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Tiger Jack

Tifoso Juventus
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  1. Sulla loro pagina faceboock hanno messo questa "foto" in corrispondeza della notizia.
  2. I misteri di Calciopoli: file segreti e indagini parallele L’arbitro Nucini, l’Inter e il fascicolo fantasma della Boccassini Paradosso Juve: ha fatto meno punti coi direttori di gara «amici» In attesa di novità sul fronte di Cremona - forse già nelle prossime ore - la controinchiesta de Il Tempo sul magma Calciopoli fa tappa a Milano. La storia dell’arbitro Danilo Nucini e del fascicolo fantasma del pm milanese Ilda Boccassini ha una data di inizio. Siamo tra novembre e dicembre 2002 quando Giacinto Facchetti, nel corso di un incontro presso la Saras a cui è presente anche Massimo Moratti, riferisce al capo della Security Telecom Giuliano Tavaroli di aver ricevuto confidenze da una giacchetta nera sui rapporti illeciti tra Luciano Moggi e l’arbitro Massimo De Santis. Le soffiate di Nucini all’allora presidente dell’Inter Facchetti, che proverebbero l’esistenza di accordi sottobanco per favorire la Juventus, vengono da quest’ultimo registrate e riversate su un cd a futura memoria. Tavaroli propone due alternative: o Facchetti diventa «fonte confidenziale» di un ufficiale dell’Arma di Milano oppure presenta regolare denuncia all’autorità giudiziaria. Che cosa succeda realmente nessuno lo sa. Perché, ascoltato dall’ufficio indagini della Figc il 3 ottobre 2006, Moratti spiega di essersi opposto a un esposto formale in Procura per la «genericità» delle accuse, e di aver suggerito al suo numero due che «doveva essere Nucini a segnalare» semmai il fatto ai magistrati. Circa quattro anni dopo Marco Tronchetti Provera dichiara (è il 9 marzo 2010): «Moratti aveva immediatamente chiesto aiuto alla Procura perché c’era un arbitro che raccontava di strane storie a Facchetti... La prima cosa che fece Massimo Moratti fu di andare dalla dottoressa Boccassini a raccontare questa vicenda. La Boccassini gli suggerì di far venire questo arbitro a denunciare la cosa». Uno dei due ha, come dire, i ricordi annebbiati. Chi? Alla fine Nucini in Procura ci va davvero, sul finire del 2003. E, nel corso del processo napoletano, pur risultando assai confuso sulle ricostruzioni, tanto da meritarsi la definizione di «inconsistente teste d’accusa» nelle motivazioni della sentenza, ammette: «Qualcuno vicino alla società (Inter, ndr) ha consigliato che io andassi davanti al pm, la dottoressa Boccassini, a dire quanto avvenuto». Il magistrato milanese, spiega ancora l’arbitro, «mi ha fatto delle domande specifiche... che erano le confidenze che nell’anno e mezzo io e Facchetti siamo venuti a conoscenza». L’incontro con la Boccassini, però, non va avanti. È sempre Nucini a spiegarlo ai giudici di Napoli: «Non ce l’ho fatta, ho trovato nella dottoressa Boccassini una delle donne più intelligenti, probabilmente aveva capito tutto. Non ha insistito, sono uscito dalla Procura e la cosa è finita lì». Il testimone ammette di non aver firmato il verbale e, agli avvocati di Moggi e De Santis, nel corso della seconda deposizione, corregge il tiro e dice semplicemente di aver parlato di calcio con il pm milanese e di non essere stato convinto da nessuno ad andare in Procura, anche se poi è costretto a rivelare che, mentre faceva da «agente provocatore» per l’Inter, pur essendo ancora in attività in A, aveva chiesto al club un interessamento per trovare un lavoro. Davvero non è stato redatto un verbale di interrogatorio? Perché la Boccassini non lo ha smentito? Che fine ha fatto il cd di Facchetti? E perché, soprattutto, con l’inchiesta napoletana già in corso, il 30 novembre 2004, il dirigente della Polposta di Milano Giovanni Pepe scrive alla Telecom per chiedere di ottemperare in maniera completa al «decreto di acquisizione file di log e relativo caller-id» firmato proprio dalla Boccassini sottolineando che «la pratica non solo riveste carattere di urgenza, ma che la situazione trattata è di particolare interesse e delicatezza»? I file di log servono a verificare se esistono specifici contatti telefonici monitorati da Telecom. Dunque, c’era un’attività investigativa in corso. Anche Milano stava indagando su Calciopoli? Per due volte, l’avvocato di De Santis, Paolo Gallinelli, non viene autorizzato dalla Procura di Milano a visionare il misterioso fascicolo. E chissà se, tra quei numeri di telefono che la Polposta voleva controllare, ci sono quelli che Nucini riferisce a Facchetti, il quale li passa a Tavaroli che, a sua volta, li gira ad Adamo Bove (suicidatosi, a Napoli, nel luglio 2006) per farli sviluppare dalla segretaria Caterina Plateo. Quest’ultima, a verbale, dirà che tra le utenze «attenzionate» c’erano quelle della Juventus, del guardalinee Cenniccola (ma il telefono era in uso a Massimo De Santis), della Gea World, della Figc e di Moggi. Le strade dei bianconeri e dell’apparato security di Telecom torneranno a incrociarsi di nuovo con la scoperta del dossier «Ladroni», l’attività di indagine che il gruppo di Giuliano Tavaroli svolge per conto dell’Inter nei confronti del malcapitato De Santis, del quale vengono acquisite illegalmente informazioni patrimoniali, anagrafiche e personali estese anche alla moglie e alla figlia minorenne. Tutte indagini, ovviamente, dall’esito negativo. Nell’interrogatorio del 6 giugno 2012, Tavaroli spiega di essere stato contattato «dalla società Inter nella persona di Moratti» e di aver poi gestito il tutto con «Facchetti». Il lavoro viene affidato all’investigatore privato Emanuele Cipriani che fatturerà, tramite la sua società inglese WorldWide Consultans Security Ltd, a Pirelli un totale di 50mila euro. Il perché è Fabio Ghioni, capo del «Tiger team» di Telecom, a spiegarlo: «Tutte le aziende alle quali era interessato come azionariato il signor Tronchetti Provera nel senso che, aveva una partecipazione, le consideravamo aziende di gruppo... tra queste, consideravamo anche l’Inter un’azienda di gruppo». Per il dossier «Ladroni», Tavaroli&co. saranno condannati a pagare le spese legali a Massimo De Santis, costituitosi parte civile nel procedimento, mentre arriverà presto in Cassazione la causa civile contro l’Inter per il risarcimento del danno (non riconosciuto, in prima istanza, dal giudice di Milano). Se davvero saltasse fuori che l’Inter si era rivolta all’autorità giudiziaria, la posizione dei nerazzurri risulterebbe assai imbarazzante (seppure nuovamente prescritta) perché avrebbero infranto la cosiddetta «clausola compromissoria» che obbliga i club a rivolgersi solo e soltanto alla giustizia sportiva. Come abbiamo visto ieri, nella prima puntata di questa controinchiesta, il teorema sulla gigantesca macchina criminale messa in piedi da Luciano Moggi, oltre che sugli indizi (assai labili) che evaporano dai telefoni intercettati, pecca da un punto di vista logico su una circostanza specifica. La Cupola avrebbe brigato per favorire la Juventus quasi sempre (eccezion fatta per un paio di casi, di cui parleremo più avanti) con squadre di seconda fascia. Gli arbitri, i designatori e i giornalisti della corte dell’ex dg bianconero si sarebbero cioè mossi per falsare partite tutt’altro che impossibili per il team della Vecchia Signora, considerando il livello tecnico della squadra nel campionato 2004-2005. Basta dare uno sguardo ai capi d’imputazione per accorgersene: la frode sportiva è contestata negli incontri con Udinese, Livorno, Siena, Chievo, Lecce, Lazio, Parma e Cagliari. Insomma, non proprio teste di serie. Gli incontri di cartello «sospetti» che gli investigatori individuano sono soltanto due: contro la Roma e, soprattutto, contro il Milan. Possibile, dunque, che un’associazione criminale di così ampio e consolidato potere, capace di incidere sui comportamenti e sulla lealtà di arbitri, designatori e cronisti, non tentasse di giocare sporco con le dirette concorrenti sia all’andata che al ritorno? E che si accontentasse, al contrario, di rischiare grosso con i nanetti del campionato? Peraltro, anche la definizione di frode sportiva è parsa assai sfuggente nel corso del processo di primo grado. E poco importa che, in Appello, i reati collegati siano andati prescritti. Ne va della ricostruzione complessiva dei fatti. Bocciata dagli stessi giudici l’ipotesi accusatoria che i sorteggi fossero pilotati con uno o più strategemmi (il colpo di tosse, il colore delle palline, i foglietti piegati), resta il sospetto che la Juventus - grazie ai buoni uffici di Luciano Moggi - potesse avvantaggiarsi delle «ammonizioni mirate» per azzoppare le squadre in vista degli incontri con la Juve. Ipotesi affascinante, una cosa da delitto perfetto. In realtà, spesso i carabinieri nemmeno incrociavano i dati, cosicché nel corso del dibattimento è emerso che molti degli ammoniti nelle partite incriminate erano regolarmente in campo la domenica successiva contro la Juve. E, cosa ancor più emblematica, si trattava quasi sempre di atleti da pacchetto di mischia e non titolari fissi. Per riassumere: gli arbitri affiliati alla banda di Luciano Moggi, esibendo rossi e gialli, sarebbero andati a colpire non già i fuoriclasse delle squadre avversarie (gente tipo Nesta, Rui Costa, Seedorf solo per citare i rossoneri) ma onesti operai del pallone. Per i pm, tutte queste manovre spericolate servivano alla fine a impedire a un Mensah (Chievo) o a un Jankulovski (Udinese) di calcare il rettangolo verde. Altra contraddizione: pallottoliere alla mano, i bianconeri hanno fatto più punti nelle partite dirette da arbitri non indagati che in quelle che sarebbero state manipolate dagli «amici». E, a proposito di amici, nessuno ha indagato, nonostante un’intercettazione chiarissima in merito scovata dai periti della difesa e non trascritta dai carabinieri, sull’origine dell’inchiesta «Off-side». Quella in cui l’ex ds giallorosso Franco Baldini («grande suggeritore» del maggiore Attilio Auricchio e nemico giurato di Moggi) dice a Innocenzo Mazzini: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini e Auricchio si sono incontrati più volte, durante la fase di avvio delle indagini. E, in un’occasione, è lo stesso maggiore a verbalizzare personalmente (cosa rarissima per un ufficiale) le dichiarazioni di Baldini. A nessuno, però, tra pm e carabinieri, è saltata la mosca al naso per chiedersi (e chiedergli) com’è che lo avrebbe fatto questo ribaltone? E, sempre a proposito di telefoni bollenti, pure è passata sotto silenzio la frase che Manfredi Martino, segretario della Commissione arbitri nazionale, rivolge al manager del Milan Leonardo Meani: «Di questo parliamo da vicino, perché c’è gente che ci ascolta». Ma davvero? Simone Di Meo Incredibile!....ha praticamente riassunto tutto ciò che andiamo dicendo da 7 anni! Ma perchè i giudici non le fanno queste considerazioni? Non sono certo congetture o teoremi. E' tutto basato su fatti oggettivi
  3. Ecco calciatori ed ex coinvolti(ANSA) Sono dieci, tra calciatori in attività ed ex calciatori, i giocatori coinvolti nel nuovo filone d'indagine della procura di Cremona sul calcioscommesse. Oltre a Ringhio Gattuso e Cristian Brocchi, sono finiti sul registro degli indagati Claudio Bellucci, ex giocatore di Modena, Napoli, Bologna e Sampdoria, attualmente allenatore giovanile; Davide Bombardini, ex di Roma, Bologna, Atalanta e Albinoleffe; Leonardo Colucci, ex di Modena e Bologna attualmente allenatore giovanile; Lorenzo D'Anna, ex del Chievo oggi allenatore giovanile; Nicola Mingazzini, ex di Bologna e Albinoleffe, attualmente al Pisa; Claudio Terzi, giocatore del Siena; Samuele Olivi, ex di Salernitana, Piacenza e Pescara oggi al Grosseto; Fabrizio Grillo, giocatore del Siena.
  4. Ah., allora si deve rivolgere al provolone...
  5. Ma alla fine della fiera...De Martino che ha detto?
  6. 'Sta me*da di repubblica tira fuori sempre la stessa notizia di 2 anni fa...
  7. Il Bazzani arrestato (Francesco) non centra niente con il Bazzani calciatore (Fabio). Ora se ci mettiamo pure noi a fare confusione...annamo bene
  8. Ho sentito anch'io questa mattina, mentre andavo al lavoro, gli sfigati di ilario ilario. C'era solo Renga che predicava prudenza e che lui aveva paura di nomi buttati lì a caso solo per fare clamore.
  9. Quando si parla di Juventus-Avellino però non si può non ricordare un famigerato 3-3 del 1979. Ultima giornata; la Juve sta vincendo 3-0 a metà del secondo tempo il Trap sostituisce Zoff con Alessandrelli che prende 3 gol in 20 minuti.. L'Avellino con quel punto si salvò e noi dopo un paio d'anni gli comprammo in blocco Tacconi, Favero, Vignola e Limido
  10. Quelli de "IL TEMPO" sono impazziti! Calciopoli è un autogol Nel processo d’appello a Napoli emergono sviste e contraddizioni. Oltre a Moggi molti chiamavano Bergamo: soprattutto Milan e Inter 16.12.2013 IL TEMPO.IT Non basterebbe la mitica moviola di Bruno Longhi per fare chiarezza sui mille fuorigioco che arbitri e guardalinee in toga non hanno fischiato nell’inchiesta Calciopoli. Intercettazioni e rogatorie fantasma, fughe di notizie sui telefoni sotto controllo, informative scopiazzate dalla giornalaccio rosa dello Sport , rilievi tecnici complicatissimi fatti con carta e penna, atti d’indagine che si smentiscono l’un l’altro, testimonianze autogol, contraddizioni e via discorrendo. Tutta roba che sta venendo a galla, un po’ alla volta, nel processo d’appello di Napoli, quello ai vertici della Cupola pallonara e a Luciano Moggi, il grande untore del pallone infetto. Fatti che, messi in fila, illuminano un safari giudiziario dove i cacciatori hanno sparato soltanto alla zebra bianconera, lasciando indenni serpenti nerazzurri e altri diavoli. Per big Luciano, il procuratore generale ha chiesto tre anni e un mese per associazione per delinquere perché le frodi sportive collegate, che in primo grado avevano fatto lievitare la pena fino a cinque anni e quattro mesi, sono ormai andate prescritte. È l’ex dg il capo della Banda, per l’accusa. Le prove? Le intercettazioni telefoniche e l’uso delle sim svizzere attivate, secondo gli investigatori, per parlare in segreto coi vertici federali, i designatori e i giornalisti. Già, ma come arrivano nelle mani del manager juventino queste schede straniere? A comprarle in un negozio di Chiasso, in Svizzera, non è un faccendiere o un agente segreto prezzolato, ma un dipendente della Juventus. Che paga coi soldi della Juventus, regolarmente contabilizzati. Non proprio una cosa da sottobosco criminale.L’ultimo acquisto è addirittura Moggi in persona a farlo. E il rivenditore, in aula, conferma: «Loro (Moggi e i suoi collaboratori, ndr) sono stati fermati in dogana e qualche finanziere ha fatto delle foto, perché voleva fare delle foto con Moggi… ne è apparsa anche una sul giornale di Como». Alla faccia della riservatezza. Punto importante: le schede sim non sono mai state intercettate, ma ascoltate di rimbalzo con le ambientali. Quindi, non si sa che cosa viaggiasse su quelle frequenze d’onda. Ma il solo fatto di possederle è, automaticamente, una prova di colpevolezza. «Mi servivano per il calciomercato», ha sempre sostenuto Moggi. Una precauzione necessaria perché temeva intercettazioni abusive durante le trattative (e il processo agli spioni di Telecom, dov’è coinvolta l’Inter, e dov’è parte lesa, gli dà pienamente ragione). Questa paura la spiega pure ai carabinieri, quando lo interrogano, ma nel verbale il riferimento allo spionaggio nerazzurro, magicamente, sparisce. Ancor più interessanti sono le modalità con cui i carabinieri del maggiore Attilio Auricchio (oggi capo di Gabinetto del sindaco di Napoli Luigi de Magistris di cui è stato assessore, fino a qualche mese fa, proprio il pm di Calciopoli, Giuseppe Narducci) acquisiscono i dati relativi alle sim direttamente presso l’esercizio commerciale svizzero. In aula i militari offrono due contrastanti versioni che vedono entrare e uscire velocemente di scena fantomatici Centri di cooperazione delle polizie doganali e ignoti ufficiali di collegamento italo-svizzero. Alla fine, è il maresciallo Nardone ad ammettere: «Siamo andati al suo negozio e abbiamo acquisito la documentazione che ci serviva». Così, senza nemmeno uno straccio di rogatoria. Alla fine, quel che è importante per l’accusa, però, è che quelle schede fossero nelle mani dei capi della Cupola. Già, ma come fanno a dirlo con sicurezza? Con compasso e righello. Ovvero, mettendo in collegamento sulle mappe stradali le celle agganciate dalle utenze straniere con le zone di residenza degli indagati. Non proprio un sistema infallibile, tant’è che lo stesso maresciallo Di Laroni, addetto alla raccolta dati, oltre a confermare che l’elaborazione delle informazioni veniva fatta «a mano» e non al pc, si è tolto d’impaccio dicendo due cose. La prima sulla qualità del materiale investigativo: «I gestori ci danno la loro "schifezza", quella che loro immagazzinano, poi vedetevela voi». E la seconda sull’affidabilità dei risultati: «Ognuno i dati li legge come vuole». Un po’ poco, onestamente, per imbastire il processo del secolo. Anche e soprattutto alla luce di un dettaglio che non torna proprio: al papà dell’arbitro Gianluca Paparesta, Moggi consegnò una scheda svizzera. Lui non venne indagato e il figlio è stato poi archiviato. Strano, no? Ecco. Se avrete la bontà di seguirci attentamente in questa contro inchiesta de Il Tempo , e se per una volta ragionate senza i preconcetti e i paraocchi del tifo, vedrete che Calciopoli è un’inchiesta costruita coi mattoncini Lego delle intercettazioni: ce ne sono in tutto 170mila. Ma chissà perché solo 3mila sono state però trascritte dai carabinieri di Auricchio (anche se alcuni avvocati dicono siano appena novecento in realtà). Curioso, no? I periti della difesa di Luciano Moggi ne hanno ascoltate altre 30mila, arrivando così alla cifra-monstre di 33mila conversazioni riversate su carta. Un diluvio di parole che però rappresenta appena un quinto del volume probatorio complessivo. Per ascoltarle tutte e poter godere così di un pieno diritto alla difesa, considerando una media di tre minuti e mezzo a chiamata, gli avvocati impiegherebbero diciotto mesi ininterrotti. Giorno e notte, festivi e Natale compresi. Impossibile. Inizialmente, le conversazioni tra gli indagati erano state classificate dai carabinieri secondo uno schema che prevedeva tre gradi di importanza. Baffo verde, innocua. Baffo giallo, da approfondire. Baffo rosso, allarme. Solo che, nelle informative alla Procura di Napoli, chissà perché, sono finite quasi sempre le intercettazioni che riguardano esclusivamente Luciano Moggi e soci. Le trascrizioni con baffi gialli e rossi, riguardanti altri club, non sono state mica approfondite. Ed è un punto. In udienza, il pm Giuseppe Narducci aveva addirittura assicurato che, «piaccia o non piaccia», intercettazioni bollenti che coinvolgevano società diverse dalla Juventus non esistevano. La realtà emersa sia in primo che secondo grado, è un’altra. Di cui nessuno parla: molti, tantissimi club di prima e seconda fascia si rivolgevano ai designatori per informarsi sulle griglie e per mantenere aperto un canale di dialogo col mondo arbitrale (Inter, Milan, Reggina, Cagliari). Così fa(ceva)n tutti e non solo la Juve. Prendiamo il caso più sfacciato, quello dei nerazzurri. Il compianto presidente Giacinto Facchetti è risultato spesso in contatto con il designatore Paolo Bergamo, uno che secondo i pm dovrebbe essere lo scudiero di Moggi. I due parlavano addirittura di «regalini» e di «situazioni» da «raddrizzare». Andavano a cena assieme. In occasione del big match Inter-Juventus del 28 novembre 2004 (1-1), Bergamo viene intercettato al cellulare con l’arbitro Rodomonti mentre gli dice: «Mi raccomando Pasquale, hai faticato tanto per arrivare lì, per ritornarci e quindi io mi aspetto, credimi, che tu non sbagli niente... oltretutto c’è una differenza di 15 punti (a favore della Juventus, ndr) tra le due squadre, capito? Quindi anche psicologicamente preparatici bene... e se ti dico proprio la mia, in questo momento, se hai un dubbio, pensa più a chi è dietro piuttosto che chi è davanti, dammi retta». Bell’amico, Bergamo. Altre telefonate con Massimo Moratti e con l’addetto stampa dell’Inter chissà come sono riuscite a sfuggire al «grande fratello». A Bergamo si rivolgeva anche Leonardo Meani, responsabile del settore arbitrale del Milan. E lo faceva con toni tutt’altro che soft: «A Trefoloni (arbitro della serie A, ndr) gli fa un bel discorsetto... perché se no gli tagliamo la testa noi». Non si sottraeva al rito delle chiamate al designatore nemmeno Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan che in un’occasione lo invita a seguire una trasferta in Champions al seguito (e a spese) della squadra. Circostanze, tutte, che stridono con l’immagine di Bergamo complice del solo Moggi come vuole la Procura. Un’altra intercettazione fantasma è pure quella tra Bergamo e l’arbitro «juventino» De Santis, di cui il maggiore Auricchio aveva assicurato l’inesistenza. L’ha trovata, invece, il consulente difensivo Nicola Penta scavando tra milioni di byte. È la vigilia di Fiorentina-Bologna, finita 1-0. Gli investigatori si interessano a questa gara perché due giocatori emiliani, Nastase e Petruzzi, vengono ammoniti (dolosamente, secondo l’accusa) così da renderli indisponibili nella successiva gara con la Vecchia Signora. Eppure, Bergamo e De Santis non solo non parlano in alcun modo dei diffidati, ma il designatore invita il giudice di gara a fare bene. Addirittura, De Santis, in un’altra conversazione monitorata dai carabinieri, stavolta con il dirigente addetto agli arbitri del Milan Leonardo Meani, si compiace di aver fatto arrabbiare i bianconeri. «Ho fatto fare il silenzio stampa alla Juve, ma ti rendi conto? Non c’era mai riuscito nessuno nella storia del calcio», ride l’arbitro. E Meani di controbalzo: «E ci sei riuscito te, i corsi e ricorsi... poi mi dicono che sei juventino». De Santis: «Ma ti rendi conto?». Lui è l’unico arbitro intercettato nell’inchiesta ed è quello su cui maggiormente si concentrano gli sforzi investigativi perché sarebbe la cerniera tra Moggi e la "combriccola romana" delle giacchette nere. Su De Santis indagano, illegalmente, anche gli spioni Telecom, ed è agli atti dell’inchiesta milanese un dossier, ribattezzato «Ladroni», dedicato ai bianconeri e agli amici arbitri. Gli controllano tabulati telefonici, lo intercettano e lo pedinano. La sua vita viene rivoltata come un calzino perché il suo nome finisce nelle confidenze che l’arbitro Nucini di Bergamo fa a Facchetti, che di nascosto le registra. Avviando il più grande mistero dell’inchiesta Calciopoli: il fascicolo fantasma del pm Ilda Boccassini. Un procedimento penale avviato un po’ prima dell’indagine napoletana. (1.continua) Simone Di Meo Ci sarà pure una 2a parte Cioè, questo Di Meo ha riportato, nero su bianco, in un articolo di un giornale (di Roma peraltro...) quello che noi "rancorosi" andiamo sostenendo e dicendo da 7 anni...un pazzo!
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