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andrea

Claudio Marchisio

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Joined: 01-Jun-2005
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«Gattuso riparta dai giovani Vanno formati, non venduti La Juve mi ha reso infelice»
Presidente della Kings League: «Non siamo vecchie glorie, qui si fatica»


Di Walter Veltroni


Differenze I ragazzi si annoiano per la lentezza del calcio, invece in Kings League succede sempre qualcosa L’allarme Ci sono squadre in serie A che giocano senza neanche un giovane formato nel nostro Paese


Claudio Marchisio, persona saggia ed equilibrata, è stato nominato Head of Competitions (per noi boomers l’equivalente di un presidente di lega) della Kings League, il nuovo fenomeno, a metà tra calcio e social, che quest’anno ha conquistato più di cinquanta milioni di visualizzazioni. Fenomeno essenzialmente giovanile, la nuova lega è nata in Spagna su impulso di Gerard Piquè. E ora si è sviluppata in Messico, Brasile, Francia, Germania.
Dice l’ex centrocampista della Juve e della Nazionale: «È un evento che si alimenta della grande coesione che esiste tra giocatori e pubblico. La Kings League non vive di presenza fisica negli stadi, ma di un gigantesco pubblico virtuale che interagisce con il presidente di ogni società, di solito un influencer che raccoglie, mentre la partita si svolge, opinioni e critiche degli utenti delle piattaforme».
Come si è trovato, lei con la sua storia di calciatore, in mezzo a questo mondo, con presidenti come Fedez, non come Boniperti?
«Loro ci mettono tanto impegno, ci stanno male perché sono presidenti che, con i tifosi, hanno un rapporto immediato e di simbiosi. C’è veramente interazione sempre, non soltanto durante la gara, ma anche quando c’è il draft in cui, come nella Nba, bisogna scegliere i giocatori. Ci sono in campo ragazzi che hanno giocato in serie di calcio professionistiche o nelle formazioni Primavera di società blasonate che trasmettono tensione e pressione a loro coetanei che invece sono alle prime esperienze di grande visibilità».
Sembra fatto apposta per
questo tempo, per questa generazione che forse comincia ad avvertire una certa noia per il calcio, forse troppo lento e troppo «chiuso», per la loro voracità digitale.
«Sì, questo gioco è veloce e interattivo, le due caratteristiche richieste dai consumi dei giovani. I ragazzi si annoiano per la lentezza del calcio, per i regolamenti ferrei, per la vischiosità di un gioco in cui l’evento, il gol, è raro. Invece nella Kings League succede sempre qualcosa. Un po’ come nel tennis che, mi dicono, in alcune regioni stia raggiungendo, in termini di praticanti, il calcio. Da noi durante le pause tu puoi commentare con il presidente il gioco e lui ti risponde. Noi facciamo lo stesso allo stadio ma il presidente o l’allenatore lì sono irraggiungibili. Qui è tutto vicino, immediato».
Ci sono stati calciatori famosi che hanno giocato le vostre partite? C’è qualcuno che le piacerebbe portare nella
vostra Lega?
«Nainggolan, Leonardo Bonucci, Viviano e soprattutto Ciccio Caputo che si è immerso in questo mondo con il suo talento e la sua esperienza. Totti lo abbiamo avuto nella prima Kings World Cup. Mi piacerebbero persone come Sebastian Giovinco o Mario Balotelli. A chiunque mi telefona però dico che non sono partite da Vecchie Glorie, si fatica, si corre, bisogna essere in buona forma fisica e mentale. Il livello già ora è alto e dobbiamo crescere di più».
A Claudio Marchisio ho il dovere di chiedere quanto lo preoccupi la situazione del calcio italiano e della Nazionale.
«Parecchio. Io ora ho un’agenzia da procuratore e posso dirle che i dati di cui disponiamo sull’utilizzo di giocatori italiani sono davvero allarmanti. Due o tre anni fa il campionato Primavera l’ha vinto una squadra in cui non c’era neanche un italiano in campo. E solo il 2% di quei ragazzi extraeuropei è poi diventato un calciatore professionista. Il regolamento stabilisce che gli stranieri possono arrivare dopo l’under 16. Da quel momento in poi di ragazzi italiani ed europei se ne vedono ben pochi nelle formazioni giovanili. C’è anche un grande sfruttamento economico degli adolescenti delle parti povere del mondo».
Cosa si potrebbe fare?
«Bisognerebbe stabilire che nei campionati giovanili si possono schierare in campo al massimo tre extraeuropei, per arrivare a sei o otto nelle prime squadre. E poi il campionato Primavera un tempo era per gli under 19. Vuol dire che a quella età si finiva la trafila del calcio giovanile e si veniva proiettati in quello professionistico. È stato così che io ho giocato a 23 anni il primo Mondiale e a 26 il secondo, quindi nel pieno della mia forza fisica e agonistica e già con una giusta esperienza. Ora sono campionati under 20, in cicli triennali, e al terzo anno di primavera puoi trovarti a giocare con ragazzini di 17 anni, il che non aiuta la tua formazione. Rino Gattuso ha detto, nella sua presentazione, che il livello di presenza dei calciatori italiani si attesta poco sopra il 35%. Ci sono squadre in serie A che giocano senza neanche un ragazzo formato nel nostro Paese. Si compra e si vende, come tutto, nella società globalizzata. Ma il bello, nello sport, è formare».
Non esiste anche un problema di legame sentimentale tra tifosi e squadre? Non ci si affeziona più ai giocatori, elemento decisivo dell’emotività del calcio.
«Non è facile, è cambiato tutto a livello culturale, non solo nel calcio. Anche nel lavoro: insegniamo ai nostri figli che, se non si trovano bene in un lavoro, devono subito cambiarlo. Ci sono ragazzi che se per un campionato stanno più in panchina che in campo, vogliono subito cercare un’altra squadra oppure sostengono che l’allenatore complotta contro di loro. Invece io chiedo loro se hanno davvero dato tutto. Perché le difficoltà si superano, non si aggirano. E così si cresce. Su dieci spostamenti di ragazzi, nove sono sbagliati. Alex Sandro arrivò alla Juve e mi chiese se ero matto, visto che stavo in bianconero dal 1993. Gli risposi che era il mio sogno e che restare alla Juve era come avere un domicilio in paradiso, era casa mia. I soldi sono importanti, ma non sono tutto. I giocatori che finiscono in campionati in cui l’unico valore è il denaro, si spengono dentro, a 28-29 anni sono vuoti».
Quanto è preoccupato per la Juventus che da anni non vince lo scudetto?
«Non sono felice. Mi preoccupa aver visto poco affiatamento, non solo tra i giocatori, ma capisco che sono stati anni di grande cambiamento e bisogna ritrovare la bussola. Confido nel rientro in società di Giorgio Chiellini e, in campo, in Manuel Locatelli che ha imparato in fretta cosa è il dna della Juve. In panchina c’è un allenatore che ha indossato la nostra maglia. La Juventus ha bisogno di solidità, fuori e dentro il campo».
Che effetto le ha fatto vedere Trump parlare di guerra in Iran davanti a Mckennie e Vlahovic?
«Sorpreso, specie per il momento. Non entro nelle dinamiche che hanno determinato questa visita che, se non ricordo male, non è la prima della Juve nello Studio Ovale. Mi ha colpito il volto dei giocatori e dello staff davanti agli argomenti esposti da Trump, ho visto che anche i due giocatori americani sono rimasti stupiti. Dalle parole pronunciate e dalle domande fatte. Due mondi lontani, che dovrebbero restare separati».


 

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Joined: 05-Oct-2007
29936 messaggi

Mentre parlava si rendeva conto che ciò che attrae della King's League è in parte ciò che sta uccidendo la Nazionale?

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Joined: 05-Jun-2019
345 messaggi

Ha perso il cervello pure questo. Dimenticare please…

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Joined: 04-Apr-2006
136473 messaggi

 

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