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Luis Del Sol

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   1713589527_juventus1931.jpg.08a50ac8c0c2f4a39e335366cae85720.jpg   LUIS DEL SOL

 

 

Remembering Luis Del Sol - Juventus

 

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Luis_del_Sol

 


Nato ad Arcus de Qualon (Spagna) il 6 aprile 1935. Comincia giovanissimo nelle file del Real Betis di Siviglia dove lo preleva il Real Madrid nel 1959. Con la bianca casacca delle merengues vince due volte il titolo spagnolo (1961 e 1962), altrettante Coppe (1960 e 1962) e conclude la stagione 1959-60 aggiudicandosi Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.

Dopo i mondiali cileni del 1962 sembra destinato a raggiungere il Torino che tuttavia, al momento di concludere laffare, lascia cadere lopzione per mancanza di liquidi. La Juventus,che conosce assai bene Del Sol per esserselo trovato di fronte nei quarti di finale della Coppa dei Campioni del 1961-62, ne approfitta ed il piccolo spagnolo, costato 350 milioni, si veste di bianconero.

Indomabile, grande lottatore, un maratoneta dei campi di calcio, è lautentico pilastro della Juventus operaia creata da Heriberto Herrera, il mister paraguayano che predica il movimiento, ossia giocatori a tutto campo e che sappiano giocare senza palla.

Di Stefano lo definisce il postino del gioco del calcio, in riferimento alle sue singolari attitudini di fondista ed alle sue inesauribili doti di distributore del gioco. Del Sol è un centrocampista che sa tessere trame su trame, coprendo in continuità e per tutto larco della partita, una zona del campo, instancabile ed insuperabile nel ritmo.

«Da un lato mi fa piacere essere definito un maratoneta», spiega Luis, «anche perché, con il gioco moderno, chi non corre il pallone non lo vede mai; però non vorrei essere citato soltanto come un emulo di Abele Bikila, perché credo di sapere anche giocare al calcio e di averlo dimostrato».

Questo il giudizio di Beppe Furino, che ne prenderà il posto: «Professionista impegnato, un compagno nel senso completo della parola, un motore che divora chilometri senza pause, pronto ad aiutarti in caso di necessità. Quando arriva alla Juventus, io sto giocando nelle giovanili. Lo vedo ed imparo. È un esempio, un punto di riferimento. Oltre alla gran voglia di correre ha voglia di vivere con intensità i giorni che ha davanti. Gli piace mangiare, fumare e divertirsi. In campo non risente di queste concessioni, peraltro legittime».

Al suo arrivo il problema più grosso sembra quello della convivenza con Omar Sivori. Sono due fenomeni della pelota con un passato burrascoso ed una lite durante la bella di Coppa Campioni disputata al Parco dei Principi di Parigi nel 1962. La frattura sembra insanabile, ma Omar e Luis dimenticano insulti pregressi, fanno la pace ed in tre stagioni (dal 1962 al 1964) deliziano il popolo bianconero.

«Giocherò fino a che mi sento fresco, scattante, nel pieno della forma fisica e morale», spiega ancora il postino, «smetterò, tuttavia, non appena mi accorgerò di non essere più questo Del Sol, il vero. Sarò io il primo a capire quando arriva luomo del martello, quello che mi costringerà ad attaccare gli scarpini al chiodo».

Del Sol milita al servizio della squadra bianconera per otto stagioni: 292 partite (228 in campionato, 26 in Coppa Italia e 38 nelle Coppe europee) e 29 goals (20, 6 e 3 rispettivamente) e lega il suo nome alla Coppa Italia 1965 ed allo scudetto 1967 strappato dai bianconeri allInter di Helenio Herrera allultima giornata. Lascia la Juventus nellestate del 1970 ed approda alla Roma dalla quale si separa dopo un paio danni per rientrare in Spagna. Con la Nazionale spagnola partecipa alle avventure mondiali del 1962 in Cile e del 1966 in Inghilterra. Al servizio delle furie rosse disputa 16 partite e realizza 4 goals.


Il racconto di Caminiti:

«Il pianeta Del Sol, titolò un giornale, forse per la meraviglia di questo podista sempre impegnato a sgobbare, che il dottor Mauro Sgarbi, medico sociale della Juventus, registrò con queste speciose parole: «A che cosa attribuire la sua eccezionale resistenza fisica e la sua lucidità di mente anche in condizioni di lavoro gravoso ??? Indubbiamente, larmonico sviluppo di ogni apparato, la perfetta funzione degli organi del circolo e del respiro e la loro facilità di adattamento alle situazioni più critiche determinate da sforzi notevoli, lelevata soglia del lavoro aerobico e la facilità di recupero nei brevi momenti di riposo sono fattori della massima importanza nel conseguimento di prestazioni atletiche di altissimo livello».

Ci si chiedeva in quei giorni come avesse potuto il Real Madrid rinunciare ad un giocatore del valore di Del Sol. In tribuna stampa, diverse erano le correnti di pensiero. Luis Del Sol di Siviglia, rappresentava nel calcio laltra faccia della medaglia. Da una parte i fuoriclasse patentati: Di Stefano e Kopa in testa; dallaltra, quelli che si esprimono faticando: in testa Del Sol; la fatica di chi è meno dotato di genio, di fantasia, di piede e supplisce con il resto. Una tesi di comodo per chi il calcio andava a guardarlo per capire il contributo alla partita, reale e non fittizio, di ciascun giocatore. La tesi di chi eternamente ha confuso stile con classe. In certi momenti della sua recitazione, Del Sol poteva rassomigliare ad un botolo ringhioso; ma guardatelo quando va a matare il suo nemico Suarez in uno struggente pomeriggio di dicembre al Comunale stipatissimo.

22 dicembre 1963, il capolavoro di Del Sol in maglia bianconera, forse, è questo. Juventus-Inter 4 a 1. Si sta parlando dellInter primatista di tutto. Non dimenticherò mai la sua partita disegnata attraverso corse e rincorse belluine, con un dribbling di possesso reiterato, con finte, controfinte, tocchi e lanci misurati; un piede svelto e protervo; una dedizione assoluta; un estro, una fantasia ribaldi. Ricordo che, nella mia prosa su Tuttosport, vedevo piccoli coltelli sivigliani mulinare nella corsa sbalorditiva del podista spagnolo. Luisito Suarez fu affettato per bene. Quella vittoria della Juventus fu il capolavoro di Del Sol. Riassumerne lo stile è facile ed al contempo difficile.

Lo scudetto, che la Juventus si meritò sul petto nel campionato 1966-67, fu suo merito nella misura del suo prodigarsi, che era immenso. Lallenatore, convocato da quei dirigenti, per iniziare il dopo Sivori, era un messere stravagante e persecutorio, il paraguaiano Heriberto e si sa come Del Sol ci ebbe qualche volta da ridire. Vicende forse ingrandite dalla fantasia popolare, ma è pur certo che Heriberto arrivava perfino a lamentarsi di un professional così puntiglioso e garantito al mille per mille. Che poi anche Luis amasse il grissino o la sigaretta ogni tanto, è pacifico.

Anzolin, Gori, Leoncini; Bercellino, Castano, Salvadore; Favalli, Del Sol, Zigoni, Cinesinho, Menichelli. Fu una Juventus tempestata di rincorse prodigiose, perché linseguimento allInter, tanto più dotata di tecnica e di favori divini, potesse andare a buon fine.

Infallibilmente, con gli anni, Del Sol dovette arretrare la linea di demarcazione del suo gioco; per dirigere da dietro la pattuglia; e spariva allinizio dellera Boniperti, dopo aver giocato 292 volte con appena 29 goals, molti di più, in conclusione, di quelli che, nella sua carriera di cursore perfino più proficuo, avrebbe segnato poi il suo allievo migliore, che arrivò in tempo ad ammirarlo negli allenamenti.

E mai ne avrebbe scordato linsegnamento, Furino. Il sivigliano silenzioso ed un po torvo, la fronte, come gli occhi, sempre bassa, sul pallone da domare, aveva portato nella Juventus il senso del dovere sul piano tattico e della disciplina comportamentale; che diventa alla domenica basilare nel contributo alla fatica di tutti. E naturalmente per chi non confonde stile con classe, Del Sol aveva anche classe; non portava la valigia a Di Stefano; era stato preminente per fabbricare la grandezza del Real».


RACCONTATO DA GIANNI GIACONE, SU HURRÀ JUVENTUS DELLAGOSTO 1974:

Cera in Europa una squadra di superassi che vinceva tutto ed esaltava platee immense, rievocando le gesta dei pionieri, ed era il Real Madrid. Di Stefano gran centravanti, e Puskás rifinitore dalla classe cristallina, e Gento estrema guizzante ed imprendibile. La Coppa dei Campioni, gioco nuovo ed affascinante, sembrava fatta apposta per questi tremebondi esponenti del calcio spagnolo. Ma il Real non era soltanto questi tre: se ne accorse, tra le altre, proprio la Juve, che incontrò i madrileni e cedette di misura dopo una drammatica partita di spareggio al Parco dei Principi di Parigi.

Il motore, la fonte del gioco, in questa super squadra, era un sivigliano piccoletto, buona tecnica ma niente di trascendentale se confrontata con quella di certi suoi compagni summenzionati. Si chiamava Del Sol, e tutti lo chiamavano Postino per il suo gran correre a consegnare raccomandate goal ai compagni di punta. Quando la Juve riuscì a vincere la concorrenza di altre società italiane accaparrandoselo per il campionato 1962/63, qualcuno obiettò che si trattava di un giocatore presumibilmente sul viale del tramonto, a ventisette anni, e che tutto sommato sarebbe stato meglio acquistare un uomo goal da affiancare a Sivori piuttosto che un centrocampista per di più già sazio di trionfi. Evidentemente, i fatti diedero torto a questi criticoni e ragione a quanti caldeggiarono lacquisto: ma probabilmente neppure questi ultimi si resero conto di quanto sarebbe stato importante Del Sol per quella Juve non più dominatrice della scena calcistica e tenacemente protesa a riconquistare le posizioni perdute.

Ci sono calciatori che, pur bravissimi, male si adattano alla realtà del nostro campionato, ed altri che invece sembrano fatti apposta per il clima particolare del calcio italiano. Quel campionato 1962/63 ne propose parecchi, delluna e dellaltra categoria. Del Sol, un mese dopo aver messo piede in Italia, scoprì improvvisamente origini pedatorie tipicamente piemontesi, e più propriamente vercellesi, e nessuno si ricordò più di Siviglia e del Real Madrid. La Juve aveva trovato un faro capace di pilotare la pattuglia di Amaral in porti tranquilli e di ottenere pure consistenti soddisfazioni.

Del Sol trova Sivori, uno degli ultimi Sivori di ambizioni bellicose e dunque pimpante, e le cose, a queste condizioni, non possono che andare bene. Ci sono problemi di impostazione, di adattamento agli schemi che il nuovo trainer Pablo Amaral vuole far applicare alla truppa, ma alla fin fine questa Juve, che pure non tiene ambizioni da spaccamontagne essendo reduce da una annata più che balorda, sa farsi rispettare. Del Sol si presenta ai torinesi in un buio pomeriggio di settembre, buio per via delle nuvole ed ancor più per via dellandamento di quel Juve - Atalanta 2-3, che rievoca ai supporter i fantasmi del recentissimo passato infausto.

E però la sua prestazione è convincente, ed alla peggio è pur sempre suo il goal più bello, segno che oltre che a correre Luis è pure buono a risolvere questioni in area di rigore. La squadra si ritrova, quasi bruscamente in occasione del successivo incontro casalingo con la capolista Bologna: 3-1, con applausi per Sivori nelle vesti modeste di suggeritore, e per un certo Siciliano, centravanti di belle speranze chiamato provvisoriamente in squadra in attesa dellarrivo dal Brasile di Miranda poi detto Mirandone. E Del Sol che fa? Corre; che diamine, e copre da solo fasce smisurate di campo. Fogli, che dovrebbe incrociare le armi con lui, ad un certo punto, si pianta in mezzo al campo e dice basta, e da quel momento la Juve è padrona del campo. Andiamo oltre, il primo campionato in bianconero di Luis sarebbe tubo da chiosare, tantè nuovo il tipo di professional impersonato da questo spagnolo coriaceo, da questo Filippide che probabilmente, arrivato ad Atene e data la notizia che sapete, sarebbe tornato a Maratona per raccontare le accoglienze ai compagni.

La Juve innesta le marce alte e da la scalata alle prime posizioni, dove Inter e Bologna si sono insediate stabilmente: 28 ottobre, Juve batte Toro 1-0, i granata (che erano stati pure loro in lizza per acquistare lo spagnolo dal Real) ammirano un Del Sol scatenato. 18 novembre, qui la cronaca é affiancata dallaneddottica, state a sentire. Si gioca Juve - Milan, ed i bianconeri disputano un secondo tempo da favola, che la TV diffonde in differita, la sera. Telecronista è Nicolò Carosio, più in forma che mai. Sarà la sua voce a consegnare televisivamente alla leggenda, per la prima volta, il Del Sol juventino.

«Parte in quarta De Sol» urla a un certo punto il buon Carosio, impressionato dal gran ritmo imposto al gioco da questo centrocampista di ferro. Parte e pare non fermarsi mai, tantè la voglia di giocare. Ma il clou di questa sua grande stagione desordio Luis lo raggiunge in occasione di Bologna - Juventus, 10 febbraio 1963. Una prestazione memorabile, premiata da un goal magistrale, per una Juve che magari non vincerà lo scudetto, ma che certo ha fatto dimenticare le amarezze del torneo precedente.

33 presenze ha assommato Luis allanno primo della sua esperienza juventina. Ancora 33 ne conterà lanno dopo, campionato zeppo di malumori e di controsensi tecnici, in cui finirà invischiata persino la grinta podistica del sivigliano. Il quale, comunque, dimostra di saperci fare anche in zona goal: 6 reti il primo anno, altre 6 il secondo, segno di una costanza encomiabile. La squadra ha sprazzi di grandezza, ed in quelle occasioni Del Sol si esalta sino a distruggere la concorrenza, ancorché illustre. 22 dicembre, esempio classico di come si possano capovolgere situazioni tecniche scontate, di come i pronostici siano destinati a saltare di fronte allimponderabile della classe.

La Juve cè e non cè, ma quel giorno, contro lInter campione, decide di esserci, e finisce in trionfo per i bianconeri, trascinati da un Del Sol semplicemente mostruoso. Il suo avversario, nonché compaesano, Suarez, finisce in cottura nel disperato tentativo di arginare sul piano dinamico un Del Sol in giornata di grazia, che corre per tutti e segna pure 2 goal. Il guaio di quella Juve è che di altri cursori non se ne vedono, e che spesso i sacrifici di Del Sol non bastano a tener su la baracca. Ci penserà, presto, il movimiento di Heriberto, a risolvere questo problema.

Il 1964/65 propone una Juve diversa, bloccata in difesa e viva a metà campo: non si può pretendere di trovare subito la formula giusta, ma intanto è tuttaltro vedere il gioco juventino. 1965/66, è cominciata bene la stagione, con una Coppa Italia vinta, certo che De Sol ha fatto la sua parte: adesso, a fare coppia con lui, è arrivato Cinesinho, pure lui non più giovanissimo, e si avanzano dubbi sulla tenuta degli interni bianconeri. Dubbi che svaniscono presto, però; il movimiento sopperisce alle carenze di fraseggio e di estro della squadra, che può così competere a certi livelli prendendo le misure dellInter in vista del grande salto di qualità dellanno dopo. 29 presenze per Del Sol, i trentuno anni esistono solo sul passaporto, la realtà è un campione con i piedi ed i polmoni di un ventenne, Del Sol ha ancora molto da dare ai tifosi della Zebra.

Il 13° scudetto è tutto riassunto nelle poderose rincorse di questo sivigliano, nella rabbia e nella determinazione di una squadra che fortissimamente vuole primeggiare. Non cè pausa nella rincorsa della Juve allInter come non cè pausa, in partita, per le scorribande di Del Sol. Adesso, lo spagnolo ha fatto progressi anche in acume tattico, e le sue mosse, pur condotte sempre su ritmi impressionanti, rispondono ad un preciso piano di manovra. Si lucrano risultati decisivi anche senza sommergere gli avversari sotto valanghe di goal, ed alla fine i conti tornano: il 13° scudetto è vinto sul traguardo. 28 volte presente, Del Sol ha raggiunto lapogeo della sua carriera juventina.

Lo scudetto va diviso tra tutti, cè Bercellino e Castano ed Anzolin pochissimo trafitto e Cinesinho, ma Del Sol merita riguardo sopra gli altri per lincredibile continuità dazione. Ha fatto di tutto, il mediano e lala tornante, ha alternato prestazioni sfavillanti ad altre anche più importanti di oscuro lavoro in fase di interdizione. Si ripeterà su questi livelli anche per buona parte del campionato successivo.

Il 1967/68 è ancora anno positivo, cè un 3° posto in campionato e cè soprattutto la prima convincente esperienza in Coppa dei Campioni. Episodio chiave quello di Juve - Eintracht, match di ritorno dei quarti: 0-0 a pochissimo dalla fine, significherebbe eliminazione per la squadra bianconera sconfitta 2-3 in Germania. Del Sol, a questo punto, inventa una delle più pazzesche serpentine, cercando con ostinazione il goal. Oppure il rigore: che diventa inevitabile nel momento in cui gli avversari, che non sanno che pesci pigliare, stroncano con le cattive la sua azione irresistibile. In campionato, si segnala per un eccellente finale, che lo vede più che mai protagonista. Come protagonista era stato allinizio: chi non ricorda la sua prestazione, nel ruolo di libero per forza, dopo un grave infortunio, a San Siro, contro il Milan?

Ma il tempo vola, il 1968/69 è estemporaneo come la vena di Zigoni o quella di Haller, non bastano i guizzi di Pietruzzo Anastasi. Molto meglio il 1969/70, canto del cigno per parecchi della vecchia guardia bianconera, e per Del Sol segnatamente. Luis chiude alla grande: mediano, mezzala, persino ala, è 25 volte presente nella squadra che ritrova il gusto del gioco e dei goal. Accanto al vecchio cursore, si affaccia alla ribalta il nuovo podista, e lo stile di Furino detto Furia non si discosta da quello di Del Sol. Dalla tribuna, succede talvolta di confondere i due, lincedere uguale, la grinta pure. Furino impara presto e bene, la Juve che alla fine del torneo, per questioni di età ed anche perché Del Sol rientra nel grande giro che porta in bianconero Capello, Spinosi e Landini, dovrà privarsi del suo grande spagnolo, trova in casa, bellè pronto, il suo erede naturale. II 1969/70 del passaggio di consegne è per Luis anno incora denso di soddisfazioni.

Un degno finale per un campione autentico. Le cifre (8 campionati in maglia bianconera, 228 presenze, 20 goal) dicono molto poco di questo spagnolo dal grande talento, che di scudetti ne vince in fondo uno solo, essendo quelli per la Juve anni non esaltanti ancorché positivi. Il ricordo, vivo, del supporter può meglio di ogni altra cosa, dare al campione quanto gli spetta.


http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/04/luis-del-sol.html#more

 

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Morto Luis Del Sol, ex Real Madrid, Juventus e Roma - La Gazzetta dello  Sport

 

File:1964–65 Serie A - Juventus v Inter Milan - Luis del Sol.jpg -  Wikimedia Commons

 

Juve, è scomparso Luis del Sol: il ricordo del club | ilbianconero.com

 

File:Juventus 1963-64 - Da Costa, Nené e del Sol.jpg - Wikipedia

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Campeón de Europa con el Madrid en 1960, fue traspasado a la Juventus

dos años después por 35 millones de pesetas y allí triunfó ocho temporadas

“Gane quien gane, yo gano”

por ENRIQUE ORTEGO (MARCA 04-05-2015)

Luis del Sol lleva un par de semanas revuelto. Desde que el bombo de la Champions emparejó a dos de sus equipos del alma — el otro, por excelencia, es el Real Betis Balompié —. Le llaman desde Turín compañeros de su época, desde Madrid. A sus 80 años va a vivir la eliminatoria casi como la jugara.

Con el Real Madrid ganó la Copa de Europa, la Intercontinental y dos Ligas, pero en la Juventus pasó ocho temporadas que le dejaron huella. En 2012, los tifosi bianconeri le eligieron entre los 50 mejores jugadores de la historia del club.

Creo que sonsacarle quién quiere que gane es ponerle en un aprieto, ¿verdad?

Lo es, pero gane quien gane, yo gano. Me quedaré feliz con cualquier resultado. Me gustaría que los dos, pero es imposible. Sólo sé que esta vez no pierdo. Soy español, me tira y mucho el Madrid, pero la Juve caló muy hondo en mí. Hace unos meses me felicitaron y todo por mi 80 cumpleaños.

Por usted el Madrid pagó al Betis 6,5 millones de pesetas y el traspaso de tres jugadores. Y dos años y pico después le vendieron por 35...

Eso se cuenta, pero si le digo la verdad por aquellos tiempos no nos enterábamos de nada. Lo que sabíamos era por los periódicos. En los dos traspasos fue igual. Cuando venía al Madrid me llamó Villamarín, el presidente del Betis, y me dijo que me iba. Y cuando me fui a la Juventus, me llamó Raimundo Saporta y me dijo lo mismo.

Debía ser muy bueno, estamos hablando de mucho dinero para aquellos años.

Parece ser que el Madrid tenía necesidad de vender, se habían metido en lo de la Ciudad Deportiva y más o menos Saporta me vino a decir que si venían a por todo el equipo lo vendía. Me dijo que dependía de mí. Hablé con mi mujer. Estábamos encantadísimos en Madrid, pero era una buena oferta. De no haber sido por el dinero no me hubiera ido. Y eso que no había ni quince por ciento ni nada. Pero era más del doble, más, de lo que ganaba aquí.

Dicen los papeles de la época que fichó por el Madrid porque lo pidió Di Stéfano...

Puede ser. Cuando llegué me lo presentó don Santiago Bernabéu y le dijo: ‘Bueno, ya le tienes aquí’. Debería ser por eso. Nos hicimos luego grandes amigos. Para toda la vida.

Y dicen también los papeles, estos italianos, que la Juve le fichó porque les deslumbró en una eliminatoria Madrid-Juventus del 62...

Inolvidable. Eran cuartos de final. Jugamos tres partidos. Ganamos en el Comunale con un gol de Di Stéfano, la Juve venció en el Bernabén con un tanto de Sivori. Era el primer partido que perdía el Real Madrid en la Copa de Europa. Desempatamos en París. Ganamos (3-1), yo marqué el primero... No sé si me ficharían por esos partidos. Mi destino inicial no era la Juventus, era el otro club de la ciudad, el Torino.

Y no le ficharon porque la afición se negó. El club se iba a gastar un dineral en usted y tenían abandonados a los familiares de la tragedia de Superga...

Nunca lo supe bien. Eso se dijo, pero el caso es que la Juventus me fichó y allí pasé ocho años maravillosos. La Juve es la squadra de Italia. Allá donde jugábamos medio campo era nuestro. El Toro era más de la ciudad.

Ahora ¿sigue a los dos equipos?

Claro, a los dos casi todos los partidos. Después del Betis, que es mi vida y el que me permitió jugar en los otros dos, están ellos. La Juve ya es campeón pero quiere la Copa de Europa, me lo dicen mis excompañeros. Y del Madrid qué voy a decir, es el campeón de Europa. ¡Qué jugadores tiene!

Le apodaron en Italia el settepulmoni por lo que corría, ¿hay algún Del Sol en los dos equipos?

No me veo en ninguno. Es difícil comparar. Yo comencé de extremo izquierda pero me aburría pegado a la raya. No tocabas el balón en 90 minutos. Un entrenador, Barrios, me puso en el medio, donde me gustaba y además donde creo que era más necesario. Quizás Modric se pueda parecer a mí. Tiene técnica, corre... Pirlo es distinto, juega más atrás. Tiene clase el chaval.... Yo hacía lo que me dejaban hacer. Corría pero tenía un hábil regate. Ese apodo me lo puso un periodista alemán después de medir lo que corría en los partidos.

 

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Del Sol

«CHE PAURA LASCIARE MADRID MA 8

ANNI DI JUVE MI HANNO STREGATO»

LO SPAGNOLO NEGLI ANNI 60 GIOCÒ CON LE 2 SQUADRE: «QUEL VIAGGIO

IN ITALIA MI SEMBRÒ LUNGHISSIMO: FU COME ANDARE IN RUSSIA»

di FILIPPO MARIA RICCI (GASPORT 05-05-2015)

Luis Del Sol ha 80 anni. È del 1935, come Luisito Suarez. Furono i primi due spagnoli a venire in Italia, uno dal Madrid alla Juventus nel 1962, l’altro dal Barça all’Inter un anno prima. Altri tempi. Le squadre italiane pagavano tanto, più delle spagnole. Poi arrivarono anche Peirò e Santisteban. Fecero tutti bene, un po’ come succede oggi. «I ragazzi di ora sono abituati a viaggiare dice Luis Del Sol e calcisticamente il successo della nazionale ha aperto la strada agli spagnoli. Invece io ricordo il mio trasferimento con grande preoccupazione, per me e per mia moglie era come andare in Russia! Però mi offrirono più del doppio rispetto a quello che guadagnavo al Madrid, se non fosse stato per i soldi non sarei andato. E mi sarei perso un’esperienza meravigliosa, io dell’Italia mi sono innamorato...». Luis è rimasto da noi 10 anni, 8 alla Juve e 2 alla Roma.

SIVORI NEMICO E AMICO Oggi Del Sol vive a Siviglia, dove il padre ferroviere lo portò dalla provincia di Soria quando aveva pochi mesi. Iniziò e chiuse nel Betis, la squadra del cuore, e la leggenda vuole che fu il gran Di Stefano a chiedere a Santiago Bernabeu di prenderlo. Aprile 1960. Un mese dopo il Madrid vince la quinta Coppa dei Campioni consecutiva (senza Luis), in luglio l’Intercontinentale (con Luis). In ottobre viene eliminato per la prima volta nella storia della Coppa Campioni: al primo turno (ottavi di finale) e dal Barça in due Clasicos stracarichi di tensione. Nel 1962 il Madrid perde la finale col Benfica dopo aver eliminato la Juventus nei quarti: «Vincemmo a Torino e perdemmo in casa, la prima sconfitta del Madrid al Bernabeu nella storia della competizione. Spareggio a Parigi e vittoria nostra 31, segnai un gol». In campo sono scintille con Sivori, poi, come ricordava ieri sul Pais il direttore di As Alfredo Relaño, tutti a cena insieme nello stesso ristorante con il ‘Cabezon’ della Juve che voleva regolare tra i tavoli i conti aperti sul campo. Del Sol ride: «Burrascoso prologo: a Torino siamo diventati grandi amici...».

CUORE DIVISO E oggi, per chi tifa in questo JuveReal? Luis diventa serio, fa una pausa, cambia lingua e prosegue in perfetto italiano: «Mi piacerebbe che vincesse la Juve, però non vorrei veder perdere il Madrid. Ho il cuore diviso. Sono spagnolo e amo il Madrid però quegli 8 anni a Torino non li dimentico. E allora posso solo dire che vinca il migliore». Così, tutto d’un fiato, tutto in italiano. Poi quando si torna a parlare di cose più lontane dalla Juve riecco lo spagnolo.

RICORSI TATTICI Del Sol aveva cominciato all’ala, fu spostato in mezzo e divenne famoso come un cursore dai sette polmoni. In realtà se vi andate a vedere i video delle giocate scoprirete un giocatore tecnico, che usava entrambi i piedi, offensivo e in grado di segnare. La sua evoluzione ricorda quella che Ancelotti ha chiesto a Isco e James Rodriguez: «Che però non nascono come ali, come me. Diciamo che il parallelo ci può stare se consideriamo l’evoluzione del calcio: Isco e James sono giocatori con dribbling e visione di gioco utilizzati anche in fase difensiva, per recuperare palloni e lanciare rapidamente la fase offensiva. Il mio cambio andò in una direzione simile, si».

POCO GALATTICO E allora continuiamo a costruire ponti: si dice che lei fu venduto perché poco ‘Galactico’, meno appariscente, fisicamente e tecnicamente, di stelle come Di Stefano, Puskas, Gento, Santamaria... «Questo vuole la leggenda, però a me dissero che mi vendevano perché avevano un gran bisogno di soldi visto che avevano avviato il progetto del nuovo centro tecnico. ‘Se qualcuno cii paga, vi vendiamo tutti’, mi disse il direttore generale Saporta». Effettivamente le cifre che giravano allora vogliono Del Sol preso per 6.5 milioni di pesetas e rivenduto per più di 35...

LA GIORNATA TIPO Altri tempi. Sentite come descriveva Luis la sua giornata tipo a Siviglia al giornalista di Abc nell’aprile del ‘60, appena sbarcato a Madrid: «Sveglia alle 10. Un caffè per colazione. Allenamento dalle 11 alle 12. Alle 13 puntata al quartiere San Jeronimo per una birra con gli amici. Alle due e mezzo pranzo sostanzioso a casa, con mia madre. Un po’ di lettura poi siesta fino alle 7. Poi mi faccio bello e vado a cercar fidanzata. Una passeggiata, o un cinema, o una visita agli amici. Alle 11 e mezza la cena, un’ora dopo a dormire». Luis a sentire le sue parole ride di nuovo: «Incredibile eh? Un altro mondo! Però io correvo lo stesso...». Eccome: si muoveva tanto che Di Stefano lo chiamava il postino.

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1713589527_juventus1931.jpg.08a50ac8c0c2f4a39e335366cae85720.jpg   LUIS DEL SOL

 

Luis del Sol - Wikipedia

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Luis_del_Sol

 

 

Nazione: Spagna Spagna
Luogo di nascita: Arcos de Jalón
Data di nascita: 06.04.1935

Luogo di morte: Siviglia

Data di morte: 20.06.2021
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 169 cm
Peso: 70 kg

Nazionale Spagnolo
Soprannome: Postino

 

 

Alla Juventus dal 1962 al 1970

Esordio: 09.09.1962 - Coppa Italia - Brescia-Juventus 2-5

Ultima partita: 26.04.1970 - Serie A - Bari-Juventus 2-1

 

294 presenze - 29 reti

 

1 scudetto

1 coppa Italia

1 coppa delle Alpi

 

Campione d'Europa 1964 con la nazionale spagnola

 

 

 

Luis del Sol Cascajares (Arcos de Jalón, 6 aprile 1935  Siviglia, 20 giugno 2021) è stato un calciatore e allenatore di calcio spagnolo, di ruolo centrocampista.

 

Considerato tra i più importanti calciatori spagnoli degli anni 1960, con le Furie Rosse fu campione d'Europa nel 1964. Più volte candidato al Pallone d'oro di France Football, ha legato il suo nome al Betis, club della sua città in cui ha iniziato e chiuso la carriera, e di cui è assurto a icona sportiva; ha inoltre conquistato trofei con le maglie di Real Madrid e Juventus — club, questo ultimo, che l'ha eletto tra i giocatori più importanti della propria storia.

 

Luis del Sol Cascajares
Luis del Sol.JPG
Luis del Sol in nazionale nel 1962
     
Nazionalità Spagna Spagna
Altezza 169 cm
Peso 70 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1973 - giocatore
2001 - allenatore
Carriera
Giovanili
19??-19??   Betis
Squadre di club
1953-1954  non conosciuta Utrera ? (?)
1954-1960   Betis 162 (38)
1960-1962   Real Madrid 55 (22)
1962-1970   Juventus 294 (29)
1970-1972   Roma 50 (4)
1972-1973   Betis 17 (0)
Nazionale
1960-1966 Spagna Spagna 16 (3)
Carriera da allenatore
1985-1986   Betis
2000-2001   Betis
Palmarès
 
UEFA European Cup.svg Europei di calcio
Oro Spagna 1964

 

Biografia

Di origini italiane, più precisamente di Vercelli, nacque a Soria, nella regione di Castiglia e León, ma crebbe a Siviglia, in Andalusia.

È morto a Siviglia nel giugno 2021 all'età di 86 anni.

Caratteristiche tecniche

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Del Sol in azione palla al piede negli anni 1960

 

Era un centrocampista di sostanza e personalità che, grazie a un dinamismo e a una resistenza atletica fuori dal comune, soleva svariare il suo gioco in ogni zona del campo, sempre col pallone tra i piedi; motivo per cui si guadagnò l'appellativo di "Postino", nato negli anni a Madrid grazie al compagno di squadra Alfredo Di Stéfano e poi mantenuto per il resto della carriera.

 

Impiegato dai Blancos come ala pura, negli anni alla Juventus giostrò soprattutto da grintosa mezzala, mettendo in mostra un bagaglio tecnico fatto soprattutto di scatti e accelerazioni. Molto abile nel mantenere il possesso della palla o nel sottrarla agli avversari, talvolta eccedeva in maniera quasi testarda nel dribbling.

Carriera

Giocatore

Club

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Del Sol alla Juventus

 

Si formò come calciatore nel Ferroviarios e da lì passò nelle giovanili del Betis. Arrivò nel club andaluso nel 1953 e, dopo un breve periodo in prestito nell'Utrera, approdò in prima squadra nella stagione 1954-1955, in Segunda División. Rimane nel club per 6 stagioni, nelle quali lascia intravedere tutto il suo potenziale, diventando uno dei giocatori più importanti della squadra andalusa sin da subito, importante protagonista della promozione in Primera División del 1958.

 

Le sue qualità attirarono l'attenzione dei tecnici del Real Madrid, squadra in cui si trasferì nell'aprile del 1960 per 6 milioni di pesetas. A Madrid ebbe l'opportunità di giocare al fianco di miti del calcio quali Di Stéfano e Puskás, e contribuendo nei primi mesi in camiseta blanca alla vittoria in Coppa dei Campioni — dove ebbe tempo di giocare semifinali e finale — contro l'Eintracht Francoforte. Con il Real Madrid giocò anche le seguenti due stagioni, dando un importante contributo alle vittorie del campionato spagnolo nel 1961 e 1962, giocando tutte e due le partite della vittoriosa Coppa Intercontinentale, la prima edizione della storia, e vincendo anche la Coppa del Generalissimo nel 1961-1962. Soprattutto la prima — intera — stagione con i Blancos risulterà essere la più prolifica della carriera con 17 gol in campionato, mentre nella seconda riesce a dare una mano, con 10 presenze e 4 gol, nel portare la squadra in finale di Coppa dei Campioni, persa 3-5 contro il Benfica, sfiorando il Treble.

 

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Del Sol alla Roma

 

Iniziò quindi una lunga parentesi nel calcio italiano, firmando nel 1962 per la Juventus, che lo prelevò ventisettenne per la cifra di trecentocinquanta milioni di lire. Primo spagnolo nella storia del club bianconero, debuttò in Serie A il 16 settembre 1962 contro il Genoa, sollevando a fine anno una Coppa delle Alpi, segnando anche in finale. Rimase a Torino per otto stagioni, durante i quali cambia ruolo e modo di giocare, diventando meno prolifico sottoporta. Conquista con la Vecchia Signora lo scudetto del 1966-1967 — rimasto nella memoria per il sorpasso all'ultima giornata su una Grande Inter ormai al tramonto — e, in precedenza, la Coppa Italia del 1964-1965, sempre contro i milanesi. Nelle competizioni continentali, oltre alla Coppa delle Alpi del primo anno, ha meno fortuna rispetto alle competizioni dentro i confini nazionali: il miglior risultato è la finale persa al Comunale di Torino contro il Ferencváros per 0-1. Divenuto bandiera nonché l'emblema della Juve Operaia degli anni 1960 di Heriberto Herrera, nel 2011 la società piemontese l'ha omaggiato di una stella celebrativa nella Walk of Fame bianconera allo Stadium di Torino. È anche ricordato per essere uno dei giocatori ad aver vestito la maglia numero dieci della Juventus, ereditandola da Omar Sívori in seguito al suo trasferimento al Napoli nel 1965.

 

Nel 1970 passò alla Roma dove militò per due stagioni, indossando anche la fascia di capitano dei giallorossi dopo l'addìo del connazionale Peiró, ma sollevando unicamente trofei minori quali il Torneo Picchi e la Coppa Anglo-Italiana. Tornò infine a Siviglia per rivestire la maglia del Betis, con cui chiuse la carriera nel 1973 all'età di trentotto anni.

Nazionale

Conta 16 presenze nella nazionale spagnola, con 3 reti realizzate. Esordì il 15 maggio 1960 in Spagna-Inghilterra 3-0 e, durante la sua permanenza tra le Furie rosse, vinse il campionato d'Europa 1964 giocato in casa, seppur non scendendo in campo nella fase finale, partecipando inoltre al campionato del mondo 1962 in Cile e al campionato del mondo 1966 in Inghilterra. Giocò l'ultima gara in camiseta roja il 15 luglio 1966, uno Spagna-Svizzera terminato 2-1.

Dopo il ritiro

Al termine dell'attività agonistica entrò nell'organigramma tecnico del Betis, ricoprendo a periodi alterni anche la posizione di allenatore e contribuendo, con le tredici panchine della stagione 2000-2001, a riportare i Verdiblancos nella Liga.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Nazionale

 

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«Giocherò fino a che mi sento fresco, scattante, nel pieno della forma fisica e morale. Smetterò, tuttavia, non appena mi accorgerò di non essere più questo Del Sol, il vero. Sarò io il primo a capire quando arriva l’uomo del martello, quello che mi costringerà ad attaccare gli scarpini al chiodo».

VLADIMIRO CAMINITI
“Il pianeta Del Sol”, titolò un giornale, forse per la meraviglia di questo podista sempre impegnato a sgobbare, che il dottor Mauro Sgarbi, medico sociale della Juventus, registrò con queste speciose parole: «A che cosa attribuire la sua eccezionale resistenza fisica e la sua lucidità di mente anche in condizioni di lavoro gravoso? Indubbiamente, l’armonico sviluppo di ogni apparato, la perfetta funzione degli organi del circolo e del respiro e la loro facilità di adattamento alle situazioni più critiche determinate da sforzi notevoli, l’elevata soglia del lavoro aerobico e la facilità di recupero nei brevi momenti di riposo sono fattori della massima importanza nel conseguimento di prestazioni atletiche di altissimo livello».
Ci si chiedeva in quei giorni come avesse potuto il Real Madrid rinunciare a un giocatore del valore di Del Sol. In tribuna stampa, diverse erano le correnti di pensiero. Luis Del Sol di Siviglia, rappresentava nel calcio l’altra faccia della medaglia. Da una parte i fuoriclasse patentati: Di Stéfano e Kopa in testa; dall’altra, quelli che si esprimono faticando: in testa Del Sol; la fatica di chi è meno dotato di genio, di fantasia, di piede e supplisce con il resto. Una tesi di comodo per chi il calcio andava a guardarlo per capire il contributo alla partita, reale e non fittizio, di ciascun giocatore. La tesi di chi eternamente ha confuso stile con classe. In certi momenti della sua recitazione, Del Sol poteva rassomigliare a un botolo ringhioso; ma guardatelo quando va a “matare” il suo nemico Suarez in uno struggente pomeriggio di dicembre al Comunale stipatissimo.
22 dicembre 1963, il capolavoro di Del Sol in maglia bianconera, forse, è questo. Juventus-Inter 4-1. Si sta parlando dell’Inter primatista di tutto. Non dimenticherò mai la sua partita disegnata attraverso corse e rincorse belluine, con un dribbling di possesso reiterato, con finte, contro finte, tocchi e lanci misurati; un piede svelto e protervo; una dedizione assoluta; un estro, una fantasia ribaldi. Ricordo che, nella mia prosa su “Tuttosport”, vedevo piccoli coltelli sivigliani mulinare nella corsa sbalorditiva del podista spagnolo. Luisito Suarez fu affettato per bene. Quella vittoria della Juventus fu il capolavoro di Del Sol. Riassumerne lo stile è facile e al contempo difficile.
Lo scudetto, che la Juventus si meritò sul petto nel campionato 1966-67, fu suo merito nella misura del suo prodigarsi, che era immenso. L’allenatore, convocato da quei dirigenti, per iniziare il dopo Sivori, era un messere stravagante e persecutorio, il paraguaiano Heriberto e si sa come Del Sol ci ebbe qualche volta da ridire. Vicende forse ingrandite dalla fantasia popolare, ma è pur certo che Heriberto arrivava perfino a lamentarsi di un “professional” così puntiglioso e garantito al mille per mille. Che poi anche Luis amasse il grissino o la sigaretta ogni tanto, è pacifico.
Anzolin; Gori e Leoncini; Bercellino, Castano e Salvadore; Favalli, Del Sol, Zigoni, Cinesinho e Menichelli. Fu una Juventus tempestata di rincorse prodigiose, perché l’inseguimento all’Inter, tanto più dotata di tecnica e di favori divini, potesse andare a buon fine.
Infallibilmente, con gli anni, Del Sol dovette arretrare la linea di demarcazione del suo gioco; per dirigere da dietro la pattuglia; e spariva all’inizio dell’era Boniperti, dopo aver giocato 292 volte con appena ventinove goal, molti di più, in conclusione, di quelli che, nella sua carriera di cursore perfino più proficuo, avrebbe segnato poi il suo allievo migliore, che arrivò in tempo ad ammirarlo negli allenamenti.
E mai ne avrebbe scordato l’insegnamento, Furino. Il sivigliano silenzioso e un po’ torvo, la fronte, come gli occhi, sempre bassa, sul pallone da domare, aveva portato nella Juventus il senso del dovere sul piano tattico e della disciplina comportamentale; che diventa alla domenica basilare nel contributo alla fatica di tutti. E naturalmente per chi non confonde stile con classe, Del Sol aveva anche classe; non portava la valigia a Di Stéfano; era stato preminente per fabbricare la grandezza del Real.

GIUSEPPE FURINO
«Professionista impegnato, un compagno nel senso completo della parola, un motore che divora chilometri senza pause, pronto ad aiutarti in caso di necessità. Quando arriva alla Juventus, io sto giocando nelle giovanili. Lo vedo e imparo. È un esempio, un punto di riferimento. Oltre alla gran voglia di correre ha voglia di vivere con intensità i giorni che ha davanti. Gli piace mangiare, fumare e divertirsi. In campo non risente di queste concessioni, peraltro legittime».

ERNESTO CASTANO
«Del Sol è il più grande professionista che abbia conosciuto, fisicamente era un fenomeno. Eppure nel mangiare non si tratteneva per niente, mangiava pesce fritto, salame, paella. Fumava. Ma in campo dal martedì alla domenica correva più di tutti noi. Aveva grinta, non aveva paura di nessuno, avrebbe potuto sfidare a pugni Charles, era un pezzo di marmo. Terribile nell’ira e generosissimo con gli amici. Una volta, a Sofia, contro il Plovdiv, Stacchini era incappato in un terzino che non finiva di menarlo. Finché Gino si ribellò: quello voleva dargli il resto tanto che Stacchini, spaventato, si mise a gridare al soccorso. Chiamò Del Sol che andò dall’avversario e lo sfidò a venire a Torino per la partita del ritorno. Venne, ma al primo intervento, lo prendemmo in mezzo, io e Luis. Uscì azzoppato. Con Del Sol ho giocato otto anni e partite splendide. Eravamo una forte squadra».

GIANNI GIACONE, “HURRÀ JUVENTUS” AGOSTO 1974
C’era in Europa una squadra di super assi che vinceva tutto ed esaltava platee immense, rievocando le gesta dei pionieri, ed era il Real Madrid. Di Stéfano gran centravanti, e Puskás rifinitore dalla classe cristallina, e Gento estrema guizzante e imprendibile. La Coppa dei Campioni, gioco nuovo e affascinante, sembrava fatta apposta per questi tremebondi esponenti del calcio spagnolo. Ma il Real non era soltanto questi tre: se ne accorse, tra le altre, proprio la Juve, che incontrò i madrileni e cedette di misura dopo una drammatica partita di spareggio al Parco dei Principi di Parigi.
Il motore, la fonte del gioco, in questa super squadra, era un sivigliano piccoletto, buona tecnica ma niente di trascendentale se confrontata con quella di certi suoi compagni summenzionati. Si chiamava Del Sol, e tutti lo chiamavano Postino per il suo gran correre a consegnare raccomandate goal ai compagni di punta. Quando la Juve riuscì a vincere la concorrenza di altre società italiane accaparrandoselo per il campionato 1962-63, qualcuno obiettò che si trattava di un giocatore presumibilmente sul viale del tramonto, a ventisette anni, e che tutto sommato sarebbe stato meglio acquistare un uomo goal da affiancare a Sivori piuttosto che un centrocampista per di più già sazio di trionfi.
Evidentemente, i fatti diedero torto a questi criticoni e ragione a quanti caldeggiarono l’acquisto: ma probabilmente neppure questi ultimi si resero conto di quanto sarebbe stato importante Del Sol per quella Juve non più dominatrice della scena calcistica e tenacemente protesa a riconquistare le posizioni perdute.
Ci sono calciatori che, pur bravissimi, male si adattano alla realtà del nostro campionato, e altri che invece sembrano fatti apposta per il clima particolare del calcio italiano. Quel campionato 1962-63 ne propose parecchi, dell’una e dell’altra categoria. Del Sol, un mese dopo aver messo piede in Italia, scoprì improvvisamente origini pedatorie tipicamente piemontesi, e più propriamente vercellesi, e nessuno si ricordò più di Siviglia e del Real Madrid. La Juve aveva trovato un faro capace di pilotare la pattuglia di Amaral in porti tranquilli e di ottenere pure consistenti soddisfazioni.
Del Sol trova Sivori, uno degli ultimi Sivori di ambizioni bellicose e dunque pimpante, e le cose, a queste condizioni, non possono che andare bene. Ci sono problemi di impostazione, di adattamento agli schemi che il nuovo Trainer Pablo Amaral vuole far applicare alla truppa, ma alla fin fine questa Juve, che pure non tiene ambizioni da spaccamontagne essendo reduce da un’annata più che balorda, sa farsi rispettare. Del Sol si presenta ai torinesi in un buio pomeriggio di settembre, buio per via delle nuvole e ancor più per via dell’andamento di quel Juve-Atalanta 2-3, che rievoca ai supporter i fantasmi del recentissimo passato infausto.
E però la sua prestazione è convincente, e alla peggio è pur sempre suo il goal più bello, segno che oltre che a correre Luis è pure buono a risolvere questioni in area di rigore. La squadra si ritrova, quasi bruscamente in occasione del successivo incontro casalingo con la capolista Bologna: 3-1, con applausi per Sivori nelle vesti modeste di suggeritore, e per un certo Siciliano, centravanti di belle speranze chiamato provvisoriamente in squadra in attesa dell’arrivo dal Brasile di Miranda poi detto Mirandone.
E Del Sol che fa? Corre; che diamine, e copre da solo fasce smisurate di campo. Fogli, che dovrebbe incrociare le armi con lui, a un certo punto, si pianta in mezzo al campo e dice basta, e da quel momento la Juve è padrona del campo. Andiamo oltre, il primo campionato in bianconero di Luis sarebbe tubo da chiosare, tant’è nuovo il tipo di “professional” impersonato da questo spagnolo coriaceo, da questo Filippide che probabilmente, arrivato ad Atene e data la notizia che sapete, sarebbe tornato a Maratona per raccontare le accoglienze ai compagni.
La Juve innesta le marce alte e dà la scalata alle prime posizioni, dove Inter e Bologna si sono insediate stabilmente: 28 ottobre, Juve batte Toro 1-0, i granata (che erano stati pure loro in lizza per acquistare lo spagnolo dal Real) ammirano un Del Sol scatenato. 18 novembre, qui la cronaca è affiancata dall’aneddottica, state a sentire. Si gioca Juve-Milan, e i bianconeri disputano un secondo tempo da favola, che la TV diffonde in differita, la sera. Telecronista è Nicolò Carosio, più in forma che mai. Sarà la sua voce a consegnare televisivamente alla leggenda, per la prima volta, il Del Sol juventino.
«Parte in quarta De Sol», urla a un certo punto il buon Carosio, impressionato dal gran ritmo imposto al gioco da questo centrocampista di ferro. Parte e pare non fermarsi mai, tanta è la voglia di giocare. Ma il clou di questa sua grande stagione d’esordio Luis lo raggiunge in occasione di Bologna-Juventus, 10 febbraio 1963. Una prestazione memorabile, premiata da un goal magistrale, per una Juve che magari non vincerà lo scudetto, ma che certo ha fatto dimenticare le amarezze del torneo precedente.
Trentatré presenze ha assommato Luis all’anno primo della sua esperienza juventina. Ancora trentatré ne conterà l’anno dopo, campionato zeppo di malumori e di controsensi tecnici, in cui finirà invischiata persino la grinta podistica del sivigliano. Il quale, comunque, dimostra di saperci fare anche in zona goal: sei reti il primo anno, altre sei il secondo, segno di una costanza encomiabile. La squadra ha sprazzi di grandezza, e in quelle occasioni Del Sol si esalta sino a distruggere la concorrenza, ancorché illustre. 22 dicembre, esempio classico di come si possano capovolgere situazioni tecniche scontate, di come i pronostici siano destinati a saltare di fronte all’imponderabile della classe.
La Juve c’è e non c’è, ma quel giorno, contro l’Inter campione, decide di esserci, e finisce in trionfo per i bianconeri, trascinati da un Del Sol semplicemente mostruoso. Il suo avversario, nonché compaesano, Suarez, finisce in cottura nel disperato tentativo di arginare sul piano dinamico un Del Sol in giornata di grazia, che corre per tutti e segna pure due goal. Il guaio di quella Juve è che di altri cursori non se ne vedono, e che spesso i sacrifici di Del Sol non bastano a tener su la baracca. Ci penserà, presto, il “movimiento” di Heriberto, a risolvere questo problema.
Il 1964-65 propone una Juve diversa, bloccata in difesa e viva a metà campo: non si può pretendere di trovare subito la formula giusta, ma intanto è tutt’altro vedere il gioco juventino. 1965-66, è cominciata bene la stagione, con una Coppa Italia vinta, certo che De Sol ha fatto la sua parte: adesso, a fare coppia con lui, è arrivato Cinesinho, pure lui non più giovanissimo, e si avanzano dubbi sulla tenuta degli interni bianconeri. Dubbi che svaniscono presto, però; il “movimiento” sopperisce alle carenze di fraseggio e di estro della squadra, che può così competere a certi livelli prendendo le misure dell’Inter in vista del grande salto di qualità dell’anno dopo.
Ventinove presenze per Del Sol, i trentuno anni esistono solo sul passaporto, la realtà è un campione con i piedi e i polmoni di un ventenne, Del Sol ha ancora molto da dare ai tifosi della “Zebra”.
Il tredicesimo scudetto è tutto riassunto nelle poderose rincorse di questo sivigliano, nella rabbia e nella determinazione di una squadra che fortissimamente vuole primeggiare. Non c’è pausa nella rincorsa della Juve all’Inter come non c’è pausa, in partita, per le scorribande di Del Sol. Adesso, lo spagnolo ha fatto progressi anche in acume tattico, e le sue mosse, pur condotte sempre su ritmi impressionanti, rispondono a un preciso piano di manovra. Si lucrano risultati decisivi anche senza sommergere gli avversari sotto valanghe di goal, e alla fine i conti tornano: il tredicesimo scudetto è vinto sul traguardo.
Ventotto volte presente, Del Sol ha raggiunto l’apogeo della sua carriera juventina. Lo scudetto va diviso tra tutti, c’è Bercellino e Castano e Anzolin pochissimo trafitto e Cinesinho, ma Del Sol merita riguardo sopra gli altri per l’incredibile continuità d’azione. Ha fatto di tutto, il mediano e l’ala tornante, ha alternato prestazioni sfavillanti ad altre anche più importanti di oscuro lavoro in fase di interdizione. Si ripeterà su questi livelli anche per buona parte del campionato successivo.
Il 1967-68 è ancora anno positivo, c’è un terzo posto in campionato e c’è soprattutto la prima convincente esperienza in Coppa dei Campioni. Episodio chiave quello di Juve-Eintracht, match di ritorno dei quarti: 0-0 a pochissimo dalla fine, significherebbe eliminazione per la squadra bianconera sconfitta 2-3 in Germania.
Del Sol, a questo punto, inventa una delle più pazzesche serpentine, cercando con ostinazione il goal. Oppure il rigore: che diventa inevitabile nel momento in cui gli avversari, che non sanno che pesci pigliare, stroncano con le cattive la sua azione irresistibile. In campionato, si segnala per un eccellente finale, che lo vede più che mai protagonista. Come protagonista era stato all’inizio: chi non ricorda la sua prestazione, nel ruolo di libero per forza, dopo un grave infortunio, a San Siro, contro il Milan?
Ma il tempo vola, il 1968-69 è estemporaneo come la vena di Zigoni o quella di Haller, non bastano i guizzi di Pietruzzo Anastasi. Molto meglio il 1969-70, canto del cigno per parecchi della vecchia guardia bianconera, e per Del Sol segnatamente. Luis chiude alla grande: mediano, mezzala, persino ala, è venticinque volte presente nella squadra che ritrova il gusto del gioco e dei goal. Accanto al vecchio cursore, si affaccia alla ribalta il nuovo podista, e lo stile di Furino detto Furia non si discosta da quello di Del Sol. Dalla tribuna, succede talvolta di confondere i due, l’incedere uguale, la grinta pure.
Furino impara presto e bene, la Juve che alla fine del torneo, per questioni di età ed anche perché Del Sol rientra nel grande giro che porta in bianconero Capello, Spinosi e Landini, dovrà privarsi del suo grande spagnolo, trova in casa, bell’è pronto, il suo erede naturale. Il 1969-70 del passaggio di consegne è per Luis anno ancora denso di soddisfazioni.
Un degno finale per un campione autentico. Le cifre (otto campionati in maglia bianconera, 228 presenze, venti goal) dicono molto poco di questo spagnolo dal grande talento, che di scudetti ne vince in fondo uno solo, essendo quelli per la Juve anni non esaltanti ancorché positivi. Il ricordo, vivo, del supporter può meglio di ogni altra cosa, dare al campione quanto gli spetta.

ANDREA NOCINI, PIANETA-CALCIO.IT DEL 19 DICEMBRE 2012
Nato con la camicia o “camiseta” per dirla alla spagnola o con la camiciona, la casacca bianconera degli anni Sessanta, perché esce da una favola (quella del Real Madrid) per entrare in un’altra (quella della Juventus di Omar Sivori, del paraguagio Heriberto Herrera, il padre del “movimiento”, di Tino Castano, di Gino Stacchini, del dottor Umberto Agnelli). Centrocampista più di difesa che di attacco, si porta alla “Zebra” la dote dell’appellativo appioppatogli da Alfredo Di Stéfano di “postino del gioco”. Il fondista Del Sol ringrazia Don Santiago Bernabéu, lo venera ancora adesso a distanza di oltre mezzo secolo, ma trabocca di riconoscenza per la famiglia Agnelli.
Un vulcano ancora adesso, magmatico di complimenti e di nostalgia verso quella che è stata la vera palestra della sua vita («Sono un uomo che il calcio ha reso felice!»). Non ha vinto molto nella Juve, ma, dall’intervista si capisce quanto gli ha dato in cuore, stile e valori l’avventura in bianconero. Un amore-ossessione, puntellata di “perle”, di chicche, di magie che non torneranno più. Nemmeno nel calcio stra-milionario, strapagato di adesso, vissuto meno autenticamente dai suoi attori sempre meno protagonisti, eroi della televisione, certo, ma certamente meno eroi “deamicisiani”, più lontani in tutto dai loro beniamini. Due i Mondiali, Cile 1962 e Inghilterra 1966, sedici le casacche con le “Furie Rosse” e quattro i goal. «Che non erano il mio fine ultimo – racconta – ma il mettere i compagni in grado di buttarla dentro».
Del Sol, qual è stato il ricordo più bello che conserva nella sua carriera di calciatore? «Per me, sono stati i dieci anni in cui sono stato in Italia: non li dimenticherò mai, sempre mi sono trovato, sono stato sempre molto felice».
È stato più felice nella Juventus o nella Roma? «In tutte e due, soltanto che alla Juve sono stato più anni e con i miei compagni bianco-neri eravamo amici in campo e fuori del campo e tutt’oggi ci teniamo in contatto ogni dieci giorni circa».
Più forte la Saeta Rubia o Francisco Gento, il capitano del mitico Real Madrid e il vincitore di ben sei Coppe dei Campioni? «Sono due giocatori diversi: Gento come ala sinistra ai suoi tempi era la più forte ala sinistra del mondo. Però, Di Stéfano non temeva paragoni: era un uomo che lo trovavi all’altezza del calcio di rigore e te lo trovavi in difesa. Era un uomo che stava per tutto il campo».
Il più forte giocatore italiano che ha incontrato? «Rivera, Sivori, Luis Suárez sono stati dei forti giocatori e a quei tempi circolavano parecchi giocatori che erano forti, erano giocatori completi».
Nella Juve, che ricorda del suo presidente il dottor Umberto Agnelli, e dell’avvocato Gianni? «Guardi, sono stati dei presidenti che, purtroppo, per legge di vita, non torneranno più, ma erano uomini che depositavano la fiducia e gente onesta. Erano, ogni tanto, quando meno te lo aspettavi, te li trovavi davanti e ti facevano una visita in ritiro durante la concentrazione».
Quand’è che ha pianto di gioia alla Juve? Quando ha vinto lo scudetto, strappato all’Inter, nel 1967? «No, no, non in quell’occasione, ma, le spiego: io, giocando in una squadra che era un po’ abituata a vincere, allora, non ha sorpreso né me né qualche compagno mio. Ero un giocatore, cui non era facile piangere».
Ci vuole dire che era un duro? «No, non quello, è che quelle vittorie alla Juventus erano cose da mettere in previsione, eventi facilmente pronosticabili. Io ho sempre avuto fiducia nella forza dei miei compagni».
La sua, Luis, era la Juve di Heriberto Herrera e del famoso “movimiento”. «I movimenti a quei tempi erano diventati di moda, ma adesso tante squadre hanno imparato quello che diceva lui, altrimenti, il giocatore rimane statico e deve buttare la palla all’avversario che la intercetta. Invece, il “movimiento”, facilita molto di più il collaborare con i compagni».
Il goal più bello di Luis Del Sol? «Non saprei. Io sono stato un giocatore che non ha dato molta importanza a fare goal, ma a fare il passaggio al compagno; ed era più importante rivestire all’interno di una squadra questo compito».
Era amico con Omar Sivori? «Moltissimo amici, sì molto amici».
E in attacco della sua Juve chi c’era oltre a Omar Sivori? «Gino Stacchini, Dell’Omodarme, Menichelli all’ala sinistra: noi della Juve, in quel periodo lì, eravamo sempre alla ricerca di un centravanti, ma non era facile trovarlo».
La prima cosa che le viene in mente quando pensa all’Italia? «Guardi, io veramente venivo da Madrid, una città molto bella e molto grande come Torino. Abitavo vicino allo stadio, però, gli otto anni in cui sono stato alla Juventus non li dimenticherò mai. Adesso, circa a metà ottobre, sono stato invitato dalla Roma per un evento e sono rimasto per due giorni. Poi, sono andato a Torino e sono stato per sei giorni a trovare i miei compagni del calcio e fuori del calcio».
Cosa ricorda di più quando pensa al suo Real Madrid? «Mai si pensava di andare in campo per perdere: eravamo un gruppo di amici e compagni e scendevamo in campo con una mentalità, con una lotta, con una grinta davvero impressionanti. Eravamo convinti che potevamo farcela: poi, potevamo uscire bene o potevamo uscire male dal campo, ma la mentalità, quella lì, non ci mancava mai».
Senta Luis, non è stato mai espulso? «Sì, a Bologna con la Juve».
Cosa aveva fatto di brutto, sferrato un pugno in faccia all’avversario? «No (sorride) mi sembra di averlo colpito con la testa».
Il più forte giocatore al mondo? «Beh, Pelé: ai suoi tempi era grandissimo».
Più forte di Di Stéfano? «Sono diversi: Di Stéfano per tutta la zona del campo, invece, Pelé giocava da metà in campo in su. Come Rivera, come Sivori. Di Stéfano lo trovavi dappertutto, in difesa, all’ala sinistra, centrocampista, come prima punta e, allora, sono diversi. Anche nel temperamento, nel carattere».
Il più forte in Europa negli anni Sessanta chi era? «Bobby Charlton, un gran calciatore. Perché era veloce e aveva un dribbling che era difficile da fermare. E c’era anche un altro giocatore che era fortissimo: Eusébio del Benfica».
Al presidente del suo Real Madrid, Santiago Bernabéu, hanno addirittura intitolato lo stadio di Madrid. «È stato un presidente grandissimo! Perché era un uomo umile, però, era bravissimo. Poi, Don Santiago è stato un uomo che ha saputo circondarsi di collaboratori in gamba, intelligenti. Parecchi giocatori, che erano assieme a lui, rispecchiavano le sue grandi doti: di intelligenza e di generosità in campo».
E della Roma cosa ricordi? «Della Roma ricordo il presidente, Ginulfi, Scaratti, Amarildo, Zigoni, Cordova».
Chi era il più matto? «(Sorride). Non “loco” no, ma, quello che scherzava di più era Cordova. Che aveva sposato la figlia del presidente della Roma».

 

https://ilpalloneracconta.blogspot.com/2016/04/luis-del-sol.html

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Champions League: Descubre los futbolistas que jugaron en Real Madrid y Juve  - AS.com

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