

In quale direzione?

«Il sistema ottimale sarebbe quello di individuare con precisione i responsabili e degli specifici sotto-settori. Ad esempio attraverso le riprese e la nominatività dei biglietti. In questo modo si potrebbe chiudere anche solo una porzione di settore».

Modificato da Ghost Dog

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quot capita tot sententiae

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C’è un rischio: agli ultrà

il potere di club occulti

di GIANCRISTIANO DESIDERIO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 09-10-2013)

Il pubblico è il dodicesimo giocatore in campo. Negli stadi italiani è diventato ormai qualcosa di più: l'arbitro delle partite e una sorta di società occulta capace di condizionare le società sportive. I casi dei cori razzisti lo confermano: le tifoserie più estreme, con le norme e sanzioni disciplinari, invece di essere depotenziate vedono aumentare la loro volontà di potenza. Il «caso Milan», con la squalifica del campo, fa discutere perché se è vero che la Federazione non ha fatto altro che adottare la norma Uefa, è anche vero che l'applicazione italiana della norma si presta non poco a diventare un boomerang. La disciplina è diventata una spada di Damocle sui campi di calcio ogni volta che c'è una partita particolarmente attesa o un derby. I cori auto-razzisti e auto-denigratori - e auto-stupidi - di una frangia di tifosi napoletani lo confermano. La filosofia di fondo della norma Uefa è la tutela della dignità della persona ma il risultato è opposto: sempre più la persona è esposta alle offese che possono diventare strumentali per danneggiare i club. Non sembra questa la strada giusta per contrastare il razzismo. Piuttosto, appare necessario intervenire nelle tifoserie per evitare che siano una società antisportiva dietro la società sportiva. Spesso, infatti, le tifoserie sono così potenti da riuscire a dettare la linea alle stesse società. Qui è istruttivo il «caso Evacuo » che richiama subito alla mente i fatti di Genova dello scorso campionato.

Il Genoa giocava con il Siena. Era sotto di quattro gol ed esplose la contestazione durissima degli ultras che richiamarono i giocatori e imposero loro una pesante umiliazione: «Toglietevi la maglia». Anche a Benevento è accaduta una cosa molto grave. I tifosi giallorossi, dopo aver visto che il loro attaccante Felice Evacuo a fine partita aveva salutato i suoi ex sostenitori della Nocerina, hanno scritto un delirante comunicato stampa intimando alla società calcistica del Benevento di rescindere in serata il contratto «senza attendere decisioni altrui» e hanno invitato - si fa per dire - il giocatore a «lasciare la città entro lo stesso termine». Insomma, gli ultras beneventani hanno condannato, con processo sommario, il loro attaccante all'ostracismo per il reato inesistente di lesa maestà della tifoseria giallorossa. La cosa più grave di questo comunicato non è nel delirio ma nella convinzione che possa e debba diventare la linea ufficiale del club giallorosso. Fortunatamente, non lo è diventata. Il presidente Vigorito, sia pure dopo un «primo tempo» di dubbi e incertezze, ha respinto l'idea di mandare via Evacuo: «Il giocatore resta». Tuttavia, ha aggiunto: «Domani ci sarà il video con le scuse». Proprio così. E il video, purtroppo, è arrivato e ci mostra l'infelice Evacuo disorientato e intimorito che dice, tra le altre cose: «Ho creato un problema ma non volevo mancare di rispetto ai tifosi». Ma Evacuo non ha creato alcun problema. Semmai è Benevento che ha un problema con la Curva Sud.

Tra l'ostracismo chiesto dai tifosi e il video di Evacuo che in sostanza chiede scusa c'è di mezzo la mediazione della società che non si piega al diktat degli ultras ma cerca una composizione. Forse, la strada era obbligata. Il prezzo da pagare, però, è molto alto: l'umiliazione del giocatore. Il quale non ha ricevuto attestati di stima e vicinanza ma è stato quasi lasciato solo nel più classico e incivile «tutti contro uno». Certo, la società ha recuperato in calcio d'angolo confermandogli stima e fiducia, i suoi compagni di squadra hanno fatto giustamente squadra con lui e anche una buona parte di tifosi ha scelto di tifare per Evacuo. Eppure, in qualche modo Evacuo è stato lasciato solo. Ma quand'è che va salvaguardata la dignità della persona se non nel momento in cui la persona rischia di essere schiacciata moralmente dal peso dei più e dei molti che sono forti del loro conformismo? Il giudizio sul gesto di Evacuo non è quello della opportunità o inopportunità bensì quello della legittimità e della libertà del calciatore che a fine partita ha voluto mostrare riconoscenza ai Molossi con un semplice saluto. E, come diceva Zavattini, vorrei vivere in un paese dove «buongiorno voglia davvero dire buongiorno». Chiedete scusa a Evacuo.

L’aggressività è preziosa

Eliminarla è un pericolo

di MASSIMO FINI (il Fatto Quotidiano 09-10-2013)

Questa storia dello stadio del Milan squalificato per un turno per “discriminazione territoriale” perché a Torino contro la Juve i tifosi rossoneri cantavano cori antinapoletani (“Noi non siamo napoletani”, embè?) non è solo grottesca, è pericolosa. In questa società che nella sua smania di politically correct tende a reprimere tutti gli istinti e anche i sentimenti, come l’odio (vedi tutti i reati liberticidi previsti dalla legge Mancino cui adesso si è aggiunta anche l’omofobia) a favore di un’astratta razionalità, ci si è dimenticati che l’aggressività fa parte della vitalità e che volerla eliminare del tutto ha gravi conseguenze. La prima è di svirilizzare un popolo. E questo è il motivo per cui ci troviamo tanto in difficoltà con gli immigrati soprattutto di origine slava, che la violenza ce l'hanno nel sangue (“Un po’ di violenza non fa mai mal/leggi un romanzo di Mickey Spillane” cantava uno slogan di anni un po’ meno codini). La seconda è che, a furia di reprimerla, l’aggressività poi esplode in forme mostruose, molto meno innocue di un coro da stadio. Tutte le culture che hanno preceduto la nostra lo sapevano e il loro sforzo è stato quello di canalizzare la violenza per tenerla entro la soglia di una ragionevole tollerabilità. I neri africani, maestri del genere prima che l’Occidente ne violentasse le culture, si erano inventati la guerra “finta” (chiamata fra i Bambara "rotana" per distinguerla dalla “diembi” la guerra vera). Fra gli Ashanti, tribù un tempo molto bellicosa, c’era una settimana in cui tutti potevano insultare a sangue chiunque, anche il re, senza conseguenze. In fondo anche il Carnevale europeo, finché è stato tale, aveva questa funzione. Fra i Greci il “capro espiatorio” che veniva sacrificato quando si creavano tensioni pericolose, aveva il significativo nome di pharmakos. In tempi moderni lo stadio aveva fra le sue funzioni, non marginali, quella di canalizzare e rendere sostanzialmente innocua l’aggressività che deve essere, entro certi limiti, tollerata, sugli spalti e in campo. Altrimenti si finisce con “i delitti delle villette a schiera” come li chiama Ceronetti. In Sampdoria-Torino ho visto appioppare otto ammonizioni per contrasti che un tempo non sarebbero stati nemmeno falli. Il campo è stato trasformato in una sorta di “tea party”. La Tv ha completato il tutto (sono stati quei morbosi segaioli di Sky a cogliere un coro che nessuno aveva sentito). Un calciatore che ha ricevuto un pestone non può nemmeno urlare una sacrosanta bestemmia, che l’arbitro non ha sentito o ha saggiamente ignorato che, zac, la moviola la traduce sul labiale. La Tv ha invaso il sacrario. Basta, via, raus, foera de ball. Ridateci il calcio di una volta. “Un po’ di violenza non fa mai mal”.

Buu e curve chiuse,

un male all’ultimo stadio

QUESTO CALCIO APPARE SEMPRE MENO CREDIBILE

E I PRIMI AD ESSERE PENALIZZATI SONO I VERI TIFOSI

di PIERO MEI (Il Messaggero 09-10-2013)

La soluzione all’inglese: ecco quello che i più prospettano per combattere l’età del malessere degli stadi italiani. Come se fosse facile costruire stadi come i loro e poi rispettare il pugno di ferro che li ha messi in ordine, rarefacendo i fenomeni di hooliganismo e spostandoli un po’ più in là dal campo di gioco, magari oltre confine. Senza voler cadere nella “discriminazione territoriale”, poi, l’Inghilterra è il Paese dove si disegna un campo di calcio nel giardino di Buckingham Palace, ci si fanno giocare le più antiche squadre e William ammonisce i giocatori: ”Attenti ai vetri delle finestre, altrimenti ve la vedrete con nonna”. Nonna è la Regina.

Qui, invece, chi fa qualsiasi cosa allo stadio probabilmente non dovrà vedersela con nessuno. Questa gragnuola di settori chiusi qua e là (Roma e Milano si distinguono) e lo stadio proibito per il prossimo Milan per i cori di “discriminazione territoriale” accende i riflettori sul disagio da spalti: i buonisti del benaltrismo dicono che i giovani vanno capiti e blà blà ed a questo partito s’è subito iscritto con paterna comprensione (il medico pietoso fa la piaga puzzolente) il tecnico del Milan, Allegri. Adriano Galliani ha invece sottolineato come questa situazione possa finire con il penalizzare mortalmente le società e i loro bilanci in rosso, esponendole al rischio di pochi ma cattivi tifosi incontrollabili (ma li cullarono da piccoli) che potrebbero svuotare gli stadi più ancora di quanto non abbia fatto la palinsestizzazione del calcio.

E, al di là di questo e dei dibattiti filologici su cosa sia la “discriminazione territoriale” a differenza di quella “razzista” e se in fondo una differenza ci sia, rimane la punizione che subiscono i tifosi veri, quelli che qualcuno chiama “clienti”, gli abbonati che hanno regolarmente pagato, a caro prezzo e anticipato, il posto non possono usufruire del loro diritto alla partita.

Ma è credibile un calcio che vive una storia come quella di Felice Evacuo? Il capitano della Salernitana a fine partita saluta ex compagni ed ex tifosi della Nocerina dove giocava la scorsa stagione e gli ultrà di oggi ne chiedono l’immediata rescissione del contratto e l’abbandono della città. E vengono accontentati perché niente è in grado di garantire Evacuo.

Come niente è in grado di garantire lo sport, il fair play, il rispetto delle regole e degli avversari. Però non buttiamola sul sociale, sul famoso ben altro, sulla scuola e così via: è, principalmente un problema di ordine pubblico e di comportamento degli addetti ai lavori. Osservare le regole dovrebbe essere la prima regola: ma non sarà Utopia, la città che non c’è? Sentiamo dire: i vicini di posto dovrebbero fare qualcosa. E se poi, quando si è sbandierato il codice etico questo viene fatto funzionare a orologeria, stiamo educando allo sport?

QUELLE NORME SONO DIVENTATE UN AUTOGOL

DIFFICILE DISTINGUERE TRA INSULTO E GOLIARDIA

di CLAUDIO PAGLIERI (IL SECOLO XIX 09-10-2013)

Trattandosi di calcio possiamo parlare di autogol. Le norme che puniscono i cori di discriminazione territoriale si ritorcono contro il “Palazzo”.

È un po’ come se alle elementari, per due bambini che disturbano, venisse chiusa prima la classe e poi la scuola stessa. Risultato? Anche a sei anni i bambini pestiferi arriverebbero presto alla conclusione che per non andare più a scuola basta continuare a fare casino.

A questa stessa conclusione sono arrivati ieri gli ultrà dell’Inter, che hanno invitato i “fratelli di curva” a intonare cori ovunque: chiudiamo tutte le scuole d’Italia, e vediamo cosa mangeranno bidelli e maestri rimasti senza alunni, anche quelli che avevano già pagato l’abbonamento.

I tifosi sono legati alla loro squadra del cuore, ma la volontà di non danneggiarla può essere messa da parte in nome di una “battaglia” più grande, da combattere tutti insieme: quella per uno stadio popolare, un luogo di aggregazione aperto a tutti, dove si abbia il diritto di urlare quello che si vuole e di esprimere il proprio pensiero, specialmente contro il “Potere” (Federcalcio, tv, governo, forze di polizia...). E soprattutto vogliono conservare il diritto di essere «goliardici, acidi e maleducati», come dicono i tifosi milanisti.

La norma che punisce i cori discriminatori è nata da una costola di quella europea antirazzismo. E ha finito per rasentare il ridicolo. Nell’Italia dei Comuni è difficile capire dove finisce lo sfottò e comincia la discriminazione. Come abbiamo già avuto occasione di scrivere, «Si sente puzza di pesce, c’avete il mare inquinato» può essere inteso come discriminante verso i tifosi genovesi. Ma personalmente ci fa solo sorridere. La sensibilità è nell’orecchio di chi ascolta, e si ha l’impressione che le orecchie di chi “monitora” i cori nei vari stadi non siano tutte tarate sulle stesse lunghezze d’onda. Con pericolose disparità di trattamento.

Tra l’altro, punire le società è abbastanza insensato. Come può Galliani impedire che cinquanta persone con sciarpe rossonere, in trasferta a Torino, intonino cori contro i napoletani che stanno giocando al San Paolo? Se il coro è davvero razzista, quelle persone hanno commesso un reato, come prevede la Legge Mancino, quindi si prendono e si perseguono. Visto che sono tutte facilmente identificabili, e che la responsabilità penale è personale. Altrimenti le si lasci intonare i loro cori (stupidi o divertenti) senza punire il resto degli spettatori.

C’è poi il rischio che il “giro di vite” sempre più stretto sfoci in prese di posizione semplicemente incostituzionali. Un esempio: ieri il vicequestore di Brescia ha annunciato di avere messo «sotto osservazione »la curva dei tifosi bresciani perché non hanno rispettato il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa, intonando invece cori in favore della squadra. «Al prossimo episodio proporrò che la curva venga chiusa», ha tuonato il vicequestore. Facendo tornare alla mente il precedente della ministro Melandri, che annunciò provvedimenti contro i tifosi che avevano voltato la schiena (sic) al campo in occasione di un altro minuto di silenzio. Ma a questo punto, se di maleducazione si tratta, proponiamo di introdurre un Dasme (divieto di accesso alla Santa messa) per chi applaude ai funerali.

TIFOSI NEL GOVERNO DI UNA SOCIETA’

IN GERMANIA E INGHILTERRA ACCADE

di GIANFRANCO TEOTINO (GaSport 09-10-2013)

Diritto di voto nell’assemblea generale della società con possibilità per ogni aderente di essere eletto nel comitato di gestione o in quello di sorveglianza del club. Diritto di veto, o almeno obbligo di parere consultivo, sulle decisioni che coinvolgono direttamente gli interessi della tifoseria (prezzo dei biglietti compreso, ma anche, ad esempio, lavori di ristrutturazione dello stadio). Coinvolgimento nella gestione di attività operative: predisposizione di pacchetti viaggio per le trasferte, rapporti con autorità locali e forze dell’ordine, sviluppo del merchandising e del proprio canale televisivo.

Sono alcune delle prerogative dell’Hsv Supporters club, l’associazione dei tifosi dell’Amburgo, non un normale centro di coordinamento, ma un vero e proprio organo del club. Certo, in Germania le società di calcio non sono S.P.A., ma semplici associazioni sportive. Però qualcosa di simile si può fare anche in Italia, lavorando sull’idea rilanciata dalla Lega Pro di inserire i tifosi nei consigli di amministrazione dei club. Anche senza arrivare all’azionariato popolare.

In Inghilterra, dove la struttura societaria delle società di calcio è come in Italia quella di società per azioni, numerosi club hanno già un esponente della tifoseria nell’organo di gestione. Addirittura vi sono posti riservati ai supporter nel board della Football Association, la locale Federcalcio, e nella Football Regulatory Authority, l’organo di controllo sul rispetto delle regole (composto, oltre che da rappresentanti del calcio professionistico e dilettantistico, anche da membri indipendenti). E recentemente è stato direttamente il Parlamento britannico a raccomandare una presenza numericamente più adeguata di tali rappresentanze.

Si può perciò pensare anche in Italia di aprire a contributi esterni gli organi di governo dei club, oggi totalmente appannaggio degli azionisti di controllo. Come imporlo a società private? Potrebbe essere la Federcalcio a indicare un modello di statuto per tutte le società affiliate che preveda la presenza nei consigli di gestione e/o di controllo di rappresentanti della tifoseria organizzata e magari, come Fiorentina ha già sperimentato, anche di rappresentanti del tessuto sociale ed economico del proprio territorio.

Fra l’altro, e qui ci si lega anche allo scottante dibattito di questi giorni su razzismo e chiusura degli stadi, le società che adottassero questo modello potrebbero a buon diritto evitare, o vedere di molto mitigate, le sanzioni legate alla responsabilità oggettiva.

calcio all’ultimo stadio

Pago, tifo e non insulto

Cara Figc io ti denuncio

Storia di un abbonato che non ha mai intonato un coro offensivo

Ho una tessera inutilizzabile: se mi penalizzate, almeno risarcitemi

di LORENZO MOTTOLA (Libero 09-10-2013)

Cara Figc, io ti denuncio. Voglio trascinarti in Tribunale perché mi stai portando via i soldi e non hai alcun diritto di farlo. Sono uno dei poveracci cui è stato proibito di assistere a Milan-Udinese. Uno dei pochi abbonati sopravvissuti all’austerity rossonera, al drammatico passaggio di consegne Nesta-Zapata e soprattutto all’introdu - zione di una serie di controlli per entrare allo stadio che neanche all’aeroporto di Tel Aviv l’undici settembre. Chi occupa le massime cariche del sistema-calcio, d’altra parte, da anni sembra impegnato a desertificare gli spalti, ma c’è anche chi non se ne è curato. Per abitudine, qualche pirla anche quest’anno ha versato quattrocento euro nelle casse della sua società. Eppure domenica prossima non si potrà vedere Balotelli dal vivo. Una volta tanto, non perché Marione ha inseguito un arbitro urlando minacce, ma perché hanno squalificato noi. È bastato che alcuni ragazzini - di cui non conosceremo mai il nome - gridassero «ţerrone» al prossimo per chiuderci fuori. Queste persone portavano una sciarpa del Milan, quindi pagheranno tutti i milanisti. Un po’ come se la polizia non riuscendo a trovare il colpevole di uno scippo in piazza reagisse arrestando tutto il quartiere. In questo caso, poi, per un’offesa tutt’altro che devastante.

Chi porta un cognome napoletano - come il sottoscritto - può anche capire che certi insulti («Napoli colera», etc.) possano dare molto fastidio, ma la verità è che negli stadi nessuno si è mai offeso per così poco. Anche ascoltare i tifosi partenopei entrare a San Siro al grido di «Milano in fiamme» non è stato edificante, ma inspiegabilmente in quel caso nessuno ha segnalato la cosa. A quanto pare, quella non è sembrata «discriminazione territoriale». Milano può bruciare. E ai suoi tifosi, intanto, tocca pagare. Ovviamente senza una spiegazione.

La cosa più assurda di tutta questa faccenda, infatti, è che nessuno in Lega abbia trovato un secondo per difendere questa norma dalla sacrosanta pioggia di critiche o per convincerci delle loro ragioni. Evidentemente, queste persone considerano chi va allo stadio un terrorista o nella migliore delle ipotesi un decerebrato: non val la pena trattare né discutere. Nessuno riesce a trovare cinque minuti per spiegarci quale tortuoso ragionamento è stato seguito per varare questa norma. Una regola sbagliata: imbarazzante nella sua costruzione e delirante nell’applicazione. Una legge che non sta funzionando.

Come Libero ha scritto subito dopo la sua approvazione, era evidente che si sarebbe trasformata presto in un boomerang, un’arma messa in mano agli ultrà per ricattare Galliani, Agnelli e soci. Per convincersene basta leggere il «comunicato» pubblicato ieri dalla curva del Milan: «Ora quando si gioca lo decidiamo noi». Purtroppo hanno ragione: gli basterà cantare un coro per mandare in fumo gli sforzi chi investe nel calcio. Per di più tutte le curve d’Italia si sono incredibilmente unite per far fronte comune contro la Lega. È per ottenere questo che mi impediscono di andare a vedere la partita?

FIGURACCIA FEDERALE

La causa del caos?

Un errore di pigrizia

Abete apre: «Ripensiamo le regole, le norme sono dell’Uefa»

Ma la colpa è del Palazzo: non ha adeguato il testo del codice

di FRANCESCO PERUGINI (Libero 09-10-2013)

«Quer pasticciaccio brutto de via Allegri». La polemica sulle norme anti razzismo si è già trasformata in un romanzo degno di Carlo Emilio Gadda. E mentre la Lega A attacca il Palazzo, la Federcalcio traballa. «È utile, opportuna e doverosa una riflessione», ammette con il consueto tempismo Giancarlo Abete, «ma la norma italiana ricalca una normativa proposta dalla Uefa».

Una mezza verità dietro la quale si celano le responsabilità della Figc, nel caos che ha portato alla chiusura del Meazza per Milan-Udinese. Tutta colpa di un semplice errore di “distrazione” nella ricezione del Codice di disciplina Uefa emanato a maggio. L’articolo 14 punisce infatti i comportamenti discriminatori per «colore della pelle, razza, religione, origine etnica (come nel caso della squalifica della curva biancoceleste dopo Lazio-Legia, ndr)». Durissime le pene ad applicazione progressiva: chiusura di un settore, dell’intero stadio, partita persa, penalizzazioni e persino divieto di fare mercato.

Il 4 giugno, però, la nuova norma arriva in Figc ed entra nell’articolo 11 del Codice di giustizia sportiva. Per pigrizia o comodità, però, il processo avviene a metà: cambiano le pene - prima c’erano solo delle multe da 20mila euro soggette alle attenuanti (dalla collaborazione alla dissociazione del resto dello stadio) - non i “reati”. Le penalizzazioni pesanti vengono così applicate a ogni condotta lesiva «per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero propaganda ideologica vietata dalla legge», secondo il vecchio testo. Il razzismo finisce così nel calderone dell’inciviltà da stadio, come l’apologia di fascismo o - per assurdo - il maschilismo («motivi di sesso»). E il destino dei club finisce così nelle mani dei collaboratori della Procura federale: da due a quattro persone appostate sotto le curve per segnalare ogni coro. Anche quelli magari non avvertiti in tribuna o alla tv. «Con questa norma le squadre diventano ostaggio degli ultras», attacca Claudio Lotito, presidente della Lazio ma anche consigliere Figc, «quel che dice Platini non è il Vangelo ».

«La discriminazione territoriale è presente da tantissimo tempo», ricorda Abete, «è cambiata la gradualità delle norme ». Ed è proprio qui il secondo scivolone di via Allegri: il 5 agosto, infatti, in un eccesso di zelo vengono eliminate le attenuanti grazie alla modifica di un altro articolo (il 13). Addio discrezionalità: ogni coro si trasforma in una condanna automatica. Con alcuni paradossi. «Sardo di m...» può diventare un’offesa, ma lo storico e crudele «vi ruberemo il gregge» teoricamente no. Offendere i partenopei non si può, tranne se ci si limita al «noi non siamo napoletani». Così come cantare l’inno d’Italia durante il minuto di silenzio per i morti di Lampedusa allo Juventus Stadium non è un comportamento punibile: «Non si può sanzionare chi canta “Fratelli d’Italia”», fanno capire dalla Federazione. Così come nel Paese dei Comuni è impossibile tracciare il confine tra campanilismo becero e «discriminazione territoriale». Immaginate lo scandalo e i provvedimenti dopo uno di quei derby storici tra Udinese e Triestina con gli ululati reciproci «infoibati» e «terremotati».

Al solito pasticcio istituzionale, prova a rispondere Giovanni Malagò scaricando le responsabilità sul tifo pulito. Quello più penalizzato: «L’unica soluzione è che il settore dello stadio interessato faccia qualcosa nei confronti di chi penalizza la propria squadra», dice il presidente del Coni. Ma se lo stadio è vuoto come si fa?

IL RETROSCENA di GIULIO MOLA (Quotidiano Sportivo 09-10-2013)

E se la serrata la facesse Galliani?

NON C’È che dire. Ci siamo cacciati davvero in un bel guaio: chi giudica, chi viene punito e pure chi deve commentare rovistando tra i vari codici di diritto. Chiariamo subito: visto quanto accaduto in generale negli ultimi mesi, difficile non sposare la linea tanto cara all’Uefa e a Platini della “tolleranza zero” e dell’inasprimento delle pene. Detto questo non si può neppure chiedere o pretendere che lo stadio all’improvviso si trasformi in una sorta di Accademia della Crusca, soprattutto dopo che per decenni si è assistito, senza muover dito, alla commistione (diciamo pure di comodo) società-tifoserie organizzate. Eppure, l’improvvisa onda del giustizialismo, ha portato prima alle transenne delle curve ed ora agli stadi blindati. Uscire fuori dal solito pasticcio all’italiana è complicato, anche perché il concetto di “discriminazione territoriale” si presta a varie interpretazioni. Quel che serve, prima di tutto, è l’uniformità di giudizio da parte degli Ispettori della Lega, ovvero i collaboratori del giudice Tosel. Devono allinearsi tutti, e non tapparsi le orecchie a seconda delle circostanze. Perché solo così si possono tutelare i club e la parte sana del tifo, che è pure la stragrande maggioranza di chi frequenta lo stadio pagando in anticipo centinaia di euro per un abbonamento. E qui sta il punto: possibile che per colpa di qualche incivile debbano finire in castigo circa 23mila fedelissimi rossoneri? Siccome le norme non possono essere cambiate a stagione in corso, c’è da attendersi una serie di reazioni a catena. La prima: sui social network è già montata la protesta dei tifosi che si sentono danneggiati. In tanti hanno già consultato avvocati di fiducia e potrebbero tentare un’azione legale contro le società per farsi rimborsare il dovuto. Finora non è mai accaduto (qualcuno aveva minacciato di farlo dopo la cessione di Ibrahimovic e Thiago Silva appellandosi alla “pubblicità ingannevole” e fu prontamente rimborsato dal club) ma non è da escludersi una sorta di “class action” per creare un pericoloso precedente giurisprudenziale con la motivazione di aver subìto un danno economico non potendo assistere a delle partite per colpa altrui.

IN EFFETTI nelle attuali “condizioni per l’abbonamento” al Milan non c’è traccia di una clausola vigente fino a qualche anno fa che recitava: “1.4. La squalifica dello Stadio Meazza di San Siro, nonché l’obbligo di disputare partite a porte chiuse e/o eventuali riduzioni di capienza dell’impianto o chiusure di settori disposte per legge, regolamenti o da altro atto o provvedimento di autorità pubbliche o sportive (inclusi, tra queste, gli organi di giustizia sportiva), non generano diritto al rimborso neppure pro quota, salvo non derivino da responsabilità diretta dell’A.C. Milan, accertata con sentenza dell’A.G.O. passata in giudicato”. Ma attenzione pure ad una possibile conseguenza: un clamoroso ed eclatante gesto di Berlusconi e Galliani che, in caso di eventuale sconfitta a tavolino decisa dal giudice sportivo, potrebbero essere loro a chiudere lo stadio e rimborsare gli abbonati in segno di protesta. Sembra fantacalcio, ma con l’aria che tira c’è da aspettarsi di tutto.

PUNIZIONE O BUFFONATA?

Discriminazione territoriale ed etnica non coincidono

Si può fare meglio Nel parere dei massimi esperti

emergono i limiti vistosi di un provvedimento perfettibile

di FRANCESCA COZZI (Quotidiano Sportivo 09-10-2013)

MILAN-UDINESE a porte chiuse. La decisione del giudice sportivo Gianpaolo Tosel in seguito al “coro espressivo di discriminazione territoriale nei confronti dei sostenitori di altra società - come si legge nella delibera del 7 ottobre - intonato da qualche centinaio di sostenitori presenti allo Juventus Stadium, continua a far discutere. Cerchiamo quindi di far chiarezza sulla norma che punisce gli episodi di razzismo negli stadi (l’articolo 11) e sulla responsabilità delle società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori (articolo 14 del Codice di Giustizia Sportiva), chiedendo spiegazioni a due dei massimi esperti di diritto sportivo in Italia: l’avvocato Paco D’Onofrio, ordinario di Diritto Sportivo all’Università di Bologna, e Lucio Colantuoni, docente di “diritto sportivo e contratti sportivi” dell’Università degli Studi di Milano.

PACO D’ONOFRIO, analizzando la sentenza di Tosel, distingue due concetti: la “discriminazione territoriale” e il “razzismo” che, secondo il pensiero dell’avvocato, sono stati erroneamente fatti coincidere. «Penso che il problema sia a monte: e cioè se le esternazioni incriminate possano effettivamente essere definite razziste. Il razzismo è discriminazione etnica, non territoriale. Chi considera un’offesa la frase “Noi non siamo napoletani” sta facendo egli stesso della discriminazione, attribuire una connotazione negativa al termine “napoletano” è una forzatura. Se ipoteticamente in una partita contro una squadra svizzera, alcuni sostenitori italiani intonassero “Noi non siamo svizzeri” nessuno griderebbe allo scandalo. Esprimere un’identificazione territoriale non è razzismo.

Oltretutto questa decisione non è nella logica della norma stessa, è una legge nata per tutt’altro motivo. Il rigore repressivo esasperato adottato dalla giustizia sportiva sta facendo perdere il senso del confine stesso della norma. C’è il rischio concreto che i provvedimenti sfocino in demagogia».

Poi l’avvocato D’Onofrio analizza il concetto di responsabilità oggettiva che vede i club garanti del comportamento di giocatori e supporters: «La responsabilità oggettiva fu inserita per far sì che le società effettuassero un maggior controllo sui propri tesserati. In seguito fu estesa anche agli stessi tifosi. Ma qui va fatta una distinzione tra i match giocati in casa (dove c’è un’effettiva gestione degli ultras ad esempio con gli steward che possono sedare i tifosi più facinorosi) e le gare fuori casa dove la società non ha alcun controllo e dove quindi la responsabilità oggettiva perde la sua stessa connotazione. A mio parere, quindi, il Milan ha piene ragioni per far ricorso».

LUCIO COLANTUONI, invece, tiene a sottolineare inizialmente i limiti della legge in questione: «Per quanto riguarda la discriminazione territoriale la norma non dice nulla a riguardo, per cui tutto è nelle mani, per così dire, del giudice sportivo che sta facendo magistratura». Poi il docente va al di là di un’analisi giuridica della sentenza per evidenziare l’aspetto pedagogico della decisione di Tosel: «La linea è molto sottile. Cori come quelli di Milan-Napoli o Juventus-Milan si sentono da sempre negli stadi, per cui l’opinione pubblica può faticare ad accettarli come discriminatori. Questo però è il trend e l’inasprimento della norma parla chiaro. La Federazione vuole la linea dura e su questi episodi lo scopo è punire la società non i tifosi. Tuttavia tutti i sostenitori, anche quelli innocenti, ne risentono negativamente. E qui sta lo scopo: disincentivare i facinorosi con la collaborazione di parte della tifoseria». Anche il professor Colantuoni, infine, spiega il significato di responsabilità oggettiva: «Giuridicamente trattasi di responsabilità in “culpa in vigilando” (attribuire responsabilità per non aver controllato che il comportamento illecito non accadesse). Bisogna rivedere la norma inserendo limiti a tale responsabilità. Se la società potesse dimostrare di aver agito per limitare i cori razzisti (con steward, maggiori controlli...) allora non sarebbe responsabilità oggettiva, ma deve valere la prova contraria per essere scagionati o avere una riduzione della sanzione. Questo sarebbe un bene anche ai fini pedagogici della norma. Un eccesso di responsabilità oggettiva può portare a risultati contrari. Se non puoi far niente per scagionarti da episodi di razzismo allora non fai niente per evitarli».

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Qatar 2022 / CONDIZIONI SHOCK PER I LAVORATORI STRANIERI

Morire di Mondiali, senza diritti

Il potere del calcio se ne infischia

di MICHELE GIORGIO (il manifesto 09-10-2013)

I morti quotidiani nei cantieri degli stadi in Qatar non lo turbano. Sepp Blatter non torna indietro. «I Campionati del Mondo del 2022 si giocheranno in Qatar, non c’è alcun dubbio», ha messo in chiaro nei giorni scorsi. L’unico «dubbio» il presidente della Federcalcio mondiale sembra averlo rispetto al clima: si giocherà d’estate con le temperature elevatissime che si registrano nel Golfo in quel periodo? O d’inverno e, in quel caso, in quale mese? Il Comitato esecutivo della Fifa, riunitosi a Zurigo il 4 ottobre, non l’ha deciso. Se ne riparlerà dopo i Mondiali in Brasile. Nel frattempo la mattanza e lo sfruttamento di lavoratori stranieri prosegue, per dotare il piccolo ma ricco regno qatariota delle infrastrutture necessarie per ospitare il torneo che sarà seguito da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.

L’ex emiro Hamad bin Khalifa Al Thani e il figlio Tamin al quale ha ceduto lo scettro qualche mese fa, hanno puntato molto del loro potere e della loro influenza per ottenere i primi Mondiali "arabi". Un’operazione di eccezionale portata, sportiva, politica ed economica che si aggiunge alla diplomazia spregiudicata (e talvolta spietata) che svolge questo staterello del Golfo ricco di gas che confina a sud con l’Arabia saudita. È in ricostruzione l’intero regno, a tempi di record. Nonostante questa corsa si stia dimostrando folle per la vita di chi spesso è costretto a lavorare in condizioni disumane.

Il quotidiano britannico Guardian qualche giorno fa ha riferito della morte di 44 morti lavoratori nepalesi - tra lo scorso 4 giugno e l’8 agosto – in gran parte per infarto (caldo insopportabile e ritmi insostenibili) o per gravi incidenti sul lavoro. L’ambasciata indiana a Doha ha quindi reso noto che ad agosto ci sono stati decessi quotidiani tra i suoi cittadini impiegati come manovali sui cantieri degli stadi. Lavoratori che, come tutti gli altri manovali stranieri presenti nel regno (quasi tutti dal sud-est asiatico), guadagnano meno di 200 dollari al mese per dieci ore di lavoro, senza tutele, e che rappresentano l’85% della popolazione (i cittadini qatarioti sono appena 300 mila). Il vice presidente del Comitato Esecutivo Fifa, il principe giordano Ali bin al-Hussein (fratello di re Abdallah), ha chiesto di controllare i lavori in corso per infrastrutture destinate al Mondiale in Qatar. «Non possiamo intervenire negli affari interni del Qatar ma la Coppa del Mondo non può essere innalzata sul sangue degli innocenti», ha protestato. Ma Blatter, timoroso di perdere la ricca torta di miliardi che mette sul tavolo la dinastia qatariota, ha scelto di ignorare morti e feriti e di andare avanti.

Miliardi su miliardi da spendere in nome del potere e del prestigio ai quali si contrappongono i magri salari dei lavoratori asiatici e persino i contratti dei calciatori stranieri ingaggiati dai club della Stars League, la Serie A del Qatar, e che non sempre sono rispettati. Riecheggia ancora la denuncia del nazionale marocchino Abdessalam Ouadoo che nei mesi scorsi ha raccontato la sua esperienza, lasciato senza stipendio dai proprietari del suo team. «In Qatar pensano che con i soldi si può comprare qualsiasi cosa: ville, automobili di lusso e anche gli esseri umani... Lì gli esseri umani non sono rispettati. I lavoratori non sono rispettati. Un Paese che non rispetta tutto ciò non può organizzare i Mondiali del 2022».

La Fifa finge di non vedere e sentire. Eppure la Confederazione sindacale internazionale aveva subito rivelato le violazioni aperte dei diritti dei lavoratori, dal salario alla sicurezza. Inoltre le "riforme" annunciate dall’emiro non sono mai avvenute. «Il governo del Qatar deve assicurare che i suoi stadi per la Coppa del Mondo non saranno costruiti sugli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori stranieri», ha dichiarato qualche mese fa Sarah Leah Whitson, ex direttrice di Human Rights Watch in Medio Oriente, illustrando un rapporto sulle enormi commissioni che i lavoratori asiatici pagano per lavorare, sulla confisca dei passaporti, sul potere che il Paese accorda ai datori di lavoro e sulla proibizione per i migranti di aderire ai sindacati e scioperare.

L’emiro del Qatar sostiene di aver nominato un team internazionale di avvocati per indagare sulle morti. Ma pochi credono alle sue buone intenzioni, mentre l’opinione pubblica qatariota è furiosa con i media stranieri accusati di voler sabotare il Mondiale 2022.

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L’Europa unisce le forze

contro le partite truccate

Finanziati oltre 2 milioni e mezzo per un progetto approvato a Strasburgo

di MAURIZIO GALDI (GaSport 09-10-2013)

Contro le combine nel calcio, il riciclaggio e la criminalità organizzata scende in campo il Parlamento europeo. E’ Salvatore Iacolino, deputato del Partito popolare europeo, ex giocatore dell’Akragas, a farsene portavoce. E’ il primo firmatario di una risoluzione, approvata in Commissione e che sarà ratificata dall’aula il 23, che detta le linee guida. «Innanzitutto si devono armonizzare tutte le leggi che parlano di contrasto alla criminalità organizzata spiega . Poi il Parlamento spingerà sulla Commissione (il governo europeo presieduto da Barroso, ndr) affinché venga introdotto il reato di manipolazione sportiva».

Procura europea Iacolino è anche il parlamentare che ha fortemente voluto la creazione di una Procura europea. «È necessario che ci sia un coordinamento sovranazionale per aggredire il problema. Per questo abbiamo anche previsto un progetto pilota, che la Commissione bilancio ha deciso di finanziare con oltre due milioni e mezzo di euro, che prevede proprio la raccolta e le analisi delle informazioni che provengano da fonti qualificate.Maserve anche un lavoro di formazione e informazione sui tesserati e sui calciatori in particolare. Noi non siamo contro le scommesse, ma contro l’illegalità e il riciclaggio che fornisce terreno fertile alla criminalità. Penso sia necessario anche prevedere pene più severe». Se ne parlerà il 4 dicembre in un convegno a Bruxelles che vedrà la partecipazione anche di Federbet e leghe.

Le combine È interessante il confronto tra i dati forniti dall’Essa (un istituto che raccoglie dati per i bookmaker) che parla di 33 partite combinate in dieci anni e le 380 individuate in 18 mesi dall’Europol. E a queste ultime andrebbero aggiunte le partite extraeuropee e quelle segnalate dalle procure italiane di Bari, Cremona e Napoli. Quando si parla di fonti qualificate.

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L’APPROFONDIMENTO

Diritti tv, lotta di

denaro e potere

La tv della Lega, le richieste di Sky e di Mediaset:

ecco cosa c’è dietro i miliardi offerti da Infront

di STEFANO SALANDIN & STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 09-10-2013)

Fatevene una ragione, cari tifosi (e lettori): commettereste un errore se pensaste di relegare la questione dei diritti tv nell’angolo degli argomenti “pesanti” per specialisti. Certo, non è una questione glamour come il gossip, elettrizzante come il mercato o esaltante come i gol, ma tutto quanto discende da lì, dai soldi che sono in grado di garantire ai club. Soprattutto a quelli italiani che da quei soldi dipendono quasi del tutto. E la Juventus, che pure ha per prima iniziato il percorso virtuoso dello “stadio di proprietà”, lo sa benissimo: nella lettera agli azionisti, Andrea Agnelli ha ribadito la necessità dell’equilibrio tra entrate e redistribuzione interna per evitare che cresca il già alto gap con la possibilità di spesa degli altri club europei. Alla Lega è stato chiesto di avviare un percorso di approfondimento invece di arrivare a un acritico rinnovo del contratto con Infront (l’attuale advisor incaricato di cedere i diritti) per il periodo che va dal 2015 al 2021. Lunedì è arrivata in Via Rosellini la nuova offerta di Infront (5,5 miliardi complessivi garantiti) al termine di una serie di audizioni che hanno offerto parecchi spunti ai presidenti, chiamati a fornire le controdeduzioni entro venerdì, soprattutto sul progetto di una tv della Lega. Ecco i temi più importanti.

ESCLUSIVE Sky sarà (molto probabilmente) accontentata con qualche forma di esclusiva. Possibile che si giochi su anticipi e posticipi, casa o trasferta: sarà trovata qualche formula che la accontenti, visto che è colei che versa la cifra maggiore. Potrebbe essere seguito il modello spagnolo: una partita in esclusiva a settimana. Mediaset, naturalmente, spinge perché queste esclusive siano limitate il più possibile. E fa notare che non si capisce il motivo per cui la Lega dovrebbe prendere troppo in considerazione questa richiesta, dal momento che Sky non è disposta a fare un’offerta che sopperisca all’eventuale mancanza dell’offerta Mediaset.

LA TV DELLA LEGA Infront ha molta fretta di sapere cosa decidono i club per il Canale della Lega e vuole una risposta entro fine ottobre. La fretta è dovuta: il canale può essere soprattutto un’arma di pressione negoziale nei confronti delle altre emittenti. Ma è molto probabile che l’advisor stia anche fiutando l’affare. Secondo uno studio Eurisko, infatti, sarebbero 5,6 milioni i potenziali abbonati a un nuovo canale sul calcio. Non a caso, lunedì in Lega i manager erano schierati al completo: da quelli di Bridgepoint a Philippe Blatter, ceo di Infront. Bridgepoint è un fondo azionario che ha già fatto operazioni di questo tipo in Nord America, si è offerto come garante dell’operazione dall’alto della potenza di chi controlla la cessione dei diritti di Motomondiale, Formula Uno e altre cosucce.

IL PRODOTTO Una cosa sulla quale tutti sono concordi è nel chiedere più collaborazione ai club. Infront e Sky spingono da anni per campi decenti e meno vuoti sugli spalti (fosse per Sky e Mediaset, anche meno scandali). Mediaset chiede maggiore collaborazione sui calendari (come Sky). Tutti chiedono maggiore disponibilità a interviste e a iniziative. Silva, l’advisor che (non senza polemiche) si occupa della vendita all’estero, lo ha ribadito nel suo intervento: per vendere meglio i diritti all’estero serve maggiore collaborazione per interviste e la realizzazione di prodotti con i campioni più famosi. Tutti, infine, chiedono squadre più competitive.

SOLITO CAOS Venerdì non si è parlato di commissioni di Infront per il rinnovo del contratto (un aspetto che era al centro delle critiche della Juventus e delle altre 7 sorelle della ben nota lettera). Anche perché, se si partisse con la tv della Lega, il tipo di business cambierebbe: da advisor, Infront diventerebbe quasi socio della Lega. Gli schieramenti sembrano ormai definiti: il fronte Mediaset-Infront-Milan da una parte, Juventus-Sky dall’altra. E nessuno vuole scoprirsi. Di fondo, poi, regna il solito caos della Lega dalle “mille anime”: De Laurentiis chiede 1,2 miliardi l’anno di minimo garantito e non cede sui diritti esteri. Molte provinciali, infine, vorrebbero chiudere subito con Infront di fronte a certi minimi garantiti che, per loro, sono manna dal cielo. La visione comune, sebbene si parli di tv, resta un miraggio: avete capito, cari tifosi, perché i diritti tv non possono essere lasciati in un cantuccio con indifferenza?

SOLO IN GERMANIA ANALOGIE CON LA SERIE A, NEGLI ALTRI PAESI PARTITE TRASMESSE DA PIU’ NETWORK

Monopolio in Bundesliga

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 09-10-2013)

Tra i grandi campionati europei, quello italiano è l’unico nel quale quasi tutte le partite sono trasmesse in diretta su satellite e digitale (fanno eccezione solo le sfide tra le otto squadre i cui diritti non sono stati acquistati da Mediaset Premium). Negli altri Paesi i sistemi sono più variegati. In Premier League BSkyB ha i diritti per le 116 partite giocate la domenica pomeriggio e il lunedì sera; BT Vision di 38 gare tra quelle in programma sabato alle 12.45 e dieci incontri di cartello in programma negli infrasettimanali e nelle festività fuori dai week-end. Non vengono invece mai trasmesse in diretta le partite del sabato pomeriggio. In Spagna il canale Digital+ detiene i diritti sul satellite di otto gare per ogni giornata - lo stesso pacchetto di Gol Tv sul digitale - più un’esclusiva per ogni turno della Liga. Mentre Mediaset Espana può trasmettere in chiaro sul digitale il posticipo del lunedì sera. In Francia beIN Sport (Al Jazeera) e Canal+ si dividono il campo: otto partite a settimana per la prima emittente, due big-match a turno (sabato pomeriggio e domenica sera) per la seconda. In Germania Sky Germany ha acquistato tutta la Bundesliga. Il modello tedesco prevede anche la cessione di diritti per highlights su internet e telefonia mobile.

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L’opinione

Uno sportivo vero che merita

il rispetto del suo pubblico

di MAURIZIO DE GIOVANNI (IL MATTINO 10-10-2013)

Che cosa pensereste di un uomo che costringe la fidanzata a odiare non solo il suo ex, ma anche tutti i suoi amici? Che pretende che, ogni volta che li incontra, li tratti da nemici giurati? Questa stessa intollerabile violenza morale, questa inaccettabile pretesa è imposta dai tifosi del Benevento (per fortuna non da tutti, ma solo da poche centinaia di esagitati) al bomber e capitano Felice Evacuo, reo dell’orribile reato di aver salutato i tifosi della Nocerina.

Va detto che prima Evacuo aveva guidato la propria squadra a salutare i tifosi locali e solo successivamente, avendo giocato a Nocera, i supporters in visita; e che nella squadra dell’agro milita tuttora il fratello.

La società si è espressa a conforto del proprio calciatore, ci mancherebbe; e lo stesso Evacuo ha addirittura pubblicato un videomessaggio, assicurando la piena fedeltà al progetto tecnico del Benevento e ai colori della compagine di cui fino a domenica è stato il capitano. Niente da fare. Gli irriducibili ultrà giallorossi hanno continuato nella contestazione sul campo d’allenamento, chiedendo a gran voce all’ex beniamino addirittura di lasciare immediatamente la città.

Storie di ordinaria follia, insomma. Ancora una volta il calcio diventa occasione per riesumare valori fortunatamente obsoleti dal medioevo, campanilismi anacronistici e autolesionisti, espressioni di una profonda inciviltà purtroppo radicate nell’intimo dei movimenti dell’ultratifo. Perché impedire a un calciatore un gesto di normale buona educazione come un semplice saluto a chi lo ha sostenuto in passato significa mettere in discussione i valori fondanti dello sport, e non possiamo accettare che il calcio, ad onta delle centinaia di milioni di euro che muove, cessi di essere uno sport.

Siamo piuttosto decisamente contrari a questo andazzo, che eleva le curve degli stadi a movimenti di pensiero (?), a gruppi culturali che fanno opinione e tendenza, magari influenzando la formazione dei più deboli tra i tanti giovanissimi che seguono questo meraviglioso gioco.

Evacuo, a nostro parere, ha fatto un solo grave errore: ha chiesto scusa. Come se si dovesse chiedere scusa per aver salutato, dopo averli battuti, gli avversari. Come se si dovesse chiedere scusa per essere stati sportivi, e per non aver dimenticato di aver militato altrove. Come se si dovesse chiedere scusa per non essere un mercenario, legato solo ai colori di chi ti paga, in grado di dimenticare con tanto di bacio alla nuova maglia il sudore, le lacrime e la gioia condivise fino a un momento prima. Il perfetto contrario di quanto accade nel rugby, dove il terzo tempo è un momento di affermazione dei migliori valori dello sport. Evacuo è un validissimo professionista, e i tifosi, quelli veri, del Benevento ne siano orgogliosi e si schierino al suo fianco, isolando gli idioti che di sportivo non hanno nulla. Ricordando che il vero tifo è a favore, non contro.

Tutto altamente condivisibile.

Però bisogna anche ammettere, cari giornalisti (campani), che di campanilismo becero e discriminazione "provinciale" stiamo ancora parlando (Benevento Vs Nocera Inferiore)

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Patto tra ultrà

si muove il Viminale

Con i gesti razzisti, le curve cercano la leadership

Misure per fermarli? I club devono riappropriarsi in toto

degli stadi e denunciare da persone offese i violenti

Abete attende proposte, chi tutela la sicurezza chiede posizioni nette alle società

Un altro passaggio cruciale: valutare di ridurre i settori ospiti. E mai curve senza gli steward

di FABIO MASSIMO SPLENDORE (CorSport 10-10-2013)

ROMA - Probabilmente il fenomeno - deprecabile e vile - non ha le dimensioni che verrebbe da accreditargli stando alle azioni e alle reazioni di questi giorni. Anzi, dati alla mano è così e al Viminale non smentiscono: il razzismo non è la nuova piaga degli stadi, i numeri in questo senso aiutano. Ma, ripetiamo, è fatto deprecabile e la posta in gioco che si porta dietro, il significato recondito, le possibili ricadute, sono pericolose. A cominciare da quel patto tra gli ultrà che a Napoli avevano fatto ventilare domenica, con qualche striscione “sospetto”, e che martedì la curva dell’Inter ha reso più chiaro: un coro in ogni stadio, così li svuotiamo tutti e si fa una domenica senza pubblico. Ecco svelato il piano e dietro al piano un obiettivo.

LA LEADERSHIP - Un vecchio obiettivo, al Viminale è noto da un decennio. La leadership, nazionale e anche internazionale, tra gli ultrà. Ricordate il Lazio-Roma “sospeso” dai tifosi? Era il 21 marzo 2004, si diffuse la voce di un bambino investito da un blindato fuori lo stadio e le curve unite chiesero e ottennero dalle squadre in campo, di fermare la gara. Furono necessari appelli pubblici per smentire e riprendere. Fu una interruzione storica che sanciva il riconoscimento di un ruolo guida alla tifoseria laziale e a quella romanista rispetto alle altre: quelle immagini andarono anche in giro per l’Europa. In questo caso, quello paventato di una domenica a stadi vuoti, la rilevanza europea sarebbe garantita, visto l’impegno che Fifa e Uefa stanno dando al loro impegno nel fenomeno e alla tolleranza zero.

LE LINEE - Il rischio di una strumentalizzazione così estremizzata dei club, da parte dei violenti era stato fotografato dal vice presidente operativo dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Roberto Massucci, anche direttore del Centro nazionale di informazione (Cnims): un mese fa aveva espresso il punto di vista del Viminale in modo chiaro al settimanale Panorama sulla norma contro il razzismo. «Siamo in una situazione molto delicata. E' vero ed è evidente anche per noi, ma in questa fase è necessario dare segnali chiari. Siamo preoccupati che possa innescarsi un meccanismo di debolezza dei club. Il rischio esiste. Alle società dico che oggi hanno opportunità di confronto con le forze dell'ordine che sono quotidiane e, se fossero ricattate, non hanno nemmeno bisogno di andare a fare una denuncia: esistono spazi di collaborazione così stretta...» .

Parole intellegibili: una norma ha solo una conseguenza, essere applicata. Poi c’è da ragionare sugli effetti che può avere l’applicazione della norma. E accompagnare questa norma. Rivederla? Questo non compete a chi si occupa di sicurezza. Per accompagnarla servono una serie di misure da condividere con il mondo del calcio. Abete ha detto «attendo proposte» , al Viminale aspettano un cenno, ma sono pronti. La proposta non può essere quella di abolire la parolina “territoriale” e togliere qualche steccato al mondo ultrà perché i club diventino meno ostaggio. Chi deve affrontare il problema occupandosi di sicurezza negli stadi probabilmente qualche idea ce l’ha. Ed è anche nota. Magari non tutte le idee sono facili da digerire. Riappropriarsi dello stadio in toto, evitando che i settori ospiti e le curve diventino talvolta terreno off limits per gli steward (e pare che succceda); ragionare sull’opportunità di rivedere i limiti di legge e abbassare quello dei settori ospiti, che a 10.000 posti possono diventare difficili da gestire. E per superare la responsabilità oggettiva? Diventare persone offese - questo il passaggio più delicato - costituirsi parte civile, richiedere danni a chi li ha causati, denunciare. In una parola far sentire alla parte sana, fidelizzata del tifo, di essere importante. Evitando che il mondo di pochi, quello della incultura di pochi, prevalga sulla cultura dei tanti appassionati che vanno allo stadio. Questa è la partita vera, Da giocare, in fretta, nelle sedi opportune.

Curve chiuse,

un pasticcio tutto italiano

LA LEGA CALCIO CHIEDE ALLA FGCI DI RIVEDERE LA

NORMA, CHE RISPONDE: “LO VUOLE L’UEFA”. IL MILAN

ANNUNCIA “OGNI RICORSO POSSIBILE” ALLA SQUALIFICA

TUTTI CONTRO Il ministro Delrio: “La discriminazione territoriale non è

punita come quella razziale dalla legge, lo prevede l’ordinamento sportivo”

di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano 10-10-2013)

Sembra una barzelletta, ma la questione della “discriminazione territoriale” ha travalicato gli spalti degli stadi ed è arrivata a interessare anche il governo, con il ministro dello Sport Graziano Del Rio che ne ha dovuto rispondere durante il question time alla Camera. L’intensa giornata di ieri è cominciata con Adriano Galliani che annunciava: “Faremo ricorso in tutte le sedi possibili”, contro la chiusura dello stadio per Milan-Udinese. Imbufalito come non mai, l’amministratore delegato milanista sa che il Milan corre il rischio di perdere 0-3 a tavolino la prossima partita se qualcuno, durante la gara riproponesse l’odiosa equazione tra Napoli e il colera, o simili. Con lui si è schierato il presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta, che ha dichiarato di avere formalmente chiesto per iscritto alla Figc il cambiamento della norma sulla discriminazione territoriale, come aveva preannunciato lunedì. Aggiungendo poi: “La nostra posizione è molto chiara: bisogna avere un sistema sanzionatorio che vada contro le minoranze delle tifoserie che si macchiano di questi gesti e a favore della maggioranza di persone che condivide i valori dello sport; altrimenti si rischia di dare voce ai ricatti delle minoranze”.

A STRETTO giro di posta, è arrivata la risposta della Figc per bocca del presidente Giancarlo Abete: “La posizione della Figc è quella di sempre, del resto la regola in questione è in vigore dalla fine degli Anni 80. Adesso, però, abbiamo dovuto omologarci alle sanzioni Uefa (…) in Europa ci si comporta spesso in questo modo a livello sanzionatorio”. In realtà la questione della ricezione delle disposizioni Uefa non è esatta, si tratta piuttosto di un adattamento tutto italiano. L’articolo 14 del Codice di disciplina dell’Uefa, approvato dal Comitato esecutivo nel maggio del 2013 e dunque in vigore da questa stagione, parla di “motivi di colore della pelle, razza, religione, origine etnica”. Non è menzionata la discriminazione territoriale, tradotta invece in Italia nell’articolo 11 al comma 1 del Codice di Giustizia sportiva che ha recepito a suo modo le normative Uefa.

ARTICOLO 11 su cui si sono basate le squalifiche del giudice sportivo Tosel. La questione territoriale in Italia esiste, ed è punita secondo l’articolo 594 c.p. e dalla legge 133/93. Ma come ha detto alla Camera il ministro Del Rio: “La discriminazione territoriale non è punita come quella razziale dalla legge Mancino, ma è prevista in questi casi solo dall’ordinamento sportivo”. È stata quindi una decisione dei legislatori della Federcalcio di aggiungere la postilla territoriale. Mentre va fatto riferimento alla discriminazione etnica per la squalifica della Lazio nelle coppe europee per gli insulti nei confronti degli slavi. Questione giuridica a parte, la solidarietà trasversale di tutte le curve unite – dall’autoironia dei napoletani alle promesse di cori “discriminanti territorialmente” dalle curve interiste e juventine - dimostra ancora una volta lo scollamento tra club e tifosi. Quando i rapporti tra questi saranno basati sull’appartenenza, magari permettendo ai tifosi di fare parte del club attraverso l’azionariato popolare, e quando smetteranno invece di esserci relazioni clientelari basate sulla gestione di biglietti e altro, ognuno potrà dire la sua sui valori dello sport. Altrimenti si tratta solo di rapporti di affari tra club e tifosi.

Cori anti-Napoli

ricatto ultrà alle società

di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 10-10-2013)

Il presidente della Lega calcio, Beretta, ha scritto alla Federcalcio per chiedere ufficialmente di cambiare le norme che regolano le sanzioni per discriminazione territoriale dopo la chiusura dello stadio Meazza per Milan-Udinese. «Va rivisto il sistema sanzionatorio», ha sottolineato, probabilmente perché è stato colpito un club potente che si sente “vittima” dei tifosi che hanno cantato «Noi non siamo napoletani» a Torino. Non sono, per caso, gli stessi che durante Milan-Napoli hanno urlato di tutto ed esposto striscioni offensivi, bissando lo squallido show durante Milan-Samp, stavolta dall’esterno dello stadio perché la curva era stata chiusa dal giudice sportivo?

O gli stessi che sono stati ricevuti nel ritiro di Milanello dai giocatori e da Allegri, che arrivò a definire «sfottò» i cori razzisti contro i napoletani?

Non si capisce perché il presidente Beretta non abbia chiesto la revisione delle norme dopo Juve-Napoli del 20 ottobre 2012, ad esempio. Dalle tribune del magnifico Juventus Stadium scaricarono vergognosi insulti sui napoletani, mostrando alle comitive di tifosi azzurri sacchetti della spazzatura: la Juve venne punita con la multa di 7mila euro, non con la chiusura di una curva o dell’intero stadio. Il sistema sanzionatorio, come ha detto il presidente del Coni Giovanni Malagò, è questo e i club devono rispettare le regole. Cosa sarebbe accaduto se fosse stato chiuso lo stadio di Verona o Bergamo? Sarebbe stato così elevato il livello di indignazione?

C’è un’abitudine, tutta italiana, di lamentarsi per gli eccessi di una sanzione solo dopo averla subita. Perché non esaminare il faldone delle Noif (Norme organizzative interne federali) prima dell'inizio della stagione? È legittimo che il Milan ritenga eccessiva la chiusura dello stadio per il coro «Noi non siamo napoletani», ma davanti a quanti cori - a Milano o in altri impianti, quasi sempre contro Napoli e i napoletani - la Procura federale ha spesso chiuso occhi e orecchie, non facendo scattare dure sanzioni.

Il vero problema non è la revisione delle norme, perché è tutto migliorabile, ma è la reazione che hanno avuto i capi delle curve di tutta Italia: hanno espresso «solidarietà» ai milanisti, diventati amici anche quando non lo erano, e gli interisti sono arrivati a lanciare la provocazione di fare cori ed esporre striscioni per far chiudere tutti gli stadi. I gruppi delle curve del San Paolo hanno risposto con ironia, per ora, alle offese. L’urgenza del calcio italiano è evitare che i club finiscano sotto ricatto: un coro, uno striscione, un razzo e ti faccio chiudere lo stadio. Ci sono dirigenti che hanno avuto la forza di denunciare certe manovre, da Lotito a De Laurentiis, che sette anni fa si presentò alla Procura di Napoli dopo l’interruzione di una partita di serie B al San Paolo per lancio di petardi. I signori del pallone abbiano la forza e la maturità di guardare oltre il recinto del loro campo, aperto o chiuso che sia.

Il problema è serio

e va risolto ma con cervello

Lo stadio chiuso non è certo la risposta al

razzismo, anzi ne imita l’antidemocraticità

di MARIO BIANCHINI (IL ROMANISTA 10-10-2013)

Le parole buonsenso e numero quattro, per un singolare destino uniscono la sintassi e l’aritmetica, per produrre una impressionante sintesi di espressioni inflazionate. Esse ormai sembrano diventate il comodo paravento dietro sui si celebra una superba interpretazione dello storico gesto di Ponzio Pilato. Mi riferisco al bailamme sconcertante che in cui si dibattono i vertici dello sport, del calcio, dell’ordine pubblico, in cerca di una soluzione sul problema della chiusura degli stadi quando appaiono razzismo e violenza.

C’è chi difende a spada tratta le attuali norme disciplinari e altri che le osteggiano paventando il rischio che le società diventino ostaggio dei cori razzisti. In attesa che qualcuno trovi la formula magica, ecco apparire la solita parola "buonsenso", taumaturgica quanto provvisoria scappatoia che esige acqua abbondante per lavarsene le mani, accompagnata dall’altra trita constatazione dei "quattro" imbecilli che guastano lo spettacolo. La monotonia di quel numero quattro (non si capisce perché non debba essere due o più) finisce per diventare un alibi che non incanta più. E’ come disinfettare disinvoltamente un graffio, ignorando la piaga che esso nasconde.

Si invocano soluzioni che il calcio dovrebbe riuscire a trovare al suo interno. Ed è proprio qui che si rischia di cadere nello sconcerto totale. Soltanto perché ha tuonato Galliani, molti si sono affrettati a dargli ragione sull’incongruenza della norma riferita alla "discriminazione territoriale", tanto che Beretta con una lettera espressa, ha chiesto alla Federcalcio di rivedere a tamburo battente la disposizione.

Ma non fu proprio la Roma a pagarne le conseguenze, quando i "quattro imbecilli" insultarono Balotelli a S. Siro, provocando la chiusura della curva Sud? Ora ci si accorge che la discriminazione territoriale si scontra con il "consueto" buonsenso, solo perché ne sarebbe rimasto vittima sua maestà il Milan.

Basterebbe questo esempio ad etichettare il dilettantismo, chiamiamolo così per non alimentare polemiche su visioni di serie A e di serie B, che non rafforza certo le speranze delle persone per bene.

In tale ottica ci aspettiamo la prossima mossa: come viene in mente di chiudere i templi del calcio che risiedono a S. Siro o nello Juventus Stadium per colpa di "quattro imbecilli"?

E così, il vero problema di fondo ha tutta l’aria di smarrirsi fra diatribe provinciali, in una malinconica ristrettezza mentale, con la prospettiva di aspettare invano una seria soluzione.

Mentre il problema esiste ed è urgente porre rimedio.

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Il progetto Protocolli e perfino un difensore civico per garantire la trasparenza e prevenire le combine

Guerra alle scommesse:

la B guarda alla Germania

Sei paesi coinvolti Anche Gran Bretagna, Grecia,

Portogallo e Lituania in prima linea contro i corrotti

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 10-10-2013)

«Vogliamo essere i gendarmi nei punti di frontiera. Vogliamo che queste persone, se verrà accertata la loro responsabilità, non giochino più a calcio. A Cremona ci siamo costituiti come persone offese e stiamo cercando di fare lo stesso a Bari. Siamo convinti che per i soggetti coinvolti bisogna incidere anche sugli aspetti patrimoniali». Non si rifugia dietro la cortina di fumo delle perifrasi Andrea Abodi, presidente della Lega Serie B. Abodi parla alla presentazione a Milano del progetto europeo «Staying on side: how to stop match-fixing». Il progetto è promosso da Transparency International, network internazionale contro la corruzione, data di nascita Berlino 1994, presente in oltre 150 nazioni. Coinvolge sei paesi: Italia, Gran Bretagna, Germania, Grecia, Portogallo, Lituania. E’ sostenuto dalla Commissione Europea e in Italia dalla Lega Nazionale Professionisti Serie B.

Sono previste alcune mosse sullo scacchiere anticombine. La più interessante è quella di un protocollo di prevenzione articolato in un insieme di azioni, come illustrato da Paolo Bertaccini Bonoli, dello staff di Transparency. Un «whistle blowing» (alle lettera «soffiare nel fischietto»): la possibilità di denunciare combine con modalità che riducano il rischio di ritorsioni. Un filtro per evitare denunce strumentali. Un codice etico di autoregolamentazione. Fino alla possibile creazione di un difensore civico. E’ una figura che già esiste nella Bundesliga tedesca, esterna alle società di calcio ma collegato alla Deutsch Football Liga, garante dell’anonimato, chiamato a risolvere il dilemma etico nel quale può trovare un giocatore, spesso giovane, di fronte alla proposta illecita ricevuta.

Il progetto di Transparecy si articola in una serie di altri interventi. Indagine conoscitiva in collaborazione con il Master in Sport e intervento psicosociale della Cattolica di Milano sulle ragioni dei comportamenti non virtuosi. Tre seminari di formazione rivolti a giocatori, allenatori, dirigenti a Roma, Palermo e Brescia. Un forum internazionale in aprile a Vilnius, in Lituania.

«Abbiamo proposto - annuncia Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori - un osservatorio sui calciatori sotto tiro».

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Razzismo: Iuliano accusa un arbitro

Minacce di morte: stop di 6 mesi per l’ex Juve,

ora tecnico. «Negro del c... al mio giocatore»

Nicchi: «Se il direttore di gara ha torto pagherà, altrimenti saremo noi a querelare»

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 10-10-2013)

«Ha aggredito e minacciato di morte un arbitro, deve essere squalificato per sei mesi ». «Non è vero, ho soltanto difeso un mio giovane giocatore di colore dopo gli insulti razzisti del direttore di gara». Per raccontare questa storia – brutta da qualsiasi parte la si guardi – bisogna partire da qui, dalle due versioni contrapposte.

L’accusa Il primo protagonista è Mark Iuliano, 40 anni, ex difensore di Bologna, Juventus, Sampdoria e Nazionale, ora allenatore degli Allievi nazionali del Pavia. Nell’ultimo fine settimana la sua squadra ha perso 61 a Novara, ma il problema non è questo. Il problema è che secondo Lorenzo Maggioni, della sezione di Lecco, Iuliano alla fine della partita lo avrebbe insultato e minacciato «di morte ripetutamente, accusandolo di aver proferito frasi razziste nei confronti di un proprio giocatore – come si legge nel comunicato del giudice sportivo, che ha squalificato l’ex calciatore fino al 9 aprile, più 250 euro di ammenda –. Dopo che il direttore di gara usciva dal locale doccia e si recava nella parte dello spogliatoio ove si trovavano i suoi assistenti insieme ai dirigenti delle due società, (Iuliano) reiterava tali minacce e insulti e inoltre lo spingeva, facendolo arretrare di alcuni passi. Situazione che cessava solo a seguito dell’intervento dei dirigenti che lo allontanavano a fatica mentre continuava a minacciare l’arbitro».

La controffensiva Iuliano, che si è messo ad allenare nelle ultime due stagioni dopo aver concluso la carriera professionistica nel modo peggiore (due anni di squalifica per uso di cocaina quando giocava nel Ravenna), contesta la ricostruzione, e il Pavia ha annunciato ricorso: «Un mio giocatore di 16 anni, in lacrime, mi ha detto di essere andato a chiedere all’arbitro spiegazioni per alcune decisioni prese in campo e di essersi sentito rispondere “Vai via, negro del ċazzo”. Ho chiesto conto al direttore di gara, che prima ha negato tutto, poi davanti al ragazzo è rimasto zitto. A quel punto gli ho urlato che doveva vergognarsi e che lo avrei denunciato. I toni sono stati accesi, certo, perché i giocatori sono minorenni e per me sono come dei figli, nessuno si deve permettere di insultarli, soprattutto con frasi razziste. Lo farei altre mille volte. L’aggressione e le minacce di morte sono un’invenzione, anche perché la discussione è avvenuta davanti ai miei collaboratori e non soltanto ai guardalinee. Mi chiedo perché debba pagare io, che mi sono ribellato a questo fatto orribile, e non il direttore di gara che lo ha commesso».

Parla Nicchi Maggioni non è autorizzato a parlare. Parla invece Marcello Nicchi, il presidente dell’Associazione italiana arbitri: «Non sono un inquisitore, ci sono gli organi preposti che devono fare chiarezza. Io ho il dovere di credere alla versione messa a referto dall’arbitro. L’ho fatto contattare e smentisce categoricamente le frasi che gli vengono attribuite. Il giudice sportivo farà degli approfondimenti. Questo, però, è un argomento delicato e non ci si può giocare sopra. Se si dimostrerà che l’arbitro ha sbagliato, state sicuri che perderà la tessera. In caso contrario, saremo noi a querelare. Nel frattempo, che nessuno giochi con la dignità dell’arbitro su una materia seria come il razzismo ». Non resta che aspettare il supplemento di indagine, ma già così è una brutta storia.

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L’inchiesta Dopo i 18 mila euro chiesti alla cestista di 15 anni per essere libera di andare a canestro dove vuole

Appesi a un cartellino

Giovani e soldi per svincolarsi:

«Fenomeno radicato anche nel calcio»

La prassi Al compimento dei 15 anni i calciatori

sono tesserati e il cartellino rimane del club fino ai 25

La possibilità Per i giovani calciatori c’è la possibilità, in

accordo con la società, di stipulare un tesseramento annuale

di FABIO SPATERNA (Corriere della Sera - Bergamo 11-10-2013)

Il caso di Alessia, la quindicenne cestista che non riesce a svincolarsi per i 18 mila euro chiesti dalla società per il cartellino (la novità di ieri è che il Lussana ora è disposta a trattare sul prezzo), è solo un esempio di quanto avviene nello sport giovanile. Il calcio non è da meno.

Qui il tesserino che lega il giocatore alla società è firmato a 15 anni e lo vincola per dieci. I ragazzi in questa situazione, e che giocano ancora nel settore giovanile (categorie Allievi e Juniores), sono circa 2.200. E anche qui per svincolarsi le società chiedono denaro, anche se la legge non lo permette.

A microfoni spenti, più di un dirigente conferma come la pratica di vendere cartellini sia all'ordine del giorno. Lo fa anche Naldo Bonaldi, ex allenatore e grande conoscitore del panorama dilettantistico bergamasco: «Accade molto meno rispetto a qualche anno fa, ma il fenomeno esiste. A monte però ci sono delle regole che credo dovrebbero essere riviste, come la possibilità per i giovani di svincolarsi automaticamente a fine stagione, come accade a chi ha compiuto 25 anni. Di pari passo, per non svuotare completamente le casse dei club, sarebbe necessario da parte delle famiglie il versamento di un contributo annuo. Cosa che del resto accade in tutti gli altri sport». Una proposta che pare stia ventilando in Federazione.

L'abitudine della compravendita quindi esiste, nonostante sia tassativamente vietata dalle norme Figc. Quindici anni fa ci fu il caso di un dirigente di una società dell'Isola Bergamasca, che avanzò ai genitori di un suo tesserato una richiesta economica per il cartellino: il padre del giovane giocatore documentò la conversazione con un registratore nascosto, e il dirigente fu condannato a una lunga squalifica. «Se un calciatore si trova in questa situazione, lo invitiamo a denunciare il tutto — precisa Carlo Valenti, presidente provinciale Figc —; ci sono delle regole scritte e che vanno rispettate e noi siamo in prima linea per contrastare il fenomeno».

Quello che molti non sanno è che da circa 8 anni esiste una norma, nata proprio con l'obiettivo di facilitare il passaggio di un giovane ad un'altra società, che permette al calciatore di svincolarsi automaticamente a fine stagione. Anche prima dei 25 anni. In base all'articolo 108 della normativa Figc, infatti, al momento dell'accordo è possibile sottoscrivere una richiesta, controfirmata dalla società, che a luglio di fatto riconsegna il cartellino nelle mani del calciatore. Una procedura però poco diffusa proprio perché sono in tanti a ignorarne l'esistenza.

L'unico caso in cui la Figc permette a due squadre di scambiarsi denaro alla luce del sole è il cosiddetto «premio di preparazione»: «Alcune società, perlopiù piccole, concordano fino alla Juniores contratti con vincolo annuale: nel caso in cui il giocatore si trasferisca in un'altra squadra per loro scatta il premio di preparazione, una cifra variabile a seconda del salto di categoria del ragazzo, ma che generalmente non supera i mille euro», spiega Giuseppe Nervi, direttore sportivo del Verdello (Eccellenza).

In questo modo viene garantito un supporto economico alle società che hanno preferito sottoporre ai loro ragazzi esclusivamente contratti di durata annuale. Insomma, i modi di evitare la compravendita dei giocatori ci sono, ma senza la collaborazione di tutti il fenomeno è difficilmente arginabile.

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How winners at football can also be losers

by DANIELLE SHERIDAN (THE TIMES 11-10-2013)

It is perhaps good news for England as injuries to players tend to happen mostly when their team is ahead, according to research published yesterday.

The study also found that footballers were most at risk of injury five minutes after a goal had been scored or a yellow or red card had been shown.

The researchers, who worked with Fifa to study injuries during the last three World Cups, found that injuries during a football match were not random but followed a clear pattern. This pattern was dependent on how various events in the course of a match affected players’ emotional and physical states.

The research, published in the British Journal of Sports Medicine, found that injury frequency varied depending on whether a team was winning, losing or drawing.

Jaakko Ryynanen, of the University of Gothenburg, who is the co-author of the study, said: “This may be due in part to the fact that a losing team starts to play more aggressively.”

The study also found a direct link between the number of free kicks and the number of injuries per match and found the number of injuries per World Cup match increased if there was a longer break between matches.

Mr Ryynanen said one theory was that players lost their concentration after disruptive breaks in play, which led to the risk of injury.

“It sounds contradictory that the risk of injury increases with longer recovery times, but our theory is that this may be due to players losing their focus on match games after a break of several days,” he said. “Perhaps teams also play at a higher level of intensity after they have rested for a number of days and have more energy.”

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Rischia la vita in campo

La sua squadra perde a tavolino

E’ successo al 16enne Mattia Rinaldi in Trapani-Latina

categoria Allievi. Il giudice: 3-0 e meno 1 ai pontini

Il padre Alessandro vinse lo scudetto con la Roma: «Tornerà a giocare, ringrazio chi l’ha salvato...»

di FURIO ZARA (CorSport 11-10-2013)

In questa storia c’è un ragazzo di sedici anni, si chiama Mattia, gioca negli Allievi del Latina, domenica scorsa stava disputando una partita di calcio, dopo uno scontro fortuito con un avversario ha rischiato di morire. Mattia è vivo. Quello che leggerete qui vi farà pensare: non era così scontato. In questa storia c’è un medico, si chiama Antonino Tartanella, lavora per il Trapani. Domenica ha soccorso Mattia e gli ha salvato la vita. Mattia era steso a terra, privo di sensi, aveva le convulsioni e si contorceva, la lingua gli ostruiva la respirazione. I compagni attorno a lui piangevano. I dirigenti, tutti, erano disperati. Tartanella oggi dice: « E’ andata bene ». Perché le storie finiscano bene c’è spesso bisogno che le cose siano al loro posto. Domenica a Trapani c’era l’ambulanza. Era al suo posto. A bordocampo. Stava dove doveva stare. Questa è una storia di umanità e di fratellanza tra persone che non si conoscono; ma è anche una storia - spiace dirlo - di ottusità, una storia di giustizia calcistica che stona e che non fa giustizia, che dimostra a cosa si va incontro (all’assurdo) quando ci si consegna prigionieri alle regole, senza se e senza ma.

I FATTI - Campionato nazionale Allievi. Trapani-Latina, sono passati ventotto minuti. Di Mattia sapete: trauma cranico, perde i sensi, ospedale, Tac. Ecluse lesioni. Esclusa emorragia interna. Però, quanta paura. Ricoverato, Mattia uscirà soltanto dopo quattro giorni, mercoledì sera. E in campo, che sta succedendo? Niente. L’allenatore del Latina, Francesco Vallone, è in ospedale, a fianco del ragazzo. I compagni di squadra e gli avversari di Mattia sono sconvolti. Nessuno se la sente di continuare. C’è uno di loro tra la vita e la morte. L’arbitro sospende la partita. Bene. Anzi no. In questi giorni è arrivata la decisione del Giudice Sportivo che si basa, ovviamente, sul referto arbitrale. Leggiamo. « Al 30° minuto del primo tempo dirigenti e calciatori del Latina Calcio abbandonavano il terreno di giuoco rinunciando a proseguire la gara ». Certo: erano corsi tutti in ospedale, a sincerarsi delle condizioni di Mattia. Leggiamo: « Considerato che non sussistono “circostanze di carattere eccezionale” che, ai sensi dell’art. 17, comma 4, giustifichino l’adozione del provvedimento di effettuazione o ripetizione della gara...(il Giudice Sportivo, ndr) infligge alla Società U.S. Latina Calcio la punizione sportiva della perdita della gara con il risultato di 0-3 ed infligge un punto di penalizzazione in classifica ». Certo, come no, non sussitevano le « circostanze di carattere eccezionale », ed è proprio in questo passaggio - se ci pensate - che si nasconde (pure male) la rigidità di chi, per applicare le regole, dimentica che la vita fa spesso eccezione.

SI RICOMINCIA - Questa è una storia particolare, fatta di tanti cerchi che si intersecano. Mattia di cognome fa Rinaldi, è figlio di Alessandro, ex calciatore che si è ritirato dieci anni fa, Bologna, Atalanta e soprattutto Roma, con lo scudetto del 2000-01 come punto più alto della carriera. Racconta Rinaldi padre: « Mattia sta bene, ed è la cosa più importante. Ero a Roma, ho preso il primo aereo, la sera stavo a Trapani, in ospedale. Non potete immaginare il dramma che abbiamo vissuto. Pensate che una cosa simile era successa anche a me, all’età di Mattia, al Mondiale Under 17 a Montecatini, in un’Italia-Argentina. Il mio trauma cranico fu più lieve, Mattia ha rischiato la vita, voglio ringraziare le due società per l’efficienza. Mattia tornerà a giocare, sì, speriamo già dopo Natale, con calma. Magari con un caschetto protettivo come quello di Chivu o di Cech; è bravo, gioca in difesa, come me, chissà che non riesca anche lui a fare questo mestiere ».

E ORA? - Il Latina non presenterà ricorso. Si tiene la sconfitta a tavolino e il punto in meno in classifica. Gianluca Grande, responsabile del settore giovanile della società, è un uomo saggio: « Cosa vuole che ci importi. Mi basta che Mattia stia bene. Dico solo grazie al Trapani, per tutto quello che hanno fatto: l’hanno assistito con umanità, si sono anche preoccupati delle spese. E che serva da lezione: le ambulanze devono esserci sempre ». A Trapani sarebbero anche favorevoli alla ripetizione della partita. Si può? Sì, si potrebbe. La casistica dice che - nella stessa categoria Allievi in casi simili negli ultimi anni - è già successo due volte su tre: Livorno-Siena e Valenziana-Juventus, sospese per un infortunio grave di un ragazzo, sono state rigiocate. Lumezzane-Como invece no.

Mattia in questo momento è da nonno Franco, non ricorda niente di quello che è successo, si sente un leone e vorrebbe tornare subito a giocare. Il 22 ottobre è previsto l’ultimo esame alla testa. Verrà visitato dallo stesso specialista che l’anno scorso visitò il laziale Hernanes, vittima pure lui di un trauma cranico. Se compagni e dirigenti di Mattia avevano abbandonato il terreno di gioco per stargli vicino, tocca dire che un arbitro inflessibile fino alla stoltezza e un Giudice impermeabile alle eccezioni hanno abbandonato il buonsenso. Lo ritroveranno, e senza bisogno di un’ambulanza. In ogni caso consoliamoci: la vita vera gira al largo dai referti arbitrali.

T.s.o.

Modificato da Ghost Dog

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Politici a caccia di Juve

di ALESSANDRO MONDO (LA STAMPA 11-10-2013)

E adesso? Come faranno gli assessori e i consiglieri di ogni livello che prima delle partite marciavano a ranghi compatti verso il Comune, eletto a bagarino istituzionale? Non ci sono più, i biglietti omaggio: ecco la ferale notizia. Fa fede la comunicazione inviata urbi et orbi dall’assessorato allo Sport: «Le comunichiamo che dalla prossima partita Juventus-Genoa il Comune non gestirà più i biglietti per gli amministratori della Provincia di Torino». E per i suoi medesimi. Bisognerà contattare direttamente la società bianconera, con gli impicci del caso: finita l’epoca in cui Juve e Toro giocavano all’Olimpico, di proprietà comunale; addio agli 80 biglietti a partita distribuiti a discrezione. Per il Toro le cose funzioneranno ancora così. Non per la Juventus, che ha lo stadio personalizzato e assegna 50 biglietti a «match»: peccato che la richiesta, anche dalla Regione, superi di tre-quattro volte la disponibilità. C’è chi, come il presidente della Provincia Saitta, ha risposto al Comune precisando «di non aver mai utilizzato le cariche elettive per essere agevolato in qualcosa». E molti altri che in questo momento staranno cercando sull’elenco telefonico il numero della Juve.

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la Repubblica 11-10-2013

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Il retroscena Errori e contraddizioni

Il sonno dei dirigenti

e il risveglio tardivo

di ALBERTO COSTA (CorSera 11-10-2013)

Il polverone che si è alzato per effetto della chiusura di San Siro a opera del giudice sportivo su imbeccata di uno 007 della Procura federale particolarmente zelante ha confermato un po’ di cose che già si sapevano di noi. Ad esempio che anche nel calcio non esistono le mezze misure: per anni nei nostri stadi abbiamo tollerato di tutto, anche le più vergognose espressioni di razzismo, e ora, per contro, si vorrebbero educare le masse a comportamenti da seminaristi attraverso la drastica chiusura dei luoghi di aggregazione, penalizzando in questo modo chi (ed è la stragrande maggioranza dei fruitori dello spettacolo calcistico) c’entra un accidente.

Ciò premesso le reazioni della repubblica del pallone all’indiscriminato giro di vite voluto dalla Federcalcio su input dell’Uefa erano facilmente prevedibili. Il calcio giocato in uno stadio vuoto è infatti destinato a estinguersi e l’istinto di sopravvivenza ha scatenato proteste che definire vibranti ci pare eufemistico.

Stupisce peraltro che tra gli «indignados» figuri pure chi ha contribuito alla messa a punto delle nuove norme repressive. Leggere per credere: alla riunione del Consiglio federale del 4 giugno scorso che ha dato il via libera alla «nuova normativa in materia di razzismo… con un forte e significativo inasprimento delle sanzioni…» erano infatti presenti Maurizio Beretta (presidente della Lega di serie A), Claudio Lotito (Lazio) e Antonino Pulvirenti (Catania) nella loro qualità di consiglieri federali. E, visto che il durissimo «apparato sanzionatorio» è stato approvato all’unanimità dal plenum del governo calcistico, significa che anche i nostri tre eroi hanno votato a favore. Oggi però Beretta tuona che «così è in discussione la regolarità del campionato», Lotito arringa le folle sottolineando che «la norma fa solo danni » e che «non è che Platini è diventato il Vangelo» e Pulvirenti si accoda dicendosi «d’accordo con Galliani». Domanda: che cosa stava facendo il terzetto di rappresentanti della serie A martedì 4 giugno mentre si discuteva di razzismo? Ascoltava «Chissà se stai dormendo», hit di Jovanotti?

STADI CHIUSI

LA MEMORIA CORTA DI PLATINI

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 11-10-2013)

Nel viaggio al centro delle sue radici, Michel Platini, presidente dell’Uefa, ricevendo il Premio Liedholm ha finito per confondere un po’ il quadro della situazione a proposito di “tolleranze zero”, chiusure degli stadi e sanzioni. Rispondendo alle domande che gli sono state poste sul caldo tema Milan-Meazza, ha risposto che non tocca a lui ma ai carabinieri chiudere gli stadi. A dir il vero, non tocca nemmeno ai carabinieri che per farlo devono rispondere a un ordine e alla legge. Un principio che a lui, nipote del Piemonte, ma soprattutto figlio della patria di Montesquieu, la Francia, non dovrebbe sfuggire. Ma quel che più sorprende e confonde è l’interpretazione delle norme volute dallo stesso presidente dell’Uefa, trionfalmente varate sulla base di una “risoluzione sul razzismo” approvata dal congresso dell’Uefa all’unanimità il 23 maggio scorso.

Ha spiegato, il presidente, che lui non chiuderebbe gli stadi, non imporrebbe penalizzazioni, al massimo sprangherebbe i settori da cui provengono gli insulti. Peccato che le norme da lui volute dicano qualcosa di diverso e cioè che al primo atto illegale c’è la chiusura del settore, al secondo invece va messo sotto chiave l’intero impianto con l’aggiunta di una multa di cinquantamila euro. Forse è stato tradito dal clima conviviale, un clima che gli ha fatto smarrire improvvisamente la memoria. Perché se così non fosse, allora vuol dire che la Lazio dall’Uefa ha subito delle “ingiuste” sanzioni visto che pur senza mobilitare i carabinieri, l’Olimpico in Europa League ha chiuso per un paio di volte i suoi cancelli ed è “candidato” a chiuderli per una terza volta. Se il presidente dell’Uefa è contrario alla chiusura totale degli stadi come è potuto accadere che questo “destino” abbia colpito più volte una squadra italiana? Da calciatore, Platini era solito dire che anche Einstein intervistato tutti i giorni alla fine sarebbe apparso banale. In certi casi, un dignitoso silenzio consente figure migliori di una scoppiettante loquacità.

MA SALVIAMO GLI ULTRÀ

PER IL BENE DEL CALCIO

di ANGELO MELLONE (il Giornale 11-10-2013)

Capisco che nel multimilionario calcio contemporaneo, dominato dagli imperativi della tv, l’ambizione sia quella di trasformare gli spalti degli stadi in ricettacoli di educande, succursali del pubblico del tennis o del baseball. Ma a noi, quelli affezionati al calcio di una volta e alla militanza antica da stadio, deve essere almeno lasciata la possibilità di criticare il retroterra poliziesco di questa trasformazione. Ma davvero non potrò portare mio figlio in curva a tifare o andare in trasferta in quella mistica del viaggio che tanti uomini ha cresciuto assieme all’Interrail, in giro per le stazioni e gli stadi di mezza Italia. E a insultarsi, sì, perché gli insulti e i denti digrignati fanno parte della vita... Intendiamo, è ovvio che nessuno intende giustificare la violenza o le imbecillità para-razziste di ragazzotti che magari nella propria squadra hanno beniamini nigeriani o senegalesi. È però indubbio che l’intento primario delle misure draconiane e iper-repressive che anestetizzano gli stadi è quello di cancellare il quasi cinquantennale movimento ultras. Chiunque li frequenta sul serio sa che gli stadi sono un pezzo di mondo e dunque le esplosioni di intolleranza possono avvenire anche lì dentro, e sa anche che oggi andare a una partita, sia in casa sia in trasferta, è molto più sicuro rispetto a trenta o quarant’anni fa. Per intenderci, un episodio orribile come la morte di Vincenzo Paparelli oggi sarebbe impensabile. Ci si picchiava molto di più, negli anni Settanta od Ottanta, ci si insultava in modi molto più feroci tra pisani e livornesi, tra veronesi e reggini, tra romanisti e laziali, eppure nessuno chiedeva la chiusura degli stadi per discriminazione territoriale se, poniamo, gli abitanti di Lauria Nord apostrofano “terroni” quelli di Lauria Sud. Cancellare gli sfottò territoriali è un’operazione di ripulitura linguistico-culturale che cancella secoli di campanile italico, eliminare l’esuberanza giovanile dall’interno degli stadi, ancora, è estinguere una storia adolescenziale di “guerra per bande” che nelle nostre città nasce nel Medioevo. Oggi il calcio è opulento, i giocatori iconcine che rotolano a terra a beneficio delle inquadrature al primo fallo, e il pallone sta perdendo quella cornice popolare, verace, e perfino ribellistica che ha generato gli ultras, uno degli ultimi serbatoi di creatività e aggregazione giovanili ancora non compromesse con i circuiti commerciali. So di essere sfacciata minoranza, in questa difesa delle curve, ma tant’è, prego il dio Eupalla di salvare gli ultras, striscioni, sfottò, bandiere, per il bene del calcio.

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TUTTOSPORT 12-10-2013

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 11-10-2013)

L'arte del compromesso

Meglio decidere di non decidere

Gli stadi chiusi e spettrali non piacciono a nessuno, sono la morte del calcio. Dunque, evviva il Meazza riaperto. Ma se si archivia il sollievo e si guarda un po' a quello che è successo in questi giorni attorno alla vicenda di San Siro, il sorriso rischia di spegnersi presto. Non certo per l'esito della vicenda (fittiziamente ancora sospeso) che invece rallegra, quanto per il farsesco affannarsi del sistema che l'ha prodotto. Una lunga vigilia della sentenza di appello contro le porte chiuse, fatta di proclami, minacce, inviti al buon senso, confusione molto dolosa tra insulti, sfottò e razzismo (l'ormai mitologico "Giulietta è una z*****a" equiparato all'invocazione di nuove Heysel, colera e vulcani eruttanti), fino allo spettacolare gran finale, quando la parola è tornata alla giustizia sportiva.

In Italia, nello sport e a volte non solo, va spesso così: quando c'è da decidere qualcosa di duro, si decide di non decidere. Si rimanda, si impasta, si procastina, rimastica, annacqua, aspettando tempi migliori. La balbettante motivazione del verdetto della Corte federale si può infatti tradurre così: decidiamo di sospendere la decisione presa in attesa di una nuova decisione da prendere dopo la decisione che prenderà la federcalcio sulle nuove norme. Una fantastica esibizione di dialettica del compromesso, che d'altra parte da decenni segna l'orientamento della giustizia calcistica italiana, da Calciopoli in poi. E allora, avanti così, godiamoci San Siro pieno di gente. E magari abbassiamo un po' il volume dei microfoni, non si sa mai che quel disgraziato di Tosel debba poi ritrovarsi sul tavolo un altro rapporto di un altro ispettore di Palazzi, comunque non più sufficiente per condannare chicchessia. Quello di Torino, ci hanno spiegato i giudici, era troppo vicino alla curva dei milanisti, cioè ha sentito troppo. Ma non era meglio trovare un'altra formula per spiegarci che chiudere tutto uno stadio per l'idiozia di cento persone è demenziale?

il Giornale 12-10-2013

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«Ma la chiusura in stand-by

è assolutamente inedita»

L’esperto di diritto Chiacchio: «Ritenuto frettoloso il verdetto del giudice sportivo»

di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 12-10-2013)

L’avvocato Eduardo Chiacchio, tra i principali esperti italiani di diritto sportivo, era ieri impegnato davanti alla Corte di giustizia federale per difendere la Juve Stabia.

Avvocato, come giudica la decisione della Corte?

«Secondo la valutazione dei giudici non c’è corrispondenza tra i referti dei due commissari federali, ovvero solo uno dei due ha riportato la presenza dei cori. Per questo motivo ha chiesto un supplemento di indagini. Fin qui tutto nella normalità: il fatto nuovo è la sospensione della pena, quasi mai un organo di giustizia federale la dispone».

È un precedente condizionato dalla richiesta della Lega Calcio di rivedere la norma sulla discriminazione territoriale?

«Se è necessario approfondire nel merito la questione è giusto che si faccia. Quello che è eccezionale è la sospensione, perché non accade mai che società sanzionate o calciatori squalificati tornino in campo in attesa di altri accertamenti».

A cinque mesi dalle disposizioni Uefa di “tolleranza zero sul razzismo” è giusto secondo lei rinviare la decisione?

«Platini ha ribadito che il concetto di territorialità appartiene solo all’Italia e non è previsto dall’Uefa, che condanna e censura ogni discriminazione. Lo stesso, sia chiaro, fa la Corte di giustizia federale che ha fatto intendere che in presenza di accertati cori discriminatori avrebbe confermato la chiusura del Meazza».

È curioso che la Corte sottolinei che un ispettore federale fosse a due metri dai presunti cori quando in primo grado Tosel non ne ha fatto cenno...

«Questo però incide sulla portata della sanzione, perché se un coro non viene percepito da tutto lo stadio si chiude solo un settore. Di fatto la Corte ha bollato come frettolosa la decisione di primo grado. In ogni caso per me sono assolutamente discriminatori i cori inneggianti al Vesuvio o al colera e in quanto tali vanno puniti anche chiudendo lo stadio».

Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 12-10-2013)

La discriminazione territoriale

e il calcio burlone

È un calcio burlone. Dal ministro dello Sport Graziano Delrio all’ultimo degli ultrà, passando per tutti i notabili dentro e fuori le mura del Belpaese. «Problema limitato a poche centinaia di persone. Pugno duro verso quanti vanno allo stadio pensando di essere in una zona franca. Contestualmente non bisogna criminalizzare qualche coro ironico o di sbeffeggiamento, le due cose sono molto differenti» dice Delrio e lo fa alla Camera, al Senato, a Sky, insomma ovunque. Prendendo una cantonata sulle «poche centinaia» e guardandosi bene dal definire i confini del «coro ironico o di sbeffeggiamento ». Al calcio burlone, d’altra parte, sono molto affezionati quei goliardi degli ultrà secondo i quali tutti i cori esclusi quelli razzisti (ma siete proprio sicuri? e i «buuu» e le banane dove le mettiamo?) hanno diritto di cittadinanza negli stadi. No «all’impossibilità di essere goliardici, acidi e perfino maleducati », dicono nei loro comunicati e mai, anche qui, che ci sia qualcuno capace di mettere una cornice a questa maleducazione. Per cui tra sfottò e cori estremi, da vergognarsi solo a pensarli, non esiste confine.

È un burlone Michel Platini, cui va comunque dato atto di un’azione risoluta contro un fenomeno che sta appestando tutta l’Europa. Va a Cuccaro e nel ricordo di Liedholm, maestro di paradossi, racconta di non sapere cos’è la discriminazione territoriale. Dimenticando che appena una settimana prima proprio la sua Uefa, i cui paletti sono rigidissimi e includono pure le sconfitte a tavolino e le penalizzazioni, ha chiuso lo stadio della recidiva Lazio in Europa League causa due striscioni contro l’Uefa e uno («slavo puzzi di m...») dedicato a quelli del Legia Varsavia. Striscione che, se la lingua italiana non è un’opinione, rientra perfettamente nella casistica della discriminazione territoriale, costola di quella etnica.

Sono burloni quelli della Federazione, nessuno escluso, e dunque inclusi i consiglieri federali della Serie A che oggi strepitano o, è il caso di Lotito, fanno invasione di campo presso la Corte di Giustizia federale che ospita il ricorso del Milan: ad agosto, primi in Europa, il nuovo dettato Uefa lo hanno sottoscritto per intero ma senza porsi uno straccio di riflessione su come funzionano le cose in Italia e sui rischi che si corrono ad essere tanto rigidi. E infatti due mesi dopo, mercoledì o giovedì prossimo, dovranno correggere il tiro. E’ un burlone Beretta, che invia alla Federcalcio una lettera di ineccepibili rilievi, fin quando non arriva a suggerire la taumaturgica soluzione fatta di una «adesione dei club a specifici programmi di formazione e sensibilizzazione anti razzismo», quasi che fin qui anziché a via Rosellini la sede della Lega non sia stata su Marte. E lo è infine pure Malagò, che parte duro e puro e arriva invocando il buonsenso e la mediazione perché le norme sono troppo rigide.

A questo punto, ci piacerebbe che: 1. Qualcuno spiegasse a noi e agli ultrà dove finiscono gli sfottò e dove comincia la discriminazione territoriale. 2. Ci fosse certezza di uniformità di udito da parte dei collaboratori della Procura federale inviati sui campi, lasciando perdere gli arbitri che microfonati come sono hanno altro a cui pensare (e vedere). 3. Le norme sanzionatorie vengano stavolta ripensate cum grano salis. Sempre aspettando fiduciosi la riscrittura dei nuovi codici di giustizia sportiva. 4. Che la sospensiva della Corte di Giustizia federale che ha riaperto le porte di Milan-Udinese non sia raccontata come la vittoria delle curve. 5. Che gli ultrà, anziché ritenere gli stadi roba loro, accettassero il principio che dopotutto sono anche roba nostra.

CONTRAPPUNTI di CLAUDIO NEGRI (Quotidiano Sportivo 12-10-2013)

Chi non salta

don Abbondio... è... è... è ...

Un premio (una targa, una patente, un diploma, un attestato, una decorazione...) non si nega a nessuno, specie se letterario o giornalistico che non sia un Pulitzer o uno Strega. C’è chi, nella mediocrità scintillate delle stagnole, s’è financo fatto una bacheca di riconoscimenti da mostrare distrattamente al vicino o (peggio) al collega. Chi è senza peccato, senza alcun premio a fare polvere in salotto, alzi la prima pietra o, in alternativa, scagli la mano. Ora, l’Ambrogino d’Oro non è un premio qualsiasi e le candidature alla dorata e tonda certificazione di milanesità operosa sono di solito soppesate al bilancino. La proposta (stordente) della Lega Nord di insignire dell’Ambrogino le Curve calcistiche meneghine «perché rappresentano Milano in tutti gli stadi d’Italia ed Europa» ci pare l’ovvio ribaltone del concetto di benemerenza: d’accordo, c’è curva e curva anche nella stessa curva, ma la gente comune ha presente soprattutto lo stereotipo del curvaiolo incagliato e, come per il diavolo dell’iconografia medievale, si spaura a raffigurarlo coi peggiori attributi di male astuzie, mali consigli e ancor più male risoluzioni. Un’accolita moderna di bravi (nel senso di cattivi) manzoniani: «Chi non salta don Abbondio è... è...». In alcuni casi ostinati, ovvero disperati, non si è lontani dal vero ravvisando il diavolo con Daspo nell’umanità a volte disumanata delle domeniche da spalto.

Così bisognerebbe domandare al milanese altrettanto medio - ammesso e non concesso che ve ne siano ancora - o allo stesso don Abbondio se possa sentirsi rappresentato da un siffatto candidato all’Ambrogino.

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Macché progresso

un passo indietro

legittimare l’offesa

La paura Con gli stadi chiusi si voleva spaventare gli incivili ma poi ci siamo spaventati noi

di MARIO SCONCERTI (CorSera 13-10-2013)

Va benissimo che il Milan giochi con l’Udinese a stadio aperto. In tanti anni di argomenti simili sono sempre stato perché gli abbonamenti e i biglietti acquistati dalla gente non potessero essere cancellati dalle sciocchezze di poche decine di persone. Ma temo non ci si sia resi conto che in tre giorni di grande comunicazione abbiamo cancellato un piccolo caposaldo del diritto sportivo di frontiera. Una quindicina di anni fa furono messe queste ed altre regole di civiltà negli stadi sotto la stessa spinta dei media che invocavano ordine e normalità. Si cominciò dalle offese agli arbitri, assolutamente non ammesse, tanto che Collina a Genova, in una partita della Samp, sospese la gara per far togliere uno striscione contro Casarin, allora capo degli arbitri. Per anni abbiamo preteso cioè di eliminare le offese gravi dagli stadi. E la discriminazione territoriale è appunto questo, un’offesa. Ora siamo quasi orgogliosi di toglierla perché un grande club ci è cascato. Non è successo niente di più grave, siamo rimasti alle offese, ma ci siamo detti che le offese non sono arginabili. Quindi non punibili. È bene capire che stiamo compiendo molti passi indietro, non affermiamo il progresso. La giustizia che aveva portato per gradi a punizioni estreme era stata voluta con orgoglio da tutta l’opinione pubblica, la stessa che ora la definisce insopportabile. Quindi libertà di offese concesse in sole tre giorni, meno del tempo che ci volle per giudicare colpevole la Juventus nel 2006. Ma se la valutazione del peccato può essere quasi accettabile, offendersi in uno stadio rientra a quanto pare nei diritti dello spettacolo, è inaccettabile la motivazione della Federcalcio. Per fermare la giustizia di tutti i giorni chiede un approfondimento. Ma di cosa se non di quello che hanno già denunciato gli stessi commissari federali, i quali hanno scritto di tre trasgressioni, tre ondate di offese di milanisti a napoletani prima della partita con la Juve, al 6’ e al 43’ del secondo tempo. Ora, se un commissario ha sentito tre volte, il peccato si deve per forza presumere commesso. Tutto sta a come giudicarlo. Per la prima volta la Federcalcio cambia il metro di giudizio senza però sapere come. Per questo chiede approfondimenti. Ma a chi, se i testimoni sono già loro inviati, loro dipendenti. È bastata una dura battaglia del Milan lunga tre giorni per eliminare una regola voluta da tutti quindici anni fa, quando non c’era ancora razzismo e quando ci si offendeva lo si faceva ad uso interno, città contro città. Sapevamo tutto anche allora: il pericolo di mettere il calcio in mano ai coristi indisciplinati (e infatti personalmente mi dissociai), oltre che di tentare una battaglia cavalleresca contro avversari barbari. Ma era sempre stata questa la regola. Cos’è cambiato adesso oltre il fatto che a pagarne il prezzo più alto è stato il Milan? Eravamo tutti orgogliosi di punire con la fine dello spettacolo una partita piena di volgarità. Oggi si dice che è insostenibile. Può darsi sia giusto il traguardo ma è senz’altro sbagliata la corsa. A cosa rinunciamo rinunciando alla regola? A punire il razzismo interno, quello tra nord e sud. Non possiamo anzi che renderlo legittimo. Che conquista è? Volevamo spaventare gli incivili e ci siamo spaventati noi. Davvero è una vittoria? E sarebbe stata affrontata la diversità se non fosse stato il Milan al centro della guerra? Che dibattito è? E che fine faranno quelli che dovranno ammettere di aver sbagliato legge, resteranno ai loro posti? Non essendo stato deciso niente, ma solo rinviato per approfondimenti che già c’erano, cosa succederà nelle prossime domeniche, accetteremo gli insulti, la daremo vinta agli incivili? Non ho una soluzione giusta, ma nemmeno questa lo è. C’era una regola e c’erano commissari inviati per farla rispettare. Applicandola sono stati giudicati scandalosi i giudici. Arrendersi è una possibilità della battaglia, ma questa è molto di più. È una resa bugiarda perché non c’è da approfondire niente. La Federcalcio aveva ragione, ma ne aveva troppa. E non ha retto le conseguenze. Possibile le basti per rimanere in sella e cambiare come se nulla fosse una regola che è stata per anni buona per tutte le altre squadre?

Stadi e insulti

Una brutta storia

di ANDREA SATTA (l'Unità 13-10-2013)

UNA BRUTTA STORIA, BUONA PER LEGGERE QUESTO PAESE. VOGLIONO CHIUDERE GLI STADI. CORI RAZZISTI E CORI INGIURIOSI. Ancora una volta è il calcio il migliore dei decoder. Il calcio passione popolare, infanzia permanente, oppio dei popoli, religione dell’ultimo secolo. Il calcio identità.

Ma lo sappiamo, il calcio è basato sul denaro e se non sono i soldi dei tifosi che vanno allo stadio a tenere in piedi il mondo-pallone, è la loro presenza sugli spalti a rendere bella la partita in tv e, soprattutto i loro abbonamenti a consentire buoni ingaggi. Appena si esce dal fascio di luce delle prime della classe, però tutto cambia e solo qualche riccone arabo, acquistando a peso d’oro la rivelazione dell’anno rende possibile la sopravvivenza dei club di seconda schiera.

In questo clima da poveracci, i tifosi dibattono di economia e bilancio quanto di tattica e tecnica sul campo e il calciatore è sempre più una proiezione personale e il riscatto dalla frustrazione. Lui, il miliardario, è la mano di tutti, gli occhi, la rabbia, l’ amore, il cervello, il pisello e in fondo anche il piede di ognuno. Tutto è nato dal giornalaio e dalle figurine prima che fossero adesive, dalla rovesciata di Parola, tutta colpa della Panini di Modena e della sua tenda da indiano e di quei mille punti maledetti, mai raggiunti … «spazio per la cellina» e «altri titolari».

Colla e saliva, si sono tramutate in rabbia e insoddisfazione generalizzata. I tifosi rivendicano il diritto di offendere tutti quelli che non sono loro. In fondo si capisce facile che possono ricattare chiunque andando a cantare maledizioni e facendo squalificare chi vogliono.Ela soluzione non può essere chiudere gli stadi. Però, io, col mio Geo, in questi anni, qualche partita la sono andata a vedere e spesso mi sono vergognato. Perché Geo dovrebbe assistere a quello che nella vita cerco di evitargli (tafferugli, ingiurie, offese, volgarità varie)?

Come posso spiegare ad un bambino di otto anni che «Milano ɱerda» o «napoletani terroni» per restare alle ingiurie più lievi, in fondo, non è grave? Come posso dirgli che tutto quello che gli insegno a casa, dentro lo stadio, non vale? A me non piace essere perquisito prima di entrare in uno stadio, neppure voglio ricevere un timbretto sulla mano per prendere una boccata d’aria fuori da un locale, né mi fa bene vedere i poliziotti ai concerti.

Io una idea ce l’avrei: ri-popolare lo stadio, farlo tornare popolare, ridurre il costo dei biglietti con i bambini gratis e le donne a 5 euro e proporre la partita come un luogo per tutti e non solo per ricchi borghesi o politici a favore di telecamera o in curva accaniti irriducibili. Così ripopolato lo stadio perderebbe la sua extraterritorialità e vivrebbe i diritti e i doveri di ogni convivenza civile. O cosa ci resta del nostro amore?

DISCRIMINAZIONE TERRITORIALE?

GUAI A PENSARE DI ABOLIRLA ADESSO

di MAURO VALERI (GaSport 13-10-2013)

Sul tema del razzismo e della discriminazione territoriale, vorrei proporre alcune considerazioni. Anche se l’Osservatorio Razzismo e antirazzismo nel calcio, che dirigo, dal 2005 ha puntato l’attenzione soprattutto sul tema della discriminazione razziale ed etnica (perché era quella l’emergenza principale), non ha mai sottovalutato anche il tema della discriminazione territoriale (da quest’anno sottoposta ad uno specifico monitoraggio). Ciò che colpisce di più, nel dibattito attuale, è la facilità con cui ci si dimentica dei problemi del passato. I primi episodi di discriminazione territoriale, infatti, risalgono almeno al 1986, quando i tifosi del Verona esposero striscioni offensivi nei confronti dei napoletani. Non è vero che vennero ignorati, ma sollevarono indignazione e preoccupazione, tanto da portare ad inserire la discriminazione territoriale tra i comportamenti da condannare.

Per restare soltanto alla stagione 2012-13 è forse utile ricordare alcune società sanzionate: l’Atalanta ha pagato 18.000 euro per discriminazione territoriale in 3 partite (contro Lazio, Palermo e Napoli), il Milan 10.000 euro contro il Napoli, anche per la “goliardata” messa in atto dai numerosi suoi sostenitori, che, nel corso dell’intera gara, avevano indossato delle mascherine igieniche con l’intento spregiativo nei confronti della tifoseria partenopea; l’Inter 10.000 euro sempre contro il Napoli, la Juventus 10.000 euro in una partita contro l’Udinesemaper cori antinapoletani, e altri 20.000 contro la Lazio in una partita di Coppa Italia. A queste possiamo anche aggiungere il Padova, 6.000 euro contro lo Juve Stabia e il Mantova, 3.000 euro contro il Forlì. E’ una lista parziale, ma indicativa di quanto il tema sia attuale. Il problema oggi si pone per via dell’applicazione delle sanzioni più severe richieste dall’Uefa che, pur se non riguardavano esplicitamente la discriminazione territoriale, sono state recepite modificando l’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva che, da sempre, fa riferimento ai vari tipi di discriminazione. Forse la Figc avrebbe dovuto spiegare meglio del perché anche la discriminazione territoriale deve essere punita severamente (e ne avrebbe tutti i presupposti). Di certo, l’idea di abrogarla è una sciocchezza, sia perché in altre occasioni è stata punita facendola rientrare nella discriminazione d’origine etnica (questa sì imposta dalla Uefa), sia perché andrebbe a ledere quella dignità umana sempre sanzionata dalla Uefa. Da questa vicenda se ne esce solo alzando il livello di cultura antirazzista, che dovrebbe avvenire anche con il supporto di chi da anni si occupa delle discriminazioni nel calcio. L’Uefa ha sempre richiesto che ogni società si dotasse di un addetto proprio su queste tematiche, ma ad oggi non mi risulta che ciò sia avvenuto. La severità, in questi ambiti, ha senso se accompagnata da maggiore chiarezza.

La distinzione tra sfottò e discriminazione non è impossibile: è sicuramente discriminazione quando si rimanda alla deumanizzazione oppure quando si fa riferimento denigratorio a tragedie che hanno causato morti ad una comunità territoriale (e qui l’elenco potrebbe essere piuttosto lungo). Per chiudere, vorrei ricordare un curioso episodio avvenuto nell’ottobre 2007. Un tifoso napoletano, presente alla partita Inter-Napoli, alla vista degli striscioni offensivi dei tifosi nerazzurri contro i napoletani, decide di lasciare lo stadio, ma anche di rivolgersi ad un giudice di pace perché si era sentito offeso personalmente. Nove mesi dopo, il giudice di pace ha riconosciuto che il tifoso aveva subito un «danno esistenziale», e che, per questo, l’Inter avrebbe dovuto pagargli un risarcimento di 1.500 euro. Caso estremo, ovviamente, ma se 50.000 tifosi dovessero rivolgersi al giudice di pace e gli fosse riconosciuto il «danno esistenziale», avremmo cifre particolarmente significative, pari a quelle di un settore chiuso. Insomma un «ricatto» dei tifosi «sani» a obbligare le società ad un maggiore impegno.

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Ciao a tutti....

Spero di rincontrarvi un giorno. .ciao

Crazeology candidato alla presidenza della nuova Inter

http://ju29ro.com/contro-informazione/5218-crazeology-candidato-alla-presidenza-della-nuova-inter.html

I commenti potete scriverli anche sul blog, se vi interessa. Oltre che qui, ovviamente.

Craze for President!

http://blog.ju29ro.com/2013/10/craze-for-president.html

.uhps.uhps.uhps

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Ciao a tutti....

Spero di rincontrarvi un giorno. .ciao

Crazeology candidato alla presidenza della nuova Inter

http://ju29ro.com/contro-informazione/5218-crazeology-candidato-alla-presidenza-della-nuova-inter.html

I commenti potete scriverli anche sul blog, se vi interessa. Oltre che qui, ovviamente.

Craze for President!

http://blog.ju29ro.com/2013/10/craze-for-president.html

.uhps.uhps.uhps

"...tra uno spione e un cellulero..."

(...sì, lo so, dovrebbe essere "e un cellulare", ma poi non faceva rima...e comunque, da quando c'è Telefonica il "cellulare" è diventato "cellulero"......olé..)

...ah, a proposito, se dopo essere stato eletto, per caso, ti servisse qualcuno a capo della honest-security... :siffle:

Modificato da alf24

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