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Socrates

MASSIMILIANO ALLEGRI - Allenatore

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Allegri: 'We might have had a different market if Ronaldo left earlier' -  Football Italia

 

 

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La normalità di Allegri

 

Juventus, Allegri: 'Grande Dybala, come noi da 6 anni. Il Tottenham difende  meno bene della Lazio' VIDEO | Juventus | Calciomercato.com

 

HALMA!


Mi è stato chiesto di scrivere la mia opinione sulle qualità da allenatore di Allegri. Ammetto di non essere un suo fan: non mi piace il suo calcio e credo abbia ottenuto risultati inferiori alle potenzialità del suo Milan. Però c’è un fatto incontestabile: alla partenza del campionato 2014/15 sarà l’unico tecnico ad aver già vinto lo scudetto.

È una questione di prospettive e ambizioni. Per le prospettive e le ambizioni della Juventus Allegri è la scelta più giusta, perché ha vinto in Italia e ha esperienza in Champions League. È in grado quindi di centrare gli obiettivi della dirigenza bianconera: confermarsi in Italia e superare la fase a gironi in Europa. Di più non gli si può e non gli si deve chiedere.

Allegri, avendo a disposizione quella che è ancora la rosa più forte in Italia, può vincere tranquillamente il campionato. Nel suo modo di intendere il calcio non è l’allenatore a fare la differenza: “Gli allenatori non devono fare numeri dalla panchina, non sono gli schemi a far vincere, ma l’organizzazione e i giocatori. Il calcio non è il basket, parliamo di un altro sport”.

Nella sua visione i giocatori sono più importanti dell’idea di gioco e il compito dell’allenatore è quello di trovare un equilibrio e mettere i giocatori migliori al loro posto. L’elogio della semplicità e del pragmatismo, qualità che non accendono le fantasie dei tifosi, ma fanno vincere le partite. Per confermarsi in Italia la Juve non ha bisogno d’altro se non di un gestore che non stravolga quanto fatto negli ultimi anni. Un ruolo tagliato su misura per Allegri.

Per rendimento in Serie A “Acciuga” sta a metà tra Mancini e Spalletti, gli altri due candidati per la panchina bianconera. Meglio di Spalletti, peggio di Mancini.

Anche per il palmarès vale la stessa classifica: Mancini è il più titolato (quattro Coppe Italia, due Supercoppe e tre Scudetti) e l’unico ad aver vinto con squadre diverse (Fiorentina, Lazio e Inter), Allegri sta in mezzo (uno Scudetto e una Supercoppa), Spalletti è il meno titolato (due Coppe Italia e una Supercoppa). Con Mancini che si è tirato fuori per la possibilità di diventare CT della Nazionale (parole di Nedved), Allegri ha rappresentato la scelta più giusta, nonché quella col miglior rapporto qualità-prezzo, avendo un ingaggio inferiore agli altri due.

In Europa poi ha sempre superato il girone di Champions League, pur con numeri deludenti. In totale ha messo insieme 32 panchine (senza considerare le due gare del playoff contro il PSV), con una percentuale di vittorie del 31,25%, una media punti di 1,31, una media di gol fatti di 1,25 e di gol subìti di 1,16.

Allegri è tutto qui: risultati discreti senza eccellere, mostrando raramente un bel calcio. In un campionato di seconda fascia come quello italiano, con la squadra più forte del lotto, le sue virtù di normalizzatore sono sufficienti a continuare un lavoro svolto da un altro più bravo di lui.


da Calcio Critico

 

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Allegri alza la voce. In arrivo due acquisti.
Coman può restare. E non per fare il comprimario...


La voce non è mai stata squillante. Il tono, macchiato simpaticamente da un'inflessione toscana mai smarrita, non lo associa di certo alla pletora dei padri padroni da spogliatoio, rendendo semmai ancor più comica qualche espressione. Il presidente Cellino, atterrato in Inghilterra per rivitalizzare i fasti del Leeds glorioso che fu di Charles, oltre che meteora in Champions League soltanto qualche decade addietro, lo definì un poeta. Acuendo solo una delle sfumature forse meno evidenti di un giocatore divenuto tecnico in barba all'anarchia del ruolo ricoperto da giocatore.

Un caso particolare, quello di Allegri. Capace di compattar uno spogliatoio di prime donne nel primo anno trascorso a Milano, salvo veder sgretolare il proprio giocattolo a seguito di una sequela di cessioni inizialmente non in programma. Accusato di esser eccessivamente aziendalista, avendo di fatto accettato qualsiasi tipo di compromesso con la dirigenza rossonera, il Conte Max pare aver definitivamente smentito questa diceria annunciando, sin quasi a pretenderli, due nuovi acquisti.

Nessun comprimario, per carità. A Torino, sponda bianconera, ad sbarcare dovranno sempre essere campioni, con buona pace dei validi gregari come Padoin o Peluso, spedito a Sassuolo in una vasta operazione di mercato. Il desiderio di Allegri è quello di valorizzare il potenziale a disposizione, nel rispetto di un organico variegato ed, al momento, non orfano di alcun campione dell'era Conte. Come dichiarato a più riprese, e come osservato durante gli allenamenti, il grado di attenzione sul transalpino Coman pare essere ai massimi storici. Nemmeno l'arrivo di Pogba, inizialmente, fu in grado di suscitare tanto entusiasmo.

Corsa, tecnica e qualità. Doti fondamentali nel futuro 4-3-3 o 4-3-1-2 che a breve diventeranno gli assiomi cartesiani di un nuovo sistema di gioco. Il ritorno al trequartista d'assalto, tanto per evitar scomodi paragoni con un passato infarcito di dieci non certo all'altezza, Diego su tutti, potrebbe per certi aspetti sorprendere. Con Pereyra, leggermente favorito su Coman, a darsi il cambio con Vidal o Pogba alle spalle del duo Llorente e Tevez. Al quale potrebbe esser chiesto di fare un passo indietro nel tridente, favorendo l'ingresso di Morata, in recupero dopo il leggero infortunio patito in ritiro.

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ALLEGRI VISTO DA VICINO.

STORIA DI UN GRAN CONSERVATORE DI SUCCESSO

Scudetti, finali, carattere, donne e un nuovo modello cultural-pallonaro: il calcio come non scienza.

Chi è, da dove arriva e come ragiona l’allenatore della Juventus (e perché è diventato l’anti Mourinho)

“Nel calcio italiano ci sono 50 milioni di tifosi. 12 sono della Juve. Tutti sono contro la Juve. Ora da qui capisco bene perché”

Nel 2005 prese il patentino di allenatore. Tesi d’esame: “Caratteristiche dei centrocampisti in un centrocampo a tre”

Lascia stare e lavora sul campo: l’impianto di Conte è stato ritoccato il giusto fino a diventare l’impianto di Allegri

La storia dell’arrivo da Galeone e quello scambio fortuito: “Allegri è la più forte mezz’ala che ho allenato nella mia carriera”

“Cosa cambierei del calcio? Tanto per cominciare abolirei la zona nei settori giovanili: i ragazzi non vanno ingabbiati”

A 25 anni era al Pescara, decise all’ultimo momento che il matrimonio poteva attendere. Il giorno prima ha dribblato la sposa

“L’allenatore conta non più del cinque per cento. Quando riesci a entrare nella testa di un giocatore, sei già a metà dell’opera”

“Il Guardiolismo ha creato confusione e pressapochismo: giocatore e allenatore saranno sempre due mestieri agli opposti”

di BEPPE DI CORRADO (IL FOGLIO 15-05-2015)

Prima di ogni intervista, Massimiliano Allegri passa la mano destra sui capelli. Da sinistra a destra, incrociando la testa. E’ pronto. “Buonasera”. Parla piano. E questa cosa ha un senso adesso come ce l’ha avuto sempre: “Non è che se uno parla così non è autorevole o autoritario: mai visti i grandi della Terra alzare la voce”. Campione d’Italia, in finale di Champions League, in finale di Coppa Italia: rivincita è una parola usata da tutti tranne che da lui. Non perché non lo creda, probabilmente invece lo penso. Però che senso ha dirlo? “Questa è una squadra che ha fatto tre anni straordinari in Italia. Ma anche in Europa: l’anno scorso è uscita solo per colpa di un campo infame”. E’ la cifra rispettata tutta la stagione: riconoscere i meriti degli altri per affermare anche i propri. Allegri ha vinto e passandosi la mano destra tra i capelli a Madrid sa di aver raggiunto il livello più alto della sua carriera. Dieci anni fa, il 7 luglio 2005 discusse a Coverciano la tesi per prendere il patentino di allenatore di prima categoria. “Caratteristiche dei tre centrocampisti in un centrocampo a tre”, fu il titolo della tesi. In quelle 17 pagine ci sono molte cose del suo gioco e anche della sua idea di calcio. Va presa, letta, analizzata. Dentro c’è lui da giocatore (mezz’ala riluttante all’inizio, entusiasta poi) e lui da allenatore. Ci sono i semi di ciò che ha sviluppato a Cagliari, al Milan e ora alla Juventus. C’è un’idea diversa da molti coetanei. C’è il continuo ritorno alla tecnica, parola utilizzata sempre meno nel linguaggio pre e post partita. L’ha usata anche dopo la sfida del Santiago Bernabeu e Fabio Caressa l’ha fatto notare subito. Perché è strano, diverso, irrituale. Italiano da sempre, ma apparentemente non italiano negli ultimi tempi: “Se tecnicamente giochiamo bene possiamo farcela”. Controintuizione, perché tutti pensavano che l’unica possibilità della Juve in questa Champions, non solo in semifinale, fosse la pressione, il ritmo, la forza, la grinta, le palle. No, tecnica, dice Allegri. Cioè tocco, uno contro uno, classe. E’ una idea fissa, nata con lui e da lui, per eredità di ciò che era da calciatore. Qualche tempo fa Pierpaolo Marino, oggi direttore sportivo dell’Atalanta, ha ricordato come arrivò nel calcio vero: “All’inizio dell’estate del 1991, fui chiamato dall’allora presidente del Pescara, Pietro Scibilia a rilanciare, assieme all’allenatore Galeone, la squadra abruzzese, che navigava in serie B, oppressa dai debiti precedenti. Fummo costretti a scommettere su tanti giovani di C per risanare il bilancio. Quell’estate l’allenatore Galeone mi chiese, imprescindibilmente, un giocatore che avevamo visto all’opera nel Pavia, quel Frederic Massara, un’ala dalle gambe corte e veloci, adatta al modulo di gioco (4-3-3) del tecnico. Prendere Massara, però, non era facile, perché i proprietari del Pavia, gli amici Giusy e Claudio Achilli, avevano già promesso il calciatore a Zamparini, all’epoca presidente del Venezia in serie B. Per il nostro progetto, Massara era fondamentale e gli Achilli mi fecero capire che, se avessi comprato anche un altro giocatore del Pavia, dandogli una valutazione di 400 milioni di lire, loro avrebbero potuto colmare il deficit societario e avrebbero avuto una buona motivazione per svincolarsi dall’impegno con il Venezia. Guardando la lista dei calciatori del Pavia, notai il nome del già 24enne Allegri, che il grande maestro Allodi, due anni prima, aveva voluto che io visionassi quando giocava nella Pro Livorno, di cui Italo era divenuto consulente, perché lo riteneva un giocatore dotato di tanto talento e di un carattere un po’ scanzonato. Tanta era la voglia di prendere Massara, che Allegri (che avevo visto una sola volta), con tanto coraggio e fantasia, me lo ricordai somigliante ad Antognoni. In poche ore vendetti il centrocampista Fabrizio Fioretti al Piacenza, ricavando in un colpo più di quello che serviva per comprare Massara ed Allegri e, con un unico blitz, chiusi l’operazione con il Pavia. Le urla e le invettive di Zamparini e del suo compianto d.s. Bianchi (detto “vulcano”) rimbalzarono dal Veneto sino all’Abruzzo. Inizialmente fui elogiato per l’acquisto di Massara, ma, dopo un paio d’anni, il vero affare si rivelò Allegri, che, oggi paragonerei più ad Hamsik che ad Antognoni. Galeone, quando gli comunicai la notizia, esclamò, con un pizzico di ironia: ‘Ma come, ti avevo chiesto di prendermi un giocatore e me ne porti due?’. Tuttavia, dopo solo due giorni di ritiro precampionato, il tecnico napoletano di nascita e friulano di adozione, mi confidò: ‘Allegri è la più forte mezz’ala che ho allenato nella mia carriera’”.

Il rapporto con Galeone tornerà. Perché è centrale, perché probabilmente è tutto: ciò che vediamo oggi e ciò che non vediamo. C’è anche nelle risposte che dà quando passa la mano destra sui capelli, da sinistra a destra, incrociando la testa. Quando gli chiedono se la definizione di “aziendalista” che gli fu data ai tempi del Milan lo irrita: “L’ho detto mille volte. L’amministratore delegato di un’azienda è un aziendalista, perché deve portare utili, come l’allenatore risultati: altrimenti, lo cacciano. Nel calcio, pensano che ti facciano la formazione o che accetti tutto dalla società. Non è così. Mi piace chiedere e ascoltare, poi credo che l’allenatore non debba conoscere solo quel che succede sul campo: dobbiamo evolverci, avere una visione più ampia delle cose. Al di là della Premier, allenatore-manager non significa comprare 15 giocatori, ma essere al corrente anche di marketing e introiti”.

E’ un ibrido, Allegri. D’animo sarebbe calcisticamente conservatore: in quella tesi di Coverciano usa per identificare i centrocampisti i numeri 4 (per il mediano), 8 (per la mezz’ala), 10 (per il trequartista). Lo fa per comodità, ma in fondo anche per indole. Lo capisci quando lo senti parlare di che cosa dovrebbe essere un allenatore e di che cos’è, dei big data, della scienza. Ai tempi di Cagliari, a Malcom Pagani disse: “Si vuol far passare il calcio per una scienza. E’ una balla. Nella pallacanestro si gioca in un campo piccolo. Si usano le mani e i piedi servono solo per correre. Cinque secondi per pensare e spesso a pochi secondi dalla fine, la sfera viene data al più bravo per l’uno contro uno. Dal pallone si pretendono schemi che vengano alla perfezione in un contesto sconnesso, tra rimbalzi irregolari e fenomeni atmosferici, anche violenti. E’ un assurdo. Bisogna dare un’identità e avere a propria disposizione gente disponibile al sacrificio”. Verità assoluta, questa. Il resto l’ha mediato, l’ha interpretato. Ha smussato quell’idea un po’ fatalista del pallone. L’ha capito a volte suo malgrado che l’allenatore, il sistema, il modulo, la tattica contano. Non è che non lo pensasse, ma mediaticamente lo snobbava un po’. Oggi meno. Oggi se si deve definire lo fa con una parola che più contemporanea non si può: “Evoluzionista”. Che vuol dire? Che modella, plasma, adatta, studia. La Juve, la sua Juve è totalmente evoluzionista: “Ho trovato una squadra che aveva lavorato in un certo modo, vincendo tre scudetti e due supercoppe, non l’ho cambiata, l’ho sistemata dove pensavo che andasse fatto”. Semplice, pulito, elegante. Anche questo passaggio spiega la cifra di quest’anno. Evoluzionista anche nel modo d’essere e di parlare. Perché il rendere omaggio a ciò che era stata la Juventus di Conte, senza appropriazioni indebite, l’ha messo in posizione privilegiata anche nei rapporti con il commissario tecnico: lui signore, l’altro sempre un po’ sulle sue, fino a quella frase “con me la Juve quest’anno avrebbe avuto venti punti di vantaggio”. Caduta di stile, passata dalla parti di Allegri nel silenzio e senza risposta. Perché, semplicemente, quella frase significava che Allegri stava vincendo il pregiudizio, lo scetticismo, l’indifferenza di un certo mondo juventino. Lascia stare e lavora sul campo: l’impianto di Conte è stato ritoccato il giusto fino a diventare l’impianto di Allegri.

Ciò che il Milan non era stato fino in fondo è stata la Juventus. Perché a Milano, la vittoria non è mai stata esaltata come quella di quest’anno a Torino. Perché, forse, arrivare dopo Ancelotti era tremendamente difficile, addirittura più di quanto fosse succedere a Conte. Di quella vittoria Allegri conserva una frase sua che è diventata celebre: “Quando sono arrivato, si diceva che non potevo fare l’allenatore del Milan, campionato e Supercoppa. Tanti ambiscono ad allenare il Milan, è un ruolo sempre al centro dell’attenzione. Io sono sereno e indifferente per un semplice fatto: quando parlo lo faccio sempre direttamente. Quello che ho detto ai vecchi lo so io. Andare a rivangare il passato non ha senso. Quello che ho detto a Gattuso lui lo sa, poi uno fa le sue scelte. Quando uno mi prende per il c**o divento matto. E odio le persone indirette, forse per quello sto antipatico a molti”. Milano è stata complicata, il Milan anche. Quella storia dell’aziendalista, nata dopo le cessioni di Ibra e Thiago Silva l’ha segnato, così come quel Milan-Juventus che è diventato poi il motivo per cui gli juventini lo detestavano: “Da ora in poi chiederò in carta bollata a Marotta quando parlare. Anzi in carta semplice, non esageriamo”. Era il post gol (non gol) di Muntari. Anche se non l’ammetterebbe mai, oggi una frase così non la direbbe più. Perché l’ha pagata troppo per quanto valesse in realtà. Evoluzionista significa anche questo: cambiare. E forse diventare più furbo. La corrosività che aveva quando giocava e quando ha cominciato ad allenare è andata scemando. Ha cambiato molte cose. Ha cambiato l’approccio, forse anche l’idea del calcio italiano: “In Italia si evidenziano sempre le cose meno buone. Tutti dicono ‘il calcio italiano fa schifo’, ma nessuno fa niente perché migliori. Tutti dicono ‘gli arbitri italiani sono i peggiori’, poi li troviamo ad arbitrare la finale di Coppa del Mondo. Le squadre italiane all’estero prendono rigori dubbi e stanno zitte. Da noi non succede. Bisogna apprezzare di più le giocate, valutarle, altrimenti tutto diventa un alibi. Le decisioni di Rocchi in Juventus-Roma sono state elevate alla massima potenza perché era proprio Juve-Roma. Le stesse in una partita di medio-basso livello non fregavano niente a nessuno. Così si è persa anche la buona prestazione della Juventus contro la Roma, grande squadra che ha in Totti un giocatore straordinario. La verità è che nel calcio ci sono 50 milioni di tifosi, 12 sono della Juve, gli altri del Milan, dell’Inter, della Roma e via così. Tutti sono contro la Juve. Ora me ne rendo conto”.

Lo sapeva che per diventare grande doveva correggere qualcosa. Lo sapeva perché ha visto quello che è accaduto al suo mentore-amico Giovanni Galeone. Torna sempre lui, ogni volta che si parla di Allegri. Torna per osmosi, perché è lui, Massimiliano, che ti spinge a farlo. Perché in fondo e neanche tanto allenatore lo è diventato per emulazione, non per genetica: guardando, imparando, cercando un futuro. Galeone è il modello che Allegri ha storpiato per trovare se stesso: “Tanto per cominciare abolirei la zona nei settori giovanili: i ragazzi non vanno ingabbiati”. S’è ricordato il primo giorno che vide Giovanni, a Pescara. Quando lo portò Marino da Pavia. Matto, dicevano tutti. Matto alla toscana, dice lui. Matto al punto che da livornese era finito a giocare nel Pisa, una specie di calcio in faccia alla propria città. Ma lui voleva giocare, punto. Lui era uno da pallone. Pisa valeva Pavia, come poi sarebbe stato Pescara e Cagliari. E comunque prima di arrivare a Pescara, in C1 aveva fatto i numeri: assist, gol, tocchi, giocate. A Paolo Condò confessò: “Quando arrivai a Pescara ero un trequartista di C1 ricco di qualità e presunzione. Galeone mi disse ‘se non cambi posizione, in B non vedrai mai la palla, prova a fare la mezzala’. Da quel giorno giocai sempre; il Gale aveva chiesto uno sforzo ma poi mi sosteneva. Si prendeva la responsabilità di sostenermi. Comunque nei primi dieci giorni lo incontrai sì e no 5 volte. Diceva di andare a pesca ma sapevo che non era vero. Non ha mai preso un pesce in vita sua. Si godeva la vita, come ha sempre fatto. In tranquillità”. Non si sono più lasciati, di fatto. Nel calcio, nella vita. Compreso quel giorno, sempre quello, raccontato una dozzina di volte, a ogni intervista, a ogni appuntamento, a ogni addio al celibato, a ogni giro di campo. C’erano gli inviti spediti, le bomboniere nell’angolo, il viaggio di nozze già preparato. C’era la chiesa pronta. C’era una ragazza in attesa. “Organizzai il mio matrimonio, poi lo annullai in fretta e fuggii. Gli amici mi credevano lontano. Avevo le palle piene di ogni cosa e un forte bisogno di isolarmi, così raggiunsi Giovanni”. Due giorni prima delle nozze. “Fuga di calciatore davanti all’altare in zona Cesarini”, titolò il Corriere della Sera quel giorno del 1992. Poi raccontò tutta la storia: “‘Benedetto ragazzo, era felice insieme alla sua Erika. Li ho visti per l’ultima volta venerdì sera, a due giorni dalle nozze. Proprio lui aveva insistito tanto perché fossi io a sposarlo. E invece…’. E invece Massimiliano Allegri, 25 anni, centrocampista del Pescara, squadra neopromossa in serie A, ha deciso all’ultimo momento che il matrimonio poteva attendere. Così il giorno prima ha dribblato tutti. Sposa compresa”.

C’erano altri dettagli nell’articolo, il più citato di tutti quelli mai usciti su Allegri. Perché il destino di uno sposo che scappa evidentemente t’insegue per sempre. Comunque Allegri partì e andò da Galeone. A pescare, pare. Ne parlano sempre con tempi diversi e ricordi diversi. Mischiano altre storie, altri aneddoti, altri giorni. Sembra quel film di Edward Burns, “Il senso dell’amore”, dove due ragazzi accompagnano il padre a pescare e la pesca non c’entra nulla, è solo il pretesto per parlare d’altro. A Giovanni e Max deve succedere lo stesso, perché si sentono sempre, si chiamano, si cercano e continuano a vedersi su una barca: “Usciamo in mare insieme, lui dice che va a pescare, ma mi sa che il pesce lo compra al mercato”. Sono stati insieme a Pescara, poi a Perugia, a Napoli. Galeone aveva bisogno di qualcuno e chiedeva al presidente di comprargli sempre Allegri. Successe anche con Gaucci, ovviamente. Successe e fu perfetto fino a un certo punto, fino a quando Luciano cominciò a mettere in discussione l’allenatore. Furono giorni di liti, di discussioni, di voci alte. A Galeone venne un infarto durante un diverbio. “Volevano mandarlo via a ogni costo, ci riuscirono. Tanta gente sputa sentenze e attribuisce etichette, senza conoscere le persone. Il mondo è cambiato. In peggio purtroppo. Un tempo si parlava di calcio, oggi non si sa di cosa si discuta davvero. Ci vorrebbe più rispetto. Se sbagli una stagione, ti ritrovi a piedi. Avrei bruciato la mia occasione, ma non ho la presunzione di vantare meriti. L’allenatore può fare solo qualche danno e conta complessivamente non più del cinque per cento. Credo molto nel fattore psicologico. Quando riesci a entrare nella testa di un giocatore, sei già a metà dell’opera. Ma i giocatori scarsi, alla fine, rimangono tali. Quando sento pontificare, mi irrito: ‘Io ho scoperto’. No, sei stato abile a valorizzare le singole caratteristiche, ma se un calciatore possiede qualità, prima o poi, sarà in grado di mostrarle. Mai gettare fango sul tuo predecessore, un atteggiamento diffuso che denota ignoranza e maleducazione”.

Per questo Allegri non parla di nessuno. Solo se gli chiedono chi è l’allenatore in attività che stimi di più fa il vago. Una volta, qualche anno fa ha detto: “Ranieri”. Se gli chiedono quello che stima di meno non ne dice neanche uno. Ha solo un’idea precisa: non tutti possono allenare. Quando provano a metterlo in competizione con uno alla Mancini, partito direttamente dalla A, dice: “Chi gli ha dato la chance ha visto qualità importanti, ma anch’io non mi posso lamentare. Poi però c’è stato il Guardiolismo, in cui allenavano tutti, e così si crea pressapochismo: giocatore e allenatore sono due mestieri agli opposti”. E’ qui che c’è Allegri, convinto di un ruolo non particolarmente importante di un allenatore, ma convinto anche che allenare sia una cosa troppo seria.

Ipocrisia? Lui lo chiama rispetto e nient’altro. Ce l’ha per molti. Ce l’ha anche per chi ha avuto meno fortuna di lui. Ce l’ha per Mandorlini, per esempio. Ipocrisia? Lui lo chiama rispetto e nient’altro. Ce l’ha per Mandorlini che prese il suo posto nel Sassuolo: Max l’ha portato in B dalla C1, poi in A dove Massimiliano c’era da tempo. Preso e allevato dal presidente Cellino a Cagliari. Tutti convinti che non sarebbe durata. C’era la quota dei bookmaker inglesi: Max primo allenatore esonerato pagava praticamente zero, perché era certo, scontato, ovvio. “Quanta gente non credeva neanche che sarei arrivato a giocarmi la partita col Siena”: era la seconda di campionato e Allegri ne ha sempre parlato ridendo. Fu sconfitto, così come aveva fatto alla prima e così come avrebbe fatto alla terza, alla quarta e alla quinta. La quota dei bookmaker sempre più bassa, così bassa che forse Cellino decise per una volta di ribellarsi all’idea di sembrare così poco sorprendente. Lo tenne quell’anno e poi un altro, poi arrivò il Milan e lo portò nel calcio dei grandi.

Lo ispezionarono: uno senza il pedigree del grande giocatore che si presentava in una squadra che doveva vincere in Italia e in Europa. Tirarono fuori la vecchia storia della sua passione per le corse dei cavalli e quella volta in cui incappò in un’inchiesta per Atalanta-Pistoiese, finita in pareggio e finita sott’indagine. C’era stato un volume di scommesse esagerato: tutti a puntare sul pareggio e tutti a puntare sul vantaggio dell’Atalanta alla fine del primo tempo. Un vortice di telefonate tra i calciatori, qualcosa di strano, di poco pulito. Condannati una manciata e tra loro Massimiliano. Era il 2001, praticamente l’ultimo anno da professionista. Allegri fu squalificato e qualcuno cominciò a chiamarlo “super scommettitore”. Lui uscì allo scoperto: “Lo faccio quotidianamente e assiduamente, ma solo sui cavalli”. Quella storia finì, sepolta dalla storia. Allegri decise di allenare. Arrivò all’Aglianese. E’ lì che ha cominciato come allenatore. Poi Spal, Grosseto, Sassuolo. Cagliari, poi. La A, il Milan, lo scudetto, l’esonero, la Juventus, lo scudetto, la finale di Champions.

Dice di essere appassionato di un sacco di cose. Una gliel’ha un po’ imposta Galeone per riportarlo con sé quando era a Udine. Allegri era appena stato esonerato dal Grosseto. Arrivò una chiamata: “Sono Giovanni, verresti qui?”. Galeone allenava un’Udinese un po’ in difficoltà: l’allenatore e il presidente si fecero venire in mente che serviva un motivatore. Gale scelse Max, solo che non poteva assumerlo davvero, perché il regolamento dice che non si può lavorare in due club diversi nella stessa stagione. E’ stato l’ultimo incrocio della carriera. Ora restano solo quelli della vita. Giovanni non allena più, vede il suo allievo, lo intervistano ogni volta che si cerca qualcosa in più sulla sua vita, sulle sue scelte, sulle sue idee: “Allegri ha qualcosa in più: l’intuizione improvvisa, il colpo di genio. Lo aveva quando giocava, non gli fa difetto adesso. Sapevo che sarebbe diventato un grande tecnico. E così una volta ha dato una lezione anche a Mourinho. Ero a San Siro, quando il portoghese ha buttato dentro tutti gli attaccanti sono andato via: ero sicuro che il Cagliari avrebbe vinto, solo qualche errore glielo ha impedito. Max è diverso anche fuori: nel calcio vanno di moda anche sostantivi e aggettivi. Provate a seguire un post-partita di Allegri: non è mai banale, esce sempre dal ripetitivo lessico degli altri”. L’Inter, San Siro. Quel giorno era il suo esordio da allenatore nello stadio che poi sarebbe stato suo. Secondo Galeone, Allegri allenatore lo è diventato davvero quella sera di fronte a Josè. Max ne ha parlato così a Condò: “A un certo punto io vedo che Mourinho mette dentro cinque punte. E io dico ai miei di andare all’attacco. Se ci chiudiamo l’Inter ci sbriciola. Il più basso era 1.90. Visto che avevano cinque punte, qualche vuoto in difesa doveva pur esserci. E infatti per poco non abbiamo vinto”. Pareggiò e fu la notizia del giorno. Lui fu l’uomo del giorno. L’avrebbe rincontrato, Mou, senza averlo mai davvero in simpatia. Fu dopo quella partita che gli chiesero che cosa fosse, per lui essere un allenatore. E soprattutto se di fronte a Mou, che mai aveva giocato, si sentiva un privilegiato. Rispose: “Il passaggio da calciatore ad allenatore è sconvolgente. Quando sei dentro lo spogliatoio, pensi per conto tuo. Dall’altra parte della barricata ti osservano in 25. Ti contano tutto e non ti scontano niente”.

Lo pensa anche oggi, che giovane non lo è più, che a 48 anni, nessuno confronta con Mourinho come se fosse il piccolo contro il grande. Allegri non è Conte, non è José, non è Ancelotti. Sta lì, però. Usa parole diverse per spiegare concetti analoghi. Tocca la spalla di Tevez, poi gli da un buffetto sulla guancia: “E’ lui il protagonista”. L’allenatore conta il 5 per cento ha sempre sostenuto e continua a sostenere, nonostante l’evoluzione, nonostante la chiusura nei confronti della scienza non sia più come un tempo. Dei suoi giocatori dice dall’inizio della stagione cose che nessun altro diceva: “Questo è un gruppo con mezzi tecnici, fisici e tattici importanti. Ma deve essere convinto, anche se tra sicurezza e presunzione c’è un confine sottile. Però la convinzione ti porta a raggiungere risultati al di là di ogni aspettativa. E noi questa cosa dobbiamo averla in Champions”. Ai detrattori è sempre sembrata una provocazione, ai sostenitori al massimo una forma di motivazione. Crederci non ci credeva nessuno. A Madrid hanno cambiato idea. Questo sì che è facile.

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LA REPUBBLICA 28-06-2015

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Condò Confidential - Intervista a Massimiliano Allegri (ƓazzettaTV 13-07-2015)

 

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Spoiler

 

MASSIMILIANO ALLEGRI

Il segreto dei suoi successi, la storia di una stagione iniziata male
e finita in maniera trionfale. I suoi sogni: un sesto titolo bianconero
da leggenda, l’Europa da conquistare, la panchina della Nazionale

"Champions, poi l'azzurro"

INTERVISTA ESCLUSIVA al primo tecnico che ha centrato il Double (lo scudetto più la Coppa Italia) per due anni di fila. Con la Juve ha già festeggiato cinque trofei e non ha intenzione di fermarsi

di ANTONIO BARILLÀ (GUERIN SPORTIVO | LUGLIO 2016)


In due anni sulla panchina della Juventus, Massimiliano Allegri ha sollevato cinque trofei: è sul podio di sempre, vicino a Conte, davanti ha solo Trapattoni e Lippi, i monumenti. Nessun tecnico, inoltre, nella storia della A, aveva mai centrato il Double per due stagioni di fila: lembi di storia ritagliati non soltanto con la tattica, ma con la serenità trasmessa nell’autunno bianconero, quando la squadra annaspava irriconoscibile e le ambizioni sembravano in frantumi.

Allegri, la Coppa Italia completa una stagione incredibile...
«Non era facile vincerla, abbiamo trovato un bel Milan, ma le finali sono così, devi essere anche fortunato: bisogna fare i complimenti ai ragazzi che, nonostante un mese di festa per lo scudetto, si sono calati nella gara, riuscendo a spuntarla. Ringrazio loro, la società e i tifosi».

All’Olimpico sono stati decisivi i suoi cambi...
«In un momento di stallo, o aspetti i rigori o rischi inserendo un calciatore in grado di spaccare la partita: ho mandato in campo Morata, ho avuto fortuna...».

Tempo di dediche...
«Ai miei figli, alla mia compagna, ai miei genitori e in particolare a mia mamma».

Non era semplice, in autunno, immaginare un finale così bello...
«L’avvio è stato durissimo, ma non ho mai smesso di credere in questa Juve... Scontavamo gli infortuni, il ricambio e un filo d’appagamento».

Cominciamo dagli infortuni...
«Mancavano Marchisio e Khedira, campioni che fanno la differenza, che gli dici mezza cosa e capiscono al volo. Nel calcio, come nella vita, ci sono le categorie: se così non fosse, le società risparmerebbero, non comprerebbero giocatori da 100 milioni».

Il ricambio è stato profondo...
«Tevez aveva deciso di tornare in Argentina, Pirlo voleva fare un’esperienza in America, Vidal è stata una scelta. Ma non sono andati via soltanto loro: hanno cambiato maglia Storari, Pepe, Ogbonna e Llorente, che avevano fatto parte di una squadra vincente. Abbiamo preso, per sostituirli, giovani bravissimi, ma per abituarsi alla realtà Juve serve pazienza. Guardate Dybala: non ci volevo io per capire che fosse destinato a diventare tra i più forti al mondo, bastava vederlo, ma a Palermo era tutto diverso, giocava una volta a settimana e aveva spazi amplissimi in cui agire. Nelle prime settimane non era pronto per dimostrare appieno le sue doti».

L’atteggiamento...
«Venivamo da una stagione felice, avevamo cominciato vincendo la Supercoppa... Abbiamo avuto anche sfortuna, perso partite subendo un solo tiro e sciupando un’infinità di occasioni, ma le due cose spesso sono legate, la fortuna va portata dalla tua parte; quando hai l’atteggiamento giusto, se gli altri tirano in porta e tu metti la gamba, entri in scivolata, è difficile prendere gol; se sei molle, magari lasci spazio e uno fa gol da trenta metri. Mai perso fiducia: non potevo immaginare 25 vittorie in 26 gare, però ero certo che la Juve sarebbe risalita».

La svolta dopo la sconfitta con il Sassuolo, quando parlò Buffon...
«Dopo le parole di Gigi, ci siamo guardati tutti: riprendiamo dalle basi, cominciamo a fare un passettino alla volta. “Non guardiamo la classifica - dissi - o ci buttiamo dal grattacielo, pensiamo partita dopo partita e cerchiamo di arrivare a Natale a 6 punti dalla vetta, poi ce la giochiamo“».

Tra le immagini simbolo della stagione, il suo rabbioso spogliarello contro il Carpi...
«Ho rivisto tante volte mentalmente Lollo sbagliare il gol a un metro dalla porta, potevamo mettere a repentaglio la rimonta... Tutti, però, hanno capito quanto poteva costarci una disattenzione: è diventato un monito per non abbassare più la guardia».

I cappotto lanciato via svela l’altro Max, quello meno pacato...
«Ci sono momenti in cui trasmettere tranquillità, altri in cui bisogna arrabbiarsi: lì ci fu una perdita di lucidità inammissibile. In assoluto, amo avere un buon rapporto con i giocatori che non vuol dire avere un rapporto amichevole, ma di rispetto. Sono loro, alla fine, che vanno in campo e che ti fanno vincere le partite».

Rileggendo la sua carriera, le partenze lente sono una costante...
«Sempre avute, tranne che al primo anno di Juve e a Sassuolo. Con il Cagliari fu una tragedia, cinque sconfitte in cinque partite, partimmo male anche con il Milan. Forse è perché lavoro molto sul piano fisico, più che tattico, e perché sono uno che che insiste sui concetti di gioco, non tanto sulla ripetitività degli schemi: ci vuole un pochino più di tempo».

Il segreto della Juve è aver subito pochissimi gol...
«Abbiamo i difensori più forti al mondo: Barzagli, Bonucci e Chiellini. E non scordiamoci Caceres, che è sul loro livello: perderlo mi è dipiaciuto. Rugani è migliorato molto a livello difensivo e soprattutto nella velocità dei passaggi: il futuro è suo».

Un muro davanti al muro Buffon...
«Straordinario, una sicurezza e un vero leader».

Spesso, nell’arco della stagione, ha sottolineato la preziosità di Mandzukic...
«Ha un motore diverso e conosce il calcio come pochi. A volte non ha bellezza calcistica, ma nello smarcamento è eccezionale, chiude i triangoli lunghi con facilità ed è perfetto nei tempi di passaggio».

Pogba...
«Fortissimo e può andare oltre, diventare il numero uno. Ogni tanto gli capita ancora di specchiarsi, ma a 23 anni si perdona»

Alex Sandro?
«Può mettere la palla con entrambi i piedi dove vuole, potrà diventare uno dei migliori. Quest’anno ha fatto partite davvero importanti, ma anche lui era abituato al Porto: all’inizio ha faticato, non reggeva tante partite di seguito».

Zaza?
«Cresciuto anche lui, alla Juventus si cresce molto: può fare sicuramente il titolare anche in Nazionale».

Cosa si aspetta dal mercato?
«Migliorare è difficile, i top player sono iraggiungibili e i giocatori che possono giocare nella Juve sono pochi. Indipendentemente da quelli che arriveranno, che dovranno essere di qualità e di spessore morale, confido molto nel miglioramento di quelli che ci sono».

Sogni in libertà: se potesse prendere uno tra Messi e Ronaldo?
«Scelta durissima, ma vorrei Messi: è meno punta, si avvicina di più al mio ideale di giocatore».

Obiettivi per la prossima stagione?
«Il principale è vincere il sesto scudetto, sarebbe leggendario: non sarà facile perché alle spalle abbiamo un Napoli che ha fatto tantissimi punti, una Roma che può migliorare e tante altre avversarie. Anche la Champions, però, ormai non è più soltanto un sogno. Quest’anno abbiamo disputato un girone migliore rispetto all’edizione precedente che pure ci ha portato in finale, e l’uscita beffarda con il Bayern Monaco ha dimostrato quanto siamo cresciuti. Possiamo giocare alla pari con le grandi d’Europa, poi sui risultati incidono troppi fattori, dall’episodio favorevole alla condizione fisica del momento. Speriamo, l’anno prossimo, di essere più bravi e un poco più fortunati».

Il suo futuro?
«Qui perché alla Juve sto molto bene e con la società condividiamo tutto. Abbiamo iniziato un nuovo ciclo con dieci ragazzi che hanno il 9 davanti come data di nascita e per restare alla pari con le grandi d’Europa, vista la differenza a livello economico, ci vuole una società organizzata come questa, con persone preparatissime. Spero di rimanere a lungo, anche perché in Italia si sta bene. Più in là, mi piacerebbe fare un’esperienza all’estero ma, soprattutto, sogno di chiudere la carriera allenando la Nazionale: ci terrei molto, mi renderebbe orgoglioso, non capisco come in certi momenti l’azzurro possa essere snobbato».

C’è tanto tempo...
«Sì, ma non invecchierò in panchina. Credo sia impossibile fare vent’anni a grandissimi livelli e allora meglio fermarsi prima di diventare noiosi o rincoglioniti. Giusto, a un certo punto, dedicarsi alla famiglia, ai figli e, se li avrò, ai nipoti».

Ma davvero in Nazionale poteva andare già due anni fa al posto di Antonio Conte?
«Ero uno dei candidati, poi chiamò la Juve».

E’ stato in corsa con l’attuale Ct anche per la panchina del Chelsea?
«Assolutamente no: già a metà febbrario, durante una cena con il presidente Agnelli, avevamo deciso di andare avanti insieme».

Vincendo il quinto titolo in bianconero, ha condannato il Milan a rimanere ancora fuori dalle coppe: l’ultimo trofeo lo alzò lei, poi si sono avvicendati quattro tecnici...
«Nessuna rivincita, il calcio è fatto di cicli. L’esonero mi dispiacque, ma non c’è traccia di rancore: sono stato fortunato ad allenare i rossoneri per quattro anni, ho avuto grandi insegnamenti da quell’esperienza e mantengo ottimi rapporti. Da tecnico della Juventus non mi dispiace che il Milan sia rimasto fuori dalla lotta scudetto: sarebbe stata una rivale pericolosissima, perché ha tradizione e sa cosa vuol dire vincere».

Il Double è un record bianconero, ma anche personale: nessun allenatore ci era mai riuscito prima. Le capita di pensare che di Allegri parleranno anche fra ottant’anni, magari con un alone di leggenda come noi facciamo con Carcano?
(sorride) «Non riesco a guardare così lontano, per la verità fatico perfino a voltarmi indietro. Qualche giorno fa Ubaldo Righetti, mio amico, mi ha mostrato una foto di quando giocavamo a Pescara: quasi non riuscivo a credere che quel giovanotto fossi io...».

 

 

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Ma é Max Allegri? No, é il ministro delle finanze olandese Wopke Hoekstra! :| 

 

Mattia Zucchiatti در توییتر "Vedendo Wopke Hoekstra, ministro ...

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16 luglio 2014 - Massimiliano Allegri é il nuovo allenatore della Juventus.

 

La compagna di Allegri chiude l'account Twitter con le frasi anti ...

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Forza Juventus on Twitter: "Max Allegri is ready for a return to Juventus  to be a Ferguson-style manager. [Gazzetta] #juvelive  https://t.co/EB0JIr6a2D" / Twitter

 

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1647357966_dal2020.png.dec1af3b7c941076d218697e1dc44cdc.png  MASSIMILIANO ALLEGRI 2017-2020.png.b1329df7e47081e32c6e709ef9378aa0.png  1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg    

 

Someone from Inter kicked me!' - Juventus boss Allegri alleges violence in  Coppa Italia final | Goal.com English Kuwait

 

 

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Massimiliano_Allegri

 

 

Nazione: Italia 20px-Flag_of_Italy.svg.png
Luogo di nascita: Livorno
Data di nascita: 11.08.1967
Ruolo: Allenatore
Altezza: 183 cm
Peso: 75 kg
Soprannome: Acciuga

 

 

Allenatore della Juventus dal 2014 al 2019 e dal 2021

 

406 panchine - 267 vittorie - 70 pareggi - 69 sconfitte

 

5 scudetti

4 coppe Italia

2 supercoppe italiane

 

 

Massimiliano Allegri (Livorno, 11 agosto 1967) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista, tecnico della Juventus.

 

Durante la sua carriera da calciatore ha giocato in Serie A con le maglie di Pisa, Pescara, Cagliari, Perugia e Napoli. Nel 2002 vince il campionato di Serie D con l'Aglianese, squadra nella quale conclude la sua carriera agonistica e comincia quella da allenatore.

 

Dopo aver guidato diverse squadre, nella stagione 2007-2008 ottiene con il Sassuolo la prima promozione in Serie B nella storia del club, vincendo nella medesima annata campionato e Supercoppa di Serie C1. Dal 2008 al 2010 allena il Cagliari in Serie A, cominciando a segnalarsi tra i tecnici italiani più promettenti della sua generazione. Dal 2010 al 2014 allena il Milan, con cui conquista uno Scudetto e una Supercoppa italiana (2011). Dal 2014 al 2019 è per la prima volta alla guida della Juventus, con cui vince undici trofei: cinque campionati italiani consecutivi (dal 2015 al 2019), quattro Coppe Italia di fila (dal 2015 al 2018) e due Supercoppe italiane (2015 e 2018); raggiunge inoltre due finali di UEFA Champions League (2015 e 2017).

 

A livello individuale è stato eletto Panchina d'oro di Prima Divisione (2008), quattro volte Panchina d'oro (2009, 2015, 2017 e 2018) e quattro volte migliore allenatore AIC (2011, 2015, 2016 e 2018) oltreché insignito del Premio Nazionale Enzo Bearzot (2015) e introdotto nella Hall of Fame del calcio italiano (2018). È inoltre l'unico tecnico nella storia del calcio italiano ad aver vinto cinque Scudetti e quattro Coppe Italia consecutivamente, e il solo nelle maggiori leghe europee ad aver conseguito un double nazionale per quattro stagioni di fila.

 

 

Massimiliano Allegri
FC Zenit Saint Petersburg vs. Juventus, 20 October 2021 58 (cropped).jpg
Allegri alla guida della Juventus nel 2021
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 183 cm
Peso 75 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Squadra Juventus Juventus
Termine carriera 2003 - giocatore
Carriera
Squadre di club
1984-1985 Cuoiopelli Cuoiopelli 7 (0)
1985-1988 Livorno Livorno 29 (0)
1988-1989 Pisa Pisa 2 (0)
1989-1990 Pro Livorno Pro Livorno 32 (8)
1990-1991 Pavia Pavia 29 (5)
1991-1993 Pescara Pescara 64 (16)
1993-1995 Cagliari Cagliari 46 (4)
1995-1997 Perugia Perugia 41 (10)
1997 Padova Padova 21 (0)
1997-1998 Napoli Napoli 7 (0)
1998-2000 Pescara Pescara 46 (4)
2000-2001 Pistoiese Pistoiese 18 (1)
2001-2003 Aglianese Aglianese 32 (8)
Carriera da allenatore
2003-2004 Aglianese Aglianese  
2004-2005 SPAL SPAL  
2005 Grosseto Grosseto  
2006 Grosseto Grosseto  
2006-2007 Udinese Udinese Coll. tecnico
2007 Lecco Lecco  
2007-2008 Sassuolo Sassuolo  
2008-2010 Cagliari Cagliari  
2010-2014 Milan Milan  
2014-2019 Juventus Juventus  
2021- Juventus Juventus

 

Biografia

È cresciuto nel quartiere livornese di Coteto all'interno di una famiglia operaia, composta dal padre scaricatore al porto cittadino, dalla madre infermiera, e dalla sorella minore. Nel 1992, ventiquattrenne, divenne oggetto delle attenzioni della cronaca scandalistica per aver lasciato l'allora fidanzata a due giorni dalle nozze; si è in seguito sposato nel 1994, matrimonio conclusosi quattro anni più tardi e dal quale nel 1995 è nata una figlia; da una successiva relazione ha avuto nel 2011 un altro figlio. Dal 2017 al 2021 è stato sentimentalmente legato all'attrice Ambra Angiolini.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

«Guardi che lui da giocatore ha fatto meno, molto meno di quanto meritasse.»

(Giovanni Galeone, 2011)

 

Ai suoi esordi, Allegri venne definito da Italo Allodi, storico dirigente del calcio italiano, come un promettente giocatore «dotato di tanto talento e di un carattere un po' scanzonato» che, nel corso degli anni, ne ha in parte precluso la carriera ad alti livelli, relegandolo al calcio di provincia: «avessi avuto la testa che ho ora forse sarei arrivato in Nazionale!», ammetterà lo stesso Allegri a vent'anni di distanza, «sono stato un giocatore mediocre e senza rimpianti».

 

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Allegri al Pescara, club a cui legò i migliori trascorsi da calciatore, nella stagione 1992-1993: per via del fisico asciutto venne soprannominato Acciuga, appellativo poi mantenuto da allenatore.

 

Centrocampista dalle spiccate caratteristiche offensive, emerse inizialmente come mezzala pura, abile a inserirsi negli spazi; in seguito cominciarono a essergli delegati anche compiti di fantasista, venendo spesso impiegato come trequartista grazie a un bagaglio tecnico fatto soprattutto di corsa e abilità nel tiro, arretrando infine negli ultimi anni di carriera il proprio raggio d'azione a mediano. Eccelleva inoltre nel "leggere" la partita in corso d'opera, sia nel rapportarsi con gli avversari sia nell'aiutare compagni di squadra in difficoltà in una determinata zona del campo.

Giocatore di grande qualità, per il suo maestro Giovanni Galeone «era già un allenatore sul rettangolo di gioco [...] leader in campo e nello spogliatoio, capitano e uomo ovunque» che pagò suo malgrado un certo ostracismo tattico dell'epoca, dove «il più bravo era sempre chi menava di più». Per le sue origini livornesi nonché, soprattutto, per il suo fisico esile e dinoccolato, utile a "sgusciare" tra le difese avversarie, si guadagnò sin da giovane il soprannome di Acciuga inventato da Rossano Giampaglia, suo tecnico a Livorno; un nomignolo poi rimastogli addosso anche da allenatore.

 

Allenatore

«Non sono un maniaco degli schemi, ma un estroso: non posso stare ventiquattr'ore di fila a cercare una soluzione, devo aspettare che arrivi l'ispirazione e il più delle volte capita quando non ci penso: capita che di notte cambi la formazione che avevo deciso, per esempio. La realtà è che si vive di sensazioni.»

(Massimiliano Allegri, 2014)

 

Con il passaggio in panchina, da allenatore ha mutuato alcune delle caratteristiche già espresse in precedenza da calciatore. Tra di esse, la capacità di saper "leggere" al meglio lo svolgimento delle gare, intervenendo in corso d'opera sull'assetto della squadra, nonché la volontà di spingere i suoi centrocampisti — proprio come accadeva allo stesso Allegri in campo — all'inserimento in area per cercare la conclusione a rete; un concetto, questo ultimo, ereditato dal suo mentore Galeone.

 

Solitamente Allegri preferisce disporre in campo i suoi giocatori con moduli abbastanza offensivi quali il 4-3-3, il 4-3-1-2 o il 4-3-2-1. Questi prevedono alcuni elementi comuni, vedi una difesa schierata con quattro uomini in linea e un robusto centrocampo a sorreggere il gioco. Per quanto concerne il reparto avanzato, si prestano invece a una maggiore variabilità con il possibile ricorso a un canonico tridente, a un trequartista dietro la coppia d'attacco — soluzione in cui Allegri, peraltro, è più volte ricorso a giocatori agli antipodi rispetto al classico regista, vedi i "muscolari" Boateng o Vidal —, o a due mezzepunte (altrimenti detto "doppio trequartista") in appoggio all'unico terminale offensivo.

 

Ciò nonostante in carriera ha fin qui mostrato molta duttilità, cercando sempre di adattare al meglio le proprie convinzioni tattiche in funzione degli elementi a disposizione in rosa o delle trattative di mercato, senza disdegnare all'occorrenza soluzioni diverse da quelle inizialmente concepite. Un approccio che ha incontrato le rimostranze di parte degli addetti ai lavori, venendo da questi inteso come troppo accondiscendente verso la politica della tal società, facendogli guadagnare in maniera spregiativa l'appellativo di "aziendalista"; un giudizio che tuttavia lo stesso Allegri ha accolto e, anzi, rivalutato in ottica positiva: «quando mi danno dell'aziendalista, lo prendo per un complimento perché devo portare risultati alla mia società. Ma non vuol dire che la formazione la fa il presidente».

 

Carriera

Giocatore

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Allegri in azione al Cagliari nel 1994

 

Dopo aver dato i primi calci al pallone nella natìa Livorno, nelle formazioni giovanili dei salesiani e dei portuali, incominciò la carriera professionistica con il Cuoiopelli di Santa Croce sull'Arno, nell'allora Interregionale, nella stagione 1984-1985. Dopo tre annate con la squadra della sua città, il Livorno, passò ai rivali del Pisa con cui esordì in Serie A l'11 giugno 1989, nella gara contro il Milan. Durante la stagione collezionò due sole presenze sicché alla fine della stessa fece ritorno a Livorno, in Serie C2. L'anno seguente si accasò invece in C1, al Pavia.

Notato da Pierpaolo Marino, dirigente del Pescara, nel 1991 si trasferì agli abruzzesi, agli ordini del tecnico Giovanni Galeone con cui il giocatore instaurerà un profondo rapporto professionale e ancor più umano: «ho avuto la fortuna di avere un maestro come lui, che magari non ha ottenuto grandi risultati ma che mi ha insegnato il piacere del calcio», ricorderà anni più tardi lo stesso Allegri, mentre Galeone rammenterà come nell'occasione «la squadra era già fatta, ma la dirigenza ingaggiò questo ragazzo che sinceramente non conoscevo. Dopo tre giorni mi era tutto chiaro, era un gran calciatore sul prato verde e un ragazzo serio e rispettoso, arrivò in punta di piedi e dopo poco era già il leader dello spogliatoio».

 

Con il club pescarese — a cui maggiormente legherà la carriera da calciatore — conquistò subito la promozione in quella Serie A dove, nel 1992-1993, disputerà sempre coi colori biancazzurri la sua migliore stagione realizzando 12 reti in 31 partite, e segnando il suo primo gol nella massima categoria al 1' di Pescara-Milan (4-5) del 13 settembre 1992.

 

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Allegri con la maglia del Perugia nel 1996

 

Seguirono poi altre due stagioni in Serie A con il Cagliari, interrotte nell'ottobre 1995 dal passaggio al Perugia, in Serie B, ancora agli ordini di Galeone. Con i grifoni raggiunse una nuova promozione in massima serie, dove poi disputò 15 gare condite da 3 reti prima di essere ceduto, nel gennaio 1997, ai cadetti del Padova. Con l'annata 1997-1998 tornò in A, in un Napoli tuttavia allo sbando, con cui giocherà le sue ultime gare nella massima categoria italiana.

 

Successivamente militò per tre stagioni nella serie cadetta, fra Pescara e Pistoiese. Qui, nel marzo 2001 venne inizialmente squalificato per un anno dalla Commissione Disciplinare in seguito a una condanna per un illecito sportivo relativo alla partita di Coppa Italia con l'Atalanta del 20 agosto 2000, con l'accusa di aver pilotato, insieme ad altri sette giocatori di entrambe le formazioni, il risultato in seguito a forti somme scommesse dagli stessi attraverso amici e parenti; tuttavia, nel maggio 2001, la Commissione di Appello Federale accoglierà il ricorso dei legali dei due club, prosciogliendo tutti i calciatori coinvolti nel presunto illecito e annullando quindi anche la squalifica di Allegri: «ma la ferita ancora mi offende». Dopo le ultime stagioni con l'Aglianese, tra Serie D e C2, concluse la carriera agonistica nel 2003 con all'attivo 374 partite e 56 reti. In Serie A, in particolare, mise a referto 101 incontri segnando 19 reti.

 

Allenatore

Gli inizi

Comincia la carriera di allenatore sulla panchina dell'Aglianese, nella stagione 2003-2004, in Serie C2. Il 17 luglio 2004 passa alla guida della SPAL, in Serie C1. Il 30 maggio 2005, dopo aver chiuso il campionato al nono posto (ed essere passato in novembre per un singolare esonero-lampo di appena un'ora), si libera dal club estense nel frattempo fallito, e il successivo 19 luglio si accorda con i pari categoria del Grosseto. L'esperienza con i maremmani si consuma in due tronconi, tra il 2005 e il 2006, concludendosi a seguito del secondo e definitivo esonero avvenuto dopo la nona giornata del campionato 2006-2007, per far posto ad Antonello Cuccureddu.

 

Nel novembre 2006, pochi giorni dopo la fine del rapporto coi grossetani, viene chiamato dall'Udinese per affiancare il suo mentore Giovanni Galeone in veste di collaboratore tecnico, ruolo ricoperto fino al gennaio seguente quando Galeone viene esonerato dalla società friulana. Avendo già lavorato per un'altra squadra nel corso della suddetta stagione, l'Udinese non ha potuto tesserare ufficialmente Allegri, che nel dicembre 2007 è per questo colpito da una squalifica trimestrale per avere di fatto svolto in tale periodo attività tecnica per i bianconeri, affiancando o sostituendo Galeone durante gli allenamenti della squadra. Nel giugno precedente era stato nel frattempo scelto come allenatore dal Lecco, squadra neopromossa in Serie C1, incarico lasciato dopo poche settimane a causa di divergenze con la società lombarda.

Sassuolo e Cagliari

Nell'estate 2007, chiusa l'effimera parentesi lecchese, è quindi chiamato ad allenare i pari categoria del Sassuolo. Allegri porta i neroverdi alla prima promozione in Serie B della loro storia, conquistata grazie al primo posto nel girone A della Serie C1 2007-2008, nonché alla vittoria della Supercoppa di Serie C1 contro la Salernitana ottenuta ai rigori, dopo la sconfitta per 1-0 a Sassuolo e il successo con il medesimo punteggio a Salerno. A coronamento della positiva stagione sassolese, nel novembre 2008 è insignito della Panchina d'oro di Prima Divisione quale miglior tecnico della terza serie italiana.

 

Il 29 maggio 2008 si accorda con il Cagliari, ottenendo il suo primo ingaggio da allenatore di Serie A. Nell'avvio di stagione, la compagine rossoblù subisce cinque sconfitte che la relegano all'ultima posizione in classifica; tuttavia, Allegri mantiene la fiducia del presidente Massimo Cellino e comincia una rimonta che, con una sequenza di importanti risultati contro più blasonate rivali, permette ai sardi di risalire fino al settimo posto in classifica. Successivamente la squadra, pur affrontando un periodo di risultati altalenanti, già all'ottava giornata del girone di ritorno raggiunge la matematica salvezza.

 

A fronte di tale exploit, Allegri rimane alla guida del Cagliari anche per la stagione 2009-2010 che, il 1º febbraio 2010, lo vede insignito della Panchina d'oro quale miglior allenatore della precedente annata di Serie A. Tuttavia il 13 aprile seguente, dopo una striscia di risultati negativi, viene esonerato dalla società nonostante avesse assicurato alla squadra isolana una salvezza ormai certa; il 17 giugno il club sardo comunica poi la rescissione del contratto che ancora lo legava al tecnico.

Milan

I primi successi (2010-2012)

Il 27 giugno 2010 approda per la prima volta in carriera in una grande piazza, venendo ufficializzato dal Milan quale suo nuovo tecnico. Esordisce sulla panchina rossonera il 29 agosto seguente, in occasione della prima giornata di campionato, vincendo 4-0 la sfida di San Siro contro il Lecce. Il 7 maggio 2011, alla stagione d'esordio coi rossoneri, conquista lo Scudetto con due giornate di anticipo grazie allo 0-0 esterno contro la Roma: Allegri, oltre a riportare il Milan alla vittoria del campionato dopo sette anni, diventa anche, da quando si assegnano i 3 punti a vittoria, il secondo allenatore più giovane a vincere il tricolore dopo Roberto Mancini (sarà poi superato, nel 2012, anche da Antonio Conte).

 

All'inizio della sua seconda stagione con il Diavolo, il 6 agosto 2011 vince la Supercoppa italiana, la sesta nella storia dei rossoneri, battendo a Pechino i concittadini dell'Inter per 2-1. Nell'ottobre dello stesso anno è inoltre tra i candidati al FIFA World Coach of the Year, pur se verrà poi escluso dalla lista delle dieci nomination finali, mentre nel successivo mese di dicembre viene inserito in decima posizione nella classifica degli allenatori dell'anno 2011 stilata dai lettori della rivista specializzata inglese World Soccer. All'inizio del 2012 gli viene conferito prima il premio di migliore allenatore AIC e poi il Trofeo "Maestrelli", quale miglior tecnico della precedente stagione. Nell'annata 2011-2012 Allegri raggiunge il suo miglior piazzamento in Champions League con il Milan, portando i meneghini fino ai quarti di finale prima di venir eliminati dal Barcellona, mentre in campionato non riesce a difendere il titolo, perso al rush finale dopo un lungo duello con la Juventus di Conte.

Il lento declino (2012-2014)
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Allegri (a destra) alla guida del Milan nell'estate 2012, a colloquio con Robinho e Mario Yepes prima dell'amichevole col Real Madrid allo Yankee Stadium di New York.

 

Nella stagione seguente, causa il sopravvenuto depauperamento del tasso tecnico dei rossoneri per esigenze di bilancio — «il Milan non aveva più Nesta, Gattuso, Ibra e Thiago Silva» —, la squadra rimane presto esclusa dalla lotta per lo Scudetto. Ciò nonostante, pur a fronte di un avvio al di sotto delle aspettative, nel girone di ritorno Allegri riesce a far risalire la china ai meneghini, portandoli a chiudere il torneo alla terza piazza della graduatoria, raggiunta all'ultima giornata.

 

Completamente negativa è invece l'annata 2013-2014 che vede i rossoneri, ancor più indebolitisi sul mercato, lontani da ogni qualsivoglia obiettivo. Il 6 gennaio 2014, grazie alla vittoria casalinga ottenuta contro l'Atalanta, Allegri raggiunge le 100 vittorie da allenatore in Serie A; è l'unica gioia stagionale per il tecnico che appena una settimana dopo, a seguito della sconfitta per 3-4 sul campo di una sua ex squadra, il neopromosso Sassuolo, viene esonerato dalla società milanista, con la squadra relegata a un deludente piazzamento di metà classifica.

 

Juventus

I primi successi e le finali europee (2014-2017)

Il 16 luglio 2014 viene ufficializzato l'ingaggio di Allegri come nuovo allenatore della Juventus, al posto del dimissionario Conte. Inizialmente accolto a Torino dagli addetti ai lavori, dagli avversari e ancor più da frange della tifoseria fra non troppo velate remore circa il suo impatto sull'ambiente bianconero reduce da tre Scudetti consecutivi, Allegri finirà invece per essere protagonista di una positiva stagione d'esordio sulla panchina juventina.

 

Esordisce sulla panchina bianconera il successivo 30 agosto, in occasione della vittoria 1-0 alla prima giornata di campionato in casa del Chievo. Il 2 maggio 2015, a conclusione di un campionato percorso sempre in vetta alla classifica, battendo in trasferta la Sampdoria per 1-0 la Juventus conquista lo Scudetto, il quarto consecutivo per i piemontesi mai prima d'ora vittoriosi con quattro giornate d'anticipo nell'era dei 3 punti a vittoria, nonché il secondo personale per il tecnico: con quest'affermazione Allegri entra nel ristretto novero di allenatori — prima di lui i soli Bernardini, Capello, Cargnelli, Liedholm, Trapattoni e Weisz — capaci di raggiungere il titolo italiano alla guida di almeno due club; diventa invece il primo in assoluto, nella storia della Serie A, a vincere il tricolore alla prima stagione con due diverse squadre. Il 20 dello stesso mese arriva anche il double nazionale grazie alla Coppa Italia, vinta a Roma contro la Lazio in una finale risolta ai supplementari: per la squadra bianconera è, dopo vent'anni, la decima affermazione nel torneo — che fa dei torinesi i primi in Italia a toccare tale traguardo —, mentre per Allegri si tratta del primo successo in carriera nella coppa nazionale; nell'occasione il tecnico livornese eguaglia inoltre il tandem Cesarini-Parola e Lippi, gli unici capaci in passato di conseguire tale accoppiata sulla panchina juventina. Sempre in maggio Allegri, dopo avere impresso un'evidente inversione di tendenza alle prestazioni continentali della squadra rispetto alle annate precedenti, riporta la Vecchia Signora in finale di Champions League a dodici anni dall'ultima volta, ma il possibile treble non si concretizza per i bianconeri, battuti a Berlino dal Barcellona. A corollario, a livello personale viene insignito del Premio "Bearzot" quale miglior allenatore italiano della stagione.

 

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Allegri (a destra) sulla panchina della Juventus nell'estate 2014, durante l'amichevole di Singapore contro una selezione locale.

 

L'8 agosto seguente comincia la seconda stagione a Torino vincendo la sua seconda Supercoppa italiana, la prima sulla panchina juventina, battendo 2-0 a Shanghai la Lazio: con questo successo Allegri eguaglia Capello e Benítez come i soli tecnici riusciti a conquistare tale trofeo alla guida di due diversi club. A livello individuale, il 20 ottobre 2015 viene inserito nella lista dei dieci candidati al FIFA World Coach of the Year, cui seguono il 14 dicembre il secondo premio della carriera quale Migliore allenatore AIC, e il 7 marzo 2016 la sua seconda Panchina d'oro. Frattanto nella Serie A 2015-2016, con il successo interno del 13 febbraio sul Napoli inanella una striscia di quindici vittorie consecutive in campionato, stabilendo il nuovo record societario bianconero; il mese seguente porta la Juventus in finale di Coppa Italia per la seconda volta consecutiva, evento che non accadeva in casa bianconera da cinquantasei anni.

 

Alle prese anche in questa stagione, come già gli era accaduto a Milano, con una rosa profondamente rivoluzionata, stavolta, pur a fronte di un avvio decisamente al di sotto delle aspettative e che non gli risparmia critiche, Allegri riesce a trovare la quadra di una rinnovata Juventus che, al termine di una rimonta-record, conquista il suo quinto Scudetto consecutivo — arrivato di fatto con il successo 2-1 nella trasferta di Firenze del 24 aprile, e festeggiato matematicamente il giorno dopo grazie alla sconfitta della rivale Napoli sul campo di Roma —, bissando dopo ottantuno anni il suo Quinquennio d'oro degli anni 1930 e divenendo inoltre la prima squadra, nella storia del calcio italiano, a mettere assieme due diverse serie vincenti di cinque campionati consecutivi. Con la vittoria della seconda Coppa Italia consecutiva, superando la sua ex squadra del Milan nella finale del 21 maggio a Roma, Allegri chiude la stagione portando la Juventus a incamerare, per la prima volta nella sua storia, tutti e tre i maggiori trofei nazionali.

 

Nell'annata 2016-2017 è protagonista del terzo double consecutivo con la Juventus, che comprende il traguardo bianconero del sesto Scudetto consecutivo: un filotto iniziato da Conte e portato a termine da Allegri, e che permette alla Juventus di superare definitivamente l'epoca del Quinquennio. In una stagione svoltata in corso d'opera, grazie al passaggio verso un inedito 4-2-3-1 volto a far coesistere i maggiori elementi della rosa, raggiunge inoltre coi torinesi la sua seconda finale di Champions League, tuttavia anch'essa persa, stavolta a Cardiff contro i campioni in carica del Real Madrid.

Dal quinquennio di Scudetti all'epilogo (2017-2019)

I successi proseguono nell'annata 2017-2018 in cui, dopo un lungo testa a testa contro il Napoli, Allegri guida la Juventus al suo settimo Scudetto consecutivo; a ciò si aggiunge il quarto double domestico di fila — altro nuovo primato nel calcio italiano —, grazie al 4-0 al Milan nella finale di Coppa Italia del 9 maggio: in quest'ultimo caso l'allenatore toscano diventa il primo, in Italia e tra le maggiori federazioni calcistiche europee, a mettere in bacheca quattro double nazionali consecutivi. Nel corso della stagione, inoltre, con il successo del 6 gennaio sul campo del Cagliari, raggiunge le 100 vittorie in Serie A con il club torinese; il successivo 26 marzo è infine premiato per la terza volta in carriera con la Panchina d'oro.

 

L'annata 2018-2019, la quinta di Allegri a Torino, vede la Juventus vincere la sua ottava Supercoppa italiana, e, soprattutto, il suo ottavo Scudetto consecutivo — record assoluto nella storia della Serie A e dei maggiori campionati nazionali d'Europa —; ciò nonostante, la delusione per un percorso europeo infruttuoso, sommata a sopravvenute divergenze circa i piani futuri della squadra, sfocia a fine stagione nell'esonero del tecnico. Allegri lascia la Juventus con il suo sesto Scudetto personale nonché quinto consecutivo, stabilendo in quest'ultimo caso un nuovo primato nella storia del calcio italiano; con 11 trofei conquistati in 5 stagioni, è altresì sul podio degli allenatori più vincenti nella storia del club, dietro ai soli Lippi (13) e Trapattoni (14). A corollario di questo vittorioso ciclo, il 20 maggio 2019 viene introdotto nella Hall of Fame del calcio italiano.

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Allegri alla guida dei piemontesi nell'estate 2018, durante l'International Champions Cup nel Maryland
Secondo ciclo (2021-)

Dopo un biennio sabbatico, il 28 maggio 2021 ritorna alla guida della Juventus in sostituzione di Andrea Pirlo. Esordisce per la seconda volta sulla panchina bianconera il successivo 22 agosto, nel pareggio esterno contro l'Udinese (2-2) valevole per la prima giornata di Serie A; mentre il 28 ottobre dello stesso anno, in occasione della sconfitta casalinga contro il Sassuolo (1-2) diventa il terzo allenatore a raggiungere le 200 panchine con i torinesi dopo Marcello Lippi (258) e Giovanni Trapattoni (402). Nella prima stagione del suo secondo ciclo a Torino, Allegri non riesce a replicare i successi degli anni precedenti: complice anche un gruppo ormai arrivato a fine corsa dopo un decennio di dominio domestico, il tecnico riesce a ottenere solamente l'obiettivo minimo della qualificazione Champions, perdendo anche le finali di Supercoppa italiana e Coppa Italia, entrambe contro l'Inter e sempre ai tempi supplementari.

 

Neanche la seconda annata riserva soddisfazioni, coi piemontesi che deludono soprattutto in Champions League dove vengono eliminati già nella fase a gruppi; ripescati in Europa League, qui mostrano l'unico sussulto stagionale raggiungendo le semifinali, dove vengono estromessi dai futuri vincitori del Siviglia. Solo a parziale attenuante di questo ruolino insoddisfacente – e per il quale Allegri è il primo ad essere chiamato in causa dagli addetti ai lavori, per via dell'incapacità di dare un'identità alla squadra o di fornire una proposta di gioco soddisfacente –, subentrano le vicende extrasportive che nella prima parte del 2023 destabilizzano fortemente l'ambiente bianconero, e che si riverberano in particolar modo in campionato: pur se gli uomini di Allegri chiudono la graduatoria al terzo posto, questi si trovano declassati al settimo per via di un −10 inflitto dalla giustizia sportiva; ciò determina la mancata qualificazione in Champions dopo undici partecipazioni consecutive.

 

In avvio della stagione 2023-2024, con il successo del 7 ottobre in Serie A sul Torino (2-0) raggiunge le 13 vittorie in carriera nel derby torinese, appaiando Trapattoni in vetta alla graduatoria degli allenatori più vincenti nella storia della stracittadina; si tratta inoltre della 289ª vittoria in panchina per Allegri, che ne fa il tecnico più vittorioso nell'era dei tre punti nel campionato italiano. Nel prosieguo dell'annata, l'11 gennaio 2024, in occasione della vittoria interna 4-0 sul Frosinone nei quarti di Coppa Italia, taglia il traguardo delle 400 panchine con la Juventus, terzo di sempre dietro a Lippi e Trapattoni; il successivo 12 febbraio, in coincidenza con la sconfitta interna in campionato con l'Udinese (0-1), appaia Lippi al secondo posto assoluto. Nel mezzo, il precedente 21 gennaio, con lo 0-3 sul campo del Lecce, aveva raggiunto i 300 successi in carriera in Serie A, terzo di sempre dopo Nereo Rocco (302) e Trapattoni (352).

 

Palmarès

Giocatore

 

Allenatore

Club

Juventus: 2014-2015, 2015-2016, 2016-2017, 2017-2018
 

Individuale

 

 

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«Il record di punti? Io ve lo dico, anche se poi divento noioso. Sei intenditore di ippica? Nelle corse dei cavalli basta mettere il musetto davanti, non c’è bisogno di 100. Quello che perde di corto muso arriva secondo, quello che vince di corto muso è primo. 84 punti per vincere lo scudetto, se il Napoli non le vince tutte bastano...».
 
SANDRO SCARPA, JUVENTIBUS.COM DEL 17 MAGGIO 2019
Massimiliano Allegri e la Juventus si separano.
Con fischi, insulti e una terribile e raggelante sensazione di fragilità iniziò il suo percorso in bianconero.
Con fischi, insulti e una terribile e raggelante sensazione di insoddisfazione si temeva potesse proseguire.
In mezzo, Allegri è stato l’allenatore più vincente, in termini di vittorie sul numero di gare disputate, della storia della Juventus FC. L’allenatore che ha consolidato il dominio in Italia, proseguendo e allungando la striscia degli scudetti con 5 campionati di fila per un’impresa che ha reso EPICO il probabile e lo scontato, ci ha aggiunto 4 Coppe Italia, con quella stella (la decima) che mancava a una Juventus dominante.
Soprattutto, Allegri ha preso lo straordinario lavoro di Antonio Conte e ha saputo farlo suo e poi gradualmente adattarlo e modificarlo alle sue idee, dando fiducia e “halma” alla squadra soprattutto in Europa. Siamo così passati da una squadra ai margini dell’impero europeo (quel ristorante troppo costoso) che Conte aveva provato a fronteggiare con armi troppo spuntate, ai vertici della montagna più alta da scalare, fin da subito. A Berlino.
Con 7 uomini diversi da quel manipolo di underdog del primo anno, la Juventus di Allegri, ancora più forte e dominante in Italia, si era ripresentata, due anni dopo, di nuovo alle vette dell’Olimpo, questa volta con voce autorevole, cammino autoritario, per quanto non spettacolare, e la fiducia di un popolo pronto ad assaporare una gioia diventata ossessione dopo 20 anni. A Cardiff.
Da lì in poi Allegri ha perso quasi tutto: il calore, l’entusiasmo e la fiducia della gran parte dei tifosi, la capacità quasi prodigiosa di inquadrare un modulo perfetto durante l’anno, in grado di valorizzare tutti gli elementi di talento in squadra senza perdere in efficacia, e probabilmente anche il credito e la fiducia illimitata di una Presidenza che lo aveva elogiato (memore di quei fischi del 15 luglio 2014).
Soprattutto, negli ultimi 2 anni Allegri ha perso quella voglia di una ricerca di un calcio più qualitativo, ripiegandosi invece sulle altre sue doti: la gestione dei momenti, dei tempi, delle fasi di gara e l’adattarsi all’avversario – tatticamente e fisicamente – purtroppo anche nella mediocrità.
Così Allegri ha continuato a vincere, seppure di “corto muso” contro Sarri (o Pochettino) ma ha preso la china di un’involuzione tattica, o meglio, di una mancata evoluzione, che ha avuto due abbaglianti momenti di illusoria bellezza e fierezza: Real-Juventus (1-3) e Juventus-Atletico (3-0) e una brevissima – davvero troppo – stagione di gran calcio, iniziata a Valencia e terminata, 2 gare dopo, sempre col Valencia in casa, dopo le picconate di Mourinho.
Nell’anno dello shock più potente della storia del calcio – Cristiano Ronaldo alla Juventus – arriva non solo il primo flop in termini di risultati (l’eliminazione da parte dell’Ajax) ma soprattutto la sensazione di una incapacità di Allegri di rigenerare se stesso, di ricercare un gioco adatto alla spettacolare qualità della rosa in suo possesso. Non è tanto l’essere usciti dalla Champions, ma il modo, il come e il perché.
La Juventus ha deciso: cambiare prima di essere costretti.
In modo altrettanto certo e senza dubbi, Massimiliano Allegri va ringraziato per 5 meravigliosi anni, con 2 grandissime illusioni e 2 stagioni opache ma pur sempre vittoriose. Va ringraziato per i 5 Scudetti, sia quelli mai in discussione, sia le due rimonte con Zaza a Napoli e Higuain a Milano, per le 4 Coppe Italia. E va ringraziato per Dortmund e Berlino, per Monaco e Montecarlo, per le vittorie in casa dei due Manchester e a Wembley, per le imprese – realizzate o sfiorate – al Bernabeu e per i 3-0 rifilati al Barcellona e all’Atletico.
Se ne va un grande Allenatore, che ha rivaleggiato con Klopp, Ancelotti, Enrique, Guardiola, Emery, Zidane, Pochettino, Mourinho e Simeone, a volte vincendo altre perdendo, grazie ad una squadra sempre più forte e consapevole. Se ne va al momento giusto, perché la Juventus è diventata più grande di qualsiasi allenatore che non riesca, per più di due anni, a stare al suo passo.
Se ne va un Mister a suo modo unico ai microfoni, istrionico e cazzeggiante, lucido e ironico, con qualche scivolone legittimo, mai polemico su alibi arbitrali o fatturati o altri mezzucci cari ad altri mister, sempre perfetto nell’aderire a uno stile Juventus inappuntabile, con un calo – coincidenza – nell’aplomb e nel livello delle argomentazioni negli ultimi 2 anni.
Se ne va, tra gli applausi – speriamo – sia di chi non apprezza questa scelta, sia di chi – speriamo – aveva il timore di una sua permanenza.
Grazie Mister. Grazie Andrea.
Andiamo avanti e applausi!
 
MARCO D’OTTAVI, ULTIMOUOMO.COM DEL 26 MARZO 2019
Se dal Porto di Livorno proseguite verso sud, lungo i marciapiedi assolati di Viale Italia, superata la suggestiva terrazza Mascagni e la storica Accademia navale troverete sul lato sinistro della strada, quello che guarda al Mar Tirreno, l’Ippodromo Federico Caprilli. Se ne sta lì immobile dal 1894, gigantesco tra i villini in stile liberty del quartiere Ardenza, anno in cui fu realizzato sui terreni un tempo occupati dal parco di Villa Letizia. Oggi è chiuso, fallito, ma sbirciando tra le sbarre dei cancelli mangiati dalla salsedine, si può ancora respirare un pezzo di Livorno, un pezzo di Massimiliano Allegri.
È proprio qui, all’Ippodromo Caprilli, che l’allenatore toscano passava le sue giornate da bambino: «Le mie memorie più felici erano di mio nonno che mi portava alle corse di cavalli a Livorno», ha scritto recentemente in un articolo per The Players’ Tribune. Una passione che gli è rimasta appiccicata addosso e di cui non fa mistero, tutt’altro. Allegri quando può – se riesce – parla di cavalli, dell’ippodromo, di Livorno.
Nel 2000 Allegri è ancora un calciatore. Sta chiudendo una carriera non troppo brillante nella Pistoiese, in serie B. Il 20 agosto per la terza e ultima sfida del girone di Coppa Italia la sua squadra affronta l’Atalanta. La partita scivola via come tante sfide estive, un 1-1 con gol di Luciano Zauri e Girolamo Bizzarri, ma alcuni mesi dopo torna prepotentemente sulle pagine dei giornali: le due squadre vengono accusate di aver combinato il risultato.
Tra gli indagati c’è anche Allegri, colpevole secondo la procura di aver organizzato l’affare qualche sera prima, in una cena con altri sette giocatori. Il processo si tiene il 22 novembre a Milano, dura quattro ore. Ad attenderlo all’uscita ci sono alcuni giornalisti a cui Allegri rivela la sua passione: «Faccio giornalmente scommesse solo sui cavalli, ma ciò mi è permesso», continua «seguo l’ippica da quando ho cinque anni, proprio come molti altri toscani. Sapete in quanti scommettono su questo sport?». Allegri verrà prima condannato a un anno di squalifica, ma in seguito prosciolto dalle accuse.
Allegri cresce, diventa un allenatore vincente, sovrastando l’immagine di calciatore scapestrato, però non rinnega mai il suo passato. Le scommesse sui cavalli sembrano far parte di questa aura un po’ nebulosa che si porta dietro, ma che rivendica con un certo orgoglio, come in questa intervista in cui a una vaga domanda riguardo in quale stagione della vita si trovasse, «dopo aver vissuto a mille all’ora» (la narrazione costruita intorno ad Allegri lo descrive come uno fumantino, sciupafemmine, un talento sregolato) risponde così: «Per un lungo periodo lo sono stato: sport, soldi, donne. Avevo cinque anni quando mio nonno mi portò all’ippodromo. Nacque una passione travolgente per le corse. Ho scommesso, ho vinto, perso. Sono stato anche proprietario di cavalli. Mai puntato un soldo però sul calcio, mai indirizzato un risultato. Nel 2001 mi beccai un anno di squalifica per un presunto illecito che non avevo commesso. Prosciolto qualche mese dopo. Ma la ferita ancora mi offende».
In un paese che riserva agli scommettitori sui cavalli l’immagine di traffichini un po’ pezzenti, ben raccontata da Steno nel film Febbre da cavallo, senza però quel carattere tragico dei personaggi col trench bucato di Bukowski, Allegri sembra un po’ vergognarsi di questa sua passione, ora che è un uomo di successo. Ne parla al passato in un’intervista del 2012: «Io nasco a Livorno, città dove si gioca, si scommette. Avevo una passione per giocare ai cavalli. Ma un conto è rischiare il proprio denaro, un altro è vendere o comprare le partite».
Possiamo presumere che a un certo punto Allegri abbia smesso di scommettere sui cavalli, forse, non lo sappiamo con certezza, ma quello che sappiamo è che l’ippica, i cavalli, il loro correre e soprattutto il suo scommetterci sia uno degli argomenti di conversazione preferiti dell’allenatore toscano. Proprio una scommessa su un cavallo è l’aneddoto che più ha portato alla ribalta questa sua passione.
È il 13 maggio 2018 e la Juventus ha appena vinto il suo settimo scudetto consecutivo grazie a un pareggio a Roma, contro la Roma. È la vittoria più sudata per Allegri, arrivata dopo un serrato confronto con il Napoli di Sarri, e nella conferenza stampa post-partita l’atmosfera è particolarmente rilassata. Un giornalista gli chiede di tornare indietro di dieci anni, di ipotizzare una risposta a chi gli avesse pronosticato tutti questi successi da allenatore. Allegri ha appena detto che se ne vuole andare al mare, a casa, staccare la spina.
Prima di rispondere si prende qualche secondo, guarda in alto verso sinistra, dove di solito guardiamo quando vogliamo ricordare qualcosa ed esordisce «e allora, e allora vi dico una cosa…», si sdraia sul gomito destro perfettamente a suo agio, «vi faccio un esempio di un caro amico che è mancato un anno e mezzo fa…» intervalla momenti in cui tiene la mano sotto il naso e altri in cui alza l’indice, come se fosse un accento, «che faceva l’allibratore dei cavalli, che io ho una passione per i cavalli», questa cosa che è una passione, Allegri la ripete sempre, come fosse una giustificazione a un comportamento altrimenti deprecabile; alza un’altra volta l’indice e continua «una volta andai a giocare un cavallo, ti parlo di quarant’anni fa e lui faceva l’allibratore. Si chiamava Minnesota». A nominare il cavallo “Minnesota” la faccia di Allegri si apre come una vecchia persiana, lasciando entrare il sole.
«Ed io andai là e gli dissi “voglio giocare Minnesota” e lui mi rispose “è più facile che tu alleni in serie A che vinca questo cavallo”». A questo punto noi sappiamo già come andrà a finire la storia, ma Allegri ci tiene davvero a metterci al corrente delle sue fortune da scommettitore: con l’indice puntato alla sua sinistra scandisce «vinse il cavallo» e subito dopo con l’indice che va invece a destra «ed io sono arrivato ad allenare in Serie A».
La veridicità della storia è dubbia (abbiamo provato a contattare l’ippodromo, ma senza successo) e neanche necessaria dopotutto. Il giornalista però – da giornalista – ci tiene a far notare l’incongruenza temporale: «Quindi tu a dieci anni scommettevi sui cavalli? Hai detto quaranta anni fa». A noi sembra ovvio che la storia, se accaduta davvero, vada inserita in un tempo diverso, magari al tempo in cui era appena diventato allenatore dell’Aglianese, perché già credere a un bambino di 10 anni con un proprio allibratore è difficile, ma addirittura ipotizzare che possa avergli predetto un futuro da allenatore di Serie A è semplicemente assurdo.
Eppure non lo è per Allegri, che può ricordare ancora una volta la sua storia preferita: «Sì, anche a cinque, perché andavo con mio nonno ai cavalli. Avevo cinque anni e andavo alle corse dei cavalli. Purtroppo ora l’ippica è andata in disarmo… e invece era tanto bello per i bambini, per le cose. A Livorno c’è una grande passione, ora hanno chiuso anche l’ippodromo, così non ci si può più andare. Però quel mio amico lì mi disse questa cosa qui».
La passione per i cavalli, oltre ad essere un modo in cui Allegri racconta se stesso, è entrata anche nel suo linguaggio da allenatore, specialmente da quando è alla Juventus. Ed effettivamente deve essere questa la sensazione che gli dà allenare una squadra estremamente fisica e predisposta alla disciplina, se anche Cuadrado intervenendo di soppiatto in una diretta di JTV dice «e adesso si corre come cavalli».
Sempre nella conferenza stampa successiva alla vittoria del suo quarto scudetto consecutivo, pungolato ancora dallo stesso giornalista sulle analogie tra cavalli e calciatori, Allegri risponde sicuro «molte», poi continua acuendo ulteriormente l’accento toscano: «infatti Benatia l’ho mandato al prato. Perché i cavalli dopo un po’ che vincono si mandano al prato a riposare». Non si capisce bene se – arrivati a quel punto – Allegri stia prendendo in giro il giornalista o se lo pensi per davvero. Quel che è certo è che Benatia, dopo essere stato titolare per tutta la stagione, è stato lasciato in panchina per le fondamentali partite contro Inter e Bologna.
La scelta di Allegri, di preferirgli Rugani e Barzagli, era sembrata un declassamento dovuto alle disattenzioni commesse contro il Napoli, dove in occasione del gol vittoria di Koulibaly che aveva ribaltato i rapporti di forza in campionato, si era perso la marcatura del senegalese, e Real Madrid, dove è lui a commettere il fallo da rigore su Vazquez (anche se qui le colpe sono da dividere tra più giocatori). Poi però Benatia era ricomparso nella finale di Coppa Italia, dove aveva segnato due gol, prima di accomodarsi nuovamente in panchina contro la Roma.
Nel mondo dell’ippica si dice mandare un cavallo al prato per due motivi: o perché si decide che è arrivato per lui il momento della pensione o per concedergli un po’ di tempo nel paddock, un’area all’esterno recintata dove il cavallo da corsa può sgranchirsi le gambe, mangiare un po’ d’erba e muoversi in uno spazio più largo per qualche ora.
Allegri deve averlo usato in questo senso, prendendo una metodologia di allenamento dei cavalli e applicandola a Benatia. Avendolo visto distratto, lo ha mandato al prato: come il cavallo ha bisogno di svagarsi un po’ rispetto a una routine fatta da allenamento, gare e vita nel box; un calciatore dopo tante partite e tante vittorie deve avere la possibilità di staccare un po’ la spina.
Non sappiamo se questo metodo abbia funzionato con Benatia, che però meno di un anno dopo se ne è andato al prato da solo, optando però per la pensione in Qatar (dove però non dovrebbe esserci molta erba).
Qualche mese dopo, nella conferenza stampa prima di Empoli-Juventus, Allegri ha risposto a chi gli chiedeva di Mandzukic e Khedira, dicendo semplicemente «Mandzukic è al prato, mentre Khedira sta uscendo dal prato», come se questo modo di dire fosse ormai entrato nell’uso comune.
Allegri è molto attento nella gestione fisica dei suoi calciatori. Difficilmente chi torna da un infortunio, più o meno lungo, riesce a trovare spazio nella formazione titolare da subito, anche a costo da preferirgli giocatori fuori ruolo. Una visione facilitata anche dalla profondità della rosa, che gli offre diverse soluzioni alternative. All’inizio di questa stagione abbiamo scoperto però che esiste una categoria di calciatori che non ha bisogno di rodaggio: i cavalli vecchi.
Nella conferenza stampa precedente la sfida in casa con il Bologna, ad Allegri chiedono di Barzagli, se è recuperato fisicamente dopo un infortunio che gli aveva fatto perdere la prima parte della stagione. Allegri che dopo quindici minuti di risposte va avanti col pilota automatico, risponde che «Barzagli è completamente recuperato e…» fa una pausa «può giocare dall’inizio» a questo punto Allegri incalza, una piccola scossa lo attraversa e tutto emozionato, quasi mangiandosi le parole continua «perché Barzagli… se no io faccio sempre l’esempio dei cavalli… i cavalli vecchi quando devan correre non c’è bisogno di tanto allenamento, si buttano in camp…», per un attimo Allegri confonde davvero Barzagli per un cavallo, un animale a cui basta lasciare le redini per vederlo correre, ma per rispetto deve correggersi: «si fanno e gli fanno fa la corsa e Barzagli ha fatto degli allenamenti giusti e può tranquillamente giocare».
Barzagli è uno dei pretoriani di Allegri, che pur avendone ridotto l’impiego nelle ultime stagioni, ne ha sempre elogiato l’impegno e la bravura (a margine della partita col Bologna ha detto «purtroppo Barzagli ha 37 anni, ma vi assicuro che è un giocatore di un’altra categoria»). Affermando che i cavalli vecchi non hanno bisogno di tanto allenamento, Allegri sottolinea l’importanza per un calciatore dell’esperienza e della capacità di “sentire” il proprio corpo, cosa che invece manca ai giovani calciatori, a cui Allegri non manca mai di lanciare qualche frecciata, come ad esempio a Kean, che ha 19 anni deve imparare tutto del calcio.
Per Allegri i cavalli sono come la madeleine di Proust: gli ricordano un tempo passato, se non migliore, più sereno. Citarli nelle interviste, trovare le analogie con i suoi calciatori, gli permette di allentare le pressioni enormi del suo lavoro, tornare con la mente al tempo dell’infanzia dei ricordi felici, che per Allegri sono strettamente legati ai cavalli, così tanto che voglio chiudere con un’ultima citazione dell’allenatore toscano in cui si parla di questi bellissimi animali e che forse spiega il tutto meglio di queste ventimila battute.
«Il mio primo ricordo di Natale da bambino? Non me lo ricordo, però ricordo una foto su un cavallo a dondolo, con me tutto biondino».
 
 
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Allegri: 'I got Juve substitutions wrong against Milan, but…' | Football  Italia

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Allegri scontento del mercato Juve? 

Il PSG lo sta cercando?

 

Allegri avvistato con Campos | cosa succede per la panchina del Psg

 

Nella foto Allegri é con Luis Campos, dirigente del Paris Saint-Germain

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La Juve di Allegri va a rilento con le big in Italia e in Europa: da quando è in panchina solo tre vittorie e ben otto sconfitte. E quest'anno il trend sembra persino peggiorato

 

La Juve di Allegri va a rilento con le big in Italia e in Europa: da quando è in panchina solo tre vittorie e ben otto sconfitte. E quest'anno il trend sembra persino peggiorato

 

 

FONTE

 

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