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bidescu

Michael Laudrup

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laudrup,che talento,ricordo quel gol al argentino juniors a tokio,un idolo giovanile forse arriv? troppo giovane in italia poi esplose nel bar

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I was on verge of dream Liverpool transfer, people thought I was crazy when  I turned it down | talkSPORT
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Laudrup

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aveva classe da vendere,ma da noi l'ha fatta vedere solo a tratti.

comunque ha dato il suo contributo

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Il 15/6/2010 alle 07:31 , bidescu ha scritto:

 

Modificato da Socrates

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226016931_juve1982.png.3b34b02c19f4d7f90707e096dcb44984.png  MICHAEL LAUDRUP

 

Michael Laudrup, JUVENTUS, 1985. | Michael laudrup, Best football players,  Good soccer players

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Michael_Laudrup

 

 

Nazione: Danimarca Danimarca
Luogo di nascita: Frederiksberg
Data di nascita: 15.06.1964

Ruolo: Attaccante
Altezza: 183 cm
Peso: 71 kg

Nazionale Danese
Soprannome: Miki - Michelino - Il Violino - Il Principe di Danimarca

 

 

Alla Juventus dal 1985 al 1989

Esordio: 21.08.1985 - Coppa Italia - Perugia-Juventus 0-0

Ultima partita: 25.06.1989 - Serie A - Juventus-Verona 3-0

 

151 presenze - 36 reti

 

1 scudetto

1 coppa intercontinentale

 

 

 

Michael Laudrup (Frederiksberg, 15 giugno 1964) è un allenatore di calcio ed ex calciatore danese, di ruolo centrocampista o attaccante.

Considerato uno dei migliori giocatori danesi di tutti i tempi nonché uno dei più forti e completi di sempre, Laudrup, figlio d'arte, emerse nelle squadre locali di Brøndby e KB, per poi inanellare nel corso della carriera numerose affermazioni con club blasonati come Ajax, Barcellona, Juventus e Real Madrid, vincendo sette campionati nazionali — uno in Italia, cinque in Spagna e uno nei Paesi Bassi —, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa UEFA, due Coppe di Danimarca, due Coppe del Re, una KNVB beker e una Supercoppa di Spagna.

Con la nazionale danese, con cui ha trionfato nella FIFA Confederations Cup 1995, conta 104 gare e 37 reti, che lo rendono, rispettivamente, quinto e sesto assoluto nella classifica all time. Tra nazionale e squadre di club realizzò da professionista 172 gol in 608 partite ufficiali.

A livello individuale è stato insignito di numerosi riconoscimenti in campo internazionale, che resero il giocatore più decorato nella storia del suo Paese. Venne premiato per due volte consecutive calciatore danese dell'anno e miglior giocatore della Liga, oltre a essere introdotto nella hall of fame del calcio danese. Nel 1992 gli fu assegnato il Premio Don Balón, titolo destinato al miglior giocatore militante nel massimo campionato spagnolo conferito dalla rivista omonima; nel 1999 è stato nominato miglior giocatore straniero della Liga dei precedenti 25 anni.

Nel 2000 venne insignito all'Ordine del Dannebrog, un titolo cavalleresco danese conferitogli dalla regina Margherita II. Nel 2005, per celebrare il proprio 50º anniversario, la UEFA invitò ogni Federazione nazionale a essa affiliata di indicare il proprio miglior giocatore dell'ultimo mezzo secolo: la scelta della Federazione danese ricadde su Michael Laudrup, designato quindi Golden Player dalla UEFA. L'anno seguente venne quindi nominato ufficialmente miglior calciatore danese di sempre.

Nel 2010 la Federazione Internazionale di Storia e Statistica del Calcio lo ha collocato al 55º posto nella sua lista dei migliori calciatori del XX secolo, mentre nel 2014 il quotidiano Marca lo inserì nell'undici ideale nella storia del Real Madrid. Occupa la 59ª posizione nella lista dei calciatori più forti del XX secolo stilata da World Soccer.

 

Michael Laudrup
Michael Laudrup, Juventus.jpg
Michael Laudrup alla Juventus nella stagione 1985-1986
     
Nazionalità Danimarca Danimarca
Altezza 183 cm
Peso 71 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista, attaccante)
Termine carriera 1998 - giocatore
Carriera
Giovanili
1973-1976   Brøndby
1977-1980   KB
Squadre di club
1981   KB 14 (3)
1982-1983   Brøndby 38 (24)
1983   Juventus 0 (0)
1983-1985    Lazio 60 (9)
1985-1989   Juventus 151 (36)
1989-1994   Barcellona 167 (40)
1994-1996   Real Madrid 62 (12)
1996-1997   Vissel Kōbe 15 (6)
1997-1998   Ajax 21 (11)
Nazionale
1980 Danimarca Danimarca U-17 4 (2)
1980-1981 Danimarca Danimarca U-19 19 (12)
1982 Danimarca Danimarca U-21 2 (0)
1982-1998 Danimarca Danimarca 104 (37)
Carriera da allenatore
2000-2002 Danimarca Danimarca Vice
2002-2005   Brøndby  
2007-2008   Getafe  
2008-2009   Spartak Mosca  
2010-2011   Maiorca  
2012-2014   Swansea City  
2014-2015   Al-Duhail  
2016-2018   Al-Rayyan  
Palmarès
 
Transparent.png Confederations Cup
Oro Arabia Saudita 1995

 

Biografia

Nato a Frederiksberg, una cittadina completamente inglobata nell'area urbana di Copenaghen, Michael Laudrup fa parte di una famiglia di calciatori professionisti: suo padre Finn giocò in nazionale maggiore dal 1967 al 1979; due suoi figli, Mads e Andreas, hanno giocato nelle varie nazionali giovanili e nella massima serie danese, e suo fratello Brian, infine, ha avuto anch'egli una carriera professionistica (divenne campione d'Europa con la Danimarca nel 1992).

Caratteristiche tecniche

Giocatore

220px-Serie_A_1985-86_-_Napoli_vs_Juvent
 
Laudrup nel 1985 tra l'argentino Diego Armando Maradona (a sinistra) e il francese Michel Platini (a destra): tre dei maggiori fuoriclasse del calcio internazionale del decennio.

 

Michael Laudrup era un giocatore di talento e fantasia, molto veloce ed elegante, conosciuto per i suoi morbidi tocchi di palla, moderno nella concezione del gioco. Indicato come l'archetipo del playmaker di centrocampo, di cui è ritenuto uno degli interpreti più forti e versatili di sempre, il suo raggio d'azione era sconfinato. Operava praticamente ovunque: sebbene i suoi fondamentali fossero essenzialmente di natura offensiva, era facilmente schierabile come regista di centrocampo, ala destra o sinistra— grazie alle sue ottime progressioni su entrambe le fasce, sostenute da scatti fulminei —, trequartista o seconda punta, ruolo quest'ultimo ricoperto con successo a inizio carriera nel Brøndby.

Fantasista dotato di creatività, intelligenza, visione di gioco, abilità nei passaggi, negli assist, e di rara tecnica individuale, era una pedina impellente in fase di impostazione dove offriva il meglio di sé alla squadra e recuperava palloni, spesso con duri tackle o negli uno-contro-uno, dimostrando grande grinta, qualità, spirito di sacrificio e tenacia. Seppur sorretto da un fisico non imponente, era un centrocampista combattivo, autore di giocate di pregevole fattura nonché di tempestive incursioni in area di rigore. Altre sue peculiarità erano il dribbling nello stretto, la facilità nel saltare l'uomo, un tiro potente con ambo i piedi e la correttezza agonistica, tanto da non aver mai ricevuto un cartellino rosso in tutta la sua carriera; questo lo rese un giocatore molto apprezzato da arbitri e allenatori. Inoltre, Laudrup è noto per essere stato uno dei primi esecutori della croqueta, un particolare tipo di dribbling consistente nello spostare il pallone nel modo più veloce possibile da un piede all'altro, effettuato sia da fermo sia in corsa.

Paragonato agli esordi al connazionale Preben Elkjær Larsen, difettava però in risolutezza a inizio carriera, tanto che Michel Platini lo definì «il miglior giocatore del mondo, in allenamento»; dopo il passaggio al Barcellona, ha spesso ricevuto lodi unanimi dalla stampa specializzata e da calciatori di statura mondiale. Per via della sua levatura rispetto ad altri giocatori suoi connazionali (incluso il fratello Brian), le sue movenze palla al piede e il comportamento in campo, fu soprannominato Il Principe di Danimarca.

Allenatore

220px-Michael_Laudrup_2015d.jpg
 
Laudrup dirige una sessione di allenamento del Lekhwiya nel 2015

 

Tecnico dal grande carisma e forte personalità, come assistente del commissario tecnico Morten Olsen la Danimarca si schierava abitualmente con il modulo 4-2-3-1, con le ali che partecipavano attivamente alla manovra offensiva della squadra. L'esperienza in nazionale lo spinse a replicare tale schema di gioco durante la sua successiva parentesi al Brøndby, coltivando una tattica basata su passaggi corti e schieramento d'attacco sulla trequarti avversaria. Continuò ad attuare moduli come il 4-3-3 o il 4-2-4 sino alla finale della Coppa del Re con il Getafe (persa contro il Siviglia), mentre allo Spartak Mosca dovette abbandonare tali moduli per via del ricorrente stile di gioco in Russia.

Nel 2012, con l'approdo sulla panchina dello Swansea City, Laudrup si smarcò dai precedenti dettami di gioco del club gallese sotto Brendan Rodgers — il quale era solito schierare la squadra con un 4-3-3 in cui i centrali di difesa spingevano quando in possesso palla, mentre i centrocampisti si trovavano a stretto contatto con le punte. Con l'arrivo del danese, l'organico dei Jacks si adattò a un innovativo 4-3-2-1 che puntava essenzialmente su un gioco di velocità e molto tecnico; nei suoi anni a Swansea Laudrup strinse contratti con diversi giocatori provenienti dal campionato spagnolo, amalgamandoli con il resto della squadra e ottenendo discreti risultati dal punto di vista tattico e realizzativo.

Carriera

Giocatore

Club

Inizi in patria: Brøndby e KB

Iniziò a giocare molto presto, nelle giovanili del Vanløse, il club nel quale militava suo padre. Quando Finn Laudrup divenne giocatore-allenatore del Brøndby nel 1973, si portò dietro i suoi due figli Michael e Brian. Michael seguì poi suo padre nel KB di Copenaghen, squadra della prima divisione danese, nel 1976.

Nel 1981, a 17 anni, esordì in prima squadra con il KB e nella stagione successiva tornò al Brøndby, squadra con la quale esordì nella massima serie danese, in un match contro il B 1909 di Odense, battuto 7-1 con una doppietta del debuttante Laudrup.

Italia: Lazio e Juventus
180px-Michael_Laudrup_-_SS_Lazio_1984-85
 
Laudrup alla Lazio nella stagione 1984-1985

 

La stagione 1982 gli valse il titolo di calciatore danese dell'anno, fino ad attirare le attenzioni degli italiani della Juventus che prima opzionarono e poi acquistarono il giocatore, nell'estate 1983, per la cifra più alta mai sborsata fino ad allora per un giocatore del paese scandinavo: un milione di dollari statunitensi dell'epoca.

Tuttavia per questioni regolamentari della Serie A del tempo, avendo già in organico gli stranieri Platini e Boniek, la società piemontese girò Laudrup in prestito biennale alla Lazio, anche per farlo ambientare ai ritmi del campionato italiano. La stagione 1983-1984 si concluse con la salvezza della squadra romana all'ultima giornata, mentre il campionato successivo, se pur non negativo dal punto di vista personale per il danese, vide la retrocessione in Serie B dei biancocelesti. Varie divergenze con gli allenatori avuti a Roma, gli insuccessi raggiunti in campionato e il difficile inserimento nell'ambiente della Capitale, di fatto lo spinsero dopo due anni al ritorno in pianta stabile alla Juventus, nel frattempo divenuta in grado di tesserarlo stante il trasferimento di Boniek alla Roma.

Attirandosi il nomignolo di Michelino, a Torino divenne subito titolare fisso, emergendo negli anni seguenti come giocatore-emblema del club bianconero nella seconda metà degli anni 1980, seppur l'unica stagione di successo sotto la Mole rimase quella d'esordio, 1985-1986, in cui conquistò il campionato italiano e la Coppa Intercontinentale: proprio in quest'ultima competizione, vinta 4-2 ai tiri di rigore nella sfida di Tokyo contro l'Argentinos Juniors, a poco meno di 10' dalla fine e coi torinesi in svantaggio, Laudrup indovinò da posizione molto defilata il tiro che diede ai bianconeri il 2-2, e permise loro di arrivare al vittorioso epilogo dal dischetto al termine del quale divennero per la prima volta campioni del mondo.

Sempre nel 1985 Laudrup fu insignito per la seconda volta del titolo di calciatore danese dell'anno. Negli anni successivi accusò una serie di infortuni che non gli permisero di rendere al meglio e con costanza, sicché nel 1989, complice anche una Juventus alle prese con un difficile rinnovamento dopo la fine dell'era di Michel Platini, il giocatore andò in scadenza di contratto lasciando l'Italia per gli spagnoli del Barcellona.

Spagna: Barcellona e Real Madrid
220px-Coppa_Coppe_1990-91_-_Juventus_vs_
 
Laudrup al Barcellona nel 1991, marcato dallo juventino Júlio César nella semifinale di ritorno della Coppa delle Coppe.

 

Sotto la guida di Johan Cruijff, in Catalogna Laudrup entrò a far parte di un celebre «Dream Team» composto negli anni seguenti da stelle del calcio internazionale come il bulgaro Hristo Stoičkov e il brasiliano Romário, con il quale vinse 4 edizioni della Primera División (1990-1991, 1991-1992, 1992-1993, 1993-1994), 1 Coppa del Re, 2 Supercoppe di Spagna (1991 e 1992), 1 Supercoppa UEFA e, nel 1992, l'ultima edizione della Coppa dei Campioni, superando la Sampdoria nella finale di Wembley.

Durante gli anni a Barcellona, in due occasioni (1991 e 1993) fu eletto miglior calciatore straniero del campionato spagnolo. Tuttavia, quando nel 1993 il club acquistò Romário iniziando così il turn over tra stranieri, il più sacrificato fu proprio Laudrup; cosa questa confermata dall'esclusione del danese dalla finale della UEFA Champions League 1993-1994, che i blaugrana persero ad Atene contro il Milan.

 

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Laudrup in azione al Real Madrid nel 1996, inseguito dallo juventino Del Piero nel retour match dei quarti di Champions League.

 

Nell'estate 1994 si trasferì quindi abbastanza clamorosamente al Real Madrid, eterni rivali dei catalani, con cui nella stagione seguente vinse subito il campionato, divenendo nella circostanza il primo calciatore nella storia a conquistare cinque titoli spagnoli di fila. Nell'annata 1995-1996, l'ultima a Madrid per il danese, i blancos non furono capaci di difendere il titolo nazionale, mentre in Champions League furono eliminati ai quarti di finale proprio da una ex squadra di Laudrup, la Juventus poi vincitrice dell'edizione.

Ultimi anni: Vissel Kobe e Ajax

Dopo una stagione passata in Giappone tra le file del Vissel Kōbe, dove realizzò 6 gol in 15 incontri, nel 1997 tornò in Europa per un'ultima stagione nell'Ajax, con cui vinse nel 1998 il campionato olandese, prima di annunciare il suo ritiro dal calcio al termine dell'imminente campionato del mondo 1998 in Francia.

Nazionale

Nel 1980 iniziò a giocare nelle varie rappresentative giovanili nazionali, con le quali totalizzò complessivamente 25 presenze e 14 gol.

Esordì in nazionale maggiore il 15 giugno 1982, giorno del suo diciottesimo compleanno, nella partita giocata a Oslo contro la Norvegia e terminata 2-1 per i danesi, realizzando una rete all'esordio. La carriera di Laudrup con la maglia della Danimarca durò sedici anni, dal 1982 al 1998.

Giocò i campionati d'Europa di Francia 1984, Germania Ovest 1988 e Inghilterra 1996; non partecipò, invece, causa divergenze con il commissario tecnico danese Richard Møller Nielsen, all'edizione di Svezia 1992 che la Danimarca vinse a sorpresa, da ripescata, e che vide suo fratello Brian laurearsi campione europeo. Prese altresì parte a due edizioni del campionato del mondo, quelle di Messico 1986 e Francia 1998, e alla vittoriosa Coppa re Fahd 1995 in Arabia Saudita (poi riconosciuta retroattivamente quale edizione della FIFA Confederations Cup).

La sua ultima partita ufficiale, quando era ormai solo un giocatore a disposizione della nazionale non avendo più un contratto con squadre di club, fu il 3 luglio 1998 a Nantes, nel quarto di finale del mondiale francese, che vide la Danimarca sconfitta 2-3 dal Brasile; dieci giorni prima Laudrup aveva segnato il suo ultimo gol ufficiale contro la Francia, nel primo turno dell'edizione.

Allenatore

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Laudrup in veste di tecnico del Brøndby nel 2005

 

Dal 1º luglio 2000 iniziò la sua carriera di allenatore, come vice del commissario tecnico danese Morten Olsen. Rimase sulla panchina della nazionale fino al termine del girone di qualificazione per il campionato del mondo 2002, quando venne ingaggiato per guidare il Brøndby. Con i gialloblù vinse una Coppa di Danimarca nel 2003, e nel 2005 riuscì a conseguire il double nazionale campionato-coppa. Lasciò il Brøndby alla fine della stagione 2005-2006, chiusa con un secondo posto in campionato.

Il 9 luglio 2007 divenne allenatore del Getafe, squadra spagnola della Primera División, con cui ha concluso il campionato ottenendo la salvezza. Il 16 maggio 2008 lascia la panchina, e dal successivo 9 settembre passò ad allenare lo Spartak Mosca, che ha condotto all'ottavo posto nel campionato russo. Iniziata la nuova stagione a marzo 2009, venne esonerato il successivo 16 aprile dopo aver raccolto quattro punti in altrettante partite.

Il 2 luglio 2010 torna in Spagna, accordandosi con il Maiorca. Iniziò l'avventura alle Isole Baleari affrontando alla sua prima partita il Real Madrid di José Mourinho, anche lui alla sua prima partita con i blancos, in un match che si concluse in parità sullo 0-0. La stagione vide i maiorchini dopo qualche risultato negativo nei mesi finali, salvarsi all'ultima giornata. Il 28 settembre 2011 si dimise a causa di contrasti con il vicepresidente del club.

 

220px-Michael_Laudrup_2016.jpg
 
Laudrup in conferenza stampa come tecnico dell'Al-Rayyan nel 2016

 

Il 15 giugno 2012 venne ingaggiato dallo Swansea City. Il 24 febbraio 2013 guidò i gallesi alla vittoria della loro prima Coppa di Lega, grazie al 5-0 inflitto nella finale del Wembley Stadium al Bradford City, ottenendo così la qualificazione all'Europa League; in campionato la squadra si piazzò al nono posto, mentre nella Coppa d'Inghilterra venne eliminata al terzo turno dall'Arsenal alla ripetizione. La stagione successiva lo Swansea City venne subito estromesso al terzo turno della Coppa di Lega dal Birmingham City. Il 4 febbraio 2014, nonostante il passaggio della fase a gironi di Europa League, e quello al terzo turno della Coppa d'Inghilterra, Laudrup venne sollevato dall'incarico in seguito alla sconfitta per 0-2 sul campo del West Ham Utd e ai risultati negativi maturati nella seconda parte di stagione (una sola vittoria tra dicembre e gennaio); il successivo 23 maggio trovò l'accordo per la rescissione contrattuale.

Il 1º luglio 2014 venne ingaggiato dai qatarioti del Al-Duhail. Al primo anno vinse subito la Qatar Stars League, e raggiunse la finale della Qatar Crown Prince Cup persa contro l'Al-Jaish. Nonostante un fresco rinnovo contrattuale, il 18 giugno 2015 lasciò la panchina della squadra. Il 26 settembre 2016 venne nominato allenatore dell'Al-Rayyan, in sostituzione di Jorge Fossati passato alla guida del Qatar.

Riconoscimenti

Nel 2011 è stato ammesso nella Hall of fame del calcio danese.

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Nazionale

Individuale

  • Miglior giocatore della Liga: 2 - 1992, 1993
  • Nominato UEFA Golden Player per la DBU (2006)
  • Introdotto nella Hall of Fame del calcio danese - 2008

Allenatore

Club

Competizioni nazionali

 

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226016931_juve1982.png.3b34b02c19f4d7f90707e096dcb44984.png  MICHAEL LAUDRUP

 

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Beato lui, che conserva benessere psicofisico, dopo due anni intossicanti di Lazio – scrive Marco Morelli sul “Guerin Sportivo” del 19 giugno 1985 –. E che si servirà dell’infallibile Juve per entrare nel nostro epos, quale mirabile esempio di tecnica calcistica, sopravvissuto con il sangue intatto ai vecchi germi della confraternita biancoazzurra. Inutilmente i diaconi di Roma hanno tentato di spaccarlo in mille frammenti. Inutilmente a «Michelino» Laudrup abbiamo ripetuto indignati ch’era fragile, di vetro soffiato, vagheggiando generosi Ajaci per la salvezza del club di Chinaglia.
Ora sappiamo che ha prevalso su qualsiasi disfatta il suo gelido istinto di conservazione, né mai avrebbe potuto trasformarsi da ghiaccio in fuoco per amor di giornalismo magniloquente, di fanatica, inutile lazialità. Eccoci dunque ai saluti. Eccoci dunque pronti ad ammettere il clamoroso errore di partenza: quando lo vedemmo, spaurito, arrivar dal Broendby e istintivamente trasferimmo in questo danese figlio d’arte, l’idea della riscossa, d’un diritto al futuro senza spaventi. «Ma nel football si gioca in undici», ripete ancora con la voglia di combattere le delusioni tutt’intorno. «E dominano schemi, geometrie ineliminabili. Nessun Caravaggio del pallone sarebbe riuscito a dare alla squadra del mio passato quanto non aveva. All’interno d’essa pure Maradona si sarebbe messo le mani nei capelli prima o poi. Io ho dato il possibile, non ho rimorsi. La situazione in cui siamo piombati alla svelta avrebbe schiacciato pure Maciste».
La valigia è pronta, la casa è stata disdetta, il passato gramo è alle spalle. Gli leggo negli occhi la fretta di ricominciare in quella specie di castello incantato che deve essergli sembrato sempre il club di Boniperti. Con pudore, però, riduce le emozioni all’essenziale. Gli basta osservare: «Almeno riuscirò a divertirmi di più, diminuiranno i ritiri opprimenti. Da quando fui parcheggiato nella capitale, ho avuto la libertà col contagocce. Sono stato sempre prigioniero di qualche albergo, sempre in clausura ad attendere la domenica successiva alla stregua della fine d’un incubo. Poi l’incubo ricominciava il lunedì... È brutto lottare sempre con, l’acqua alla gola, a vent’anni... Tutto si complica, tutto è condizionato dalla chimera irraggiungibile del risultato. Evidentemente non sono tagliato per soffrire, non sono il missionario che desideravano. Dalla vita, infatti, ho avuto alla svelta il necessario e pure di più, grazie a mio padre, Finn, che dava del tu al pallone in Danimarca o nel Rapid di Vienna, e mi ha trasmesso le sue qualità, la fantasia, l’allegria. Purtroppo, nella Lazio ridevo sempre meno. C’erano solo da dividere ripetute umiliazioni, con Giordano e gli altri».
Vivere non può essere faticoso mestiere, quando si è giovani ancorché predestinati al successo. E nell’estate della Serie B, d’improvviso lo scenario muta dinnanzi al suo sorriso da réclame. C’è la Juve per il principe biondo che deve aver spesso bisbigliato «essere o non essere con Trapattoni, questo il dilemma», nelle ore gravi dello sfascio firmato via via Carosi, Juan Lorenzo, Oddi. Può ammetterlo? Arrossisce quanto basta a capire il senso dell’imminente confessione. «Io vorrei conoscere un calciatore che non sogna la maglia bianconera della Signora degli scudetti. In verità, avevo avuto pure altre proposte, ma non le avrei accettate... Se non mi avessero chiamato a toccare il cielo con un dito, sarei rimasto dov’ero, a soffrire in B. Non dimenticherò mai i giorni della retrocessione. Dalla Lazio ho avuto rari momenti belli: ricordo soprattutto l’ultima partita della stagione scorsa, a Pisa, quando ci salvammo col cuore in gola, per il rotto della cuffia. Avevamo fatto meglio del Genoa nei confronti diretti... Vidi un po’ di luce, m’illusi che il peggio fosse passato. Invece siamo ripiombati subito nel buio e contro l’Udinese all’Olimpico, a metà campionato, mi sono sentito distrutto. Si può perdere, ma guai a ritrovarci demotivati a metà cammino... Ed io, con la Lazio, non ho partecipato a una Serie A intera; ho partecipato a un girone d’andata e successivamente a un calvario...».
Basta così. Michael Laudrup non avrà più da accettare il protrarsi indebito d’irrealizzabili desideri di grandezza. La sua faccia – che non è mai dolorosa e stonerebbe tra quelle «della classe operaia» cui non tocca in premio il paradiso –, risulta semplicemente degna d’entrare nelle aristocratiche foto di gruppo degli eletti cari agli Agnelli, finito il tempo dei sospiri. Juventino per censo, per vocazione, per cromosomi calcistici. Ma la gioia della ventura consacrazione non gli impedisce di dimenticare certi stati d’animo e allora corregge: «Juventino, anche se per colpa del destino o di nessuno, ho rischiato di finir coinvolto nella bufera laziale, compromettendo il futuro. È stato in certo qual senso Boniek a tirarmi fuori dai guai. Si fosse accordato, avrei continuato a rimandare i progetti migliori, a sospirare, a custodire segrete ambizioni. È andata come andata, chi ha avuto ha avuto. Non voglio ulteriormente rattristarmi: Juve, finalmente sono in arrivo e vorrei evitare qualsiasi altro trasferimento. È davvero curioso: grazie alla Roma che accoglie un ex di Trapattoni, posso partire per Torino con un carico di progetti. Al momento posso solo pro- mettere che non si pentiranno di avermi dato fiducia. Saranno gli altri a giudicare se ho i “numeri” per diventare degno erede del polacco. Vado senza tremare: con la nazionale danese sono riuscito sempre a dimostrare che quanto nella Lazio era indimostrabile. Ci sono squadre che valorizzano e squadre che condizionano, inutile nasconderlo...».
Alleuja, Roma scompare in dissolvenza. Dispiace solo alla fidanzata Tina, graziosa ragazza che ha alleviato con amore le afflizioni del suo ventunenne innamorato. Lui, Michelino, giura che della città eterna ha conosciuto bene solo gli alberghi dei melanconici ritiri: «Sono riuscito, semmai, ad andare qualche volta a San Pietro in cerca della benedizione del Santo Padre... Roma sarà pure la più bella del mondo, ma non me ne sono accorto. I luoghi si trasformano in base al nostro umore, alle sensazioni. Pertanto, quando il lavoro va a rotoli, il sole brilla inutilmente, i panorami diventano invisibili, nebbia. A Roma mi sono sentito incompreso e dai giornali ho capito che c’era poco disponibilità a giustificarmi. Le valutazioni del lunedì mi facevano arrabbiare: ho scoperto giornalisti che mi assegnavano regolarmente tre o quattro in pagella... Una volta mi hanno dato zero... da noi in Danimarca è diverso: i critici sono spesso ex calciatori e non tifosi traditi, offesi nel loro culto».
Acqua passata. A cosa serve ricordare adesso che «Michelino» ha dimostrato a Roma d’essere grande giocatore soltanto in potenza? I guizzi, lo scatto irresistibile, l’abilità nel dribbling, sono spesso stati vanificati da madornali errori conclusivi, quasi avesse insopprimibile avversione per il gol, per l’attimo-sintesi. Colpa della Lazio o sua? Nessun osservatore, all’Olimpico o altrove, ha saputo rispondere con durevole precisione. Più semplice giudicarlo abatino pallido, senza cuore, preoccupato del proprio tornaconto, indifferente alle sorti della società, provvisoria, d’appartenenza. Ma è vero? Riesce ad arrabbiarsi ancora qualche attimo. «Vero un corno... Avrei voluto vedere un altro al posto mio: mi hanno messo in discussione, Carosi arrivò a escludermi e i successori mi hanno spesso colpevolizzato. Sembrava che in panchina, in alternativa, avessero Pelé. Chiaro che mi sono demoralizzato: invece di garantire un minimo di serenità, i responsabili raccontavano che, distratto dalla Juve, mi concentravo poco sulla Lazio. Stupidaggini... Quando si perde, pure l’immagine dei più bravi viene danneggiata. Così dicono che non so stringere i denti, che sono troppo morbido nel carattere. Può darsi che sia vero. Ognuno è fatto a modo suo, non ho mai dato a intendere d’essere l’uomo della provvidenza».
Toccherà alla Juve valorizzarlo appieno, affinché non resistano ingombranti differenze tra il Michelino della Nazionale di Piontek e quello del campionato italiano. Incontrerà difficoltà di ambientamento come illustri predecessori quali Rossi e Boniek? Tornerà a tradirlo il carattere, l’incapacità presunta di saper soffrire? Mi guarda finalmente divertito. Vorrebbe spiegarmi che è inutile mettere il carro davanti ai buoi. Nell’attesa lo sorregge un presentimento. Dice: «I danesi alla Juve non hanno mai fallito. Il mio prossimo arrivo rafforza un’antica tradizione del club bianconero: c’erano addirittura tre danesi nel 1951-52 a mostrar meraviglie. Erano Karl e John Hansen, più Praest».
Fino a quando due bianconeri, Astorri e John Hansen, lo segnalarono a Boniperti, trenta mesi fa, Michelino Laudrup scintillava diciottenne nel Broendbyernes, a due passi da casa, realizzando caterve di gol. Doveva pertanto essere nei piani, il «baby» ideale per aiutare Chinaglia a cominciare senza traumi da presidente. O almeno tali erano i convincimenti bonipertiani, cui Long John non restò insensibile. Sappiamo il seguito del romanzo d’appendice. Ma più che scusarsi, Michelino non può: «Probabilmente ho caratteristiche che funzionano meglio in squadre competitive. Di recente, all’Unione Sovietica ho realizzato due gol e Piontek mi ha elogiato commosso. E convinto che con Platini sfonderò anche a livello di club. L’ho ringraziato: anch’io non ho dubbi».
E allora, in alto i cuori, laziali abbandonati in B, Era comunque previsto che la Laudrup-story ricevesse a un tratto la benedizione juventina.
 
A Torino diventa il pupillo di Boniperti e il beniamino di chi ama il bel calcio. Michelino, in bianconero, sorprende tutti. Trapattoni riesce, in poco tempo, ad assemblare una squadra rinnovata in tanti pezzi, anche fondamentali. Il Laudrup della Lazio, senza nerbo e carattere, regolarmente inutile in trasferta e bravo, soprattutto, a segnare dei gol, anche belli, ma quasi sempre a risultato già acquisito, diventa subito il Principe di Danimarca proprio per la sua capacità di essere spesso determinante e la sua qualità è comunque altissima. Reti come quella segnata a Tokyo, quando, con una giocata impossibile, permette alla Juventus di andare ai supplementari di una finale Intercontinentale che avrebbe poi vinto ai rigori, sono destinate a restare nel tempo e nella memoria dei tifosi.
Quando è in giornata, Laudrup è un giocatore immarcabile: i primi tre passi sono qualcosa di unico, con la palla tra i piedi non perde velocità, capace di saltare chiunque. La sua finta di corpo è micidiale, il tiro, quando ci prova, è notevole, la tecnica è sopraffina, è in possesso di una grande intelligenza calcistica. Insomma, ha tutte le caratteristiche per diventare un grandissimo, ma ha dei notevoli limiti caratteriali. Esemplificativa, in tal senso è la frase di Platini: «Laudrup? È il miglior giocatore del mondo, in allenamento». Definizione straordinariamente sintetica, che racchiude tutto. Michael sarebbe stato, semplicemente, il migliore del mondo se non ci fosse stata la competizione agonistica.
Torino gli piace perché è meno chiassosa e perché, a suo dire, somiglia a Copenaghen. Lui ci tiene a spiegare che i danesi non sono noiosi, ma semplicemente più riservati. Trascorre le giornate con la fidanzata che diverrà sua moglie. Insieme ascoltano Bob Dylan, i Beatles e Joan Baez. Ama il golf, il tennis, gli spaghetti, la pizza napoletana e i film di Woody Allen. «La pressione dell’ambiente è quella che mi dà più preoccupazione, a volte persino angoscia. Certo il tifo degli stadi italiani può esaltarti, può entusiasmarti, ma c’è anche l’altra faccia da tener presente, quella dei fatti banali, dei giornali troppo spesso pronti a fare un dramma di qualunque cosa succede e, infine, quella di veder montare spesso le tue parole fino a non riconoscere più le dichiarazioni che credevi di aver fatto. Così mi sono fatto più accorto. Quest’anno, per esempio, giocando con la Juventus, proprio perché è una squadra, una società che ha vinto molto, ho capito che noi giocatori eravamo sempre sotto il tiro di tutti; troppi infatti vogliono che le cose vadano male alla Juventus. Ho dovuto quindi adeguarmi e imparare una lezione: quando perdi devi stare zitto e quando vinci devi stare molto attento. Lo so che è singolare per non dire malinconico, ma è così».
Le sue doti sono la velocità, le improvvise convulsioni tecniche di un dribbling messo in pratica con leggerezza insostenibile per gli avversari. Però non ha il dono della continuità. Lui accetta elogi e critiche: «Non mi piace parlare molto di me, ma se devo dire qualcosa, credo che le mie qualità principali sono il dribbling, la velocità, la capacità di vedere il gioco e di saper tirare con il destro e con il sinistro, una dote che non hanno tutti i calciatori pur essendo una dote fondamentale perché, se no, devi fare le acrobazie per calciare. I miei difetti? Beh, la cosa che non so proprio colpire di testa. Non ci riesco. Forse ho paura dei difensori che mi saltano addosso».
Purtroppo, per Michelino e per tutti i tifosi, la Juventus è alla fine di un ciclo: arriva Marchesi ma i vecchi eroi sono stremati. «Il Mundial messicano mi ha distrutto fisicamente. Dopo due giorni di ritiro con i bianconeri ho cominciato a soffrire di tendinite, quindi è arrivata la pubalgia. Per settimane non mi potevo muovere e sono state dette cose cattivissime: ma come, Laudrup potrebbe giocare e chiede di stare fermo? Nessuno capiva che per rendere al massimo ho bisogno di correre e scattare. Come me, altri juventini sono stati male e la sfortuna ha insistito: non si può eliminare il Real Madrid se non si è al massimo della condizione. Non nascondo che ho passato i momenti più difficili da quando gioco al calcio: per la prima volta in vita mia ho smesso di divertirmi».
Marchesi predilige il calcio difensivo e obbliga spesso Laudrup a compiti di copertura. E nonostante l’arrivo di Rush e le buone promesse («Devo moltissimo a Marchesi, all’Avvocato, a Boniperti. Hanno creduto in me nonostante i malanni e le incertezze. Farò di tutto per saldare il mio debito, finora mi ha bloccato solo la pubalgia che però è sparita. La nuova Juventus è da inventare e questo mi piace, io amo le novità; sin dai primi allenamenti ho capito che Rush è il compagno ideale. Mi piacerebbe che la nostra squadra copiasse la nazionale danese almeno nello spirito, dando  spettacolo. Possiamo farcela, però vincendo: divertire e divertirsi non basta. Capisco benissimo che le maggiori responsabilità peseranno sulle mie spalle, non sono mica uno stupido: Boniperti non mi ha tradito, non lo tradirò. So anche che questa è la mia prova d’appello e non ho paura, purché la salute mi assista. Mi rende ottimista il fatto che ì nuovi schemi saranno impostati sulla velocità, cioè sulla mia arma migliore»), la stagione sua e della Juve è ancora più deludente di quella precedente. 
Nemmeno Zoff riesce a fargli fare il salto di qualità. Michelino alterna grandi giocate a prestazione imbarazzanti e così preferisce emigrare in Spagna, dove, col Barcellona e col Real Madrid poi, ritornerà a esprimersi a livelli altissimi, conquistando subito i tifosi.
 
VLADIMIRO CAMINITI
La bazza non è sufficiente. A fare un uomo coraggioso non basta il mento più sviluppato; semmai fa un uomo pensieroso, un uomo senza angosce, un eterno idillio con il tempo e con la vita, fa insomma Michael Laudrup. La Juventus lo seguiva da tempo, poi il ragazzo si era accasato alla Lazio, e qui erano sembrate luccicare di viva luce tutte le qualità intrinseche del suo gioco, quell’allungo in progressione irresistibile, quei cross vellutati, quei goal al bacio.
Non si può dire che non abbia lasciato segno del suo passaggio alla Juventus, e peranco schiere di ammiratori; ma si deve aggiungere, francamente, senza convincere mai in assoluto sulle sue doti, soprattutto sul nerbo del suo impegno virile, sempre distratto da mille cose, o evasivo in campo, o sbaragliato al primo tackle arcigno; un giocatore con sì tante doti, da sembrare Bronée redivivo ancora più splendido, comincia a divenire il cruccio del gran presidente Boniperti.
Laudrup vive giornate superbe alternate a deludenti manfrine; in Nazionale sembra più continuo e più disposto al sacrificio. Ciò non toglie che uno scudetto si leghi anche al suo apporto e ai suoi gol fantasiosi, e che lasci un vivido ricordo di sé per la lussuosa prestazione di Tokyo, dove la Juventus corona il suo inseguimento al record dei primati, e Michael, Michelino come lo chiamano in Italia, gioca una partita entusiasmante con un goal entusiasmante.
Giocatore dal repertorio scintillante, ha lasciato nella Juventus il ricordo di un professionista squisito, di una persona amabile, di un giovane ricco di virtù morali. Davvero un campione emblematico di ogni finezza.
 
GIOVANNI TRAPATTONI
La coppia Platini-Laudrup sulla carta faceva sperare in grandi cose. Il danese era una specie di bambino spaurito, molto giovane ma già molto bravo, era la spalla ideale per Michel, sembravano nati per giocare assieme. Un giorno arrivò all’allenamento su un’auto guidata da una ragazza bellissima. Gli dissi subito: «Porca miseria, Michelino. Bella sventola quella lì!». E lui ridendo: «Grazie, mister, è mia mamma. La prossima volta gliela presento». Che figura! Mi scusai imbarazzato, proprio io che non faccio mai apprezzamenti sulle donne, ma come potevo saperlo? Sembrava una ventenne come lui, l’aveva avuto a diciotto anni, come si usa lì da loro in Danimarca.
 

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